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LOMBARDIA CINEMA RAGAZZI
A R R I VA N O I F I L M
2 0 0 2 - 2 0 0 3
Promosso da
in collaborazione con
LOMBARDA
Centro Studi per
l’Educazione all’Immagine
Regione Lombardia-Direzione Generale Culture, Identità e Autonomie della Lombardia
Unità Organizzativa Spettacolo
Progetto: “Lombardia Cinema Ragazzi” a cura dell’unità operativa supporto tecnico
specialistico in campo cinematografico e multimediale
Dirigente dell’unità organizzativa: Maria Beatrice Molinari
Responsabile dell’unità operativa: dott.ssa Graziella Gattulli
Segreteria: Lucia Montrone e Luisa Gorla
P.zza IV Novembre, 5 - 20124 MILANO
tel. n. 0267652611/3716 - fax n. 0267658069
www.lombardiacultura.it - [email protected]
in collaborazione con le Amministrazioni Provinciali di:
Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Lodi, Mantova, Milano, Pavia, Sondrio,Varese
e il Comune di Cremona
LOMBARDA
P.zza Luigi di Savoia,24 - 20124 MILANO
tel. 0267397825 - fax 026690410
referente: Emanuela Fava
www.lombardiaspettacolo.com - [email protected]
Testi dei percorsi e schede di:
Marco Borroni, Patrizia Canova, Paolo Castelli, Mariolina Gamba, Giancarlo Zappoli
del Centro Studi Educazione all’immagine
Silvia Colombo, Davide Di Giorgio, Elio Girlanda, Alessandro Leone
Si ringrazia per la gentile concessioni delle fotografie
Agenzia Photomovie,Viale Ranzoni, 15/A MILANO
Il logo di Lombardia Cinema Ragazzi è stato ideato da Lucia Todisco e Daniele Torti
del Politecnico di Milano vincitori del concorso bandito in collaborazione con
la Regione Lombardia e l’Agis Lombarda.
Progetto grafico: Elena Simen
Impianti: Ruta, Milano
Stampa:Tipografia F.lli Verderio, Milano
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Il Circuito Regionale di programmazione cinematografica “Arrivano i film”, concepito e realizzato
per le scuole, giunge quest’anno con successo alla sua sedicesima edizione. Questo dimostra certamente la straordinaria capacità dell’arte cinematografica di assumere carattere didattico e formativo, diventando veicolo di preziosi contenuti da far giungere agli studenti lombardi. Il raggiungimento di questo ambizioso traguardo conferma altresì l’attenzione che la Regione LombardiaAssessorato alle Culture, Identità e Autonomie, che è promotrice dell’iniziativa, dedica al rapporto
tra espressioni artistiche, formazione ed educazione. Un legame solido e duraturo. E questo perché il patrimonio artistico-culturale della nostra Regione, ma anche, più in generale, quello nazionale ed internazionale, possa aiutare i ragazzi a conoscere meglio, anche attraverso una forma
d’arte e di espressione amata e partecipata come quella cinematografica, le loro terre e quelle
altrui, le diverse culture, manifestazioni artistiche e sociali, arricchendosi e crescendo nell’elaborazione di messaggi mai superficiali.
La programmazione di questa edizione consente inoltre di mettere bene e proficuamente a frutto
la collaborazione con l’organizzazione scolastica, le cui competenze didattiche contemplano che
una rilevante parte della programmazione, circa il 15-20 per cento, venga dedicata allo studio e
all’approfondimento delle culture locali. È opportuno sottolineare anche l’importanza della collaborazione della Regione Lombardia con altri Enti e realtà rappresentativi del territorio come le Province, i Comuni, le scuole, i Circoli culturali, le famiglie, le Associazioni di categoria, il volontariato
culturale, le società di distribuzione. Realtà tutte che concorrono al successo di un’iniziativa largamente apprezzata e riuscita, come dimostra il crescente successo che ottiene, ogni anno, proprio
tra gli studenti, primi e privilegiati destinatari.
Prof.Avv. Ettore A.Albertoni
Assessore alle Culture,
Identità e Autonomie della Regione Lombardia
3
INDICE
Indicazioni per l’uso del catalogo
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PERCORSO
Il cinema fantastico
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Tavola sinottica:
tematiche/film 2002-2003
pag.
147
Elenco dei titoli disponibili
in pellicola segnalati nei cataloghi precedenti
suddivisi in percorsi tematici
pag.
148
Elenco distributori film
pag.
156
Siti Internet
pag.
157
Per informazioni
pag.
158
Elenco sale cinematografiche disponibili
ad organizzare proiezioni per le scuole
pag.
160
Anticipazioni sui prossimi film in uscita
pag.
161
Elenco premiazioni
concorso “Il piccolo critico” 2001-2002
pag.
164
SCHEDE DEI FILM
Aida degli alberi
E.T. l’Extraterrestre
Harry Potter e la pietra filosofale
Hijos-figli
Il favoloso mondo di Amélie
I nostri anni
Jimmy Grimble
Le biciclette di Pechino
L’era glaciale
Momo alla conquista del tempo
Monsters & Co
No mans’s land terra di nessuno
Non è giusto
Ribelli per caso
Shrek
Spy kids
Tornando a casa
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INDICAZIONI
PER L’USO
DEL CATALOGO
Il catalogo 2002/2003 di “Arrivano i Film” comprende 17 titoli di film adatti a proiezioni
scolastiche. Il percorso tematico individuato per quest’anno è “Il Fantastico”. Alcuni titoli
vanno invece ad aggiungersi al percorso del catalogo 2001/2002 “Frammenti di storie italiane”1. Il percorso individuato vede una premessa illustrativa e le schede dei film prescelti
supportati da schede informative e didattiche. Le schede vanno usate come strumenti di
lavoro utili a comprendere e valutare l’opera in esame, riflettendo sugli aspetti tecnicoespressivi del linguaggio delle immagini. Ciascuna scheda è composta da una parte informativa - credit e cast, sinopsi, analisi della struttura - che fornisce agli insegnanti ed alunni i
dati tecnici, il riassunto della trama e una traccia metodologica da seguire per un approccio
critico al film, e da una parte dove sono suggeriti itinerari didattici, elementi per la discussione, idee che possono tornare utili nelle fasi di visione del film (per esempio in una conversazione critica guidata, in attività di lettura ed interpretazione del film, in percorsi
espressivi ed esercitazioni di vario genere).
In fondo al catalogo due tavole sinottiche riassumono: a) i film proposti quest’anno in ulteriori tematiche utili intorno alle quali organizzare riflessioni e discussioni; b) tutti i titoli,
tuttora disponibili in pellicola, presentati nei precedenti cataloghi organizzati nei percorsi
proposti gli anni scorsi.
Chiudono il catalogo le notizie utili: elenco dei distributori, a chi rivolgersi per prenotare le
proiezioni, una selezione di siti Internet di cinema.
1
Per la premessa illustrativa al percorso “Frammenti di storie italiane” si rimanda al catalogo 2001/2002
pag. 17-24
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ARRIVANO I FILM
A CURA DI PATRIZIA CANOVA E SILVIA COLOMBO
PERCORSO
IL CINEMA
FANTASTICO
I limiti in cui inserire il cinema cosiddetto “fantastico” sono molto imprecisi: il “fantastico” non è un
genere cinematografico codificato, riconoscibile, definito da un insieme di regole come avviene per
il musical, la commedia o il western. Il fantastico è stato affrontato da più parti e da prospettive
diverse. Prima di inoltrarci in questo territorio spinoso, bisogna osservare che lungo la storia del
cinema si sono affermati due percorsi paralleli: quello che conduce alla riproduzione del reale e
quello che tende a svincolarsi dalla percezione del mondo così come la colgono i nostri sensi e a
dare vita a modalità strutturali altre.
DALLE ORIGINI….
L’intera storia del cinema, fin dai suoi albori, si è consegnata in ostaggio al regno del fantastico. Generalmente la nascita del fantastico nel cinema (nonostante abbia affrontato tutti i
generi del cinema primitivo, dal documentario al racconto realistico) viene associata all’illusionista George Méliès. Il film rimasto nell’immaginario collettivo come l’archetipo del racconto fantastico sul grande schermo è Le Voyage dans la lune (1902) a cui è seguito Le voyage à traverse l’impossible (1904); due film che fin dal titolo denunciano una chiara volontà
d’evasione.
“Le implicazioni scientifiche del fantastico mélièsiano sono nettamente subordinate a risoluzioni che pervengono all’ambito del fiabesco o del magico, non a caso rilette attraverso la
lente deformante del burlesque”, scrive Giorgio Cremonini (Cineforum n° 309, p. 39) e
aggiunge: “Méliès non è interessato tanto all’immaginario scientifico di Verne, quanto da
quella dimensione infantile che caratterizza l’immaginario astrologico, con tutti quei procedimenti di antropomorfizzazione che stravolgono in una parafrasi magico-mitica il cielo e i
suoi contenuti”.
In sintesi il fantastico mélièsiano situa il racconto dell’immaginazione in un luogo e in un
tempo che non c’è e che non c’è mai stato. In più, secondo Cremonini, il fantastico è irriducibilmente legato alle dimensione del “fiabesco”, del “magico” e del “mitico”. Nel cinema
di Méliès condividono lo spazio della medesima inquadratura cose che invece dovrebbero
rimanere distinte, perché appartengono a dimensione diverse: così abbiamo fantasmi, folletti, diavoli e figure magico-mitologiche che prolungano la loro esistenza in territori che non
gli sono pertinenti. Componenti narrative diverse si intrecciano e si contaminano a vicenda; il referente reale e la sua deformazione sono compresenti.
“…Da Méliès in poi, tutte le cinematografie hanno presentato una copiosa produzione di
PERCORSI
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cinema fantastico. Uno dei capolavori di R. Walsh Il ladro di Bagdad mostra per esempio
come sia naturale per un film d’avventure arricchire la trama e scenografie di elementi fantastici, dando contemporaneamente inizio a un fortunato filone di fantasie orientali ispirate
al mondo di Le mille e una notte.
Con il passare degli anni, il perfezionamento di effetti speciali consente la realizzazione poi
di alcuni film di fantascienza (Il mondo perduto 1925, King Kong 1933) che danno un nuovo
impulso alla produzione di film fantastici. Negli anni ’30-’40 inoltre, toni di fantasia assumevano anche commedie come Il cielo può attendere del 1943, Accadde domani del 1944. La
tendenza alla commedia fantastica non rimane un fatto isolato, ma sulla strada della contaminazione tra il gusto europeo di alcuni registi quali appunto Lubitsch e Clair e la macchina
produttiva hollywoodiana, si dimostra un terreno ricco di possibilità di applicazione,
soprattutto per quanto riguarda l’entertainment per eccellenza: il musical. Tutta la produzione di Vincente Mannelli ad esempio è attraversata dal fantastico: non tanto per quanto
riguarda il soggetto, quanto per la messa in scena e le scenografie.
Nel campo più ristretto del fantasy rientrano invece molti film di mostri, concepiti sempre
avendo come modello il grande successo di King Kong. Film come L’isola misteriosa 1960, Gli
Argonauti 1963 e Un milione di anni fa 1966, rendono l’idea di come il fantasy sappia combinarsi con personaggi della mitologia, creando mondi e situazioni a metà tra l’avventura e la
fiaba.
In Italia il fantastico decolla dopo il 1957 e l’inizio del film mitologico. Molte avventure di
Ercole, Maciste e degli altri eroi contengono elementi fantastici che li avvicinano a volte a
film di mostri (come Maciste contro i mostri del 1962 di G. Parolini), a volte a film dell’orrore
(Maciste contro il vampiro 1959 di G. Gentilomo), a volte ai film di fantascienza (Il gigante di
Metropolis 1962 di Scarpelli). Parallelamente si espande una produzione di fantasy tra cui
L’arciere delle mille e una notte (1963) di A. Margheriti, Le meraviglie di Aladino (1962) di Mario
Bava e Il ladro di Bagdad 1961di B.Vailati.
Nuovo impulso al cinema fantastico viene dato dall’impiego dell’elettronica e dal conseguente ulteriore perfezionamento degli effetti speciali, che a partire dagli anni ’70 rifonda
completamente l’immaginario cinematografico, creando soprattutto in America un nuovo
metagenere che sull’attrattiva dei trucchi più che sulla rigida codificazione di genere basa il
suo richiamo spettacolare e commerciale. L’heroic fantasy, poco esplorata precedentemente, ottiene un rilancio con Conan il barbaro 1982 di J. Milius ed è uno dei riferimenti culturali per la fortunata saga di G. Lucas iniziata con Star Wars (Guerre Stellari) nel 1977. Il fantasy vanta al suo attivo opere interessanti come I banditi del tempo 1982 di T. Gilliam e opere
fortunate come E.T. l’Extra Terrestre 1982 di D. Spielberg. Ma forse il riferimento preferito
per il nuovo cinema fantastico è il fumetto avventuroso anni ’30 e ’40: l’allusione è esplicita
in film come I predatori dell’arca perduta 1981 di S. Spielberg o Superman III 1981 di R.
Lester. Infine è da ricordare che tematiche fantastiche sono presenti anche in opere d’autore o in produzioni d’avanguardia, ma l’episodicità o la particolare caratterizzazione di tali
film (basti pensare a Bunnuel) impedisce ogni possibile classificazione di genere”. (dal Dizionario Universale del Cinema di F. Di Gianmatteo)
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ARRIVANO I FILM
L’HORROR, LA FANTASCIENZA, IL FANTASY
Storicamente il fantastico si è grosso modo diversificato in tre grandi generi di riferimento
(che a loro volta hanno dato vita a sottogeneri più o meno riconosciuti): parliamo dell’horror, della fantascienza e del fantasy.
I film dell’orrore e quelli di fantascienza hanno molto in comune con le dinamiche oniriche.
Usando le parole di Stuart M. Kaminsky, “in un certo senso, il film dell’orrore è un incubo
catartico, quello di fantascienza un inquietante sogno premonitore. Nel passato questi
sogni collettivi assumevano le forme del mito e del racconto popolare: le storie di Gilgamesh e del mostro Humbaba, di Perseo e della Gorgonie, di Beowulf e Grendel, di San
Giorgio e il drago, erano veri e propri racconti dell’orrore, con tanto di mostri. Nel passato questi racconti avevano un significato religioso, e venivano tramandati al fine di rendere
allegoriche le paure che l’individuo non riusciva ad affrontare in altro modo. Dunque i film
di fantascienza e dell’orrore possono in un certo senso essere visti come rappresentazioni
mitiche di paure e ansie universali”.
I tre generi hanno diversi punti di contatto, ma è possibile individuare quale sono le differenze macroscopiche che corrono tra di essi.
Nel cinema dell’orrore il “mostro” (la strega, l’uomo nero, il vampiro, l’essere artificiale
ecc. ecc.) ha una parte fondamentale – alle volte è il protagonista indiscusso – ed incarna
fondamentalmente la paura della morte e dello spossessamento di sé (in questa direzione
vanno Il bacio della pantera di Jacques Tourneur, L’ululato di Joe Dante, Un lupo mannaro americano a Londra di Jhon Landis, La notte dei morti viventi di George Romero). Al tema della
malattia e del contagio rimanda la tradizione del vampiro (Nosferatu il vampiro di Murnau,
Nosferatu, il principe della notte di Herzog, Intervista col vampiro di Neil Jordan, Dracula di
Bram Stoker di Coppola); mentre cicli seriali come La casa, Nightmare, Venerdì 1, Halloween
pescano nel profondo delle nostre paure più irrazionali, concretizzando fobie e nevrosi
adolescenziali.
Il cinema fantascientifico – al contrario del film dell’orrore – mette in scena la paura
della vita, in particolar modo dà corpo alle nostre ansie riguardo il futuro (anzi, è ricorrente il timore che l’uomo non abbia un futuro, come nota giustamente Kaminsky). L’apocalisse
e la fine del mondo sembrano essere i tema centrali su cui riflette tutta la fantascienza
degli ultimi anni (Il pianeta delle scimmie di Schaffner, L’uomo che fuggì dal futuro di George
Lucas, Blade Runner di Ridley Scott, la saga di Alien, Terminator 1 e 2 di James Cameron, Gattaca di Andrei Niccol, Fantasmi da Marte di Carpenter).
Il film fantasy (o fantastico) da alcuni è considerato correlato all’horror e alla fantascienza, da altri autori invece è considerato un genere a sé stante. Questa è la definizione che
ne dà Kaminsky:“Il film fantastico presenta elementi sia del cinema dell’orrore che di quello fantascientifico, ma generalmente ha per argomento l’esplorazione personale, onirica e
infantile di pensieri che non raggiungono lo stadio della consapevolezza. I film fantastici
assumono quasi sempre la forma o la sembianza di un sogno perfettamente compiuto
(…). Invariabilmente questi film ribadiscono il valore del mondo che sta al di qua della fantasia, inducono ad accettare l’universo della realtà, dove la vita è meno interessante ma più
sicura”.
PERCORSI
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Il capostipite indiscusso del genere è Il mago di Oz di Victor Fleming (1932), tratto dai libri
per bambini di Lyman Frank Baum: la piccola Dorothy viene scaraventata da un tornado nel
mondo fatato di Oz, dove si trova a combattere contro la malvagia strega dell’Ovest aiutata da uno spaventapasseri, un leone pauroso e dall’omino di latta. Alla fine si ritroverà nel
suo letto, col dubbio che l’incredibile avventura sia stata solo un sogno. La stessa struttura
si ritrova in Alice nel paese delle meraviglie (1951) di Disney (che adatta a cartoni animati i
due romanzi di Lewis Carrol, Alice nel paese delle meraviglie e Alice attraverso lo specchio), in
Sogni proibiti di Norman Z. McLeod (1947) e in Alla ricerca della felicità di Walter Lang
(1940), tratto dalla pièce di Maurice Maeterlinck, L’uccello azzurro.
Per arrivare in tempi più recenti, possiamo citare Legend di Ridley Scott (1985): il re delle
Tenebre è riuscito a catturare l’unicorno bianco, simbolo del bene. Il compito di liberare
l’animale viene affidato al giovane Jack, che si farà aiutare nell’impresa dalla principessa Lili.
Un altro vero e proprio classico del fantastico è Labirinth – Dove tutto è possibile di Jim Henson (1986), dove si ritrovano tutti gli stereotipi della letteratura fantasy: una ragazzina si
ritrova a vivere nel suo mondo di fantasia, dove deve superare ogni genere di prova per
andare a recuperare il suo fratellino rapito dal cattivo principe Jareth.
Degli anni ottanta sono anche La storia fantastica di Rob Reiner (1987) e La storia infinita di
Wolfang Petersen (1984), tratto dall’omonimo romanzo di Michael Ende e all’origine di due
mediocri sequel, La storia infinita 2, di George Miller (1990) e La storia infinita 3 di Peter
McDonald (1994). Negli ultimi anni si è assistito a una crescita di attenzione per la letteratura fantasy, che ha portato alla realizzazione de Il signore degli anelli di Peter Jackson, tratto
dalla saga di Tolkien, il più famoso scrittore fantasy di tutti i tempi e di Harry Potter e la pietra filosofale, ispirato invece ai fortunati romanzi di J.K. Rowling.
È comunque sempre più difficile isolare film che conservino la “purezza” del genere fantasy.
A partire dagli anni ottanta il panorama si complica, dando origine a prodotti meticci, che
incrociano e mischiano caratteristiche derivate da generi diversi: il fantastico viene contaminato con l’ avventura (I predatori dell’arca perduta, Indiana Jones e il tempio maledetto e
Indiana Jones e l’ultima crociata di Steven Spielberg, Alla ricerca della pietra verde, I Goonies di
Richard Donner), con l’horror (Ghostbusters – Acchiappafantasmi di Ivan Reitman, La mummia di Stephen Sommers), con la fantascienza (Ritorno al futuro di Robert Zemeckis, E.T. l’extraterrestre di Steven Spielberg), con il gotico (Il mistero di Sleepy Hollow di Tim Burton). Un
discorso a parte merita Spielberg, che con Hook – Capitan Uncino (1991) e A.I (2001) coniuga il racconto fantastico a due classici della letteratura per infanzia: nel primo caso stravolge il celeberrimo romanzo Peter Pan di J.M. Barrie piegandolo al racconto d’avventura, nel
secondo la favola di Pinocchio viene inserita in un affascinante immaginario fantascientifico.
PER UN PERCORSO DI ANALISI….
Forme e schemi del fantastico
Abbiamo già detto che il fantastico non è un genere codificato e riconoscibile con esattezza. Però possiamo tentare di fare un po’ d’ordine e di introdurre alcuni criteri distintivi
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ARRIVANO I FILM
mutuati dalla storia della letteratura. In primo luogo bisogna distinguere tra fantastico e
favoloso, secondo la definizione di Caillois:
– “Il favoloso è un universo meraviglioso che si oppone al mondo reale senza distruggerne
la coerenza.
– Il fantastico, al contrario, esprime una lacerazione, una irruzione insolita, quasi insopportabile, in seno al mondo della realtà”.
L’universo del favoloso è un mondo che non entra in conflitto con il mondo reale e che si
regola con leggi proprie, autonome e armoniose. La favola è un racconto situato, fin dall’inizio, nell’universo della magia e degli incantesimi, nell’atemporalità del “c’era una volta”.
Rientrano in questa categoria la maggior parte dei prodotti targati Disney, dove Biancaneve
e Cerentola restano nei territori rassicuranti della fiaba. Il fantastico, al contrario, è una
vera e propria aggressione: “il fantastico si fa strada quando fra le leggi immutabili dell’universo quotidiano si manifesta una lacerazione impercettibile, minuscola, priva di rilievo, ma
che presto lascia il posto all’irruzione del terrificante. Il fantastico presuppone la intera
solidità del mondo reale, ma per meglio devastarla. Quando arriva l’istante, contrariamente
a tutte le possibilità del verosimile, ecco il segno impercettibile che preannuncia la crisi del
Reale (…). Così le manifestazioni di questo speciale cinema del fantastico derivano tutte
dal medesimo principio. Sono tanto più all’origine del voluttuoso terrore quanto più la cornice entro cui si svolgono è familiare, le loro vicende più s’apparentano al quotidiano. E
tanto più questo sentimento particolare nasce dal contrasto con il realismo, la cui razionalità si esprime per definizione in vicende tutte ovvie e prevedibili”. (Enrico Fulchignoni, Il
cinema e il fantastico)
Todorov ne La letteratura fantastica ha cercato di arrivare al nocciolo della questione: “Il
cuore del fantastico sta nel fatto che in un mondo che è sicuramente il nostro, quello che
conosciamo, senza diavoli, né silfidi, né vampiri, si verifica un avvenimento che, appunto, non
si può spiegare con le leggi del mondo che ci è familiare (…). La formula che riassume lo
spirito del fantastico si può sintetizzare nell’ “Arrivai quasi a credere”; in questo modo il
fantastico dura soltanto il tempo di un’esitazione (…) circa la natura di avvenimento strano
(…): situazione comune al lettore e al personaggio i quali debbono decidere se ciò che
percepiscono fa parte o meno della “realtà” quale essa esiste per l’opinione comune (…).
Se decide che le leggi della realtà rimangono intatte e permettono di spiegare i fenomeni
descritti, diciamo che l’opera appartiene a un altro genere: lo strano. Se invece decide che si
devono immettere nuove leggi di natura, in virtù dei quali il fenomeno può essere spiegato,
entriamo nel genere del meraviglioso”.
Tradizionalmente ci sono soggetti fantastici privilegiati, che possiamo localizzare nella presenza di un mostro fondamentalmente immortale che spesso ha origini letterarie: il vampiro, il lupo mannaro, la creatura artificiale (il cui archetipo è Frankenstein), lo zombi, la strega e l’animale superdotato. Ma se cerchiamo di fornire un breve catalogo degli schemi
drammatici più comuni, possiamo riassumerli in tre forme principali:
• L’introduzione di un elemento straordinario nel tessuto della storia normale, quotidiana
(per esempio il cinema di Bunuel)
• La proiezione di un elemento ordinario in un mondo straordinario (esempio più famoso
è Freaks di Ted Browning o Alice nel paese delle meraviglie che ha avuto ben quattro versioni
PERCORSI
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cinematografiche dal 1930 al 1951)
• L’impiego di personaggi straordinari che agiscono in un universo fantastico anch’esso.
FUNZIONI
Per un verso o per l’altro ogni narrazione postula sempre un mondo conoscibile, regolato
da leggi che ne regolano le forme. In questo senso, ogni racconto fantastico dà voce a un’esigenza archetipa del soggetto, o comunque profondamente radicata nella nostra costituzione antropologica. La moderna narratologia ha preso le mosse dagli ormai classici studi
di Propp sulle fiabe di magia: al modello fondamentale di Propp possiamo ricondurre ogni
descrizione sistematica di questa particolare forma di racconto. Di norma, la favola comincia presentando una situazione iniziale, a cui seguono delle vere e proprie “funzioni”.
L’esordio è costituito di solito da una Mancanza che porta sempre ad una conseguenza,
ossia la ricerca di qualcosa (un oggetto, una persona, un talismano) che possa colmare la
deficienza iniziale. A questo punto entra in scena l’eroe cercatore: quindi avremo una Partenza, con cui si conclude l’esordio e si avvia la vicenda vera e propria. Per lo più, l’eroe
incontra un donatore che gli fornirà il mezzo magico per porre rimedio al danneggiamento,
dopo una o più prove. Segue la lotta con l’antagonista, la Vittoria, la rimozione della Mancanza e il Ritorno.
Questo in estrema sintesi: il rischio di questo modello di analisi è che la semplificazione
risulti eccessiva. Nell’analisi di un film sarà interessante far riferimento a tali funzioni più
per misurare le varianti che per ricondurre tutto a un modello astratto.
ALCUNE COORDINATE PER ORIENTARSI…
Per chi volesse compiere con i propri studenti un viaggio dentro gli infiniti territori del fantastico, forniamo alcune coordinate per orientarsi, per tracciare la rotta ed andare alla
ricerca e alla scoperta degli ‘ingredienti’ principali, dei denominatori comuni nonché degli
elementi di differenziazione o di ‘trasgressione delle regole codificate’ che caratterizzano il
fantasy sul piano narrativo, su quello iconico e su quello linguistico.
A seconda che si voglia porre l’attenzione sulla tipologia dei personaggi, degli ambienti,
degli oggetti che abitano il mondo fantasy o sulle azioni compiute dai protagonisti e sulla
successione degli eventi, si potranno ricercare, vedere, analizzare e comparare sequenze
diverse in grado di offrire una panoramica sufficientemente ampia dei vari procedimenti
formali e sistemi tematici del fantastico. Potrebbe inoltre risultare interessante stabilire una
comparazione – confronto fra le modalità di narrazione usate dalla letteratura e quelle di
rappresentazione messe in scena dal cinema per disegnare universi fantastici.
Potrebbero essere gli alunni stessi, soprattutto se si tratta di studenti delle scuole medie e
superiori, a ricercare sequenze da analizzare e a creare una sorta di ‘speciale dizionario del
cinema fantastico’, proprio a partire dalle scoperte attuate, dalle classificazioni e dai raggruppamenti individuati.
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ARRIVANO I FILM
Per facilitare la costruzione del ‘dizionario del cinema fantastico’ si segnalano di seguito gli
ingredienti fondamentali del fantasy, suddivisi per voci. Per ciascuna voce si indicano anche
le parole - chiave ritenute fondamentali per attuare un percorso di indagine e di classificazione.
GLI INGREDIENTI DEL CINEMA FANTASY
I protagonisti
I cattivi, gli antagonisti, le creature maligne
Parole chiave: corpi, demoni, streghe, orchi, mostri, creature goliardiche e dispettose;
bene, male, dominio, proiezioni dell’inconscio.
Ghigni crudeli, corpi deformi, volti scheletrici: il male si manifesta nel cinema fantasy prima
di tutto a partire dai corpi. Nel suo rigido manicheismo e spesso perfino nel suo rozzo
moralismo, il fantasy separa infatti il bene e il male proprio contrapponendo corpi delicati
e indifesi a corpi grotteschi e malvagi, cioè i corpi dei demoni, delle streghe e dei mostri
che portano nei territori del fantasy le ragioni e le follie della più cinica malvagità.
Dotate di velleitaria fiducia in se stesse e di sarcastico disprezzo nei confronti di tutti gli
altri esseri viventi, le creature maligne del cinema fantastico s’illudono di poter dominare
il mondo e lo attaccano con tutta la crudeltà di cui sono capaci. Emerse dal buio della
notte o dalle viscere del sottosuolo sono in realtà proiezioni dell’inconscio; nei loro
gesti, nei loro poteri si annidano paure ataviche e si nascondono antiche fantasie di potenza
assieme al timore universale che il male che esse rappresentano sia di fatto assoluto e inestirpabile.
Ma le creature maligne del fantasy sono diverse dai mostri dell’horror, spesso non fanno
neppure paura, non incarnano maledizioni, non generano angosce; a volte sono perfino
creature goliardiche e dispettose, balorde e beffarde, (es. Gremlins, Labirinth) più che mostri
sembrano quasi i ‘bau bau’ della notte e dallo schermo parlano al bambino che sopravvive
nel cuore di ognuno di noi, perlomeno nel cuore di chi ama il fantasy e le sue perfide creature.
Aiutanti buoni, salvatori, creature benigne
Parole chiave: corpi bellissimi, corpi bizzarri, esseri inanimati, luce, incorporeità, fate, ninfe,
sirene; desideri, prodigi, sortilegi, meraviglie, bontà, diversità, amicizia.
Vivono nell’aria e nell’acqua, sono fatte di trasparenza e di luce, sono belle, ma incorporee,
evanescenti, immateriali. Le creature benigne del cinema fantasy possono soddisfare come
se nulla fosse ogni desiderio degli umani (es. Trilly in Hook Capitan Uncino; La strega-fata
Glinda nel Mago di Oz). Fate, ninfe e sirene sono da sempre le creature più fascinose del
fantastico, sublimazione di una bellezza ideale e tanto purificata da diventare impalpabile,
PERCORSI
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regalano ai visitatori del loro mondo gioie e meraviglie, prodigi e sortilegi, dolcezze e
amori. Ma non sempre nel fantasy la bontà va unita alla bellezza, capita anche che creature
buone e generose si nascondano in corpi bizzarri, talvolta perfino ripugnanti (es. mordiroccia, il vecchio gnomo e altri personaggi de La storia infinita, l’extraterrestre di E.T. l’extra
terrestre; i mostriciattoli di Labirnth, l’orco del film Shrek).
In questo sta la grande lezione democratica del fantasy: nella rivalutazione del diverso e
nella dimostrazione che non è mai bene giudicare qualcuno basandosi soltanto sulle apparenze.
Esseri inanimati che prendono vita (i protagonisti de Il Mago di Oz), ammassi di pietra
che parlano, animali che ammiccano e dialogano (es. Mordiroccia e il fotunadrago de La storia infinita); la bizzaria frutto della fantasia più sfrenata è il denominatore comune di tutte le
creature buone del cinema fantasy, tutte assieme, appassionatamente, nonostante il triste
destino che colpisce alcune di loro, sono sempre pronte a far festa e scherzare quasi sapessero che vivono in un mondo di anime candide in cui si può sempre contare sul valore dell’amicizia e dei buoni sentimenti.
(es. l’amicizia fra i mostriciattoli e la protagonista di Labirinth, o l’amore fra Edward e la
figlia della rappresentante Avon in Edward mani di forbice…).
Principesse, belle addormentate: le fanciulle del fantasy
Parole chiave: innocenti, belle, passive, fragili, addormentate, vittime, meraviglia, minaccia,
incantesimi, rapimento, salvazione, bacio, principe.
Dolcissime, candide, innocenti, le eroine del fantasy sono le discendenti dirette di Biancaneve, Cenerentola, Alice, di tutte le altre fanciulle fragili e indifese che ci hanno fatto
sognare da piccoli nel mondo delle fiabe. I loro visi sono luminosi, i loro sguardi trasparenti, i loro gesti delicati, non c’è traccia in loro della maliziosa civetteria delle signore della
commedia o della torbida sensualità delle dark lady del noir. Ma proprio il loro candore fa
di esse le vittime ideali, le creature che sono condannate dal destino ad essere insidiate,
perseguitate e rapite dalle forze malvagie che strisciano e si annidano negli anfratti più
oscuri del fantasy, là dove la meraviglia si trasforma in minaccia e paura.(es. Labirith;
Robin Hood principe dei ladri; La storia infinita).
Come nelle antiche fiabe, la struttura tipica di ogni narrazione fantasy fa sì che la bella, rapita da qualche oscuro signore del male, finisca prigioniera in qualche luogo inaccessibile e
lì aspetti che un coraggioso cavaliere la venga a liberare, strappandola a nozze malefiche e
indesiderate.
La salvazione dell’eroina, spesso realizzata con il contributo di incantesimi e di magie è
uno dei temi ricorrenti di ogni film fantasy e prelude all’inevitabile happy end che ogni
spettatore si aspetta in fondo da ogni fiaba.
Accanto alla fanciulla perseguitata e alla principessa rapita, l’altra figura chiave dei personaggi femminili del fantasy è quella della bella addormentata che viene risvegliata alla vita e
all’amore dal bacio di un principe o di un eroe, a conferma che del fatto che nel fantasy il
ruolo dinamico e attivo spetta quasi sempre al maschio, mentre la donna continua per lo
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ARRIVANO I FILM
più ad essere solo un luminoso, ma passivo, oggetto del desiderio.
A rompere completamente questi schemi sono recentemente giunti sugli schermi film
come Principi e Principesse o Shrek (inseriti nei cataloghi 2001-2002 e 2002-2003) che con
originalità hanno saputo ribaltare ruoli, funzioni e situazioni narrative.
I protagonisti del fantasy: bambini-piccoli eroi
Parole chiave: esploratori, curiosità, fantasia, immaginazione, viaggi iniziatici, riscatto, rivincita.
Il fantasy è il regno dell’infanzia perenne. Lo spazio del gioco continuo, dell’immaginazione, dello scherzo, del travestimento e dell’allegria…Per questo molto spesso i suoi protagonisti sono bambini perché il fantasy si rivolge al bimbo che è in noi invitandolo a vivere
nella fantasia ciò che gli è sempre stato proibito e negato nella realtà. I bimbi protagonisti
del fantasy sono piccoli esploratori dell’impossibile, spinti da una curiosità fatta d’innocenza e incoscienza, si addentrano in luoghi diversi visitano mondi alieni, volano sulle ali
dell’immaginazione verso orizzonti che spesso sono al di là del mondo reale. I loro viaggi
sono veri e propri riti di iniziazione alla vita che a volte insegnano a diventare adulti, altre a
rimanere monelli per sempre. (es. Hook, capitan Uncino; Mary Poppins; Stand by me). Proprio i
bambini più timidi,‘imbranati’ e complessati diventano spesso i protagonisti del fantasy perché sono quelli che più hanno bisogno di compensare nella fantasia le frustrazioni e le umiliazioni che subiscono nella realtà e perché sono i più creativi cioè quelli che meglio degli
altri sanno quanto sia importante dare sempre ascolto ai sogni. Il fantasy è per il bambino il
luogo del riscatto, della rivincita, dell’affermazione di sé, è il mondo in cui tutto è possibile, perfino il turpiloquio o la trasformazione del linguaggio in tono aggressivo (es. la lite di
parole in Hook, capitano uncino). Spesso ciò che li unisce è che sono tutti piccoli eroi senza
famiglia, partecipi di aggregazioni primarie diverse da quella costituita dal nucleo famigliare.
Riuniti in bande e clan o semplici sodalizi amicali, abbandonano il territorio conosciuto e
collaudato delle fiabe per addentrarsi in quello più infido e pericoloso dell’avventura. Dell’eroe della fiaba tradizionale mantengono il connotato di fondo (l’invulnerabilità), ma non
l’aspirazione finale al matrimonio o alla relazione sentimentale.
I protagonisti del fantasy: eroi miniaturizzati
Parole chiave: nani, robot, alieni, esseri in miniatura, eroi fragili.
Nani, robot, esseri in miniatura: capita spesso che il mondo del fantasy sia popolato da queste singolari figure di eroi fuori dal comune. Sono i casi in cui, si assiste a un interessante
processo di mutazione dell’eroe che da forzuto, guerriero, adulto diventa un essere apparentemente debole e fragile, proprio come un bambino. Si può parlare in questo caso di
miniaturizzazione o lilliputizzazione del personaggio-eroe, di volta in volta messo in scena
nella forma della nanificazione (es. Willow), della robotizzazione (es. Corto circuito) dell’alicizzazione alla L. Carroll (es. Labirinth) o dell’alienazione (es. E.T. l’extra terrestre).
PERCORSI
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I LUOGHI
Mondo della realtà – regno della fantasia: le soglie
Parole chiave: limite, soglia, finestre, porte, specchi, vetri, cristalli, schermo televisivo; altre
dimensioni, meraviglioso, terrificante, ignoto.
Nel cinema fantasy il passaggio dal mondo della realtà a quello dell’immaginazione è sempre segnato da una soglia, cioè da un limite, da un confine, al di là del quale mutano radicalmente le leggi e le regole con cui siamo soliti percepire e giudicare il mondo. Al di qua
della soglia c’è lo spazio banale e conosciuto della quotidianità, al di là invece c’è il mondo
nuovo e diverso, dotato di sue leggi, proprie di un mondo che può essere di volta in volta
indifferentemente meraviglioso o terrificante. Le soglie del cinema fantasy possono
essere costituite da specchi, vetri, porte, cristalli (es. eclatante: tutte le porte e le finestre soglia del film Il mago di Oz, in particolare quella in cui le vicende sognate paiono scorrere dentro la finestra trasformandola in schermo-soglia. Ma anche il passaggio di Alice
dalla realtà al mondo delle meraviglie nel film Alice nel mondo delle meraviglie); possono ritagliarsi nelle pagine di un libro o aprirsi come per magia in una parete di ghiaccio (es. i passaggi dalla realtà al regno di Fantasia ne La storia infinita); in alcuni casi possono addirittura
mettere in comunicazione la propria casa con un altrove imprevedibile. E una volta che si è
andati oltre la soglia può risultare molto difficile tornare indietro (es. il viaggio dei giocattoli in fuga nel film La freccia azzurra).
I personaggi del fantasy sono attratti dai luoghi soglia come una limatura di ferro è attratta
dalla calamita, ma talmente risucchiati verso le porte o i varchi che si aprono ai bordi della
realtà, proprio attraverso le soglie i personaggi del fantasy precipitano in un’altra dimensione: quella dominata dalle meraviglie dell’ignoto.
Dagli anni ’80 in poi però una nuova soglia si è aggiunta a quelle tradizionali del cinema fantasy: è la soglia costituita dallo schermo del televisore, ma a differenza delle altre soglie
il teleschermo non si limita ad attrarre i personaggi verso un mondo che sta al di là di esso
come avveniva alla piccola Alice nel suo viaggio dietro lo specchio, lo schermo televisivo è
infatti una soglia che consente una duplice direzione di marcia: richiama i personaggi nel
suo mondo, ma lascia anche che le sue creature escano e agiscano nel mondo reale a
dimostrazione di come realtà e fantasia siano ormai due luoghi fortemente e indissolubilmente intrecciati. (es. Poltergeist)
Il mondo che non c’è: altre dimensioni
Parole chiave: realtà, immaginazione, città fantastiche, mondi impossibili, paradiso, inferno.
Là dove la realtà finisce, là dove incomincia il regno dell’immaginazione: è in questa
zona di confine che il cinema fantasy ha dipinto i suoi paesaggi, ha costruito i suoi mondi,
ha progettato le sue città. Sono per l’appunto paesaggi da fiaba, mondi impossibili, città
fantastiche, luoghi in cui tutte le leggi, quella della fisica così come quelle dell’architettura
vengono sospese e sostituite dalle regole imprevedibili della fantasia (es. Il mago di Oz; Mary
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ARRIVANO I FILM
Poppins; Edward mani di forbice). A volte i paesaggi del fantasy sono fioriti e profumati come
il giardino dell’Eden; un tripudio di cieli azzurri, uccellini cinguettanti e volti sorridenti,
accompagnano lo sguardo ammaliato dello spettatore fino al cuore di un immaginario
paradiso. Ma altre volte il fantasy non accede al paradiso, bensì all’inferno. In questo caso
i personaggi, come risucchiati verso il basso da una forza magnetica irresistibile, precipitano
rovinosamente verso le viscere della terra dove trovano fuoco, fiamme e demoni secondo
la miglior tradizione infernale. Ma i demoni del fantasy non sono inquietanti e minacciosi
come quelli dell’horror, sono piuttosto simpatici burloni oppure ‘operai dell’oltretomba’
intenti a divertirsi punendo le malvagità degli umani. Le altre dimensioni del fantasy insomma non sono necessariamente drammatiche, a volte anzi sono intrise di sorridente ironia,
forse nella consapevolezza che l’unica, vera, altra dimensione cui gli uomini hanno accesso è
quella che si apre loro attraverso la morte.
GLI EVENTI
La struttura narrativa del fantasy: missioni da compiere
Parole chiave: mancanza, partenza, missione (salvare, ritrovare…), viaggio, ostacoli, prove
da superare, conflitti, incontro con aiutanti magici, sconfitta dell’antagonista, vittoria dell’eroe.
Come nelle più antiche fiabe la struttura narrativa tipica del fantasy si impernia spesso sulla
missione che viene affidata all’eroe. A volta si tratta di salvare una persona tenuta
prigioniera da un essere malvagio (es. Robin Hood, principe dei ladri; Shrek) altre volte di
ritrovare un oggetto che è stato rubato o smarrito (es. Excalibur; I predatori dell’arca perduta) altre ancora addirittura di salvare il mondo minacciato dalle forze del male (es. il
compito di Atreiu ne La storia infinita).
La missione implica quasi sempre un viaggio, cioè uno spostamento nello spazio durante il
quale l’eroe incontra sempre nemici da sconfiggere, si misura con ostacoli e prove da
superare e viene spesso supportato nell’impresa da aiutanti buoni e magici. Al termine
del viaggio, che vinca o che si ritrovi sconfitto, l’eroe è comunque diventato più adulto e
più maturo e la sua missione si è risolta in un rito di iniziazione alla vita, in un percorso ad
ostacoli al termine del quale c’è soprattutto la conquista dell’identità.
Tra guerre, arrembaggi, scontri e duelli in un universo narrativo dominato dalla conflittualità perenne, l’eroe affronta la sua missione con dedizione totale, pronto anche ad accettare
la sconfitta con virile dignità (es. Il barone di Munchausen).
Ma l’eroe del fantasy in genere non viene mai sconfitto davvero, fa parte del costituzionale
ottimismo del genere concedergli il trionfo finale, tanto per sancire ancora una volta la
superiorità del bene sul male e soprattutto per ribadire che non è mai perdente chi combatte dalla parte della fantasia.
PERCORSI
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LE AZIONI
Azioni per stupire: l’arte di volare
Parole chiave: volo di persone e di oggetti inanimati.
L’irresistibile leggerezza del cinema fantasy si esprime in tutta la sua grazia e la sua meraviglia attraverso il tema del volo (es. Mary Poppino; Hook, capitan uncino; Il barone di Munchausen; E.T. l’extra terrestre): aerei e leggiadri, i personaggi del fantasy si staccano dal suolo danzando come se non conoscessero la legge di gravità; ma non sono soltanto i personaggi
umani a sperimentare nel fantasy l’ebrezza del volo, anche gli oggetti si librano a mezz’aria
e si lanciano in aeree pantomime con effetti in realtà non sempre del tutto prevedibili (es.
ne La spada nella roccia le mirabolanti magie di mago Merlino e dei suoi oggetti volanti).Tra
i prodigi e i sortilegi che il fantasy rende visibili, quello del volo è senz’altro il più strabiliante e ricorrente sia perché si riallaccia a uno dei più antichi sogni dell’uomo, sia perché
rende possibili punti di vista eccentrici e bizzarre prospettive. Il volo dei personaggi del fantasy non ha nulla a che vedere con la tragicità dei voli mitici di eroi classici come Dedalo o
Icaro, quando volano, i personaggi del fantasy non mettono mai a rischio la propria incolumità. I loro voli sono decolli, planate, picchiate nei liberi regni della fantasia, cioè nei territori di quel meraviglioso che, come ha dimostrato lo studioso Todorov , è una componente
ineliminabile di ogni narrazione fantastica.
Fin dalle origini il cinema ha trovato nel tema del volo una delle occasioni più ghiotte per
misurare la propria capacità di produrre meraviglie e di essere ‘un circo di attrazioni’, anche
se la messa in scena del volo richiede un paziente lavoro di trucchi, miraggi ed effetti speciali come ben sapeva Georges Méliès che del cinema fantastico e della voglia di volare è
stato a tutti gli effetti un pioniere.
Nel cinema fantastico i personaggi volano in auto e in velocipede, in bicicletta come in E.T.
l’extraterrestre o e a cavallo di una palla di cannone come accade nel film Il barone di Munchausen.
L’arte della magia: il mondo delle meraviglie
Parole chiave: punto di vista, luce, fuochi d’artificio, scie luminose, vita di oggetti inanimati,
burattini; rivelazione.
A detta di tutti gli esperti, il fantasy è prima di tutto una questione di punti di vista. Il fantastico o il meraviglioso non risiedono soltanto nel mondo o nell’oggetto osservato, derivano piuttosto dallo sguardo che li osserva. Proprio per la sua intrinseca visibilità, il meraviglioso si manifesta nel fantasy prima di tutto sotto forma di luce: stelle, fuochi d’artificio, scie luminose, palle di fuoco, bucano e attraversano lo schermo incessantemente e
così come la stella cometa di tanti anni fa, sono l’epifania, l’annuncio, la rivelazione di una
presenza altra. Sono la manifestazione visibile di una cosa che viene da un altro mondo,
un’esplosione incontenibile di energia. Ma nella sua estetica barocca e strabiliante, il fantasy
tende a strabiliare con altri artifici, altre bizzarrie, srotolando davanti agli occhi degli spetta-
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ARRIVANO I FILM
tori ammaliati uno spettacolo pirotecnico di incredibili stranezze. Tra i numerosi artifici ai
quali il fantasy ricorre per meravigliare lo spettatore, uno dei più diffusi è sicuramente il
tema dell’inanimato che prende vita: arnesi, utensili e giocattoli escono improvvisamente dalla loro inerzia oggettuale e incominciano a muoversi come se fossero vivi (es. gli
oggetti che si rimettono in ordine da soli nel film Mary Poppins) e talvolta non si limitano a
muoversi, ma acquistano addirittura la più specifica qualità degli esseri umani: il linguaggio e
la parola (es. l’albero parlante nel film Il mago di Oz; i giocattoli del film La freccia azzurra o
di Toys). In balia degli oggetti costretti a misurarsi con un mondo che non rispetta più le
leggi e le regole consuete, i personaggi del fantasy finiscono a loro volta per muoversi
come automi o burattini e la meraviglia dello spettatore nasce dal costatare come nei
loro comportamenti non sia più possibile distinguere la realtà dall’immaginazione o come
l’impossibile diventi reale.
L’arte della magia: i sortilegi
Parole chiave: apparizioni, sparizioni, metamorfosi, sortilegi, plurimorfismo, impossibile.
Apparizioni, sparizioni, metamorfosi, trasformazioni, fin dai tempi pionieristici di
Méliès il cinema ha trovato nei sortilegi del fantasy un’occasione privilegiata per esibire se
stesso come circolo della meraviglia e dello stupore. Il sortilegio del fantasy sorprende più
che inquietare, non rientra cioè in quella categoria del fantastico insidioso che si verifica
ogni volta che una comunicazione resta indecifrata e ambigua dall’inizio alla fine. I sortilegi
del fantasy sono evidenti e decifrabili, sono meraviglie del visibile, ma proprio in quanto tali
esercitano sul pubblico un fascino magnetico, ‘un’attrazione fatale’. Desunto spesso dalle
più antiche mitologie, il tema della metamorfosi è uno degli incantesimi più frequenti nei
sortilegi del cinema fantasy. Corpi che mutano forma, dimensione, stato; corpi che si ibridano e si mescolano con altri corpi, corpi che incessantemente perdono e riacquistano la
loro identità. Nel suo dinamico plurimorfismo, il fantasy si configura come un universo
fondato sulla perenne instabilità, cioè come mondo in cui nessuno è mai sicuro della propria forma, perché può, in ogni momento, vedersi mutato in qualcos’altro.
Ma il sortilegio più grande del cinema fantasy consiste nella possibilità di ridisegnare il
mondo con leggi diverse da quelle che lo governano nella realtà, sovvertendo ogni logica,
ogni rapporto, ogni proporzione. Il fulmine, il fuoco, il vento, la pioggia, invece che normali
fenomeni atmosferici diventano così veicoli di magie e di maledizioni e il fantasy si conferma come il luogo in cui, per sortilegio o per incantesimo, anche l’impossibile diventa visibile
e reale.
I FILM DEL CATALOGO PER UN PERCORSO SUL CINEMA FANTASTICO
All’interno del catalogo si trovano alcuni titoli che ben rappresentano la complessità dell’orizzonte contemporaneo. A fronte di un film come Harry Potter e la pietra filosofale che poggia sullo schema classico del fantastico (un bambino orfano, segnato dalla morte dei genito-
PERCORSI
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ri, viene trasportato in un universo di magia, pozioni, bacchette magiche, streghe buone e
mostri malefici per essere educato all’arte di essere un mago e per conquistare il ricordo
di un infanzia che gli è stata negata) abbiamo film che invece testimoniano quanto il cinema
coniughi in mille modi diversi la sua vocazione ad abitare altri mondi. All’interno del cartoon, Aida degli alberi di Guido Manuli resta un esempio isolato: narrando la contrastata
storia d’amore fra Aida e Radames, si tenta di coniugare il fantastico a spunti e temi tratti
dall’opera lirica più famosa del mondo. In direzione opposta va Spy Kids di Robert Rodriguez, che frulla commedia e racconto d’avventura per arrivare a un modello di spy-story
adatto a un pubblico giovanile.
E.T l’extraterrestre di Steven Spielberg è invece favola fantascientifica e apologo morale sul
valore del diverso: un bambino di dieci anni, Elliott, attraverso l’incontro con un extraterrestre scopre il valore della solidarietà e la possibilità di crescere. Nella prospettiva spielberghiana l’antagonista è rappresentato dal mondo adulto, vera e propria minaccia alla purezza
dello sguardo infantile. La stessa dialettica bambini/adulti la si può rintracciare in Momo, il
cartone animato di Enzo d’Alò, dove la tranquillità di un villaggio è minacciata dagli avidi
“uomini grigi”, veri e propri predoni del tempo: in questo film però la favola tende a
costruire un vero e proprio universo mitico, con i suoi piccoli e buffi semidei.
I cartoni animati L’era glaciale e Shrek sono accomunati dal fatto di eliminare completamente dal loro orizzonte di senso l’essere umano. Se è vero che ne L’era glaciale un gruppetto
di animali preistorici (una tigre, un mammuth e un bradipo) deve riportare alla sua tribù
una bambina è anche vero che in questo film gli uomini non hanno il dono della parola e
sono confinati ai margini del racconto. In Shrek di Andrew Adamson e Vicky Jenson, il
discorso si fa ancora più radicale: in un mondo popolato dalle creature delle fiabe e delle
favole, l’unico essere davvero malvagio è un principe tirannico e pavido.
A conclusione di questo itinerario però, è Monster & Co. di Pete Docter (prodotto dalla
Pixar della Disney) ad arrivare alle estreme conseguenze: in questo cartone animato delizioso, è la bambina Boo a seminare il panico all’interno della città di Monstropolis, spaventando a morte i mostri Sully e Mike. In una società di diversi, in cui non c’è un essere uguale a un altro, si avvera l’ultimo paradosso: siamo noi l’unico, vero spavento di un mondo
incantato.
Per chi volesse ulteriormente approfondire l’argomento attraverso la visione di altri film
del filone fantastico, si ricorda che sono ancora in distribuzione i seguenti film, inseriti nei
cataloghi “Arrivano i film” degli anni precedenti:
Favole – Rainbow – La chiave magica – Il segreto dell’isola di Roan – La farfalla fatata – Oltre
l’arcobaleno – La principessa Chiara – La spada magica – La Freccia Azzurra – Kirikù e la strega
Karabà – Principi e Principesse – Anastasia – Alì Babà – Alì Babà e i pirati – Toys Story 2 – James
e la pesca gigante – Il cavaliere inesistente – La gabbanella e il gatto.
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ARRIVANO I FILM
BIBLIOGRAFIA
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Elementi di teoria letteraria di F. Brioschi e C. Di Girolamo
Il punto sulla letteratura fantastica a cura di S.Albertazzi
Il Fantastico di R. Ceserani
Generi cinematografici americani di S. M. Kaminsky
Il cinema fantasy di C.Asciuti
Teoria del fantastico di N. Bonifazi
La letteratura fantastica di T.Todorov
Il mondo incantato di B. Bettelheim
Morfologia della fiaba di W.J. Propp
Le Cinéma fantastique di R. Predal
Le Cinéma fantastique et ses Mytologies di G. Lenne
Guida al cinema horror di D.Arona
La fiaba elettronica a cura di E. Ghirlanda
Dalla fiaba alla fantascienza di R. Caillois
Fantafestival. Catalogo della Mostra Internazionale del Film di Fantascienza e del
Fantastico AA.VV.
