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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
XIII CICLO DEL DOTTORATO DI RICERCA IN
SCIENZE DELL’UOMO,DEL TERRITORIO E DELLA SOCIETÀ
INDIRIZZO POLITICHE SOCIALI E ARCHITETTURA
A.A. 2010/2011
IDEA / PROCESSO / ARCHITETTURA
FENOMENOLOGIA DI UN PROCEDERE PRATICO
NELLA PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA
DOTTORANDO
MATTIA MARZARO
COORDINATORE
PROF. GIOVANNI MARRAS
RELATORE
PROF. GIOVANNI MARRAS
CORRELATORE
PROF. ALBERTO PEÑIN LLOBELL
Settore scientifico disciplinare ICAR 14
fig. 1 Paolo Sciancalepore, La fabbrica delle
nuvole, 2009
Indice
Preambolo
Capitolo I
Progetto e processo nel Moderno
Estetica della macchina
Le Tecniche
Questioni di standard
Dall’Estetica della macchina all’arte minimal
15
29
49
La posizione americana
Chicago Frame
73
Cercando Mies Van Der Rohe 79
Fast track 89
La posizione europea
Le Corbusier
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
95
Definizione della natura processuale
Il processo progettuale
Teoria, verificazione e processo
Considerazioni sull’idea
Definizione del processo
Linguaggio e processo
Forma e processo
125
139
151
157
165
173
Gli strumenti del processo
L’approssimazione geometrica
Il diagramma
Il modello 183
195
207
Fenomenologia del processo
Processo lineare / A>B
Processo continuo / A>B>C…n
Processo stocastico o probabilista / A>B<A 217
235
257
Conclusioni
279
Bibliografia
283
Preambolo
“Quando la logica della costruzione si converte in fisicità
dell’Architettura, la libertà dell’architetto, la sua possibilità di
scegliere liberamente la forma laddove intervengono nuove
restrizioni, è messa in dubbio.”1
“Non il medievalismo né il colonialismo possono esprimere la
vita dell’uomo del XX secolo. Non esiste un punto terminale in
architettura, c’è solo mutamento ininterrotto.”2
Nel corso del XXI secolo, nel progetto di architettura si sono sviluppate
attitudini volte a rispondere alle esigenze dettate dall’evoluzione tecnica,
sociale, economica, ambientale, artistica e culturale, che hanno permeato
fortemente l’evoluzione del pensiero del Novecento.
Gli sviluppi di questa rivoluzione permanente hanno condotto ad uno
svolgimento sperimentale del fare architettura, spostando la visione del
progetto verso approcci legati al divenire e non come metodi legati a una
prassi. L’uomo, e quindi l’architetto, vive quello che Agamben definisce
lo stato di eccezione3, in cui la logica e la prassi non si determinano.
Un’assenza di pensiero pretende di attuare un enunciato senza riferimenti
alla realtà, o meglio giungendoci in un secondo momento, a posteriori, a
volte inconsciamente. In questo quadro d’incoscienza ciò che ne deriva
è un modo diverso di stare al mondo, o meglio la nascita di modi e visioni
individuali, personalistiche. Si assiste così alla fine delle certezze e quindi alla
fine della univocità di dati sui quali fondare ogni possibile concatenamento,
ogni possibile continuità. Questo disordine generale, questo quadro
d’incertezza, costituisce la nascita di quelle che nel corso della tesi andranno
a definirsi come le processualità; esse costituiscono la necessaria volontà di
definire in modo determinato ciò che in realtà è espresso dall’infinita varietà
e possibilità dello spazio.
Assumiamo come inizio della ricerca questo dualismo tra realtà instabile e
infinita, da un lato, e necessaria determinazione di elementi concatenati
dall’altro, che reggano i principi su cui fondare lo sviluppo progettuale
nell’intento di stabilire dei principi di verità. Un sistema in questo senso
processuale che garantisca di volta in volta nella prefigurazione dell’idea
il controllo della forma, nell’intento di affermarla nel tutto reale, e non
rendendola fine a se stessa e quindi in grado di smentirsi.
Necessariamente il discorso si muove su diversi ambiti, tra i quali quello
filosofico, perché in esso si fonda il pensiero dell’uomo, quello architettonico,
artistico e tecnico, perché in essi vi sono le più alte forme di espressione e di
linguaggio.
In particolare, rispetto alla questione progettuale, nello scorso secolo la
ricerca si è mossa tra forma, struttura, contenuto, previsione, ideazione,
composizione; e ancora tra standard, economicità, velocità di produzione.
1
Rafael Moneo, Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti
contemporanei, Electa, Milano, 2008, p. 297.
2
Walter Gropius, Architettura Integrata, Il Saggiatore, Milano, 1955, p. 95.
3
Giorgio Agamben, Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 54
Aspetti che hanno assunto all’interno del progetto di architettura un valore
del tutto differente da prima, determinandone le condizioni stesse.
L’architetto, pertanto, ha dovuto cambiare la sua prospettiva nelle
procedure creative e compositive, affrontando la necessaria convivenza
all’interno del progetto di una pluralità di attori, e mettendo da parte la sua
attitudine progettuale individuale, perdendo la propria innocenza4.
In assenza di precedenti, nascono autonomie progettuali in grado di
controllare e coordinare tutti o alcuni dei fattori culturali e tecnici di
innovazione interni al progettare, e di coordinare i diversi attori che
concorrono alla realizzazione dell’opera.
Tale evoluzione non ha tuttavia tralasciato la parte più intima della
composizione architettonica e del suo linguaggio, che ha dovuto adeguarsi
con una serie di declinazioni e mutazioni, destinate a esplorare anche il
campo dell’informe.
In questa complessità d’azione diviene necessaria la costruzione di sistemi
processuali di sviluppo progettuale; la composizione svolge in questo quadro
del dubbio un ruolo chiave di chiarificazione e di verificazione, in quanto
una parte dell’atto compositivo è legata alla ragione e una parte al mondo
dell’intuizione, dell’istinto, del sensibile, anche se quest’ultima in un secondo
momento viene posta nel dubbio.
In tal senso questa tesi ha lo scopo di porre in evidenza alcune problematiche
della progettazione, che oggi si manifesta attraverso quello che definiamo
processo. La composizione, a differenza di quanto può apparire, ancora
conserva un valore all’interno del progetto; essa ha solamente cambiato
aspetto e diversificato i sui fattori operativi, in un certo senso si è evoluta.
La composizione assume il ruolo di esperienza dell’indeterminazione
progettuale, di medium, di strumento di ricerca di un senso tra ciò che
determina relazioni tra soggetti e figure e le sue brusche rotture.
Anche in architettura si assiste a un fenomeno simile a quello che riguarda i
fenomeni linguistici, che nel tempo mutano a causa di influenze esterne di
carattere sociale, storico, o di contaminazioni.
Il progetto e il suo linguaggio necessariamente sono in un continuo divenire,
in mutamento, nel senso di questa tesi, in processo.
Riconosciamo il principio di mutazione a partire dalla nascita del Movimento
Moderno, e in particolare dalla nascita di due scuole di pensiero, l’una
facente capo alle sperimentazioni in ambito europeo e l’altra alla scuola
americana, entrambe legate da un quadro culturale fondato sulla ricerca
delle regole nell’intento di coniugare, attraverso la razionalità tecnica, il
particolare con l’universale, lo standard con l’unico, il caos con l’ordine. Le
sperimentazioni del moderno hanno giocato un ruolo cardine d’influenza e
di propulsione introducendo il concetto di standard funzionale nel metodo
e scardinando le teorie consolidate legate agli stili, in funzione di una
maggiore libertà progettuale, legata ai materiali, al processo di produzione
dell’architettura e alla ricerca dell’unità minima di vita. Quest’ultimo aspetto
4
Christopher Alexander, Notes on the synthesis of form, tr. It. Sergio Los, Note sulla sintesi della
forma, Il Saggiatore, Milano, 1967, p. 17
ha generato una specifica formulazione teorica e progettuale indirizzata
alla risoluzione delle problematiche inerenti la questione funzionalista.
Questo ha comportato una sovrapposizione di visioni rispetto alla questione
della standardizzazione e la ricerca di un’unità universale di misura. Assistiamo
così alla nascita di una diversa posizione linguistica nell’atto progettuale,
attribuendo al termine standard non solamente la sua declinazione
produttiva, ma la ricerca di regole valide atte a sostenere e verificare il
progetto moderno, ricondotte all’uomo, alla sua dimensione biologica.
L’attenzione è quindi posta sul pro-getto, sulle modalità del procedere,
momento in cui la ricerca si fa espressione della propria tesi, configurandosi
essa stessa quale progetto di esperienza.
In un certo senso il processo è parte della visione, “e la visione è ciò che il
linguaggio scientifico chiama verificazione o falsificazione della previsione.
(…) Proprio perché il divenire è l’incominciare ad esistere, il divenire è
l’irruzione dell’inatteso e dell’inaudito, ossia di ciò che per la sua radicale
novità e imprevedibilità minaccia ogni cosa esistente. (…) Per salvarsi è
necessario arginare la minaccia del divenire, cioè controllarla, sottoporla
ad una legge e quindi dominarla.”5
In questo senso, l’atto progettuale s’identifica e si determina con il processo
creativo. Assume il ruolo di elemento della formulazione, dalla visione nel
controllo di uno spazio certo6, entro il quale sia possibile cadere in una
verificazione o meglio in un processo di verificazione.
I movimenti artistici e le avanguardie hanno contribuito a scardinare
l’esplorazione figurativa, portando a paralleli sviluppi in campo architettonico
l’assunzione di sistemi compositivi e di prefigurazione innovativi grazie alla
trasposizione in arte dei concetti di temporalità e di serialità. Il rapporto tra
arte e architettura trova una nuova dimensione attraverso l’acquisizione
di sistemi espressivi e di ricerca figurativa del tutto simili. La progettazione in
questo quadro evolutivo ha dovuto appropriarsi di apposti strumenti, utili allo
svolgimento processuale.
S’introducono così nell’atto progettuale una serie di strumenti specifici, tra
i quali possiamo individuare la geometria, i diagrammi, il modello. Questi
strumenti, non nuovi al campo progettuale, assumono nella questione
processuale specifiche manifestazioni.
La geometria si è evoluta grazie all’uso del computer, che ha permesso un
più radicale controllo del progetto architettonico e delle esplorazioni delle
sue nuove forme.
I modelli figurativi e prefigurativi hanno assunto una duplice funzionalità:
come fonti di astrazione e concettualizzazione dei principi compositivi,
e come vere e proprie manifestazioni della verifica e della composizione
diretta e “materiale”.
Il diagramma diventa fonte di sintesi funzionale, distributiva, d’interazione fra
le parti e sistema per la figurazione dell’opera, assumendo addirittura il ruolo
5
Emanuele Severino, Legge e caos, Adelphi, Milano, 1980, pp. 15-16
6
Cfr. Alberto Bertangna, Il Controllo dell’indeterminato, Potemkin Villages, ealtri non luoghi,
Quilibet Studio, Macerata, 2010, p. 44
di “arbitro determinante” di una nuova definizione compositiva.
La manifestazione processuale s’instaura in quanto “abbiamo cominciato
a intendere che modellare il nostro ambiente fisico non significa applicarvi
uno schema formale fisso, ma vale piuttosto un continuo, interno sviluppo,
una convinzione che va continuamente ricercando il vero, al servizio
dell’umanità.”7
D’altro canto, la sperimentazione si spinge verso una chiave di lettura del
progetto architettonico e del suo processo creativo inteso come sistema
processuale generalizzabile e sempre valido. Il luogo dell’analisi è costituito
dai fenomeni evolutivi che hanno accompagnato la progettazione
nel corso del XX secolo, dalla posizione del Movimento Moderno alla
contemporaneità. Fasi queste in cui il processo è continua mutazione e i
cui fattori creativi subiscono un continuo riposizionamento rispetto all’idea
architettonica.
Di fronte a fenomeni progettuali sempre più sconnessi da teorie, frutto
di elaborazioni pluri-disciplinari, la produzione letteraria critica tende a
descriverne i risultati anziché analizzarne in profondità i contenuti processuali.
A noi interessa, invece, capirne i meccanismi di formulazione e le diverse
manifestazioni. In luogo di un’analisi di tipo storico, cercheremo di leggere
alcuni progetti significativi concentrandoci sugli aspetti funzionali alla tesi,
con particolare attenzione ai processi di verificazione e controllo.
Si tratta, in altre parole, di individuare una lingua e un suo ordine strutturale,
che utilizzi le evoluzioni geometriche come punti assoluti,8 e l’uso dei
diagrammi e dei modelli come fonti esplorative.
Attraverso l’esposizione di atteggiamenti progettuali, si cercherà di chiarire
il rapporto tra architettura, forma, funzione, e da tale analisi istituire un
catalogo di processualità progettuali attraverso una fenomenologia
definita. La nostra analisi, d’altra parte, non vuole diventare la ricerca di
una teoria o di un metodo attraverso il quale accedere alla formulazione
di un progetto. Diversamente, essa cerca di mettere in luce la chiara e
incontrollabile capacità evolutiva e rigeneratrice del sistema delle idee,
della prefigurazione e della creazione.
Ci interessa l’analisi degli strumenti che costituiscono il processo architettonico
contemporaneo e le sue declinazioni, attraverso lo studio di casi particolari
classificati per tipologia di approccio processuale, secondo quello che
possiamo definire processo lineare, processo continuo e processo stocastico
o probabilistico.
Quello che si cercherà di fare è di fotografare una situazione in continuo
divenire, studiandone i sistemi principali e cercando di capirne i fenomeni
scatenanti, il luogo in cui l’architettura si tramuta nella risoluzione di un
problema, metafora presa dalla matematica, attraverso quello che
possiamo definire “processo risolutivo”.
7
Walter Gropius, Scope of Total Architecture, Tr. Italiano Renato Pedio, Architettura Integrata, Il
Saggiatore, Milano 1994, p.93.
8
Cfr. Peter Eisenman, La Base formale dell’architettura Moderna, cit., pp. 41- 42.
Progetto e processo nel Moderno I
1
2
fig.1 Tony Garnier, Une cité industrielle, La
terrasse sur la Vallée,
1917-32
Fig. 2, Tony Garnier, Une cité industrielle vue
d’ensamble, Les services publics, 1917-32
Estetica della Macchina
Le Tecniche
“La tecnica ha ampliato i confini della poesia […] In ogni istante
dall’avanzata della tecnica scaturiscono sogno e poesia” 1
“Le tecniche, costituiscono insieme di strumenti e procedimenti usati per
la produzione artistica e industriale, al fine di ottenere la migliore esecuzione dell’opera.”2
Per Heidegger il significato greco di téchne assume due valenze, da un
lato significa, da ticto, produrre, e dall’altro è un mezzo per il disvelamento della verità attraverso la capacità di far apparire un qualcosa
attraverso le cose presenti. Così come l’artista attraverso la pittura crea
un nuovo soggetto, il quadro.
La tecnica, nel suo significato, è espressione della produzione industriale, essa non è altro che la trasformazione di oggetti reali in altri attraverso
atti, azioni o mezzi controllati dall’uomo e frutto della logica produttiva.
Se spostiamo questo concetto in architettura, le tecniche industriali non
sono altro che gli strumenti e le attività con le quali il progettista opera
nella determinazione e nella definizione del linguaggio architettonico.
Questo rapporto dialettico ha origine nel Rinascimento, momento storico in cui si accentua la discrepanza fra prassi costruttiva e prassi ideativa, per diversificarsi man mano sino all’età moderna in maniera più
marcata, in ragione delle scoperte tecniche industriali.
Possiamo collocare la definitiva separazione tra prassi costruttiva e prassi progettuale tra fine Ottocento e primi del Novecento, sull’onda dell’evoluzione industriale ove assistiamo a livello sociale e culturale ad una
presenza delle tecniche in tutte le attività del pensiero umano.
Un esempio è rappresentato dalla città industriale di Tony Garnier, oggi
simbolo di una svolta culturale verso l’industrializzazione europea. Questo primo esempio simbolo viene concepito in un momento storico in cui
la visione generale positiva era rivolta verso le scoperte scientifiche e
ingegneristiche, alle basi del pensiero moderno.
Questa demarcazione culturale di rilevanza storica è oggi imprescindibile, il nostro mondo è a misura della tecniche e le tecniche sono al nostro
servizio.
Oggi in campo architettonico la tecnica sembra aver conquistato una
posizione di preminenza rispetto alla composizione come materiale della progettazione architettonica, in grado di creare uno spessore alla
traccia del progetto, regolandone le trasformazioni.
“In quanto materiale di progetto, la tecnica va posta nel caso specifico, a partire dall’essenza stessa dello scopo, nella specificità del tempo,
del caso e del luogo. La meditazione essenziale sulla tecnica è il con-
1
2
Le Corbusier, Maniera di pensare l’urbanistica, Editori Laterza, 2006
Enciclopedia dell’Archirettura, Voce Le tecniche, Motta Architettura, Milano, 2008
fig.1, 2 Konrad Wachsmann, Nodi standard,
1940
fig.3, Konrad Wachsmann, Struttura modulare a nodi, 1940.
L’uso di un nodo in una sola misura di tubi,
di un sistema di costruzione costituito da ripetizione ritmiche nell’ambito dell’ordine
modulare tridimensionale, determina, come
si osserva dalla foto la struttura e lo spazio.
fig. 4 a lato, prima di sopertina del libro edito
da Sigrfrier Gieidion, Building in France, Building in Iron, Building in Ferroconcrete, del
1928.
fig. 5 pagina seguente, Konrad Wakhsmann,
Dettaglio di rappresentazione di un’idea di
costruizione industrializzata, 1950
fig 6 pagina seguente, Konrad Wakhsmann,
definizione del nodo strutturale, 1950
1
2
3
4
fronto con essa devono avvenire nell’ambito dell’arte. Come sottolinea
Heidegger essa si intende solo quando la mediazione dell’artista non
si chiude davanti alla costellazione della verità riguardo alla quale poi
poniamo la nostra domanda”.3
In questo senso la tecnica rimane al servizio di un’intenzione, per proseguire in quel processo di continua trasformazione da uno stato reale alla
creazione di uno conseguente o meglio di una nuova realtà.
Possiamo quindi affermare che, con l’introduzione di procedimenti di
produzione industriale nel campo delle costruzioni, ci sia un fenomeno
di mutamento e di evoluzione, volto alla formulazione di nuovi linguaggi
e nuove posizioni creative rispetto alla questione della produzione della
forma stessa.
Come sostiene Konrad Wachsman,4 nel 1959, nel suo libro Una svolta
nelle costruzioni5, tempo, movimento, ed energia determinano l’ambito
entro il quale si può ideare e sviluppare un’opera costruttiva.
“Condizionati dal tempo, scaturiscono da cause concrete e da deduzioni astratte punti di partenza e linee direttive che portano a nuove
nozioni di funzione e di spazio. “6
Questa lettura della realtà, come manifestazione di un’evoluzione permanente del campo delle costruzioni, era già nota dal 1928, anno in
cui Sigfried Gieidon pubblicava Building in France, Building in Iron, Building in Ferroconcrete. Le esperienze svolte in campo costruttivo dalla
fine dell’ottocento sino ad oggi sono fortemente legate ad una nuova
concezione della produzione edilizia nel contesto del suo sviluppo industriale. Il concetto di tempo, movimento ed energia sono i postulati di
base nel conformarsi di una nuova posizione linguista rispetto alle opere
ingegneristiche, attente alle questioni produttive e alla serialità.
La svolta decisiva evocata da Wachsman nel titolo del suo libro è la
grande svolta verso nuove formulazioni all’interno delle evoluzioni tecniche; è l’inizio di un approccio processuale.
“Le forze creative del nostro tempo sono ormai definite e già si vedono
le basi sulle quali s’imposterà l’ulteriore sviluppo. L’uomo in rapporto con
il mondo è, com’esso, soggetto a processi di trasformazione. L’uomo
continuerà ad adattarsi al mondo, come questo verrà continuamente
3
Cfr. Mario Ruggenini, Il soggetto e la tecnica. Heidegger interprete “inattuale”
dell’epoca presente, Bulzoni, Roma, 1978, p. 121-130
4
Konrad Wachsmann, architetto tedesco, che negli anni ‘40 del secolo scorso si trasferì
negli Stati Uniti, dove iniziò la sua proficua collaborazione con Walter Gropius. Fu uno dei pionieri
della prefabbricazione, con numerose elaborazioni tecniche e figurative al suo attivo nella ricerca del modulo di base adatto a tutte le esigenze costruttrici. La sua ricerca è caratterizzata
per lo studio e il disegno di elementi prefabbricati e standardizzati per l’edilizia e il design. Lo
studio del modulo è al centro delle ricerche sulle proprietà estensive dei materiali e delle sue
strutture, condotte sino alla massima potenzialità di astrazione (vedi strutture continue). Ogni
elemento da lui inventato per le costruzioni, oltre al dato tecnico, preserva e conduce alla
massima espressione delle qualità materiali di cui è composto. Il materiale viene così, condotto
alla sua massima espressività. Secondo il suo stile il compito dell’architetto, da lui denominato
universal planner, è proprio di coordinare, pianificare e inserire l’uno nell’altro i moduli base per
la composizione delle costruzioni, combinando l’appropriata tecnologia nella costruzione dei
moduli stessi con la creatività nell’inserirli e comporli.
5
Il libro rappresenta una lettura inedia delle questioni legata alla regola e al modulo, in
rapporto alla misura umana e alla questione della scala. Attraverso esempi storici di fine Ottocento come nel campo della prefabbricazione in acciaio, conduce verso una nuova formulazione figurativa degli elementi costruttivi in rapporto con il materiale, la misura, e la potenzialità
spaziale della serie.
6
Konrad Wachsman, Una svolta nelle costruzioni, Il Saggiatore , Milano, 1960, p. 9.
5
trasformato per essergli utile.”7
Quest’analisi di Konrad Wachsman delinea perfettamente lo spirito con
il quale si è instaurata la visione positivista dell’evoluzione nel campo
tecnico rispetto all’uomo e al mondo.
Un sistema definibile in realtà come un processo aperto, in cui si continuerà a progredire verso nuovi scenari.
Questo percorso ci ha condotto siano ad oggi, momento storico in cui
siamo immersi in quella che possiamo definire anche alla luce delle osservazioni fatte l’età della tecnica, o meglio siamo convinti di vivere in
un periodo storico in cui la tecnica è uno strumento del nostro vivere
quotidiano.
“[…]noi siamo dentro la tecnica e siamo parte di essa e della sua evoluzione nell’assuefazione in cui utilizziamo strumenti tecnici e tecnologici
rendono il nostro vivere e, il nostro lavoro quotidiano immerso nella cultura tecnica. Non possiamo prescindere da essa.“8
Disegniamo al computer i nostri progetti, gestiamo le informazioni via
internet, costruiamo scegliendo la tecnologia più adatta, ma non riusciamo a prescindere da esse. Qualsiasi diverso modo di affrontare il
progetto diventerebbe improponibile rispetto all’epoca nella quale stiamo vivendo. In questa ingerenza della tecnica siamo costretti a rivedere l’intera, nostra, impostazione antropologica e soprattutto viviamo nel
binomio uomo-tecnica.
“Il suo successo e la sua forza stanno nella sua estrema funzionalità che
risponde benissimo con le necessità umane.”9
La tecnica infatti non tende a uno scopo, non promuove un senso, non
apre scenari di salvezza, non redime, non svela la verità: “la tecnica
funziona. […] La tecnica non è neutra, perché crea un mondo con determinate caratteristiche che non possiamo evitare di abitare e, abitando, contrarre abitudini che ci trasformano ineluttabilmente. Per questo
abitiamo la tecnica irrimediabilmente e senza scelta. Questo è il nostro
destino di occidentali avanzati, e coloro che, pur abitandolo, pensano
di rintracciare un’essenza dell’uomo al di là del condizionamento tecnico, sono semplicemente degli inconsapevoli.
[…] Con il termine tecnica intendiamo sia l’universo dei mezzi (le tecnologie ) che nel loro insieme compongono l’apparato tecnico sia la
razionalità che presiede al loro impiego in termini di funzionalità.
La tecnica è nata non come espressione dello spirito ma come rimedio
alla insufficienza biologica dell’uomo. “10
Esiste inoltre un’aspetto della tecnica riconducibile all’arte; tuttavia la
discussione tra arte e tecnica risulta complicata e difficile da sintetizzare
in una definizione univoca: la tecnica può essere intesa come atto artistico di creazione per mezzo della trasformazione di elementi esistenti
in un qualcos’altro; “[…] se nella sintesi di funzione, di meccanica, di
6
7
8
9
10
Ibidem
Umberto Galimberti, Psiche e Tecné. L’uomo nell’età della Tecnica, Feltrinelli,
Milano, 1999, p. 33
Ibidem
Ibidem
1
2
3
fig.1 Operai all’opera per il montaggio del
Cristal Palace di Londra ,1851
fig. 2, Incisione, delle fasi di montaggio del
Cristal Palace a Londra, 1851
fig. 3, Paxton, studio sulla foglia Victoria regia, traduzione strutturale della configurazione geometrica nella copertura del Cristal
Palace. Nel 1837, costrui in proposito una
grande serra a Chatsworth, per ospitare proprio la specie vegetale della Victoria Regia.
fig. 4, Cristal Palace, foto della copertura,
1851
4
materiale e di rendimento, si vede qualcosa di più del puro razionalismo,
e si scoprono qualità che vanno oltre l’applicazione pratica, cade ogni
discriminazione fra opera funzionale e opera d’arte e non resta che una
sola norma di valutazione: il concetto di perfezione.”11
Posto che il rapporto Tecnica/Uomo è ambiguo, vedremo nei successivi
capitoli come la tecnica assuma un ruolo controverso fino a subordinare
anche le esigenze dell’uomo.
“[…] Ma la tecnica da strumento dell’uomo nelle mani dell’uomo per
dominare la natura, diventa l’ambiente dell’uomo, ciò che lo circonda
e lo costituisce secondo le regole di quella razionalità che, misurandosi
sui criteri della funzionalità e dell’efficienza non esita a subordinare le
esigenze dell’apparato tecnico le stesse esigenze dell’uomo.”12
E così le tecniche, diventano esse stesse linguaggio e espressione architettonica non più finalizzata ad una ricerca libera, ma a una ricerca
focalizzata sull’espressione delle tecniche stesse.
“[…] Finché la strumentazione tecnica…esprimeva la soddisfazione
degli umani bisogni, la tecnica era un semplice mezzo il cui significato era interamente assorbito dal fine, ma quando la tecnica aumenta
quantitativamente al punto da rendersi disponibile per la realizzazione
di qualsiasi fine, allora muta qualitativamente lo scenario, perché non
è più il fine a condizionare la rappresentazione, la ricerca, l’acquisizione di mezzi tecnici, ma sarà la cresciuta disponibilità dei mezzi tecnici
a dispiegare il ventaglio di qualsivoglia fine che per loro tramite può
essere raggiunto. Così la tecnica da mezzo diventa fine, non perché
la tecnica si proponga qualcosa, ma perché tutti gli scopi e i fini che
gli uomini si propongono non si lasciano raggiungere se non attraverso
la mediazione tecnica.”13 Questo comporta l’acquisizione concreta e
involontaria di una realtà che pone l’uomo rispetto al mezzo tecnico
e alla tecnica stessa in forma totalmente nuova. Se il mezzo tecnico è
la condizione necessaria per realizzare qualsiasi fine che non può esser
raggiunto prescindendo dal mezzo tecnico, il conseguimento del mezzo
diventa il vero fine che tutto subordina a sé.
Basti pensare nel campo dell’Architettura come dal concetto Rinascimentale di fabbrica (il luogo in cui le materie prime erano elaborate sul
luogo per la costruzione) siamo passati al concetto di cantiere (il luogo
nel quale si assemblano elementi finiti o prestabiliti e in cui si organizza
principalmente un lavoro di assemblaggio in un tempo brevissimo e in
grado di azzerare il tempo dell’uomo che elabora manualmente la materia prima in loco).
Un primo esempio di questa progressione culturale individua fra le prime
sperimentazioni il palazzo per la grande esposizione di Londra del 1851,
anno in cui Joseph Paxton partecipò alla gara per la sua costruzione.
Il tema del concorso era la costruzione di uno spazio dedicato alla rassegna mondiale delle conquiste della scienza e della tecnica. Il suo progetto non poteva che essere una rappresentazione dell’innovazione
11
12
13
Konrad Wachsman, Una svolta nelle costruzioni, op. cit., p. 46.