– Il racconto fantastico di G. Cremonini (Cineforum N° 309)
PERCORSI
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SCHEDE DEI FILM
AIDA DEGLI ALBERI
di Guido Manuli
E.T. L’EXTRATERRESTRE
di Steven Spielberg
HARRY POTTER
E LA PIETRA FILOSOFALE
di Chris Columbus
HIJOS-FIGLI
di Marco Bechis
IL FAVOLOSO MONDO DI AMÉLIE
di Jean Pierre Jeunet
I NOSTRI ANNI
di Daniele Gaglianone
JIMMY GRIMBLE
di John Hay
LE BICICLETTE DI PECHINO
di Xiaoshuai Wang
L’ERA GLACIALE
di Chris Wedge
MOMO ALLA CONQUISTA
DEL TEMPO
di Enzo D’Alò
MONSTER & CO
di Pete Docter
NO MANS’S LAND
TERRA DI NESSUNO
di Danis Tanovic
NON È GIUSTO
di A. De Lillo
RIBELLI PER CASO
di Vincenzo Terracciano
SHREK
di Andrew Adamson
SPY KIDS
di Robert Rodriguez
TORNANDO A CASA
di Vincenzo Marra
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ARRIVANO I FILM
PERCORSO
• Il fantastico
AIDA
DEGLI ALBERI
:
LIATA
ONSIG
ETÀ CANNI
6
I
DA
Aida degli alberi
Italia, 2001
di Guido Manuli
Produzione: Medusa Film/Aida Ltd.,
in collaborazione con Tele+
Produttore Esecutivo: Maria Fares
Sceneggiatura: Guido Manuli, Umberto Marino
Scenografia: Victor Toglian
Musica: Ennio Morricone
Voci: Roberta Laurenti (Aida), Simone D’Andrea
(Radames), Massimo Lopez (Ramfis),Vittorio Bestoso
(Satam), Olivia Manescalchi (Amneris), Ciro Imparato
(Diaspron, re di Petra), Enzo Iacchetti (Kak),
Gianni Gaude (Amonasro, re di Arborea),
Michele Di Mauro (Moud), Elda Olivieri (Goa),
Giorgio Melazzi (Raz), Mario Scarabelli (Kanak),
Gino Lana (Uzi), Riccardo Peroni (sarto),
Massimo Bitossi, Ivo De Palma, Gigi Scrivani,
Aldo Stella (soldati)
Durata: 75 min.
Distribuzione: Medusa
AIDA DEGLI ALBERI
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A CURA DI DAVIDE DI GIORGIO
SINOPSI
È in corso una guerra fra Petra, avanzata città di guerrieri e conquistatori e la mite Arborea, capitale di una civiltà che vive in simbiosi con la natura, nutrendosi dei frutti della
madre terra. Il sovrano di Petra, Diaspron, vorrebbe però inaugurare un periodo di distensione fra le avverse fazioni, ma la scelta non piace al gran sacerdote Ramfis custode della
verità tramandata dal bellicoso dio Satam e vero fomentatore del conflitto. Perciò il sacerdote ha in animo di far sposare il proprio inetto e goloso figlio Kak alla giovane principessa
Amnèris, in modo da assicurarsi il futuro controllo di Petra con conseguente prosecuzione
della guerra. Purtroppo per lui Amnèris è invece interessata all’aitante Radames, figlio del
valoroso generale Moud, comandante delle milizie cittadine, che ha in Kak un buon amico.
Inezie che certo non fermano il sacerdote: così, grazie ai poteri conferitigli dallo stesso
Satam, Ramfis riesce a infiltrarsi nei sogni del re e a fargli credere che Amneris sia minacciata da un mostro che vive nella foresta controllata dagli arboriani. Pertanto viene subito
approntata una spedizione di caccia volta alla distruzione della creatura e, sempre grazie
all’intercessione di Ramfis, interprete della volontà divina, il comando della stessa viene affidato proprio a Radames. Il sacerdote comunque è della partita poiché intende assicurarsi
che il giovane condottiero faccia una brutta fine: così lo lascia avventurarsi nelle foresta da
solo, fiducioso che gli arboriani non lo lasceranno tornare indietro, dopodiché torna a
Petra con la truppa, non prima di aver comperato un mostro simile a quello sognato dal re,
da esibire come trofeo di caccia.
Radames però riesce a salvarsi dai nemici arboriani e durante la vana ricerca del mostro
conosce Aida, un’arboriana che si ritrova a lui legata dagli eventi. La ragazza lo segue fino a
Petra, dove Radames chiede per lei la grazia: sedotto ancora una volta da Ramfis, il re le
concede unicamente di servire sua figlia Amnèris mentre viene deciso un attacco massiccio
contro gli arboriani, sempre guidato da Radames. Fra il giovane condottiero e Aida comunque è sbocciato un sentimento e così la ragazza attende con ansia il ritorno dell’amato, che
avviene trionfale con un ricco stuolo di prigionieri: fra essi vi è anche il padre di Aida, nonché – all’insaputa di tutti – sovrano di Arborea. Con grande diplomazia Radames ottiene
dal re la grazia per i prigionieri, che verrà comunque concessa loro nel giorno delle nozze
fra il guerriero e Amnèris. Per Ramfis sembra dunque arrivata la sconfitta, ma al contempo
nemmeno Radames è felice di sottostare a un matrimonio non desiderato che comporta
anche la rinuncia di Aida. Ramfis sfrutta così la situazione a suo vantaggio e, quando Radames e Aida decidono di fuggire insieme ai prigionieri, ha l’occasione per accusarlo di tradimento, oltreché di oltraggio alla ripudiata sposa Amneris. A corollario del tragico volgere
degli eventi viene anche scoperta la natura del sovrano di Arborea, il quale, riuscito a fuggire, ora certamente tornerà in forze, aumentando le colpe di Radames.
Il re, convinto delle colpe del suo pupillo, decide pertanto di concedere Amneris a Kak,
mentre l’esercito viene schierato per affrontare la battaglia definitiva. Alla fine, comunque,
Aida, Radames e lo stesso Kak, dopo aver scoperto le losche trame di Ramfis, coalizzano le
loro forze per sconfiggere il sacerdote e il crudele dio Satam. L’amore fra i due giovani
sgretola la potenza dell’odio, condannando l’immonda divinità alla sconfitta e consegnando i
due popoli di Arborea e Petra alla pace duratura. Ramfis invece si converte al bene abbandonando le sue mire di dominio.
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ARRIVANO I FILM
ANALISI DELLA STRUTTURA
Aida degli alberi è un film-scommessa che nasce dalle matite dello studio torinese Lanterna
Magica, già noto al pubblico per i lungometraggi di Enzo D’Alò (La freccia azzurra, La gabbianella e il gatto e il più recente Momo alla conquista del tempo). Rispetto a questi lavori, però,
il film dimostra immediatamente una natura più ambiziosa, che trova attuazione in una storia di ampio respiro, con una certa modulazione di toni narrativi e, soprattutto, ambientazioni da kolossal americano d’epoca. L’aspetto visivo rappresenta, infatti, il punto più interessante e connotativo dell’opera, che in questo campo riesce a coniugare le influenze più
disparate secondo una logica della mescolanza di elementi di grande impatto. La regia di
Guido Manuli, cresciuto alla corte di Bruno Bozzetto, è il primo elemento degno di nota,
poiché certamente al cartoonist va attribuita la responsabilità per il raffinato design dei
personaggi, che alla morbidezza del tratto tondeggiante e “simpatico” tipico della scuolaBozzetto, unisce una tendenza all’antropomorfismo tipicamente disneyano, pure rivisitato,
però, in un’ottica fantasiosa e innovativa. Il “bestiario” di Aida degli alberi, infatti, è realmente
interessante e inventivo, e comprende creature miste come, fra gli altri, uomini-leone
(Radames), uomini-cobra (i soldati di Petra) e topi-scimmia (le cavalcature degli arboriani),
e dona a tutti i protagonisti una sinuosità simile a quella dei rettili. Il mélange di queste
influenze eterogenee produce così qualcosa di totalmente diverso dal modello “americaneggiante”, che possiede una originalità specifica, in grado di conferire al film un look accattivante.
Parimenti l’uso dei colori è degno di nota, grazie ad una tavolozza ricca e ad un uso propedeutico alle dicotomie che tutta la storia mette in scena: il classico scontro Bene/Male
trova infatti raffigurazione immediata nelle contrapposizioni fra l’urbana Petra e la boschiva
arborea, fra la tecnologia della prima e la magia della seconda. Per questo Petra vede dominare colori scuri (il nero, con qualche sfumatura bluastra) o generalmente neutri, che uniti
alla tendenza al gigantismo e all’uso sfrenato della Computer Grafica determina un look
oppressivo e l’idea di una società verticistica.
Viceversa ad Arborea dominano i colori
vivi della natura e grazie alle tinte pastose
valorizzate dalla bella fotografia, l’insieme
assume una caratteristica magica e quasi
onirica, che connota la terra di Aida come
un posto affascinante e all’insegna del
“sense of wonder” più fiabesco.
Parimenti interessante è la raffigurazione
delle scene di battaglia fra Petra e Arborea che, mediate dalla visione onirica di
Aida, si traducono in una visualizzazione
quasi ‘espressionista’, con impasti di luce
e sovrapposizione di disegni che, da un
lato restituiscono bene la foga crudele
della battaglia, e dall’altro ne elidono l’esibizione di violenza.
La regia, da par suo, sottolinea proprio
AIDA DEGLI ALBERI
25
questa contrapposizione di base: Petra è
scandagliata mediante carrellate virtuali
che definiscono lo spazio soprattutto
lungo il piano architettonico verticale;
viene così sottolineata la maestosità dei
palazzi e i personaggi sono schiacciati sul
fondo dell’inquadratura. L’uso della Computer Grafica, che esibisce se stessa
secondo un’ambigua “manifestazione di
potenza” inaugurata dalla Disney, finisce
anche per soffocare l’immagine disegnata
opprimendo ancor più lo spettatore, che
viene atterrito in maniera diretta da
Petra, e ha una percezione della città
come di un luogo “gotico”, simile a un
film horror d’annata.
Dal canto suo Arborea, escludendo alcune carrellate ottiche finali, è indagata
soprattutto nel particolare, senza restituire più di tanto la natura d’insieme di un regno
che, comunque, non possiede una propria struttura forte come Petra, dal momento che
cerca di integrarsi al bosco senza produrre danno alla natura, secondo una logica simbiotica e non parassitaria. Petra diviene così l’alfiere di un’espansionismo aggressivo, a fronte di
un’Arborea primordiale (e non a caso gli abitanti sono definiti “selvaggi”), ma più sanamente naturista: sono le due facce di un possibile rapporto dell’uomo con il proprio mondo, in
posizione di supremazia l’uno, di parità e reciproco rispetto l’altro.
Da tutto questo si può evincere come Manuli e lo staff della Lanterna, pur partendo da una
scansione dei ruoli e da una messa in scena ipertrofica, di matrice americana, riescono a
possedere uno stile personale, che si ritrova in pieno anche in alcuni momenti clou, primi
fra tutti quelli dei siparietti cantati. Se, infatti, la Disney pone in essere questi momenti
attraverso una messa in scena dinamica e altamente coreografica, con molti elementi in
campo e una durata sempre considerevole, in Aida queste parti – sempre molto brevi –
appaiono stilizzate e pudiche, e si divertono principalmente a proporre giochi di luce (le
rifrazioni dell’acqua quando Aida saluta il padre fuggiasco) o di luce (l’opulento tramonto
che incornicia la partenza di Radames per la battaglia). Ancora una volta, cioè, si persegue
un’ideale fiabesco e meraviglioso: fa eccezione parziale il più tradizionale numero che vede
protagonista Kak insieme ad alcuni topi (che fungono da coro), dove il goffo figlio di Ramfis
esalta la propria golosità, che fa rima con semplicità d’animo.
Manuli così opta per una specificità del suo prodotto, un’italianità che si dimostra doppiamente atipica anche per la forte localizzazione dei talenti impiegati (la Lanterna Magica
infatti è torinese, così come quasi tutti i doppiatori utilizzati), ma che non rinuncia all’ispirato commento musicale di un riconosciuto talento internazionale come Ennio Morricone.
Come un arboriano, insomma, Manuli cerca la simbiosi con gli elementi più vicini, ma senza
disperdere una visione d’insieme più ampia, che lo fa guardare lontano.
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ARRIVANO I FILM
ELEMENTI
PER LA DISCUSSIONE
Femminismo dell’opera
Il taglio che potremmo definire “femminista” di Aida degli alberi è abbastanza evidente, non
solo per la centralità conferita sin dal titolo alla protagonista, ma anche e soprattutto per la
scarsa considerazione che viene data ai personaggi maschili.
Ramfis infatti è un palese cattivo, ma, complice anche il doppiaggio istrionico e un po’ macchiettistico di Massimo Lopez, non riesce a non produrre una blanda simpatia nello spettatore. Questi, infatti, seppure infastidito dalla sua meschinità, lo trova quasi divertente quando cerca di convincersi che l’inetto figlio Kak possa prendere il posto del sovrano per permettergli di governare Petra e proseguire la guerra. È insomma un personaggio negativo,
ma al contempo “quasi-cattivo” e ricorda un po’ il Giovanni Senzaterra del disneyano Robin
Hood, che alla gran cattiveria nel regnare abbinava un lato quasi infantile. Questa ironia di
fondo, propedeutica a scardinare l’impatto altrimenti forte che il personaggio del cattivo
potrebbe avere sul pubblico giovane, è utile anche a tratteggiare l’idea di un cattivo per
nulla all’altezza del suo compito: nessuna grandiosità del Male, insomma, per un personaggio, che, non va dimenticato, è in fondo un servo del vero malvagio, il dio Satam, l’unico
destinato alla disfatta finale.
Il sovrano di Petra, invece, è un tipo apparentemente deciso e largo di vedute (vuole infatti
pianificare una pace duratura con Arborea), ma di fatto è schiavo del suo sacerdote e dei
dettami del dio Satam. Il suo potere è circostanziato e sottoposto a influenze esterne che
ne limitano la grandiosità di comandante.
Senza soffermarci su Kak, elemento comico e palesemente di scarsa personalità, la nostra
carrellata si conclude infine con Radames, che però rappresenta anch’egli quanto di più
lontano ci sia dall’eroe classico: non perché non possegga coraggio e spirito guerriero
(figlio del comandante Moud, si rivela un eccellente condottiero), ma in fondo si tratta
ancora una volta di una figura vittima degli eventi e delle macchinazioni di Ramfis, che lo
spingono due volte ad allontanarsi da Petra per combattere un nemico che certamente
non odia e/o conosce (il falso mostro prima, gli arboriani di cui chiede la grazia poi). Quando poi il re ne decreta la condanna a morte, suo padre fa appello alla sua verde età per
chiederne la grazia, focalizzando così un elemento importante: l’impetuosità giovanile del
guerriero che di fatto ne limita la portata eroica, amplificandone invece la “normalità”.
Certamente più forte di tutti è il personaggio di Aida, che salva la vita a Radames, sa opporsi a lui con forza (durante il loro primo incontro/scontro lo ferisce con le sue unghie), se
ne innamora e lo aiuta a liberarsi dalla condanna a morte agendo nell’ombra e combattendo infine contro gli stessi Ramfis e Satam. Un modello di eroina che, pur non rinunciando
mai alla propria femminilità, sa anche lottare per i suoi ideali e che perciò costituisce un
personaggio credibile, coerente e moderno. Difficile trovare paralleli immediati con le eroine disneyane, la cui ridefinizione è tuttora in corso: potremmo definirla una sintesi fra
Pocahontas (di cui riprende la prestanza fisica o quantomeno il look “selvaggio”) e la dolce
Belle che fronteggia la Bestia.
Odio fra le razze
L’argomento dell’odio razziale è quanto mai attuale (purtroppo), in virtù soprattutto di una
imperante globalizzazione che di fatto va applicandosi in modo sempre più parziale all’eco-
AIDA DEGLI ALBERI
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nomia del mondo. Sebbene la lettura “politica” possa risultare forzosa, è allettante vedere
in Petra l’alfiere di un progresso rampante che vede in chi pratica soluzioni alternative un
essere inferiore da inglobare e dominare. La diversità, sacrosanta e giusta, diviene così l’arma e il pretesto per il razzismo.
Il film, in fondo, si propone come un vero e proprio discorso sul potere: Ramfis e Satam
(che giudica molto brutta la parola “pace”) utilizzano infatti la magia nera per inibire le
coscienze e perpetrare uno stato di non coesistenza fra i popoli, a vantaggio del loro potere temporale. Il rispetto reciproco e la capacità di costruire insieme, quindi, sono nocive a
quel terrore e a quell’ignoranza nella quale trova terreno fertile l’egoismo razzista. La storia d’amore fra Aida e Radames, dunque, si pone come potente segnale d’allarme per le
coscienze e come esempio di come la comunanza fra culture di diversa matrice possa rappresentare un arricchimento per entrambe. Non a caso, quando Aida salva Radames dall’annegamento, gli dà da mangiare delle erbe mediche che il guerriero pensa disgustose
come le medicine di Petra e che invece si rivelano gustose. L’istinto dettato dall’ignoranza
(intesa proprio nel suo significato letterale di “non conoscenza”) lo porta a compiere delle
associazioni mentali elementari che la conoscenza può facilmente sgretolare mostrandone
il pressappochismo.
Così la storia, fortemente decontestualizzata, pur partendo dall’Aida di Verdi, rende merito
ad un messaggio universale di speranza e pace. Interessante anche il fatto che alfieri di questa cultura non violenta siano i personaggi più giovani, come per l’appunto Aida, Radames,
ma anche il buffo Kak: questi, infatti, del tutto alieno dalla cupidigia del padre, si pone istintivamente come amico di Radames, dimostrando come a volte la semplicità d’animo guidi
istintivamente verso la scelta più giusta. Amnèris, invece, offusca un po’ questo quadro, ma
la sua mente è ottenebrata dal desiderio verso Radames, che solletica il suo egoismo. La
speranza e la forza utopica del testo è comunque chiara e guarda alle nuove generazioni
come alle sole capaci di dare la giusta sterzata alla società evitando di ripetere gli errori
degli adulti.
L’Aida di Verdi
Il film di Guido Manuli rappresenta una parafrasi dell’Aida, la celebre opera lirica di Giuseppe Verdi. Questa fu commissionata al compositore italiano (vissuto fra il 1813 e il 1901) dal
Kedivé d’Egitto in occasione dell’inaugurazione del canale di Suez. La storia nasceva da uno
spunto storico fornito dall’egittologo Mariette, completato e tradotto da Antonio Ghislanzoni. Il libretto dell’opera (divisa in quattro atti comprendenti in tutto un preludio e 18
pezzi) fu invece abbozzato da Camille du Locle. La prima si tenne al Cairo nel 1871, con un
anno di ritardo rispetto all’inaugurazione del canale, mentre in Italia giunse nel 1872, al teatro milanese della Scala.
Gli autori di Aida degli alberi hanno rispettato sostanzialmente la vicenda narrata nell’opera
lirica, pur con le opportune compressioni narrative, evidenti soprattutto nella seconda
parte. I nomi dei personaggi, poi, sono quelli originali, anche se cambia ovviamente il contesto: nell’opera la guerra coinvolge etiopi e egiziani; il cambiamento più sostanziale comunque riguarda il finale (nell’originale Aida e Radames non riescono a coronare il loro sogno
d’amore e decidono di morire insieme).
28
ARRIVANO I FILM
L’opera di Verdi comprende passaggi molto famosi, come la romanza “Ritorna vincitore” del
primo atto e, prima di dare vita alla “sua” Aida, Manuli si era chiesto se riproporre, con
opportuni cambiamenti e rielaborazioni, le musiche originali verdiane. L’ingresso di Ennio
Morricone nel progetto – molto stimolato, a suo dire, dalla sfida rappresentata dalla composizione di musiche per un cartone animato – ha però portato a una partitura musicale
che, senza cercare di tradire l’impianto epico dell’originale, ha preferito conferire al tutto
un’impronta autonoma.
A tal proposito Manuli ha affermato: «Aida è prima di tutto la magia scenica dell’opera, la
forza della musica, la sua suggestione visiva, la sua atmosfera, il gusto della finzione. È stato
molto facile capire che la chiave giusta per il nostro film poteva essere quella di un “fantasy”. Morricone si è incuriosito, si è appassionato al progetto e ci ha regalato temi musicali
epici e struggenti, che esaltano la storia di Aida e Radames e l’esasperato colorismo delle
ambientazioni. Il mondo di Arborea è diventato così uno spazio incantato, un universo in
cui felicemente si smarrisce il protagonista».
Sulla stessa linea il commento di Morricone: «Era una grande sfida. Ho cercato di proporne
lo spirito trionfale, scrivendo una musica originale adeguata al film, senza mai tentare di
riarrangiare gli spartiti di Verdi. Ho solo inserito un piccolissimo omaggio, un attimo dell’Aida originale, durante la sequenza dell’incubo disegnato da Manfredo Manfredi, verso la fine
del brano propongo il tema di “Numi pietà del mio soffrir”, ma non credo che se ne accorgeranno in molti».
IDEE
– Il progresso e il rispetto della natura possono coesistere?
– Le moderne società multietniche pongono rilevanza al problema del razzismo
– L’aspetto linguistico del film: la mescolanza fra diversi tipi di animazione (disegno tradizionale e uso della computer grafica)
– I personaggi femminili nel cinema d’animazione (alcuni esempi Jasmine in Aladdin, San in
Princess Mononoke, Chelo in La strada per El Dorado)
– La crisi della figura dell’eroe nel cinema d’animazione moderno (alcuni esempi Aladdin,
Kuzco in Le follie dell’Imperatore, il gallo Rocky in Galline in fuga)
– La figura di Giuseppe Verdi
AIDA DEGLI ALBERI
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E.T.
PERCORSO
• Il fantastico
L’EXTRATERRESTRE
:
LIATA
ONSIG
ETÀ CI 8 ANNI
L
G
DA
E.T. – The extra terrestrial
Stati Uniti, 1982
di Steven Spielberg
30
ARRIVANO I FILM
Produzione: Steven Spielberg, Kathleen Kennedy
per Universal
Soggetto e Sceneggiatura: Melissa Mathison
Fotografia: Allen Daviau
Musica: John Williams
Montaggio: Carol Littleton
Scenografia: James D. Bissell
Costumi: Deborah Scott
Effetti Speciali: Carlo Rambaldi
(disegno e meccanica E.T.), Dennis Muren,
Steve Townsend
Interpreti: Henry Thomas (Elliott),
Dee Wallace Stone (Mary), Peter Coyote (Keys),
Robert MacNaughton (Michael),
Drew Barrymore (Gertie)
Durata: 115 min.
Distribuzione: U.I.P
A CURA DI PATRIZIA CANOVA E DAVIDE DI GIORGIO
SINOPSI
Un’astronave aliena atterra in un bosco della California per compiere dei rilevamenti: l’arrivo sul luogo di alcuni scienziati terrestri, però, sconvolge i piani degli osservatori galattici e
li costringe a ripartire immediatamente. A terra, isolato, resta un membro dell’equipaggio
che, per sfuggire agli umani, comincia a vagare nella foresta, finchè non incontra il piccolo
Elliott. Il ragazzino lo accoglie come un nuovo fratello, gli dà il nome di E.T. (acronimo di
Extra Terrestre), lo accudisce e lo nasconde dalla madre, rivelando la sua presenza solo ai
fratelli Gertie e Michael.Velocemente l’alieno si ambienta nella nuova casa, fa amicizia con i
tre ragazzi, e li stupisce con i suoi poteri telecinetici e con la capacità di guarire gli altri
organismi: ad esempio aiuta una pianta ormai rinsecchita a rinvigorirsi e cura, con il solo
tocco di una delle sue luminose dita, le piccole ferite che occasionalmente Elliott si procura. Complice la televisione, poi, E.T. impara anche alcune parole “umane” e, grazie alle sue
conoscenze scientifiche, sfrutta la rudimentale tecnologia terrestre per costruire una specie di “telefono spaziale” con cui comunicare la posizione agli abitanti del suo lontano
mondo perché vengano a riprenderlo. Anche i tre fratelli decidono di aiutarlo nella sua
impresa, e per fargli installare l’apparecchio nel bosco dove l’astronave verrà a prenderlo, lo
fanno uscire di casa durante la parata di Halloween, confondendolo tra le altre maschere.
Il piano sembra funzionare, anche se Elliott, che ha stabilito con l’alieno un contatto quasi
simbiotico, è infelice all’idea di lasciarlo ripartire e spera di poterlo tenere con sé.
Ma la realtà è piena di insidie: fin dal suo arrivo sulla Terra, infatti, E.T. è stato costantemente ricercato dagli stessi scienziati che avevano fatto fuggire l’astronave. Questi, guidati dal
dr. Keys, individuano infine il nascondiglio dell’alieno e decidono di recuperarlo per sottoporlo a una serie di esperimenti. Il “sequestro” avviene mentre la creatura è ormai debolissima e rischia di morire; contemporaneamente anche Elliott, ormai unito al “suo” E.T. da un
legame profondissimo, si è ammalato. Ma quando E.T. muore, lasciandolo solo, l’amore del
bambino compie il miracolo: l’amico spaziale rinasce e subito viene fatto evadere con l’aiuto di tutti i ragazzi della città. E.T. viene così portato nel bosco, seminando anche gli scienziati e i poliziotti. Nel momento dell’addio con i ragazzi ci sono anche Mary e Keys, i quali
osservano il commovente saluto di Elliott all’uomo dello spazio, che alla fine riparte verso
il suo pianeta.
E.T. – L’EXTRATERRESTRE
31
ANALISI DELLA STRUTTURA
Visto dalla parte di Elliott, alter ego dello spettatore e, perché no, anche del regista, E.T.
rappresenta anzitutto una parabola sul bisogno di comunicazione universale che finisce per
unire due creature lontane, nel segno di un’amicizia talmente pura da trascendere i limiti
della natura. Il legame che si instaura fra i due, infatti, è qualcosa che supera la semplice
amicizia e diviene un’empatia psico-fisica che unisce i personaggi in un solo essere e li
rende capaci di provare le stesse sensazioni ed emozioni, nonché di soffrire degli stessi
problemi di salute. D’altronde E.T. viene subito presentato come una figura eccezionale, le
cui capacità vanno al di là di qualsiasi immaginazione: è in grado di sollevare gli oggetti con
la forza del pensiero, di guarire le ferite di umani (quindi animali) e vegetali, la sua capacità
di apprendimento è notevole e, infine, risorge dalla morte grazie alla forza infusagli dall’amore di Elliott. È insomma una specie di “superuomo spaziale”, ma allo stesso tempo finisce per incarnare a meraviglia il ruolo fiabesco di compagno ideale che un bambino calato
in una situazione difficile come Elliott non può non desiderare.
Il piccolo protagonista, infatti, è tutt’altro che fortunato: i due fratelli sono comunque posti
su un piano percettivo diverso dal suo (troppo grande Michael, troppo piccola Gertie), il
padre è completamente assente e la madre lavora per mantenere la famiglia ed è spesso
fuori casa. Per contro la sua camera si presenta ricolma di doni, sintomo evidente della
volontà materna di colmare il vuoto lasciato dalla sua scarsa presenza in casa, delegando le
proprie manifestazioni affettive al giocattolo. Anche la cittadina in cui si svolge la storia è
tutt’altro che un posto idilliaco, poiché si tratta di un piccolo centro della periferia californiana, tipico ricettacolo di certo malessere raccontato da molto cinema dell’epoca.
Lo stesso Spielberg, non ignora tutto questo, se è vero che in quegli anni, contemporaneamente ad E.T., era artefice (come soggettista e produttore) del progetto Poltergeist, horror
ambientato in un paesino identico a quello dove vive Elliott.
È dunque a causa di questa solitudine, che E.T. diventa l’amico del cuore di Elliott: gli adulti
sono tenuti all’oscuro della sua presenza, non a caso Elliott dice a Gertie che i “grandi” non
possono vederlo; parimenti E.T. riesce a
destreggiarsi nel difficile ruolo dello
scienziato galattico, che però non disdegna la compagnia dei più piccoli e dimostra delle attitudini infantili nel modo un
po’ goffo col quale si pone verso il nostro
mondo. Lo vediamo infatti ubriacarsi, sottoporsi di buon grado agli “esperimenti”
di Gertie, che lo trucca come fosse un’enorme bambola, mangiare le caramelle
offertegli da Elliott e via dicendo. La sua
stessa capacità meravigliosa di manipolare
la materia diventa così un dono spirituale
che, come la Forza di Guerre stellari (1977,
di George Lucas), lo rende non un essere
superiore da temere o riverire, quanto un
compagno speciale, un piccolo genio della
32
ARRIVANO I FILM
lampada accorso in aiuto di un bambino solo come Elliott. Un tema, questo, più di recente
ripreso dal film Bogus, l’amico immaginario e che qui si connota di fantascienza, in omaggio al
periodo delle esplorazioni spaziali che tanto hanno dato, in termini di creazione di immaginario, a molte giovani generazioni americane (quella di Spielberg in primis).
Così, soltanto quando il pericolo esterno rappresentato dagli adulti (gli scienziati cattivi)
minaccia irreparabilmente il futuro di E.T., i tre ragazzi decidono di rivelarne la presenza
alla madre, che però, spaventata, lo rifiuta istintivamente. E i ragazzi dovranno “fare da soli”
contando sulle loro forze per portare a termine l’evasione del loro amico galattico. Alla
fine, dunque, Elliott non è meno bambino, ma certo è più maturo, perché ha imparato a
contare sulle sue forze e a difendere i suoi valori e affetti contro il mondo dei “grandi”, qui
dipinto come oppressivo e totalmente fuori sintonia rispetto a quello dei giovani.
In questo senso è interessante notare che il film pone in essere una vera e propria dicotomia fra un mondo adulto ossessionato dalla logica scientifica (gli scienziati che studiano l’alieno ed esultano alla scoperta del suo DNA) e quello dei bambini, più propriamente fantastico, privo cioè dei preconcetti legati a una esasperata razionalità e perciò sbilanciato
verso una dimensione universale degli affetti. Inquadrando poi il film dal punto di vista di
E.T., nuovi spunti si offrono all’occhio dello spettatore. Se, infatti, nel 1982 Spielberg era
consegnato un po’ ingiustamente dalla critica al ruolo dell’artigiano di alta levatura, artefice
di un cinema popolare, buonista e pregno di effetti speciali, il tempo ha dimostrato la sua
caratura autoriale e oggi, alla luce soprattutto di un progetto come Schindler’s List, non è
azzardato tentare una lettura più complessa della favola spaziale realizzata vent’anni fa. Si
può infatti considerare E.T. come una parabola sul diverso che riflette proprio il dramma
degli ebrei: in tal senso, vedendo gli scienziati terrestri come i nazisti, l’alieno potrebbe
essere la metafora di un rifugiato semita che tenta di sfuggire alla deportazione e alla raziocinante aggressività di un’altra razza che si ritiene superiore.
Ovviamente, nulla nel film connota in maniera talmente specifica il ruolo dell’alieno, che,
dunque, può anche considerarsi come ambasciatore di tutte le minoranze oppresse, e alfiere di una comunione di vita fra le creature di ogni tempo e luogo. Come sempre nel cinema di Spielberg, anche questo film risulta un grande affresco sulla forza della vita: come un
messia spaziale (e infatti gli accenni cristologici sono davvero potenti, con tanto di scansione fra vita, passione, resurrezione e ascesa al cielo), E.T. diviene il crocevia vivente fra le
forme di vita più variegate, sia animale che vegetale, sia terrestre che extraterrestre. Le
tappe della sua esistenza, in effetti, sono contrassegnate delicatamente dal vigore o dalla
debolezza di una pianta (grazie alla quale, per esempio, Elliott si accorge della sua resurrezione); sempre grazie a lui, durante l’ora scolastica di scienze, Elliott libera le rane destinate
alla vivisezione; infine, il già citato legame che l’alieno viene naturalmente ad instaurare coi
bambini, notoriamente più sensibili degli adulti (perché meno corrotti dai legami materiali),
lo connotano come una creatura totalmente addentro a un flusso vitale che da lui si dipana
attraverso tutte le creature in nome dell’amore universale.
Ugualmente è molto interessante l’uso che Spielberg fa degli artifici linguistici per comunicare il suo “messaggio”. Innanzitutto, diversamente da molti altri suoi film, la fotografia
rinuncia a una certa solarità (pensiamo a Hook o al più recente A.I., ma anche a Lo squalo) in
favore di un’ombreggiatura quasi costante, che ridisegna espressionisticamente gli ambienti
E.T. – L’EXTRATERRESTRE
33
in cui l’azione si svolge, dal bosco, alla casa di Elliott ai mostruosi “antri della scienza” dove
l’alieno viene studiato. In pratica viene ribadito già a livello visivo come a reggere tutto l’impianto narrativo sia una volontà emozionale, che di fatto “colora” gli ambienti puntando
dritto al cuore dello spettatore. In questo modo si ribadisce anche l’aspetto allegorico e
fiabesco di una storia che, nel porsi come grande racconto in favore della vita e contro
ogni forma di emarginazione, si offre anche come grande indagine sulla solitudine purtroppo spesso legata al mondo infantile.
Va inoltre rilevato come Spielberg inserisca in E.T. alcune citazioni del cinema fantastico,
che rimarcano la sua volontà di inserire il film in un più vasto contesto legato all’immaginario cinefilo universale: nella stessa maniera in cui l’extraterrestre si pone come crocevia di
ogni forma di vita, così il film manifesta l’intenzione di essere il crocevia dell’immaginario
cinematografico fantastico caro al pubblico. In questa direzione vanno anzitutto i quasi
doverosi omaggi all’amico Lucas e alla sua saga di Guerre stellari (all’epoca erano usciti solo i
primi due episodi), rintracciabili sia nei pupazzi di Elliott (fra i quali ci sono Boba Fett e
Lando Calrissian) che nella maschera di Yoda, presente fra i partecipanti alla parata di Halloween, alla quale E.T. istintivamente si avvicina mormorando “casa”, quasi riconosca il Maestro Jedi. Molto scherzosamente ne La minaccia fantasma Lucas ha più di recente “risposto”
all’amico Spieberg inserendo E.T. fra i membri del Senato di Coruscant, la capitale della
Repubblica ove si svolgono le avventure di Guerre Stellari, a ribadire che Luke Skywalker e il
piccolo alieno rugoso appartengono alla stessa realtà.
Comunque Spielberg, da buon cinefilo, non si risparmia anche qualche piccola autocitazione, come quando Elliott mostra a E.T. i suoi pesci rossi e mima l’attacco di uno squalo ai
loro danni, richiamo palese al precedente Jaws (1975), in Italia, per l’appunto, Lo squalo.
Inoltre non va dimenticato come E.T. possa costituire una sorta di sequel/chiosa al precedente Incontri ravvicinati del terzo tipo, realizzato dal regista nel 1977 e poi rilanciato nel
1981, con alcune scene inedite (parte del cast tecnico è lo stesso per tutti e due i film). Ma
c’è spazio anche per il carpenteriano Halloween (1978, nelle soggettive dell’alieno mascherato durante la parata), per Miracolo a Milano di De Sica (1951, per le biciclette che volano),
via via fino al passaggio televisivo del classico Cittadino dello spazio di Jack Arnold (1956),
caposaldo fantascientifico dedicato proprio ai rapporti di collaborazione e integrazione fra
umani ed extraterrestri.
Il punto di vista ‘positivo’ (eliminiamo volontariamente l’ambiguo termine ‘buonista’) di
questa favola è poi importante anche sul versante della storia del cinema di fantascienza,
poiché riporta in auge il tema dell’alieno “buono” già esplorato con esiti altrettanto alti, ma
commercialmente più limitati a causa di una diffusione settaria, da Jack Arnold negli anni 50,
in film quali Destinazione...Terra (1953) e, soprattutto, I figli dello spazio (1958), di cui, a parere di alcuni, E.T. sarebbe un non dichiarato remake. Altro precedente può essere anche il
Klaatu di Ultimatum alla Terra (1951) dell’eclettico Robert Wise, parabola anch’essa caratterizzata da tratti messianici, anche se il parallelo si rende in questo caso più agevole con il
successivo Starman (1984) di John Carpenter, ‘doppio’ speculare di E.T., di cui costituisce
quasi una versione ‘adulta’.
Analizzando la fantascienza cinematografica è comunque indubbio che, nonostante questi
precedenti, l’alieno sia stato quasi sempre “cattivo” e “invasore”: da La guerra dei mondi
34
ARRIVANO I FILM
(libro di H.G. Wells e film di Byron Haskin e George Pal del 1953) a La cosa da un altro
mondo (1951 di Christian Nyby e Howard Hawks), proseguendo per L’invasione degli ultracorpi (1956, di Don Siegel), la figura dell’extraterrestre è quasi sempre stata tratteggiata
con enfasi aggressiva e negativa, un pericolo cosmico che viene sulla Terra per dominarci, in
barba a qualsiasi proposito di integrazione intergalattica. Opere che, quasi sempre, riflettevano anche un clima di diffidenza ispirato dalla Guerra Fredda e non è da escludere che, in
effetti, Spielberg volesse anche lanciare un chiaro messaggio distensivo in questo senso.
Comunque, Spielberg aveva già incrinato questa visione con il più volte citato Incontri ravvicinati, poi quasi subito ribaltato dal successo di Alien (1979 di Ridley Scott), ma è con E.T.
che l’idea dell’alieno buono entra nell’immaginario collettivo, tanto da condannare all’insuccesso il capolavoro di John Carpenter La cosa, incentrato proprio su un invasore malvagio:
un film tanto bello quanto purtroppo sfortunato e schiacciato dalla mole utopistica di E.T.
Storia di un alieno
La genesi di E.T. – l’Extra Terrestre risale ai tardi anni 70: durante le ricerche per Incontri ravvicinati del terzo tipo, infatti, Spielberg venne a contatto con una strana storia, intitolata “Night
Skies”, che narrava di alieni, simili a Gremlins, che arrivavano sulla Terra e stazionavano in
una fattoria isolata terrorizzandone i suoi abitanti: alla fine però ripartivano, lasciando un
membro dell’equipaggio sul nostro pianeta. Fu questo singolo spunto a tornare alla mente
di Spielberg durante la lavorazione de I predatori dell’arca perduta (1981). In poco tempo la
storyline di E.T. si formò nella mente dell’autore, che ne parlò con Melissa Mathison, all’epoca moglie di Harrison Ford, protagonista proprio de I predatori. Melissa aveva infatti già
sceneggiato Black Stallion, storia del profondo legame d’amicizia fra un bambino e un cavallo
dal manto nero, che Spielberg aveva molto amato: la bravura che la sceneggiatrice aveva
dimostrato nel tratteggiare i sentimenti del bambino convinsero perciò Spielberg ad affidarle quello che, nel tempo, sarebbe rimasto come il suo progetto più personale. La Mathison, inizialmente decisa ad abbandonare il
cinema in seguito al fallimento di un altro
progetto lungamente agognato, accettò
con entusiasmo, realizzando uno script
che Spielberg presentò con successo alla
Universal Pictures. Il casting creò pochi
problemi e fu risolto abbastanza in fretta:
l’unico ruolo che comportò una scelta
più elaborata fu quello di Elliott, infine
assegnato ad Henry Thomas.
Ma il compito più difficile di tutti era
“creare” E..T.: Spielberg infatti voleva che
fosse repellente, ma non ispirasse malvagità e pensava ad una specie di tartaruga
senza il guscio. Lo scopo era, infatti, creare
un essere che penetrasse nel cuore degli
spettatori non per il suo aspetto fisico, ma
E.T. – L’EXTRATERRESTRE
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per la sua bontà interiore. Il progetto fu pertanto affidato al noto illustratore Ed Verreaux,
anche se poi il merito maggiore fu di Carlo Rambaldi, che ideò la forma definitiva e soprattutto fece risaltare gli occhi, come espressamente richiesto da Spielberg. Durante le riprese
furono costruiti dei modelli meccanici di E.T., che furono trattati come dei protagonisti ‘reali”.
Potendo interagire con un interlocutore concreto, i bambini offrirono una grande performance, fatto oggi non replicabile dal momento che i protagonisti non umani sono ormai sempre
concepiti con la Computer Grafica. A dare la voce all’alieno fu invece un’anziana attrice non
professionista, Pat Welsh, la cui voce fu miscelata a quella di altre voci e versi di animali, per
un totale di 18 diverse fonti vocali, tutte unite per dar vita alla voce dell’alieno.
Le riprese durarono 65 giorni e furono effettuate in California. L’uscita nelle sale, invece,
avvenne nel giugno 1982. Il resto, come si dice, è storia: il film ebbe un gradimento enorme,
rimase per più di un decennio in cima alla lista degli incassi di molti paesi del mondo e
vinse 4 Oscar (Colonna sonora, suono, effetti sonori, effetti visivi – quest’ultimo vide premiato il nostro Rambaldi). I produttori subito invocarono un sequel, idea però sempre
avversata da Spielberg.
Il ventesimo anniversario
Per il ventesimo anniversario la Universal e Steven Spielberg hanno rilanciato il film nelle
sale: seguendo una recente usanza il film ha subito dei ritocchi per renderlo appetibile
anche a chi già lo aveva visto al cinema nell’ormai lontano 1982. Ritocchi che, secondo lo
stesso Rambaldi, ammontano a un 3% del totale e che non sminuiscono, per fortuna, l’integrità dell’opera. Come spesso accade, infatti, non sono mancati i detrattori, secondo i quali
l’unicità dell’opera viene comunque scalfita, sarebbe come aggiungere delle pennellate alla
Gioconda. Comunque, oltre al restauro completo del negativo originale, sono state reinserite alcune scene tagliate all’epoca.
Molti metri di pellicola furono infatti esclusi dal montaggio finale per più motivi: a volte per
non appesantire la storia, altre perché il poco tempo a disposizione non aveva permesso di
completarle appieno (un po’ come avvenuto con L’esorcista). Oggi grazie alla Computer
Grafica queste sequenze sono state rifinite e reinserite nel film: fra le altre va menzionata
una sequenza in cui Elliott cerca di fare il bagno ad E.T., importante, secondo Spielberg, perché approfondisce il rapporto che si viene man mano a creare fra i due amici.
Il punto più controverso riguarda però due piccole alterazioni del film originario: la sostituzione delle armi dei poliziotti con più innocui walkie-talkie e della parola “terrorista” con
“hippie”. Per ciò che riguarda il primo cambio si tratta di un pedaggio che da tempo Spielberg voleva pagare alle più recenti campagne contro il pericolo da fascinazione della violenza da parte dei più giovani. Dopo tristi avvenimenti con protagonisti criminali infantili, infatti, l’isteria collettiva è cresciuta e Spielberg, sensibile perché padre di sei figli, ha così deciso
per questo cambio. Peccato che il momento nel quale Elliott e i suoi amici volano con le
biciclette sfuggendo ai poliziotti era, nella versione “d’epoca”, anticipato da un montaggio
parallelo incalzante fra i volti spaventati dei ragazzi e le armi dei poliziotti: certamente la
sostituzione attuata ha privato il film di un passaggio emozionante, peraltro puramente
strumentale alla già discussa dicotomia fra il mondo infantile, tenero e sensibile, e quello
adulto, violento e incapace di cogliere i sentimenti.
36
ARRIVANO I FILM
“Terrorista” è invece il modo in cui Mary definisce suo figlio in riferimento al suo costume
per la parata di Halloween, simile dunque a quello di un pericoloso guastatore. In pieno
clima post 11 settembre, comunque, si è optato per un cambiamento e la parola è diventata “hippie”. Curiosamente nel doppiaggio italiano la parola incriminata non compariva e
quindi il cambiamento risulta del tutto indolore.
A parte questo ci permettiamo di rilevare l’infondatezza di tali cambiamenti: il cinema,
com’è noto, rincorre la realtà, ma non fomenta alcuna forma di violenza, soprattutto quando pone in essere vicende allegoriche della portata di E.T.: siamo certi che nessun ragazzo
ha mai imbracciato il fucile dopo aver visto la tenera fiaba di questo alieno. Comportamenti
come questo trovano infatti fertile terreno in contesti sociali molto particolari, coi quali il
cinema ha poco a che fare, e le cause vanno certamente indagate con calma, senza allarmismi di sorta. Inoltre le testimonianze cinematografiche di un’altra epoca, se sacrificate al
senno di poi, si traducono in una sorta di censura orwelliana e, dunque, antistorica: l’occasione di capire gli schemi comportamentali di un’epoca lontana attraverso le sue opere,
può favorire la crescita, la censura, invece, è sempre sinonimo di ignoranza e risulta perciò
dannosa.
Il gesto di Spielberg, dettato da un’adesione emotiva alle campagne antiviolenza, risulta pertanto una piccola offesa nei confronti del suo pubblico, certamente meritevole di ben altra
considerazione, anche se, in ultima istanza, rientra certamente fra i “poteri” che un autore
naturalmente detiene sulla sua opera.
E.T. – L’EXTRATERRESTRE
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ITINERARI DIDATTICI
Dentro il film
1) Sul filo della memoria, per ricordare il film…
Alfabeto emotivo
E.T. è senza dubbio un film che suscita negli spettatori molte emozioni e stati d’animo
diversi e che, attraverso le fisionomie dei personaggi, sa raccontare in modo efficace i sentimenti provati dai protagonisti della narrazione. Immediatamente dopo la visione, può dunque essere importante rivivere il film nella dimensione emotiva cercando di nominare sentimenti, stati d’animo, emozioni provati dai protagonisti o da se stessi in quanto spettatori.
Per facilitare l’operazione si può costruire un vero e proprio ‘alfabeto delle emozioni’.
L’uso delle lettere dell’alfabeto è utile come stimolo a ricercare dentro sé le parole più
appropriate.
2) La dimensione narrativa
La mappa dell’incontro con l’altro…
Elliott ed ET compiono un percorso di progressivo avvicinamento all’alterità, attraversando
le fasi della scoperta, dell’incontro, della conoscenza, della crescita nel rapporto con l’altro,
della messa in comune, della relazione amicale. E, ad ogni tappa del percorso di avvicinamento, corrisponde un cambiamento nel ‘paesaggio interiore’, una trasformazione della singole identità dei due protagonisti . Potrebbe risultare interessante allora proporre agli studenti (magari divisi in gruppi) di tracciare su un cartellone la mappa delle strade percorse
dai due personaggi del film, indicando le tappe fondamentali della narrazione e scrivendo
per ogni tappa quali eventi significativi l’hanno caratterizzata, quali comportamenti hanno
assunto in quella tappa i protagonisti, quali sentimenti possono aver provato. Potrebbe
essere interessante provare a disegnare mappe con strade di forme e grandezze diverse,
dare poi dei nomi a ciascuna, usando sentimenti ed emozioni (via della diffidenza, piazza
dell’incontro, viale della complicità, vicolo del coraggio….) e confrontare infine collettivamente il lavoro svolto dai diversi gruppi.
3) I personaggi
Racconto il film dal punto di vista di…
Un esercizio per riflettere sull’articolazione discorsiva e sulla focalizzazione dei punti di
vista è quello di richiedere agli alunni di raccontare in modo preciso e puntuale la trama
del film ponendosi però dal punto di vista di uno dei personaggi. Lo stesso film raccontato
da E.T., da Elliott, da Michael, da Gertie, dalla mamma o dagli scienziati risulterà chiaramente differente e offrirà lo spunto per riflettere sulla pluralità di sguardi interpretativi del
medesimo racconto.
Io sono… e di… penso che…
Per un’analisi delle caratteristiche dei vari personaggi del film, la presentazione degli stessi
potrebbe avvenire descrivendoli da diversi punti di vista (es. il personaggio A narrato e
descritto dal punto di vista di B, di C, di D).
Fisionomie di alieni
E.T. e altri alieni
38
ARRIVANO I FILM
Prima della visione del film potrebbe essere interessante far descrivere dal punto di vista
fisico, comportamentale e caratteriale e far rappresentare graficamente e ad ogni alunno il
‘proprio alieno’ frutto dell’immaginazione. Dopo la visione del film si potrà confrontare l’alieno creato da ciascuno, con quello nato dalla creatività di Rambaldi e si potrà tracciare
una carta d’identità di ET nella quale riportare tutte le informazioni relative all’aspetto fisico, agli elementi di antropomorfismo, ai comportamenti, al carattere, ai poteri magici e
telecinetici che caratterizzano il giovane alieno.
Due mondi separati
L’universo degli adulti e quello dei bambini
Il film E.T. offre molti spunti per riflettere sulle caratteristiche e le modalità di rappresentazione dei due universi rigidamente separati e spesso incomunicabili, per elencare tutti gli
aspetti che li caratterizzano e per indicare le relazioni positive o negative fra gli stessi all’inizio e alla fine del film.
4) La dimensione linguistica del film
Lo sguardo della macchina da presa assume, nel film E.T., un ruolo fondamentale nella costruzione della fisionomia dei personaggi e nell’esplicita creazione di un punto di vista che guida
lo sguardo dello spettatore all’interno alla narrazione. Sarebbe pertanto importante analizzare le diverse modalità di ripresa e di messa in scena, soprattutto per quanto riguarda:
• i modi dell’inquadrare – grandezza delle inquadrature: uso e significato di dettagli e mezze
figure (riprese dalla vita in giù per raccontare il mondo degli adulti), primi piani e campi
lunghi (per inquadrare espressioni e azioni dei bambini e di E.T.)
• i modi dell’inquadrare – soggettive e fuoricampo: in moltissime situazioni lo spettatore è
portato a guardare l’altro e il mondo con gli occhi di E.T. o di Elliott, cioè attraverso
quel tipo di ripresa che viene definito ‘soggettiva’ o è portato a immaginare cosa stiano
guardando i due personaggi, cioè a ipotizzare cosa ci sia nel fuoricampo. Potendo rivedere alcune sequenze significative potrebbe essere interessante individuare soggettive e
fuoricampo e riflettere sul significato di queste scelte linguistiche
• i modi dell’inquadrare – altezza, angolazione di ripresa e movimenti di macchina: nel film
E.T. è molto importante la scelta relativa all’altezza a cui è posta la macchina da presa e i
conseguenti effetti prodotti sul piano comunicativo. Anche i movimenti di macchina,
soprattutto nelle scene di fuga-inseguimento, diventano scelte di regia fondamentali per
creare dinamismo dell’azione e aumentare la partecipazione emotiva dello spettatore.
Analizzare alcune sequenze può aiutare a comprendere meglio i molteplici significati
prodotti da queste modalità di ripresa.
• i modi dell’inquadrare – uso e funzione di luci e colori: la luce che illumina la scena, la
penombra che sfiora ambienti e personaggi, l’oscurità che tutto avvolge concorrono a
creare, nelle diverse sequenze, atmosfere di forte impatto emotivo. Potrebbe essere
interessante porre un’attenzione particolare alle sequenze del primo incontro fra E.T. ed
Elliott, della morte apparente di E.T., della fuga in bicicletta e della separazione fra E.T. ed
Elliott e analizzare tipologia e funzione di luci e colori (artificiali, naturali, diurne, notturne, calde, fredde, funzione espressiva, simbolica, metaforica...)
E.T. – L’EXTRATERRESTRE
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• Il tempo del film – il montaggio parallelo/alternato: in diverse sequenze di E.T. il tempo del
film è stato ricostruito in particolare attraverso il montaggio parallelo-alternato. Si
potrebbe ripercorrerne alcune e provare a ricostruire il racconto cinematografico. Una
sequenza particolarmente significativa a tale proposito è quella che vede Elliott ed E.T.
ormai uniti da una speciale simbiosi: l’alieno a casa beve la birra ed Elliott a scuola si
sente ubriaco. Chi volesse rimontare questa sequenza può trovare i fotogrammi di cui è
composta la situazione narrativa all’interno del manuale del pacchetto multimediale “Il
tempo immaginario – Il lavoro del montaggio 3” della collana ‘Arrivano i video’ prodotta
dalla Regione Lombardia.
ELEMENTI
PER LA DISCUSSIONE
La dimensione tematica
Alcune domande per stimolare la riflessione sull’amicizia, sui rapporti familiari, sui segreti:
– cosa avresti fatto tu nei panni di Elliott?
– e nei panni della mamma di Elliott?
– e in quelli di E.T.?
– cosa pensi della famiglia di Elliott?
– quali bisogni credi abbia il bambino?
– perché E.T. si manifesta proprio a Elliott e non ad altri?
– ti piacerebbe avere un amico come E.T. perché?
– cosa genere l’amicizia fra i due?
– se ti capitasse ciò che è accaduto a Elliott terresti per te questo segreto o ti confideresti con i genitori? Perché?
– anche tu hai qualche ‘amico segreto’? Racconta
– perché il comportamento di E.T. è progressivamente sempre più simile a quello di Elliott
e viceversa?