Umberto Galimberti, Psiche e Tecne, op. cit., p. 43.
Ivi, p. 64.
1
2
3
fig.1 Grahm Bell, schizzo ideativo della struttura continua, accezione a cui solo oggi siamo abituati a intendere.
fig. 2, Rifugio usato da Grarham Bell costruito sul principio scalare del tetraedro
fig. 3, Graham Bell alla fine del
XIX secolo
fig. 4, Konrad Wachsman, Applicazione costruttiva degli elementi tetraedrici prefabbricati eseguita da nel, 1930
4
tecnica attraverso la costruzione. L’opera era frutto dell’uso dei nuovi
materiali da costruzione: ferro e vetro.
L’intero progetto consisteva in una descrizione esatta delle singole parti
costruttive, del metodo di produzione, del tipo di montaggio, e del tempo necessario per la loro costruzione. La proposta da lui presentata non
presupponeva la costruzione di una metodologia, bensì la realizzazione
di un processo, un susseguirsi di azioni che conducevano alla perfetta
costruzione dell’insieme. La base teorica era l’individuazione di elementi
standardizzati: fondazione, appoggio, tamponamento.
Ciò che maggiormente colpisce è la capacità di gestire le forme geometriche desunte dalla natura (organiche) e di organizzarle in funzione
della capacità strutturale, aspetto che emerge nelle parti più nascoste
della copertura. Una sorta di foglie di palma si poggiamo a formare una
variazione geometrica regolare ed organica, dimostrazione che attraverso il rigore geometrico vi era la capacità di gestire a grande scala
anche l’aspetto della variazione.
Il Palazzo di Cristallo rappresenta, anche secondo studiosi come lo
stesso Geidion e Wachsman, la svolta evidente dopo la quale la storia
dell’edilizia ha preso un’altra via, orientata al mondo della produzione
di elementi assemblabili e in stretto legame con il mondo della produzione industriale. Attraverso la progettazione e la produzione di singoli
elementi assemblabili e normalizzati secondo lo standard, si giunge alla
costruzione di strutture complesse, in cui tecnologia e qualità sono dettate dalla materia prima di costruzione. Alla base però vi è una grande
capacità di gestire la forma, ricondotta alle regole dei campi di forza,
sulle quali tali regole agiscono, ottenendo come risultante la forma perfetta, divenendo esse stesse “diagramma delle forze”.14
Questione evidente soprattutto rispetto alle considerazioni fatte in merito al progetto di Paxton. Questa dimensione psicologica di lettura della
realtà, legata all’uso della scienza e della tecnica ha fortemente condizionato anche la capacità di controllare i sistemi di prefigurazione delle
singole componenti dell’oggetto prodotto.
Un esempio nel campo delle strutture è dato dalla sintesi geometrica
di Grahm Bell attraverso lo sviluppo di sistemi portanti leggeri, di grande
luce, assemblabili. Egli, prefigurando il sistema a telaio ottenuto dalla
scomposizione geometria delle forze interne alla struttura, arriva a visualizzare una sorta di maglia infinita di tetraedri.
Il tetraedro non è altro che lo sviluppo tridimensionale del triangolo equilatero, all’interno del quale tutte le forze equidistanti sono in grado di
annullarsi.
L’invenzione di sistemi a telaio tetraedrico apporta un grande influsso
nella formulazione di elementi prefabbricati leggeri nel campo delle costruzioni, tutt’oggi in uso per la costruzioni di coperture di grande luce.
Lo sviluppo formale delle celle costituisce una delle invenzioni più importanti di Gharam Bell. La fase prefigurativa nasce da un processo logico
14
Cfr. D’Arcy Thomson, Crescita e forma, Bollati Boringhieri, Torino, 2006
fig. Holabrid e Roche, edificio della Tacoma
a Chiacago, 1888. Fu la prima facciata a
che venne applicata liberamente dalla
struttura, fu il precursore del principio del
curtain wall.
1
autocosciente15 di astrazione formale, da un lato legato alle qualità del
materiale utilizzato e, dall’altro, da un’intuizione personale che nasce
da visualizzazioni logico geometriche soprattutto legate all’applicazione dello spazio vettoriale Cartesiano (x,y,z).
Il principio di prodotto scalare standard induce in questo modo all’astrazione della struttura, che rimane sempre verificata a qualsiasi scala.
Le sperimentazioni di materiali innovativi e la loro applicabilità nelle costruzioni porterà allo sviluppo delle strutture a telaio in cemento armato
viste nelle sperimentazioni francesi soprattutto verso la fine del Diciannovesimo secolo.
Tra i primi esempi troviamo gli edifici di Auguste Perret, la cui tecnica del
calcestruzzo armato si sviluppa concettualmente in maniera del tutto
simile alle costruzioni a telaio in legno, sulla radice tecnica delle case
del nord Europa. Il risultato è la distinzione tra due entità fondamentali:
la struttura portante e i setti di riempimento. Vedremo poi come queste
tecniche costruttive saranno alla base delle sperimentazioni teoriche
del giovane Le Corbusier.16
Contemporaneamente alle sperimentazioni Europee di fine Ottocento,
in America la posizione verso le nuove tecniche costruttive, e in particolar modo verso l’evoluzione delle costruzioni in acciaio, conosceva
le sue più grandi sperimentazioni. Le caratteristiche del materiale consentivano di conciliare lo sposalizio tra tempo, denaro ed efficienza, in
accordo con la spinta immobiliare dell’epoca. Assistiamo al formarsi di
un vero e proprio linguaggio storicamente definito come la scuola di
Chicago. Caratteristica principale era la sperimentazione della costruzione a telaio, attraverso la formulazione di specifici linguaggi architettonici. Da un lato, l’esplicitazione delle ripartizioni strutturali dell’edificio
assumono un ruolo figurativo (come nel caso dei magazzini Carson).
Dall’altro le partiture di facciata si svolgono attraverso linguaggi che
reinterpretano una partitura rinascimentale: fiestra, timpano, cornice,
basamento (come nel caso della facciata dell’edificio Stock Exchange,
Chicago).
La struttura determinava, per sua forza ripartitrice, una omogeneità silente e un rigore estetico classico e austero.
La separazione tra struttura e tamponamento permise di liberarsi dal
vincolo strutturale attraverso l’uso del Curtain – Wall17 che ebbe origine
15
Il concetto di autocoscienza nel processo progettuale verrà in seguito approfondito
nel capitolo “definizione della natura processuale nel progetto di architettura”. Sulla base degli
studi svolti da Christopher Alexander nel suo libro Note sulla sintesi della forma.
16
Si fa riferimento alla al sistema MAS (Maison montée à sec) che Le Corbusier formula
alla fine del 1938, nell’incessante esigenza di alloggi a seguito delle conseguenze distruttive
della seconda guerra mondiale.
Per anni studia la costruzione leggera, prefabbricata standard, che lui chiamerà sistema MAS.
Il sistema prevedeva la prefabbricazione del sistema costruttivo composto da travi e pilastri
prefabbricati e montati a secco e che troverà solo dopo la guerra una sua applicazione.
(Cfr. Francesco Tentori, Vita e opere di Le Corbusier, Laterza, Bari, 2007)
17
Il Curtain Wall o facciata continua, significa letteralmente “muro di tenda”, o “muro
di sipario”, è una particolare tipologia di involucro continuo che garantisce, di per sé o congiuntamente all’opera edilizia, tutte le funzioni normali di una parete esterna, che non porta
altro carico che il peso proprio e le spinte indotte dal vento. La struttura si fissa sul telaio portante
della costruzione, nel caso dei grattacieli americani in acciaio essa si ancora sulle travi e sul
solaio. La caratteristica principale è la sua velocità di costruzione, in quanto il Curtain Wall è
concepito come elemento standard assemblabile, e strutturalmente autonomo.
proprio in queste architetture.
Le opere di William le Baron Jenny, Holabrid e Roche, Burnham e Root,
Adler e Sullivan determinano influssi ancora presenti nei dispositivi concettuali che determinano l’apparecchiatura delle nostre fabbriche contemporanee. Esse rendono evidenti gli impulsi che hanno dato origine
a un modo di intendere la progettazione e l’architettura come paradigma della produzione industriale, e del progresso scientifico e tecnico.
Possiamo già anticipare l’individuazione di due atteggiamenti progettuali, uno ascrivibile al carattere europeo e uno a quello americano,
due realtà in cui presupposti fondati su medesimi principi avranno esiti
completamente differenti, che approfondiremo nel corso di questa ricerca.
fig. Hans Finster, Eletric light bulb, Ftografia
1928
Questioni di Standard
“[…] capisci che intendo le linee rette e i cerchi, e il piano o
le figure solide che derivano da essi per mezzo di assi, righe e
goniometri; poiché io affermo queste essere […] eterne e belle
in assoluto.”1
Platone, Filebo
“[…] il fenomeno architettonico soffre, come la maggior parte
dei prodotti della nostra epoca, di una generalizzazione dovuta
a una estesa e rapida quantificazione che non riesce a qualificarsi. Si creano degli abiti fatti che, per potersi adattare a misure di uomini standardizzati, non si adattano alla personalità di
nessun individuo.”2
Ernesto Nathan Rogers
Prima di addentrarci nell’analisi delle questioni legate allo standard e
alle sue fenomenologie in campo architettonico, risulta utile definirne il
significato, in quanto nella parola stessa risiedono più accezioni.
La parola standard deriva senza adattamenti dall’inglese che, a sua
volta, ha adottato il termine francese estandart3.
Le prime attestazioni in inglese, risalenti al 1154, hanno il significato di
“stendardo, insegna”, e successivamente “esemplare di misura” (1429).
Per quanto riguarda l’italiano, standard col significato di ‘modello’ compare alla fine dell’Ottocento, al fine di indicare la qualità di una merce.
La questione linguistica però e molto più complessa, la parola standard
infatti può assumere varie declinazioni a seconda dell’uso che se ne fa
e delle variabili nella quale si colloca (luogo, tempo, ambito d’uso ecc.)
e che caratterizza di fatto la sua accezione.
In campo progettuale assume diversi significati come “standard urbanistici”, norme di dimensionamento secondo cui sviluppare un piano di
lottizzazione, o “abitazione standard” (un alloggio ripetibile secondo il
concetto di tipo), o ancora la “costruzione standard” (la progettazione
di un sistema costruttivo in grado di utilizzare la tecnica della produzione
industriale ai fini della costruzione per elementi standardizzati).
Il concetto di standard inoltre si lega al concetto di seriale e normalizzato, quindi al concetto di riproducibilità e di misura universale.
Nelle varie accezioni che esso può assumere definisce una norma o
serie di caratteristiche atte a uniformare quantitativamente, dimensionalmente e qualitativamente un dato o un prodotto, permettendo di
controllare processi complessi.
A partire dal Movimento Moderno il concetto di standard assume una
definizione legata alla progettazione e alla composizione di elementi
1
Enrico V. Maltese, a cura di, Platone tutte le opere. Filebo, Grandi tascabili Newton
Milano 1997, p. 302
2
Cesare De Seta, a cura di, Ernesto Nathan Rogers - Gli elementi del fenomeno architetonico, Christian Mariotti Edizioni, 2008, p. 57
3
Cfr. Voce Standard in GRADIT. Grande Dizionario Italiano dell’Uso, diretto da Tullio De
Mauro, Torino, UTET, 1999-2000 con aggiornamento del 2004
1
2
3
fig. 1 Copertina della pubblicazione ufficiale
dei CIAM II, Francoforte 1929.
fig. 2 CIAM II, sala della mostra dei lavori.
fig. 3 e 4 CIAM II, configurazione alloggi minimi.
fig. 5 Partecipanti dei CIAM di La Sarraz del
1928.
5
4
figurativi e funzionali. Non a caso per standard possiamo intendere sia
la parte unitaria di un sistema costruttivo, per esempio assemblabile, sia
nella sua concezione logica, la misura per definire l’unità minima stessa
o la ricerca di un valore funzionale e vitale minimo. Questo tipo d’indagine viene sviluppato tra il 1929 e il 1930, all’interno dei congressi Internazionali per l’Architettura Moderna (CIAM), finalizzati allo sviluppo del
modello teorico basato sull’Existenz minimum4 (L’abitazione per il minimo vitale).
L’esperienza dei CIAM era indirizzata allo sviluppo di unità abitative minime per le masse operaie alle quali bisognava garantire alloggi adeguati
nelle grandi città.5
La metodologia attuata era indirizzata in primis alla risoluzione del problema dell’abitare, concepito secondo i principi di razionalità e funzionalità, affrontando il problema attraverso un metodo scientifico, oggettivo e razionale, in risposta alla questione produttiva.
Un concetto di standard legato, da un lato, alla logica industriale e,
dall’altro, al rispetto delle esigenze di salubrità e igiene degli alloggi.
Lo studio, era quindi condotto all’individuazione di standard qualitativi
legati all’uomo e al suo benessere di vita. La città così come l’abitazione, dovevano dare risposta alle necessità dell’uomo rispetto alla vita di
relazione e alla qualità del tempo libero. 6 La prefabbricazione doveva
4
tema che si concretizza nell’incontro dei CIAM tenutosi a Francoforte nel 1929
5
Mumford, descrivendo in “la cultura della città” l’insensata situazione della città industriale, dichiara che i due elementi principali che descrivevano la città urbana di fine Ottocento
furono la fabbrica e il tugurio. “La fabbrica divenne il nucleo del nuovo organismo urbano. Ogni
altro dettagli della vita quotidiana fu subordinata ad essa. [...] Per quanto riguarda il problema
delle abitazioni, il dilemma era semplice. Nelle città industriali che si sviluppavano su fondazioni più antiche, gli operai dapprima furono alloggiati trasformando vecchie case unifamiliari
in caserme d’affitto. In queste case adattate, ogni singola stanza dava ora rifugio a un’intera
famiglia. Da Dublino e Glasgow a Bombay lo standard di un vano per famiglia durò a lungo.”
Proseguendo nel suo discorso sulla questione abitativa degli operai, Mumford, introduce la questione legata all’igiene relativa alle nuove case operaie. “Consideriamo più attentamente queste nuove abitazioni delle classi operaie. Ogni paese, ogni regione, aveva i suoi tipi particolari:
grandi case d’affitto a Glasgow, Edimburgo, Parigi, Berlino, Amburgo; o edifici a due piani con
quattro, cinque, o talvolta sei stanza a Londra [...]. Però tutte hanno certe caratteristiche comuni. Gli isolati, uno dopo l’altro, ripetono la stessa formazione; ci sono le stesse tetre strade, gli
stessi squallidi vicoli, la stessa mancanza di giardini, e di spazi aperti per il giuoco dei ragazzi, la
stessa mancanza di coerenza e di individualità rispetto all’ambiente locale. [...] La luce interna
insufficiente; manca qualunque tentativo di orientare il tracciato delle strade a seconda dell’insolazione e dei venti”. Dobbiamo tenere in considerazione che in quel periodo era diffuso il rachitismo . “[...] Obbiettivo della ricerca sul minino vitale era indirizzata per migliorare le condizioni
delle abitazioni operaie.” Mumford continua la sua analisi definendo l’indirizzo preso dagli studi
condotti negli anni Venti del Novecento, in merito all’Existenz Minimum, “[...] elaborò un minimo
di vita [...] un minimo di istruzione; un minimo di riposo; un minimo di pulizia; un minimo di alloggio.
Un drappo smorto di qualità negative aduggiò le migliorie urbane del periodo, a cui fu massimo
vanto la diffusione di queste condizioni minime e di questi guadagni negativi. [...] un minimo di
vita: sottonutrizione in ogni senso”. (Lewis Mumford, La cultura della città, Edizioni Di Comunità,
Milano, 1954, pp. 153-173).
6
Nel numero 6 e 7 del 1932 della rivista A.C. Documentos de Actividad Contamporànea, rivista creata dal gruppo Catalano del GATEPAC (Grupo de Arcquitectura y técnico
Españoles para el Progreso e la Arquitectura Contemporanea), affronta, nell’ottica del miglioramento della qualità di vita delle grandi masse, la questione dell’abitazione minima e dell’organizzazione del tempo libero. Nel numero 6, si descrive, cosa si intende per alloggio minimo.
“Ogni individuo ha diritto ad una casa; questa deve soddisfare le sue necessità materiali. Ogni
individuo ha bisogno di: aria; igene; un alloggio con una pianta organica che non complichi la
sua vita dentro l’abitazione; essere riparato dagli agenti esterni. […] Questo insieme di elementi
definisce l’alloggio minimo cui ha diritto ogni individuo.” Segue poi nel numero 7 della rivista
la questione legata al tempo libero delle grandi masse. “Lo sport, la vita sana all’aria aperta,
il perfetto equilibrio fisico, costituiscono oggi una necessità inalienabile per le masse. […] E urgente creare le grandi zone di riposo di cui sono carenti le città.” (Pietro Canella, a cura di, A.C.
Documentos de Arcquitectura de Actividad Contemporànea 1931-1937, Dedalo Edizioni, Bari,
1978, p. 10-20)
1
2
fig. 1Estratto dalla rivista A.C. Documentos
de Arquitectura contemporanea, numero
dedicato alla salubrità degli ambienti scolastici e alla nuova scolarizzazione, 1929
fig. 2 e 3 Estratto della rivista A.C. Documentos de Arquitectura contemporanea, nueri
5 e 6 sulla questione delle abitazioni per la
classe operaia e l’allogio minimo, 1932
3
assumere un valore strumentale in risposta ai nuovi valori funzionali, mentre lo standard doveva acquisire il suo carattere etico e biologico, e non
solamente legato alle logiche produttive della costruzione.
“[…]nei congressi dei CIAM di Francoforte e Bruxelles, […] fu compiuto
uno sforzo maggiore da parte degli architetti innovatori per affrontare e
risolvere il divario qualità / quantità nelle abitazioni delle grandi città.”7
Nel Movimento Moderno, la ricerca di un dato universale nel campo
della progettazione e della costruzione, definito standard, inizia così a
porsi come dato risolutivo di questioni minime qualitative legate alla funzione e come elemento di misura. Come nell’industria e nelle produzioni
ingegneristiche, anche in architettura lo standard assume una sua precisa declinazione.
L’industria nella creazione di un prodotto cerca nell’oggetto una legge
ripetibile e sempre valida, in grado di rispondere a tutte le necessità
d’uso e a quelle poste dal materiale.
Parallelamente in architettura, a partire proprio dalla sua componente
funzionale, si è sviluppata una ricerca di leggi e forme di linguaggio valide e universali. Un aspetto fondamentale è costituito dal sistema con il
quale si imposta il controllo di ogni scelta indirizzata alla definizione dello
spazio minimo: lo spazio viene determinato dal concetto di funzionalità,
secondo una serie di dispositivi atti allo sviluppo e al controllo della forma dello spazio e della sua appropriatezza.
Il sistema pre concettuale e pre formale che viene introdotto si sviluppa
attraverso quello che, in senso generale, possiamo definire programma
e più propriamente programma funzionale dell’organismo architettonico. Il programma funzionale diviene lo strumento con il quale governare
lo sviluppo dell’edificio e da cui determinare la sua spazialità e la sua forma, al fine di garantirne la funzionalità. Dobbiamo però fare attenzione,
“[…] funzionalità intesa come banale utilitarismo ed ancor più banale
economicità, significherebbe la morte dell’architettura. […] La funzionalità, intesa però nel senso che l’intero edificio, in tutte le sue parti, in tutti
i suoi spazi ed infine anche nella sua veste esterna, sia pieno di vitalità,
privo di contraddizioni, fornisce anche all’architettura nuovi impulsi, la
rinnova come arte e quindi come estetica. […] L’architetto vede il suo
compito non più nell’edificio ma nel programma dello stesso.”8
Un esempio è rappresentato dalle ricerche svolte da Alexander Klein9
sulla questione del’alloggio minimo. Klein partendo dagli studi condotti sulle funzioni minime del vivere quotidiano (cucinare, mangiare, dormire, riposarsi, lavorare, ecc…), e delle possibili traiettorie generate dal
muoversi del corpo umano all’interno dell’alloggio, ne studia la dimensione e la distribuzione in rapporto all’unico spazio fisica possibile, quello
dell’uomo. Con questa operazione Klein va oltre la questione funzionale, definendo la struttura degli spazi della casa in funzione del benessere
7
Carlo Aymonino, L’abitazione razionale - atti del congresso CIAM 1929-30,
Marsilio Editore,Padova, 1971, p. 89
8
Ibidem
9
Alexander Klein, tra il 1929 e il 1933, fu uno degli esponenti e degli studiosi dell’exintez
minimum, la sua produzione teorica fu significativa per gli stessi svolgimenti del Movimento Moderno. (Cfr. Matilde Baffa Rivolta e Augusto Rossari, a cura di, Klein Alexander. Lo studio delle
piante e la progettazione degli spazi negli alloggi minimi : scritti e progetti dal 1906 al 1957, Mazzotta, Milano, 1975)
1
2
fig. 1, 2 e 3 Alexander Klein, metodo di lavoro per l’indivuzaione di tipologie residenziali
razionali, tratto da: Alexander Klein Lo studio
dellle piante e la progettazione degli spazi
negli alloggi minimi scritti e progetti dal 1906
al 1957, a cura di, Matilde Baffa e Augusto
Rossari, Gabriele Mazzotta Editore 19755-57.
Lo studio dimostra la procedura di Klein di
analizzare le diverse combinazoni funzionali
di ogni singolo alloggio.
3
psicologico. Per Klein i punti di fondamentale importanza, sono, in ogni
alloggio, la tranquillità, l’intimità, il riposo e il tempo libero. La casa diventa rifugio dal mondo esterno. Il concetto di minimo si declina in minimo
biologico di aria, luce, spazio necessario per la vita.
Utilizzando la pianta come fonte di controllo del progetto, Klein ipotizza
un modo concreto di intendere l’architettura come sintesi di progetto e
ideazione, “per Klein il progetto è inteso come costante indagine degli
elementi che concorrono alla composizione: ma esso, come opera realizzata o soltanto ideata, rappresenta altresì, rispetto a tale indagine, la
sperimentazione di una determinata angolazione di essa e anche quindi il riflesso di un interesse particolare, di una scelta più complessa. In
questo senso cioè il progetto è un mezzo proprio della conoscenza e,
come tale, esso ha una sua precisa finalità.”10
“[…] L’aspetto fondamentale di tale processo è dato dal carattere
analitico dell’esemplificazione, dove l’analiticità della descrizione,
comparazione e classificazione degli esempi, ne mette in evidenza:
da un lato la particolarità in quanto fattori singolari, e dall’altro il senso
specifico che la reciproca comparazione attribuisce loro. La successione logica secondo cui sono ordinati gli esempi definiti come fatti analitici conserva infatti ancora carattere analitico, mostrando in questo
modo la generalizzazione di un processo per scelte successive, processo che rappresenta la costruzione stessa dell’architettura intesa come
progetto.”11
Per Klein, quindi, l’alloggio deve essere in relazione attiva ed organica
con l’uomo che lo abita, in questo senso la misura minima, lo standard
è ricondotto ad un accezione che và al di là della dimensione meccanico industriale, e oltre al semplice concetto di prodotto seriale. La
declinazione scientifico matematica che marca la sua analisi vincola
comunque i risultati a un tipo di risoluzioni determinista nonostante la
volontà di considerare l’abitazione funzione dell’uomo.
Le Corbusier riesce più di altri a scardinare questa volontà determinista,
partendo da un’accezione dello standard come misura, regola del tutto tra uomo e meccanica.
Per Le Corbusier al centro della definizione tra uomo e meccanica risiede la misura o meglio il modulo universale. Esso si formula attraverso
la costruzione di un griglia di proporzioni che combina le misure della
“Section d’Or”, con la statura umana che chiama Modulor.
Il Modulor è una gamma di misure armoniose per soddisfare la
dimensione umana, applicabile universalmente all’architettura12, basato sulla necessità di ricondurre tutto ad un’unica ratio. La misura umana
viene così posta al centro del progetto, attraverso il principio di scala
dimensionale.
10
Giorgio Grassi, La costruzione logica dell’architettura, Marsilio Editori, Padova, 1967, p. 80
11
Maura Salvini, Manualistica e abitazione nel”razionalismo tedesco. Das Einfamilienhaus Di
Alexander Klein, in Parametro n°167, 1988, p. 78
12
Cfr. Jaques Sbriglio, Le Corbusier l’Unitè d’Habitation del Marseille, Parnthèses, 1992, p. 19
fig. 1 Alexander Klein, metodo di lavoro per
l’indivuzaione di tipologie residenziali razionali, tratto da: Alexander Klein Lo studio
dellle piante e la progettazione degli spazi
negli alloggi minimi scritti e progetti dal 1906
al 1957, a cura di, Matilde Baffa e Augusto
Rossari, Gabriele Mazzotta Editore 19755-57.
Sviluppo di quartieri residanziali per la Rechdforsxhungsegesellschaft.
Gli studi svolti da Le Corbusier sul tema dell’Unité rappresentano, in questo senso, uno degli esempi di applicazione del Modulor come elemento universale attraverso la quale regolare il
mondo costruito.
“L’abitazione è un fenomeno biologico.[…] Si tratta di praticare
dei metodi nuovi e semplici che diano la possibilità di elaborare
i progetti necessari e che si prestino naturalmente, per la loro
realizzazione, all’industrializzazione e alla taylorizzazione.” 13
“[…] La vita domestica consiste in un susseguirsi regolare di funzioni, costituisce un fenomeno di circolazione. La circolazione
esatta, economica, rapida, è il perno dell’architettura contemporanea. […] Per ogni funzione occorre una “capacità minima
tipo”, standard, necessaria e sufficiente (scala umana). Il susseguirsi di queste funzioni è di ordine biologico piuttosto che geometrico. […] La standardizzazione è il metodo attraverso cui
l’industria può far proprio l’oggetto, produrlo a basso costo e in
serie. Le funzioni domestiche hanno questo carattere innegabile: si realizzano su piani orizzontali che sono i pavimenti; hanno
bisogno assolutamente dell’afflusso di luce e questa non può
che essere fornita di giorno dalle facciate: Le facciate, sono
quindi distributrici di luce. I tramezzi che limitano la serie delle
superfici […]non hanno alcun rapporto diretto con i muri, sono
delle semplici membrane isolanti oppure no. La facciata distribuisce la luce, non può per sua definizione sostenere i pavimenti
della casa. I pavimenti saranno portati da pilastri indipendentemente dalla facciata. A questo punto fatta la classificazione:
pavimenti e facciate luce, il problema si pone così senza ambiguità: mettere a disposizione dell’architetto delle superfici di pavimento libero coperte da superfici di soffitto libero. Su queste
superfici disponibili l’architetto sistemerà, secondo la richiesta, i
locali (o vani) collegati tra loro da una circolazione razionale.”14
Queste parole manifesto ben illustrano la posizione innovatrice
di Le Corbusier, indirizzata verso la costruzione di una nuova sintassi universale in grado di mettere in comunicazione modernità, industria e uomo. La standardizzazione viene interpretata
come l’unica via di salvezza verso il futuro. L’architettura si deve
adeguare riconsiderando se stessa nelle basi stesse della costruzione.
“La struttura sarà standard; gli elementi della casa, gli oggetti
di arredamento saranno standard, presi da una serie di diversi
modelli elaborati su una esatta scala umana.”15
Per Le Corbusier, la questione dello standard e della scala costituiscono il centro della ricerca da cui partire per la formulazione
13
Le Corbusiere Pierre Jenneret, Analisi degli elementi fondamentali del problema della
“Maison Minimum”, 1929, in Carlo Aymonino, L’Abitazione razionale, op. cit., p.113
14
Ivi, pag. 114
15
Ivi, pag. 115
di una nuova sintassi linguistica in campo architettonico. Come
vedremo più avanti, tale ricerca sarà fortemente influenzata da
una sorta di estetica della macchina. Lo stesso Le Corbusier, formulando i cinque punti dell’architettura moderna, costruirà una
sorta di vero e proprio sistema processuale fatto di elementi strumentali di base, il cui assemblaggio è in rapporto diretto anche
con le sue esperienze in campo pittorico. L’edificio è frutto di un
programma funzionale e dell’assemblaggio di elementi architettonico linguistici posizionati a seconda dello scopo.