Alcuni nuclei tematici per stimolare la discussione:
– l’incontro con la diversità: un evento pericoloso, da temere o da evitare, un fatto che si
è costretti a subire o un’opportunità per crescere e arricchirsi dell’alterità riconosciuta?
– l’alieno quale metafora dell’altro da sé è un nemico da combattere, uno straniero da
temere o un soggetto da scoprire e conoscere, nei confronti del quale mettersi in una
condizione di ascolto?
– gli alieni: mostri pericolosi o creature portatrici di conoscenza, cultura, sentimenti?
40
ARRIVANO I FILM
IDEE
Oltre il film
Fenomenologia della differenza: i volti dell’altro
– Il film E.T. è un’ottima opportunità per
educare all’identità, all’alterità, alla
diversità e per riflettere e confrontarsi
con le fisionomie del ‘diverso’. Dopo la
visione del film potrebbe essere utile
analizzare anche altre sequenze cinematografiche nelle quali vengono
messe in scena differenti fisionomie
della diversità e dell’incontro con la
cosiddetta normalità. Alcuni titoli: Forrest Gump di R. Zemeckis, L’uomo senza
volto di M. Gibson, The elephant man di
D. Lynch, Il ragazzo selvaggio di F. Truffaut, Dietro la maschera di P. Bogdanivich, Edward mani di forbice di T. Burton,
Benny & Joon di J. Chechik.
– Lettura del racconto di fantascienza Sentinella di F. Brown
– Lettura di brani tratti dall’antologia Le voci dell’altro – Materiali per un’educazione alla differenza di M.Antonello, P. Eramo, M. Polacco, Loescher Editore,Torino 1996
La fantascienza nel cinema
Il cinema nel corso della sua storia si è più volte cimentato nel mettere in scena mondi
extraterrestri e scenari futuribili o nel proporre il tema dell’invasione aliena e, a seconda
del periodo storico, la figura dell’alieno ha assunto caratteristiche differenti: dall’essere
minaccioso, portatore di distruzione e morte, all’essere pacifico e desideroso di comunicare con il mondo degli uomini. Interessante dunque indagare il genere fantascientifico proponendo la visione di film o di sequenze che tracciano differenti rappresentazioni dell’extraterrestre. Alcuni titoli: Starman di J. Carpenter, Alien di R. Scott, Incontri ravvicinati del
terzo tipo di S. Spielberg, Mission to Mars di B. De Palma.
Tre film a confronto: Shrek, E.T. l’extra terrestre, Momo
Tutti e tre raccontano la storia di protagonisti molto caparbi, coraggiosi e tenaci, disposti a
lottare e a fare anche grandi sacrifici per raggiungere i loro obiettivi.Tutti e tre inoltre presentano la figura di un ‘diverso’ che aiuta, incita e supporta gli altri nel proprio percorso di
crescita. Potrebbe essere interessante vedere, analizzare e confrontare i tre film, mettendo
in evidenza somiglianze e differenze in particolare su un piano tematico-contenutistico. La
visione dei tre film potrebbe inoltre stimolare una discussione sulla diversità non come
limite ed ostacolo, ma come ricchezza e fonte di scambio e crescita.
E.T. – L’EXTRATERRESTRE
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HARRY POTTER
E LA PIETRA
FILOSOFALE
:
LIATA
ONSIG
ETÀ CI 8 ANNI
L
G
DA
Harry Potter and the sorcerer’s stone
Stati Uniti, 2001
di Chris Columbus
42
ARRIVANO I FILM
PERCORSO
• Il fantastico
Produzione: Heyday Films/1492 Pictures/Duncan
Henderson
Produttori Esecutivi: Chris Columbus,
Mark Radcliffe, Michael Barnathan, Duncan Henderson
Soggetto: tratto dal romanzo di J. K. Rowling
Sceneggiatura: Steve Kloves
Scenografia: Stuart Craig
Musica: John Williams
Effetti speciali visivi: Industrial Light & Magic,
Sony Pictures Imageworks, Mill Film Limited,
Rhytm & Blues,The Moving Picture Company,
Cinesite Limited,The Computer Film Company,
Smoke & Mirrors
Interpreti: Daniel Radcliffe (Harry Potter),
Rupert Grint (Ron Weasley), Emma Watson
(Hermione Granger), Robbie Coltrane
(Rubeus Hagrid), Richard Harris (prof.Albius Silente),
Alan Rickman (prof. Piton), Ian Hart (prof. Raptor),
Maggie Smith (prof.ssa McGranitt), John Hurt
(Mr. Ollivander), John Cleese (Nick Quasi Senza Testa),
Richard Griffiths (Vernon Dursley), Fiona Shaw
(Petunia Dursley), Harry Melling (Dudley Dursley)
Durata: 151 min.
Distribuzione: Warner Bros Italia
A CURA DI PATRIZIA CANOVA E DAVIDE DI GIORGIO
SINOPSI
Due anziani maghi lasciano un neonato davanti alla casa dei Dursley, in Privet Drive a Londra. Il piccolo, Harry Potter, ha una cicatrice a forma di saetta sulla fronte e quei due “babbani” (cioè incapaci nelle arti magiche) dei Dursley, gli zii Vernon e Petunia, sono gli unici
parenti rimastigli dopo la morte dei suoi genitori. Suo padre, James Potter, in particolare,
era un mago famoso, ma mal visto da Petunia, che mai aveva approvato il matrimonio con
sua sorella. Forse per questo Harry cresce nel completo disinteresse degli zii, che lo
costringono a dormire nel sottoscala e riservano tutte le loro attenzioni al loro viziato
figlio Dudley.Al compimento dell’undicesimo anno di età, però, Harry inizia a ricevere delle
strane lettere, recapitate da solerti gufi, che lo zio Vernon cerca in ogni modo di distruggere per impedirgli di leggerne il contenuto. Di fronte, però, ai reiterati invii di missive, gli zii
decidono di trasferirsi in un faro costruito su un lontano scoglio, ma è fatica sprecata: un
giorno arriva un burbero messaggero, il gigante Hagrid, per fornire a Harry la rivelazione
che cambierà la sua vita: il bambino, infatti, è un mago, i suoi genitori, contrariamente a
quanto gli è stato sempre detto, sono stati uccisi dal potente stregone Woldemort (lo stesso che gli ha procurato la cicatrice sulla fronte), e ora è atteso alla prestigiosa scuola di
magia e stregoneria di Hogwarts, dove verrà educato ad utilizzare compiutamente i suoi
poteri.
Harry non può dunque opporsi al suo destino, che comunque accetta con entusiasmo, e
segue Hagrid: dopo essersi procurato alcuni “attrezzi del mestiere” (fra i quali l’immancabile bacchetta magica), Harry prende il treno per Hogwarts. Durante il viaggio, conosce
anche due futuri compagni di studi, il vivace Ron Weasley e Hermione Granger, una bambina studiosa che ha evidenti ambizioni da prima della classe. I tre si ritrovano insieme nella
Casa di Grifondoro, una delle cinque squadre nelle quali gli studenti di ogni anno vengono
divisi all’inizio del loro corso. Fra i docenti, invece, si fanno notare, oltre al celebre direttore Ambius Silente, anche il tenebroso prof. Piton, docente di Pozioni, e l’imbranato prof.
Raptor, insegnante di Difesa contro le Arti Oscure.
La vita scolastica scorre tranquilla, il maniero in fondo è un posto strano e meraviglioso,
abitato anche da simpatici fantasmi, ma pure da creature poco rassicuranti, come il feroce
cane a tre teste “Fuffy”, che vigila su una misteriosa botola. Inoltre Harry sembra intuire
una accesa ostilità nei suoi confronti da parte del prof. Piton, notoriamente vicino alle Arti
Oscure.Ad esempio, dopo essere stato selezionato per la squadra di Quiddish (un gioco su
scope volanti a metà strada fra rugby, polo e pallamano) Harry si vede intralciato il compito dalle arti magiche di Piton, che cerca, fortunatamente invano, di farlo cadere dalla scopa.
Durante la festa di Halloween, invece, i tre si ritrovano faccia a faccia con un feroce Troll
introdottosi chissà come nella scuola e riescono a batterlo con abilità e fortuna: Harry
però sospetta ancora un coinvolgimento di Piton il quale, sempre secondo lui, sarebbe interessato al misterioso tesoro nascosto nella botola custodita da Fuffy. Indagando, Harry, scopre che il prezioso oggetto è la Pietra Filosofale, fabbricata dall’alchimista Nicholas Flamel e
in grado di fornire un siero per la vita eterna.
Sorpreso durante una delle sue indagini notturne, però, Harry viene punito e condannato,
insieme a Ron, Hermione e all’antipatico studente Draco Malfoy, ad aiutare Hagrid nella
ricerca di un pericoloso assassino che sta uccidendo gli unicorni della foresta misteriosa
che circonda la scuola. Harry scopre così che il responsabile è Woldemort, il potente stre-
HARRY POTTER E LA PIETRA FILOSOFALE
43
gone che uccise i suoi genitori e che, in combutta con Piton, vuole impadronirsi della Pietra
Filosofale per vivere in eterno. Inoltre Piton ha anche scoperto che Fuffy si addormenta se
sente della musica e così avrà buon gioco nel tentativo di rubare la pietra.
Per questo, scontata la punizione, Harry e i suoi amici, decidono di prevenire il furto, ma
arrivano troppo tardi. Finiti nei sotterranei, poi, i tre affrontano varie avventure, che solo
Harry riesce a superare trovandosi infine di fronte all’inaspettato responsabile di tutti i
misfatti: Piton infatti è innocente, è uno dei protettori della pietra e il suo coinvolgimento
negli eventi era dovuto al fatto che aveva tentato di proteggere Harry dal prof. Raptor, che
nasconde dietro la sua goffaggine la dedizione a Woldemort. Il potente stregone, anzi, si è
ormai ridotto ad un parassita ospitato nello stesso corpo di Raptor e cerca infine di uccidere Harry, che si è inspiegabilmente ritrovato la Pietra Filosofale tra le mani. Il ragazzo
però riesce a sconfiggerlo con le sue arti magiche, dopodiché si risveglia nel suo letto, con
il prof. Silente al fianco. Questi gli spiega che i suoi amici sono vivi e che la pietra è salva: dal
momento che Harry non aveva mai cercato di possederla, infatti, se l’era ritrovata fra le
mani ai danni di Woldemort, poi sconfitto.
Infine si chiude l’anno scolastico e, per i loro meriti, Harry, Ron e Hermione vengono insigniti di un cospicuo numero di punti che fa anche trionfare la Casa del Grifondoro sulle
concorrenti.
ANALISI DELLA STRUTTURA
Harry Potter e la Pietra Filosofale è l’atteso film tratto dal primo romanzo che l’ex insegnante
di lingua inglese J. K. Rowling ha dedicato al piccolo mago. Un successo planetario (si parla
di 100 milioni di copie vendute e traduzioni in 46 lingue) che ha, dopo molto tempo, riavvicinato il pubblico giovane alla letteratura fantastica, come non avveniva dai tempi de La storia infinita di Michael Ende. Il film, anch’esso baciato dal successo, nasce invece dall’interessamento del produttore inglese David
Heyman che nel 1996 decise di fondare
una casa di produzione per dare vita a
lungometraggi in grado di interessare
pubblici d’ogni età: in tal senso la scelta di
Harry Potter come soggetto per un film
era praticamente obbligata, ed è diventata
realtà grazie al forte interessamento del
regista americano Chris Columbus, grande fan della serie (una passione trasmessagli dalla figlia), che è riuscito a coinvolgere la stessa Rowland nella fase di preproduzione (soprattutto nella scelta del
cast). Columbus, infatti, ha superato tanti
altri pretendenti alla regia, che intendevano rivisitare la storia a fondo, proprio
perché ha inteso unire il gusto fantasy già
44
ARRIVANO I FILM
espresso nelle sue prime sceneggiature
risalenti ai primi anni Ottanta (Gremlins,
Piramide di paura) con un’atmosfera generale che rispettasse quella dei romanzi.
E in effetti la prima cosa che colpisce del
film è il tentativo di mediare il gigantismo
scenografico tipico di una produzione
americana, con le atmosfere britanniche
della storia. In tal senso Columbus dimostra un raro senso dell’equilibrio, sfruttando pienamente la tecnologia, ma rendendola sempre funzionale al racconto e
spogliandola di quel “protagonismo” che
affligge un po’ l’ultimo cinema hollywoodiano. Anche nelle sequenze esplorative
della scuola, infatti, la produzione dell’effetto meraviglia attraverso il disvelamento
degli angoli più misteriosi e delle creature
più deliranti (Fuffy, il Troll, le chiavi volanti) rientra in una precisa economia narrativa, che
rende il ritmo e la progressione estremamente leggera (laddove i kolossal tendono spesso
alla pesantezza espositiva) e non produce mai cali d’interesse nello spettatore. Si può perciò parlare di un film che sa utilizzare le trovate sempre in maniera intelligente e funzionale
alla storia, senza deviazioni dalla traccia portante.
Inoltre il cast è composto totalmente da attori inglesi e sottotraccia serpeggia un umorismo sottile, unitamente a un senso dell’orrido caro alle tradizioni fantastiche anglosassoni,
dalle grandi saghe tolkieniane al cinema della Hammer. La battaglia finale contro Woldemort, infatti, presenta un tono cupo e orrorifico che figurativamente sembra preso di peso
proprio da questi modelli e fonde la pirotecnicità dei duelli fra stregoni codificata da
Tolkien, con la concitazione degli scontri finali fra il Conte Dracula e il dottor Van Helsing
di Christopher Lee e Peter Cushing.
La scuola di Hogwart, perciò, risulta la sintesi perfetta di queste istanze a volte eterogenee: è
un enorme set cangiante (stile Labirynth, di Jim Henson), ma possiede un senso di gigantismo
oppressivo e una illuminazione ossequiosa dei dettami architettonici dello stile gotico. È al
contempo una tenebrosa “casa delle streghe” e un grosso e divertente luna-park, tutto da
scoprire. In questo modo la storia cerca una mediazione fra il puro “sense of wonder” caro
al pubblico infantile d’ogni epoca, e la “credibilità” del fantasy in grado di solleticare anche lo
scettico pubblico adulto: per questo l’avventura di Harry nella scuola è mostrata sì con largo
dispendio di scene meravigliose, ma anche attraverso una ritualità tipica di un normale corso
di studi, dove gli studenti si meravigliano per primi delle loro capacità (esclamando “fico!”) e
si accalcano davanti alle vetrine con l’ultimo modello di scopa volante, esattamente come i
loro coetanei del mondo “reale” fanno con gli scooter o le automobili; e dove esistono rivalità fra gli studenti e alcuni professori evocano inquietudine, quasi fossero dei veri mostri.
Per questo si può dire che, tutto sommato, Harry Potter e la Pietra Filosofale rappresenti un
HARRY POTTER E LA PIETRA FILOSOFALE
45
curioso esempio di “minimalismo fantastico”, laddove con questo ossimoro si vuole intendere un rifiuto dell’epica sfrenata, tipica delle grandi saghe britanniche (come Il Signore degli
anelli), in favore di una visione più “a misura d’uomo”, in linea con i nostri tempi, maggiormente bisognosi di spiegazioni razionali e meno portati alla credulità e alle ellissi narrative.
Una mediazione che forse ne spiega anche il grande successo.
Il personaggio di Harry, poi, incarna bene la distinzione e la coesistenza in uno stesso
nucleo di scetticismo razionale e credibilità immaginifica, poiché a livello fisico evoca un
modello di studente diligente e un po’ secchione, che ha iscritta la propria diversità meravigliosa sul corpo (la cicatrice a forma di saetta) e nel sangue (la discendenza da un famoso
mago) e per il quale non stupisce, diversamente da ogni altra persona, che tutto sia possibile. Ma, nei fatti, Harry si accosta alla materia con quel misto di scetticismo ed entusiasmo
tipico di ogni bambino. Il produttore Heyman a proposito ha affermato che Harry evoca il
“ragazzo qualunque”, nonostante le sua capacità e ci fa perciò credere che la magia sia un
valore alla portata di tutti.
Infatti il vero “wonder boy” (“wonder girl”, nel caso specifico…) del film è la studiosissima
Hermione, che si presenta al corso preparata di tutto punto, che passa le ore leggendo a
fondo i testi di magia e che sa sempre quale incantesimo utilizzare. Un comportamento che
inizialmente la rende antipatica ai compagni, soprattutto a Ron, che però poi imparerà ad
apprezzarne le qualità.
Tutto questo sottolinea come in fondo l’avventura di Harry ancora una volta non sia altro
che un’allegoria di quanto difficile sia la vita del bambino: la storia del giovane Potter, infatti,
illustra il difficile cammino di un ragazzo che, dopo un’infanzia trascorsa senza affetti, si
ritrova investito da un grande potere e riesce a superare le difficoltà con un misto di intelligenza, senso dell’amicizia e purezza d’intenti, infine sintetizzato dal possesso della Pietra
Filosofale, la quale, di fatto, si offre a lui intuendone la mancanza d’avidità.
D’altronde, durante il periodo pre-adolescenziale, ogni esperienza importante viene vissuta
in modo assoluto e investe i ragazzi totalmente, spingendoli a fare della scuola un
luogo divertente e piacevole, oppure
oppressivo e detestabile, senza via di
mezzo. Il film dunque riprende questa
dicotomia utilizzando l’aspetto fantastico
come un amplificatore emozionale che
riflette proprio l’ingrandimento percettivo del bambino di fronte alla “potente”
esperienza legata all’ingresso nel mondo
della scuola, prima occasione di confronto con il mondo ‘adulto’. Un’esperienza
che solo le capacità individuali permettono di affrontare al meglio, volgendola, a
seconda dei casi, in divertimento o in
occasione di continui timori.
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ARRIVANO I FILM
ITINERARI DIDATTICI
Dentro il film
1) Sul filo della memoria, per ricordare il film…
In viaggio con Harry Potter: il domino dei ricordi
Cosa è rimasto nei ricordi di ogni spettatore dopo la visione del film? Quali momenti,
elementi, situazioni hanno colpito di più l’attenzione di ciascuno? Per ripercorrere la narrazione sul filo della memoria individuale e collettiva, si potrebbe proporre agli alunni di
ricercare dentro sé e di scrivere (su singole tesserine, precedentemente predisposte e
differenziate per colore) il momento che più li ha colpiti, l’immagine ritenuta maggiormente significativa, il gesto, l’azione, la frase considerati più importanti. Le tesserine, raggruppate per colore, dovrebbero poi essere disposte in modo da comporre un domino
collettivo per ogni voce presa in considerazione. In questo modo sarà possibile valutare
quali aspetti del film hanno maggiormente colpito l’interesse e la curiosità.
Quiz show
La classe viene divisa in squadre. L’insegnante prepara una serie di domande relative a
momenti della narrazione, aspetti dei personaggi, luoghi in cui è ambientata la storia, elementi significativi. Le scrive su lucido o su un foglio e le distribuisce a ogni squadra con
la consegna di rispondere nel più breve tempo possibile. Alternativa è quella di preparare domande a risposta multipla, consegnare a ogni squadra tre cartellini di colori diversi,
leggere le domande e invitare le squadre ad alzare il cartellino corrispondente alla risposta giusta. Il conteggio viene effettuato in corso gioco o alla fine.
2) La dimensione narrativa e la dimensione iconica del film
Dal romanzo al film
Il film Harry Potter e la pietra filosofale è tratto dall’omonimo romanzo di J.K. Rowling, il
primo della serie. Un confronto fra i due può costituire un interessante esercizio di analisi testuale, soprattutto per quanto
riguarda le differenti procedure di narratività utilizzate. Alcune attività utili
per perseguire tale operazione di
comparazione potrebbero essere:
– osservare la copertina del libro /
osservare la locandina del film, confrontarle e formulare ipotesi sul
contenuto del racconto
– leggere l’incipit del libro, vedere la
prima sequenza del film, confrontarle e provare a formulare ipotesi sul
seguito del racconto letterario e
cinematografico
HARRY POTTER E LA PIETRA FILOSOFALE
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– leggere tutto il libro, ricostruire la struttura narrativa del testo e illustrarla in sequenze (in seguito alla visione si potrà svolgere la medesima attività sul film e poi operare
una comparazione fra le due forme di narrazione)
– leggere collettivamente le parti del libro in cui vengono descritti i personaggi (principali, ma anche secondari), fornire agli alunni, suddivisi in gruppi di lavoro, fotocopia
delle pagine del libro in cui sono contenute le descrizioni dei personaggi, invitarli a sottolineare gli aspetti considerati importanti in tali descrizioni e a partire dagli indizi –
informazioni offerti chiedere agli alunni di:
– illustrare i vari personaggi, così come se li immaginano;
– creare una carta d’identità ‘speciale’ (nome, cognome, sesso, età, segni particolari,
qualità, difetti, carattere, gusti, passatempi, comportamento, professione, ruolo nel
racconto… A queste voci ovviamente se ne possono aggiungere altre individuate
dagli alunni stessi). La stessa attività può essere svolta anche per quanto riguarda
gli ambienti del film.
Dopo la visione del film si potrebbe compilare nuove carte d’identità dei personaggi e confrontarle con le precedenti, verificando anche, questa volta, eventuali somiglianze e differenze.
Gli oggetti per soddisfare i bisogni
Nel film sono presenti oggetti con alta valenza simbolica: indicarli e cercare di spiegare il
significato di ciascuno di essi (il treno: mezzo di locomozione-separazione; la scopa
magica: la necessità di alzarsi in volo, staccare i piedi da terra, vedere le cose da altri
punti di vista, separarsi dal mondo umano; lo specchio: il bisogno di guardarsi dentro e di
sentirsi invisibili di fronte alle grandi difficoltà per tornare poi a essere visibili; la pietra
filosofale: il bisogno di vivere la vita succhiandone tutta l’essenza, evitando di imitare gli
altri, di vivere “a metà”).
Gli spazi della scuola di magia
Rappresentare graficamente gli ambienti in cui è collocata la narrazione, indicarne le
caratteristiche e provare a spiegarne la funzione metaforica (es. l’accesso ai luoghi proibiti: la biblioteca: l’approccio alla conoscenza; l’attraversamento della foresta: il superamento delle paure infantili…).
3) La dimensione linguistica del film
Lo sguardo della macchina da presa assume, nel film Harry Potter e la pietra filosofale, un
ruolo fondamentale nella messa in scena di ambienti ed eventi. Sarebbe pertanto importante analizzare le diverse modalità di ripresa e di messa in scena, soprattutto per quanto riguarda:
• i modi dell’inquadrare – grandezza delle inquadrature: uso e significato di dettagli, primi
piani, mezze figure, figure intere, campi totali e campi lunghi
48
ARRIVANO I FILM
• i modi dell’inquadrare – uso e funzione di luci e colori: la luce che illumina la scena, la
penombra che sfiora ambienti e personaggi, l’oscurità che tutto avvolge concorrono a
creare, nelle diverse sequenze, atmosfere di forte impatto emotivo. Potrebbe essere
interessante porre un’attenzione particolare ad alcune sequenze ritenute particolarmente significative, analizzare tipologia e funzione di luci e colori (artificiali, naturali, diurne,
notturne, calde, fredde, funzione espressiva, simbolica, metaforica...)
• gli effetti speciali – ottici, meccanici, digitali: individuare gli effetti speciali più significativi (il
movimento del muro, l’effetto invisibilità, il volo, le magie) e provare a riprodurre i più
semplici (es. apparire e scomparire) utilizzando una videocamera.
Chi volesse approfondire l’argomento può trovare informazioni, esempi e spiegazioni
nelle due videocassette “Se non è speciale che effetto è?” a cura di Fabio Carlini e prodotte dal Politecnico di Milano
• il tempo del film – il lavoro del montaggio: nel film Harry Potter e la pietra filosofale il tempo
del racconto è costruito attraverso diverse strategie di montaggio: flash back, ellissi,
montaggio lineare, montaggio parallelo-alternato. Per capire come il cinema riesca a produrre effetti di contiguità, contemporaneità, salti temporali, viaggi avanti e indietro nel
tempo, si potrebbe ripercorrere alcune sequenze e provare a riconoscere che forma di
montaggio è stata utilizzata e quale effetti comunicativi produce.
Chi volesse approfondire l’argomento può trovare informazioni, esempi e spiegazioni nel
l pacchetto multimediale “Il tempo immaginario – Il lavoro del montaggio 3” della collana
‘Arrivano i video’ prodotta dalla Regione Lombardia
HARRY POTTER E LA PIETRA FILOSOFALE
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ELEMENTI
PER LA DISCUSSIONE
1) La dimensione tematica
Alcuni spunti di discussione e di riflessione
– Come crescere senza genitori, come far fronte alla vita in solitudine
– Il percorso nella scuola di magia quale metafora di un viaggio iniziatico per accedere
alla vita, strutturato secondo l’archetipo della fiaba con prove ed ostacoli da superare
– Il volo come metafora del bisogno di attuare un processo di separazione-individuazione dal mondo degli adulti per la costruzione della propria identità
– Gli ingredienti necessari per crescere: la magia non basta, servono altri elementi quali
la conoscenza, la capacità di ricercare, il coraggio, la lealtà, la fiducia in sé e negli altri,
l’amicizia, l’aiuto reciproco, la solidarietà
– Per proiettarsi nel futuro è necessario conoscere o ri-trovare le proprie radici
– Per crescere è necessario guardarsi dentro per scoprire i propri desideri, i sogni; è
necessario andare oltre l’immagine esteriore che può restituire uno specchio
– La relazione amicale può aiutare a crescere e può produrre cambiamenti significativi:
chi è pauroso può diventare coraggioso (è il caso di Ron), chi è saccente, colto, ma
solo può venire salvato solo dall’amicizia (è il caso di Hermione), nessuno può arrangiarsi completamente da solo, tutti hanno bisogno di un gruppo (è il caso di Harry
Potter)
– Per raggiungere un obiettivo è necessario fare sacrifici e avere strategia (vedi: la partita di scacchi)
– Nella vita è importante andare oltre le apparenze: chi è nero e brutto (è il caso di
Piton) non è necessariamente il cattivo, il nemico, ma più facilmente colui che non sa
riscattare la propria immagine
2) Uno sguardo ai personaggi del film…
– Il Preside della scuola Prof. Silente: l’immagine della saggezza che si ripone nella vecchiaia di chi sta a guardare e sa proteggere
– Gli insegnanti della scuola: adulti che non istruiscono, ma educano, accompagnano i
ragazzi a vedere dentro sé e a trovare la verità (es. il maestro di volo)
– gli studenti apprendisti maghi: pur dotati di speciali poteri, di fatto ricostruiscono la
fisionomia di una classe tipo con tipicizzazione dei caratteri. Tutti sono dotati di
magia, ovviamente in misura diversa e proporzionale alle capacità di sognare e fantasticare
– il mondo fuori dalla scuola: è un mondo mcdonaldizzato, dove non si sa più ascoltare,
amare, dove si accudiscono i figli solo comprando loro oggetti inutili, dove non c’è più
spazio per l’immaginazione e nessuno cresce, neppure gli adulti che sono semplicemente meschini e dunque, necessariamente,“babbani”
50
ARRIVANO I FILM
IDEE
Oltre il film
Ciak si gira: dai libri al film andata e ritorno
Il film Harry Potter e la pietra filosofale è tratto dal primo romanzo della serie. Prima o dopo
la visione del film si potrebbero leggere gli altri romanzi: Harry Potter e la camera dei segreti;
Harry Potter e il prigioniero di Azkaban; Harry Potter e il calice di fuoco. La lettura dei quattro
libri, in collegamento con la visione del film, potrebbe offrire interessanti spunti per la trasposizione degli stessi (integrale o parziale) in semplici sceneggiature che potrebbero inoltre costituire la base per effettuare semplici riprese di alcune situazioni o per rappresentare graficamente momenti della narrazione.
Viaggio nel mondo della magia
L’ultimo libro di David Colbert I magici mondi di Harry Potter è un’interessante guida ai personaggi, miti, leggende della saga del mago di Hogwarts. La lettura collettiva dello stesso
potrebbe consentire non solo una maggiore conoscenza del personaggio di Harry Potter,
ma anche un approfondimento di alcuni aspetti fondamentali del genere fantasy: esistono
streghe e maghi famosi? I giganti sono tutti malvagi? Tutte le streghe volano su manici di
scopa? Perché esistono degli specchi magici…
La magia di favole e fiabe… il fantasy nel cinema
Analizzare e confrontare fra loro testi filmici di genere fantasy proposti nel presente e/o
nei precedenti cataloghi del circuito Arrivano i film: La Freccia Azzurra, Kirikù e la strega
Karabà, Principi e Principesse, Favole, Rainbow, La chiave magica, Il segreto dell’isola di Roan, La
farfalla fatata/, Oltre l’arcobaleno, La principessa Chiara, La spada magica, James e la pesca gigante, Il cavaliere inesistente, Momo, Harry Potter, E.T. L’extraterrestre, Spy Kids, Moonster & Co, L’era
glaciale.
HARRY POTTER E LA PIETRA FILOSOFALE
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HIJOS-FIGLI
:
LIATA
ONSIG
ETÀ C ANNI
4
1
I
DA
Hijos-figli
Argentina/Italia, 2001
di Marco Bechis
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ARRIVANO I FILM
Regia: Marco Bechis
Sceneggiatura: Marco Bechis, Lara Fredmer
Fotografia: Fabio Cianchetti
Montaggio: Jacopo Quadri
Interpreti: Carlos Echevarria (Javier),
Julia Sarano (Rosa), Stefania Sandrelli (Vittoria),
Enrique Pineyro (Raul)
Produzione: Amedeo Pagani e Vittorio Cecchi
Gori per Cecchi Gori Group
Durata: 93 min.
Distribuzione: Cecchi Gori o Medusa
A CURA DI ALESSANDRO LEONE
SINOPSI
In un ospedale di Buenos Aires una donna mette al mondo due gemelli. È il 9 dicembre del
1977. Mentre il maschio viene prelevato da due uomini, l’ostetrica nasconde Rosa, la femmina, in una borsa. La madre, ancora distrutta dal parto, con la camicia insanguinata, viene
trascinata via da due militari. Passano ventitre anni. Dopo aver spedito diverse e-mail dall’Argentina a Javier, Rosa si reca ad Oggiono, una località della Brianza, per incontrare proprio Javier, suo presunto fratello. Il giovane vive in una villa signorile con la sua famiglia: la
madre Vittoria e il padre Raul Ramos, ex pilota militare. Dopo alcune resistenze, Rosa riesce ad incontrare Javier per comunicargli di persona ciò che già affermava nelle e-mail: la
convinzione di essere sua sorella gemella e di essere stati divisi dopo il parto da militari
argentini. Javier, che si diletta in paracadutismo, fidanzato e protetto da una famiglia che non
gli ha fatto mancare nulla e che ha sempre creduto propria, dapprima rifiuta le affermazioni
di Rosa, ma sprofonda progressivamente in un’infinità di dubbi. Di fronte alla convinzione di
Rosa di poter dimostrare scientificamente la loro stretta parentela, Javier la segue a Barcellona, dove la testimonianza della vecchia ostetrica conferma la separazione alla nascita e la
morte della madre naturale, gettata in mare dai militari con altri cosiddetti desaparecidos. È
però l’esame del DNA a mortificare Rosa: infatti Javier, pur essendo anch’egli un figlio di
desaparecida, in realtà non è fratello di Rosa. La verità personale del ragazzo ha però segnato il rapporto con i genitori “adottivi”. Il temporaneo ritorno a casa non fa che confermare
la simulazione di Vittoria, che aveva finto la gravidanza con un cuscino. Conscio di aver vissuto una falsità, Javier segue Rosa in Argentina. Il 19 marzo 2001 a Buenos Aires, i due giovani sono parte di un corteo di protesta di Hijos – organizzazione di figli di desaparecidos –
per manifestare sotto casa di un ex militare argentino, accusato di essere un criminale.
HIJOS-FIGLI
53
ANALISI DELLA STRUTTURA
I figli scomparsi in Argentina dagli anni settanta, afferma l’associazione Abuelas de Plaza de Mayo,
sono circa 500, di cui denunciati solo la metà.
72 sono stati ritrovati vivi, 8 morti, sepolti nei cimiteri clandestini.
Di quei 72, tutti di età compresa tra i venti e i venticinque anni, solo 4 hanno preferito rimanere
presso le famiglie adottive.
Bechis parte dai dati oggettivi di una realtà poco conosciuta, o che in pochi hanno la
volontà di fare riemergere. Non sono dati che ci fornisce in maniera meccanica; non sono
premessi esplicitamente all’inizio del suo film (come non lo erano prima di Garage Olimpo).
Esistono incisi a chiare lettere in lui; lo spingono a scrivere e girare film che della vergognosa dittatura argentina denunciano con efficacia, ma senza retorica, i tratti agghiaccianti.
Bechis sceglie di farlo attraverso il cinema, perché è forma d’espressione che più gli è congeniale, e perché riesce a rivolgersi ad un pubblico vasto e sensibile alle immagini cinematografiche1.
«Uso il cinema come piattaforma per sperimentare quello che più mi interessa, non solo come
contenuto. Naturalmente capisco che il contenuto veicolato dal cinema ha delle potenzialità superiori, rispetto a quello veicolato da altri media».
Hijos si pone come il naturale seguito di Garage Olimpo e, con Alambrado del ’91, chiarisce la
personalità autoriale del regista. Se il film del ’99 era centrato sulla detenzione in uno dei
campi di concentramento sotterranei a Buenos Aires (furono circa 360), sul criminale regime militare della giunta, sulla tortura terribile con la picana, sull’impossibilità di amare
sapendo di essere già morti, sulla tenebra che avvolgeva i prigionieri, lasciando fuori campo
l’orrore impossibile da raffigurare, ripercorrendo la storia vera di migliaia di vittime del
golpe del ’76 (che fu anche la storia vera di Marco Bechis2), in Figli il focus si sposta sulle
conseguenze postume di quel regime: il dramma dei figli di desaparecidos, i cosiddetti apropiados, che furono “adottati” dai carnefici dei loro genitori, gettati vivi nell’oceano dopo l’agonia nei vari Garage Olimpo. L’ultimo
lavoro di Bechis, pensato inizialmente per
essere girato contemporaneamente al
film precedente, nasce comunque da una
costola di Garage Olimpo, offrendosi come
1 Ricordiamo però la pubblicazione di Marco Bechis
Argentina 1976-2001, filmare la violenza sotterranea,
con introduzione di Adriano Sofri, edito da Ubulibri, Milano 2001, che oltre a contenere le sceneggiature di Figli e Garage Olimpo, raccoglie varie
testimonianze di sopravvissuti ai campi di concentramento argentini.
2 Il regista, figlio di padre italiano e madre cilena, si
trasferì piccolissimo in Argentina con la famiglia; a
22 anni venne sequestrato e imprigionato dai militari argentini; dopo le torture fu miracolosamente
rilasciato grazie alle influenti amicizie dei genitori.
54
ARRIVANO I FILM
parte di un dittico. In una scena all’interno del sotterraneo ricordiamo di aver intravisto, in
una delle tante stanze infernali che si aprivano nello stomaco della metropoli, dei piccini di
varia età “curati” da un secondino: erano i figli dei detenuti. Il regista è tornato indietro a
quella scena per raccontare la storia di due di quei fanciulli.
Aprendo con un parto doloroso – siamo nel ’77 e la madre pare la Maria protagonista nel
Garage, ancora sotto la picana (tanto è vero che l’attrice è la stessa Antonella Costa) –
Bechis non intende solo offrirci un antefatto, ma ricollegarci subito alla cella di “chirurgia”,
alle violenze impunite, ai corridoi bui, ai lamenti dei bimbi sottratti ai genitori. Figli ci racconta del destino riservato a tanti di quei bambini. Ci informa di una menzogna generata da
un regime vergognoso, di cui ancora sappiamo poco, perché oggetto di un’altra forma di
menzogna: l’occultamento storico.
Difficile dire se sia più orrida la fine di Maria o l’esistenza di Javier, essendo una la conseguenza dell’altra.
“Una storia che nasce da due persone che sono state buttate in mare”.
E proprio il mare rimane una presenza forte anche in Figli. Il mare che separa le coste italiane da quelle spagnole, dove i ragazzi si recano per scoprire la verità sul loro passato; ma
soprattutto il mare sorvolato dall’aereo, che in Garage Olimpo ingoiava le vittime della giunta, mentre adesso si offre come elemento funzionale di svelamento per Javier, paracadutista
dilettante che, da metà film in poi, diviene incapace di colmare la distanza aerea tra cielo e
terra con un lancio nel vuoto. In questa impossibilità è sotteso il mutamento del giovane,
nel rapporto tra superficie terrestre (mare e terra ferma), vuoto e aereo, che si sfalda
improvvisamente. Lo spazio della caduta a piombo, come spazio della dialettica. Riconfigurare quello spazio, assegnarvi nuovo senso significa cancellare la menzogna ed affermare
una verità, che impone la caduta nel vuoto come origine della menzogna stessa.
Il film di Bechis ruota perfetto attorno a queste poche immagini, innervate nel racconto di
Rosa e Javier, attraverso un fondo sonoro che ancora una volta ci rimanda al Garage, ma
che nelle scelte stilistiche, la resa fotografica, il montaggio, l’apertura alle superfici (dagli
ambienti chiusi a quelli esterni, dall’oceano alle strade cittadine), vuole sottolineare l’adesione a luoghi e tempi differenti. In questo è il naturale appesantimento del dramma: nella
tremenda influenza di un passato tanto più orribile, quanto più ha la capacità di stravolgere
il presente, in apparenza privo di segni che possano identificarlo proprio con quel passato.
Risulta allora ancora più inquietante per noi spettatori che abbiamo visto a distanza di un
anno e mezzo i due film, la presenza di Carlos Echevarria (prima Felix, carceriere innamorato della condannata Maria, ora Javier, forse figlio della stessa) o di Enrique Pineyro che in
continuità ideale vestiva prima il ruolo di Tigre ucciso in un attentato e, adesso, quello del
ex militare, padre di Javier. Quasi che il regista avesse riportato in vita dei volti, morti con la
fine del primo film, solo per riaccordarci con un nuovo racconto che vuole riconquistare la
vita attraverso la verità e la giustizia storica; per dare al tempo stesso a quei volti una
seconda chance per identificarsi in un ruolo, nel bene e nel male.
Del resto Figli traccia un percorso di ridefinizione (pensiamo a quante volte Javier si specchia, anche attraverso Rosa), di ricerca dell’identità (simbolicamente: i due giovani scoprono
il proprio corpo attraverso l’esplorazione del corpo altrui), di elementi che possano prefigurare uno scenario futuro, un rapporto con la realtà privo di ambiguità. Che Javier e Rosa
HIJOS-FIGLI
55
siano davvero fratello e sorella poco importa alla fine. La vera conquista è la distruzione
della falsità di un’esistenza da città dei balocchi (i genitori adottivi carnefici dei genitori
naturali), riconquistando le proprie radici (i genitori naturali).Tema, quello del rapporto tra
genitori e figli, tra origine e presente, che Bechis sente in maniera particolare, fino dai
tempi di Alambrado (’91).
“L’essere fratello e sorella, la loro appartenenza, non è più biologica (…), ma non è neppure culturale (visto che non sono cresciuti insieme). È per scelta. È un discorso che andrebbe fatto in tempi come questi in cui si parla tanto di identità, di “chi siamo” in rapporto ad
altre culture, all’Islam, all’Europa… Le identità che verranno fuori saranno sempre più identità che nascono dalle scelte. E su queste scelte si uniscono le persone”.
Che i due protagonisti per trovare le proprie origini debbano allontanarsi dalla “messa in
scena” dei Ramos, è palese nel racconto; che per affermare una identità propria e definita
debbano specchiarsi uno nell’altra, per ritrovarsi accomunati da un legame ideale, lo si
intende nelle scelte linguistiche: la presenza spesso nella stessa inquadratura dei due
“gemelli”, i movimenti di macchina ad unirli in uno stesso spazio, i raccordi di montaggio
sui rispettivi sguardi. Ciò che non avviene tra Javier e i falsi genitori, neanche quando Vittoria è sofferente per essere stata abbandonata dal figlio.Anzi la donna è sovente incorniciata
nella propria solitudine, dal momento in cui Javier lascia l’Italia. L’immagine di lei distesa sul
letto che stringe in grembo un cuscino, è impietosa e punitiva, ma nello stesso tempo emozionante e partecipata.
È tutta qui la capacità del lavoro di Marco Bechis: ancora una volta, costruttore di immagini
che esprimono idee e concetti, che evocano sensazioni, senza essere esplicite, con l’essenzialità di chi riconosce alle immagini stesse un potere tanto maggiore, quanto più capaci
sono di mostrare attraverso sottrazione di elementi. In Figli come in Garage Olimpo.
(Le citazioni di Marco Bechis sono tratte da interviste pubblicate su
Cineforum 413 e su CineCritica 25)
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ARRIVANO I FILM
ITINERARI DIDATTICI
Il cinema di Marco Bechis
Videoartista e autore di corto metraggi
dal 1982, Bechis realizza il suo primo
lungo nel ’91 e scrive Il carniere poi girato
da Maurizio Zaccaro. Le sceneggiature dei
suoi tre lunghi all’attivo sono state scritte
con Lara Fremder.
– Alambrado (1991)
– Garage Olimpo (1999)
– Figli/Hijos (2001)
Il dramma dei desaparecidos al cinema
Con i film di Bechis segnaliamo:
– Missing di Costa-Gavras (1982)
– La storia ufficiale di Luis Puenzo (1985)
– La notte delle matite spezzate di Hector
Olivera (1988)
Oltre al testo citato di Bechis, segnaliamo Le irregolari, Buenos Aires horror tour di Massimo
Carlotto (1998) che racconta delle battaglie delle nonne e delle madri di Plaza de Mayo
per chiedere giustizia e ritrovare figli e nipoti, sottratti neonati e assegnati a famiglie di
aguzzini.
ELEMENTI
PER LA DISCUSSIONE
–
–
–
–
Il valore della famiglia
L’appartenenza ad un nucleo protetto
L’incapacità di vivere nella menzogna
La ricerca dell’identità
– I riflessi della dittatura argentina nel presente
– Il dramma di essere figli di desaparecidos
– La difficoltà di fare giustizia
– La condivisione di un ideale
– La ricerca di un progetto per vivere il presente in proiezione futura
– Trasformare le proprie esperienze in materia utile per poter affrontare i drammi sociali
HIJOS-FIGLI
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IDEE
1. Approfondimenti storici attraverso documenti e pellicole segnalate.
2. Regimi totalitari e dittature militari nel dopoguerra nell’America Latina. Ragioni storiche
e riflessi sul presente.
3. L’Argentina dai Peron agli eventi tragici del 2001. Percorso storico e lettura dell’attualità. La risposta dell’occidente alla crisi argentina.
4. La cinematografia argentina nel dopoguerra: profilo di un paese e contraddizioni sociali,
fino agli ultimi giovani cineasti. Confronto tra film dal taglio storico (Olivera) e pellicole
dal taglio sociale (La ciènaga di Lucrecia Martel).
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ARRIVANO I FILM
IL FAVOLOSO
MONDO DI
AMÉLIE
:
LIATA
ONSIG
ETÀ C ANNI
4
1
I
DA
Le fabuleaux destin d’Amélie Poulain
Francia/Germania 2001
di Jean-Pierre Jeunet
Produzione: Claudie Ossard per Victoires
Productions/Tapioca Films/France 3 Cinéma/Mmc
Indipendant GmbH
Soggetto: Jean-Pierre Jeunet, Guillaume Laurant
Sceneggiatura: Jean-Pierre Jeunet,
Guillaume Laurant
Fotografia: Bruno Delbonnel
Scenografia: Aline Bonetto
Costumi: Madeline Fontaine
Musiche: Yann Tiersen
Montaggio: Hervé Schneid
Interpreti: Audrey Tautou (Amélie Poulain),
Flora Guiet (Amélie a otto anni), Mathieu Kassovitz
(Nino Quincampoix), Rufus (Raphael Poulain),
Isabelle Nanty (Georgette), Clotilde Mollet (Gina),
Urbain Cancelier (Collignon), Serge Melin (Dufayel)
Durata: 120 min.
Distribuzione: 2001 Distribuzione
IL FAVOLOSO MONDO DI AMÉLIE
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A CURA DI PAOLO CASTELLI
SINOPSI
Incipit (infanzia di Amélie)
“Il tre settembre 1973, alle ore 18, ventotto minuti e trentadue secondi, una mosca della
famiglia dei califoridi, in grado di produrre 14.670 battiti al minuto, plana su Rue Saint-Vincent a Montmartre…
Nello stesso istante in un ristorante all’aperto, a due passi dal Moulin de la Galette, il vento
si insinua magicamente sotto una tovaglia, facendo ballare i bicchieri senza che nessuno se
ne accorga…In quell’istante al quinto piano del 28 di Avenue Trudaine nel IX Arrondissement, Eugene Colère, di ritorno dal funerale del suo miglior amico Emile Magineu, ne cancella il nome dalla sua rubrica… Sempre nello stesso momento, uno spermatozoo con cromosoma X del signor Raphael Poulain si stacca dal plotone per raggiungere un ovulo della
signora Poulain, nata Amandine Fouet… Nove mesi dopo nasce… Amélie Poulain”.
Amélie, ormai grande, vive a Parigi ma in un mondo tutto suo. Traumatizzata dalla morte
improvvisa di sua madre (un suicida le cade addosso dall’alto di Notre Dame) e dalla conseguente freddezza di suo padre, evoca e allestisce intorno a sé un mondo magico fatto di
piccole cose e avvenimenti curiosi: cucinare una torta, tuffare la mano in un barile di riso,
immaginare quanti orgasmi si stiano verificando in città nello stesso momento. Prende in
affitto un appartamento a Montmartre. Si occupa del gatto della sua amica hostess Philomène quando lei è via e, pur sentendosi colpevole, spia il vicino Dufayel, un anziano con
le ossa fragili. Lavora in un caffè chiamato “Les deux Moulins”, dove la sua principale Suzanne sogna la sua vita passata nel circo e la sua collega Gina respinge seccamente le attenzioni dell’ex-fidanzato Joseph. La vita di Amélie è abbastanza felice ma le va stretta. Un giorno
Amélie scopre, nascosta nel suo appartamento, una vecchia scatola di tesori d’infanzia.
Presa dall’eccitazione, decide che la sua missione sarà ritrovare il proprietario. Le sue ricerche la mettono in contatto con la portiera del suo stabile, che desidera ardentemente ricevere una lettera da suo marito infedele (e sfortunatamente morto), e con il crudele droghiere Collignon, che maltratta il suo innocente impiegato maghrebino Lucien. Il percorso
di ricerca del proprietario della scatola ‘magica’ la porta a scoprire il mondo di Dufayel, una
specie di filosofo casalingo e un pittore eccentrico: da vent’anni, ogni anno dipinge una
copia perfetta di un quadro di Renoir.
Amèlie finalmente individua il proprietario della scatola e, in modo anonimo, gliela fa pervenire osservando a distanza la trasformazione della sua vita grazie alla magica scoperta.
Amélie è così commossa dalla gioia ridonata all’uomo della scatola (un malinconico signore
di mezz’età) che comincia a cercare altre vite da rimettere in sesto. Riesce a pilotare la
nascita di una passione tra Joseph e Georgette, la tabaccaia del suo bar, e così libera Gina
dalla sgradita gelosia di lui. Nel tentativo di risvegliare le emozioni di suo padre, ruba il suo
adorato gnomo da giardino e convince Philomène (la sua amica hostess) a inviargli delle
polaroid del viaggio intorno al mondo del gnomo. Nel frattempo si introduce nell’appartamento di Collignon e opera dei piccoli cambiamenti, portando l’orribile ometto a dubitare
della propria salute mentale. Scrive, poi, false lettere d’amore alla amareggiata portiera fingendo che provengano dal marito lontano.
Un giorno, tornando da una visita a suo padre in periferia, Amèlie vede un giovane che colleziona foto-tessere scartate da una cabina della Gare du Nord. Lui fugge via, lasciando
60
ARRIVANO I FILM
cadere un album. Amélie lo raccoglie ed è immediatamente catturata: l’album le rivela che
esiste un uomo che sta lasciando le sue fotografie nelle cabine di tutta Parigi.
Il proprietario dell’album sta disperatamente cercando di scoprire perché, e Amélie, a sua
volta, sta disperatamente cercando lui.
Amélie, finalmente, scopre il suo nome e il suo numero di telefono. Più acquisisce informazioni su di lui, più si convince che questo Nino, un collezionista di bizzarre cose effimere
(come ad esempio insoliti messaggi nelle segreterie telefoniche) è l’uomo che fa per lei. Ma
le vecchie abitudini sono dure a morire. Nonostante il consiglio del suo nuovo amico
Dufayel, conduce una campagna clandestina. Fa visita in incognito nel sex-shop dove Nino
lavora, gli lascia criptici indizi; lo guida in una misteriosa caccia al tesoro intorno ai giardini
del Sacré-Coeur; risolve persino l’enigma che assillava Nino (l’uomo misterioso è un tecnico delle cabine delle foto-tessere) ma non trova il coraggio di accostarlo direttamente. In
compenso lascia a Nino una serie di sue fotografie, ognuna delle quali lo porta più vicino a
“Les Deux Moulins”.
A “Les Deux Moulins” Joseph ora è geloso di Georgette e il poeta Hipolito si lamenta di
non trovare un editore. Nel frattempo Dufayel insegna a Lucien a dipingere e si meraviglia
delle belle e strane immagini che Amélie gli ha mandato in videocassetta. Collignon, turbato
dai sabotaggi di Amélie, è sull’orlo dell’esaurimento nervoso.
Nino finalmente arriva al caffè ma quando chiede ad Amélie se è lei la donna che lo ha condotto lì, lei perde la testa è dice di no. Dufayel esorta Amélie a uscire allo scoperto e a
rivelarsi a Nino ma lei è terrorizzata. Il destino interviene per intercessione di Gina, che
porta Nino a fare una passeggiata e gli dice che anche lui deve arrivare a Amélie con uno
stratagemma segreto. Dufayel lascia a Amélie una videocassetta in cui le suggerisce di tuffarsi completamente nella vita. Una pista di bigliettini sul pianerottolo conducono, infine,
pian piano, Amélie da Nino. Si baciano, e il mondo intorno a loro torna al suo posto…
IL FAVOLOSO MONDO DI AMÉLIE
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ANALISI DELLA STRUTTURA
«Ma Parigi è un oceano. Se vi si getta un piombo non si raggiunge mai il fondo». (Honorè
de Balzac)
«Mi piace camminare per Parigi. A volte, per interi pomeriggi, senza meta precisa, né proprio a casaccio, né all’avventura, ma cercando di lasciarmi portare. A volte prendo il primo
autobus che si ferma (non si possono più prendere gli autobus al volo). Oppure preparo
accuratamente, sistematicamente un itinerario. Se ne avessi il tempo, mi piacerebbe (…)
trovare un itinerario che, attraversando tutta Parigi, passi soltanto per strade che cominciano per la lettera C». (Georges Perec, Specie di spazi)
A proposito della genesi del film, il regista Jean-Pierre Jeunet racconta:
«A suggerirmi l’idea di una ragazza che decide di riparare ai torti subiti dagli altri è stato sia
un racconto di Paul Auster in cui una donna cambia la vita di un uomo regalandogli anonimamente dei bei vestiti, sia un film di Paul Vecchiali, Les ruses du diable, in cui la giovane protagonista trova tutti i giorni tra la posta una banconota da 100 franchi. La piccola scatola
dei tesori infantili scovata da Amélie è invece quella di Rudiger Vogler in Il corso del tempo di
Wim Wenders che aveva a sua volta preso l’idea da Il temerario di Nicholas Ray. Ma la verità
è che Amélie Poulain sono io, con gli aneddoti della mia esistenza e l’elenco di cose che
amo e che non amo già illustrate in un mio cortometraggio, Foutaises».
Oltre a Amélie, l’altro vero personaggio (collettivo) del film e, al contempo, la scacchiera
sulla quale si distende la sua trama di destini incrociati, è Parigi:
«Parigi è una cartolina elettronica, la scenografia d´un musical americano di Gene Kelly, un
panorama inventato mettendo insieme luoghi comuni e souvenir, oppure è Colonia, la città
tedesca dove parte de Il favoloso mondo di Amélie di Jean-Pierre Jeunet è stato girato (n.d.r.
tutti gli interni)». (Lietta Tornabuoni, La Stampa)
La Parigi di Améie è il frutto di un maniacale lavoro di post-produzione digitale (trasformazioni cromatiche, effettivi visivi speciali, pulizia digitale dell’immagine,…) che accentua la
natura astratta o pittorica dei luoghi e si ammanta sia di tonalità color pastello (da presepe
di marzapane) che di colori mutanti, dall’acido alla quasi-monocromia.