“Bisogna puntare alla standardizzazione per affrontare il problema della perfezione. Il Partenone è un prodotto di selezione applicato a uno standard. L’architettura agisce sugli standard. Gli
standard sono un fatto di logica, di analisi, di studio scrupoloso;
si stabiliscono a partire da un problema ben posto. La sperimentazione fissa definitivamente lo standard.”16 - Le Corbusier - Occhi che non vedono … III Le Automobili
Da questo enunciato di Le Corbusier possiamo trarre delle definizioni della nozione di standard, riferita alla progettazione architettonica come ricerca della perfezione.
Possiamo anticipare che la definizione di standard in architettura si configura come sistema processuale e non metodologico;
ciò che ora ci interessa è mettere in evidenza come il periodo
culturale del primo novecento sia la base per lo sviluppo di un
modo di accedere al progetto d’architettura totalmente innovativo e vicino ai giorni nostri.
Proseguendo nella lettura della frase di Le Corbusier, l’autore
rimarca che l’architettura agisce sugli standard, ad indicare come l’architettura sia scomponibile in elementi costitutivi
(muro, colonna, tetto, etc.) parte della composizione.
A questo si aggiunge il contesto nel quale si opera, e quindi la
ricerca di relazioni.
Per chiarire questo punto possiamo prendere a esempio la matematica possibilista, che lavora per processi di calcolo logici
attraverso l’utilizzo di due fattori combinatori, 0 e 1. Essi rappresentano un valore assoluto, e assumano di volta in volta diversi
significati pur mantenendo la loro valenza; da tale sistema logico si stabiliscono infinite formulazioni e risultanti, infinite relazioni.
Basti pensare ai risultati ottenuti nell’applicazione informatica.
Così, nel caso della progettazione della forma, ridotta alla sintesi dei suoi elementi geometrici e associata al contesto nel quale
opera, produrrà via via infinite possibilità associative e formali.
Questo gioco logico porta alla completa libertà, in astratto, dello sviluppo compositivo.
16
p.103.
Le Corbusier, Verso una architettura, a cura di P. Cerri e P. Nicolin, Longanesi & C.,
1
2
fig. 1 Copertina del libro, Vers une Architeture, Le Corbusier
fig. 2 il transatlantico Aquitania comparato a Notré-Dame di Parigi, alla Torre SaintJaques, a l’Arc de Triomphe e a L’opéra
Garnier. Montaggio pubblicato su l’Esprit
Noveau.
fig. 3 pagine 7 e pagina 107 di ers une Architeture, Le Corbusier
3
L’unica controindicazione è la capacità di attribuire poi a tale associazione un significato che sia frutto di un dato oggettivo, seppur comandato dall’abilità estetica dell’architetto e dalla sua capacità d’intuizione, che porta in realtà ad un secondario sistema di verificazione del
processo progettuale da parte del progettista. Un esempio è rappresentato dall’invenzione del Modulor, che è misura del tutto e al quale tutto
si rapporta, è il minimo, è la scala umana, ma soprattutto è un sistema
generato dallo stesso progettista per il controllo e l’auto verificazione del
suo processo progettuale.
La questione della ricerca dello standard come unità strumentale possiede un legame anche con il mondo della produzione, che nel materiale ricerca le sue potenzialità al fine del raggiungimento del miglior
risultato produttivo. L’industria trova quindi una sua specifica interpretazione dello standard che unito alle necessità estetiche dell’architettura conduce verso quello che storicamente viene definito l’industrial
design. Si introducono quindi prodotti e materiali industriali nel campo
della ricerca estetica apportando all’oggetto di design un senso di unicità, anche se questo è frutto di una specifica serialità. Si pensi alla linea
di arredo standard progettata da Marcel Breuer nel 1928. I tubolari metallici saranno gli elementi di base per il disegno di una linea di arredi
standard per ufficio, che conservano nella loro espressività il linguaggio
e la forma del materiale di produzione industriale. Uno dei primi esempi
in architettura di questa declinazione linguistica verso l’indutrial design
è rappresentato dall’esperiena del Deutscher Werkbund17 del 1914 tenutosi a Colonia. Assistiamo in questa fase alla nascita di nuovi atteggiamenti in campo architettonico, e nel campo degli oggetti d’uso comune.18 Il padiglione per l’industria del vetro di Bruno Taut spicca come
simbolo di una evoluzione determinante. Taut riesce a mettere in atto un
fenomeno di traduzione tra architettura e prodotto industriale. L’architettura si manifesta attraverso un nuovo linguaggio riferito al prodotto
industriale, in questo caso il vetro e l’acciaio.
“… dove quest’ultimo con la sua cupola geodetica, compiva un passo
in avanti verso una nuova avventura strutturale e formale … “19
Forma e materiale si fondono in un unico linguaggio espressivo, interpretato e controllato attraverso il disegno geometrico.
Gli elementi romboidali a crescita variabile della cupola si definiscono
come elementi frutto della serie nella loro configurazione, ma singolari
nella loro scala.
17
L’Esposizione del Werkbund a Colonia, organizzata dal Deutscher Werkbund, si tenne
nel 1914 a Colonia in Germania. Nell’occasione si manifestò quella che possiamo identificare
come frattura ideologica che persisteva all’interno del Werkbund; da un lato l’accettazione
collettiva della Typisierung (tipo, secondo cui si riteneva indispensabile l’individuazione di tipi
per il raggiungimento di un infallibile buon gusto universalmente valido (cfr. Adrian Forty, Parole e edifici. Un vocabolario per l’architettura moderna, Pendragon, Bologna, 2005, p. 330)
dall’altro la kunstwollen (volontà di forma) che era l’espressione dell’autonomia progettuale
individuale. Da un lato Beherens e Gropius con la standardizzazione e dall’altro van de Velde e
Taut con l’individualismo della kunstwollen. (Cfr. Nerdinger W.; Speidel M , Bruno Taut 1880-1938,
Electa, Milano, 2001)
18
Cfr. K. Frampton, Storia dell’architettura moderna, Bologna, 1982, p. 110-128
19
Reyner Bhanam, tr. it. Architettura della prima età della macchina, op. cit. p. 97
fig. Linea di mobili stadard progettati al
Bauhaus da Marcel Breuer, 1928
Copertura, paramenti verticali e basamento concordano in un
atto architettonico fatto di luce e di colore.20
Il materiale diviene parte di un sistema processuale di definizione della forma attraverso gli strumenti della geometria che ne
permettono il controllo nell’atto costruttivo, ideativo e produttivo. Il materiale è al centro della scena, la geometria lo plasma.
Tali forme però non assumono un carattere univoco da idea a
costruzione, ma prendono forma man mano che si va formulando l’oggetto, come in un principio risolutivo.
In questo senso lo “[...] standard non ha nulla a che vedere con
i mezzi di produzione – l’utensile manuale o la macchina. Le nostre future case non saranno necessariamente uguali, irreggimentate, a causa della standardizzazione e della prefabbricazione: la naturale concorrenza sul libero mercato s’incaricherà
di assicurare la varietà differenziata delle parti componenti gli
edifici, allo stesso modo in cui oggi rinveniamo sul mercato una
ricca varietà di tipi di oggetti fatti a macchina, di uso quotidiano. Gli uomini non hanno esitato ad accettare forme standard, forme “tipo”, largamente riprodotte, nei periodi anteriori
alla civiltà industriale. Queste forme derivano dai loro mezzi di
produzione e dalla loro maniera di vivere. Rappresentavano la
composizione dei migliori contributi che molti individui avevano
portato alla soluzione di un problema.
Ma se non sono continuamente controllati e rinnovati i “tipi”
ristagnano.”21
Questa frase di Walter Gropius chiarisce la accezione base che
sta nel concetto di standard nella declinazione forma/funzione/
materiale. Esso non rappresenta di per sé uno strumento fisso
bensì una regola o una convenzione che permette lo sviluppo processuale e continuo nel rinnovamento dei così detti tipi.
Dove l’accezione tipo conserva in sé - usando le parole di Quatremère de Quincy – l’idea di un elemento che deve servire egli
stesso da regola al modello.22
Allo stesso tempo, inoltre, vengono recuperati i caratteri compositivi della classicità, non a caso il padiglione di Taut è a pianta circolare ma al contempo si propone nella sua espressione
costruttiva con tutti gli elementi della nuova architettura fatta
di vetro e d’acciaio.
L’acciaio prodotto dell’industria siderurgica entra a far parte con il suo antagonista, il cemento armato, della produzione architettonica. Sulla questione dei materiali da costruzione,
quindi, è necessario tener presente anche la funzione svolta dal
20
Cfr., AA. VV., Bruno Taut 1880 – 1938, Electa, Milano, 2004, p. 56
21
Walter Gropius, Scope of total Architecture, tr. Renato Pedio, Architettura Integrata,
il Saggiatore Economici, Milano, p. 99
22
Il riferimento sviluppato riguarda la dissertazione di Quatremère de Quincy in merito
al principio di unità e tipo. (Cfr. A.C. Quatremère de Quincy, Dizionario storico di Architettura, trad. di A. Mainardi, Mantova 1842-1844, voce “Unità”; riedizione a cura di:V.Farinati,
G.Teyssot, Venezia 1985, p. 27)
fig. 1 Bruno Taut, modellino del padiglione
del vetro
fig. 2 Bruno Taut, Progetto del padiglione
di vetro, 1914, Historisches Archiv der Stadt
Koln, Bauakte, Glashaus.
fig. 3 Bruno Taut, Veduta dell’esterno del padiglione del vetro al Werkbund di Colonia
del 1914, Historisches Archiv der Stadt Koln,
Bauakte, Glashaus.
1
3
2
calcestruzzo: il cemento armato e gli elementi prefabbricabili da esso
derivati costituiscono un importante elemento di variazione linguistica.
Lo stesso Mallet-Stevens nel 1925 scrive in un articolo in “Wendingen”23,
“Bruscamente tutto cambiò. Il cemento armato apparve rivoluzionando
i procedimenti di costruzione […] la scienza crea una nuova estetica, le
forme vengono profondamente modificate.”24
Queste forme profondamente modificate sono ciò che ci interessa
maggiormente. L’uso di tale materiale, infatti, era già presente da tempo, ma la sua rilettura in chiave formale - funzionale ha prodotto nuove
forme più vicine al concetto di quello che lo stesso Banham definisce
industrial design e verso cui tendono tutte le arti.
Si va così consolidando un nuovo rapporto tra arte, estetica, e linguaggi
della tecnica. L’una scende a compromesso con l’altra nel fine ultimo
di ottenere un’unica forma espressiva ricca di un nuovo linguaggio. La
nascita di un nuovo linguaggio è alla base di un nuovo modo di porsi
rispetto al mondo.
Il concetto di standard quindi assume rispetto a quanto abbiamo osservato un duplice significato. Da un lato, esso è uno strumento di misura
universale di auto verificazione definito dal soggetto che concepisce
l’opera, ad esempio il modulor; o il frutto di una serie di convenzioni
strumentali in grado di regolare lo sviluppo di processi complessi, come
il caso del progetto di una città, in cui lo standard rappresenta la misura
scalare entro la quale si può operare per lo sviluppo di un piano.
Dall’altro, in senso produttivo, assume il ruolo più prettamente tecnico di
definizione di una serie di elementi predefiniti la cui sintesi è la massima
flessibilità, universalità ed economicità, in diretto legame con le esigenze del mondo produttivo.
Lo standard costituisce quindi la misura o principio che regola sia la più
piccola parte di un progetto, sia la sua intera “Unità”, al di là della scala
di applicazione.
In questo senso lo standard o “misura universale”, entra a far parte del
processo compositivo, ove per composizione intendiamo essenzialmente la capacità combinatoria che opera utilizzando parti figure predefinite, o nell’incipit progettuale individua i principi base di forma su cui
generare l’opera architettonica, come vedremo nei capitoli successivi.
Le forme costitutive dell’opera sarebbero “elementi figura” ricorrenti
all’interno del progetto, assunti come ripetibili. Un esempio può essere rappresentato dalle facciate dell’Unitè di Marsiglia di Le Corbusier, o
dalla rigida ripetizione modulare della facciata dei Lake Schore Drive
Apartment di Mies van der Rhoe.
La questione della scala, dell’elemento seriale, conserva in entrambi i
progetti la sua caratteristica di invariante in rapporto al campo di appli23
rivista tedesca di critica d’arte e architettura pubblicata in Olanda nel 1925 al cui
interno si esprimevano le teorie più aggiornate e contemporanee attraverso gli scritti di Wright,
Rob Mallet-Stevens, Erich Mendelsohn, Lewis Mumford and Louis Sullivan
24
Donald Hoffmann, a cura di, Frank Lloyd Wright : the complete 1925 “Wendingen”
series, New York, Dover Publications, 1992, p. 92.
2
1
3
fig. 1, 2 e 3 Bruno Taut, interni del padiglione
del vetro
al Werkbund di Colonia del 1914, Historisches
Archiv der Stadt Koln, Bauakte, Glashaus.
cazione. Questo concetto, che già abbiamo affrontato in merito alle ricerche sviluppate da Wachsmann, rappresenta all’interno dell’approccio metodologico – progettuale un principio di innovazione.
Lo sviluppo della figura e della forma vanno al di là della scala di applicazione, si caricano di una capacità di astrazione che permette una
grande capacità di manovra. Leggi universali per prodotti universali.
Non vi è limite di campo tra l’arte, l’architettura e l‘industrial design.
Proprio questa attitudine dello standard introduce il concetto di processualità, in quanto è insito nella definizione della norma o dello standard
la capacità di contenere le variabili necessarie alla costruzione delle
relazioni alle diverse scale e ai diversi usi.
fig. Pablo Picasso, Natura morta con sedia impagliata, nature morte a la chaise
cannée, Parigi, 1912.
Dall’estetica industriale all’arte minimal
Le prime sperimentazioni nel campo delle costruzioni, legate all’evoluzione
della meccanizzazione, e dell’industrializzazione hanno condotto ad una
vera e propria estetica industriale1 che, affiancata alle esperienze del Movimento moderno, ha dato risultati inediti tanto per i suoi esiti in campo
architettonico - progettuale, quanto per la capacità critica che è stata in
grado di mettere in atto.
Mai prima di allora si era assistito a un tale fenomeno nel quale, principale
canale di formazione e discussione era il confronto continuo e regolare tra
attori che lo animavano, e Movimento Moderno stesso.
A favorire questa trasformazione ha contribuito certamente non solo la
spinta economico sociale dell’industria, ma un ruolo chiave lo hanno svolto
l’arte e i movimenti artistici.
Il fenomeno in campo artistico si è manifestato a partire dal XX secolo attraverso la sostituzione dell’uso delle tecniche pittoriche consolidate in favore
di un recupero di oggetti estrapolati dalla quotidianità e spesso frutto della
produzione di massa a cui viene attribuita una valenza estetica. La ricerca,
o meglio lo sviluppo processuale assume atteggiamenti simili a quelli accreditati nel mondo della produzione. Un insieme di elementi (oggetti della
quotidianità ) vengono tecnicamente riassemblati nella volontà di ricreare
un nuovo oggetto completamente differente. Gli artisti si trovano così a
sperimentare, talvolta portandole alle estreme conseguenze, forme diverse
di espressione attraverso l’uso di oggetti e della materia stessa senza alcun
pregiudizio, liberandosi totalmente da preconcetti estetici e lasciando posto all’estetica degli oggetti stessi che venivano utilizzati.
Gli oggetti d’uso, frutto della serialità diventano opera d’arte attraverso un
rielaborazione che spesso e frutto di un processo pre-figurativo.
L’opera d’arte diventa tale nel momento in cui l’associazione o l’uso
dell’oggetto per mezzo del lavoro dell’artista giungono all’acquisizione di
un nuovo significato, soprattutto quando viene decontestualizzato. L’oggetto seriale, diviene opera attraverso il processo di rielaborazione compiuto dall’artista.
Pensare e focalizzare il pensiero artistico e il mondo dell’arte in senso generale attraverso questo punto di vista significa riconsiderare e rielaborare
l’arte del secolo scorso e in particolare le avanguardie.
I movimento dadaista e surrealista erano legati fortemente alle sperimentazioni precedenti del cubismo e al Futurismo, non che al nuovo oggettivismo
tedesco.
Nelle pratiche creative di questi movimenti, soprattutto nella prima parte
del secolo, si va consolidando la tendenza di utilizzare oggetti d’uso standard nella creazione d’opere d’arte. Al contempo, e soprattutto per quanto riguarda l’oggettivismo tedesco, l’attenzione si focalizza, anche attraverso la fotografia, nella ricerca del realtà come fenomeno.
1
Reyner Bhanam, Architettura della prima età della macchina, op. cit., p. 95
1
2
fig. 1 Boccioni, Sviluppo di una bottiglia, 1912
fig. 2 Boccioni, Fusione di una testa e di una
finestra, 1912-13
Tale forma d’arte inizialmente nasce come risposta ai temi della riproducibilità tecnica e della serialità, cercando di oltrepassare il limite tra arte e
tecnica.
In tale tendenza creativa andavano sviluppandosi verso la ricerca della
percezione, dell’illusione, dell’aspetto psicologico e sensoriale e lo studio
dell’importanza del “medium” inteso come elemento di mediazione, che
opera tra oggetto, materia e opera.
In questo progresso dell’arte la tecnica espressiva, il mezzo, diviene uno
strumento per l’assemblaggio e la stratificazione; l’artista evolve verso la
sua funzione di mediatore tra la realtà e i suoi dati strumentali e tecnici e l’opera d’arte, instaurando un processo libero di prefigurazione. Il suo ruolo e
appunto il medium. L’arte quindi entra dichiaratamente nel campo del reale come anche in Architettura ove la forma viene liberata. I primi accenni
possiamo individuarli già a partire dalle attività del movimento purista, e in
particolare dal rapporto che insiste tra l’opera artistica di Le Corbusier e le
sue opere d’Architettura, in cui processi compositivi sembrano avere dei
legami stretti con l’espressività delle opere architettoniche. L’arte quindi,
in qualità di medium, si fonde con la totalità dei campi che riguardano la
tecnica e i suoi processi perché in grado in questa nuova posizioni di governare il rapporto tra l’oggetto artistico, e gli strumenti e la materia della sua
prefigurazione.
Tutto nasce da una nuova posizione del linguaggio che necessariamente
risulta essere troppo stretto all’interno delle pratiche artistiche consolidate.2
A dare l’avvio alla rivoluzione tecnica in campo artistico sono i Papier Colé
e i collage di Georges Braque e Pablo Picasso.3
Nonchè l’esperienza Cubista che vedremo in seguito, fondamentale per le
successive evoluzioni linguistiche in campo architettonico.
Il collage nello specifico rappresenta la trasposizioni di elementi della realtà
direttamente applicati all’opera. Questa semplice operazione tecnica rappresenta lo spostamento e il riconoscimento delle potenzialità estetiche di
un elemento o un oggetto d’uso comune inserito all’interno del quadro per
le sue potenzialità estetiche.
“La Nature Morte à la chaise cannée”, rappresenta uno dei primi esempi
di questa tecnica in cui Picasso inserisce all’interno del quadro elementi
della realtà (parti della sedia) nell’intento comunque di rappresentare le
sue qualità visive e quindi percettive e non tanto la sua attitudine di seduta.
Questo tipo di atteggiamento troverà notevole influenza anche nelle sperimentazioni successive del movimento Futurista in Italia. Il quale sulla scia
delle nuove tecniche espressive svilupperà un ulteriore passo avanti grazie
anche alle opere di Boccioni e Carrà. Soprattutto Boccioni condurrà una
ricerca indirizzata verso il polimaterismo4, nelle sue opere verranno introdotti
elementi della realtà e della meccanica, nel fine ultimo di ricreare un nuovo soggetto artistico fortemente legato al messaggio del movimento e del2
Cfr. Lamberti Maria Mimita, Il Collage. Una nuova tecnica e le sue varianti, in Lamberti Maria
Mimita, Messina Maria Grazia (a cura di), Collage/Collage. Dal Cubismo al New Dada, Electa Milano,
2007
3
Cfr. Mario De Michieli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Feltrinelli, Milano, 1986, p.p.
200-221
4
Cfr. Calvesi Maurizio, Il futurismo e le avanguardie, in Calvesi Maurizio, Le due avanguardie.
Dal Futurismo alla Pop Art, Laterza, Bari, 1991
2
1
fig. 1 Marcel Duchamp, Macinino da caffè,
Moulin à café, 1911
fig. 2 Marcel Duchamp, Ruota di bicilcetta,
Roue de bicyclette, 1913,
fig. 3 Marcel Duchamp, Scola bottiglie,
1914, Ready made
3
la propensione verso le tecniche, l’assemblaggio di viti, bulloni, si fondono
con l’elemento plastico ottenuto dalla lavorazione del materiale principe
dell’opera.
Fra i più significativi vi è l’esperienza di Duchamp che in qualche modo
ha portato l’arte, l’estetica, a contatto con il mondo dell’industria e della
serialità. Fra le opere riconosciute come maggiormente rappresentative di
questa nuova posizione vi è il “macinino da caffè” del 1911, ove l’artista
rappresenta un esploso spaziale del macinino con tutti i suoi elementi meccanici e le sue funzionalità, il tutto attraverso una lettura cubista.
L’evoluzione del collage costituisce la base sulla quale successivamente si
esprimerà l’avanguardia Dadaista e Surrealista che definiranno sino alle
conseguenze estreme la defunzionalizzazione dell’oggetto nell’obiettivo di
renderlo opera d’arte e di mostrarne le sue peculiarità estetiche.
L’oggetto d’uso diventa oggetto d’arte.
Con il termine ready-made s’indica un oggetto o un assemblaggio di oggetti frutto della produzione industriale e quindi rispondenti a un linguaggio
legata alla produzione seriale. Il “macinino da caffè” dell’artista Marcel
Douchamp rappresenta in questo senso la sua vocazione alla riproducibilità.
“Duchamp scompone il macinino per caffè per rivelare la sua meccanica,
come in un manuale di istruzioni per svelarne la sua meccanica.”5
L’atto artistico viene limitato, l’opera si compone di elementi seriali, l’idea è
l’elemento cardine della creazione dell’opera. Questa trasposizione dell’idea vedremo, nei capitoli successivi come diverrà elemento determinante
nella formulazione del progetto, dopo il programma, l’idea si pone come
determinante.
Al contempo Braque e Picasso condurranno una ricerca parallela verso la
scomposizione del soggetto, come Duchamp scompone il suo macinino,
ma in entrambi i casi il risultato è la scomposizione del soggetto e la produzione finale di un oggetto che vive di per sé, quindi la creazione di un nuovo
terzo soggetto.
Risulta importante sottolineare come, in questo caso, la componente istintuale creativa, nella costruzione di un nuovo oggetto, svolga un ruolo decisivo all’interno del paradigma meccanico industriale.
“L’emozione non proviene più da un oggetto estrinseco riprodotto o dipinto
sulla tela, ma all’interno dell’immagine: tableau - objet.”6
Così lo definiva Ozenfant, quadro-oggetto, quindi un nuovo soggetto. Duchamp comunque rappresenta il punto di partenza per l’ingresso nel campo dell’arte della fusione industriale e meccanica.
“Il più famoso e istruttivo dei suoi ready - mades, fu lo scola bottiglie che
egli espose a New York nel 1914. Questo era un Objet - Objet, per così dire,
5
Reyner Bhanam, Architettura della prima età della macchina, op. cit., p. 241.
6
In “Journal de Psychologie Normale”, Parigi, 1907, p. 295. Esiste la versione digitale in http://
archive.org/stream/journaldepsycho01fragoog#page/n307/mode/2up.
fig. Pablo Picasso, La fabbrica di Horta de
Ebro, Briqueterie a Tortosa, Horta de Ebro,
1909.
del più puro tipo. […] Il soggetto diviene senza alcuna trasformazione o
qualificazione l’oggetto presentato allo sguardo.”7
Questo ci permette di evidenziare l’ingresso dell’arte nel campo dell’oggetto seriale e viceversa.
Il cubismo
La polemica contro l’impressionismo non è svolta soltanto da quella corrente figurativa del sentimento che va dall’espressionismo al surrealismo, ma
anche da quella corrente che non rifiutava lo scientifismo, è questo il caso
del cubismo.
“Ciò che si andava cercando era una maggiore verità scientifica: non la
registrazione pura e semplice dei dati visivi dunque, ma la loro sintesi intellettuale che, operando una selezione ne enucleasse quelli essenziali.”8
“Nel 1913 Appolinaire, nel testo dei Peintres cubustes, affermava che la
geometria sta alle arti plastiche come la grammatica sta all’arte dello scrivere. […] Oggi gli scienziati non si attengono più alle tre dimensioni della
geometria euclidea. I pittori sono stati portati naturalmente e, per così dire,
intuitivamente a preoccuparsi di nuove misure possibili dello spazio che,
nel linguaggio figurativo dei moderni, si indicano tutte insieme con il termine quarta dimensione, […] essa rappresenta l’immensità dello spazio, che
si eterna in un movimento determinato, è lo spazio stesso la dimensione
dell’infinito, e dà plasticità agli oggetti.”9 Tale posizione ci conduce alla
definizione al superamento dell’oggettività attraverso il soggettivismo che
condurrà verso il più chiaro astrattismo rigido e razionalistico, che avrà in
Mondrian il suo più coerente rappresentante. Per il pittore cubista, la verità
è al di là del realismo e l’artista riesce a coglierla solo attraverso la struttura
interna delle cose.10
Picasso Braque e Léger, sulla scorta della lezione di Cézanne, hanno condotto con maggiore forza lo sviluppo del movimento cubista. Gli elementi
fondativi del linguaggio sono i volumi e la struttura. L’atteggiamento era
definito sotto due aspetti legati a due periodi distinti. Il primo cubismo oggi
definito analitico, legato ai piani semplici e il cubismo sintetico nel quale
l’oggetto viene sintetizzato attraverso la ricostruzione dell’immagine in un
unico oggetto.
“Il cubismo è nato in un generale clima di cultura, da cui ha ricevuto impulsi
e spunti ideologici. Anche Juan Gris, di questo , è una chiara conferma. La
geometria, la matematica, il pensiero puro lo affascinavano. Le sue mediazioni estetiche erano improntate al platonismo che si era diffuso nelle scienze. Gris per questo aspetto è il più grande assertore del cubismo sintetico.
7
Reyner Bhanam, Architettura della prima età della macchina, op. cit., p. 242
8
Mario De Michieli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Feltrinelli, Milano 1986, p.200-221
9
Ibidem , p.200-220
10
Cfr. P. Signac, D’Eugène Delacroix au Néo Impressionnisme, Fleury, Paris, 1921, in Mario De Michieli, Le avanguardie artistiche del Novecento, op. cit.
1
2
fig. 1 Le Corbusier, Le Bol Blanc, 1919, SaintGall, Kunstmuseum St. Gallen
fig. 2 Le Corbusier, Nature Morte à l’oef,
1919, Paris, Fondation Le Corbusier
Egli affermava di dipingendo non partendo dalla realtà, ma dall’idea.”11
Queste parole ci portano a comprendere come la posizione del pensiero
sia posta attraverso la lettura della realtà legata alla ricerca dell’elemento
primario, a priori e quindi alla ricerca degli elementi formali prefigurativi.
“Dall’universale al particolare, dall’astratto al concreto.”12
Essi costituiscono la madre degli strumenti universali che declinati nella realtà assumono un aspetto concreto.
Si costruisce quindi una sintassi universale di costruzione della realtà, la bottiglia di fronte a me non è altro che un cilindro, e così via, la realtà è rappresentabile con elementi a priori che costruiscono il mondo.
Più si giunge alla purificazione più si arriva vicini alla verità liberi dall’aspetto
sentimentale. Aspetto che ha caratterizzato in parte anche la pittura di Le
Corbusier e Ozenfant nella ricerca della pittura purista.
Quando le nature morte come anche quelle puriste si compongono di oggetti di serie. Bottiglie stilizzate, bicchieri, etc.
Il recupero del classico e l’introduzione dell’ottica meccanica industriale inducono quindi a questa nuova posizione dell’arte e dell’artista nei confronti
del prodotto “Standard”.
Fra i padri teorici di questa visione, legati però al mondo classico e al recupero di alcuni dei suoi valori fondativi, troviamo Gino Severini il quale più di
altri si promuoveva di teorizzare il rapporto tra arte e macchina.
“Egli fu il primo a lanciare il richiamo all’ordine […] dal Cubismo al Classicismo, alla prospettiva centrale e a soggetti costruiti a norma.”13
In uno dei sui libri più importanti, Du Cubisme au Classicisme,14 egli descrive
la necessità di guardare al passato classico per poter rileggere il presente e
la grande evoluzione della meccanizzazione.