La direzione della fotografia di Bruno Delbonnel: «privilegia cromatismi caldi ed intensi che
contribuiscono a dare a Parigi un look fiabesco, o meglio da libro di fiabe illustrato. Colori
dai fortissimi contrasti: toni seppia, rossi accesi, marroni slavati. (…) È la Parigi di Doisneau
e Brassai. Una Parigi da cartolina d’altri tempi, come quelle che si comprano nelle bancarelle ai lati della Senna». (Matteo Bittanti, Cineforum)
Molte interpretazioni sono state avanzate riguardo ai risvolti simbolici e etici del film (lo si
è accusato di essere un manifesto di propaganda della Francia di Le Pen, di aver trasformato l’immaginario di Parigi in quello di Eurodisney e, infine, si è persino coniato il termine
‘amelismo’ per definire una nuova formula magica ma furba di buonismo ingenuo) ma,
forse, il film, a una seconda lettura e visione: «Non è la fiaba rosa d´una buona fata, ma la
favola nera d´un mondo di personaggi immaturi, inseguitori del sogno, patologicamente
incapaci di accettare la realtà: (una favola) abbastanza cinica, anche cattiva». (Lietta Tornabuoni)
62
ARRIVANO I FILM
In una sequenza iniziale del film si trova una delle allegorie chiave del film, quella della concatenazione universale e della sincronicità: «Vogliono, le regole di questo gioco, che tutto si
tenga, nell’intreccio di storie singolari che è il nostro mondo. Quello che accade nel corti”
giocando a volano o a qualcosa del genere, avrebbe dunque a che fare con l’amore finalmente trovato della ventiquattrenne Amélie Poulain (Audrey Tautou), e quest’amore si
legherebbe al lavoro d’un tale che aggiusta quei gabbiotti in cui ci facciamo terribili foto
formato tessera, nelle stazioni della metropolitana. Insomma, una regia meticolosa e, alla
lettera, super partes provvederebbe a legare nelle nostre vite quello che mai si penserebbe
legato. E così, soprattutto, niente andrebbe perduto di quanto accade. Ogni gesto rientrerebbe in un grande film e ogni sua immagine, anche minima, avrebbe senso. Di chi mai sarà
una tale sceneggiatura smisurata, e di chi la regia? Benché siano del mestiere, Jeunet e Laurant non si sbilanciano. Del caso o del destino? Certo, d’un grande narratore, lo stesso la
cui voce fuori campo ci guida lungo il film». (Roberto Escobar, Sole 24 Ore)
La sceneggiatura suggerisce molteplici cornici di riflessione: ad esempio, il gioco “quel che
ci piace” e “quel che non ci piace” (“Al cinema, mi piace molto voltarmi nel buio e osservare le facce degli altri spettatori,…” ma anche, in ordine sparso, rompere la crosta del crème
brulée con il dorso di un cucchiaino, infilare la mano in un sacco di grano, far rimbalzare i
sassi sull’acqua del canale Saint-Martin,…) diventerà sicuramente uno di quei tormentoni
che nascono al cinema e si diffondono, un po’ “le cose per cui vale la pena di vivere” di
Allen o “dì qualcosa di sinistra” di Moretti.
La collocazione temporale della vicenda è consapevolmente e leggermente anacronistica
(la storia si svolge nella Parigi del 1997) ma il tempo (il suo scorrere, la sua durata) sembra
come sospeso (tra l’imperfetto favolistico del “c’era una volta” e il condizionale del gioco
del caso e del destino alla Eric Rohmer).
L’operazione stilistica del regista è di impronta postmoderna e manierista:
«Nel film c’è un personaggio che ogni anno per vent’anni ha dipinto una copia conforme
dello stesso quadro di Renoir (padre). Alla fine lo riproduce ancora una volta, però cambiandone figure e dettagli. È la metafora di quanto ha fatto Jeunet come sceneggiatore e
regista: ha ricreato il clima dei vecchi film populisti di Renoir (figlio) e di Prévert, ma reinterpretandolo con una sensibilità contemporanea e un po’ beffarda». (Roberto Nepoti, La
Repubblica)
Jeunet si appropria e ricontestualizza una pluralità di codici, di tecniche, di immaginari,
vediamo quali:
1) il cinema di animazione: l’influenza dei cartoni animati è tangibile. Lo stesso regista viene
da quel mondo (i diversi corti realizzati con l’ex partner creativo Marc Caro). Amélie
può essere visto come un omaggio a Tex Avery (la morte della madre), il personaggio
della protagonista può ricordare nel look Olive Oyl, la fidanzata di Braccio di ferro, i
colori strizzano l’occhio a certo universo disneyano, vi sono persino figure animate: il
coccodrillo dell’infanzia e la abat-jour che si spegne da sola.
2) la fotografia: il film è una straordinaria riflessione barthesiana sul medium fotografico.Vi è
la presenza continua di strumenti fotografici, cabine, fotografie, fototessere, polaroid,
instant photos (quelle del cielo realizzate da Amélie nel prologo). Gli stessi titoli di coda
sono costruti come un album fotografico. Il film è poi un omaggio a colori a tutte le
IL FAVOLOSO MONDO DI AMÉLIE
63
fotografie in bianco e nero di Parigi realizzate da maestri quali Ronis, Kertesz,
Brassai, Doisneau, Lartigue,Atget,…
3) La pittura: il film che vive di quadri,
cornici, ritagli…è di per sé un’opera
impressionista. La figura di Dufayel ci
introduce nel mistero della creazione
artistica (la copia infinita del quadro di
Auguste Renoir Déjeuner des canotiers).
4) La letteratura: il film sembra ispirato
alla leggerezza di autori francesi come
Raymond Queneau (Zaziè nel metrò)
Daniel Pennac (la saga di Malaussène),
Georges Perec (Vita: istruzioni per l’uso),
Philippe Delerm (La prima sorsata di birra,
Che bello), Denis Guedji (Il teorema del
pappagallo) ma c’è sicuramente anche un
po’ di Jacques Prévert, di immaginario
avventuroso (Zorro, Il conte di Montecristo,…). Il mestiere sofferto della scrittura trova,
infine, incarnazione nel personaggio di Hipolito.
5) Le estetiche e poetiche del video musicale e della pubblicità: la televisione e i suoi linguaggi
compaiono in numerose scene. All’interno della struttura complessa del film citazioni da
film o frammenti tv (l’annuncio della morte di lady D, immagini sportive: calcio, ciclismo,
pattinaggio artistico, numeri di magia…), spesso in bianco nero – contenute, in particolare, nelle videocassette che si scambiano Amélie e l’anziano signor Dufayel –, assumono
funzioni esplicative, allusive, poetiche, molto efficaci e divertenti.
Angolazioni eccentriche, jump-cut, montaggi frenetici, obiettivi leggermente deformanti,
certi movimenti acrobatici e veloci della macchina da presa appartengono, poi, all’universo virtuosistico della pub (come abbreviano i francesi il termine pubblicità) e del videoclip.
6) Giochi e videogame: al di là delle strategie digitali che legano Amélie all’universo dei videogiochi, il gioco (dell’oca, a nascondino, del tesoro,…) si manifesta a livello tematico/simbolico (il grande gioco del destino, del caso, dell’azzardo). Parigi, come abbiamo già
detto, si presenta come una grande scacchiera, una complessa piattaforma per un rolegame (con molti livelli da superare).
Non dimentichiamoci poi che è una scatola di giocattoli dell’infanzia (un mazzo di 36
carte made in China, cartoline della Svizzera tedesca, il modellino di una Maserati da
corsa, una figurina di porcellana, una puntata delle avventure di Gaston Choquet: Il pesce
che rende folli, biglie, ciclisti di stagno, un coltellino a serramanico, una foto di un campione
di calcio,…) a innescare l’intrigo ludico/esistenziale del film. L’elemento figurale del gioco
compare già nei titoli di testa – si notino le immagini del domino o dei giochi di carta.
7) Il cinema: Amélie rappresenta la categoria del ‘digitale magico’. La sua Parigi (soprattutto
Montmartre) è sorella di quella di Moulin Rouge, Amélie come Satine si muove in un
64
ARRIVANO I FILM
microcosmo fiabesco. Gli effetti speciali si incaricano di mutuare gli affetti e le percezioni
intime dei personaggi (la scena in cui Amélie si frantuma in una cascata di pixel perché
non è capace di esprimere i suoi sentimenti verso Nico, o il cuore rosso intenso che inizia a pulsare come un neon impazzito nella stazione della metropolitana).
Il film attraversa le forme e le figure della storia del cinema dal muto (la prima parte) alle
sperimentazioni pop e postmoderne (la già ricordata estetica del frammento e della citazione) passando per l’omaggio sentito al cinema francese degli anni trenta (in particolare il
realismo magico di Marcel Carnè, Jean Renoir e Renè Clair) e la riverenza verso la Nouvelle Vague e la sua Parigi (Zazie nel métro di Louis Malle, Cleò dalla 5 alle 7 di Agnes Varda, Jules
e Jim di François Truffaut, i corti di Eric Rohmer). Amélie ammalia perché mette in scena il
cinema, il suo dispositivo simbolico, il suo involucro visionario, le sue finzioni ma anche le
sue illusioni,…
L’universo del film è costellato di personaggi curiosi (che a loro volta coltivano il proprio
mondo più o meno favoloso): il padre di Amélie e il suo gnomo da giardino, il proprietario
(Bretodeau) della scatola dell’infanzia, lo scrittore fallito ma forse geniale Hippolito, il bilioso droghiere Collignon e il suo serafico commesso Lucien, il pittore Dufayel detto l’uomo
di vetro, Suzanne, la proprietaria del cafè, Gina e Georgette, la portinaia in attesa delle lettere del marito scomparso, Joseph, il fidanzato geloso, l’uomo misterioso delle cabine fotografiche, …
Figure le cui vite s’intrecciano (come le vite dei personaggi che abitano il condominio parigino del capolavoro di Georges Perec Vita: istruzioni per l’uso) e compongono un mosaico di
parabole e di percorsi esistenziali (veri o verosimili):
“Vero o almeno verosimile – e terribile quasi quanto una foto formato tessera – è che Bretodeau abbia dimenticato e sepolto i suoi sogni in una scatola di latta insieme con una
macchinina e un soldatino.Vero o verosimile – e certo ben più terribile di quella tale foto –
è che il padre di Amèlie non l’abbia mai abbracciata, da bambina, e che a lei il cuore andasse
in tumulto quando lui, finalmente, le si avvicinava anche solo con uno stetoscopio. Veri e
verosimili – forse terribili, forse splendidi – sono tutti gli uomini e tutte le donne perduti
nel tempo e nello spazio, smarriti dentro le proprie vite, di cui Jeunet e Laurant provano a
inventarci un racconto, come se ognuno di loro fosse protagonista d’una sceneggiatura
totale e d’un film smisurato. Di chi sono mai le loro vite? (…) Per quanto smisurata sia la
sceneggiatura e totale sia il film del cui ipotetico autore udiamo la voce fuori campo, si può
sempre modificarne la trama e le immagini standoci dentro. Comunque, si può sempre tentare di farlo. Il risultato inaspettato, per quanto non garantito, talvolta è la felicità o qualcosa che le somiglia molto. (…) Ben lo sanno Nino e Amèlie, che chiudono il film in sella a
una moto, lei seduta dietro e lui davanti, innamorati”. (Roberto Escobar, Sole 24 Ore)
Il film (e il mondo) girano intorno a Amèlie Poulain (una intensa Audrey Tautou), un personaggio complesso nella sua risolutezza a modificare (o alleviare) le storture del mondo,
come un angelo o come Zorro.
“Amélie è una tempesta di emozioni aperte all’inquietudine, all’incantesimo e all’assurdità
della vita. Una narcisista che sogna il suo funerale di stato alla televisione, ricordando allo
spettatore che ogni uomo e ogni donna del mondo lo meritano. (…) Amélie è una mitomane della giustizia morale: con sotterfugi domestici sconnette l’egocentrico equilibrio di un
IL FAVOLOSO MONDO DI AMÉLIE
65
crudele bottegaio; combina l’amore tra una tabaccaia grassa e un geloso di professione; per
scuotere il padre, gli ruba il nanetto del giardino e chiede a un’amica hostess di fotografarlo
in giro per il mondo. Capace di riconoscere le epifanie della vita (che tuttavia sembrano un
po’ pronte tutte per lei), percepisce il dolore del mondo come equivoco d’infelicità. Gli animali, i quadri, le foto parlano perchè il mondo è vivo. Gagliardamente truccato”. (Silvio
Danese, Il giorno)
ITINERARI DIDATTICI
Parigi nell’immaginario
– Parigi nell’immaginario cinematografico (dai fratelli Lumiére a Luc Besson, da Marcel
Carné a Jacques Rivette, da Vincent Minnelli a François Truffaut )
– Parigi nell’immaginario letterario (da Victor Hugo a Georges Perec, da Honorè de Balzac
a Denis Guedji)
– Parigi nell’immaginario fotografico (da Atget a Brassai, da Kertesz a Ronis,…)
ELEMENTI
PER LA DISCUSSIONE
Amélie, il destino, l’amore, il gioco, la fuga,… (confronto con la lettura del personaggio suggerita dal critico Silvio Danese, citata nell’analisi della struttura)
Nino e le (foto)tessere del puzzle dell’esistenza
I personaggi intorno a Amélie (il padre, la portiera, Collignon, Hippolito, Gina, Georgette,
Dufayel,…)
Parigi: scacchiera, specchio, labirinto,…
Il fascino delle ‘piccole cose’ (confronto con il proprio elenco personale)
Scatole di giocattoli (e di ricordi): microcosmi di emozioni
Forme e figure del film (montaggio, movimenti di macchina, scenografie, fotografia, musiche,…)
I riferimenti intertestuali del film (cinema, televisione, letteratura, pittura, fotografia,…)
La voce narrante e le voci (interiori) dei personaggi
Infanzie e vecchiaie (stagioni e universi paralleli)
66
ARRIVANO I FILM
IDEE
– Visita virtuale (o reale) alla Videothéque di Parigi, oggi ribattezzata Forum des images:
(www.forumdesimages.net/collection/coll-pp.html
La memoria audiovisiva di Parigi e della sue periferie: 6500 titoli dal 1985 ai nostri giorni: fiction, documentari, spot, trasmissioni televisive, film amatoriali, lunghi e cortometraggi.
In particolare la collezione permette di vedere 750 lungometraggi (da Amanti perduti di
Marcel Carné a L’ultimo métro di François Truffaut)
– Gioco:
Alla ricerca dell’anima gemella
Ricercare su una mappa di Parigi tutti i luoghi indicati nel film (quartieri, stazioni, stradine, parchi,…):
Notre-dame, Rue des trois-frères 56 (dove abita Amélie), Rue Lepic 15 (dove si trova il
café Les Deux Moulins), la gare du Nord-Est, la stazione métro di Abbesses, Rue d’Alsace,
Boulevard de Clichy (dove si trova il sexy-shop), i giardinetti Saint-Pierre, Le SacréCoeur, la stazione métro La Motte-Picquet-Grenelle, Rue Lecourbe 104, Place Denfert,
la stazione métro di Stalingrad,…
– Gioco:
Portare a scuola 4 fototessere (creative) e costruire un album-puzzle (d’identità) della
classe
– Visione di Delicatessen di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro
INDICAZIONI
BIBLIOGRAFICHE
– Il favoloso album di Amélie Poulain, Mondadori, 2002 (il volume contiene anche una serie
di giochi e permette di inventarsene altri)
– Parigi e il cinema:
Paolo Castelli Paris vu par Rohmer in Eric Rohmer.
La parola vista CSC-Moretti & Vitali, Milano, 1996
Jean Douchet, Gilles Nadeau Paris, Cinéma Editions du May, Paris, 1987
IL FAVOLOSO MONDO DI AMÉLIE
67
I NOSTRI ANNI
:
LIATA
ONSIG
ETÀ C ANNI
4
1
I
DA
I nostri anni
Italia, 2000
di Daniele Gaglianone
68
ARRIVANO I FILM
PERCORSO
• Frammenti di storie italiane
vedi Catalogo 2001/2002
Regia: Daniele Gaglianone
Sceneggiatura: Daniele Gaglianone,
Giaime Alonge
Fotografia: Gherardo Gossi
Montaggio: Luca Gasparini
Musica: Massimo Miride, Giuseppe Napoli,
Monica Affatato, Daniele Gaglianone
Scenografia: Valentina Ferroni
Costumi: Marina Roberti
Interpreti: Virgilio Biei (Alberto), Piero Franzo
(Natalino), Giuseppe Boccalatte (Umberto Passoni),
Massimo Miride (Alberto giovane), Enrico Saletti
(Natalino giovane), Luigi Salerno (Silurino),
Diego Canteri (Umberto Passoni giovane),
Luciano D’Onofrio, Stefano Ferrero, Carlo Cagnasso
(partigiani feriti)
Produzione: Gianluca Arcopinto, per Pablo
Durata: 90 min.
Distribuzione: Pablo Distribuzione Indipendente
A CURA DI MARCO BORRONI
SINOPSI
Alberto è anziano, solo, in preda a un’inquietudine difficile da placare: si aggira fra i binari di
una stazione, apparendo come inghiottito dal caos e dalla frenesia che lo circondano. La sua
destinazione è un pensionato situato in una località di collina, una specie di residenza estiva
in cui però aleggia un’atmosfera greve da “parcheggio” per vecchi dimenticati. Le giornate
di Alberto trascorrono stancamente finché non sopraggiunge un nuovo ospite di nome
Umberto, bloccato sulla sedia a rotelle in condizioni precarie, col quale pare stabilirsi una
parvenza di contatto, di faticoso rapporto umano.
Alberto ha un amico, Natalino, che vive isolato in un paesino sperduto fra le montagne piemontesi: in quegli stessi luoghi, cinquant’anni prima, i due avevano partecipato alla lotta partigiana contro i nazifascisti, condividendo esperienze impossibili da dimenticare o da seppellire in un quieto oblio pacificatore.Alberto e Natalino allora erano poco più che ventenni, e malgrado ciò non avevano esitato a sacrificare la loro gioventù nel tentativo di riconquistare e di difendere il valore più prezioso: la libertà. Ma il tempo e il nuovo Paese sorto
dalle ceneri della guerra si sono dimostrati ingrati con quelli come loro, esacerbandone gli
animi con una volontà di rimozione che Natalino esprime con parole dure, secche e disilluse ai giovani ricercatori universitari che lo stanno intervistando.Alberto, dal canto suo, non
ha mai saputo liberarsi degli orrori di cui è stato testimone e che lo hanno accompagnato,
come un’ombra crudele, nei decenni a venire, trasformati in un’ossessione velenosa e
interminabile.
D’un tratto, tuttavia, per Alberto l’opportunità di chiudere i conti col passato sembra presentarsi in maniera inaspettata, allorché la sua mente viene attraversata da una sconvolgente illuminazione: il mite e malmesso signor Umberto, col quale compie lunghe passeggiate
chiacchierando del più e del meno, altri non è che il feroce e spietato comandante della
squadraccia che aveva torturato e ucciso alcuni dei suoi compagni, proprio davanti ai suoi
occhi increduli e alla sua dolorosa impotenza. Per Alberto è finalmente giunto il momento
della vendetta, coltivata a lungo e disperatamente; scosso da un’agitazione incontrollabile,
raggiunge Natalino nel suo eremo e gli confida la sua scoperta, esortandolo a fare giustizia
nell’unica maniera ammissibile: con le armi, ripagando della stessa moneta l’antico nemico
per gli indicibili misfatti di cui si è macchiato. Natalino è perplesso, avverte la profonda inutilità di quel gesto estremo ma al contempo, quasi per inerzia, si lascia convincere, ripulisce
una pistola e un fucile ormai arrugginiti e segue l’amico, sempre più risoluto e impaziente di
portare a termine il progetto.
Nonostante una serie di imprevisti, Alberto e Natalino arrivano a tu per tu con Umberto,
lo sequestrano e gli rivelano la propria identità, barricandosi nella camera della vittima
designata dopo che un’imprudenza aveva accidentalmente rivelato il loro piano a una delle
assistenti dell’istituto. Ma spegnere, deliberatamente e a sangue freddo, una vita umana non
è semplice per nessuno: neppure per chi ha visto la morte in faccia quando non era che un
ragazzo, e con quello spettro ha dovuto condividere un’intera esistenza.
I NOSTRI ANNI
69
ANALISI DELLA STRUTTURA
I nostri anni, lungometraggio d’esordio di Daniele Gaglianone (Ancona, 1966) è tutt’altro
che un film agevole: al contrario è ostico, scabroso, dall’andamento quasi scostante, ma
soprattutto ha il coraggio di affrontare senza mediazioni temi e soggetti per loro stessa
natura controversi, talvolta distorti e travisati, più spesso mistificati e strumentalizzati.
“Resistenza” è una parola dal peso specifico enorme, e il solo pronunciarla suscita reazioni
che vanno dall’entusiasmo viscerale all’imbarazzo, dalla retorica celebrativa all’insofferenza
e al disagio. Impegnato da oltre un decennio in un’assidua attività di collaborazione con
l’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza di Torino, Gaglianone riporta sul
tavolo la questione facendo confluire in questa sua opera prima riflessioni e suggestioni già
ampiamente sviluppate nei suoi lavori precedenti, corti e mediometraggi girati tanto in pellicola che in video: con l’evidente preoccupazione, però, di coniugare il discorso al presente, di saldare le tracce della memoria individuale di cui i personaggi sono portatori con la
percezione che, qui e ora, la nostra società conserva nei confronti di una delle pagine decisive e fondanti della Storia recente del nostro Paese.
Da un punto di vista strutturale, lo spunto dal quale procede la narrazione è un dilemma di
tipo etico, legato alla decisione di Alberto di punire l’ex comandante fascista, cui ora si
trova accomunato nella medesima condizione di anziano solitario ed emarginato, per gli
efferati delitti commessi oltre mezzo secolo prima, rimasti impuniti anche dopo la fine del
conflitto e la sconfitta della parte avversa.Tramite la figura di Alberto, Gaglianone introduce
il senso di una lacerazione insanabile che si è protratta nel tempo e che produce come
conseguenza la continua oscillazione fra l’indefinita e malinconica piattezza dell’oggi e la
bruciante sopravvivenza di un passato mai metabolizzato, rese entrambe tangibili senza
soluzione di continuità al nostro sguardo: “Gaglianone decide di non colmare lo stacco, si rifiuta
di sanare cinematograficamente la ferita oggetto del film e impegna lo spettatore in un andirivieni
doloroso fra passato e presente. La scelta di bruciare i raccordi, di negare la continuità, di aderire
sempre solo parzialmente al regime realistico sfuggendo alla necessità della comprensibilità immediata non risponde a logiche sperimentalistiche. È l’adesione profonda al destino dei personaggi che si fa struttura portante del film”
(Mosso). Ma non è tutto: gli eventi materializzati dai ricordi di Alberto sono i
medesimi vissuti da Natalino, ma il percorso personale di quest’ultimo è assai
differente e lo ha indotto a preferire per
sé un amaro ma dignitoso isolamento fra
le montagne, capace di lenire almeno in
parte quel dolore e quel rabbioso disincanto (esplicitamente rivolto all’Italia
contemporanea e al suo “nuovo ordine”,
ben lontano da quello che lui, Alberto e
gli altri avevano sognato) che affiorano
dalle risposte ai quesiti dei suoi interlocutori.
70
ARRIVANO I FILM
Come si vede, I nostri anni riposa su una tessitura complessa, dagli equilibri delicati, che a
livello cinematografico esigeva l’adozione di opzioni linguistiche in grado di restituirne
appieno le intenzioni. Ed è esattamente in questa direzione che Gaglianone ha indirizzato i
suoi sforzi, come si evince dalle note di regia: “Questa storia vuol essere raccontata essenzialmente attraverso la dimensione visiva. Ogni differente modo di sentire il mondo (nel suo inestricabile groviglio di passato e presente) trova il suo corrispondente nel modo di costruire le immagini.
C’è il passato soggettivo, c’è il passato ricordato dai diversi personaggi che hanno ovviamente
anche un diverso modo di vivere il presente. Il linguaggio cinematografico pensato per il film tende
così ad aderire al carattere dei personaggi nella ricerca di un’immagine come sintesi ultima tra le
varie dimensioni, sulle tracce del tentativo dei protagonisti di ritrovare l’amicizia di un tempo, la
memoria della giovinezza perduta e il senso sempre sfuggente da dare a un’esistenza ormai prossima a sciogliersi nel definitivo buio delle palpebre che si abbassano”. Ecco quindi motivarsi l’accuratezza degli interventi sui materiali e dei procedimenti di fotografia e di stampa (filtri,
sgranature, sovraesposizioni, vidigrafie, gonfiaggi), che per ottenere la gamma delle tonalità
di bianco e nero desiderate si sono applicati a ben quattro tipi di pellicola a 16mm, oltre al
super8 e al supporto video: un autentico tour de force professionale necessario a comporre
il mosaico emozionale del film, al quale hanno dato il loro contributo i “non attori” (tradizionalmente non facili da gestire, come ben sanno gli addetti ai lavori) chiamati a interpretare sia i personaggi principali che quelli secondari.
Dopo aver riconosciuto in Umberto il carnefice tanto odiato, Alberto crede di poter finalmente pareggiare le proprie pendenze con la vita tramutandosi in vendicatore, in giustiziere. Le esitazioni e i tentennamenti di Natalino non lo fanno recedere dai suoi propositi;
anzi, è lui a trascinare il vecchio compagno, a scuotere la sua ritrosia. Ma già il fortuito
incontro coi carabinieri, nonché i maldestri preparativi dell’operazione, funzionano da spia,
sollevano dubbi e interrogativi: forse il non riuscire a dare la morte a un altro essere
umano, per quanto colpevole, non è un segno di debolezza; forse anche rinunciando a quell’atto irrevocabile si può trovare in sé la
forza di mettere a tacere i fantasmi interiori. Con una consapevolezza – quella di
essere stati “dalla parte giusta” – che
nemmeno la confusa morale corrente
potrà mai sperare di scalfire.
I NOSTRI ANNI
71
ITINERARI DIDATTICI
La Resistenza in Italia
1) La lotta di liberazione dal giogo nazifascista: una ricostruzione storica, dall’armistizio
dell’8 settembre 1943 all’aprile 1945.
2) La dislocazione sul territorio dell’opposizione partigiana nel Nord e nel Centro della
penisola, la brutale rappresaglia nazista e repubblichina.
3) Tattica e organizzazione: la formazione delle bande, le tecniche del sabotaggio e della
guerriglia.
ELEMENTI
PER LA DISCUSSIONE
– «I nostri anni sono passati come una storia che ci è stata raccontata / e il luogo dove
accaddero queste cose non ne serberà traccia»: la frase che apre il film come sintesi dell’esistenza di persone come Alberto e Natalino, costrette – al pari di coloro che hanno
condiviso le loro scelte – a invecchiare troppo presto, sopraffatte dai drammi della Storia.
– Il disorientamento di Alberto: un uomo indelebilmente segnato dalle esperienze vissute
in gioventù, per il quale il passato non è mai veramente trascorso.
– La delusione di Natalino, il suo rifiuto di una “riconciliazione” che molti identificano
sommariamente con la riscrittura di fatti storicamente accertati, colpo di spugna agli
ideali e alle motivazioni di tutta una generazione.
– L’occasionale nascita di una spontanea complicità come parziale antidoto alla tristezza
della residenza per anziani, sorta di anticamera del definitivo congedo con la vita.
– La vendetta, il perdono, il superamento dialettico, il rimpianto, l’oblio…: alla coscienza di
ognuno (nel finale del film a quella di Alberto e Natalino, ma anche di Umberto) la
responsabilità di stabilire il modo per regolare i conti con ciò che è stato.
– Le soluzioni narrative e visive del film: i continui flashback e le fratture temporali,
l’”astrazione” del bianco e nero, la commistione di supporti e formati (pellicola, video), il
sonoro in presa diretta, l’irrequietezza e l’instabilità delle riprese.
IDEE
– Dai libri di Storia a voci e volti “reali”: attraverso una presa di contatto con la più vicina
sezione dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI), la verifica della possibilità
– purtroppo ormai sempre più rara, per ragioni anagrafiche – di un incontro con chi ha
vissuto in prima persona gli anni della Resistenza.Ai racconti e alle testimonianze dirette
si potranno integrare (o sostituire, nei casi meno fortunati) visioni e letture estrapolate
dalle filmografie e dalle bibliografie consigliate dalla stessa Associazione.
72
ARRIVANO I FILM
JIMMY GRIMBLE
:
LIATA I
N
ONSIG
ETÀ CI 11 AI 14 AN
L
G
DA
Produzione: Sarah Raclyffe, Jeremy Bolt,
Alison Jackson, Claire Hunt
Soggetto: Simon Mayle
Sceneggiatura: Simon Mayle, John Hay,
Rik Carmichael
Fotografia: John De Borman
Scenografia: Michael Carlin
Musiche: Simon Boswell,Alex James
Montaggio: Oral Norrie Ottey
Interpreti: Lewis McKenzie (Jimmy Grimble),
Robert Carlyle (Eric Wirral), Bobby Power (Gorgeous),
Gina McKee (Donna), Samia Ghadie (Sara),
Ray Winstone (Harry), Jane Lapotaire (Alice Brewer)
Durata: 105 min.
Distribuzione: Medusa
There’s only one Jimmy Grimble
Gran Bretagna/Francia, 2000
di John Hay
JIMMY GRIMBLE
73
A CURA DI PAOLO CASTELLI
SINOPSI
Jimmy Grimble, 15 anni, è un ragazzo di Manchester, tifoso della squadra di calcio meno
forte della città, il Manchester City, mentre tutti i suoi amici tifano il più blasonato Manchester United.
Jimmy è bravissimo a giocare a pallone da solo, mentre è una disastro quando è in campo
con i compagni di scuola. Colpa della timidezza e di una situazione familiare non felice: la
mamma, Donna, non naviga nell’oro, inoltre ha un nuovo fidanzato, Johnny, un vero cretino
egocentrico con la passione delle moto.
Mentre Jimmy vorrebbe che lei tornasse insieme Harry, l’uomo che l’ha amata e l’ama ancora, l’unico che vuole bene anche a Jimmy: Harry tifa Man City, Jimmy l’ha semplicemente
emulato. Unico problema: Harry è sposato. Gorgeous è il bulletto della scuola, naturalmente
tifoso del United: le ragazze cascano ai suoi piedi, gioca bene a pallone, non ascolta gli insegnanti e si diverte a tiranneggiare il più debole Jimmy. Eric Wirral è invece l’allenatore della
squadra di calcio: un tipo del tutto demotivato, che viene deriso dallo stesso Gorgeous.
Alle selezioni per definire la formazione che parteciperà al torneo inter-scolastico sono in
12, Jimmy farà naturalmente la riserva. Il preside della scuola comunica a Eric che se la
squadra arriverà in finale, Ken Burley, il padre di Gorgeous, darà un grosso contributo per
la costruzione di una nuova palestra.
Nel frattempo Jimmy conosce Sara, una ragazza molto dolce che ama il pugilato ed è fuori
dai giri ‘in’ della scuola: i due si piacciono, solo che Jimmy non ha il coraggio di manifestarsi.
Più avanti lei lo bacerà di fronte a Gorgeous, per incitarlo a ribellarsi, a crescere, ad avere il
coraggio delle proprie scelte e dei propri sentimenti: ma è ancora presto, Jimmy scapperà
di fronte agli occhi di Sara e Gorgeous.
Un sera, durante l’ennesima corsa per sfuggire a Gorgeous, Jimmy finisce nel sotterraneo di
una casa abbandonata dove trova una vecchia simpatica ma un po’ strana. Sembra che sappia tutto di Jimmy, gli regala un paio di scarpini da calcio che sono stati di un grande calciatore del Man City, Robbie Brewer. Fuori di lì, però, Jimmy butta gli scarpini dentro un cassonetto per l’immondizia.
La squadra va in trasferta per la prima di campionato: gli avversari sono veri e propri teppistelli. Poco prima di partire Gorgeous ha buttato via le scarpe da calcio di Jimmy, che però
va a recuperare gli scarpini della vecchietta dentro al cassonetto e giunge al minibus giusto
in tempo per la partenza.
Gol di Gorgeous, poi il pareggio, poi l’infortunio di Gorgeous. Lo stanco Eric fa entrare
Jimmy, letteralmente terrorizzato. Tocca palla una sola volta, quando è solo nella propria
area di rigore con gli avversari inferociti che stanno sopraggiungendo in contropiede: ne
viene fuori uno stranissimo pallonetto che attraversa tutto il campo e finisce dentro la
porta avversaria. La squadra passa il primo turno, Jimmy e i compagni pensano che quegli
scarpini siano dotati di poteri magici. Jimmy vuole avere informazioni su Robbie Brewer.
Va negli uffici del Manchester City, gli indicano un indirizzo dove abita una persona che sa
tutto della squadra. Con sua grande sorpresa ci trova l’allenatore Eric, che gli rivela di aver
giocato come centroavanti del City per diversi anni fino a un episodio sfortunato che ha
segnato la fine della sua carriera. Ma il calciatore Robbie Brewer, dice Eric, non l’ha mai
incontrato né sentito nominare. Il campionato prosegue, Eric vorrebbe mettere da parte
Gorgeous perché non conosce lo spirito di squadra. Interviene però suo padre, sostituen-
74
ARRIVANO I FILM
dosi all’allenatore. Ma la squadra va male, Jimmy segna ancora, poi i compagni vengono a
sapere del passato di Eric: i ragazzi cominciano a rispettare il loro vero coach, vogliono a
tutti i costi lui come allenatore e Jimmy titolare. Il padre di Gorgeous viene messo da
parte: da lì inizia un lungo cammino trionfale che porterà la squadra in semifinale, soprattutto grazie ai molti goal di Jimmy. Donna, la madre di Jimmy, sta per sposare Johnny, ma
una sera Harry la salva dal suo principale che la sta molestando nel suo ufficio di centralinista. Riaccompagnandola a casa, Harry incontra Johnny: l’incontro è ‘fatale’, Donna capisce
definitivamente che è Harry l’uomo della sua vita. Anche lui prova gli stessi sentimenti per
lei e, infatti, una sera propone la separazione alla moglie, che subito accetta.
In quel momento i due si abbracciano, Jimmy li sta spiando dal giardino di casa loro, li vede:
interpreta il gesto in modo sbagliato, come una conferma del matrimonio. Col morale a
terra si reca allora dalla vecchietta per sapere qualcosa di Robbie Brewer: lei gli dice che è
suo figlio, che l’ha abbandonata il giorno in cui siè accorto che la madre – anche se a fin di
bene – gli aveva mentito sulla sua malattia.
Il giorno seguente Jimmy vede che un bulldozer sta buttando giù la casa dove vive la vecchietta. Cerca di fermarli, ma invano: e del resto poco dopo la vede fuori, morta assiderata.
È il momento prima della finale inter-scolastica, tutti si stanno dirigendo verso il mitico stadio di Main Road, dove giocano le due squadre della città: Harry, Eric e anche Sara, alla
quale Jimmy ha chiesto – finalmente, con coraggio – di esserci, alla partita.
Anche Donna sta andando a vedere il figlio: dopo aver cacciato via di casa Johnny, avendo
scoperto che rubava i soldi dal portafoglio. Una perdita da poco, visto che appena fuori di
casa il bulletto da strada incontra la (stupida) ragazza di Gorgeous, con la quale sembra
intendersi a meraviglia.
Poco prima dell’inizio della partita, Gorgeous dice al preside di lasciare fuori Jimmy: c’è un
osservatore del Manchester United sugli spalti, è bene che scelga senza ombra di dubbio
Gorgeous, visto che in una partita precedente sembrava aver preferito Jimmy. Il preside è
combattuto: il padre di Gorgeous, infatti, ha ritrattato la sua promessa, contribuirà alla
costruzione della nuova palestra solo se la squadra vincerà e il figlio verrà scelto.
Il preside trasmette ‘l’ordine’ a Eric, che però non ci sta: dice al preside di dare lui la notizia
ai ragazzi.
I compagni di Jimmy subito si ribellano e minacciano di non giocare se non ci sarà il loro
capocannoniere. Il preside decide allora di infischiarsene di quel ricatto, ma in quel momento Jimmy non trova più i suoi scarpini fatati: poco prima Gorgeous glieli ha buttati dentro
un canale. Eric gliene compra un paio nuovi ma Jimmy sente la sfiducia in sé stesso riprendere il sopravvento come un tempo. Il primo tempo finisce con due goal di svantaggio e
Jimmy che ha giocato male come non mai. Nell’intervallo due episodi gli faranno riconquistare la fiducia nei propri mezzi: da un lato la confidenza dell’allenatore Eric che gli rivela il
suo dramma passato (la dipendenza dall’alcool), la cui morale è “bisogna cercare di farcela
con le proprie forze” (prima di scendere in campo Eric beveva sempre un goccio di vodka
per farsi coraggio, fino al giorno in cui – dopo aver esagerato – aveva causato un incidente
quasi mortale a un calciatore della squadra avversaria), dall’altro l’arrivo di Harry. Harry,
quando viene a conoscenza della storia degli scarpini magici, lo porta dal vero Robbie
Brewer: è il venditore cieco dei programmi delle partite di calcio allo stadio.
JIMMY GRIMBLE
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Gli scarpini non li aveva mai usati, ergo, non possono essere fatati: Jimmy aveva segnato
tutti quei goal perché è un buon calciatore.
Il secondo tempo è l’apoteosi di Jimmy: segna, poi segna Gorgeous – che però viene deriso
dai compagni – e poi ancora Jimmy, che fa carambolare il pallone sulla faccia di Gorgeous.
La scuola ha vinto il campionato: il preside è al settimo cielo, Harry e Donna sono di nuovo
insieme, Eric ha nuovamente trovato rispetto per sé stesso e si è riconciliato con il suo
passato sfortunato. Il selezionatore dello United sceglie Jimmy ma lui dice di voler giocare
nel City.
Si fa avanti Gorgeous ma il selezionatore gli preferisce il portiere, tutto snodato, grande
amico di Jimmy. Il nostro eroe ha anche trovato il coraggio di stare insieme a Sara senza
complessi.
ANALISI DELLA STRUTTURA
John Hay, il regista:
«L’adolescenza è un’esperienza incredibilmente intensa per i ragazzi e le ragazze perchè
passano da un estremo all’altro, ogni cosa è per loro più intensa ed emotivamente coinvolgente, non hanno l’equilibrio dell’età adulta.
La storia di Simon [l’autore dell’idea, n.d.r.] riflette questi estremi: quando Jimmy è giù, si
sente il peso del mondo sulle spalle; quando è su, fa salti di gioia. [...]
Quello che mi ha colpito è stato anche il tema della lotta di un ragazzo per credere in sè
stesso.A scuola viene tormentato perchè è piccolo e insignificante – è un bersaglio facile –
ma il calcio diviene la sua via di fuga dal ruolo di vittima.
Il calcio non è l’obiettivo principale – benchè sia qualcosa con la quale molte persone possono certo identificarsi – serve a Jimmy, semplicemente, come mezzo per scoprire sè stesso. [...] È una favola urbana moderna su come un ragazzo superi tutti gli ostacoli e impari
ad avere fiducia in sè stesso».
Jimmy Grimble è davvero una favola urbana (la morale finale di Jimmy ce lo ricorda: “Così
eccoci alla fine.Abbiamo vinto, io ho una ragazza e un nuovo papà. E tutto in un giorno. Ma
questo genere di cose, beh…succede solo nelle fiabe”) che usa il calcio per svelare le sue
componenti umane (come di altri sport di gruppo):
“Da un lato le sue potenzialità di fascinazione individuale, o identificativa (chi sta in campo
e chi guarda: in sintesi il bisogno di sentirsi eroi in prima persona, o attraverso qualcun
altro più bravo di te); d’altro canto le sue possibiltà ‘sociali’ e socialiazzanti (chi gioca ha
voglia di farsi accettare e riconoscere dalla squadra soprattutto per imparare a stare con
gli altri nella vita)”. (Marco Lombardi Film).
La costruzione drammaturgica contamina commedia, dramma (le molestie sessuali alla
madre di Jimmy, la morte della barbona, il passato dell’allenatore Eric, la malattia che porta
alla cecità Robbie Brewer,…) e fiaba (le scarpette forse magiche), struttura un puzzle di
intrecci paralleli (la maturazione verso la consapevolezza di Jimmy, la risoluzione del mistero delle scarpette, il trauma segreto di Eric, il destino di Gorgeous, il flirt tra Jimmy e Sara,
il campionato inter-scolastico, la love-story di Donna e Harry,…) che converge verso l’inevitabile happy ending allo stadio.
76
ARRIVANO I FILM
La regia di John Hay ci regala un’intensa capacità di raccontare non solo le emozioni del
gioco del calcio attraverso angolazioni intenzionali (ad esempio, l’angolazione quasi a piombo dopo il primo atto di bullismo verso Jimmy, a scuola o l’angolazione dall’alto, dal punto
di vista di Sara, verso Jimmy, nel cimitero) e movimenti di macchina da presa complessi e
virtuosistici: in particolare un uso coinivolgente della steady-cam che mima (ma con maggior fluidità) la camera a mano affiancandosi spesso al proprio antieroe o pedinando le sue
scarpine ‘magiche e il pallone.
Il repertorio dei movimenti di macchina si completa con carrellate (l’intenso carrello indietro dagli occhi del cieco Robbie Brewer, personaggio che ricoprirà una funzione quasi
catartica nello scioglimento della trama, la carrellata circolare intorno a Jimmy all’inzio del
secondo tempo della finale), panoramiche a scoprire, un uso accorto di dolly e di gru (l’innalzamento solenne verso il cielo della mdp dopo il goal nel fango di Jimmy, lo sguardo dall’alto sulla strada innevata dov Jimmy lascia cadere le sue scarpette dopo aver constatato la
morte della vecchietta) e di camera-car (le corse di Jimmy a mozzafiato per strade e vicoli).
Il lavoro sul montaggio curato da Oral Norrie Ottey è attento (in particolare per quanto
riguarda l’elemento epico/psicanalitico costituito dal calcio) a costruire e restituire le
dimensioni sia spaziali del campo sia temporali del respiro interiore di Jimmy(aspirazioni,
pause, titubanze, sensi di vuoto,…).
Per quanto attiene alle forme del montaggio segnaliamo tra le molte intuizioni: la prima dissolvenza incrociata che appare significativamente dopo circa venti minuti abbracciando letteralmente, anche attraverso una sovrimpressione, lo sguardo di Jimmy, la vista dello stadio
e lo zainetto del Manchester City; il montaggio aggressivo e sincopato e l’uso del ralenti
nell’azione del goal di Jimmy nella prima partita (nel fango di un campo di periferia); la montage-sequence che riassume attraverso dissolvenze incrociate sul tabellone degli incontri la
scalata trionfale della squadra di Jimmy nel campionato interscolastico, il montaggio alternato tra la corsa di Jimmy e il bulldozer che sta abbattendo la casa della vecchietta,…
L’identicazione con Jimmy passa attraverso un uso notevole della narrazione in prima persona: voce interiore e figura della soggettiva.
La voice-over opera fin dalla sequenza dei titoli di testa (“…calciatore, calciatore, calciatore…”) e dall’incipit in cui Jimmy, inquadrato dall’alto, in camera sua, legge un libro (Fear,
Paura) sull’ansia di prestazione e poi, guardandosi allo specchio grida a sé stesso:“Sono una
tigre, sono un serial-killer, son Mel Gibson in Arma letale, sono Terminator… sono una nullità…”.
La soggettiva si manifesta in vari punti critici (ad esempio, lo stupore di Jimmy, rafforzato
dall’uso di una canzone romantica, di fronte alla vista d’insieme dello stadio; lo sguardo di
Jimmy fuori dalla finestra di Harry che produce un malinteso circa le sue vere intenzioni
verso sua madre) ma si presenta, in maniera davvero inquietante, quando il datore di lavoro
della madre di Jimmy si dirige (di sera, nell’ufficio delle prenotazioni dei taxi) verso di lei
con intenzioni moleste.
L’interazione tra colonna sonora, anche se mutua i modelli della videomusica, spesso risulta
funzionale a caricare il racconto del giusto pathos emotivo (ad esempio, il testo della canzone I want it now nel primo tempo della finale allo stadio Main Road).
JIMMY GRIMBLE
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Le partite scandiscono una serie di riti di passaggio verso la fiducia in sé stesso di Jimmy, il
campo di calcio diventa metaforicamente la stanza dello psicanalista il cui perimetro detta
la ricerca del ‘rigore’ interiore (vedi anche la funzione simbolica rivestita dal passaggio sotterraneo del Main Road dove Eric rivela il proprio dramma e sprona Jimmy (“Vedi Jimmy
quando sei là fuori sei solo… puoi contare unicamente su te stesso”) e Harry disvela il
mistero degli scarpini di Robbie Brewer.
Lewis McKenzie, l’intenso attore esordiente, che interpreta Jimmy, prima di iniziare il film
non sapeva quasi dare un calcio al pallone e l’imbarazzo calcistico che ci comunica è del
tutto reale, per nulla studiato.
I personaggi intorno a Jimmy, come spesso nelle sceneggiature di scuola britannica, hanno
tutti uno spessore ma è la figura dell’allenatore, ex-calciatore, Eric (Robert Carlyle) che più
sfugge, incapace di raccontare fino in fondo il suo dramma e il cui ritorno a una accettazione positiva del suo ruolo (e del suo destino) risulta po’ troppo meccanica.
È un vero peccato perché la sua storia è assimilabile a tante parabole sfortunate di calciatori inglesi e non (da Tony Adams a George Best fino a Diego Armando Maradona) e ci
ricorda il volto nascosto della performance sportiva, l’incapacità di convivere con la pressione che comporta e l’impossibiltà di gestire il successo.
“La (brutta) commedia all’italiana degli anni ’70 e ’80 ha prodotto filmetti sul calcio tipo
L’arbitro (con Lando Buzzanca) e Paulo Roberto Cotechino, centroavanti di sfondamento (con
Alvaro Vitali), ma il calcio era un puro pretesto per giungere alla solita storiella pseudo erotica con tanto di tette e reggicalze da mettere in mostra. A parte il bellissimo All’ultimo
minuto (di Pupi Avati, con l’eccezionale Ugo Tognazzi) e il recente La coppa (la storia di un
gruppo di giovani monaci buddisti pazzi per il football), pochi altri film hanno cercato di
raccontare la filosofia che sta dietro a questo gioco”. (Marco Lombardi Film). Jimmy Grimble
ci riesce.
Jimmy Grimble ha vinto l’Orso di Cristallo al Festival di Berlino come Miglior Film per
Ragazzi, il Primo Premio ai festival internazionali di Antwerp, Poznan e Malmo.
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ARRIVANO I FILM
ITINERARI DIDATTICI
Il calcio nell’immaginario cinematografico
– Figure del calcio (allenatori e presidenti di società): da Il presidente del Borgorosso Football
Club a All’ultimo minuto
– Figure del calcio (calciatori e arbitri): da L’arbitro a Best
– Figure del calcio (tifosi): da Tifosi a Ultrà
Il calcio nell’immaginario letterario
Alcuni titoli recenti
– Tim Parks Questa pazza fede, Einaudi (la passione per una squadra, il Verona, dell’ironico
scrittore inglese)
– Javier Marias Selvaggi e sentimentali. Parole di calcio Einaudi (il calcio come metafora della
vita, come già per Nabokov e Camus)
– AAVV Cuentos de futbol, Mondadori (la passione per il calcio in una antologia di grandi
scrittori di lingua spagnola: Eduardo Galeano, Osvaldo Soriano, Mempo Giardinelli,Augusto Roa Bastos,Antonio Skarmeta,…)
– Eduardo Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio, Sperling & Kupfer (una lettura
del gioco del calcio come espressione della psicologia di un popolo. In America latina
osserva Galeano: “Ci sono paesi che non hanno una chiesa, ma non ne esiste uno senza
un campo di calcio”).
– Jake Arnott E lui ammazza i poliziotti, Il Saggiatore (Londra, 1966, alla vigilia della finale dei
Mondiali, mentre i tifosi attendono la partita, ladri e balordi non vedono l’ora di arricchirsi a spese dei turisti accorsi in città; la polizia cerca di mantenere l’ordine, ma la vita
di tre uomini cambia per sempre…)
– George Best, Il migliore, Baldini & Castoldi (l’autobiografia del primo calciatore popstar
della storia. La storia amara di un antieroe che non è mai stato capace di convivere con
il denaro e la fama. Una vita costellata di oscure storie di sesso, donne e alcol)
– Darwin Pastorin, Tempi supplementari, partite vinte, partite perse, Feltrinelli (le riflessioni e
le cronache sportive di un giornalista brasiliano. Per chi pensa che i tempi supplementari
esistano anche nella vita)
Adolescenti e discipline sportive nell’immaginario cinematografico
– Adolescenti e boxe (Girlfight di di Karyn Kusama)
– Adolescenti e basket (He Got Game di Spike Lee)
– Adolescenti e nuoto (Sarahsarà di Renzo Martinelli)
– Adolescenti e baseball (Gioco mortale di Neil Tolkin)
JIMMY GRIMBLE
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ELEMENTI
PER LA DISCUSSIONE
Il processo di maturazione di Jimmy (verso il ‘rigore’ interiore)
Il gioco del calcio come percorso di formazione della personalità
La crisi del’allenatore Eric
I compagni di scuola di Eric (tra bullismo e solidarietà)
Raccontare il calcio attraverso lo sguardo del cinema (punti di vista, movimenti di macchina
da presa, figure di montaggio)
Narrare in prima persona (io sono Jimmy: gli occhi, la bocca)
Il mondo del calcio (sportività, regole, business, geopolitica,…)
IDEE
Ricerche sull’immaginario del calcio:
– Cinema
Ricordiamo tra i film sul mondo del calcio oltre a quelli già citati nell’analisi della struttura:
Il presidente del Borgorosso Football Club (con Alberto Sordi), Febbre a ’90 (dal romanzo di
Nick Hornby), Fuga per la vittoria (di John Huston), Italia-Germania 4 a 3, My Name is Joe
(di Kenneth Loach), Al centro dell’area di rigore, L’allenatore nel pallone (con Lino Banfi),
Eccezzziunale…veramente (con Diego Abatantuono), Gambe d’oro (con Totò), Hooligans,
Prima del calcio di rigore (di Wim Wenders dal romanzo di Peter Handke), Ultrà, Tifosi, Viva
San Isidro, Il viaggiatore (Mossafer, di Abbas Kiarostami), Parigi è sempre Parigi (di Luciano
Emmer).
Sono da segnalare inoltre alcuni titoli recentissimi: Best di Mary McGuckian, Bend It Like
Beckham di Gurinder Chadra, Mean Machine di Barry Skolnick, 3-zéros di Fabien Onteniente, L’uomo in più di Paolo Sorrentino e gli asiatici Shaolin Soccer (Hong-Kong), One Leg
Kicking (Singapore), Goal Club (Thailandia).
Nel campo del cinema d’animazione bisogna infine citare la serie di culto giapponese
Holly e Benji, artefice nel proprio paese del vero e proprio lancio del calcio.
– Videomusica
Una vita da mediano di Luciano Ligabue, il video di 6 minuti Un colpo in un istante dei
Delta V (ispirato al film Il presidente del Borgorosso Football Club), il video francese Love United, in bianco e nero, a favore della ricerca sull’AIDS, con i più grandi calciatori d’Europa
che cantano.
– Fotografia
AAVV Magnum football, Phaidon: grandi fotografi raccontano squadre, tifosi, acrobazie.
Dai grandi e moderni stadi ai campi infangati dell’Africa e alle spiagge del Brasile.
– Pubblicità
Calciatori testimonial: spot Adidas, Nike, Robe di Kappa, latte Granarolo (Baggio),…
– Collezionismo
La collezione di figurine dei giocatori (Panini & dintorni).
80
ARRIVANO I FILM
LE BICICLETTE
DI PECHINO
:
LIATA
ONSIG
ETÀ C ANNI
4
1
I
DA
Produzione: Peggy Chiao, Sanping Han, Haiao-ming
Hsu per Bejjing Film Studio (Pechino),Arc Light
Films (Taiwan), Pyramide Productions
Sceneggiatura: Peggy Chiao, Hsiao-ming Hsu,
Xiaoshuai Wang
Direttore della fotografia: Jie Liu
Montaggio: Ju-kuan Hsiao
Musica: Feng Wang
Interpreti: Cui Lin (Guei), Li Bin (Jian), Zhou Xun
(Qin), Gao Yuanyuan (Xiao), Li Shuang (Da Huan)
Durata: 103 min.
Distribuzione: 2001 Distribuzione
Shi qi sui de dan che
Cina, 2001
di Xiaoshuai Wang
LE BICICLETTE DI PECHINO
81
A CURA DI GIANCARLO ZAPPOLI
SINOPSI
Guei, un ragazzo venuto a Pechino dalla campagna trova un impiego come fattorino presso
un’impresa di consegna rapida di posta.. Il contratto prevede il compenso di 10 yuan per
ogni viaggio. L’impresa gli fornisce una bicicletta che potrà riscattare una volta raggiunta la
somma di 600 yuan. I neoassunti debbono imparare a districarsi per le vie della capitale ma
Guei è soddisfatto del proprio lavoro. Vive in uno dei pochi vecchi quartieri che ancora
resistono all’avanzata dell’edilizia popolare o, comunque, della cementificazione a oltranza.