I veri fautori del concetto dei benefici della produzione di massa e della
produzione seriale, legata alla capacità di definirne anche precise leggi di
forma e composizione, erano da un lato i Puristi, Le Corbusier e Ozenfant
attenti al concetto dell’objet - objet e della ricerca del tipo, e dall’altro la
scuola tedesca del funzionalismo di Gropius e Mies legate come vedremo
in parte all’nuovo oggettivismo tedesco.
Queste due posizioni portarono ad uno sviluppo del concetto di “disegno
industriale” dell’architettura per certi versi convergente, nelle tematiche legate alla ricerca di una universalità strutturale e della misura minima, e per
altri divergente soprattutto nella formula forma=funzione, dove spesso se
ricondotta ad una pura ideologia questa veniva a negare la funzione di
simbolo e relazione delle forme.
Da un lato i sostenitori dell’universalità strutturale si legavano a un concetto
11
Mario De Michieli, Le avanguardie artistiche del Novecento, op. cit. , p.215
12
Ibidem
13
Ibidem
14
Gino Severini, Du Cubisme au Classicisme, Parigi, 1921 (tr. it. Dal cubismo al classicismo
e altri saggi sulla divina proporzione e sul numero d’oro, Firenze 1972).
fig. Le Corbusier, Nature morte au volon rouge, 1920, Paris
Foundation Le Corbusier
che prendeva vita da una certa tradizione classica, dall’altro i “funzionalisti”, cercavano di liberarsi del passato per dare una giustificazione meccanico-funzionale ad ogni prodotto.
Tutto ciò comunque fu possibile grazie al passaggio dall’oggetto-oggetto
all’oggetto-tipo sino all’oggetto-standard, e alla produzione di una serie di
regole e di norme in grado di gestire e prefigurare il progetto. Se pensiamo
al Modulor di Le Corbusier, potremmo interpretarlo come l’elemento, la regola, lo standard al cui centro è l’uomo, lo strumento di verificazione del
processo ideativo e progettuale.
“Il Purismo ha portato alla luce la legge di selezione della Meccanica. Essa
stabilisce che gli oggetti tendono verso un tipo che è determinato dall’evoluzione delle forme tra l’ideale della massima utilità e la soddisfazione
delle necessità della fabbricazione economica, che si conforma inevitabilmente alle leggi della natura. Questo duplice ruolo delle leggi ha portato
alla creazione di un certo numero di oggetti che possono per ciò essere
definiti standardizzati. […] Senza prescrivere alcun tema, il Purismo ha pertanto limitato la sua scelta a questi oggetti.”15
Questa posizione riflette quella di Le Corbusier nei confronti della ricerca di
uno standard e di una soluzione formale che risponda anche al principio
classico di perfezione. Non a caso, come vedremo più avanti, egli riuscirà
a raggiungere anche il concetto di meson-type.
Per Mies, invece, il progetto, la sua composizione, è fortemente legato al
materiale, alle sue capacità espressive, e alla sua capacità di essere prodotto e utilizzato come mezzo costruttivo; a tal punto da conoscerne il limite materiale, pur considerano il fattore economico.
Nuova Oggettività
Nel clima culturale degli anni Venti del Novecento, assistiamo alla formazione in Germania un gruppo secondario ma altrettanto importante e antagonista ai movimenti avanguardisti presentati sin ora, e che presenta dei
punti di forza negli sviluppi del linguaggio estetico industriale. La Nuova
Oggettività è una tendenza di tipo neorealista sviluppatasi in Germania
fra il 1920 e il 1933. A differenza di altre esperienze artistiche dell›epoca,
la Nuova Oggettività non ha assunto la fisionomia di gruppo o movimento ben definito. Si è manifestata, invece, come linea di tendenza comune
ad artisti che operavano in modo indipendente, in centri diversi al Nord e
al Sud della Germania. Analogamente, non è possibile indicare una data
d›inizio precisa, ma solo il momento in cui è stata riconosciuta e teorizzata
dalla critica.
Il termine «Neue Sachlichkeit» è stato coniato dal critico tedesco Georg
Friedrich Hartlaub. Così intitolò,infatti, una grande mostra nel 1925 presso la
Kunsthalle di Mannheim, che impose la nuova corrente all’attenzione del
15
La citazione proviene da uno dei saggi di “l’Esprit Noveau” , citato in Reyner Bhanam,
Architettura della prima età della macchina, op. cit., p. 250
1
2
3
fig. 1 Carl Grossberg, Spinning Mill, olio su
tela, circa 1936
fig. 2 Carl Grossberg, La macchina della
carta, Olio su tela, 1934
fig. 3 Carl Grossberg, Composizione con turbina, Olio su tela,1929
fig. 4 Oskar Schlemmer, La Scala del
BauHaus, 1932
4
pubblico. 16La Nuova Oggettività si è sviluppata come reazione nei confronti dell’Espressionismo e delle correnti astrattiste. Caratteristica comune
ai suoi esponenti era un linguaggio pittorico lucidamente verista, orientato
a una rappresentazione oggettiva della realtà, da cui la denominazione.
Come ebbe a precisare Hartlaub, la Nuova Oggettività presenta una novità rispetto ai “realismi” che la avevano preceduta. Il fatto, cioè, di raffigurare una realtà dietro la quale si celano verità segrete. Si distinguono in
questo filone:
- una ricerca da un lato della classicità ha condotto a due forme espressive
definite la “verista”17 maturata dalle esperienze Dadaiste e anti-artistiche,
ne conservava il carattere acidamente critico. Attraverso rudi e nervose
rappresentazioni della vita cittadina metteva in mostra la realtà con un’attenzione per l’ipocrisia e lo squallore della società borghese del tempo. Rientravano in questo ambito Georg Grosz, Otto Dix, Georg Scholz e Heinrich
Maria Davringhausen.
- una linea “neoclassicista”18 che si caratterizzava per il recupero di una rigorosa plasticità e il richiamo alla classicità. Le pitture rappresentavano e descrivevano con precisioni personaggi, paesaggi e oggetti, sospesi in una dimensione senza tempo.
A documentare questa linea erano Alexander Kanoldt, Christian Schad,
Georg Schrimpf, Carlo Mense, Carl Grossberg e Wilhelm Schnarrenberg.19
Un artista molto presente nella mostra di Mannheim, ma oggi non ben
classificabile, è Max Beckmann. La sua pittura, da un lato, non presenta
la concreta oggettività delle opere dei colleghi. Nel contempo, non rompe i ponti del tutto con l’asprezza dell’Espressionismo. Altri artisti, sebbene
non risultino incasellabili con facilità nei due gruppi precedenti, fanno parte
a pieno titolo della Nuova Oggettività. È il caso di Karl Hubbuch, Rudolf
Schlichter e Franz Radziwill. Con la sua insistenza su situazioni di sordida ipocrisia, solitudine e interiore inespressività e col suo utilizzo di colori smorti, la
Nuova Oggettività è l’arte che meglio ha espresso la stabilità precaria dei
tempi di Weimar. E non a caso, fino al 1934 ebbe risonanza in ogni angolo della Germania: Berlino, Monaco, Francoforte, Karlsruhe, la Renania, la
Bassa Sassonia. Poi, con l’ascesa al potere del nazismo, ha subito la stessa sorte di tutti i movimenti modernisti che la hanno preceduta. La Nuova Oggettività non era un gruppo vero e proprio, e come tale mancava
di un programma comune. Nonostante questo gli artisti che ne facevano parte presentavano una certa omogeneità stilistica e lavoravano fondamentalmente attorno a due tipologie di soggetti. La corrente più importante del movimento è costituita dagli artisti che si fanno portavoce
di un ritorno alla plasticità classica. Nel loro repertorio ricorrono soggetti
che si caratterizzano per una immobilità senza tempo, per una interiore
inespressività. È il caso delle raffigurazioni di macchinari di Carl Grossberg.
Sono un caso a parte, invece, gli scorci di città, iperrealistici e irreali al tem16
17
18
19
AA.VVV., The Weimar Republic Sourcebook, Berkeley University Press, 1994, p 50-59
Ibidem
Ibidem
Cfr. Sandro Bernardi, L’avventura del cinematografo, Marsilio editore, Venezia, 2007
fig. 1 Albert Renger Patzsch, Elementi seriali,
insieme di coppepe in ceramica, foto
fig. 2 Albert Renger Patzsch, Elementi seriali,
bottoni, foto
fig. 2 Albert Renger Patzsch, Elementi seriali,
composizione di bicchieri, foto
1
2
3
po stesso, di Franz Radziwill e gli esterni di Karl Hubbuch. Anche in campo
fotografico assistiamo alla formazione della corrente oggettivista attraverso
la figura Albert Renger Patzsch20, che partecipa al movimento attraverso le
sue fotgrafie di oggetti seriali, penetrando attraverso di essi e denunciandone la loro identità formale e la loro attitudine alla serialità. Inoltre ha condotto una ricerca sulla fenomenologia della forma in natura, fotografando tessiture di piante e animali nella ricerca della loro forma compositiva
di ci sottolinea anche in questo caso la serialità. Sulla base evoluzionistica
dell’arte d’inizio secolo a partire dagli anni Sessanta si vanno formando le
correnti dell’arte minimal legata fortemente a quella concettuale. Questo tipo di rappresentazione deve molto ai movimenti che fin qui abbiamo
messo in evidenza.
Arte Minimal e Process Art
In seguito alla riflessione sull’arte e sulla funzione del “medium”21 che ha
caratterizzato il periodo degli anni sessanta, attraverso le opere di Bruce
Neuman e Richard Serra, assistiamo ad un fenomeno che da un lato si concentra sulla minimal art intesa come ricerca della serialità in funzione di un
arte legate alla matrice e alla razionalità, come quella di Lewitt. Il medium
non è altro che la posizione dell’artista posto nel mezzo del processo tra gli
strumenti e le materie di base dell’opera e l’opera stessa. Egli funge in tal
senso da mediatore applicando come già visto in precedenza l’idea, che
è al centro dell’opera. La materia è secondaria alla finalità, o meglio è solo
un veicolo funzionale alla sue esplicitazione.
“Laddove il gesto rispecchia l’energia corporea e psicosessuale dell’artista,
la matrice è molto meno emotiva; il suo approccio intellettuale concettuale è rivolto all’oggetto anziché al soggetto del campo lineare – che sia la
tela, il foglio o la parete. La comune griglia è una matrice del genere, così
come ogni insieme di indicazioni stabilite per l’iscrizione lineare che viene
eseguita scrupolosamente e ripetitivamente.[…]Sia Boncher che Le Witt
hanno fornito il fondamento del pensiero sul serialismo.”22
La funzione concettuale della matrice come elemento regolatore dichiara
nell’opera la sua massima espressività come fonte estetica dell’oggetto. La
matrice è la fonte regolatrice dell’opera.
Nell’opera “Wall Drawing”, la matrice diventa l’elemento regolatore della
serie di quadrati colorati che animano la parete. Fra i suoi studi i più significativi sono le sperimentazione sviluppate sul cubo, come gli “After”. La
figura del cubo è il punto di approdo di anni di riflessione: come cambiare
le sorti dell’arte, arrivando al cuore, alle fondamenta della creazione, del
fare, del pensare, dell’ideare; mettere così a nudo le strutture logico-razionali, minimali, che sottendono la gabbia interpretativa cerebrale dell’essere
20
Cfr. Michalski, Sergiusz , New Objectivity, Cologne, Taschen, 1994
21
Il termine “medium” indica “ciò che sta nel mezzo”, il medium è il mezzo attraverso il
quale l’artista comunica il suo messaggio. Un mezzo espressivo, che ciascuno può sciegliere o
inventare nei modi che ritiene più adatti allo scopo comunicativo che si prefigge. Da un punto
do vosta processuale è in sintesi ciò che si posizione tra l’azione creativa e la fruizione dell’opera
completata. (Cfr. Rosalind Krauss, Inventario perpetuo, Mondadori, Torino 2011)
22
Rosalind Krauss, Inventario perpetuo, Mondadori, Torino, 2011, p.37
1
2
3
fig. 1 Sol LeWitt, Wall Drawing 1085, Dettaglio
dell’installazione, 1968
fig. 2 Sol LeWitt, Modular Cube, 1977
fig. 3 Sol LeWitt, “Nine-part Modular Cube,”
1977
umano: la griglia concettuale, computazionale, attraverso cui guardiamo il
mondo, ci relazioniamo allo spazio-tempo, organizziamo le interrelazioni tra
noi e l’altro, e come interpretiamo i rapporti tra le cose.
L’intento di Le Witt è di mostrare i nessi del reale: non i contenuti, non i significati, ma il significante, la sintassi, le giunture, i rapporti.
È così che dalle Modular Structures Le Witt approda, fondandone i principi,
alla conceptual art. “È del ’67 il testo Paragraphs in conceptual art, in cui si
esalta l’arte come puro atto mentale di concezione, in antitesi alla fisicità
della forma o l’emotività della sua presenza. Un’intera generazione di artisti
ha trovato se stessa dopo aver vagato per strade polverose, immersa nella
confusione, […] quando i suoi componenti hanno inseguito l’idea che l’arte
per pensare se stessa debba essere ricostruita come linguaggio.”23
La base culturale e filosofica per questa generazione di artisti è stata Art
after Philosophy24 ad opera di Jhosep Kosuth.
Nel pensiero di Kosuth, “il profeta che lo ha preceduto è stato Marcel
Duchamp”25, che per primo ha concepito gli oggetti come dichiarazioni,
per cui il ready-made esiste soltanto come forma di definizione ostensiva:
“Questo è arte”.
La strategia del ready-made va oltre alla questione del medium portandolo al centro del tema principale legato alla dell’estetica e aggirando quella
“banale” della pratica artistica specifica.
Uno degli artisti che ha maggiormente perseguito la sperimentazione verso la ricerca di un nuovo linguaggio e ha trasferito l’opera all’interno dello spazio che la ospita trasformando lo spazio stesso in oggetto d’arte è
Donald Judd. Una delle sue opere più significative “Marfa’s empty, lightsoaked plains” del 1970. Attraverso quest’opera lo spazio si appropria dello
spazio nel quale s’insedia e sposta aumentandolo spostando il significato di
oggetto d’arte oltre l’opera. L’osservatore diventa parte dell’opera stessa,
entra in gioco con la sua potenzialità spaziale. Prende forma, e si manifesta
quello possiamo definire nel concetto ”arte come installazione.”