Ha anche modo di osservare gli strani atteggiamenti di una ragazza che vive in un palazzo
moderno prospiciente il quartiere.
Un suo coetaneo, Jiai che frequenta le superiori, ha a sua volta bisogno di una bicicletta per
sentirsi alla pari con i suoi compagni e farsi accettare dalla ragazza di cui è innamorato. Il
suo bisogno di acquisire uno status symbol (seppure di ordine non primario) come la bicicletta lo spinge a rubare dai risparmi paterni.
L’esperienza di lavoro di Guei non è sempre positiva. Il ragazzo avverte una doppia diversità: quella di campagnolo nei confronti dei cittadini e quella di appartenente alla classe
lavoratrice nel momento in cui sta emergendo una nuova classe di manager. La sequenza
che si svolge nella sauna è molto significativa in proposito.
Proprio quando Guei sta diventando proprietario del veicolo che usa per lavorare se lo
vede rubare. La bicicletta finisce nelle mani di Jiai che l’ha acquistata da una rivendita di
biciclette usate senza conoscerne la provenienza.
Guei riesce a rintracciare il mezzo e ne pretende la restituzione. Jiai ovviamente si oppone
e non vuole sentire ragioni: lui ha regolarmente pagato e non gli importa che la bicicletta
sia stata o meno rubata. Questa situazione fa però scoprire al padre il furto avvenuto in
famiglia. Dopo diversi scontri Guei e Jiai finiranno con l’accordarsi per l’uso a turno del
mezzo. Ma le cose non si sistemeranno per nessuno dei due.
82
ARRIVANO I FILM
ANALISI DELLA STRUTTURA
Biciclette di Pechino fa parte di un progetto di sei film che intendono esplorare i mutamenti
che stanno cambiando il volto di tre grandi città: Pechino,Taiwan, Hong Kong. La lettura che
ne fa passa attraverso due esistenze apparentemente lontane ma destinate ad incontrarsi.
Guei arriva da un villaggio e trova un lavoro non tutelato nella Pechino sempre più nelle
mani di un liberismo tanto sfrenato quanto invece il controllo politico resta rigido.
È però il primo aspetto che emerge maggiormente. La città è enorme (e la sua topografia
va imparata a memoria per effettuare rapidamente le consegne) ed è sconosciuta per il
ragazzo che trova rifugio dalle giornate trascorse in mezzo al traffico convulso in uno dei
quartieri che ancora resistono all’avanzata inarrestabile del cemento. È come se Guei cercasse un’oasi che in qualche misura assomigli al paese lontano. Ma anche qui domina la presenza di un palazzo e di una misteriosa ragazza che tutti pensano sia la figlia di una famiglia
benestante e si rivela invece come la cameriera (che verrà licenziata per aver usato gli abiti
della padrona). Guei attraversa luoghi per lui sconosciuti come la sauna (episodio che
marca profondamente le differenze sociali e le origini); le sale di videogiochi gli sono estranee, la bicicletta (come per l’attacchino di Ladri di biciclette) è la sua unica e vera preoccupazione. Insieme all’esigenza di mimetizzarsi così come gli consiglia un amico: non deve far
capire la sua provenienza contadina.
Jian è un cittadino: va alle superiori, ha un giro di amici, conosce i videogame. Ma la sua
famiglia non è sufficientemente ricca per potergli comprare una bicicletta e il possesso di
quel (per noi modesto) status symbol diventa per lui un’ossessione. Non verrà neppure
preso in considerazione da coetanei e coetanee se privo di quel mezzo di trasporto.
Entrambi vivono il condizionamento dell’urbanizzazione. In Cina le differenze di tenore di
vita tra città e campagna sono così forti da far avvertire l’inurbamento come un miraggio
per i contadini.
Guei, grazie alla bicicletta, non solo può conservarsi il lavoro ma può affermare e confermare la sua presenza in città. Il furto assume così anche il significato della sottrazione del
suo diritto a vivere a Pechino. Jian è invece il rappresentante di un mutamento
profondo di valori anche tra le classi
urbane più disagiate. La tradizione non
significa più nulla per lui, pronto a derubare il padre e a rinfacciargli la loro umile
condizione senza il timore di mancargli di
rispetto. I due ragazzi subiranno la violenza di chi ha superato anche le ultime
remore e scatena su di loro un’energia
puramente distruttiva.
I segni di un’occidentalizzazione in alcuni
settori incontrollata (e quindi non metabolizzabile a livello sociale) percorrono il
film con immagini che sottolineano le
contraddizioni che questa produce, rendendo impossibile il ‘classico’ lieto fine.
LE BICICLETTE DI PECHINO
83
Da un’intervista al regista Xiaoshuai Wang:
D.: Quale relazione intercorre tra “Pechino” e la “bicicletta” nel titolo? Si vuol fare
riferimento ai mutamenti di valori sociali e di stili di vita della Cina?
R.: La bicicletta è sempre stata un’icona rappresentativa di Pechino e, di fatto, della Cina.
Per anni è equivalsa al significato di ‘mezzo di trasporto’ per una famiglia. Quando io ero
giovane possedere più di una bicicletta era segno di prosperità e di disponibilità finanziaria.
Prima dell’era cosiddetta delle ‘porte aperte’ la misura del successo di una famiglia erano le
cosiddette “Grandi Quattro”: un orologio, una macchina per cucire, una radio e una bicicletta. (...) Per quanto la bicicletta abbia perso molto della sua gloria, rimane un importante
mezzo di trasporto perché auto e moto non sono ancora nella disponibilità di molti. (…)
Nel film Guei conduce una bicicletta. È per lui un’esperienza di crescita e transizione. Jian
proviene da una famiglia in cui i genitori non se ne possono ancora permettere l’acquisto
che diviene una decisione che va assunta con ponderazione. L’amore di Jian per la bicicletta
va al di là dell’esigenza pratica. Il suo desiderio è dettato dall’orgoglio. Questo è un indicatore di cambiamento e di progresso.
D.: L’uso che viene fatto dei vecchi quartieri di Pechino nel film è straordinario. Può
parlarci delle difficoltà e dei momenti positivi di queste particolari riprese?
R.: Ci sono sempre meno quartieri tradizionali a Pechino. Inizialmente pensavo di poter
girare ovunque ma quando è giunto il momento abbiamo scoperto che le possibilità erano
molto limitate. Ogni scelta comportava un problema. Nel corso delle riprese è capitato che
l’intera troupe cominciasse le riprese di una scena in un posto e fosse poi costretta a finirle in un altro. Nella scena dell’inseguimento non ci era possibile ripetere le location perché
volevo utilizzare una nuova angolazione ogni volta. Abbiamo finito con il disperdere moltissime energie in questo modo. Dovevamo inoltre accordarci con i residenti e le organizzazioni delle strade. Sono uscito da questa esperienza con la convinzione che i quartieri tradizionali di Pechino stanno scomparendo.
Sono indeciso se lamentare questa sparizione o se rendermi conto che la gente
che li abita ha diritto a migliori condizioni
di vita.
84
ARRIVANO I FILM
ELEMENTI
PER LA DISCUSSIONE
Una società in rapidissima trasformazione
La Cina in pochissimi anni, conservando
una dirigenza politica di stampo comunista ha contemporaneamente mutato la
propria struttura economica al punto di
adottare un liberismo tra i più spericolati.
Il film affronta questi temi ma, non trattandosi di un saggio sociopolitico, lo fa
attraverso le vicende dei suoi protagonisti. Si possono far così osservare.
a) I mutamenti nei rapporti genitori-figli
b) Il rapporto città-campagna
c) Il sorgere di nuove classi sociali
Gli status symbols: quali sono i nostri?
Che funzione hanno?
I vecchi quartieri delle città: conservare o
abbattere?
Le bande giovanili: dai “Ragazzi della via Paal” alle baby gang.
Guei/Jian: cosa li unisce e cosa li distanzia.
IDEE
Incontro con i rappresentanti dell’Associazione Italia-Cina per approfondire la situazione
cinese.
LE BICICLETTE DI PECHINO
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L’ERA GLACIALE
:
LIATA
ONSIG
ETÀ CANNI
5
I
DA
Ice age
Stati Uniti, 2002
di Chris Wedge
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ARRIVANO I FILM
PERCORSO
• Il fantastico
Co-regia: Carlos Saldanha
Produzione: Lori Forte per Blue Sky Studios, Fox
Animation Studios
Sceneggiatura: Michael Wilson, Michael Berg,
Peter Ackerman
Scenografie: Brian P. McEntee
Supervisore montaggio: John Carnochan
Musiche: David Newman
Interpreti/voci ed. originale: Ray Romano
(Manny), John Leguizamo (Sid), Denis Leary (Diego),
Goran Visnjic (Soto), Jack Black (Zeke)
Voci ed. italiana: Leo Gullotta (Manny), Claudio
Bisio (Sid), Pino Insegno (Diego)
Durata: 81 min.
Distribuzione: ARCO FILM
A CURA DI CRISTINA TOSCANO
SINOPSI
Alle soglie dell’era glaciale, circa ventimila anni fa, la Terra è un paradiso preistorico popolato di mammiferi grandi e piccoli. Certi di trovarvi salvezza, tutti gli animali cominciano a
migrare verso Sud, eccezione fatta per uno schivo mammuth di nome Manfred – Manny
per gli amici – e per un bradipo d’insanabile pigrizia, Sid, talmente importuno da venir
abbandonato anche dalla propria famiglia. Quando il caso decide l’incontro tra queste due
atipiche e incompatibili creature, Manfred tenta in ogni modo di liberarsi dello scocciatore,
ma ottiene soltanto di venir coinvolto da Sid nel salvataggio di un neonato. La famiglia del
piccolo è stata attaccata da un branco di tigri dai denti a sciabola, e la madre, che è riuscita
miracolosamente a metterlo in salvo, lo affida alle loro cure prima di morire. Mentre questo insolito terzetto si avventura nel paesaggio immenso e desolato ricoperto dai ghiacci,
alla ricerca della famiglia del piccolo d’uomo, a loro insaputa, uno scoiattolo preistorico di
nome Scrat affronta le insidie dell’era glaciale cercando di seppellire una ghianda, la sua
unica speranza di sopravvivere.
Nonostante il suo sarcasmo iniziale, Manny aiuta più volte Sid a togliersi dai pasticci e i due
diventano complici, uniti di fronte alle necessità della causa comune. Ben presto al loro
viaggio si unisce Diego, una delle tigri del branco incaricata di catturare il bambino, che li
convince di essere in grado di individuare gli esseri umani molto più rapidamente di loro.
Nel corso di un viaggio avventuroso in cui i quattro sfuggiranno alle valanghe, combatteranno per il cibo con un branco di uccelli preistorici, verranno catapultati su montagne russe
fatte di canaloni e ponti di ghiaccio, un inatteso legame si svilupperà tra loro. Insospettabilmente, i compagni di viaggio si salderanno in un’amicizia profonda e Diego si troverà in
conflitto con il suo piano che prevede un’imboscata. Dovrà decidere se continuare nel suo
malvagio intento oppure sfidare i suoi simili ed aiutare la sua nuova ‘famiglia’ a portare a
termine la missione.A vincere sarà lo spirito di squadra e Diego si batterà insieme agli altri
contro le tigri per salvare il piccolo, che troverà finalmente l’abbraccio del padre. E mentre
il terzetto, ormai indivisibile, si avvia verso lande desolate, Scrat, probabilmente, sta ancora
cercando di recuperare la sua ghianda.
L’ERA GLACIALE
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ANALISI DELLA STRUTTURA
L’Era Glaciale è un cartone animato interamente digitale, realizzato dal regista Chris Wedge,
premio Oscar per il cortometraggio d’animazione Bunny e mente creativa dei Blue Sky Studios, la risposta della 20th Century Fox al duopolio Pixar (Disney)/Dreamworks (S. Spielberg). Ormai la sfida tra le major americane sul terreno della produzione di cartoni animati
si gioca tutta sulla computer graphic. Il successo planetario di film realizzati con questa tecnica, da Toy Story, A Bug’s Life-Meganinimondo, Z la formica, fino ai più recenti Shrek e Monsters
& Co., ha dimostrato che il digitale ha raggiunto ormai livelli di indubbia spettacolarità
riscuotendo il favore di un pubblico di bambini e di adulti. Non si tratta solo dell’altissima
qualità degli effetti speciali, ma anche dell’elasticità e della fluidità dei movimenti, della precisione figurativa dei personaggi e della straordinaria tridimensionalità raggiunta da queste
immagini. Insomma, la computer grafica è più realistica dei cartoni animati realizzati alla
vecchia maniera, restituisce a questi pupazzi tridimensionali una loro vita autonoma e permette agli ideatori di creare veri e propri personaggi a tutto tondo. Come non considerare
i protagonisti dell’Era Glaciale veri e propri characters, dotati di un’anima e di un preciso
profilo psicologico?
Del resto anche l’ambiente non è solo uno sfondo, nel racconto la natura si trasforma in
presenza e i sentimenti diventano credibili. Il film tra l’altro è ambientato in paesaggi tipicamente nordamericani, e il commento musicale richiama brani della tradizione etnica dei
nativi. Il realismo delle montagne di ghiaccio, e dei paesaggi desolati è stato reso possibile
grazie alla sofisticata tecnica del ray tracing, una specie di fotografia digitale in grado di
simulare la complessità della luce reale, imitandone la matrice di colori e ombre. In questo
modo il paesaggio e i personaggi stessi perdono la freddezza e la rigidità di certi cartoon e
diventano più emozionanti, invitanti e tangibili.
Senza dubbio la tecnica da sola, se priva di inventiva, resta poca cosa. E lo schermo è popolato da sentimenti, personalità e narrazione più che da grandi effetti speciali. Nonostante
dal punto di vista figurativo il disegno sia più semplice e pulito rispetto ai film
Pixar/Dreamworks, alla fine la stilizzazione e l’umorismo dei personaggi vincono
sulla tecnologia.
L’avventura di Manny, Sid e Diego, che
devono riportare un cucciolo d’uomo alla
sua famiglia e lungo la strada diventano
amici, sorta di road movie ante litteram,
non ha in sè nulla di nuovo. In realtà la
prima intuizione geniale è quella di
ambientare la storia tra i ghiacci preistorici, che forniscono uno spunto originale
evitando però di cadere nella trappola
degli ormai abusati dinosauri spielberghiani. Per ammissione dello stesso regista
“L’era glaciale è un mondo per noi assolutamente alieno, in cui era perciò possibile dar libero sfogo alla nostra immagina-
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ARRIVANO I FILM
zione”. Ma se la trama è semplice – a
tratti ricorda molto da vicino la favola de
Il libro della giungla con Mowgli-cucciolo
d’uomo adottato da una ‘famiglia’ di animali – l’immaginazione ha dato il meglio
di sé nella creazione dei personaggi.
I tre originali protagonisti formano un
perfetto esempio di moderna famiglia
‘allargata’, che riesce a coesistere nonostante le evidenti differenze di ‘razza’,
carattere e abitudini di vita. Manny, il
mammuth burbero e sarcastico dal cuore
tenero è il leader del gruppo, il vero
‘padre adottivo’ del piccolo, che cura con
insospettabile tenerezza. La sua natura
solitaria e scontrosa ha radici nel passato.
In una scena visivamente molto bella in
cui alcune incisioni rupestri si trasformano per lui in dolorosi ricordi, capiamo che anche Manny una volta aveva una famiglia, sterminata dall’uomo cacciatore, e che in quel bambino vede probabilmente l’immagine del suo
cucciolo.
Per Sid invece, bradipo indolente ma dotato di un’irresistibile comicità, il piccolo diventa
ben presto una mascotte, un alleato con cui progettare scherzi. Opportunista quanto basta,
all’inizio Sid vede in Manny qualcuno in grado di proteggerlo dalle insidie della dura vita tra
i ghiacci. Col tempo però tra i due si sviluppa un rapporto simile a quello tra fratelli, fatto
di battute e dispetti, ma anche di profonda complicità. E Sid, con la sua goffa andatura e la
battuta sempre pronta, è sicuramente il personaggio più riuscito, vuoi per l’originalità dell’animale scelto – è la prima volta di un bradipo sullo schermo – ma soprattutto per la
caratterizzazione visiva, due enormi occhi sporgenti e dei dentoni irregolari.
Diego, la tigre dai denti a sciabola, visivamente meno originale degli altri perché ricorda
troppo l’estetica Disney de Il re leone, rappresenta il pericolo, l’insidia del male e dell’inganno. Anche il suo personaggio nasconde però un lato buono. Il forte spirito di gruppo creatosi tra loro – Manny rischierà addirittura la vita per salvarlo – riesce a redimerlo in un
finale che recupera appieno i toni morali della favola.
E la morale del film ci dice che è il gruppo e non l’individuo a vincere su tutto, la natura
avversa sotto forma di glaciazione, e su tutti, le prove che i tre devono superare per portare a termine la loro missione. È la tolleranza, in tempi come quelli attuali non nuoce ripeterlo, il collante di ogni società.
C’è un quarto personaggio che lo spettatore difficilmente dimenticherà: è Scrat, incrocio
fra un topo e uno scoiattolo, che ritorna nel film a intervalli regolari come una striscia
comica indipendente dalla narrazione. Il suo accanimento nel voler seppellire la ghianda e
le catastrofiche conseguenze dei suoi gesti, ricordano da vicino le disavventure dello sfortunato Willy Coyote.
L’ERA GLACIALE
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Non manca in questo gioiellino dell’animazione digitale, la contaminazione dei generi cinematografici. Oltre ad avere tutte le caratteristiche del film d’avventura, troviamo la commedia, il bildungsroman, il dramma e addirittura il musical, nella scena esilarante in cui il quartetto deve combattere contro un branco di “dodi”, uccelli preistorici, che per difendere il
magro bottino di tre angurie inscenano un balletto sfrenato e coinvolgente.
ITINERARI DIDATTCI
L’ambientazione
1. L’era glaciale, verificatasi nel Quaternario, ha portato con sé enormi cambiamenti climatici, primo fra tutti la scomparsa di una grande quantità di animali primitivi, tra cui i
mammut.Approfondisci l’argomento delle glaciazioni insieme con i tuoi insegnanti.
2. Analizza il paesaggio dal punto di vista linguistico: si tratta di un semplice sfondo alle
avventure dei personaggi o pensi che possa avere una funzione diversa?
3. Pur scegliendo un’epoca lontanissima dalla nostra a livello temporale, il regista si è ispirato per il paesaggio del film agli incontaminati scenari del Nord America e del Canada.
Pensi che l’ambientazione del film sia sempre realistica, oppure compaiono luoghi e
scene di pura fantasia?
I Personaggi
1. Descrivi la personalità di Manny, Sid e Diego. Secondo te questi personaggi cambiano e
si evolvono nel corso del film? Se sì, a cosa sono dovuti i loro cambiamenti?
2. Ti sembra che i tre animali abbiano caratteristiche umane? Se sì, quali? Spiega perché.
3. Qual è secondo te il ruolo di Scrat nel film? Trovi che il suo personaggio aggiunga qualcosa al racconto? Motiva la tua risposta.
4. Perché le tigri dai denti a sciabola danno la caccia al piccolo d’uomo?
5. Qual è il rapporto che lega i tre animali al neonato? E quale invece il rapporto che li lega tra loro alla fine del film,
una volta restituito il piccolo al suo
papà?
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ARRIVANO I FILM
ELEMENTI
PER LA DISCUSSIONE
1. All’inizio del film le tigri parlano di
vendetta nei confronti dell’uomo.
Anche Manny ha subìto nel passato
una dolorosa perdita, la sua famiglia è
stata infatti sterminata dai cacciatori.
Come ha reagito lui a questo episodio
e qual è ora il suo atteggiamento nei
confronti degli uomini? Rifletti e commenta.
2. L’era glaciale è stato realizzato interamente con la tecnica della computer
grafica. Quali sono secondo te le differenze tra un cartone animato tradizionale e uno in 3D? Quale tecnica preferisci e perché?
3. Il regista Chris Wedge ha definito il
suo film “una commedia sul pericolo”.
In che forme si manifesta il pericolo
per ognuno dei personaggi (Manny, Sid, Diego, Scrat, e il piccolo neonato)? Condividi
questa definizione?
4. Uno dei messaggi del film è che “l’unione fa la forza”. Solo insieme i tre amici riescono a
superare tutti gli ostacoli, a sopravvivere alla terribile glaciazione e a portare in salvo il
piccolo.Anche a te è capitato di superare una situazione difficile (a scuola, a casa o con i
tuoi amici) grazie all’aiuto e all’appoggio degli altri? Racconta la tua esperienza.
IDEE
1. Questo film ricorda il libro Storie di Mowgli dello scrittore inglese Rudyard Kipling, dove
un bambino viene adottato e cresciuto da un gruppo di animali e da cui è stato tratto il
celebre cartone animato di Walt Disney Il libro della giungla (1967). Dopo aver guardato
e analizzato il film con l’aiuto dei tuoi insegnanti mettilo a confronto con L’era glaciale.
2. Il film veicola un importante messaggio di tolleranza, poiché tre personaggi molto diversi
per razza (un mammut, un bradipo e una tigre), carattere e abitudini di vita, che in natura dovrebbero essere nemici, riescono a formare un gruppo affiatato. Prova ad immaginare tu un’altra storia simile in cui personaggi molto diversi tra loro, ma uniti da una
causa comune, formano un’insolita “famiglia”.
3. Alla fine del film, Scrat, in uno scenario tropicale, non resiste all’impulso di ficcare la sua
ghianda nelle falde di un vulcano provocando terribili conseguenze… Immagina di essere
il regista e di dover scrivere il seguito di L’era glaciale.
L’ERA GLACIALE
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MOMO ALLA
CONQUISTA
DEL TEMPO
:
LIATA
ONSIG
ETÀ CI 8 ANNI
L
G
DA
Momo alla conquista del tempo
Italia, 2001
di Enzo d’Alò
92
ARRIVANO I FILM
PERCORSO
• Il fantastico
Produzione: Cecchi Gori Group e Taurus
Produktion
Produttori Esecutivi: Bruno Altissimi e Claudio
Saraceni per Video Maura, Michael Shaak per TFC
Trickompany
Soggetto: dal romanzo Momo di Michael Ende,
Longanesi & C.
Sceneggiatura: Enzo d’Alò e Umberto Marino
Montaggio: Simona Paggi
Creazione dei personaggi: Walter Cavazzuti
Ideazione e supervisione artistica degli
ambienti: Michel Fuzellier
Musiche: Gianna Nannini
Voci: Erica Necci (Momo), Giancarlo Giannini
(Presidente Signori Grigi), Diego Abatantuono
(Mastro Hora), Sergio Rubini (Vice Presidente Signori
Grigi), Enrico Brignano (Francesco),
Naike Rivelli (Ilaria)
Durata: 80 min.
Distribuzione: 2001 Distribuzione
A CURA DI PATRIZIA CANOVA E SILVIA COLOMBO
SINOPSI
In una piccola e tranquilla cittadina, la vita scorre placidamente: i vecchietti giocano a carte
al bar, il parrucchiere chiacchera con i clienti, lo spazzino tiene le strade scrupolosamente
pulite, i bambini appena usciti da scuola corrono a giocare. Un pomeriggio come tanti altri,
una buffa bambina di nome Momo entra in città. Non si sa da dove arrivi, chi siano i suoi
genitori e perché sia capitata proprio lì. La prima persona che incontra è lo spazzino Beppo
che la accoglie amichevolmente e la indirizza verso il luogo dove i bimbi vanno a giocare:
un vecchio anfiteatreo immerso nel verde dei prati. Momo raggiunge quindi i suoi coetanei
che stanno giocando sul vecchio monumento – immaginando che sia una nave pirata in
balia dei flutti – e fa rapidamente amicizia con il gruppo. A lei si è intanto unita una misteriosa tartaruga di nome Cassiopea. I bambini si prendono cura di Momo, che sembra essere sola al mondo e sotto la struttura dell’anfiteatro allestiscono una piccola stanza adatta
alla simpatica ragazzina. Intanto, in paese stanno accadendo strane cose: un esercito di
“uomini grigi”, tutti uguali e tutti con un sigaro acceso in bocca, è arrivato a bordo di grigie
macchine rumorose e sta prendendo contatti con la cittadinanza. Uno di loro, ad esempio,
entra nella bottega del barbiere e inizia a calcolare tutto il tempo che l’uomo “perde” in
attività non produttive, come prendersi cura della vecchia mamma, andare a trovare la sua
ragazza, chiaccherare con gli amici. Gli propone un accordo: non deve più “perdere tempo”
in tutte queste inutili occupazioni, ma deve risparmiarlo mettendolo in una “banca del
tempo”, gestita dall’organizzazione degli uomini in grigio.
Uno di questi inquietanti personaggi è arrivato anche da Momo, ma la bambina non cade
nei suoi tranelli e lo mette in crisi con una semplice domanda: “c’è qualcuno che ti vuole
bene?”. Di fronte alla bambina, l’uomo crolla e confessa i piani degli uomini grigi: quello che
li tiene in vita è il sigaro che fumano e il sigaro è fatto con il tempo rubato agli uomini.
Ora la vita di Momo è in pericolo: sembra essere l’unica ad avere un certo potere sugli
uomini grigi e la loro potente organizzazione si è già messa sulle sue tracce. Ma Cassiopea,
che ha il compito di proteggere la bambina, guida Momo per le strade della città fino al
sentiero che la conduce in un’altra dimensione, fuori dallo spazio e dal tempo degli uomini.
Seguendo Cassiopea, Momo arriva nel regno di Mastro Hora, il vecchietto che ha il compito di organizzare il flusso del tempo, di dirigerlo e di preoccuparsi che ogni essere umano
ne riceva in giuste e regolate quantità. Mentre Momo viene istruita da Mastro Hora, la città
e i suoi amici vengono completamente irretiti dagli uomini in grigio: il paese si trasforma in
una triste metropoli di ferro e cemento, gli adulti non fanno altro che lavorare a ritmi sempre più serrati, i bambini sono irregimentati in attività frenetiche e “produttive”. Quando
Momo fa ritorno alla terra, la situazione è profondamente cambiata: nessuno ha più il
tempo per giocare, riposarsi, fare amicizia, chiacchierare. Nemmeno il suo migliore amico
Gigi, che ora è diventato una piccola star della televisione. Occorre un piano per sconfiggere i terribili fumatori di tempo.
Mastro Hora decide di correre il rischio: si addormenterà fermando il tempo per un’ora. In
questi pochi minuti – in cui gli uomini grigi saranno in difficoltà per la penuria improvvisa di
tempo – Momo dovrà penetrare nella loro banca e liberare il tempo che viene conservato
sotto forma di petali di fiore. L’impresa è rischiosa, perché i ladri di tempo non hanno
perso del tutto il loro potere. Ma Momo accetta, e con l’aiuto di Cassiopea trova il palazzo
dove i signori grigi hanno la loro sede.
MOMO ALLA CONQUISTA DEL TEMPO
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Servendosi della magia del fiore-ora regalatole da Mastro Hora, penetra coraggiosamente
nel loro rifugio e libera tutte le ore rubate al tempo degli uomini, che si librano in aria
come fiori nel vento.
Gli uomini in grigio se ne vanno in fumo e la città riprende il suo ritmo di sempre. Momo
può tornare a riabbracciare i suoi vecchi compagni di giochi, tornati a essere quello che
erano: degli amici.
ANALISI DELLA STRUTTURA
Tratto dal romanzo omonimo di Michael Ende (autore anche del fortunato romanzo La storia infinita), il film di Enzo d’Alò è un raro esempio di cartone animato di produzione italiana: un piccolo film di rara intelligenza e sobrietà visiva. Una storia semplice che però, a
un’analisi più approfondita, rivela una ricchezza semantica che raramente si trova in un prodotto rivolto espressamente a un pubblico infantile. Napoletano, classe 1953, Enzo d’Alò è
anche l’autore de La freccia azzurra (1996) e La gabbianella e il gatto, due lungometraggi d’animazione che hanno contrastato il primato USA nel settore del cartone animato.
La storia incomincia in una città immersa nel verde, dove il tempo scorre tranquillo e dove
le relazioni tra gli uomini sono improntate alla cordialità, alla gentilezza e all’amicizia. Qui
Momo fa la sua apparizione: non sappiamo nulla del suo passato, perché si trova lì, da dove
provenga, chi sia.
Sicuramente è dotata di qualità particolari (è accompagnata da una tartaruga, la notte gioca
sprigionando scintille luminose) ma nello stesso tempo non sembra avere qualità sovrumane, magiche o eroiche.
Semplicemente è una bambina un po’ diversa dagli altri. L’ingresso di Momo nel gruppo dei
pari ci rivela molto dello spirito con cui è stato girato il film: gli altri bambini stanno giocando tra le rovine dell’anfiteatro, che nella loro immaginazione è diventato una nave in preda
ai flutti. Le onde si levano alte e mostruose intorno al vascello, i marinai si lanciano
istruzioni. Momo viene accettata come
una del gruppo nel momento in cui entra
a far parte della loro immaginazione e
diventa corpo unico con le loro fantasie.
Nel gioco infantile Momo assume immediatamente un ruolo – quella della piccola
principessa da salvare – e diventa parte
integrante di una visione prestabilita da
altri. La capacità dei bambini di creare
mondi alternativi attraverso il gioco sarà
messo in pericolo dall’avvento degli
uomini grigi. La messinscena di Enzo
d’Alò configura un vero e proprio sistema mitologico – semplice e complesso
allo stesso tempo – con la rappresenta-
94
ARRIVANO I FILM
zione concreta e pregnante di concetti
astratti: c’è il Tempo nei panni di un saggio
vecchietto, amministratore delle ore degli
uomini, il Giorno e la Notte si nascondono sotto le spoglie di un gallo e di una
civetta, i singoli momenti di un’esistenza
hanno i colori dei fiori, Momo stessa è la
piccola e fragile dea intermediaria tra il
mondo terreno e quello del sovrannaturale. Nella raffigurazione a suo modo
completa – anche se in scala ridotta – di
un universo, gli uomini grigi sono divinità
malvagie e corrotte sotto cui si cela la
trasparente metafora di un capitalismo
disumano.
L’analisi della società moderna è condotta
sempre tramite il punto di vista dei bambini: una tra le scene rilevanti in questo
senso è la sequenza in cui un uomo grigio tenta di vendere a Momo una bambola che ha
tutte le caratteristiche della Barbie, vero e proprio simbolo del modo in cui la società contemporanea intende l’attività del gioco. Bibi-Girl e Bobo-Boy hanno sempre bisogno di
“cose” per funzionare. In questo senso l’immaginazione del bambino non serve più. Alla
fantasia è stato sostituito il consumo. Di cose, di oggetti, di persone. Così come la produttività e la competizione hanno sostituito i sentimenti.
Realizzato con la tecnica artigianale che caratterizza anche i precedenti lavori dell’autore,
Momo deve molto del suo fascino alla qualità del disegno (interamente realizzato a mano) e
alle scenografie di Michel Fuzellier (ispirate alle opere di Escher, Dalì e Magritte). A livello
visivo la contrapposizione fra due concezioni del mondo è risolta in primo luogo col colore (il grigio che spegne i colori sfolgoranti del mondo prima della venuta dei signori col
sigaro) e poi col tratto del disegno (i volti degli uomini in grigio hanno le linee spigolose e
spezzate se confrontati con le rotondità gentili degli esseri umani).
Protagonisti della storia sono i bambini e i vecchi (nella figura dello spazzino Beppo): le due
età della vita escluse dal ciclo di produzione e consumo. Inutili al sistema, sono coloro ai
quali è affidata la speranza di un mondo migliore. Quelli che cadono ipnotizzati dalla malìa
dei signori grigi sono in primo luogo i rappresentanti della generazione di mezzo, quella dei
padri e delle madri; figure che peraltro rivestono un’importanza assolutamente marginale
nell’economia del racconto. Se Michel Ende riassumeva lo spirito del suo romanzo nella
formula “il tempo è la vita e la vita risiede nel cuore”, Enzo d’Alò potrebbe benissimo completare la frase:“ e la vita risiede nel cuore dei bambini”.
MOMO ALLA CONQUISTA DEL TEMPO
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ITINERARI DIDATTICI
Dentro il film
1) Sul filo della memoria, per ricordare il film…
Giochi di mimo e drammatizzazione
Costruire un grande televisore di cartone con un buco al posto dello schermo. Dotare gli
alunni di travestimenti vari e proporre loro di scegliere quali personaggi vogliono interpretare e rimettere in scena piccoli momenti narrati nel film
La catena di sentimenti emozioni vissuti
Scrivere su dei cartellini diverse parole legate a sentimenti, emozioni, stati d’animo, vissuti
che la visione del film dovrebbe aver suscitato. Far pescare a ogni alunno un cartellino e
chiedere di richiamare il momento della narrazione nel quale è stato messo in scena quanto scritto sul foglietto. È possibile proporre anche il disegno o il mimo della parola chiave
scritta sul foglietto (in coppia e/o in gruppo) oppure far associare la parola chiave a un
fotogramma del film scelto fra una serie fornita.Alcune parole chiave:
libertà cattiveria stupidità avidità solidarietà complicità aiuto amicizia indifferenza superbia divertimento simpatia solitudine prepotenza violenza allegria unione legame amore attenzione disattenzione incomprensione stupore incredulità vivacità immaginazione fantasia paura terrore intelligenza oppressione reclusione coraggio sottomissione ribellione delusione invenzione.
2) La dimensione narrativa
Dal romanzo al film
Il film Momo alla conquista del tempo è tratto dal romanzo Momo di Michael Ende. Un confronto, una comparazione fra i due può costituire un interessante esercizio di analisi
testuale, soprattutto per quanto riguarda le differenti procedure della narratività utilizzate.
Se sul piano della struttura primordiale di narratività (la fabula) libro e film si giocano i loro
denominatori comuni, ben diverso è il discorso sul piano dell’articolazione diegetica (tutto
ciò che ha a che fare con l’universo rappresentato) e dell’articolazione discorsiva (rapporto fabula-intreccio, voce narrante, punti di
vista…). Se alla lettura del romanzo viene
affiancata la visione del film si potranno
dunque analizzare le procedure di adattamento cinematografico: la sottrazione, l’addizione, la condensazione, l’espansione, la
variazione, gli spostamenti.
Il lavoro di comparazione libro-film
potrebbe essere efficacemente visualizzato attraverso tabelle di sintesi a doppia
entrata.
Dai fotogrammi a una nuova storia
Dati alcuni fotogrammi del film (scaricati
da internet o ricavati da riviste specializzate), farli ordinare secondo una logica
diversa rispetto a quella del racconto fil-
96
ARRIVANO I FILM
mico e far inventare una nuova storia, far immaginare come continuerebbero le avventure
di Momo dopo il the end oppure far inventare un finale nuovo e diverso rispetto a quello
proposto dal regista.
Costruire un diatape
Far disegnare i momenti più importanti della narrazione cinematografica, fotografare i disegni con rullino da diapositive, proiettare le diapositive, decidere i possibili commenti verbali/ e o musicali alle immagini, creare e registrare la colonna sonora e proiettare l’audiovisivo
realizzato, magari anche a compagni di altre classi.
3) La dimensione iconica: ambienti, oggetti e personaggi
Gli oggetti del film
Nel film sono presenti oggetti e forme con alta valenza simbolica: indicarli e cercare di
spiegare il significato di ciascuno di essi (gli specchi, le ore-fiore, gli occhiali, l’acqua, i sigari,
gli orologi, i giocattoli, le forme circolari, le porte…)
Gli spazi della città nei vari momenti del film
Rappresentare graficamente gli ambienti in cui è collocata la narrazione (le strade e gli edifici interni ed esterni della città, l’anfiteatro, la banca, lo studio televisivo, l’abitazione di
Mastro Hora, …) e indicarne le caratteristiche nei diversi momenti del film. Individuare
tutte le trasformazioni provocate dalle azioni dei Signori grigi, di Momo e di Mastro Hora.
Confrontare le modalità di rappresentazione degli ambienti con le opere di Manritte, Dalì e
di Escher e con la rappresentazione della città proposta nel film Metropolis di F. Lang.
4) La dimensione linguistica del film: la tecnica e il linguaggio
Il cinema d’animazione
Momo alla conquista del tempo è un film d’animazione realizzato con la tecnica del disegno
in fase. Potrebbe essere interessante andare alla scoperta di come si produce un film in
animazione, quali sono le tecniche utilizzabili (stop motion, decoupage, pixillation, disegno
in fase…) e che differenze intercorrono fra l’animazione tradizionale e quella digitale. Per
affrontare tali argomenti si consiglia l’utilizzo della videocassetta “Il cinema d’animazione n.
6” prodotta dalla Regione Lombardia all’interno della collana “Arrivano i video”
5) la dimensione tematica
Le tue ora-fiore e il tempo
Nel film Momo alla conquista del tempo le ore sono racchiuse in petali di fiore che Mastro
Hora coltiva con amore e passione. Potrebbe essere interessante far disegnare a ciascun
alunno due grandi fiori con l’indicazione di scrivere in ogni petalo del primo fiore le ora
fiore della propria giornata reale e, nell’altro fiore, le ora fiore così come vorrebbe che fossero, con tutte le attività che vorrebbe poter fare se…
MOMO ALLA CONQUISTA DEL TEMPO
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ELEMENTI
PER LA DISCUSSIONE
Uno sguardo ai personaggi del film…
– la figura di Momo: non fa incantesimi come Harry Potter, è all’apparenza ‘normale’, ma
ha doti speciali, quali? Come le usa? Per quali motivi?
– la figura di Beppo, lo spazzino: è un adulto un po’ speciale e diverso dagli altri, perché?
Che cosa colpisce di lui? Che insegnamenti trasmette?
– la figura di Gigi: come appare all’inizio del film? Qual è la sua più grande qualità? Perché
poi cambia così profondamente? Quando è veramente felice? Che consiglio gli si
potrebbe dargli?
– le figure dei Signori Grigi: perché rubano il tempo agli uomini? Perché li vogliono convincere a vivere una vita solo dedicata al lavoro? Cosa serve per trasformarli?
– la figura di Mastro Hora: è un personaggio molto importante, perché? Cosa insegna a
Momo? E agli spettatori del film? Cosa colpisce di lui? Ti ricorda qualche persona che
conosci?
– la figura della tartaruga Cassiopea: è un’amica indispensabile per Momo, perché? Cosa
vuol fare capire il regista attraverso questo personaggio? Ti piacerebbe avere un’amica
così? Perché?
Dal film… a te… Alcuni spunti di discussione e di riflessione
– Nel rapporto con gli altri, quanto è importante saper ascoltare e saper raccontare? Tu lo
fai? Con chi? Racconta
– Il gioco, l’invenzione, l’immaginazione hanno un ruolo importante nella vita delle persone? Perché? Ti piace inventare giochi? Quali? E immaginare storie e avventure? Racconta
– Dare e ricevere amicizia e affetto richiede passione, ma anche tempo e dedizione.Tu sai
regalare il tuo tempo agli amici? E loro a te? Per far che cosa?
– Quanto sono importanti l’amicizia, la comprensione e l’aiuto di qualcuno? Perché?
– Quanto può aiutare a superare ostacoli e difficoltà, l’aiuto e la vicinanza degli amici? Ti è
mai capitato di aiutare qualcuno o essere aiutato da qualcuno? Racconta
– I bambini protagonisti del film sono più felici quando s’incontrano nell’anfiteatro o nello
studio televisivo? Perché? A te dove piacerebbe più stare? E quali giochi/giocattoli fra
quelli proposti nel film preferiresti avere?
– Perché a volte gli adulti non riescono a vedere ciò che invece appare chiaro ai bambini?
– Cosa fare quando gli adulti dichiarano di non avere tempo per i giochi e per i rapporti
personali?
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ARRIVANO I FILM
IDEE
Oltre il film
Le banche del tempo
Nel film, i Signori Grigi sottraggono il tempo agli uomini ingannandoli e lo rinchiudono
nella loro banca per poterselo fumare, unico modo per sopravvivere. Prendendo spunto da
quanto raccontato, si potrebbe proporre agli alunni di creare in classe una speciale ‘banca
del tempo’ molto diversa da quella dei Signori Grigi, una banca dove sia possibile depositare e prelevare ora-fiore per donare o ricevere qualche servizio dagli altri (es. un alunno
bravo nel disegno deposita 10 ore-fiore del suo tempo per i compagni che hanno bisogno
di aiuto in quel senso e, a sua volta, può prelevare ore-fiore per risolvere problemi di matematica se qualcuno si offerto per quel servizio…)
Due film e due libri a confronto
Il film Momo alla conquista del tempo e il film La storia infinita di W. Petersen sono entrambi
tratti da due romanzi di Michael Ende e tutti e due trattano il tema della perdita: timore
della perdita del tempo per le relazioni sociali nel primo e timore della perdita della fantasia
nel secondo. In entrambi i casi inoltre la missione salvifica per evitare un futuro apocalittico
e disumanizzato è affidata a due bambini che, con la forza della volontà, la tenacia e il
coraggio, sono disposti a tentare l’impossibile pur di salvare gli amici e l’intera umanità. Una
lettura comparata dei due libri e una visione dei due film potrebbe offrire interessanti
spunti di lavoro tematico.
Il cinema d’animazione di Enzo D’Alò
La freccia azzurra, La gabbianella e il gatto, Momo alla conquista del tempo: tre film d’animazione realizzati con tecniche tradizionali; tre film tratti da soggetti letterari; tre film che si possono iscrivere a pieno titolo nel filone fantasy; tre opportunità di viaggiare nel mondo fantastico e onirico con lievità, ma facendosi anche attraversare da pensieri e domande su
temi importanti quali il senso della vita, il significato dell’amicizia, il bisogno di condivisione,
la necessità di avere sogni, l’importanza di non essere troppo soli, mai.
Tre film a confronto: Shrek, E.T. l’extraterrestre, Momo
Tutti e tre raccontano la storia di protagonisti molto caparbi, forti e determinati, disposti a
lottare e a fare anche grandi sacrifici per aiutare se stessi e gli altri a vivere meglio. Tutti e
tre inoltre presentano la figura di un ‘diverso’ che aiuta, incita e supporta gli altri nel proprio percorso di crescita. Potrebbe essere interessante vedere, analizzare e confrontare i
tre film, mettendo in evidenza somiglianze e differenze in particolare su un piano tematico
–contenutistico. La visione dei tre film potrebbe inoltre stimolare una discussione sulla
diversità non come limite ed ostacolo, ma come ricchezza e fonte di scambio e crescita.
MOMO ALLA CONQUISTA DEL TEMPO
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MONSTERS
& CO
:
LIATA
ONSIG
ETÀ CANNI
6
I
DA
PERCORSO
• Il fantastico
Regia: Pete Docter
Sceneggiatura: Dan Gerson,Andrew Stanton
Montaggio: Ken Schretzmann,
James Austin Stewart
Musiche: Randy Newman
Voci: Tonino Accolla (Sulley),
Adalberto Maria Merli (Mike),
Marina Massironi (Celia), Daniele Formica (Randall),
Loretta Goggi (Roz)
Produzione: Darla K.Anderson, John Lasseter,
Andrew Stanton
Durata: 92 min.
Distribuzione: ARCO FILM
Oscar per la Miglior Canzone Originale
(Randy Newman)
Monsters, Inc.
Stati Uniti, 2001
di Pete Docter
100
ARRIVANO I FILM
A CURA DI ELIO GIRLANDA
SINOPSI
In un mondo parallelo al nostro, la “Monsters Inc.” è una fabbrica dello spavento artificiale
nella città di Mostropolis. Una scritta domina all’ingresso: “We scare because we care” (“Vi
facciamo paura perché vi abbiamo a cuore”). Ogni giorno, mostri bizzarri, assistiti da allenatori come per i campioni sportivi, spalancano una serie di porte di accesso a camerette di
bambini dormienti e gettano il terrore. In tal modo le urla dei piccoli malcapitati si trasformano nell’energia che alimenta tutta la città. Ma la produzione è in crisi: i bambini non si
spaventano più e i mostri devono fare corsi di aggiornamento. Gli umani sono considerati
pericolosi, gravemente “tossici”, per cui i mostri non devono avere contatti con loro. In
caso di “contaminazione”, possibile anche solo attraverso un calzino, scatta l’intervento di
una squadra speciale, la CDA (Child Detection Agency). Il campione di spaventi è James P.
Sullivan, soprannominato Sulley, un bestione dal pelo lungo blu-viola che ha per assistente
un simpatico mostriciattolo verde con un solo occhio, Mike Wazowski, fidanzato con la
signorina Celia dai capelli viventi a forma di serpente. A invidiare il loro successo c’è Randall Boggs, un lucertolone trasformista e zannuto. Sarà costui a organizzare una terribile
vendetta, soprattutto quando una bambina si troverà per caso nella fabbrica, portando il
panico tra i mostri. Sulley e Mike, pur di difendere la loro protetta, soprannominata “Boo”,
con cui hanno un rapporto d’amicizia contravvenendo a tutte le regole, si difenderanno
strenuamente. Finiscono, così, per svelare le trame (e la camera di tortura dei bambini)
organizzate dal direttore della Monsters, Henry Waternoose, in combutta con Randall.
Dopo essere stati esiliati sull’Himalaya, i due mostri buoni riescono a tornare per scoprire
che le risate dei bambini possono produrre maggiore energia delle urla di paura.
Sui titoli di coda si vedono i “ciak” con gli errori “virtuali” di recitazione dei personaggi.
MONSTERS & CO
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ANALISI DELLA STRUTTURA
“Non facciamo niente senza una ragione precisa.
Tutto deve avere un senso,
altrimenti andremmo a filmare la realtà”.
John Lasseter
Ecco un prodotto innovativo della Pixar Animation Studios, il laboratorio della Disney per
l’animazione digitale ovvero il disegno computerizzato in 3D, diretto da John Lasseter (qui,
produttore esecutivo, mentre il regista si è formato come suo assistente). Lasseter è un
pioniere del settore con i due episodi di Toy Story (1995; 1997) e A Bug’s Life – Megaminimondo (1998). In queste opere, lo stile di “simulazione” o la tecnica delle immagini di sintesi
tendono a prevalere su ogni altra riflessione o analisi, fino al punto da sviluppare quella
caratteristica del cinema di computer grafica che è l’“auto-referenzialità”. Ovvero il rimando continuo ad altre opere simili e al tema della stessa tecnica utilizzata. Questo fa sì che il
film sia adatto più a studenti del ciclo superiore.Tuttavia, grazie al suo sfondo fiabesco dedicato alle paure, si raccomanda anche al pubblico dei più piccoli.
La componente tecnologica
Anche in questo caso, come accade per tutti i film “digitali” che utilizzano, cioè, effetti e
software informatici in modo da avvicinarsi il più possibile attraverso la tecnica del cartoon
al film “live” o all’immagine reale, il dato più evidente è il livello tecnologico raggiunto, uno
stato dell’arte più alto rispetto a quello delle opere precedenti. Qui, secondo gli autori, la
sfida consisteva nell’animare il pelo di Sulley, “una pelliccia composta da 3 milioni e 200 mila
peli che si devono muovere indipendentemente l’uno dall’altro”, e nell’inseguimento finale,
con 14 milioni e 500 mila porte tutte diverse che si aprono e si chiudono, realizzato con un
lavoro di tre giorni necessari a completare un singolo fotogramma. Il totale delle immagini
“renderizzate”, ovvero prodotte dal computer con un programma sofisticato (il nome è
“FitZ” e compare sulla console dei comandi per aprire le porte), è di 2.2 milioni (quando
Toy Story ne aveva “solo” 1.1 milioni). Il programma consente di animare i personaggi indipendentemente dai vestiti e dalla loro peluria. Altri loro software, ricordiamolo, sono stati
utilizzati per gli effetti digitali di Pearl Harbor (2001), Il Signore degli Anelli (2001) e Harry Potter
(2001), contribuendo così a modificare radicalmente l’estetica del cinema degli ultimi anni.
“Un ulteriore traguardo”, nota Giulietta Fara per il Future Film Festival 2002 di Bologna,“è
stato dunque raggiunto dalla Pixar: creare oggetti e personaggi “prensili”, che non stiano
semplicemente composti su uno schermo piatto, ma escano a tutto tondo davanti agli
occhi e ai polpastrelli increduli degli spettatori. I tentacoli di Celia ci accarezzano i capelli, il
pelo di Sulley ci solletica il naso, e il turbinio di azioni e gag non ci lascia mai; sicuramente
siamo di fronte a un nuovo traguardo per la computer animation, nel segno di un digitale
coloratissimo e caramelloso, da far invidia persino alle migliori gelatine della nonna”.
Colori, movimenti, “realismo” per le creature più strane e le scene impossibili: questo è lo
scenario d’immaginazione sfrenata che caratterizza i film di animazione digitale. Il doppiaggio originale con le voci di attori famosi americani (il possente John Goodman per Sulley,
l’agile comico logorroico Billy Crystal per Mike, la voce stridula di Steve Buscemi per l’in-
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ARRIVANO I FILM
quietante Randall e la vezzosa Jennifer
Tilly per Celia dai capelli a piovra), nonché alcune caratteristiche morfologiche
di somiglianza con gli stessi, contribuiscono poi ad aggiungere quella verosimiglianza necessaria per sorprendere bambini e
adulti. A ciò si affianchi il modellamento
delle creature irreali su comportamenti o
abitudini delle persone reali: per esempio,
la scena del sushi-bar gioca sulla parodia
di mode americane, come i locali di cucina giapponese.
È importante sottolineare il tema della
simulazione, dal momento che il film inizia proprio con una scena “finta”, “doppia”, metacinematografica. La prima
inquadratura è su una fila di pupazzi di
peluche allineati su una mensola: in una
cameretta con lettino si “prova” a terrorizzare un bambino (che peraltro assomiglia molto
all’Andy di Toy Story), mentre in cabina di regia il direttore della fabbrica esamina i risultati.
La prova fallisce perché il mostro commette l’errore fatale di non chiudere la porta dietro
di sé. C’è anche una scena in cui si cita chiaramente la “realtà virtuale”. “Abbondano, poi, le
marche di riconoscimento tipiche dei videogame: la competizione tra i mostri per collezionare le urla dei bambini viene visualizzata per mezzo di un’interfaccia su schermo dall’estetica tipicamente videoludica (con tanto di barre di energia, punteggi e schedine dei personaggi). Anche il climax finale, che vede Mike & Sulley impegnati a salvare Boo dalla grinfie di
Randall, rimanda alla meccanica dei videogiochi a piattaforme, alla Super Mario, per intendersi. Si noti che questa sequenza rimanda a quella analoga di Toy Story 2 ambientata all’interno dell’aeroporto, tra rulli e valigie. Il cinema della Pixar è un cinema-ottovolante, vorticoso e rutilante, che toglie il fiato. Il cinema come giro sulle montagne russe. Il cinemavideo-gioco” (Matteo Bittanti, “Cineforum”). A dimostrazione, peraltro, della grande manipolabilità dell’immagine, caratteristica primaria del cinema digitale.
Sulla stessa linea, un altro elemento interessante sta nel carattere intergenerazionale del
film, rivolto com’è sia al pubblico infantile e adolescenziale sia a quello adulto. Per tutti può
valere il gioco delle citazioni che dà un sapore di “già visto” e insieme di “scoperta”. Nota
l’esperto di animazione Marcello Garofalo:“Si parte con un omaggio alla “titolistica” animata dei Sixties con tanto di partitura jazzata, si rievoca con ironia il ralenti degli eroi di Armageddon e si arriva a dedicare un sushi-bar di mostri a Ray Harryhausen”, il pioniere degli
effetti speciali solo meccanici (modellini, macchine, plastici, trasparenti, ecc.), con opere
come Gli argonauti (1963), Un milione di anni fa (1966) o Scontro di Titani (1981). Analogamente, la scena finale con l’inseguimento velocissimo tra le porte sospese nel vuoto fa pensare ad altre scene della saga di Indiana Jones, così come la buffa coppia composta da Sulley
e Mike è simile a Stanlio e Ollio.
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La componente linguistica
D’altra parte, il tema dell’auto-referenzialità ludica, della citazione continua, è già presente
in un altro film della Pixar, Toy Story 2. Serve a strizzare l’occhio per gli adulti-cinefili che
vogliono giocare con la memoria come a rendere più familiare la storia per i più piccoli,
ormai abituati alle situazioni dei videogame come alla visione ripetuta degli stessi film, e,
forse, incapaci di emozionarsi veramente. Su tale direzione il film assomiglia a un enorme
archivio di film, a un “database”. “Quasi ogni fotogramma contiene un link ipertestuale”,
puntualizza ancora Bittanti, rintracciando tra i molti film citati sia quelli prodotti dalla Pixar
sia altri.“L’ingresso in slow-motion dei mostri nella fabbrica – la cui sala d’ingresso è identica a quella di Men in Black – riprende una celebre scena di Uomini Veri (1983), a sua volta
citata da Armageddon (1998), nel cui cast figurava peraltro Steve Buscemi, la voce di Randall.
E c’è persino una citazione trasversale a Fargo (1996). Corsi e ricorsi: nella scena d’apertura, la radiosveglia trasmette la stessa frase di Ricomincio da capo, il film del 1993 interpretato da un grande Bill Murray. L’allenatore di Sulley è modellato su quello di Sylvester Stallone in Rocky (1978)”. E così via.
Inoltre, secondo i “Cahiers du Cinéma”, in Monstropolis ci sarebbe un ricalco di Hollywood costretta a nutrirsi delle paure e delle emozioni dei bambini-spettatori per poter
sopravvivere (attraverso la porta-schermo). Una sorta di metafora del funzionamento globale del cinema, con i mostri-attori (a cui il direttore della fabbrica spiega le tecniche di
interpretazione del terrore con dialoghi degni di Lee Strasberg) costretti prima alla monocultura delle urla e poi indirizzati alla “riconversione” dell’industria stessa con la risata, in
una nuova alleanza tra spettatore e personaggio.
A un altro livello di lettura, lo scenario e l’immaginario di riferimento sembrano rimandare
a qualcosa di più ampio, legato all’economia reale: l’industria dei giochi elettronici in rapporto al cinema. Come nota acutamente sempre Bittanti, nella feroce lotta in corso per l’animazione hollywoodiana (con i giapponesi sempre in guardia), ora è la Pixar a
vincere con il suo “marchio di fabbrica”.
Essa “propone da sempre un cinema che
emula e simula il gioco pur restando,
prima di tutto, cinema”. A colpire infatti
l’immaginazione degli spettatori più che la
simulazione della realtà, come avviene nei
videogame o in film come Final Fantasy, è
il volto “umano” e rassicurante dell’animazione. Come si vede già nella cara e
vecchia Disney, di cui la Pixar è ormai una
divisione. Il film dunque non rientra nel
genere fantascientifico dei film virtuali
quanto in un rinnovamento tecnologico
del cartoon. In tal senso, gli animatori
della Pixar hanno voluto privilegiare la
104
ARRIVANO I FILM
componente narrativa, la messa in scena
dei sentimenti e degli affetti, come nel
cinema convenzionale. Nelle ultime
immagini, infatti, il gigantesco pupazzo
digitale, Sulley, sembra perdere la propria
identità virtuale per stringere amorevolmente, in un empito tutto umano, Boo,
intesa come il simbolo di ogni bambino
offeso.
Ma qui emerge l’altro tema problematico
del film: la trasformazione e il ribaltamento delle paure ancestrali e “pedagogiche”.
La componente simbolica
Se è vero infatti che i mostri della Pixar
non sono qui per spaventare, ma per stupire, è altrettanto vero che il film intende
riproporre ai bambini di oggi temi delle
favole antiche. Certo, dopo l’Orco di Pollicino, la Strega di Hänsel e Gretel o l’Omino di
Collodi, i personaggi paurosi dei bambini hanno mutato figura e significato. E così è avvenuto per le loro funzioni nella crescita del bambino, se si guarda alla nuova letteratura per
l’infanzia e ai suoi autori (Roald Dahl, Philippe Corentin, Bianca Pitzorno).
“Oggi il Mostro dell’Altrove ha lasciato il posto a uno ben più temibile: il Mostro del Condominio, che è ovunque”, osserva Antonio Faeti, docente di Grammatiche della fantasia
all’Accademia di Belle Arti di Bologna. “I piccoli lettori hanno capito che il nemico è tra
loro e, siccome sono degli esploratori, vogliono vedere com’è fatto”. In tal senso la Boo del
film, la bambina che vive tra i mostri senza provare turbamenti, può essere vista come il
campione dei nuovi lettori che diventano amici dei mostriciattoli, dei “vampiretti” come di
E.T., ovvero dei “diversi”. Mostri che sono simili agli stessi bambini, con problemi psicologici, identità in crisi, come lo spassoso lupetto orfano francese di Grégoire Solotareff, Lulù,
che non riesce a spaventare neanche un coniglio. La paura peggiore può annidarsi nelle
sembianze di una madre, quella di Lyra, protagonista de “La bussola d’oro” di Philip Pullman. “Fa tanta paura perché incarna ciò che più spaventa i bambini d’oggi: l’indifferenza”,
commenta la scrittrice Bianca Pitzorno (“Specchio” de “La Stampa”).
C’è poi un rovesciamento dei ruoli di cui qualche psicologo ha rilevato il rischio per la crescita. Se i mostri delle favole diventano buoni (come avviene nel finale, sulla scorta di Sulley
e Mike), allora i bambini non vivranno più le paure immaginarie come una tappa necessaria
della loro maturazione per poter esorcizzare quelle reali. D’altra parte le nuove paure
incarnate dai libri non trovano riscontro nel film: i mostri, infatti, finiranno per scoprire che
la loro energia vitale può derivare dalla gioia e dal riso dei bambini. L’eccesso di fantasia di
questa produzione può dunque avere un risvolto antipedagogico, addirittura dannoso per i
più piccoli?
MONSTERS & CO
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A uno sguardo più “maturo”, il film rivela allusioni socio-politiche inedite per un film d’animazione destinato ai bambini. La fabbrica dei mostri è, sì, legata a un’immagine Anni 60, con
la catena di montaggio, i lavoratori-modello e i capetti arroganti, ma nel disegno complessivo lascia intravvedere un significato più ampio e attuale. Precisa Mariuccia Ciotta: “Certo,
hanno tentacoli blu, enormi teste color smeraldo, occhi da Polifemo, oppure strisciano, stridono, saltano” sono operai-mostri, destinati a estrarre il massimo profitto dallo sfruttamento di materie prime rubate a un paese altro, aggredito, spaventato e rapinato. Il film
racconta per metafora il saccheggio globalizzato del primo mondo, che ruba l’energia e le
urla di paura dei bambini. Una favola sui veri mostri” (“Alias”). E Antonio Monda conferma:
“Monsters & Co dimostra ancora una volta che l’attuale cinema d’animazione americano è
spesso superiore per intelligenza, coraggio e inventiva a quello realizzato con attori in
carne e ossa: questa ennesima rappresentazione di un capitalismo senza scrupoli riesce a
essere leggera e raggelante, come la spiritosa riflessione proposta sull’idea di diversità”.
ITINERARI DIDATTICI
Livello elementare
– Giocare a identificare citazioni di personaggi, oggetti, situazioni e ambientazioni di altri
film per abituarsi a leggere e smontare il cinema nelle sue componenti linguistiche di
base (sceneggiatura, regia, ripresa, montaggio, sonorizzazione, ecc.).
Livello superiore
– Le paure nella letteratura per l’infanzia di ieri e di oggi: differenze, ribaltamento dei ruoli,
nuove paure quotidiane.
– Lettura metaforica del film sul tema del lavoro in fabbrica e delle sue trasformazioni storiche (dalla catena di montaggio ai sistemi gerarchizzati, dalla competizione agli obiettivi
condivisi, fino all’economia solidale), sul
rapporto tra Nord e Sud del mondo, sui
problemi legati alla globalizzazione. Riferimento a classici come Metropolis (1927)
di Fritz Lang e Tempi moderni (1936) di
Charlie Chaplin.
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ARRIVANO I FILM
ELEMENTI
PER LA DISCUSSIONE
Livello elementare
– L’accettazione degli umani da parte dei mostri e, viceversa, il fatto che il mostro diventi
buono possono prepararci all’accoglienza di ogni soggetto considerato diverso?
– La lotta del Bene contro il Male.
– L’amicizia e il sostegno tra Sulley e Mike
Livello superiore
– Nell’evoluzione del cartoon a 3D rispetto al lungometraggio bidimensionale, ci sono
limiti tematici e narrativi alla tecnica digitale? Ovvero: è meglio un mondo reale perfettamente simulato (come nei videogame) oppure un universo fantastico umanizzato (come
nelle fiabe)? Riferimenti ad altri film recenti.
IDEE
– Far incontrare genitori e insegnanti per comprendere meglio il ruolo delle paure immaginarie nella crescita dei più piccoli. Discutere del valore pedagogico di questo film.
– Vantaggi e rischi di un’opera intergenerazionale con diversi livelli di lettura: dai limiti
dello sviluppo narrativo all’ambiguità tematica, dalle tante metafore al metacinema nell’animazione.
BIBLIOGRAFIA
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–
–
–
–
–
–
AA.VV.,“Generazione Pixar,“Il Manifesto-Alias”, n. 11, 16 marzo 2002
Matteo Bittanti,“Apri gli occhi, chiudi la porta”,“Cineforum”, n. 414, maggio 2002
Oscar Cosulich,“L’Espresso”, 21 marzo 2002
Giulietta Fara,“Pixar Animation Studios” in AA.VV., Future Film Festival. Le nuove tecnologie
del cinema d’animazione,Adnkronos Libri, Roma, 2002
Marcello Garofalo, Monsters & Co.,“Segnocinema”, n. 115, maggio-giugno 2002
Interviste a Pete Docter e John Lasseter,“Studio Magazine”, n. 176, mars 2002
Antonio Monda,“Cartoni molto animati”,“La Rivista dei Libri”, n. 5, maggio 2002
Luca Raffaelli, Le anime disegnate. Il pensiero nei cartoon, Castelvecchi, Roma, 1994
“Ragazzo Selvaggio”, n. 33, maggio-giugno 2002
Charles Tesson,“Ce cri derrière la porte”,“Cahiers du cinéma”, n. 566, mars 2002
Giulia Zonca, Chicca Gagliardo, “Non aprite quell’armadio”, “Specchio” de “La Stampa”,
n. 316, 9 marzo 2002
MONSTERS & CO
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NO MAN’S
LAND
TERRA DI NESSUNO
:
LIATA
ONSIG
ETÀ C ANNI
3
1
I
DA
No man’s land
Belgio / Bosnia-Herzegovina
Francia / Italia / Slovenia
Gran Bretagna, 2001
di Alessandro Leone
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ARRIVANO I FILM
Regia, soggetto e sceneggiatura: Danis Tanovic
Montaggio: Francesca Calvelli
Musiche: Danis Tanovic
Fotografia: Walther Vanden Ende
Interpreti: Branko Djuric (Ciki), Rene Bitorajac
(Nino), Filip Sovagovic (Cera), Georges Siatidis
(sergente Marchand), Katrin Cartlidge
(Jane Livingstone)
Produzione: Frédérique Dumas-Zajdela,
Marc Baschet, Cedomir Kolar
Durata: 98 min.
Distribuzione: Zenith
A CURA DI ALESSANDRO LEONE
SINOPSI
1993. Conflitto serbo-bosniaco. Una pattuglia bosniaca, dopo aver perso l’orientamento
durante la notte, viene attaccata da una postazione serba alle prime luci dell’alba. Sopravvive solo Ciki, che ripara nella cosiddetta “terra di nessuno”, una trincea situata tra le due
linee nemiche.
Allo scopo di perlustrare la zona, sopraggiunge Nino, un serbo. Nel frattempo, Cera, un
bosniaco ritenuto morto viene posizionato, come esca, sopra una mina, pronta ad esplodere nel momento in cui il corpo stesso verrà rimosso. Ciki e Nino rimangono soli nella trincea. Divisi dall’appartenenza ad opposti schieramenti, cercano dapprima di sopraffarsi reciprocamente; in seguito decidono di sospendere momentaneamente le ostilità per provare
ad attirare l’attenzione dei reciproci schieramenti, con la speranza di uscire da una situazione paradossale, che diviene drammatica quando Ciki si rende conto che il compagno
serbo, posizionato sulla mina, è vivo e non può muoversi senza innescare l’ordigno.
Interviene una pattuglia francese dell’UNPROFOR. Il sergente Marchand si attiva per risolvere la situazione, ma la lenta e ottusa burocrazia dell’alto comando inglese rallenta le operazioni. Contemporaneamente il caso diventa di dominio pubblico dopo l’arrivo di una
troupe televisiva, pronta a spettacolarizzare la vicenda.
Un artificiere tedesco, sopraggiunto nella trincea, è costretto a constatare l’impossibilità di
liberare l’uomo, mentre le scaramucce tra Nino e Ciko assumono sempre più i caratteri di
una guerra privata, che porterà alla morte di entrambi.
Nel finale amaro e beffardo, il comandante inglese, sopraggiunto in elicottero, esaminata la
situazione, comunica ai giornalisti la falsa notizia del disinnesco della mina, mentre la verità
ci consegna l’immagine finale di Cera disteso supino, solo in mezzo alla trincea ormai
deserta.
NO MAN’S LAND
109
ANALISI DELLA STRUTTURA
Ogni guerra è profondamente ingiusta.
Il cinema l’ha raccontato infinite volte, spostandosi nel tempo e nello spazio, dalle guerre
mondiali fino alle piccole guerre combattute magari tra le mura di casa, aderendo progressivamente a criteri di narrazione che trasformavano l’avventura in battaglia, nell’avventura
dell’uomo umiliato dall’obbligo della battaglia: da Apocalipse Now a La sottile linea rossa, il
cinema di guerra ha coinciso spesso con il racconto di un viaggio introspettivo di ricerca.
Altra tendenza, tesa ancora una volta a confermare l’assunto iniziale, è il taglio ironico,
spesso cinico, con cui alcuni autori hanno tentato di descrivere un orrore a volte definito
“non raffigurabile”. L’invito alla risata amara, a denti stretti, non per sogghignare, ma per
maledire una realtà che ci illudeva potesse essere benevola, ma che si è poi manifestata tragica.
Così ogni guerra rimane profondamente ingiusta, ci ricorda il cinema che rifugge dalle rappresentazioni televisive ormai prive di forza (fosse anche e solo perché arrivano dirette in
casa, dove abbiamo imparato a seppellire sotto il tappeto dell’indifferenza tutto ciò che giudichiamo indesiderato). Così in meno di un anno abbiamo scoperto Kandahar, la Somalia e
(riscoperto) la ex Jugoslavia, quando credevamo di averne digerito tutti i conflitti.
No man’s land, fresco vincitore dell’Oscar, ma già premiato a Cannes 2001 per la miglior
sceneggiatura, ci molesta proprio con l’arma dell’ironia, inscenando una situazione paradossale che volge progressivamente in tragedia. Il bosniaco Tanovic, alla sua opera prima, già
documentarista, cresciuto nel pieno della dissoluzione jugoslava, scrive e gira un film che
non vuole spiegare i motivi della catastrofe che ha colpito il suo paese (pensiamo alla
distanza con un altro grande film slavo, Prima della pioggia di Manchevski, dove l’autore cercava le ragioni dell’odio restringendo l’obiettivo su due famiglie in conflitto, una macedone
l’altra albanese, per poi allargare il significato del racconto a tutta la Jugoslavia). Tanto è
vero che mancano del tutto indicazioni geografiche, al contrario di quel che fece Paskaljevic
ne La Polveriera, scegliendo Belgrado come scenario. L’intento di Tanovic pare invece essere
un altro: affermare che un serbo e un bosniaco in guerra, infilati in una trincea uno di fronte all’altro, diventano simbolo dell’incapacità dell’uomo di uscire da una spirale di violenza,
incastrati da un odio di cui difficilmente saprebbero spiegare le ragioni. Potrebbero essere
un israeliano e un palestinese, un indiano e un pakistano, e mi fermo qui (l’elenco potrebbe
essere paurosamente lungo).
Il teatro è una trincea, terra di nessuno recintata, dove i due personaggi si muovono come
se la loro stessa esistenza potesse incarnare le ragioni dei popoli che rappresentano. Parole
e gesti si raccordano in tal senso, soprattutto nella ricerca di un’arma che possa sottomettere l’avversario, il vicino di casa diverso e nemico. Salvo poi scoprire di aver amato la stessa donna a Banja Luka, geniale inserto nella sceneggiatura che permette al regista di avvicinare i due soldati, mettendone in risalto le similitudini, a delineare due uomini spinti alla
bestialità dall’istinto di sopravvivenza.
Nonostante un canovaccio di partenza piuttosto semplice, il lavoro attento di scrittura, ha
permesso a Tanovic di avvincere lo spettatore, alternando momenti esilaranti, a tratti grotteschi, ad altri di più cruda realtà: lo sventolare in mutande i propri abiti per richiamare l’attenzione dei rispettivi schieramenti, contro la brutalità dei tentativi di sopraffazione; il
generale Onu impegnato a trastullarsi con la segretaria e poco interessato alla vicenda, fino
110
ARRIVANO I FILM
a quando non diventa dominio dei media, contro l’evidente incapacità dell’artificiere di
disinnescare la bomba sotto il corpo di Cera. Una dialettica che, oltre a dettare il ritmo al
racconto, crea evidenti slittamenti di significato: la percezione del paradosso è smentita dal
senso tragico del reale e viceversa, creando associazioni concettuali capaci di rendere l’assurdità del conflitto.
Proprio la presenza di Cera, uomo-dinamite, incarna il senso intero del film: supino sull’ordigno, dapprima creduto morto, si risveglia solo per assistere alla propria fine, dopo essere
stato oggetto comico per lo spettatore (costretto a farsela sotto crea involontariamente
una gag), dopo averci intenerito con il desiderio di rivedere anche solo in foto la propria
moglie. Cera diviene il perno attorno a cui ruotano Nino, Ciki, la pattuglia francese Onu e
la troupe televisiva accorsa. Cera spinge all’azione e invita lo spettatore a dare senso alla
visione, nella speranza di una risoluzione positiva, che puntualmente non arriva. Ciki e Nino
finiscono per essere causa delle rispettive morti violente, mentre Cera viene salvato dall’artificiere solo nella messa in scena data in pasto alla televisione. Gratificato lo spettatore
televisivo e la troupe a caccia di uno spettacolo appetibile, Tanovic uccide lo spettatore
cinematografico violentato con l’immagine finale di Cera abbandonato a se stesso in mezzo
alla trincea. Siamo al tramonto; la macchina da presa si riempie del corpo dello sventurato
e piano si allontana in verticale, a piombo, dal corpo stesso che diventa sempre più piccolo.
Ciò che la diretta ancora una volta non ha potuto mostrare, è ciò che comunque non vorrebbe mostrare: la visione ingrata di uno spettacolo che prometteva di intrattenere come
una commedia, per poi tradire con la verità di una tragedia.
NO MAN’S LAND
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ITINERARI DIDATTICI
Il cinema e il conflitto jugoslavo negli anni ’90
– Prima della pioggia di Milcho Manchewski (1994)
– Underground di Emir Kusturica (1995)
– La polveriera di Goran Paskaljevic (1998)
– Beautiful people di Jasmin Didzar (1999)
ELEMENTI
PER LA DISCUSSIONE
1.
–
–
–
–
Umanità e bestialità: la guerra imbruttisce gli uomini
L’uomo come macchina da guerra
Il valore della solidarietà nei rapporti umani
La tolleranza impossibile nel conflitto interetnico
2.
– L’Onu e la guerra nell’ex Jugoslavia
– Il ruolo dei contingenti di pace
3.
– Guerra e media
– Il racconto della guerra attraverso la televisione
– Rapporto tra finzione e realtà nel prodotto confezionato dai media
IDEE
1. Il cinema racconta la guerra.
Altri film, altre guerre: un secolo di conflitti attraverso il cinematografo.Approfondimenti
attraverso la visione di film e documentari.
2. Storia della Jugoslavia.
Ricostruzione degli eventi che dal secondo dopo guerra hanno portato il paese al disfacimento.Analisi delle ragioni di un odio devastante.
3. I conflitti interetnici.
Identificazione ed analisi dei motivi che ancora oggi dividono popolazioni confinanti: dall’odio razziale, all’intolleranza religiosa.
112
ARRIVANO I FILM
PERCORSO
• Frammenti di storie italiane
vedi Catalogo 2001/2002
:
LIATA
ONSIG
ETÀ C ANNI
3
1
I
DA
NON È GIUSTO
Produzione: Megaris-Mikado
Soggetto: Antonietta De Lillo
Sceneggiatura: Mattia Betti,Antonietta De Lillo
Montaggio: Giogiò Franchini
Direttore della fotografia: Cesare Accetta
Musica: Antonio Fresa
Interpreti: Maddalena Polistina (Sofia),
Daniele Prodòmo (Valerio),Valerio Binasco (Matteo),
Antonio Manzini (Giacomo), Lucia Ragni (nonna),
Monica Nappo (Graziella),Antonella Stefanucci
(Paola), Rosa Di Brigida (Cinzia), Nadia Carlomagno
(Stella)
Durata: 100 min.
Distribuzione: 2001 Distribuzione
Non è giusto
Italia, 2001
di Antonietta De Lillo
NON È GIUSTO
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A CURA DI GIANCARLO ZAPPOLI
SINOPSI
Valerio, 12 anni, torna a Napoli per raggiungere suo padre Matteo, responsabile della programmazione di videogiochi, per trascorrere con lui le vacanze. L’uomo, che vive solo da
quando si è separato dalla moglie, sta per prendere le ferie per poi partire con il figlio per
un viaggio che si preannuncia emozionante. Sofia, 11 anni, si sveglia nell’appartamento-studio di suo padre Giacomo (avvocato per cause di separazione) e poi va a fare la spesa. È in
un negozio che incontra Valerio, a sua volta incaricato degli acquisti dopo che l’auto paterna si è messa a fumare. Il tempo di pretendere il primo posto nella fila e i due vanno ognuno per la propria strada. Valerio viene ‘affidato’ dal padre al cugino Federico mentre lui si
reca al lavoro. Il ragazzo non è entusiasta dell’idea ma deve accettare. In spiaggia incontra di
nuovo Sofia con cui fa amicizia. I due fanno amicizia ma si separano a sera perché Valerio
deve partire il giorno dopo per l’Africa, come programmato con il padre.
Ma il giorno dopo si va ancora al mare perché il padre deve andare in ufficio e solo nel
pomeriggio prenoterà i biglietti per la partenza. Valerio però non se la sente di andare a
farsi prendere in giro perché non è partito. Si nasconde così sull’auto e sente il dialogo tra
Matteo e la sua compagna: viene così a sapere che l’uomo è senza soldi e dovrebbe chiedere un prestito alla ditta per poterlo portare in vacanza. Valerio torna alla spiaggia per la
gioia di Sofia che lo presenta al padre. Il quale ha un figlio più grande, Armando, nato da
un’altra relazione. Le due madri (di Armando e di Sofia) chiamano per dare ordini o per
sentire i figli mentre Valerio ha appena finito di raccontare della propria vita in Svezia con la
madre, napoletana. Sofia lo invita a cena a casa sua con Matteo. Così i due padri (entrambi
divorziati) hanno modo di conoscersi e di ipotizzare anche una breve vacanza in campeggio
insieme.
Il giorno dopo i due ragazzi sono di nuovo in giro insieme. Decidono di raggiungere un
posto che a Sofia hanno detto essere molto bello. Si fanno dare un passaggio da due spinellati dopo averne rifiutati numerosi altri da presunti ‘stupratori’. Raggiungono così un parco
divertimenti che è però chiuso. Dopo vanno dalla nonna paterna e incontrano Graziella,
una ragazza-madre ‘amica’ del padre di Sofia. Di lì a poco Sofia sente un colloquio tra Graziella e Giacomo. È lui il padre del bambino e la giovane pretende che riconosca la paternità. Dopo cena Valerio sta confidando a Sofia i progetti di sua madre sul suo futuro quando i due vengono innaffiati dai padri che, un po’ ubriachi, propongono un giro in barca. Al
rientro arriva la madre di Federico che insulta il cognato. Non tocca migliore sorte a Giacomo al suo ritorno a casa con Sofia.Trova infatti la madre di Armando che lo insulta perché Graziella ha portato dei gatti in casa della nonna provocando al ragazzo una crisi di
asma allergica. Dopo un colloquio con sua madre Giacomo decide di recarsi a Procida da
Adele, la mamma di Sofia. Anche la partenza per l’Africa sembra ormai possibile ma a Valerio non interessa più.Tanto che lascia la casa di suo padre. Intanto Giacomo sembra essersi
riconciliato con Adele ma è solo una tregua che dura lo spazio di una notte.Al mattino una
telefonata di sua madre costringe Giacomo a fare rientro a Napoli. Sofia resta con la
mamma. Ma l’attende una sorpresa: arriva Valerio. Al quale racconta della prossima separazione di Giacomo e Adele e della sua incertezza sul futuro. Matteo ha scoperto dov’è è sta
per tornare a riprenderlo. Sofia e Valerio lo attendono al porto. Nel momento in cui la
nave attracca liberano un pesce appena pescato.
114
ARRIVANO I FILM
«Alla fine tutto si riduce a una richiesta o
a un’offerta di attenzione. L’attenzione di
cui hai bisogno e l’attenzione che dai, l’attenzione che cerchi di ottenere con la
tenerezza o di strappare con la prepotenza. L’attenzione che regali o che compri,
che vendi, che baratti. Possiamo chiamarla
in altri modi a seconda delle sue qualità
specifiche , chiamarla amore o amicizia o
ammirazione o interesse o curiosità o
devozione o passione o mania o voglia o
quello che ti pare. Ma alla fine se riduci
tutto ai termini essenziali, è solo una
richiesta o un’offerta di attenzione».
(Andrea De Carlo, Pura vita, Mondadori,
2001)
Antonietta De Lillo non aveva bisogno di
leggere la riflessione citata qui sopra
(pubblicata dopo la presentazione del suo film al Festival di Locarno) per scrivere il suo
film. È interessante però che una sensibilità femminile e una maschile (entrambe operanti
nel mondo della creatività) giungano praticamente alla stessa conclusione. Valerio, Sofia e
anche Armando (anche se ormai lo manifesta solo con un isolamento scontroso) hanno
‘fame’ di attenzione. Quell’attenzione che cercano anche gli adulti intorno a loro non
sapendo al contempo come offrirla ai loro figli anche se (soprattutto i padri) si rendono
confusamente conto di dovergliela. È un film che apre dal cielo e chiude sul mare Non è giusto. Lo sguardo dall’aereo di Valerio in arrivo solitario a Napoli abbraccia una città multiforme che si farà progressivamente protagonista del film con le sue strade e le sue spiagge. Il
mare di Procida in cui tornare a far nuotare libero il pesce appena pescato diventa simbolo
di un bisogno di libertà conculcato da padri troppo ‘bambini’ per poter offrire modelli e
punti di riferimento. Apparentemente ‘liberi’ e libertari e in realtà già vincolati da una vita
che ha deciso per loro. È sugli sguardi di Sofia e sull’ascoltare di Valerio che la regista
costruisce un film che non dimentica il modello di De Sica, che Napoli amava riamato, de I
bambini ci guardano. Si osservi una delle prime sequenze. Dopo che Valerio ha salutato suo
padre con un gesto di affetto trattenuto i due vanno verso la città. Di solito in una sequenza che vuole far trascorrere il tempo dal giorno alla notte si mutano rapidamente, trattandosi di un trasferimento da un luogo ad un altro, le collocazioni. La regista sceglie invece di
far scorrere il tempo e in uno spazio in cui gli altri corrono e il punto di vista resta fermo,
quasi una sospensione nei rapporti adulto-genitore. Da qui si susseguiranno situazioni in
cui i due protagonisti saranno in ascolto (involontario quello di Valerio in auto) o in detection visiva come accade più spesso a Sofia. Il suono ricorrente del carillon rimanda a una
loro infanzia più o meno negata o comunque bruciata in fretta. Sono bambini ‘adulti’ Valerio
e Sofia costretti a crescere rapidamente da genitori troppo presi da se stessi per badare
veramente a loro. La De Lillo non “chiude” il film su di loro ma anzi, con il ritorno quasi
NON È GIUSTO
115
obbligato su immagini ‘rubate’ dalla strada
o dalla spiaggia, comunque dal quotidiano,
sembra non solo voler reinserire i suoi
personaggi nella vita della città ma anche
suggerirci che di storie come quelle a cui
stiamo assistendo ce ne sono tante e
tutte possibili. Fa anche di più: suggerisce
la vicenda del cugino Federico (con una
madre che si potrebbe eufemisticamente
definire nevrotica e proposta con dei
rapidissimi salti di montaggio che sottolineano questo suo stato psicologico)
senza volutamente approfondirla. Se le
madri sono nevrotiche oppure distanti
(come la madre di Valerio) o fintamente
sorridenti (la mamma di Sofia) i padri
sono dei Peter Pan mai cresciuti che si
confidano dinanzi a un videogame. Il volo
allora può essere solo un sogno dei loro figli (vedi il parco giochi) che fuggono da questi
adulti che dormono come bambini e che pensano a famiglie allargate (troppo ‘allargate’)
che pian piano si dissolvono lasciandoli soli. “Sola però mi diverto” afferma Sofia che poco
prima aveva espresso il suo desiderio di avere tanti figli (dinanzi a un Valerio silenzioso). Il
suo giovane amico aveva invece chiesto più volte la presenza di un padre sempre pronto
‘dopo’ mai al momento.
Antonietta De Lillo ha delle idee molto precise in proposito. Ecco come le ha esposte
all’autore di questa scheda in un’intervista pubblicata sul settimanale “Onda Tivù”.
Qual è stata la molla che l’ha spinta a trattare questi temi?
L’ho trovata nel partire dall’oggi, dal mondo di noi adulti e dal nostro smarrimento.
E mi sembra che sia un film che arriva al momento giusto nella mia carriera. Mescolando
fantasia e quotidianità ho dato vita a dei personaggi che non sembrano scritti e ho trovato
in questo la collaborazione degli attori.
L’“attrice” Napoli, che è importante nel film, come si è comportata?
Direi bene. Napoli è la mia città, la città della mia infanzia. Non è stato difficile trovare una
Napoli, atipica e un po’ borghese di cui mostrare non il folklore ma la bellezza.
Vedendo “Non è giusto” viene da pensare a “I bambini ci guardano” di De Sica. Secondo lei
oggi qual è la mancanza più grave che i genitori compiono nei confronti dei bambini?
Secondo me è la mancanza di rispetto verso se stessi. A proposito di De Sica, che amo
moltissimo, il suo film trattava temi molto forti. Il mio film ne assume lo sguardo ma descrive una quotidianità forse anche più pericolosa perché i nostri bambini sono spesso inconsapevoli di crescere senza un modello e questo è pericoloso.
Armando, il fratello maggiore di Sofia, sta spesso davanti al televisore.
116
ARRIVANO I FILM
Cosa pensa del mezzo televisivo?
Penso che contribuisca alla solitudine dei più piccoli e anche alla nostra, intesa come mancanza di comunicazione.
Lei ha due figlie piccole. Le dicono mai:“Non è giusto”?
Le dirò che per il film ho attinto più dalla mia memoria che non dalle esperienze delle mie
figlie. In particolare per quanto riguarda l’attenzione a quelle piccole o grandi distrazioni, a
quel ‘niente’ che però ha un riflesso sul mondo dei più piccoli
APPROFONDIMENTI
Il significato della parola “famiglia”
a) I mutamenti della struttura familiare nel Novecento
b) Cosa rappresenta oggi la famiglia dal punto di vista socio-affettivo
c) I ragazzi dinanzi al mutamento
ELEMENTI
PER LA DISCUSSIONE
– “Non è giusto”: frase pronunciata da ragazzi e da adulti nella vita quotidiana.Torti, ragioni, possibilità di comprensione reciproca.
– Padri-bambini evanescenti/madri volitive e critiche: un’esasperazione del film o un riflesso della realtà?
– L’importanza del “luogo” in cui si ambienta una storia. Prova ad immaginare di trasferire
la vicenda del film nel luogo in cui vivi tu: cosa dovrebbe cambiare (oltre ai luoghi in cui
riprendere) negli stili di vita?
NON È GIUSTO
117
RIBELLI
PER CASO
:
LIATA
ONSIG
ETÀ C ANNI
3
1
I
DA
Ribelli per caso
Italia, 2001
di Vincenzo Terracciano
118
ARRIVANO I FILM
PERCORSO
• Frammenti di storie italiane
vedi Catalogo 2001/2002
Regia: Vincenzo Terracciano
Sceneggiatura: Laura Sabatino,Vincenzo
Terracciano
Fotografia: Paolo Carnera
Montaggio: Marco Spoletini
Musica: Ezio Bosso
Scenografia: Carlo De Marino
Costumi: Gaia Guidotti
Interpreti: Antonio Catania (Adriano),
Giovanni Esposito (il professore), Franco Javarone
(don Ciro), Renato Scarpa (Armando),Tiberio Murgia
(Vincenzo),Antonio Petrocelli (dottor Sorvino),
Gea Martire (Maria), Gianni Ferreri (ispettore
Lettieri), Maria Pia Calzone (dottoressa Del Giudice),
Giancarlo Casentino (Giorgio), Claudio Patierno
(Fabio), Peppe Iodice (Enzo), Dora Romano (Carla),
Silvia Tortarolo (Luisa), Ivan Polidoro (Tonino)
Produzione: Umberto Massa, per Kubla Khan
Durata: 94 min.
Distribuzione: 2001 Distribuzione
A CURA DI MARCO BORRONI
SINOPSI
Nella stanza 104 del reparto gastroenterologico di un grande ospedale napoletano, il caso
riunisce cinque uomini di mezza età affetti da sindromi diverse: l’impiegato Adriano, il fruttivendolo Ciro, l’insegnante Guido, il bancario Armando e il vinaio Vincenzo (il quale, assistito
dai figli, da parecchie settimane sembra ormai refrattario alle cure, come immerso in un
sonno profondo). Malgrado le differenze di provenienza e di carattere, la forzata convivenza
stimola in loro una reciproca solidarietà che si tramuta in simpatia, quasi un’amicizia il cui
“collante” è costituito dalla comune repulsione per le scipite pietanze che, puntuali e inesorabili, sono costretti a ingollare giorno dopo giorno: pastina, riso in bianco, verdure bollite… Altro fattore di coesione è l’esasperazione provocata dall’assoluta mancanza di professionalità di alcuni infermieri, ma soprattutto dal comportamento sprezzante e arrogante
che il corpo medico – capeggiato dall’insopportabile dottor Sorvino – manifesta verso i
degenti, vessati da interminabili sessioni di esami e analisi e mantenuti sistematicamente
all’oscuro sull’evoluzione del proprio decorso clinico.
Un giorno, Sorvino irrompe nella stanza 104 e redarguisce duramente Guido, a suo avviso
colpevole di aver disatteso le regole del nosocomio chiedendo un consulto esterno. L’ennesima umiliazione fa insorgere il gruppo, che decide di prendersi una rivincita organizzando una succulenta cena a base di tutto ciò che le rigidissime diete cui sono sottoposti bandiscono col massimo rigore: pastasciutta, salsicce, salumi, formaggi, dolci, vino… Si individua
anche la serata più adatta: il sabato, quando la maggior parte del personale è assente e la
vigilanza si allenta. Detto, fatto:Adriano, Ciro,Armando, Guido e i figli di Vincenzo si mettono in moto, procurandosi le materie prime e stabilendo turni di vedetta; c’è poi da “convincere” un riottoso e raccomandato giovanotto, favorito di Sorvino, e da distogliere l’attenzione della severa caposala Maria (ma a questo ci pensa Guido, che si affida a una strategia… sentimentale). Tutto pare procedere per il meglio: i commensali – compreso Vincenzo, che i profumi delle vivande hanno “resuscitato” – si siedono a tavola dandoci dentro di
gran gusto come se si trovassero in un’autentica trattoria, risoluti a recuperare le… calorie
perdute.
A un certo punto, però, il piano viene scoperto, e ai trasgressori non resta che barricarsi
all’interno della stanza. Immediatamente scoppia il bailamme: sul posto si precipitano immediatamente il medico di turno, dottoressa Del Giudice, con Sorvino e il primario in persona, più gli infermieri al completo; constatata l’inutilità di appelli e minacce viene chiamata la
polizia, che arriva poco dopo con una volante al comando del nevrotico ispettore Lettieri,
perennemente incollato al cellulare. Nel frattempo gli altri pazienti simpatizzano con la
ribellione dei colleghi di sventura e i sanitari tentano la carta “familiare”, scongiurando
mogli e parenti di intervenire persuadendo i loro cari a interrompere un pasto che, date le
condizioni di salute in cui versano, potrebbe rivelarsi assai pericoloso. Niente di fatto: anzi,
ad Adriano viene addirittura l’idea di subordinare l’abbandono delle posizioni a una serie di
richieste volte a migliorare il trattamento ospedaliero e in particolare il rapporto fra medici e ricoverati; lo spalleggia Guido, che convoca telefonicamente due giornalisti di sua conoscenza per assicurare la giusta risonanza all’evento.
La lista delle rivendicazioni contiene anche una piccola rivalsa nei confronti di Sorvino, che
dovrà farsi praticare una dolorosissima colonoscopia, registrarne gli esiti su cassetta e presentare quest’ultima a mo’ di prova. Sprezzante, il primario finge di accettare e obbliga Sor-
RIBELLI PER CASO
119
vino a fare la sua parte, sicuro di riuscire ad avere comunque la meglio; dal canto suo, Lettieri ne ha fatto una questione personale e, armato di piccone, tenta di penetrare con la
forza nell’ormai famigerata stanza 104. L’assedio è agli sgoccioli, Ciro – che, fra i cinque, era
quello che rischiava di più – ha un malore improvviso e il clamoroso atto dimostrativo si
conclude. L’indomani tutto pare rientrato nella normalità: gli autori dell’estemporanea
“grande abbuffata” hanno una buona cera, mentre in corsia risuona la musica e si accennano perfino passi di danza; poco prima, tuttavia, Adriano aveva avuto un brusco colloquio
con Sorvino sul senso del gesto della notte precedente, ricevendone in cambio un’impietosa rivelazione sulla sua malattia e sul futuro che lo attende.
ANALISI DELLA STRUTTURA
Utilizzando un canovaccio per molti versi riconducibile agli stilemi della commedia all’italiana, Ribelli per caso si inscrive esplicitamente nell’alveo di quella gloriosa tradizione, affiancando al lavoro condotto sui caratteri (tutti dotati di spessore e di credibilità, anche e soprattutto per merito di una squadra di attori di ottimo livello e consumato mestiere) una serie
di notazioni di chiara ispirazione “sociale”, che fungono da elemento non secondario per il
discorso complessivo sollevato dalla pellicola. Per la verità, nelle sue dichiarazioni,Terracciano – napoletano, classe 1964, al suo secondo lungometraggio dopo il melodramma giudiziario Per tutto il tempo che ci resta, uscito nel 1998 – parrebbe attribuire maggior peso al primo
aspetto, ponendo l’accento sui risvolti esistenziali della vicenda: “Pur essendo ambientato interamente in una corsia ospedaliera, Ribelli per caso vuol essere un inno alla vita, e non un film
sulla malasanità. I personaggi ricoverati in corsia (cinque tipologie di un’espressione sociale trasversale) diventano i protagonisti, loro malgrado, di una ribellione inconsapevole, di cui prendono
coscienza man mano che gli eventi si scatenano. Cinque personaggi che per un brevissimo periodo
della loro vita, la degenza appunto, sono costretti a vivere in uno stesso spazio, condividere le stesse
paure e preoccupazioni. E, come se fossero
cinque “monelli” di una classe tenuta da un
pessimo insegnante, vivono una regressione
adolescenziale che permette loro di fare
quelle scelte, di realizzare quei gesti e quelle
azioni che mai il loro status di “persone perbene”, regolato dal rispetto del senso comune
delle cose, avrebbe loro concesso. È da questa
sospensione della loro vita normale che
nascono quelle contraddizioni che si sviluppano in gag e situazioni tipiche della commedia.
È un film su un’utopia che come tale ha in sé
non solo un sogno, ma anche una protesta”.
E in chiusura, per rafforzare il concetto, il
regista ricorre a una citazione di Mário de
Andrade: “Ogni utopia diventa sovversiva in
quanto rappresenta la ferrea volontà di rom-
120
ARRIVANO I FILM
pere con il presente e lo stato delle cose”.
Riportate integralmente, queste frasi offrono lo spunto per avanzare alcune osservazioni: se è infatti vero che la narrazione
privilegia la componente “umana” dell’intreccio rispetto al perseguimento dell’effetto comico fine a se stesso o a una deriva di segno puramente polemico (basti
pensare all’amaro finale, nel quale la drammaticità dello stato clinico di Adriano
viene messa in luce senza infingimenti), è
altrettanto legittimo far risalire quella che
Terracciano definisce “sospensione della
vita normale” dei protagonisti al fatto che
questi ultimi, semplicemente varcando la
soglia di una clinica, si trovano proiettati in
una parentesi di kafkiana assurdità, in un
incubo collettivo e quotidianamente rinnovato. I giorni trascorsi in ospedale diventano così una sorta di esistenza separata, al cui interno il diritto di fruire di adeguate prestazioni mediche – e, forse ancor più fondamentale, di
non veder calpestata la propria dignità individuale – viene colpevolmente negato, con la conseguente trasformazione dei pazienti (soggetti per loro stessa natura più deboli e vulnerabili
delle persone cosiddette sane e “normali”) in mere pedine sulle quali i detentori del sapere
scientifico e terapeutico esercitano un “potere” arbitrario e intollerabile.
Chi abbia vissuto anche solo per un brevissimo lasso di tempo l’esperienza di un ricovero
conosce fin troppo bene, al di là delle snervanti attese e delle limitazioni imposte a ogni piè
sospinto, la sensazione di dipendenza dalle parole e perfino dai silenzi dei medici incaricati
di guarirci, che hanno sott’occhio tutti i dati che ci riguardano e dispongono della preparazione necessaria a interpretarli. Forse la “malasanità” propriamente intesa è un’altra cosa,
ha a che fare con l’incompetenza, la negligenza, l’assenza di deontologia professionale, l’oggettiva incidenza di responsabilità politiche, sprechi, condizioni generali in qualche caso
disastrate e scandalose: ma ciò che porta i cinque della stanza 104 a mutare il disagio in
ribellione, mettendo consapevolmente a repentaglio la loro incolumità, è in primo luogo il
rifiuto di questa mancanza di ascolto e di disponibilità che si esprime in disprezzo, alterigia,
divieti continui e reiterati, dei quali quelli applicati al cibo assumono una valenza fortemente connotata sul piano simbolico.
A questo assunto di fondo si conformano sia la progressione della sceneggiatura (che vira
lentamente dalle cadenze brillanti dell’inizio ad atmosfere dapprima concitate e poi via via
più riflessive, intercalate dalle stilettate di cinismo del primario e dalla montante ossessione
dell’ispettore), abbastanza coraggiosa da rinunciare anche un canonico e scontato happy
ending, sia le opzioni di messa in scena, non particolarmente ardite ma in definitiva funzionali (specie nell’illuminazione fredda e asettica predisposta dal direttore della fotografia
Paolo Carnera).Terracciano non nasconde l’affetto che nutre per i suoi occasionali e mini-
RIBELLI PER CASO
121
mali eroi in pigiama, per la “fame atavica” che li affligge e per la capacità di vincere rassegnazione e disperazione passando alle uniche vie di fatto loro concesse. Nulla di memorabile o
di rivoluzionario, certo, ma sufficiente a dimostrare – a se stessi e agli altri – di non sentirsi
ancora ridotti a un nominativo su una cartella clinica o a un numero sulla testata del letto.
ITINERARI DIDATTICI
Ospedali, policlinici, case di cura: un pianeta dalle mille contraddizioni
1) Struttura e ordinamento del sistema sanitario pubblico nazionale e di quelli vigenti nelle
singole regioni.
2) Il “mondo parallelo” delle cliniche private e i suoi rapporti col sistema pubblico, in particolare alla luce delle recenti riforme.
3) La “malasanità”: un intreccio perverso e paradossale di incompetenze, negligenze, assenza di deontologia e di etica professionale, responsabilità politiche, interessi privati, collusioni con la criminalità organizzata, sprechi, scandali…
ELEMENTI
PER LA DISCUSSIONE
– La vita quotidiana in corsia, scandita dai rituali della sveglia all’alba, del passaggio dell’équipe medica, delle attese (spesso infinite) per i turni di esami e di analisi, delle visite dei
congiunti, dei pasti scarsi e poco invitanti…
– L’apprensione per il proprio stato di salute e per le diagnosi dei sanitari, il cui parere
assume quasi i contorni della sentenza irrevocabile.
– I pazienti della stanza 104: diversi per estrazione, abitudini e indole, uguali di fronte all’insorgere degli acciacchi e al sacrosanto desiderio di ricevere cure appropriate.
– La complicità e la solidarietà fra malati come antidoto alla solitudine e alla lentezza del
trascorrere dei giorni di degenza, ripetitivi e sempre uguali.
– La pianificazione della cena notturna, al contempo “regressione adolescenziale” (simbolicamente e non casualmente rivolta al cibo) e tentativo di riconquistare la dignità offesa:
uno sberleffo tanto all’arroganza e alla reticenza dei dottori quanto al pressapochismo e
al lassismo degli infermieri, portato (in)coscientemente a termine senza preoccuparsi
per le potenziali conseguenze.
– Il sovvertimento del tranquillo tran tran ospedaliero: l’assedio alla stanza, le trattative e
la “lista delle richieste”, le vane suppliche delle mogli, il disorientamento della caposala e
122
ARRIVANO I FILM
della dottoressa di guardia, il calcolato cinismo del primario, l’ottusità dell’accanimento
dell’ispettore di polizia…
– Il finale: la soddisfazione dei “rivoltosi” e la speranza che qualcosa possa effettivamente
cambiare, ma anche la tragica ineluttabilità del destino di chi si scopre affetto da una
patologia incurabile.
IDEE
– Il problema della “malasanità” nel cinema italiano, come emerge dalla visione comparata
e commentata di altre due pellicole realizzate a circa trent’anni di distanza fra loro: Il
medico della mutua (1968) di Luigi Zampa, con Alberto Sordi, e In barca a vela contromano
(1997) di Stefano Reali, con Valerio Mastandrea e Antonio Catania (lo stesso attore che
interpreta Adriano in Ribelli per caso).
RIBELLI PER CASO
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SHREK
:
LIATA
ONSIG
ETÀ CANNI
6
I
DA
Shrek
Stati Uniti, 2001
di Andrew Adamson,Vicky Jenson
124
ARRIVANO I FILM
PERCORSO
• Il fantastico
Produzione: Dreamworks Pictures
Produttori: Aron Warner, Jhon H.Williams,
Jeffrey Katzenberg
Sceneggiatura: Ted Elliott,Terry Rossio,
Joe Stillman, Roger S.H. Schulman
Montaggio: Sim Evan-Jones
Musica: Harry Gregson-Williams, John Powell,
James McKee Smith
Scenografia: James Hegedus
Voci della versione originale: Mike Myers
(Shrek), Eddie Murphy (Ciuchino), Cameron Diaz
(Principessa Fiona), John Lithgow (Lord Farquaad)
Voci italiane: Renato Cecchetto (Shrek),
Nanni Baldini (Ciuchino), Selvaggia Quattrini (Fiona),
Massimiliano Manfredi (Lord Farquaad)
Durata: 90 min.
Distribuzione: U.I.P.
A CURA DI PATRIZIA CANOVA E SILVIA COLOMBO
SINOPSI
Shrek è un orco bruttissimo e simpatico, rozzo e volgare che vive – soddisfatto della sua
beata solitudine – in una palude sperduta nella foresta. Tiene alla larga dalla sua abitazione
gli abitanti del vicino villaggio esercitando i suoi poteri da orco (già il nome ne illumina il
destino: basterebbe aggiungere qualche lettera per ottenere “Schreck”, che in tedesco
significa “spavento”) e passa il suo tempo andando a caccia di rospi, insetti e viscide creature del sottobosco. Ma la pace della foresta sta per essere messa a repentaglio da un editto
del malvagio Lord Farquaad: tutte le creature delle fiabe che vivono sui suoi possedimenti
devono essere catturate e trasferite in un territorio delimitato e tenuto sotto sorveglianza.
Così i personaggi delle fiabe – Pinocchio e i tre porcellini, Biancaneve e i sette nani, Cenerentola e Campanellino, streghe buone e cattive, folletti di ogni ordine e grado – vengono
catturate dai suoi soldati. Ma l’asino parlante di nome Ciuchino, anche lui condotto davanti
ai soldati di Farquaad, riesce a fuggire e nella sua fuga incontra Shrek. Petulante e chiacchierone, invadente e in cerca di protezione, Ciuchino si intrufola in casa dell’orco che, nonostante tutte le sue proteste, non riesce a sbarazzarsi dell’ospite sgradito. Ma le sorprese
non sono finite per il nostro orco solitario: il terreno scelto dal Lord dove rinchiudere
tutte le creature delle fiabe è proprio la palude di sua proprietà. Infuriato da quell’invasione
indebita, Shrek decide di andare a parlare con il nobile prepotente. Intanto nelle sale del
suo castello, Farquaad ha indetto un torneo tra i suoi cavalieri: il vincitore avrà il privilegio
di partire per salvare la principessa Fiona, una fanciulla che vive prigioniera in remoto
castello sorvegliato a un terribile drago. La principessa dovrà essere salvata per essere condotta in sposa al barone che, prendendo moglie, potrà finalmente diventare Re. Shrek, arrivato al maniero accompagnato da Ciuchino, affronta i soldati che il barone gli aizza contro
ed esce vincitore dalla battaglia. Lord Farquaad, colpito dalla forza e dal coraggio dell’orco,
decide di servirsene per i suoi scopi e stringe un patto con la verde creatura: se Shrek riuscirà a portare al castello la principessa Fiona, avrà il suo terreno sgomberato da ogni ospite sgradito. Così Shrek parte per l’insolita avventura: dopo un viaggio durato molti giorni,
finalmente l’orco e l’asino arrivano al castello diroccato, circondato da un fiume di lava e
sorvegliato da un drago sputa-fuoco. Mentre il povero Ciuchino si trova faccia faccia con il
terribile animale, Shrek arriva nella stanza più alta della torre più remota dove la principessa Fiona dorme da tempo immemorabile. Con le maniere brusche tipiche di un vero orco,
la sveglia e in seguito a una fuga rocambolesca il trio riesce a portarsi al riparo dalla furia
del drago (che intanto si è rivelato essere una femmina con un debole per i modi seducenti
di Ciuchino). Intanto Fiona, che si aspettava di essere salvata dal tradizionale principe
azzurro, non nasconde la sua delusione quando scopre che sotto l’elmo di ferro si nascondono le sgraziate fattezze di un animale. Durante il viaggio di ritorno però, la ragazza e l’orco scoprono vicendevolmente di essere diversi da come appaiono: Fiona non è affatto la
dolce e indifesa signorina che sembra, ma una lottatrice esperta in arti marziali e Shrek,
dietro i suoi modi antipatici e scontrosi cela soltanto la paura di non essere accettato a
causa del suo brutto aspetto. Ma la principessa Fiona nasconde un altro terribile segreto: a
causa di un incantesimo di una fata maligna, è condannata a subire un’atroce trasformazione. Ogni notte, quando gli ultimi raggi del sole sono svaniti all’orizzonte, Fiona perde tutta
la sua bellezza per diventare un’orchessa. Splendida fanciulla di giorno e mostro di notte:
l’incantesimo potrà essere spezzato solo dal primo bacio di vero amore. Arrivati in prossi-
SHREK
125
mità del castello, Shrek ha ormai capito di essere innamorato di lei: ma frenato dal terrore
di essere respinto, consegna la principessa alla delegazione di Lord Farquaad. Le nozze verranno celebrate il giorno stesso, prima che la notte cali sul mondo. Shrek torna alla sua
dimora, finalmente tornata a essere il luogo solitario e desolato di sempre: ma Ciuchino si
rifiuta di abbandonare l’amico e lo convince, finalmente, a tornare al castello per impedire
un matrimonio che condannerebbe all’infelicità la sua amata. Tutte le fiabe hanno diritto al
loro lieto fine e anche questa non fa eccezione: Ciuchino e Shrek assediano il castello, mandano a monte la cerimonia nuziale e si disfano del crudele barone proprio nel momento in
cui il sole sta tramontando. Così sotto gli occhi stupiti di tutti gli invitati la principessa si
trasforma, lasciando attoniti gli astanti. È il momento della verità: Shrek, prendendo a raccolta tutto il suo coraggio, bacia l’amata principessa. Ma niente accade. La vera natura di
Fiona è quella di essere una delle creature fantastiche della foresta, la compagna perfetta
per l’orco Shrek. Inutile dire che Fiona, Shrek e Ciuchino vivranno felici (orrendi) e contenti nella loro palude, circondati dal popolo festante delle fiabe.
ANALISI DELLA STRUTTURA
Prodotto dalla DreamWorks di Spielberg, Shrek deve la sua nascita al produttore Jeffrey
Katzenberg che già alla Disney aveva cercato di “attentare” all’universo immobile e tranquillizzante del cartone animato. Favola digitale, campione di incassi al botteghino, ispirato a
un racconto di William Steig, il film di Andrew Adamson e Vicky Jenson è stato il primo cartone animato ad avere l’onore di competere nella selezione ufficiale del Festival di Cannes.
Tappa fondamentale di quel cammino che sta portando il cartoon computerizzato sempre
più prossimo all’illusione di realtà, Shrek ha ne La bella e la bestia e ne La bella addormentata
nel bosco i suoi fondamentali punti di riferimento, la sua struttura portante.
Come spesso accade nei cartoon tratti dalle fiabe classiche (basti pensare a Biancaneve e i
setti nani oppure a Cenerentola) il film si
apre sulle pagine miniate di un libro. Sulle
immagini immobili scorre una voce fuori
campo che racconta la storia di una principessa salvata dal drago cattivo dal
coraggio di un principe azzurro. Ma ecco
il primo, piccolo shock: un’enorme mano
verde strappa brutalmente una delle pagine del libro. Così entra in scena Shrek: un
orco goffo, verdastro, sboccato e irriverente che usa la pagina illustrata come
fosse carta igienica. In questo modo funzionano molte delle gag comiche di cui è
disseminato questo film. E tutte a spese
dell’aura “mitica” e dell’ingessato rispetto
di cui sono circondati i testi classici della
letteratura per l’infanzia. Il testo sacro
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ARRIVANO I FILM
viene pervertito, svilito e abbassato di
tono, con un repentino, gioioso movimento dissacratorio.
La dissacrazione attuata da Shrek opera
su due livelli distinti: in primo luogo il
lavoro di distruzione viene applicato al
testo di riferimento originale. In secondo
luogo si esercita sulla tradizione cinematografica, sulla vulgata disneyana delle
fiabe stesse, nell’apprezzabile tentativo di
togliere quella patina dolciastra e sentimentale che la tradizione Disney ha
depositato negli anni sulle storie della
nostra infanzia.
Facciamo un altro esempio: la principessa
Fiona si sveglia al mattino, cammina leggiadra nel bosco alle prime luci dell’alba e
improvvisa un duetto musicale con un
uccellino posato sul ramo di un albero. Ma gli acuti della principessa sono tali che il povero
pennuto va letteralmente in mille pezzi. Primo movimento: l’obbiettivo dichiarato sono
naturalmente tutte le scene cantate e ballate (veri e propri piccoli musical) di cui sono da
sempre farcite le opere targate Disney. Ma Shrek fa un ulteriore passo avanti. Fiona, un
poco sorpresa dalle conseguenze della sua voce, posa gli occhi sul nido del volatile, dove
tre uova giacciono abbandonate e sprovviste di qualcuno che si prenda cura di loro. Qui
Shrek gioca astutamente con le aspettative dello spettatore, che per un attimo immagina
tre piccoli uccellini adottati da una Fiona amorevole e premurosa. Stacco di montaggio: le
uova sono finite in padella e la colazione per i nostri eroi è servita. La stucchevole retorica
a base di buoni sentimenti dell’universo disneyano (a cui fino ad oggi è stato delegato ogni
potere sull’immaginario infantile) viene combattuta cambiando radicalmente di segno la
conclusione della sequenza. Sparsa dappertutto, in Shrek appare la pratica abbassata, ludica
e distorcente della parodia.
Lo scarto improvviso che la sequenza fa in prossimità del traguardo – l’abisso che si apre
tra le nostre aspettative e il risultato – è uno degli elementi essenziali che compongono
l’efficacia della gag. In definitiva il film non fa altro che cambiare di segno ogni singolo elemento della narrazione. Pratica che si esercita in primo luogo sui personaggi: il principe è
un meschino e vile nanetto che delega ad altri la missione di salvare la principessa; lo specchio magico si ricicla come imbonitore televisivo, che letteralmente vende al miglior offerente una vasta scelta di fanciulle da salvare; Mastro Geppetto è un avaro vecchietto che
consegna Pinocchio, dietro lauto compenso, alle guardie del re; il terribile drago è in realtà
una romantica draghessa che si innamora perdutamente di un asino parlante. E ovviamente
l’orco diventa l’eroe buono della storia, che farà innamorare di sé la bella addormentata,
che davvero bella non è. Come ha scritto Fabrizio Liberti su Film Tv: “…a partire dalla prigionia dei personaggi delle favole, il film disegna una moderna “morfologia della fiaba”, ovve-
SHREK
127
ro un compendio formale e sostanziale
della favola attraverso la parodia delle sue
più fortunate versioni cinematografiche”.
Siamo finalmente di fronte a un film che
non ha paura della fantasia: facendone un
uso sperimentale ci ricorda la necessità
educativa di distruggere le favole classiche per poterne “aggiornare” la morale e
reinventarne il senso profondo. Quel piccolo popolo di creature “diverse”, deportate in massa in un territorio ai confini
dell’Impero per permettere l’esistenza di
un’unica storia dominante e totalizzante
(quella del malvagio Lord ), la rivincita di
un personaggio tradizionalmente “cattivo” come quello di un orco, ci dice dell’infinita possibilità di dare voce a chi storicamente non l’ha mai avuta. Centrifugo
e iconoclasta, Shrek ha il grande merito di eleggere a protagonisti coloro che hanno da
sempre abitato ai margini delle storie.
ITINERARI DIDATTICI
Dentro il film
1) Sul filo della memoria, per ricordare il film…
Dal fotogramma al teatro immagine
Si scelgono un numero di immagini pari ai gruppi in cui viene suddivisa la classe. (possono
essere utilizzate le immagini allegate a questo catalogo, fotocopiate da riviste di settore o
scaricate da siti internet). Ogni immagine viene tagliata in tanti pezzi e ciascuno viene consegnato ad un alunno. L’indicazione è quella di ricomporre l’immagine. Una volta ricostruiti
i vari fotogrammi, ogni gruppo deve provare a interpretarlo ricostruendo una sorta di
‘fotografia vivente’, quindi deve provare a passare dal fotogramma al teatro immagine: si
tratta di entrare nell’emotività del personaggio e trasmetterla agli altri attraverso la gestualità, la drammatizzazione, il mimo, il monologo interiore espresso ad alta voce e la dinamizzazione della situazione rappresentata. Gli altri devono riuscire a indovinare a che momento si riferisce. Usando la stessa immagine ogni gruppo può costruire una locandina del film,
espanderne i confini per creare una nuova immagine.
2) La dimensione narrativa
Ciak con Shrek…un grande gioco dell’oca
Ricostruire i momenti principali, disegnarli, riordinarli secondo la corretta successione e
con essi costruire un gioco dell’oca. In ciascuna casella l’immagine dovrebbe essere accompagnata da un’indicazione di gioco attinente alla situazione rappresentata (individuando le
128
ARRIVANO I FILM
caselle in cui star fermo x un giro, tornare indietro di un numero x di caselle, andare avanti,
ripartire dall’inizio…). Alle caselle con immagini possono alternarsi caselle con numeri
‘porta s-fortuna’.
3) I personaggi
Shrek come una cipolla
Shrek, per spiegare alcuni aspetti della propria personalità a Ciuchino, si paragona a una
cipolla e, usando questa metafora, invita l’amico a togliere i ‘vari strati’ prima di giudicare
qualcuno. Usando un’immagine di cipolla riprodotta almeno quattro volte si potrebbero far
elencare agli alunni tutti gli elementi che compongono questo personaggio, a partire dall’aspetto esteriore, fino a giungere alla dimensione interiore. 1 strato:come appare fisicamente Shrek e come si comporta; 2 strato: come si sente e cosa prova, cosa pensa che gli altri
pensino di lui; 3 strato: di che cosa ha bisogno/desiderio; 4 strato: cosa riceve da Ciuchino
e Fiona e come cambia alla fine del film.
Le relazioni fra i personaggi
Fumetti per narrare… una storia d’amore diversa
Far disegnare i momenti fondamentali del rapporto fra Fiona e Shrek o fornire alcuni fotogrammi, farli ordinare secondo l’ordine degli eventi narrati e far inventare un racconto a
fumetti per narrare la speciale e originale storia d’amore che unisce due personaggi ‘diversi’
Doppia relazione di aiuto e scambio
A proposito di amicizia…: scambio repiproco
Creare un cartellone sul quale appendere le immagini di Ciuchino e di Shrek. Gli alunni
devono scrivere e collegare con delle frecce tutto ciò che, secondo loro, Ciuchino dà a
Shrek e viceversa.
4) La dimensione linguistica del
film: la tecnica e il linguaggio
IL cinema d’animazione
Shrek è un film d’animazione realizzato
interamente in digitale. Potrebbe essere
interessante andare alla scoperta di come
si produce un film in animazione, quali
sono le tecniche utilizzabili (stop motion,
decoupage, pixillation, disegno in fase…)
e che differenze intercorrono fra l’animazione tradizionale e quella digitale. Per
affrontare tali argomenti si consiglia l’utilizzo della videocassetta “Il cinema d’animazione n. 6” prodotta dalla Regione
Lombardia all’interno della collana “Arrivano i video”.
SHREK
129
5) Shrek e la contaminazione dei generi
Il comico
Guardando Shrek si ride frequentemente e per motivi diversi.
La risata viene provocata sostanzialmente attraverso tre strategie: comicità di situazione,
comicità di linguaggio, comicità di carattere. La prima riguarda in particolare il rapporto dei
protagonisti con lo spazio e con gli oggetti (le azioni di Shrek, Ciuchino e Fiona, la rappresentazione degli ambienti), la seconda è strettamente connessa alle battute (soprattutto di
Ciuchino) e la terza alla gestualità e a certi comportamenti inusuali o spiazzanti dei personaggi (la mimica, i modi di fare ‘anomali e imprevisti’). Con gli alunni potrebbe essere interessante elencare tutte le situazioni che hanno provocato in loro il riso, classificarle secondo le tre tipologie e stabilire comparazioni con altri film comici.
Il fantastico
Shrek è una moderna interpretazione della fiaba con inversione speculare sia per quanto
concerne gli eventi narrati che per la tipologia dei personaggi. Si tratta cioè di un film che
contiene tutti gli ingredienti del genere fantasy, ma dietro ciascuno di essi si nascondono
caratteristiche ben diverse da quelle solitamente attribuite dalla codificazione dei generi: la
principessa è tutt’altro che passiva, in attesa, bisognosa d’aiuto… L’orco non è cattivo e
pericoloso, ma piuttosto divertente e ridicolo; l’asino è in assoluto il più intelligente, intraprendente e sensibile; il principe non è né bello, né coraggioso.
Potrebbe essere interessante individuare, con gli alunni, tutti gli ingredienti del genere e
tutte le trasgressioni operate sugli stessi
L’avventura
Shrek è anche un film d’avventura che utilizza gli elementi topici del genere: il viaggio dei
personaggi, il percorso fatto di ostacoli e prove da superare, la vittoria finale e il trionfo
dell’eroe…ma al tempo stesso li trasforma in vera e propria parodia. Anche in questo caso
dunque potrebbe essere interessante
individuare, con gli alunni, tutti gli elementi del genere e tutte le variazioni operate
sugli stessi
6) La dimensione tematica
Gli opposti nel film
Shrek è costruito su coppie di opposti
tematici, linguistici, estetici (bello/brutto;
buono/cattivo; gigante/nano; forza fisica /
forza della parola; solitudine, isolamento/moltitudine, folla; diversità/uguaglianza…). Per operare una riflessione sul film
e sulle strategie di trasmissione di messaggi, potrebbe risultare interessante cercare di individuare tutte le coppie di
opposti e attribuir loro un significato.
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ARRIVANO I FILM
ELEMENTI
PER LA DISCUSSIONE
–
–
–
–
–
–
–
La figura e la funzione di Shrek
La figura e la funzione di Ciuchino
La figura e la funzione di Lord Farquaad
La figura della draghessa
La figura dei personaggi delle fiabe
dietro le apparenze: la valorizzazione della diversità
l’incontro con la diversità: un limite o un valore?
– Shrek ha un grande sogno nel cassetto e per realizzarlo è pronto a tutto.Tu quale sogno
hai e che cosa saresti disposto a fare perché si avveri?
– Quanto sono importanti nella costruzione di un’identità positiva e nel rafforzamento
dell’autostima, l’amicizia, la comprensione e l’aiuto di qualcuno?
– Come si possono superare ostacoli e difficoltà? Che ruolo possono avere gli amici?
– Perché a volte ci si isola e si ‘finge’ di stare meglio in solitudine? Come superare questa
condizione?
SHREK
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IDEE
Oltre il film
Le citazioni dentro al film
Il film è pieno di esplicite e volute citazioni-omaggi ad altri film della storia del cinema. Si
potrebbero vedere e comparare alcune sequenze. Es: l’incontro-scontro fra Fiona e Robin
Hood con il film Matrix, Fiona che canta nel bosco con il film Biancaneve; la liberazione di
Fiona con il film La bella addormentata; il matrimonio con il film Il laureato; il bacio con l’ultima storia del film Principi e Principesse…
Baci che trasformano
Confronto con altri film caratterizzati da importanti baci che trasformano i personaggi:
– con il modo originale e lontano dagli stereotipi più diffusi nel fantasy del film Principi e
Principesse nel quale i due bellissimi personaggi baciandosi si trasformano in buffi animali
e, dopo molteplici tentativi per riassumere le sembianze originali, si trovano ad accettare, seppur a malincuore, un’inversione di ruoli.
– con il bacio del film Kirikù e la strega Karabà che trasforma un piccolo bambino in uno
splendido giovane, ma dopo che lo stesso ha rotto il sortilegio che costringeva una
donna al ruolo della strega malvagia.
– con il bacio del film La bella e la bestia che, dopo un intreccio narrativo nel quale una
bella fanciulla ama un essere dall’aspetto mostruoso, riconiuga bellezza e virtù secondo i
canoni classici della fiaba
La magia di favole e fiabe… il fantasy nel cinema
Analizzare e confrontare fra loro testi filmici di genere fantasy proposti nel presente e/o
nei precedenti cataloghi del circuito Arrivano i film: La Freccia Azzurra, Kirikù e la strega
Karabà , Principi e Principesse, Favole, Rainbow, La chiave magica, Il segreto dell’isola di Roan, La
farfalla fatata, Oltre l’arcobaleno, La principessa Chiara, La spada magica, James e la pesca gigante, Il cavaliere inesistente, Momo, Harry Potter, E.T. L’extraterrestre, Spy Kids, Monsters & Co , L’era
glaciale.
Tre film a confronto: Shrek, E.T. l’extraterrestre, Momo
Tutti e tre raccontano la storia di protagonisti molto caparbi, coraggiosi e tenaci, disposti a
lottare e a fare anche grandi sacrifici per raggiungere i loro obiettivi.Tutti e tre inoltre presentano la figura di un ‘diverso’ che aiuta, incita e supporta gli altri nel proprio percorso di
crescita. Potrebbe essere interessante vedere, analizzare e confrontare i tre film, mettendo
in evidenza somiglianze e differenze in particolare su un piano tematico-contenutistico. La
visione dei tre film potrebbe inoltre stimolare una discussione sulla diversità non come
limite ed ostacolo, ma come ricchezza e fonte di scambio e crescita.
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ARRIVANO I FILM
PERCORSO
• Il fantastico
SPY KIDS
:
LIATA
ONSIG
ETÀ CI 8 ANNI
L
G
DA
Produzione: Elizabeth Avellan, Robert Rodriguez
per Dimension Film/Trouble-maker Studios
Soggetto: Robert Rodriguez
Sceneggiatura: Robert Rodriguez
Fotografia: Guillermo Navarro
Scenografia: Cary White
Musiche: Danny Elfman, Robert Rodriguez,
Heitor Pereira, Los Lobos
Montaggio: Robert Rodriguez
Interpreti: Antonio Banderas (Gregorio Cortez),
Carla Gugino (Ingrid Cortez),Alexa Vega
(Carmen Cortez), Daryl Sabara (Juni Cortez),
Alan Cumming (Fegan Floop),Tony Shalhoub
(Alexander Minion/Mammolo), Danny Trejo (Machete),
Teri Hatcher (Ms Gradenko)
Durata: 88 min.
Distribuzione: ARCO FILM
Spy Kids
Stati Uniti, 2001
di Robert Rodriguez
SPY KIDS
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A CURA DI PAOLO CASTELLI
SINOPSI
I Cortez sono una famiglia che nasconde tanti segreti.
Per anni Ingrid Cortez ha raccontato ai suoi bambini la favola delle “spie che si innamoravano”. Secondo la leggenda le due spie dovevano eliminarsi reciprocamente ma quando si
incontrarono fu subito amore e rinunciarono alle loro avventure professionali per iniziarne
insieme una nuova: creare una famiglia.
Carmen e Juni Cortez non possono certo immaginare che le spie della favola siano in
realtà i loro stessi genitori, richiamati in servizio ora che il mondo è sull’orlo di una crisi.
Ma, prima che possano entrare in azione, le superspie internazionali Gregorio e Ingrid Cortez, ormai “a riposo” per dedicarsi alla famiglia, vengono catturate dall’organizzazione nemica alla disperata ricerca del ‘terzo cervello’ (miniaturizzato).
Mancano all’appello anche altre sette importanti spie del gruppo OSS. Si sospetta che sia
coinvolto nel caso il Mago degli effetti speciali e delle trasmissioni per bambini Fegan Floop
in combutta con Minion (nella versione italiana Mammolo), uno scienziato pscicopatico. I
due sono finanziati dal ricco magnate Mr.Lisp.
Il destino dei Cortez, e forse del mondo, è affidato al coraggio e alle azioni di due
soli…bambini: Carmen e Juni Cortez (solo ora consapevoli della professione dei propri
genitori) addestrati principalmente attraverso i videogame.
Le risorse a loro disposizione, appartenenti in parte all’armamentario dei propri genitori e
all’arsenale dello zio paterno, Isidor Machete, comprendono zaini propulsori, aerei ultraleggeri, minisottomarini, gomme da masticare elettroshock e, sopratttutto, l’amore per la loro
famiglia e la loro creatività.
Per seguire e trarre in salvo i loro genitori, Carmen e Juni devono introdursi nel castello di
Floop, un luogo fantastico in cui Floop e Minion (Mammolo) portano avanti la loro strategia per conquistare il mondo. È qui che i loro genitori vengono tenuti prigionieri nel mezzo
di un confuso regno pieno di scherzi, trucchi e attrezzi che non sono quello che sembrano.
Nel tentativo di salvare il mondo dai malvagi, che controllano la mente di milioni di ragazzini attraverso i personaggi star dello show televisivo per l’infanzia condotto da Fegan Floop,
i Cortez junior devono combattere contro i Farfugli (creature enormi con facce multicolori che assomigliano a qualcosa di umano e che vengono originate da un miscelatore genetico – alcuni di essi non sono altro che agenti OSS catturati e ‘trasmigrati’) e i Rimbambs
(potenti robot goffi e minacciosi che hanno l’aspetto di pollici e alcune volte indossano
costumi Ninja, assumendo l’aspetto di strane forme cilindriche).
Ma i loro nemici più temibili sono soprattutto gli invincibili bambini-robot frutto della clonazione perfetta dei figli di presidenti e dei più importanti leader mondiali.
Con molta astuzia e dopo diversi combattimenti i giovani Cortez (con l’aiuto anche di un
pentito Fegan Floop) riusciranno a liberare i propri genitori e ricomporre la famiglia.
In attesa della prossima avventura, annunciata nel finale dal superagente Devlin (niente
poco di meno che George Clooney)… (Spy Kids 2 è già stato girato).
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ARRIVANO I FILM
ANALISI DELLA STRUTTURA
Riguardo alla genesi e alle fonti di ispirazione del film ecco cosa racconta il regista Robert
Rodriguez:
“Da sempre volevo fare un grande film familiare d’avventura e l’idea mi venne in mente
mentre giravo Four Rooms con Antonio Banderas. In quel film lui interpreta la parte del
padre di due bambini che indossano dei frac. Ricordo che guardavo i bambini e pensavo:
‘Wow, sembrano proprio James Bond! Sarebbe una grande idea per un film’.
Volevo fare un film che si rifacesse a quelli che amavo da ragazzo, fra cui Willie Wonka e la
fabbrica del cioccolato e Citty Citty Bang Bang, scritto da Ian Fleming, nonché incredibile viaggio
verso l’ignoto”.
“In questa action familiare, che sembra combinare la struttura narrativa dei film di 007 con
la ‘realtà/gioco’ dei tipici film prodotti dalla Disney tra gli anni ’60 e ’70 (Un maggiolino tutto
matto di Robert Stevenson), i gadget vengono esibiti in maniera sfacciata, perentoria. C’è un
set/giocattolo già programmaticamente costruito, contenitore di tutto un immaginario ludico derivante dalle forme visive comprese nelle zone liminari tra il fumetto e il videogioco”.
(Simone Emiliani Cineforum)
Veri e propri attanti dell’intreccio sono gli oggetti mutanti, appartenenti all’armamentario
high-tech del genere spy: un minisottomarino computerizzato che si trasforma in barca,
zaini propulsori che decollano come razzi, una macchina-spia argentata, con schermi video,
capace di trasformarsi in anfibio, un localizzatore GPS che vi dice dove si trova sulla terra
la persona che state cercando, occhiali con schermate di database, un aereo veloce, a misura di bambini, (con videogame incorporati) che può fare il giro del mondo in pochi minuti e
altre sorprendenti attrezzature.
Osserva, a questo proposito, il regista: “La difficoltà è stata inventare oggetti che ancora
non esistono. Anche nel corso della prima bozza quegli oggetti che fino a un momento
prima erano solo un’idea, improvvisamente diventavano reali. La cosa senza dubbio più
divertente è stata disegnare il minisottomarino ad alta potenza a forma di pesce rosso che
possiede tutto ciò di cui si ha bisogno in
un abitacolo fluttuante.
Mi piacevano anche gli zaini propulsori
perché quando ero bambino la gente era
convinta che nel 2001 avremmo volato in
questo modo”.
I luoghi del film si suddividono tra: la casa
(la home) dell’incipit familiare, le location
della fiaba (vera) della love-story tra le
due spie – dal non-luogo per eccellenza
di ogni spy l’aereoporto alla villa sulla
scogliera del matrimonio –, le profondità
marine solcate da sottomarini high-tech,
il rifugio sull’isola deserta, la città (San
Diablo – a proposito ben orchestrate le
riprese di volo, pre Spiderman, sui modellini dei grattacielie le panoramiche a
SPY KIDS
135
schiaffo accelerate che inquadrano i giardinetti per bambini) dove si trova il laboratorio
dello zio Machete, i canyon sorvolati dall’aereo ipertecnologico RX e, infine, il castello di
Floop.
Il luogo centrale dell’azione (il castello di Fegan Floop) appartiene alla categoria fantascientifico/fiabesca, i colori delle scenografie (reali e virtuali) sono accentuati da cromatismi pop
e da una ‘concretezza’ materica che evocano l’elemento sognante delle architetture artnouveau di Antoni Gaudì (il castello esternamente è una vera e propria rivisitazione della
Sagrada Familia) ma anche la cupezza delle incisioni architettoniche di Giambattista Piranesi
e le atmosfere sospese (tra fiaba, fantastico e horror) del mondo di Tim Burton (in particolare Frankenweenie, Beetlejuice e Edward mani di forbice).
Racconta Rodriguez:“Quando mi sono recato a Barcellona per vedere dal vivo l’architettura di Gaudì sono rimasto senza parole alla vista della ricchezza creativa delle sue strutture.
Volevo che Floop avesse le stesse tendenze surrealistiche, che fosse un tipo di persona che
prende gli oggetti di tutti i giorni e li trasforma in qualcosa di estremo”.
Per quanto riguarda il design del film la parola chiave degli scenografi è stata ‘capriccioso’.
Un tentativo ambizioso di mixare l’high-tech con il gusto surreale del personaggio di Floop.
Leggere apparecchiature sottomarine, lampade su gambe di mannequin, arredamenti in
plexiglas fluorescente dalle bizzarre forme geometriche,…rappresentano l’espressione
massima di questa contaminazione.
In particolare, nella Stanza della Trasmigrazione dove le spie sono trasformate in Farfugli, lo
scenografo Cary White ha realizzato un interior-design ‘tubolare’, composto da mobili di
metallo, pieni di curve e originali tavoli da laboratorio.
Nel film la dimensione labirintica del castello di Floop è resa attraverso la percezione dello
spazio: alle pareti, ad esempio, sono appesi quadri paesaggistici in tre dimensioni le cui
immagini possono essere confuse con la realtà stessa.
Molte delle sequenze del film con maggiore azione sono state girate in un hangar ad
Austin, nel Texas, dove si trovava un intero muro trasformato in un fondale verde per gli
effetti digitali.
Ma al di là del tocco magico del packaging del film che sicuramente riveste una componente fondamentale è la raffigurazione delle dinamiche interne alla famiglia e la riaffermazione
dei suoi valori positivi, anche se complessi (solidarietà, comprensione, complicità, trasparenza,…) che colpisce in Spy Kids (la morale finale recita: “Fare la spia è facile, tenere una
famiglia unita quello è difficile ed è la missione per cui vale la pena di lottare”).
Bisogna inoltre ricordare che il film stesso è il prodotto di uno sforzo familiare: la produttrice del film Elizabeth Avellàn è la moglie del regista (insieme hanno tre figli).
Gli ingranaggi drammaturgico-fiabeschi sono abbastanza codificati e tutto porta verso
l’happy ending hollywoodiano ma con la variante non di poco conto che “secondo lo schema Paperino e Qui Quo Qua, saranno i bambini a far vincere la partita” (Claudio Carabba,
Sette).
Dal punto di vista della costruzione dei personaggi principali (i ‘buoni’) occorre osservare
che ognuno di loro subisce una ‘mutazione’ interiore mentre tutti gli altri intorno subiscono ‘mutazioni’ e ‘make-up’ solo esteriori.
Alla fine del viaggio al castello, dopo aver superato una serie di ostacoli e aver sconfitto i
136
ARRIVANO I FILM
malvagi (Propp docet: viaggio, castello, ostacoli, malvagi,…) nessuno nella famiglia Cortez è
più quello dell’inizio della storia, soprattutto i bambini.
L’atteggiamento e la personalità di Carmen evolvono e crescono. Juni all’inizio è timido e
pauroso (gli sudano sempre le mani procurandogli fastidiose verruche) ma alla fine scopre
di avere coraggio e notevoli risorse nascoste. La relazione di Carmen verso Juni muta radicalmente, dalla non sopportazione al rispetto e alla complicità.
I genitori si rivelano, nell’incipit, più di normali genitori per ritornare poi, quando intrappolati, impotenti e ‘umani’. Anche Floop, a un certo punto, si rende conto delle potenzialità
malefiche del disegno di Minion (Mammolo), di Mr Lisp e di Ms Gradenko e si allea con la
famiglia Cortez.
La poetica della metamorfosi, da sempre centrale nel cinema di Rodriguez (da El Mariachi a
Dal tramonto all’alba – il motel trasfigurato in in luogo sinistro abitanto da vampiri – fino a
The Faculty – gli studenti del college mutati in una specie di replicanti) si applica qui non
solo alle forme visive e compositive della scena ma alla stessa materia delle coscienze dei
personaggi la cui avventura straordinaria non rappresenta altro che una accelerazione delle
loro modificazioni/mutazioni interiori.
Il segreto e la forza del film si possono condensare così:
“Trasformando in caos gioioso la provocazione, rendendo ancora più squillanti i colori
dello favola, senza abbandonare il lato nero che tanto piace ai ragazzini, e facendo erompere l’ironia (…) (Rodriguez) – è addirittura regista, sceneggiatore, produttore e montatore
(grazie al cielo monta da dio, senza nessuno di quegli sconfortanti tempi morti televisivi di
oggi) – costruisce il film sul suo immaginario: robot e mutanti usciti da un baraccone di
luna park, un mondo da favola sbilenco e lussureggiante che rimanda agli anni ‘70, agli Avengers, al gioco più sfrenato dello fantasia” (Emanuela Martini, Film TV).
Tra le curiosità del film sono da notare i camei di alcuni amici di Rodriguez: George Clooney (Devlin), il regista Richard Linklater (la spia ‘cool’) e il creatore dei personaggi a cartoni
animati Beavis and Butt Mike Judge (Donnagon).
SPY KIDS
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ITINERARI DIDATTICI
Il genere spy
– Il cinema di spionaggio (dalla saga di James Bond/007 a Mission Impossible di Brian DePalma e Mission Impossible 2 di John Woo, da Il sarto di Panama di John Boorman e Spy
Game di Tony Scott)
– La letteratura di spionaggio (da Ian Fleming a Graham Greene, da Frederick Forsyth a
Martin Cruz Smith)
Il mondo della famiglia tra realtà e immaginario
– Le relazioni genitori-figli (segreti, silenzi, non detti, complicità,…)
– Famiglie nell’immaginario cinematografico tra conflitto e riconciliazione (Com’era verde la
mia valle, L’albero degli zoccoli, Fanny e Alexander, Le ceneri di Angela, Black Comedy (Family
Viewing), Cria Cuervos, La famiglia, La famiglia Addams, Festen – Festa in famiglia, Gente comune, Gruppo di famiglia in un interno, Viaggio a Tokyo, Veleno, Tempesta di ghiaccio, La stanza di
Marvin, Sono affari di famiglia, Once Were Warriors,…)
– Famiglie nei guai nell’immaginario cinematografico (da The River Wild di Curtis Hanson a
True Lies di James Cameron, da Ransom di Ron Howard a Panic Room di David Fincher)
ELEMENTI
PER LA DISCUSSIONE
Vite da spie (tra stereotipi e gadget tecnologici)
Famiglia: missione possibile (“Fare la spia è facile, tenere una famiglia unita quello è difficile
ed è la missione per cui vale la pena di lottare”)
La tv dei ragazzi tra divertimento e plagio (lo strano caso di Fegan Floop)
Il castello di Floop: un mondo di specchi, labirinti, trappole, doppi, cloni…
Le ‘mutazioni’ della famiglia Cortez (Carmen, Juni, Gregorio, Ingrid)
Scenografie reali e set virtuali: un universo surreale
Manipolazioni genetiche: un futuro inquietante
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ARRIVANO I FILM
IDEE
Lo spionaggio tra realtà e finzione (ricerca):
– Lo spionaggio nell’immaginario cinematografico:
Ipcress, La casa Russia, L’amerikano, Another Country, La conversazione, Il fattore umano,
Gorky Park, The Innocent, Modesty Blaise, Notorius-l’amante perduta, Il seme del tamarindo,
Spy, Top Secret!, Topaz, L’uomo che sapeva troppo, Segreto di stato, Spia e lascia spiare, Terminal Velocity, True Lies,…)
– Visione del film Spia e lascia spiare (Spy Hard di Rick Friedberg, 1996) catalogo-parodia
dei luoghi comuni del genere spy
Alla ricerca delle fonti di ispirazione per le scenografie del film
– Le architetture art-nouveau di Antoni Gaudì (1852-1926) e le incisioni di architetture
inquietanti (prigioni in particolare) di Giambattista Piranesi (1720-1778): comparazione
con le scenografie del castello di Floop, nel film.
A proposito del fascino del lavoro del architetto catalano, il recente film Frankie e Ben di
Susan Seidelman, ambientato a Barcellona, usa come location ben tre architetture di Gaudì:
la casa Pedrera, il parco Guell e la cripta della Sagrada Familia.
INDICAZIONI
BIBLIOGRAFICHE
Giorgio Boatti Enciclopedia delle spie. Da Yalta a oggi, Rizzoli
AAVV Le spie, Collana In primo piano, De Agostini
SPY KIDS
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TORNANDO
A CASA
:
LIATA
ONSIG
ETÀ C ANNI
4
1
I
DA
Tornando a casa
Italia, 2000
di Vincenzo Marra
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ARRIVANO I FILM
PERCORSO
• Frammenti di storie italiane
vedi Catalogo 2001/2002
Regia e sceneggiatura: Vincenzo Marra
Fotografia: Ramiro Civita
Montaggio: Luca Benedetti
Musica: Andrea Guerra
Scenografia: Roberto de Angelis
Costumi: Antonella Cannarozzi
Interpreti: Aniello Scotto d’Antuono (Franco),
Salvatore Iaccarino (Salvatore), Giovanni Iaccarino
(Giovanni),Abdel Aziz Azouz (Samir),
Roberta Papa (Rosa)
Produzione: Gianluca Arcopinto,
Amedeo Pagani, per Pablo
Durata: 88 min.
Distribuzione: 2001 Distribuzione
A CURA DI MARCO BORRONI
SINOPSI
Notte. Mare aperto. L’equipaggio del piccolo peschereccio “Marilibera” – formato da Salvatore, il proprietario, da Giovanni e dai più giovani Franco e Samir, quest’ultimo immigrato
irregolare di nazionalità tunisina – è impegnato nella fase cruciale del consueto, duro lavoro
quotidiano: quella in cui si gettano e si ritirano le reti, recuperando il carico di pesce che
subito dopo dovrà essere selezionato e preparato per la vendita. L’attività dei quattro, che
provengono dall’area del napoletano, non è scevra di pericoli, dal momento che si svolge
fuori dalle acque territoriali italiane e precisamente al largo delle coste della Tunisia e della
Libia: una zona assai pescosa ma presidiata con estrema severità dalle motovedette dei
Paesi di appartenenza, che notoriamente non esitano a ricorrere alle armi per scoraggiare
qualunque sconfinamento di imbarcazioni straniere. E infatti, una delle notti successive, il
“Marilibera” sfugge per miracolo alla cattura, riportando però una serie di danni allo scafo
tali da indurre Salvatore a lasciare la Sicilia per rientrare a Pozzuoli.
La forzata sosta stempera le tensioni che si erano create a bordo, rinfocolate dai lunghi
periodi di permanenza lontano da casa, e ognuno fa i conti con l’immediato futuro: in particolare Franco (che è sposato con Rosa, maestra in una scuola “a rischio” della periferia di
Napoli) ha in progetto di emigrare negli Stati Uniti, mentre Giovanni è messo alle strette
dai debitori e Samir si ritrova alle prese col problema del permesso di soggiorno; dal canto
suo Salvatore, ritenendo eccessivamente azzardate e non abbastanza remunerative le trasferte siciliane, sta valutando l’ipotesi di rimanere a Pozzuoli, scontrandosi però sia con le
intimidazioni dei concorrenti locali sia con i cospicui interessi che la camorra mantiene su
questo settore d’impresa.
Ma improvvisamente la tragedia irrompe nella maniera più futile e inaspettata allorché
Rosa, che stava seguendo alcuni giovanissimi allievi in procinto di compiere un crimine,
viene uccisa da uno di loro con un colpo di pistola. Franco cade preda di un dolore muto e
inconsolabile; nel frattempo Salvatore, dopo aver subito minacce e intimidazioni, è costretto ad accettare lo strozzinaggio impostogli da un armatore camorrista e si risolve a tornare fra la Sicilia e l’Africa. La “Marilibera” riparte allora con gli stessi uomini di qualche settimana prima (con in più Silverio, il figlio maggiore di Giovanni), poiché in extremis anche
Franco, che non sopporta di rimanere nella casa in cui aveva vissuto con Rosa, decide di
unirsi agli altri.
Durante la traversata, il ragazzo medita più volte il suicidio; tuttavia, quando nottetempo
scorge un uomo che sta per annegare, non esita a tuffarsi per soccorrerlo, perdendo però i
contatti col peschereccio. Accortisi della sua assenza, i compagni avviano ricerche che
rimangono infruttuose, e finiscono per piangerne la scomparsa. Intanto Franco e lo sconosciuto naufrago, ormai privo di vita, vengono raccolti da alcuni clandestini tunisini, a loro
volta localizzati da una motonave della Guardia di finanza e trasportati in una stazione
costiera dei carabinieri per l’inevitabile rimpatrio coatto. Ripresi i sensi, Franco rende irriconoscibile la propria foto sulla carta d’identità e lascia il documento nella barca, facendolo
passare per quello del morto: più tardi, nel corso dell’interrogatorio, si confonderà nel
gruppo dei nordafricani e ne condividerà silenziosamente il destino, avviandosi verso l’ignoto.
TORNANDO A CASA
141
ANALISI DELLA STRUTTURA
Solidità e intensità dell’impianto narrativo, rigore ed essenzialità dello stile e del linguaggio:
sono questi i tratti che caratterizzano il lungometraggio d’esordio di Vincenzo Marra
(Napoli, 1972), sicuramente una delle prove più interessanti e significative offerte dal cinema italiano nelle ultime stagioni. Un’opera potentemente naturalistica (dati l’ambiente e
l’argomento, i riferimenti a Giovanni Verga e ai suoi “Malavoglia” sorgono spontanei, sia pur
mediati dalla rilettura viscontiana di La terra trema) ma tutt’altro che didascalica, attenta a
evitare ogni ridondanza per concentrarsi su una drammaturgia cruda, aspra, come trasudata dalla vita stessa. Secondo uno dei tanti paradossi della Settima Arte, per materializzare
questa sovrapposizione pressoché totale fra la finzione cinematografica e la realtà oggettiva
che l’ha originata è stato necessario un lungo, paziente e meticoloso lavoro di scrittura in
progress; una sceneggiatura “aperta”, in grado per esempio di assorbire le esitazioni e le
digressioni degli interpreti (in maggioranza autentici pescatori del circondario di Procida,
che praticamente recitano se medesimi) considerandole non già come incidenti di percorso da emendare o da eliminare, bensì come ulteriore indice di “verità” della messa in scena:
“Ci sono momenti in cui il personaggio-attore perde il filo del discorso, poiché la lucida articolazione confligge fisiologicamente con lo schema enunciativo, ma lo riprende immediatamente e continua così a esporre le sue argomentazioni. E Marra ha preferito non tagliare, non ha voluto usare
le risorse del montaggio per correggere l’impercettibile errore, in modo da non alterare e corrompere l’energia presente in quel brano di realtà tradotto in performance” (Mancino). Probabilmente ad alcuni quel dialetto così stretto, del quale il sonoro in presa diretta restituisce
intatte le sfumature e le ruvidità, potrà risultare ostico se non addirittura incomprensibile:
tuttavia, nell’economia del film, si tratta di un elemento irrinunciabile che oltretutto, a ben
vedere, non va neppure a inficiare la fluidità di una narrazione agganciata più alla fisicità dei
luoghi, dei volti e dei corpi che vediamo scorrere sullo schermo che non alle sottigliezze
del dialogo.
Fin dalle primissime immagini, Marra lascia trasparire quello che si rivelerà essere la vera e
propria spina dorsale della pellicola: la
fatica di vivere e di sopravvivere di un
insieme di esseri umani e, per estensione,
della classe cui appartengono, espressa
attraverso una lotta incessante e diuturna
che ha come antagonista sia la natura circostante (gli sforzi per strappare al mare i
mezzi per il proprio sostentamento) sia la
dimensione sociale e collettiva, intesa
tanto nei suoi aspetti “istituzionali” (gli
invisibili confini tracciati sull’acqua) quanto nelle sue distorsioni illegali e criminali
(la storica, inestinguibile presenza della
camorra). Dopo un incipit di sapore quasi
documentaristico, prende lentamente
forma un principio di racconto sul quale
si innestano le figure dei personaggi e la
142
ARRIVANO I FILM
sostanza tematica del contesto: l’annoso
e mai risolto contenzioso sulle zone di
pesca fra l’Italia e i Paesi del Maghreb, le
difficoltà del “ritorno a casa”, l’immigrazione irregolare, la “guerra fra poveri”
generata dalle ristrettezze e dalla povertà
diffusa che affligge un sottoproletariato
sempre più etnicamente composito e
sempre meno orientato alla solidarietà
reciproca: “La condizione dei clandestini
nordafricani in cerca di fortuna in Italia non
è poi tanto dissimile da quella del gruppo
multietnico di pescatori uniti dal mestiere
marinaro e dalle leggi elementari del bisogno, isolati sia gli uni che gli altri dal resto del
mondo poiché estranei alla terraferma e al
sistema regolato da normative nazionali,
allorché si spingono – in opposte direzioni –
in acque ugualmente extraterritoriali: per gli sventurati guidati da Salvatore, quasi tutti cittadini italiani ma senza effettivo diritto al lavoro, il divieto riguarda il mare nordafricano (oltre a quello
campano, reso impraticabile dall’organizzazione camorristica, tacitamente sottesa all’organizzazione civile); per i tunisini sono invece le acque territoriali italiane la sponda inaccessibile, il muro che
si frappone tra loro e il miraggio di una sistemazione dignitosa” (Mancino).
La personale rielaborazione della lezione neorealista operata dal giovane regista partenopeo appare altrettanto fruttuosa nella seconda metà del film, nella concatenazione di circostanze che riporta l’equipaggio della “Marilibera” a riprendere forzatamente le rischiose
rotte siciliane: prima il cappio dell’usura che stringe il collo di Salvatore e poi l’omicidio di
Rosa, sbozzato con agghiacciante secchezza e senza sottolineature emotive di alcun genere, alla stregua di un evento inscritto nell’ordine naturale delle cose. Una di quelle “tragiche
fatalità” di cui i notiziari riferiscono a cadenze regolari, che testimoniano in che misura la
disponibilità e l’uso di armi da fuoco da parte di minori sia ormai, in un ambito degradato e
disgregato come quello rappresentato, un dato antropologicamente acquisito. Schiantato
dalla sofferenza e dal crollo dell’illusione di dare una svolta alla sua esistenza e a quella
della donna amata, Franco non concepisce altra via d’uscita che il suicidio; ma è esattamente a questo punto che Marra concede – a lui e all’intero film – un’alternativa che è anche
una dichiarazione di poetica: incapace di darsi la morte, il giovane pescatore ha un sussulto
e coglie l’occasione dell’incrocio con l’ennesimo “naviglio della speranza”, inutilmente proteso verso il miraggio di un impossibile benessere, per scambiare pirandellianamente la
propria identità con quella di un anonimo individuo proveniente dall’altro lato del Mediterraneo. Diseredato come lui e a lui accomunato da una condizione che non conosce né passaporti né frontiere (né tantomeno militari “che fanno il loro dovere”), ma che solo sperimentata su se stessi permette finalmente di comprendere che “la pace sia con te” e “alsalam-aleikum” non sono che due modi diversi per dire la medesima cosa.
TORNANDO A CASA
143
ITINERARI DIDATTICI
Italia, Paese di pescatori
1) Un’importante risorsa nazionale: una mappatura dei mari italiani in base al tipo e alla
quantità del pescato.
2) L’economia del pesce: l’indotto, l’industria di trasformazione e la loro dislocazione in
vaste aree costiere della penisola.
3) La questione del mare di Sicilia: i contrasti fra Italia, Tunisia e Libia sulla definizione dei
confini delle rispettive acque territoriali.
ELEMENTI
PER LA DISCUSSIONE
– Le immagini d’apertura del film: il faticoso lavoro notturno in mare, le operazioni compiute dai quattro uomini dell’equipaggio per governare il peschereccio e trarre le reti.
– Il costante pericolo di incappare nelle motovedette tunisine e libiche, la cattura sfiorata
ed evitata all’ultimo istante.
– Samir, immigrato clandestino: i suoi problemi con la legge italiana e i litigi con Giovanni,
che sintomaticamente lo identifica come “uno di loro”.
– L’intrusione della camorra fra i piccoli pescatori del napoletano, che impedisce a Salvatore di inserirsi nel mercato locale.
– La storia di Franco e Rosa: costruita su un “sogno americano”, brutalmente spezzata da
una pallottola sparata a bruciapelo da un ragazzino.
– Il significato della decisione di Franco (e del “saluto” finale, l’unica parola araba insegnatagli da Samir): la volontà di sottrarsi a una vita ingrata e senza prospettive, ma anche la
consapevolezza – al di là di barriere storiche, linguistiche e culturali che possono apparire insormontabili – della profonda vicinanza fra chi si trova a spartire una comune situazione di povertà ed emarginazione.
– La scelta del dialetto stretto, non doppiato e non sottotitolato: ostacolo alla
comprensione o “ingrediente” indispensabile per l’efficacia della messa in
scena?
– Lo stile del film: asciutto e disadorno
ma non dimesso, sia dal punto di vista
delle inquadrature e dei movimenti
della macchina da presa che da quello
del sonoro (che utilizza una canzone
napoletana esclusivamente in alcuni
passaggi specifici).
144
ARRIVANO I FILM
IDEE
– La verifica di una matrice culturale e di un’ispirazione (non solo) cinematografica nel raffronto fra Tornando a casa e uno dei capolavori del neorealismo: La terra trema (1948) di
Luchino Visconti, tratto dal romanzo “I Malavoglia” di Giovanni Verga e girato sulle coste
della Sicilia orientale con attori non professionisti.
TORNANDO A CASA
145
Hijos-Figli
•
•
Il favoloso mondo
di Amélie
•
•
Momo alla conquista
del tempo
•
•
•
•
No man's Land
terra di nessuno
•
•
•
Spy Kids
Tornando a casa
•
•
•
•
•
11-14
•
•
5
8
•
•
•
•
•
•
•
14
14
•
•
•
ETÀ
CONSIGLIATA
RELAZIONE
ADULTI/RAGAZZI
•
•
•
•
•
8
14
•
Monster & Co
6
14
•
•
Shrek
INTERCULTURA
•
L'era glaciale
Ribelli per caso
•
•
8
Le biciclette
di Pechino
Non è giusto
•
•
•
I nostri anni
Jimmy Grimble
FRAMMENTI DI
STORIE ITALIANE
DIVERSITÀ
FILM DI
ANIMAZIONE
•
AMICIZIA
E.T. – l'Extraterrestre
•
TOLLERANZA
•
•
Aida degli alberi
Harry Potter
e la pietra filosofale
IL FANTASTICO
FILM
DIRITTI UMANI E
DIRITTI DEI MINORI
TAVOLA SINOTTICA
TEMATICHE/FILM 2002-2003
•
6
13
•
•
•
13
13
6
8
•
14
147
INDICE TITOLI
disponibili in pellicola, segnalati nel cataloghi degli
anni precedenti e suddivisi in percorsi tematici.
IL VIAGGIO NEL CINEMA,
IL CINEMA IN VIAGGIO
Anno del
catalogo
Titolo
Regista
Nazionalità
Distributore
2000/01
BASTA GUARDARE IL CIELO
P. Chelsom
USA
2000/01
LA COPPA
K.Norbu
Butan, Australia
2000/01
LA GRANDE QUERCIA (fino al 31.12.2002)
P. Bianchini
Italia
2000/01
L’ESTATE DI KIKUJIRO
T. Kitano
Giappone
13
2000/01
LUNA PAPA
B. Khudojanazarov
Rus., Ger., Aus.
13
2000/01
PREFERISCO IL RUMORE DEL MARE
M. Calopresti
Italia
13
2000/01
VIAGGIO VERSO IL SOLE
Y. Ustaoğlu
Tur., Olanda, Ger.
13
Regista
Nazionalità
8
13
Agis Lombardia
CINEMA DI ANIMAZIONE
Anno del
catalogo
Titolo
Distributore
2001/02
BABAR IL RE DEGLI ELEFANTI
R. Jafelice
Ger., Fr., Canada
2001/02
GALLINE IN FUGA (fino al 14.12.2002)
P. Lord, N. Park
USA
6
2001/02
LA STRADA PER EL DORADO
E. Bergeron, D. Paul USA
6
2000/01
IL GIGANTE DI FERRO
B. Bird
USA
2000/01
PRINCIPI E PRINCIPESSE
M. Ocelot
Francia
13
2000/01
STUART LITTLE
R. Minkoff
USA
10
2000/01
TOY STORY 2
J. Lasseter, L. Unrkich USA
1
1999/00
A BUG’S LIFE
J. Lasseter, A. Stanton USA
1
1999/00
ALÍ BABÀ E I PIRATI
Z. Portanccokova Belli Italia
1
1999/00
KIRIKOU E LA STREGA KARABÀ
M. Ocelot
Francia
E. D’Alò
Italia
7
13
1999/00
LA GABBIANELLA E IL GATTO
1999/00
LA SPADA MAGICA
F. du Chau
USA
7
1997/98
IL CAVALIERE INESISTENTE 1
P. Zac
Italia
13
1997/98
JAMES E LA PESCA GIGANTE 2
H. Selick
USA
1
1996/97
ALÌ BABÀ
Z. Potankova
Italia
2
1996/97
LA FRECCIA AZZURRA
E. D’Alò
Italia
13
1995/96
L’EROE DEI DUE MONDI
G. Manuli
Italia
13
148
5
4
13
8
Anno del
catalogo
1995/96
Titolo
WALLACE & GROMIT
Regista
Nazionalità
AA.VV.
Gran Bretagna
Distributore
8
DIRITTI DEI MINORI
Anno del
catalogo
Titolo
Regista
Nazionalità
Distributore
Giappone
10
13
2000/01
L’ESTATE DI KIKUJIRO
T. Kitano
2000/01
NON UNO DI MENO
Z.Yimou
Cina
1999/00
AL DI LÀ DEL SILENZIO
C. Link
Germania
2
E. D’Alò
Italia
8
W. Salles
Brasile, Francia
D. D. Mambéty
Senegal
4
I. Ouédraogo
Francia, Burkina Faso
4
S. Kragh-Jacobsen
Danimarca
13
J. Sverak
Rep. Ceca,
Gran Bretagna, Francia
13
1999/00
LA GABBIANELLA E IL GATTO
1999/00
CENTRAL DO BRASIL
5
5
1999/00
LA PETITE VENDEUSE DE SOLEIL
1998/99
LE CRI DU COEUR
1998/99
TARZAN DI GOMMA
5
3
1
13
1997/98
KOLYA
1997/98
L’INCREDIBILE VOLO 1
C. Ballard
USA
10
1996/97
I QUATTROCENTO COLPI
F.Truffaut
Francia
13
1994/95
SARAHSARÀ
R. Martinelli
Italia
13
1990/91
LA LIBERTÀ È IL PARADISO
S. Bodrov
URSS
2
SGUARDI VERSO
L’ALTRO E L’ALTROVE
Anno del
catalogo
Titolo
Regista
Nazionalità
Distributore
2001/02
HIMALAYA - L’INFANZIA DI UN CAPO
E. Valli
Francia, Nepal, Svizzera,
Gran Bretagna
13
2001/02
IL TEMPO DEI CAVALLI UBRIACHI
B. Ghobadi
Iran, Francia
13
2001/02
LA TIGRE E IL DRAGONE
A. Lee
Cina, USA, Hong Kong
Taiwan
13
2001/02
LAVAGNE
S. Makhmalbaf
Iran, Italia
13
2000/01
EAST IS EAST
D. O’Donnell
Gran Bretagna
2
2000/01
LA COPPA
K.Norbu
Butan, Australia
13
2000/01
L’ESTATE DI KIKUJIRO
T. Kitano
Giappone
10
2000/01
LUNA PAPA
B. Khudojanazarov
Rus., Ger., Aus.
13
149
Anno del
catalogo
Titolo
Regista
Nazionalità
Distributore
2000/01
NON UNO DI MENO
Z.Yimou
Cina
13
2000/01
VIAGGIO VERSO IL SOLE
Y. Ustaoğlu
Tur., Olanda, Ger.
13
1999/00
CENTRAL DO BRASIL 5
W. Salles
Brasile, Francia
13
1999/00
KIRIKOU E LA STREGA KARABÀ
M. Ocelot
Francia
13
1999/00
LA PETITE VENDEUSE DE SOLEIL
D. D. Mambéty
Senegal
4
1998/99
IL DESTINO
Y. Chahine
Egitto, Francia
13
1998/99
LA PROMESSE
L. e J.P. Dardenne
Belgio
13
1998/99
LE CRI DU COEUR
I. Ouédraogo
Francia, Burkina Faso
1994/95
SARAHSARÀ
R. Martinelli
Italia
13
1995/96
IL COLTELLINO
B. Sombogaart
Olanda
13
1995/96
IL PALLONCINO BIANCO
J. Panahi
Canada
13
Regista
Nazionalità
4
5
4
SGUARDI SULL’IDENTITÀ
SULLA DIVERSITÀ
E SUL IN/TOLLERANZA
Anno del
catalogo
Titolo
Distributore
2000/01
BASTA GUARDARE IL CIELO
P. Chelsom
USA
8
2000/01
EAST IS EAST
D. O’Donnell
Gran Bretagna
2
2000/01
IL GIGANTE DI FERRO
B. Bird
USA
7
2000/01
LA COPPA
K.Norbu
Butan, Australia
13
2000/01
PREFERISCO IL RUMORE DEL MARE
M. Calopresti
Italia
13
2000/01
STUART LITTLE
R. Minkoff
USA
10
E. D’Alò
Italia
8
A. Berliner
Belgio, Francia
D. D. Mambéty
Senegal
4
S. Styron
USA
1
Francia, Romania, Ungheria 2
1999/00
LA GABBIANELLA E IL GATTO
1999/00
LA MIA VITA IN ROSA
5
1999/00
LA PETITE VENDEUSE DE SOLEIL
1999/00
SHADRACH
5
13
(IL PROFUMO DI UN GIORNO D’ESTATE)
1999/00
TRAIN DE VIE
R. Mihaileanu
1998/99
LA PROMESSE
L. e J.P. Dardenne
Belgio
13
1998/99
LA VITA È BELLA
R. Benigni
Italia
13
1998/99
L’ISOLA IN VIA DEGLI UCCELLI
S. Kragh-Jacobsen
Danimarca,
Gran Bretagna, Germania
1998/99
TARZAN DI GOMMA 3
S. Kragh-Jacobsen
Danimarca
150
1
13
Anno del
catalogo
Titolo
Regista
Nazionalità
Distributore
1994/95
SARAHSARÀ
R. Martinelli
Italia
13
1993/94
JONA CHE VISSE NEL VENTRE
DELLA BALENA
R. Faenza
Italia
13
1992/93
IL SEGRETO DELLA STREGA
J. Beaudry
Canada
13
1992/93
LA PICCOLA CAMPIONESSA
E. Bostan
Canada, Romania
13
SGUARDI VERSO
LA SHOAH
Anno del
catalogo
Titolo
Regista
Nazionalità
Distributore
1999/00
TRAIN DE VIE
R. Mihaileanu
Francia, Romania, Ungheria 2
1993/94
JONA CHE VISSE NEL VENTRE
DELLA BALENA
R. Faenza
Italia
13
1998/99
LA VITA È BELLA
R. Benigni
Italia
13
1998/99
L’ISOLA IN VIA DEGLI UCCELLI
S. Kragh-Jacobsen
Danimarca,
Gran Bretagna, Germania
1
SGUARDI
SULL’AMICIZIA
Anno del
catalogo
Titolo
Regista
Nazionalità
Distributore
2000/01
COME TE NESSUNO MAI
G. Muccino
Italia
13
2000/01
IL GIGANTE DI FERRO
B. Bird
USA
7
2000/01
PREFERISCO IL RUMORE DEL MARE
M. Calopresti
Italia
13
2000/01
VIAGGIO VERSO IL SOLE
Y. Ustaoğlu
Tur., Olanda, Ger.
13
1998/99
AMICHE PER SEMPRE
L. Linka Glatter
USA
13
1998/99
AMICI PER SEMPRE
P. Horton
USA
1
1997/98
ZEUS E ROXANNE
G. Miller
USA
8
1992/93
IL SEGRETO DELLA STREGA
J. Beaudry
Canada
13
1992/93
LA PICCOLA CAMPIONESSA
E. Bostan
Canada, Romania
13
1991/92
LA FRATTURA DEL MIOCARDIO
J. Fansten
Francia
13
1990/91
TOMMY TRYCKER E IL
FRANCOBOLLO MAGICO
M. Rubbo
Canada
13
1
(fino al 31.03.2003)
151
CINEMA E TV
Anno del
catalogo
Titolo
Regista
Nazionalità
Distributore
1998/99
LA SECONDA
GUERRA CIVILE AMERICANA
J. Dante
USA
13
1998/99
SESSO E POTERE
B. Levinson
USA
8
Regista
Nazionalità
H. Selick
USA
1
D. De Vito
USA
10
Regista
Nazionalità
DAL ROALD DAHL
AL CINEMA
Anno del
catalogo
1997/98
1997/98
Titolo
JAMES E LA PESCA GIGANTE 2
MATILDA SEI MITICA
2
Distributore
CINEMA
E ECOLOGIA
Anno del
catalogo
Titolo
Distributore
1997/98
L’INCREDIBILE VOLO 1
C. Ballard
USA
10
1992/93
CHARLIE SALTA E CICCIO PALLA
CONTRO I PIRATI DEL COMPUTER
J. Gissberg
Svezia
13
1992/93
LA RANNOCCHIETTA E LA BALENA
J.C. Lord
Canada
13
1992/93
LE AVVENTURE DELLA PICCOLA
BALENA BIANCA
J. Hastrup
Danimarca
13
1992/93
QUANDO VENNERO LE BALENE
C. Rees
Gran Bretagna
1993/94
IL CACCIATORE DI SOGNI
R. Cantin
Canada
1993/94
LOUSIANA STORY
R.J. Flaherty
USA
3
1994/95
RABI
G. Kaboré
Gran Bretagna
4
1995/96
KABLOONAK
C. Massot
Francia
Regista
Nazionalità
H. Lloyd
USA
1
13
13
ALLE RADICI
DEL COMICO
Anno del
catalogo
1995/96
152
Titolo
PREFERISCO L’ASCENSORE
Distributore
3
Anno del
catalogo
Titolo
Regista
Nazionalità
Distributore
1994/95
IL GENERALE
B. Keaton
USA
3
1994/95
IL MONELLO
C. Chaplin
USA
3
1994/95
LA CURA MIRACOLOSA
C. Chaplin
USA
3
CINEMA E MUSICA
Anno del
catalogo
Titolo
Regista
Nazionalità
Distributore
2001/02
ALTA FEDELTÀ
H. Fifelity
USA
1
2001/02
AMY
N.Tass
Australia
1
2001/02
BILLY ELLIOT (fino al 22.02.2003)
S. Daldry
Gran Bretagna
6
2001/02
COMEDIAN HARMONISTS
J.Vilsmaier
Germania,Austria
1
2001/02
LA MUSICA DEL CUORE
W. Craven
USA
8
2001/02
QUASI FAMOSI
C. Crowe
USA
10
2001/02
THE COMMITMENTS
A. Parker
Gran Bretagna
7
OMAGGIO
AL CINEMA
Anno del
catalogo
Titolo
Regista
Nazionalità
Distributore
1995/96
IL SILENZIO È D’ORO
R. Clair
Francia
3
1995/96
UN GIORNO DI FESTA
J.Tati
Francia
13
TRA INFANZIA
E ADOLESCENZA
Anno del
catalogo
Titolo
Regista
Nazionalità
Distributore
2000/01
COME TE NESSUNO MAI
G. Muccino
Italia
13
1999/00
LA MIA VITA IN ROSA
A. Berliner
Belgio, Francia
13
1996/97
GUARDAMI VOLARE
V. Gad
Danimarca
13
1996/97
SAY A LITTLE PRAYER
R. Lowenstein
Australia
13
1995/96
NEMICI D’INFANZIA
L. Magni
Italia
13
153
PERCORSO FRAMMENTI
DI STORIE ITALIANE
Anno del
catalogo
2001/02
2001/02
2001/02
2001/02
2001/02
1995/96
Titolo
CONCORRENZA SLEALE
DOMANI
DOMENICA
I CENTO PASSI
PLACIDO RIZZOTTO
COME DUE COCCODRILLI
Regista
Nazionalità
Distributore
E. Scola
Italia, Francia
9
F.Archibugi
Italia
7
W. Labate
Italia
13
M.T. Giordana
Italia
13
P. Scimeca
Italia
13
G. Campiotti
Italia
13
PERCORSO RELAZIONE
ADULTI/RAGAZZI
Anno del
catalogo
Titolo
Regista
Nazionalità
Distributore
2001/02
AMY
N.Tass
2001/02
BILLY ELLIOT
DOMENICA
IL GRINCH
SCOPRENDO FORRESTER
S. Daldry
Gran Bretagna
W. Labate
Italia
R. Howard
USA
6
G.Van Sant
USA
10
2001/02
2001/02
2001/02
Australia
1
6
13
GIUSTIZIA OGGI
Anno del
catalogo
1995/96
Titolo
L’ARTICOLO 2
Regista
M. Zaccaro
Nazionalità
Italia
Distributore
13
SHAKESPEARE
Anno del
catalogo
1996/97
1996/97
1996/97
154
Titolo
NEL BEL MEZZO
DI UN GELIDO INVERNO
OTHELLO
RICCARDO TERZO
Regista
Nazionalità
Distributore
K. Branagh
Gran Bretagna
9
O. Parker
Gran Bretagna
9
R. Loncraine
Gran Bretagna
13
IL FANTASTICO
Anno del
catalogo
Titolo
Regista
Nazionalità
Distributore
2000/01
IL SABBA DELLE STREGHE
J. Rózsa
Ungheria
5
1998/99
FAVOLE
C. Sturridge
Gran Bretagna
9
1998/99
RAINBOW
B. Hoskins
Canada, Gran Bretagna
1996/97
IL SEGRETO DELL’ISOLA DI ROAN
J. Sayles
USA
8
1996/97
LA CHIAVE MAGICA
F. Oz
USA
10
1993/94
LA FARFALLA FATATA
B. Pojar
Canada
13
1992/93
OLTRE L’ARCOBALENO
V. Jasny
Canada
13
1989/90
LA PRINCIPESSA CHIARA
L.Troska
Cecoslovacchia
12
2
1 Per l’anno 1997/98 sono disponibili singole schede didattiche.
2 Disponibile dossier di approfondimento e gioco: DA ROALD DAHL AL CINEMA.
3 Disponibile dossier di approfondimento e gioco e disponibile in Home Video.
4 Disponibile dossier gioco.
5 Disponibile dossier di approfondimento e gioco: CINEMA E DIRITTI DEI MINORI.
155
ELENCO DISTRIBUTORI
1 - ARCOFILM
Via Soperga, 43 - MILANO
tel. 02280471 - fax 022619420
2 - CINE EUROPA SRL
Viale Brianza, 35 - MILANO
tel. e fax 026693968
3 - CINETECA
Via Palestro, 16 - MILANO
tel. 02799224 - fax 02798289
4 - C.O.E.
Via Lazzaroni, 8 - MILANO
tel. e fax 0266712077
5 - LAB80
Via Reich, 49 - TORRE BOLDONE (BG)
tel. 035342239 - fax 035341255
6 - U.I.P.
Via Soperga, 8 - MILANO
tel. 026690441 - fax 026690932
7 - WARNER BROS
Via Soperga, 10 - MILANO
tel. 02663584 - fax 026709021
8 - ZENITH CINEMATOGRAFICA
Via Soperga, 36 - MILANO
tel. 022841571 - fax 0226110768
9 - MEDUSA FILM SPA
Via Soperga, 45 - MILANO
tel. 0226116042 - fax 0226116044
10 - COLUMBIA TRISTAR FILM SRL
Via Cantalupo in Sabina, 29
00100 ROMA
tel. 0633084226 Sig. Andrea Boselli
11 - BUENA VISTA
Via Soperga, 43 - MILANO
tel. 02280471 - fax 022619420
12 - MONTALDO
Viale Brianza, 35 - MILANO
tel e fax 026693968
13 - 2001 DISTRIBUZIONE
Via Soperga, 36 - 20127 MILANO
tel 0226140808 - fax 0226140535
156
SITI
INTERNET
Tracciare una mappa completa è impossibile.
Quelle che seguono sono alcune parziali indicazioni di alcuni siti interessanti, accedendo ai
quali è possibile ricavare utili informazioni e,
attraverso i link, entrare in altri siti.
www.filmup.com
per scaricare locandine e altre immagini
www.filmdb.it
il più completo database in italiano
www.imdb.com
il più completo database in inglese
www.kwcinema.kataweb.it
www.mymovies.monrif.it
www.movieconnection.it
www.cinema.it
www.tempimoderni.it
www.primissima.it
www.close-up.it
www.rivistadelcinematografo.it
www.keyfilms.it
www.iann.it/film
www.istitutoluce.it
www.snc.it
www.cinecitta.com
www.35mm.it
www.delcinema.it
157
PER INFORMAZIONI
RIVOLGERSI A:
Provincia di Bergamo
Assessorato Cultura Istruzione e
Spettacolo
Mediateca Provinciale c/o SAS
Via Bonomelli, 13 - 24100 BERGAMO
tel. 035320828
Provincia di Brescia
Assessorato Cultura e Formazione
Professionale
Mediateca Provinciale
Via Musei, 32 - 25100 BRESCIA
tel. 0303749922
Amministrazione Provinciale
di Como
Assessorato alla Cultura
Ufficio Cinema
Via Borgovico, 148 - 22100 COMO
tel. 031230273
Amministrazione Provinciale
di Lecco
Assessorato alla Cultura
C.so Matteotti, 3 - 22053 LECCO
tel. 0341295475
Amministrazione Provinciale
di Lodi
Assessorato alla Cultura
Ufficio Attività dello Spettacolo
Via Grandi, 6 - 20075 LODI
tel. 0371442275
Provincia di Mantova
Asessorato alla Cultura e allo Spettacolo
Ufficio Cinema
Piazza Sordello, 43 - 46100 MANTOVA
tel. 0376357503.504
Provincia di Milano
Assessorato alla Cultura e ai Beni Culturali
Viale Vittorio Veneto, 2 - 20124 MILANO
tel. 0277406322
158
Provincia di Pavia
Assessorato alla Promozione
delle Attività Culturali
Piazza Italia, 2 - 27100 PAVIA
tel. 0382597425
Provincia di Sondrio
Assessorato alla Cultura
Corso V. Veneto, 28 - 23100 SONDRIO
tel. 0342531239
Provincia di Varese
Assessorato al Marketing
e Identità Culturale
Piazza Libertà, 1 - 21100 VARESE
tel. 0332252010
Comune di Cremona
Assessorato Politiche Educative, Formazione
Professionale e Rapporti con l’Università
Via Vecchio Passeggio, 1 - 26100 CREMONA
tel. 0372407917
Regione Lombardia
Direzione Generale Culture,
Identità e Autonomie della Lombardia
Unità Organizzativa Spettacolo
unità operativa supporto tecnico specialistico
nel campo cinematografico e multimediale
P.zza IV Novembre, 5 - 20124 MILANO
tel. 0267652611/3716
fax 0267658069
Agis Lombarda
P.zza Luigi di Savoia, 24 - 20124 MILANO
tel. 0267397824
fax 026690410
159
ELENCO SALE
CINEMATOGRAFICHE
PER LA CITTÀ DI MILANO
E PROVINCIA DISPONIBILI
AD ORGANIZZARE
PROIEZIONI PER LE SCUOLE:
Milano
AnteospazioCinema - tel. 026597732
Seregno
Paderno Dugnano
Cooperativa Controluce - tel. 0362325634
Cernusco sul Naviglio
Vimercate
Cooperativa Tangram - tel. 0396081545
Sesto San Giovanni
Cinema Rondinella - tel. 0222478183
San Donato Milanese
San Giuliano
Peschiera Borromeo
Progetto Lumiere srl - tel. 0247710480
Monza
Barz and Hippo - tel. 0295339774-75
Melzo
Multiplex Arcadia - tel. 0295416425-21
Concorezzo
Cinema San Luigi - tel. 0396040948
Cusano Milanino
Cinema San G. Bosco - tel. 026133577
Pioltello
Kinepolis Multisala - tel. 0292443651
Opera
Cinema Eduardo - tel. 0257603881
Legnano
Sala Ratti - tel. 0331546291
160
ANTICIPAZIONI
SUI PROSSIMI FILM IN USCITA
AIUTO! SONO UN PESCE
Data di Uscita
Titolo Originale
Durata
Origine
Genere
Distribuzione
Regia
Età
12/7/2002
Hjaelp, Jeg Er En Fisk
85’
Danimarca
Animazione
01 Distribution
Stefan Fjeldmark, Michael Hegner
dai 6 anni
Trama Tre bambini con spirito avventuroso, disobbedendo ai genitori, vengono involontariamente trasformati in pesci dal professor MacKrills che lavora in una caverna sottomarina. Per riprendere il loro posto tra gli umani, Fly, impulsivo e ottimista, sua sorellina Stella e
il loro robusto cugino Chuck attraverseranno una serie di peripezie e dovranno lottare
contro il tempo e contro pesci dotati, grazie a una strana pozione, di straordinari poteri
mentali.
IL GRANDE DITTATORE
Anno
Titolo Originale
Durata
Origine
Colore
Genere
Distribuzione
Disponibilità
Regia
Attori
Età
1940
The Great Dictator
126’
Usa
B/N
Satirico
Bim
Gennaio 2003
Charlie Chaplin
Richard Alexander, Charlie Chaplin,
Chester Conklin
dagli 11 anni
Trama Un barbiere ebreo che in seguito a ferite riportate nella guerra mondiale del 191518 aveva perso la memoria, dopo molti anni di degenza in un ospedale ritorna nella sua
città in Germania dove riapre il suo negozio. Egli capita però in un periodo in cui il dittatore che governa il paese, ha iniziato una feroce lotta contro gli ebrei ed il malcapitato deve
subire una marea di soprusi.Aiutato da una povera fanciulla sua correligionaria per la quale
nutre dei sentimenti di affetto, egli fa subire spesso ai ridicoli ed inumani sgherri del dittatore – il quale viene tratteggiato con sapida caricatura – dei gustosi smacchi.
161
Il grande dittatore, primo film sonoro di Chaplin, è anche fra i suoi maggiori successi di
sempre. Inimitabile esempio di satira politica, nel 1940 anticipò Benigni e “La vita è bella”
prendendo di mira Hitler e il nazismo con le armi della caricatura.
Un capolavoro eterno torna nelle sale, nella bellissima versione restaurata dalla Cineteca di
Bologna, mai vista prima sullo schermo televisivo. Un’occasione da non perdere per conoscere o riscoprire il piu’ grande comico di tutti i tempi e per insegnare agli italiani che è
doveroso ridere dei piccoli e grandi dittatori.
JOHAN PADAN
A La Descoverta De Le Americhe
Anno
Durata
Origine
Genere
Tratto Da
Distribuzione
Disponibilità
Regia
Età
2002
83’
Italia
Animazione
Testo Teatrale Omonimo Di Dario Fo
Mikado
novembre 2002
Giulio Cingoli
secondo ciclo elementare
Trama Agli inizi del Cinquecento, Johan Padan, giovane simpatico ma anche egoista, fugge
da un campo di addestramento militare di Lanzichenecchi. Dopo una serie di avventure
fantastiche si imbarca su una nave diretta nel Nuovo Mondo. Giunto in Florida, il giovane
conquista la fiducia degli indigeni, insegnando loro come difendersi dalla violenza dei soldati
spagnoli e imparando a sua volta a diventare un uomo migliore.
RESPIRO
Anno
Data Di Uscita
Durata
Origine
Genere
Distribuzione
Regia
Attori
Età
2002
24/5/2002
90’
Italia
Drammatico
Medusa
Emanuele Crialese
Valeria Golino, Vincenzo Amato,
Francesco Casisa,Veronica D’agostino
dagli 11 anni
Trama Lampedusa, un’isola di pescatori al largo della Sicilia. Bande di ragazzini si battono
sulle scogliere, gli uomini vanno in mare e le donne lavorano al magazzino del pesce. Il
sabato sera si ritrovano tutti ben vestiti in Via Roma. La vita nel villaggio è immutabile: rassicurante e opprimente, affascinante e crudele. Grazia è la giovane madre di un’adolescente
e di due ragazzi. Personalità bizzarra e affettuosa, canta le canzoni di Patty Pravo e cerca di
rendere felici quelli che ama: suo marito, i suoi figli e i suoi cani. Ma il villaggio non sopporta
162
la sua spensieratezza e la sua libertà. Pietro, suo marito, subisce la pressione della comunità
e decide di mandarla a Milano. Grazia vuole scappare. È Pasquale, suo figlio di 13 anni, che,
solo contro tutti, troverà il modo di proteggerla…
BOWLING FOR COLUMBINE
Anno
Durata
Vietato
Origine
Genere
Distribuzione
Disponibilità
Regia
Attori
Età
2002
120’
No
Usa
Documentario
Mikado
novembre 2002
Michael Moore
John Nichols
dai 14 anni
Trama
Il film getta uno sguardo compromettente e controverso sulle patologie della violenza e
della paura in America, uno dei paesi con il più alto tasso di omicidi con armi da fuoco nel
mondo, dove il numero di pistole supera il numero di televisioni in possesso e il numero di
elettori.
163
CONCORSO
“IL PICCOLO CRITICO”
2001-2002
PREMIATI PROVINCIA DI COMO
MORETTI CHIARA – classe I IPSS – Scuola Matilde di
Canossa di Como
per il film Aldilà del Silenzio
Pattini, ghiaccio, musica e ricordi… poche parole tante
scene toccanti e significative piene di riflessione. Modi
diversi per trasmettere la morale e il significato del film.
Il titolo fa riflettere.
MANTEGAZZA ILARIA – classe 3 liceo – Scuola Matilde di Canossa di Como
per il film Aldilà del Silenzio
Il film con un sapiente gioco di inquadrature e di atmosfere, raffigura la difficoltà di comunicazione
presente nella società odierna e si fa metafora della condizione individualistica dell’uomo che ci
rende “sordi” di fronte alle richieste d’aiuto e di comprensione dagli altri”.
VANZINI ANNA – classe II A – Scuola Media di Menaggio
per il film Amy
È un film un po’ triste ma reale. Mi è piaciuto, mi ha fatto tenerezza e mi ha fatto pensare.
GIUSSANI STEFANIA – classe 5 – Scuola A.Vacchi di Como
per il film Billy Elliot
Ho scelto “bellissimo” perché mi è piaciuto il messaggio che ha cercato di comunicare il film: “lotta
fino in fondo e desideri una cosa”.
VILLANI JENNIFER – classe 1A – Scuola Jacopo Rezia di Menaggio
per il film Billy Elliot
Le scene e i colori risaltano:la casa era cupa e triste, invece la palestra vivace secondo gli stati di Billy.
Mi è piaciuto perché a capire che tutti devono realizzare i propri desideri.
TORRIERO ALESSANDRO – classe 2 C – Scuola G. Leopardi di Como
per il film Billy Elliot
Il film non mi è piaciuto perché troppo sdolcinato e melenso. La trama segue un modello visto e rivisto milioni di volte e non suscita interesse.
PEITI ASIA – classe 3 A – Scuola Iacopo Rezia di Menaggio
per il film Billy Elliot
Il disegno rappresenta un uccello che si libera dal buio per volare verso la luce; volando sprigiona
energia ed elettricità proprio come si sente Billy quando balla: Intorno all’uccello c’è vento simbolo
di libertà e leggerezza.
DOLCINI GIORGIO ANDREA – classe 3 B – Scuola Media G. Leopardi di Como
per il film Concorrenza sleale
Il film per quanto semplice nei contenuti, ha saputo benissimo mettere in risalto l’umanità dei protagonisti sottolineando l’assoluto bisogno di amicizia al di là di ogni razza.
164
POMPOSELLI MICHEL – classe 3 B – Scuola Media G. Leopardi di Como
per il film Concorrenza sleale
L’ambiente del film è l’Italia fascista e delle leggi razziali emanate dal regime del 1938.
Concorrenza sleale è una commedia che ci invita a pensare quanto sono ingiuste le discriminazioni.
Nel film tutto è narrato con delicatezza, con estrema attenzione ai personaggi.
VIOLA EMILIO – classe 3 B – Scuola Media G. Leopardi di Como
per il film Concorrenza sleale
Concorrenza sleale è una commedia divertente e narra di un periodo poco edificante della nostra
storia. È un film dove trovano spazio in ugual misura i sentimenti e la memoria storica.
ALOI ALEX – classe 3 B – Scuola Media A. Frank di Guanzate
per il film Concorrenza sleale
Anche se non è stato un colossal è stata espressa con grande semplicità una storia veramente toccante. Il film mi è sinceramente piaciuto e lo aggiungerò alla bacheca dei migliori film che ho visto.
MICIELI ANNA – classe 2 C – ITIS Scientifico di Como
per il film Concorrenza sleale
Il film, a mio parere brutto, manca di un inizio, un seguito e una fine. Inoltre si da troppa importanza
alla concorrenza tra i due negozianti, non affrontando in maniera adeguata il vero tema del film, il razzismo.
BIANCHI NICOLA – classe 1 B – Scuola Elementare di Dongo
per il disegno del film Le follie dell’imperatore
DELL’ERA ALESSANDRO – classe 1 A – Scuola Elementare di Dongo
per il disegno del film Le follie dell’imperatore
MELATINI ELENA – classe 2 A – Scuola Elementare di Dongo
per il film Le follie dell’imperatore
L’anziano signore rompe il ritmo dell’imperatore (Cusco)
SCIAINI ANDREA – classe 1 – Scuola Elementare di Sorico
per il disegno del film Galline in fuga
BIANCHI NICOLA – classe 1 B – Scuola Elementare di Dongo
per il disegno del film Galline in fuga
ILAK MARIKA – classe 1 – Scuola di Cremia
per il disegno del film Galline in fuga
MAZZOLENI EVA – classe 2 – Scuola Elementare di Garzeno
per il disegno del film Galline in fuga
ROMICO GIULIA classe 2 A – Scuola A.Vacchi di Como
per il film Galline in fuga
È bellissimo perché è un film tra il bene e il male
PANATTI SOMONE – classe 1A – Scuola Media Jacopo Rezia di Menaggio
per il film Galline in fuga
165
È stato molto bello e fa molto ridere, tira su il morale a chi è molto triste, io lo consiglierei a chi ha
un animo da bambino o da ragazzo.
GUERRA MATTEO – classe 4 B – Scuola Elementare di Maslianico
per il film Il Grinch
A me ha colpito quando il Grinch è riuscito ad alzare la slitta con i doni, perché quando si unisce la
bontà con la forza fisica si fanno cose molto belle.
JACOBS FRANCESCA – classe 5 – Scuola Elementare di Civiglio
per il film Il Grinch
È un film con un bel significato, la scenografia è eccellente e i personaggi simpaticissimi.
BERNASCONI MATTEO – classe 4 – Scuola Elementare di Civiglio
per il film Himalaya – l’infanzia di un capo
Il film secondo me è bello perché impari molte cose e conosci la vita di un altro popolo, anche io
paesaggi sono diversi dai nostri e conosci come vivono persone diverse da noi.
CREA SERENA – classe 5 – Scuola Elementare di Civiglio
per il film Himalaya – l’infanzia di un capo
Questo film a confronto degli altri, mi è piaciuto molto perché mostra che anche non avendo cellulari, televisori, si può anche vivere. Mi è piaciuto anche l’interpretazione di tutti gli attori, che pur non
essendo professionisti, hanno girato un film stupendo.
JACOBS FRANCESCA – classe 5 – Scuola Elementare di Civiglio
per il film Himalaya – l’infanzia di un capo
Himalaya è un film bellissimo perché è semplice, e gli attori, pur non essendo professionisti hanno
saputo presentare questa storia in modo eccellente. Ha un significato molto profondo, che non si
può certo ignorare.
MANCINI GIULIA – classe 5 – Scuola Elementare di Civiglio
per il film Himalaya – l’infanzia di un capo
Ha una sceneggiatura stupenda, un bellissimo significato di speranza e amore. Un film indimenticabile:
rimane nel cuore e nella mente.Adesso ho riassunto ma avrei ancora molte e molte cose da dire.
BIANCHI ALESSANDRA – classe 5 – Scuola Elementare di Civiglio
per il film Himalaya – l’infanzia di un capo
Questo film èmolto bello perché: l’ambiente è incantevole, anche se le condizioni di vita non sono
molto favorevoli, e poi girare un film a quella altezza è molto difficile.
CAPRARELLI FABIO – classe 5 – Scuola L.Piccini di Albate
per il film Himalaya – l’infanzia di un capo
Ho colto questo messaggio: bisogna stare sempre insieme, conta essere un gruppo.
CARNEVALE SILVANA – classe 5 – Scuola L.Piccini di Albate
per il film Himalaya – l’infanzia di un capo
Perché credo siamo abituati a vedere sparatorie
BERNASCONI SIMONE – classe 1 A – Scuola Walt Disney di Maslianico
per il film La musica del cuore
Perché mi ha colpito come Roberta ha affrontato la realtà e come è riuscita a far capire alla gente il
“POTERE” della musica.
166
BELLANCA VALENTINA – classe 1 A – Scuola media di Maslanico
per il film La musica del cuore
Per me è stato bello perché parlava della musica e dava anche insegnamenti. Poi mentre lo guardavo
pensavo che per quei bambini un po’ poveri suonare un violino era fortuna.
VALSECCHI DIANA – Classe 2F – Scuola F.Anzani di Cantù
Per il film Scoprendo Forrester
Secondo me il film mi ha aiutato moltissimo a riflettere sui miei sogni, il mio futuro; cosa che credevo
non si potesse trarre da un semplice cinema. Ho capito che nella vita non tutti ti credono e devo con
ogni mezzo riuscire a far sapere come la penso. Film così che mi aiutano a crescere ne ho visti ben
pochi, e per questo è stato bellissimo dal punto di vista riflessivo.
LAMON FRANCESCA – Classe 3C – Scuola F.Anzani di Cantù
Per il film Scoprendo Forrester
Il film mi è piaciuto, in particolare per il legame tra Forrester e Jamal, che si è rafforzato incontro
dopo incontro e che è servito ad ognuno per salvare la vita dell’altro, nonostante la differenza di età.
Secondo me vuole farci capire che bisogna lottare fino alla fine per ottenere il proprio obiettivo e
che non c’è un’età precisa per imparare.
MAURI GIULIA – Classe 3C – Scuola F.Anzani di Cantù
Per il film Scoprendo Forrester
Di questo film mi ha colpito particolarmente il legame di amicizia, basato sui libri e sulla scrittura, tra
William e Jamal in principio nata per gioco e per scherzo, diventatosi poi determinante per il futuro
del ragazzo, perché in questo modo è riuscito a colmare il proprio interesse. Da questo film ho
dedotto che non c’è un’età per imparare, né una per insegnare, e che l’unico modo per raggiungere
un determinato obiettivo è di impegnarsi al massimo.
SERGI VALENTINA – Classe 3C – Scuola F.Anzani di Cantù
Per il film Scoprendo Forrester
Questo film mi è piaciuto poiché è riuscito a catturare gli spettatori soprattutto sotto l’aspetto emotivo, mettendo in evidenza il cambiamento dell’identità interiore dei protagonisti. Il film insegna a non
lasciarsi andare ed affrontare le situazioni, e credere in se stessi.
GELFINI MARIA – Classe 1E – Scuola “P. Carcano”
Per il film Scoprendo Forrester
È un film che conquista per il modo in cui riesce a contaminare mondi e stili di vita differenti e a far
nascere dalla compenetrazione reciproca nuovi universi di senso.
CAVALLINI DANIELE – Classe 1° – Scuola G. Puecher di Erba
Per il film Il tempo dei cavalli ubriachi
Questo film è molto bello, ma soprattutto mi ha colpito la situazione di disagio e anche si sacrifici del
fratello più grande e mi ha stupito la semplicità del film e la sua efficacia sugli spettatori.
PAREDI DAVIDE – Classe1A – Scuola G. Puecher di Erba
Per il film Il tempo dei cavalli ubriachi
Il film è bello per ciò che esprime e per quello che fa capire: cioè che ci sono nei paesi poveri nel
mondo dei ragazzi che vivono fisicamente ma non spiritualmente e che c’è gente che non sa più cos’è il
sorriso. Inoltre il film è bello anche perché realizzato con mezzi artigianali.
PARRAVICINI FIAMMETTA – Calsse 1° Scuola G. Puecher di Erba
167
Per il film Il tempo dei cavalli ubriachi
Non credo che ci siano parole per descrivere il calore che questo film fa penetrare nel cuore perciò
dirò che è commuovente ma nello stesso tempo molto realistico.
MINORETTI GIORGIA – Classe 3E – Scuola G. Puecher di Erba
Per il film Il tempo dei cavalli ubriachi
Il film è un buono spunto per essere migliori. Il regista crea un’armonia tra l’ambiente e i personaggi
e in ogni paesaggio si riscopre una pace che non si trova nei paesaggi che vediamo tutti i giorni.
TESSARI SARA – Classe 3 Scuola G. Puecher di Erba
Per il film Il tempo dei cavalli ubriachi
Il film presenta tematiche reali ed interessanti che aiutano ad aprire gli occhi verso una realtà dolorosa ed esistente. A mio parere il protagonista rappresenta l’innocenza e la purezza infantile che è negli
occhi di tutti i fanciulli, costretti spesso ad affrontare prematuramente la realtà più dura e, di conseguenza a diventare uomini prima del tempo.
NOTARI MANUEL – Classe 3B – Scuola Marie Curie di San Fermo
Per il film Il tempo dei cavalli ubriachi
Questo film mi ha fatto capire che nel mondo esistono molte persone che hanno bisogno di molto
aiuto. Ed io di fronte a questo ho sentito il bisogno di migliorare il mondo.
BELLATI CRISTINA – Classe 3° – Scuola elementare Istituto Comprensivo di Dongo
Per il film La tigre e il dragone
A me il film non è piaciuto perché c’erano dei guerrieri che continuavano a lottare e alla fine la
ragazza si è buttata dalla rupe e non si è più visto cosa è successo.
PREMIATI PROVINCIA
DI BERGAMO
PASINI NICHOLAS – Scuola materna di Caprino B.sco
Per il film Le follie dell’imperatore
La parte che mi è piaciuta di più è stata quando Pacia e l’imperatore Cusco sono andati nella locanda
per mangiare qualcosa. I lama non potevano entrare, allora Cusco si è travestito da donna e faceva la
moglie di Pacia.
MARCHESI FRANCESCA – Classe 5B scuola elementare D.Alighieri di Albano S.Alessandro
Per il film Lucky, re del deserto
Questo film è molto commuovente ma bellissimo. Consiglio questo film a chi non si commuove. Fa
capire che anche se sei sola non devi mai abbatterti, ma andare avanti.
LEKLI FLORENCE – Classe 3° – Scuola E. Fermi di Osio Sotto
Per il film “Vajont”
Il film è molto interessante perché parla di una storia vera e dell’avidità dell’uomo. È brutto sapere
che c’è gente disposta a sacrificare la vita degli altri per interessi.
ENAIDIA HANAN – Classe 1C – Scuola media di Sarnico
Per il film Il tempo dei cavalli ubriachi
Il film è bellissimo, racconta che ci sono dei bambini che lavorano da soli e sono piccoli. Bravi avete
fatto una bella scelta.
168
PEDRINI MARCO – Classe 3B Scuola A Marenzi di Telate
Per il film Billy Elliot
Il film mostra la perseveranza, l’impegno e il desiderio di librarsi in volo verso un futuro, tanto sognato quanto temuto, sospinti da un vento inesauribile che scaturisce dal profondo del proprio essere.
PREMIATI PROVINCIA DI PAVIA
CATEGORIA: MIGLIOR ANALISI DEGLI ELEMENTI LINGUISTICI
Premio
MERLI Greta – classe 3C – Scuola elementare De Amicis di Voghera
per il film Galline in fuga
Perché i personaggi erano fatti di pongo e diversi quindi dai soliti cartoni animati.
Menzione
CANTONI SIMONE – classe 2E Scuola media di Marcignago
per il film Billy Elliot
Mi è piaciuta più di tutto la musica che spaziava dal genere classico a quello moderno. Mi sono piaciuti i personaggi e la regia nei momenti in cui si vedevano il mare, la neve e le case in contrasto con
l’ambiente circostante.
CATEGORIA: MIGLIOR SINTESI CRITICA
Premio
MAGENES LUCA – classe 4Bs Liceo Scientifico Taramelli di Pavia
per il film I cento passi
Un film che ci racconta la storia di un ragazzo siciliano e del suo rapporto con i genitori. La maturazione del suo pensiero politico è trattata con continuità. Il Peppino che grida “La mafia è una montagna di merda” è ben diverso dal Peppino che vuole concretizzare i suoi ideali politici candidandosi
per il consiglio comunale. Lui non è come gli altri: ha un viso pulito e la sua onestà è più forte del
rispetto che ha per il padre, ed è questa sua onestà che si concretizza in una crociata contro la mafia.
SILVANI GIULIA – classe 2C Scuola media Crispi di Chignolo Po
per il film I cento passi
Un film stupendo! Tratta un argomento che purtroppo ancora oggi esiste “la mafia”. Ispirandosi a una
storia vera, il regista ha saputo dare al film effetti o immagini che possono suscitare emozioni. La storia di un ragazzo che ha perso la vita per colpa di queste organizzazioni che seminano paura. La scena
dell’uccisione del padre mi ha colpito particolarmente anche per il fatto che il regista ha saputo dare
la giusta dose di violenza mostrando solo una forte luce che rappresenta l’impatto letale. La mafia è
una parola che solo a leggerla incute timore.
SICCOIA ALESSIA – classe 2F Scuola media di Marcignago
per il film Billy Elliot
Questo film ti rende cosciente di come si viveva negli ani Ottanta in Inghilterra. Le persone vivevano
in condizioni pietose, ma il loro spirito non ne risentiva: è stato bello il gesto del padre che, pur di
dare una possibilità di successo al figlio ha venduto gli ultimi ricordi di sua moglie scomparsa.
CATEGORIA: MIGLIOR GIUDIZIO CREATIVO
Premio
FIORDALISE MICHAEL – classe 2As Scuola Media Don Orione – Voghera
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per il film Scoprendo Forrester
Questo film mi è piaciuto tanto perché fa vedere due persone che fanno “cose” diverse, ma che in un
certo senso si assomigliano: una gioca a basket e ci vuole colpo d’occhio e tecnica, l’altra fa lo scrittore e servono le stesse qualità.
CATEGORIA: MIGLIOR DISEGNO
Premio
SCARAFFIA Gabriele – Scuola Materna di Pizzale
per il film Le follie dell’imperatore
TINDOLINI Sofia – Scuola Materna di Gualdrasco
per il film Babar il re degli elefanti
COLOMBO Giulia – classe 4 A Scuola Elementare Dante Alighieri di Voghera
per il film La tigre e il dragone
BELLOCCHIO Luca – classe 2a Scuola Elementare Leonardo da Vinci di Voghera
per il film Le follie dell’imperatore
Menzione
VARCHI Carlotta – classe 2a Scuola Elementare Marazzani di Vigevano
per il film Babar il re degli elefanti
CERVI Valentina – classe 2a Scuola Elementare Marazzani di Vigevano
per il film Babar il re degli elefanti
CATEGORIA: MIGLIOR LAVORO DI GRUPPO
Premio
CLASSE 1A – Scuola Elementare Pascoli di Pavia
per il film Babar il re degli elefanti
SCUOLA MATERNA di Retorbido
per il film Babar il re degli elefanti
Menzione
SCUOLA MATERNA LANDINI di Pavia
per il film Babar il re degli elefanti
CLASSE 3a – Scuola Elementare Angelini di Bornasco
per il film Il Grinch
CLASSE 2A – Scuola Elementare Carducci di Pavia
per il film La strada per El Dorado
CATEGORIA: MIGLIOR RIFLESSIONE
Premio
PELLEGRINO JACOPO – Classe 1B – Scuola Media S. Giorgio di Pavia
per il film La tigre e il dragone
La struttura del film è complessa e coinvolge lo spettatore: certi aspetti come la saggezza e la calma
nel combattimento e l’autocontrollo in generale; le espressioni dei guerrieri mostrano una facciata
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che supera gli effetti speciali; il sentimento dimostrato solo alla fine da Li-Mu-bai verso Shu-lien; e
come poco prima della fine Yen comprende l’importanza di una guida. Le scene inoltre accentuano la
foga e l’odio di Volpe di Giada verso Yen. Ma la cosa che più mi ha colpito è la loro consapevolezza
della propria forza e la loro purezza.
Menzione
PALLESTRINI STEFANIA – classe 5a – Scuola Elementare Cabral di Pavia
per il film Billy Elliot
A me è piaciuto tanto perché è un film che impara ad affrontare molte cose che esistono al mondo.
Soprattutto il pezzo più bello è quando Billy ha detto “Quando danzo mi sento trasparente e isolato”.
AIMÈ Cristina – classe 3C – Scuola Media Fermi – Robbio
per il film La musica del cuore
Questo film non era un granché, ma come storia era bello, interessante.Tutti hanno aiutato l’attrice a
tenere la classe di violino. Ho notato che insegna il mescolamento di razze e non il razzismo.
CATEGORIA: MIGLIOR TESTO ECLETTICO
Premio
PULTZE MATTIA – classe 2 L Scuola Media Leonardo da Vinci di Pavia
per il film Scoprendo Forrester
Mi è piaciuto perché una persona di colore è stata aiutata da una di colore bianco.
RISSO RICCARDO – Sezione 3 anni – Scuola Materna di Montebello della Battaglia
per il film Babar il re degli elefanti
È stato bello ma sono troppo piccolo per dare un giudizio.
SEDDA MARIKA – classe 3a – Scuola Elementare di Trivolzio
per il film Il Grinch
Il film mi è piaciuto perché il Grinch ha incartato la bambina come un pacchetto di Natale.
BOTTA FRANCESCA – classe 2a – Scuola Elementare di Bornasco
per il film Le follie dell’imperatore
Ho scelto “bello” perché ai cattivi va sempre male! Però pazienza! Yzmami mi sta proprio simpatica!
SAITTA MARIA GIOVANNA – Classe 4A – Scuola Elementare Dante Alighieri di Voghera
per il film La tigre e il dragone
Perché la Cina mi piace molto e perché era molto rumoroso e violento.
SACCHI MATTEO – classe 2a – Scuola Elementare di Bornasco
per il film Le follie dell’imperatore
Ho messo bellissimo perché ci sono personaggi bellissimi e il film dura tanto.
SEZIONE SPECIALE:“AL CINEMA È MEGLIO!”
Premio
CORONA CARLO – Scuola Materna di Montebello della Battaglia
per il film Babar il re degli elefanti
Il film era bello perché c’era una televisione grande e tanti elefanti.
CRIVELLARI ARIANNA – Classe 2B – Scuola Elementare di Robbio
per il film Galline in fuga
Io l’ho già visto, ma rivederlo è stato più divertente, perché è stato ancor più bello e ancor più gioioso.
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SETTORE CULTURA TURISMO
SPORT E TEMPO LIBERO
UFFICIO CULTURA DI VARESE
PREMIO CLASSE
Per il film “Babar il re degli elefanti”
1) Scuola elementare Morandi – Varese
Classe
1A
2)
Classe
2A
Classe
1A
Scuola elementare Morandi – Varese
Per il film “Le Follie dell’Imperatore
3) Scuola elementare Manzoni – Gallarate
PREMIO PER I DISEGNI
Per il film Babar il re degli elefanti
1) Scuola materna Don Papetti – Varese
Marco Tesoro
2)
Scuola materna Don Papetti – Varese
Laura Milana
3)
Scuola materna Don Papetti – Varese
Fabio Altieri
4)
Scuola materna Don Papetti – Varese
Greta Dalle Fratte
Per il film Le Follie dell’Imperatore
5) Scuola elem. Manzoni – Gallarate
Davide Fera
Classe
II B
6)
Scuola G. Marconi – Gallarate
Valentina Zaro
Classe
3A
7)
Scuola G. Marconi – Gallarate
Debora Amantia
Classe
3A
8)
Scuola G. Marconi – Gallarate
Camilla Vanelli
Classe
3A
Classe
4
Per il film la spada magica
1) Scuola Vittorino F. – Saronno
Sara Borruso
(Per me è stato bellissimo perché c’era tanta magia.)
Classe
1B
2)
Classe
1B
Per il film Himalaya l’infanzia di un capo
9) Scuola elementare Via XXV Aprile
Laveno Mombello
Alessandro Codo
PER IL DISEGNO E PER LA FRASE
Scuola Vittorino F. – Saronno
Massimiliano Moggia
(È stato bellissimo perché era tutto colorato.)
Per il film Babar
3) Scuola XX Settembre – Uboldo
Eleonora Restelli
Classe
3B
(A me è piaciuto il film “Babar il re degli elefanti” ma mi ha comunicato tristezza quando è
morta la mamma di Babar.)
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4)
Scuola XX Settembre – Uboldo
Loris Baratella
(Il film mi è piaciuto perché madame ha salvato l’elefantino.)
Classe
3B
Per il film Basta guardare il cielo
5) Scuola XX Settembre – Uboldo
Andrea Filippini
Classe
5A
(Trovo che questo film sia semplice ma geniale, simpatico ma commovente, profondo e significativo. Spero che questo film abbia fatto riflettere sull’isolamento dei “diversi” da parte delle persone “normali”.)
6)
Scuola XX Settembre – Uboldo
Martina Colombo
Classe
5B
(Questo film mi è piaciuto tantissimo perché è nato un legame di amicizia-società fortissimo che
nessuno poteva rompere.)
Per il film Concorrenza sleale
7) Scuola XX Settembre – Uboldo
Camilla Menis
Classe
5A
(Questo film è stato, anche se è difficile, molto significativo. coloro che hanno fatto ritornare gli
ebrei al loro paese, sono stati razzisti e non hanno dato la possibilità agli ebrei di essere liberi.
non è stato rispettato il diritto alle pari opportunità. Sono amici anche se separati dal loro
stato.)
8)
Scuola XX Settembre – Uboldo
Emanuele Dal Prà
Classe
5B
(Questo film mi è piaciuto tanto perché era la storia di due commercianti nemici con figli però
che si volevano bene fra di loro. Grazie ai figli i commercianti diventarono amici.)
9)
Scuola XX Settembre Uboldo
Maria Teresa Burrai
(Il film parla dell’amicizia tra bambini, che dopo è venuta anche tra adulti.)
Classe
5B
PER LA FRASE
Per il film Le follie dell’imperatore
1) Scuola Marconi – Gallarate
Gabriele Campiglia
Classe
3B
(Il film mi è proprio piaciuto; l’avevo già visto a metà ma è stato più bello. Le musiche di Sting
sono bellissime. Era molto simpatico il film, specialmente Kuzko. Il film era molto animato. Infine
prima di vedere il film tremavo dall’emozione.)
Per il film Babar
2) Scuola XX Settembre – Uboldo
Lorenzo Mariani
Classe
(Mi è piaciuto perché era pieno di sentimenti: gioia, paura, tristezza, emozione e stupore.)
3A
Per il film Himalaya l’infanzia di un capo
3) Scuola media Statale – Germignaga
D’Angelo Chiara
Classe
3B
(Secondo me, è stato abbastanza coinvolgente perché, attraverso i fatti narrati, si poteva capire
quante avversità e quanti ostacoli si potevano incontrare per essere capo. Ci fa riflettere sulle
difficoltà che si possono presentare sulla via della vita e come bisogna essere per riuscire ad
affrontarle, per raggiungere il proprio obbiettivo.)
Per il film Galline in fuga
4) Scuola media Bassetti – Sesto C.
Luca Giambelli
Classe
1E
(È bello perché è divertente e coinvolgente. È realizzato bene col pongo e le immagini richiama-
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no la 2ª guerra mondiale con Hitler e i campi di concentramento. Le galline sono infatti costrette a deporre uova per non finire arrostite.)
Per il film Basta guardare il cielo
5) Scuola XX Settembre – Uboldo
Valentina Frasisti
Classe
4B
(Mi è piaciuto perché era un film pieno di imprevisti. Due persone diverse si aiutavano per il il
loro bene e per quello degli altri. e anche se i colori delle immagini erano prevalentemente scuri
si riusciva quasi sempre a trovare uno spiraglio di felicità.)
Per il film Train de vie
6) Scuola media G. Galilei – Tradate
Cristiana Borsani
Classe
3E
(Per me il film è stato bello perché faceva ridere sulla tragedia maggiore del 20° secolo. Era ricco
di particolari che riguardavano il popolo ebreo; musiche, vestiti modi di dire, lingue. La metafora
del treno che rappresenta i numerosi viaggi del popolo ebreo che scappa dalla persecuzione per
me è stata azzeccata. D’altronde ce lo si doveva aspettare, visto che il regista è un ebreo.)
Per il film Placido Rizzotto
7) I.T.P.A. – Varese
Giulia Ghironi
Classe
3 At
(Giudizio: Bellissimo. – Lo ritengo tale perché è un film che bene evidenzia la realtà crudele della
mafia. Mi ha commosso l’idea della sofferenza che si può provare in questa sistuazione. Certe
scene, anche se crude, devono richiamare l’attenzione e far capire a noi superficiali e indifferenti
che i sentimenti di odio, orgoglio, portano solo alla nostra autodistruzione. La mafia è qualcosa
che non morirà mai! …. Non è scetticismo, ma una speranza che non esiste.)
Per il film Scoprendo Forrester
8) Scuola media Passerini – Induno O.
Marta Cadei
Classe
2D
(Mi è piaciuto molto come film perché sono contenta che ogni tanto non facciano vedere scene
di razzismo ma un semplice ragazzo che ha molte qualità come quella dello scrivere. Il pezzo che
mi è piaciuto di più del film è stato quando Forrester legge la lettera e alla fine dice che non l’aveva scritta lui ma il ragazzo. Credo che sia un film pieno di principi e molto profondo.)
9)
Liceo classico Legnani
Paola Manara
Classe
2B
(Mi è piaciuto molto il tema scelto: rapporto maestro-discepolo che ha mostrato quanto si riceve aprendosi gratuitamente all’altro. Originale l’inversione di ruoli maestro/discepolo
dicepolo/maestro.)
Per il film Concorrenza Sleale
10) Scuola media Moro – Saronno
Serena Tagliani
Classe
3C
(Film bello, che arricchisce anche un pubblico di spettatori piccoli, culturalmente e moralmente,
e li educa ad una vita che evita il razzismo. Ispirato ad una storia probabilmente accaduta, mostra
– anche se in modo tutt’altro che pesante – un’epoca dura per la nostra italia (1922-25) che
precedeva la guerra. Interpretazione che colpisce grazie ad un cast di bravi e affermati attori.)
11) Ipa De Filippi – Varese
Fabio Martinuzzi
Classe
3
(Finalmente non vengono mostrate storie di militi, potenti, generali vari bensì la vita quotidiana e
il pensiero delle varie categorie di persone in un’epoca dove la libera opinione era censurata e
abolita da un regime che per l’influenza di un folle divenne troppo dispotico per continuare a
esistere.)
174
Per il film Il tempo dei cavalli ubriachi
12) I.T.I.S. Facchinetti – Castellanza
Alessandro Zerbini
Classe
1A
(Il film trasmetteva un forte messaggio sulle attuali condizioni dei curdi, un popolo sterminato
come gli ebrei. sicuramente per capire meglio il film bisogna mettere a confronto la propria vita
con la loro. È stato un film che fa riflettere e piuttosto interessante ma la scenografia era proprio amatoriale.)
13) I.T.I.S. Facchinetti – Castellanza
Davide Scaburri
Classe
1H
(Il film mi è piaciuto perché spiega come vivono tutti i bambini curdi ogni giorno: con problemi e
difficoltà. Inoltre ti fa riflettere come vivono senza tecnologia, non come noi che viviamo con
ogni bene e se ce ne manca uno ci disperiamo.)
Per il film Billy Elliot
14) Scuola elem. Don Milani – Gallarate
Marta Depalma
Classe
5
(Ho scelto bellissimo, perché questo film mi ha fatto provare molte emozioni e perché rappresenta la vita reale di una famiglia meno fortunata di noi. In alcuni momenti mi sono commossa, in
altri divertita. Vedendo il film ho capito veramente due cose: com’era faticosa la vita di allora e
che quando qualcuno desidera qualcosa deve “lottare” per ottenerla.)
15) Scuola media Carducci – Gavirate
Laura Loriato
Classe
1C
(Mi è piaciuto specialmente per il comportamento dei personaggi. Billy non demorde e riesce a
far capire al padre come stanno le cose. perché il finale è lieto e dice che dopo tante fatiche billy
è arrivato alla sua meta. Inoltre ci sono molti momenti commoventi specialmente quando billy
parla al padre riguardo al suo sogno e quando nel film si fa evidente la difficoltà economica della
famiglia. È ricco di momenti in cui i personaggi dimostrano altruismo.)
16) ITC – Bisuschio
Elisa Gumiero
Classe
1B
(Il mio giudizio sul film è assolutamente positivo. anche se in situazioni diverse, anch’io mi lascio
sopraffare dallo sconforto, ma il film e l’esperienza che Billy ha passato sulla sua pelle, mi ha fatto
molto riflettere. Mi ha insegnato anche a giudicare le persone per quello che sono e n per quello
che ti trasmettono e, anche se nella realtà è molto difficile, a vivere senza pregiudizi, in un certo
senso, il film mi ha aiutato un po’ a crescere e a maturare interiormente e il mio giudizio non
può essere che positivo. Nella vicenda c’è stata una scena che mi ha suscitato tenerezza. è stata
quando la madre è comparsa nella vita di Billy, è una figura sempre presente che aiuta Billy nei
momenti di sconforto. È questa la vicenda che ho preferito descrivere perché è difficile continuare a vivere senza le persone a cui tieni e che per te sono importanti.)
Per il film I cento passi
17) ITPA – Varese
Ilaria Bruno
Classe
II Be
(Penso che il film sia semplicemente bello. riesce a proiettarci in una realtà che spesso ignoriamo, ci rende partecipi della forza di volontà di un ragazzo che rischia tutto, pur di dimostrare,
esprimere, le proprie idee e ci fa capire quanto la realtà passata, e presente, possa essere così
cruda e spietata nella vita di tutti i giorni.)
18) Scuola media Ponti – P. Lega – Saronno
Giusi Sirressi
Classe
3
(Questo film mi è piaciuto perché non ha preso in considerazione solo il problema “mafia” ma
anche il difficile rapporto tra padre e figlio che si vuole ribellare alle idee e ai principi del genitore.)
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PER L’ORIGINALITÀ
Per il film Domani
Scuola media A. Moro – Cislago
Chiara Frigerio
Classe
3A
(“Una famiglia ….. 1000 problemi. due ragazze … una amicizia indimenticabile; una coppia: figlio
si o no? un figlio e la madre ….grazie della vostra ospitalità” ma merita solo di essere un film?
no, di più … merita di essere la realtà!!!!.)
PREMIATI PROVINCIA
DI BRESCIA
per il film Billy Elliot
Istituto Lunardi – Brescia
Lara Minelli
per il film Shrek
La scuola materna Rebuffone
per il film Momo alla conquista del tempo
le classi 3A e 3B della scuola elementare di San Zeno Naviglio
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