L’arte abbandona definitivamente il limite del supporto, la tela, e si libera
nel massimo delle sue potenzialità, l’unico limite è il mondo.
Donald Judd a descrivere questa strategia nel suo saggio Specific Objects.26
“ Il miglior lavoro nuovo, non è né pittura né scultura, ma un ibrido paradossale come un quadro che smette di essere un quadro e si trasforma in un
oggetto arbitrario.”27
“[…] Il cubismo aveva riformato le ambizioni della pittura in modo così totale che una superficie pittorica nuovamente solidificata non lasciva modo
di esistere a elementi aggiunti a quel piano se non sopra di esso nello spazio reale di un rilievo per quanto lieve. […] La terza dimensione, così im-
23
Rosalind Krauss, Inventario perpetuo, op. cit., p.51
24
Cfr. Jhosep Kosuth, L’arte dopo la filosofia. Il significato dell’arte concettuale, Costa
& Nolan, Milano, 2009
25
Rosalind Krauss, Inventario perpetuo, op. cit., p.51
26
Cfr. Thomas Kellein, Donald Judd: Early Work, 1955-1968, New York Press, 2002. Pubblicato per la prima volta in Arts Yearbook n.8, 1965.
27
D. Judd, Specific Object, in complete Writings, 1959-1975, The press of Nova Scotia,
Halifax, 1975, p.181
fig. 1 Richard Serra, Pulitzer Piece, 1970
fig. 2 Ed Ruscha, Standard Station, 1966
1
2
perativa per l’oggetto specifico, è stata ripristinata dall’arte concettuale
in due modi: da un lato attraverso l’installazione e, dall’altro, attraverso la
fotografia.”28
L’installazione trasforma lo spazio reale della galleria e del museo nella matrice dell’oggetto assemblato, per cui lo spazio reale come contesto degli
oggetti che l’artista trova e riproduce in libri di immagini.”
Un esempio di questa rappresentazione siano essi le stazioni di rifornimento
e i parcheggi delle piccole pubblicazioni di Ed Ruscha.29
Nell’opera “Standard Station” del 1966, la pompa di rifornimento di benziana si trasforma in opera d’arte pittorica.
La rappresentazione della matrice razionale si manifesta attraverso la ripetizione dell’oggetto rappresentato.
L’uso della regola come elemento di controllo e verifica viene proposto
come elemento regolatore dell’opera. La sua iterazione è la peculiarità
mentre la variazione la caratteristica.
“Ventisei stazioni di rifornimento – e nella mente diventa una regola immaginaria che sapevo che avrei seguito”30
Per Ruscha il medium non ha a che fare con il supporto, la tela, la parte
fisica su cui manifestare l’arte, ma piuttosto con un sistema di “regole”. Si
tratta dello stesso sistema che il filosofi Wittgenstein prima e Stanley Cavell31
poi definiscono auto regolativo32, o più precisamente automatismo33.
In questo senso l’intento ricondotto all’espressione artistica di Ruscha è di
focalizzare l’attenzione sul carattere dei media estetici tradizionali.
La parola automatismo conserva in s’è la radice auto e presente come
“prefisso sia su automatismo che su automobile, non ribadisce soltanto il
rapporto tra automobile e medium, ma sposta anche il medium nella direzione della specificità mediale”34, o del potere autoreferenziale del medium
così centrale nel modernismo. Per Cavell e per Ruscha, in assenza di tradizione, le regole diventano necessarie soprattutto nell’incertezza della sua
capacità espressiva, della sua instabilità linguistica.
L’improvvisazione, diviene la situazione ideale in cui l’artistariesce a esprimersi.
Le regole diventano così un sistema per riuscire “[…] a dare uno scopo alla
sua invenzione, permettendogli di individuare se l’improvvisazione polifonica su un frammento melodico richiesta dalla partitura abbia successo.”35
“Auto” non identifica l’isolamento dell’artista, ma indica in realtà, che la
fonte delle regole viene da dentro il supporto. “[…] In questo senso il medium è sia in specifico, cioè autoreferenziale, sia invettivo per cui tutto può
28
D. Judd, Specific Object, in complete Writings, 1959-1975, op. cit., p.181
29
Cfr. Rosalind Krauss, Inventario perpetuo, op. cit., p. 54
30
E. Ruscha, Leave any information at the signal: Writings, a cura di, Alezandra Schwartz,
Mit Press, Cambridge, 2002, p. 30
31
S.CaStanley Carvell, insegnante universitrio di filosofia, le cui idee sul linguaggio ordinario operarono una rivoluzione nel suo pensiero, legate alle ricerche di Ludwig Wittgenstein sul
relativismo.
32
Cfr. S. Carvell, The World Viwed, Harvard University Press, Cambridge, California, 1979
33
condizioni espressiva indipendente dalla volontà e dalla coscienza, trascrizione istintiva del proprio stato d’animo. In psicologia, atti, gesti, fuori dal controllo della volontà mentale.
(Cfr. Voce Automatismo, in GRADIT. Grande Dizionario Italiano dell’Uso, diretto da Tullio De Mauro, Torino, UTET, 1999-2000 con aggiornamento del 2004)
34
Rosalind Krauss, Inventario perpetuo, op. cit., p. 56
35
Ibidem
fig. Donald Judd, Concrete work, No 12,
1984
essere medium.”36
“Come l’automobile può diventare un mezzo o medium, allora tutto può
essere usato a questo scopo.”37
Basta soltanto costruire un insieme di regole che diano corso a una manifestazione artistica. L’idea stessa, diventerà la chiave per la individuazione
del medium da attivare da parte dell’artista, e dunque il suo escogitare un
insieme di regole.
“Un medium dopotutto è un linguaggio condiviso, sviluppatosi in secoli di
pratica artistica, cosicché nessuna iniziativa individuale è in grado né di
inventare nuove fonti di significato né di cambiare quelle già stabilite.”38
Viceversa Donald Judd l’arte si fa architettura, entra nello spazio reale
e coinvolge “il tutto insieme”39, osservatore, spazio, e opera. Quello che
però rimane un punto cardine della posizione operativa, rispetto allo sviluppo dell’opera, è il medium. Quell’interspazio tra ideazione e formulazione
dell’opera, dove un processo viene messa in atto o meglio si configura.
Proprio in questa percezione dell’atto artistico come questione processuale, che ci conduce a considerare anche il movimento denominato dalla
critica process art40, essa si prefigge di creare l’opera attraverso il processo
di formazione della stessa con azioni definite come raccolta, associazione,
cernita. La spazialità è al centro della scena e il concetto di processualità
e legato anche alla vita dell’opera stessa. Fra le figura più importanti di
questo movimento troviamo Richard Serra che attraverso le sue sculture
conduce ad una vera e propria sperimentazione dell’oggetto d’arte come
elemento spaziale e sensoriale attraverso l’uso esasperato di un unico materiale (l’acciaio) ricondotto a tutte le sue forme espressive possibili.
“La linea è ovunque nella scultura di Serra. Nei pezzi tagliati o segati è insieme un bordo fisico e un disegno elementare, una traiettoria logica che
crea la sintassi astratta e lega insieme i diversi elementi dell’opera.”41
Il tema materico è unico, la lastra di acciaio, l’elemento primario e universale portato alle estreme conseguenze attraverso la costruzione di una
specifica sintassi creativa. L’opera più significativa per comprendere la sua
caratteristica è il “Pulitser Piece: Stepped elevetion” del 1970. Una serie di
lame d’acciaio si innestano in un campo a formare precise sottolineature
del paesaggio, il linguaggio viene così espresso attraverso la linea che è
l’elemento madre dell’opera.
“1. La linea è percepita in modo astratto in rapporto alla profondità. Stare
in asse con ciascuna lastra significa assumere una posizione sopra o sotto
di essa, e questo produce contraddizione nell’enorme distesa della lastra.
2. Linea è intesa fisicamente come bordo della massa, la lastra ricca di
36
Rosalind Krauss, Inventario perpetuo, op. cit., p. 55
37
Ibidem
38
Ibidem
39
Cfr. D.Judd, Specif Objects, in complete writings 1959-1975, The press of Nova Scotia
Collage of Art and Desing, Halifax,1975
40
La Process art è un movimento artistico la cui la questione processuale è basata sul
modo processuale di pensare l’arte e l’opera. Il processo di formazione dell’opera: selezione,
raccolta, assemblaggio, ed inoltre l’avvio di azioni e procedimenti, in questo senso processuali.
Quindi il processo artistico indotto alla creazione dell’opera costituisce esso stesso forma d’arte
se non addirittura l’opera stessa.
41
Rosalind Krauss, Inventario perpetuo, op. cit., p.160
2
1
fig. 1 Donald Judd, Digramma delle conformazioni dell’opera Concrete work 1984
fig. 2 e 3 Donald Judd, Concrete work, No
13 e12, 1984
3
materialità per contraddizione svanisce nel passaggio del suo bordo di soli
cinque centimetri.
3. La massa è trasformata in un sistema di linee che descrivono il paesaggio
che la circonda.
4. La massa è rivelata attraverso un contorno implicito. Da ogni angolatura,
si è consapevoli della forma effettiva della lastra, anche se non la si può
mai vedere per intero.”42
L’aspetto sensoriale è molto forte, le sue installazioni che sono delle vere e
proprie architetture costituiscono uno studio a volte preciso anche dell’aspetto emotivo e sensoriale. Molte delle sue installazioni conducono l’osservatore ad abitare l’opera e percorrerne a volte una sorta di promenade è
l’esempio delle “Spiral Sculpture”. Una sorta di vere e proprie architetture in
cui dell’aspetto processuale fa parte anche quello percettivo attraverso le
pareti inclinate, l’apparente instabilità dei fogli di acciaio, la ricerca del limite e l’esasperazione della linea. Oppure la rigida serialità della maglia nel
“Memorial of the Shoa”43 dove gli elementi si ripetono attraverso lo studio
della variazione d’altezza in una sorta di metafora in cui l’uomo è rappresentato dal parallelepipedo di cemento. L’elemento figurativo universale
parallelepipedo/uomo e la variazione d’altezza particolare, altezza/individuo, costruiscono l’opera che razionalmente reitera la sua regola ritmica e
incessante come in uno spazio “perpetuo”.
Queste installazioni costituiscono una forma ulteriore di libertà espressiva e
di concettualizzazione dello spazio attraverso una lettura delle potenzialità formali del materiale costituente l’opera e della ricerca del suo limite
espressivo.
42
Rosalind Krauss, Inventario perpetuo, op. cit., p.167
43
Opera d’arte situata a Berlino, progetto è dell’architetto Peter Eisenman con Richard
Serra, consiste in una superficie di 19.000 m² occupata da 2.711 stele (opera di Serra) in calcestruzzo colorate di grigio scuro, organizzate secondo una griglia ortogonale, totalmente percorribile al suo interno dai visitatori. Le stele sono tutte larghe 2,375 m e lunghe 95 cm, mentre
l’altezza varia da 0,2 a 4 m. Dalla vista esterna appaiono tutte di altezze simili ma, poggiando su
di un fondo variamente inclinato, le più basse lungo il perimetro esterno, “fagocitano” gradualmente il visitatore che si addentra fra esse. (Cfr. Klaus Frahm, Memorial to the Murdered Jewes
of Europe, Nicolai, 2002)
fig. Louis Sullivan, Magazzini Carson-PirieScott, Chicago, 1899
Chicago Frame1
Il concetto di struttura a telaio che esso sia in acciaio o in calcestruzzo armato, è uno dei concetti di base sul quale si fonda il sistema costruttivo moderno, in rottura con il vecchio sistema in muratura.2 Esso rappresenta quello
che Giedion definisce elemento costituente dell’architettura moderna e
contemporanea.3 In quato “il telaio è giunto a possedere un significato per
l’Architettura contemporanea che equivale a quello della colonna per l’antichità classica.”4
Introdotto in campo architettonico ne ha influenzato profondamente il linguaggio andando nel tempo a manifestarsi come elemento sintattico della
partitura architettonica.5
La struttura a telaio trova una sua prima implicazione negli esempi dell’architettura commerciale di Chicago tra fine Ottocento e inizio Novecento,
esempi che costituiranno negli sviluppi succesivi la base per lo sviluppo dell’
architetture dei grattacieli. La specifica manifestazione dell’introduzione di
questa nuova tecnologia costruttiva troverà nella storia una sua particolare
definizione che denominata scuola di Chicago.
Fra i protagonisti più emblematici di questo periodo riconosciamo gli architetti Adler e Sullivan il cui contributo apportò, rispetto alla struttura a telaio,
sviluppi compositivi e sintattici tutt’oggi parte della nostra eredità culturale. La particolarità della loro opera, stà nell’uso della struttura portante a
telaio in acciaio, sulla quale poi viene posto il sistema di partitura interna
e di tamponamento esterno di facciata. Questa separazone tra struttura
portante e paramenti di tamponamento verticali conduce alla definizione
di un particolare linguaggio compositivo, in cui gli elementi seriali si fondono
in un principio di unità linguistica, attribuendo al telaio un principio di verità
architettonica. In questo quadro evolutivo, geograficamente circoscritto,
grandi edifici a telaio in acciaio abitavano la città con un ritmo di crescita
esponenziale.
Le prime definizioni linguistiche di queste architetture, sono volte alla predominanza di una relazione tra il telaio moderno e linguaggi architettonici
legati ancora per certi versi a un’impostazione di codici formali derivanti
all’École des Beaux-Arts6.
I vincoli strutturali e i codici formali definiscono con rigidità lo sviluppo dello
spazio interno. Solo in un secondo momento, soprattutto grazie alle successive esperienze di Sullivan, e secondo Colin Rowe, grazie anche agli apporti
di Frank Lloyd wright sullo definizione spaziale per piani scorrevoli; la struttura
1
Colin Rowe, La matematica della Villa Ideale, Zanichelli Editore, Bologna, 1990 p. 83,
Il termine vine coniato dallo stesso Colin Rowe ad indicare la particolare caratteristica formale
delle strutture a telaio in acciaio. Una sorta di reticolo
ottenuto dalla struttura in acciaio che si tramuta in una sequenza omogenea di piani orizzontali
(solai) e piani verticali (colonne).
2
Colin Rowe, La matematica della Villa Ideale, op. cit., pp.83
3
Cfr. Sigfried Giedion, Space Time and Architecture, Harvard University Press, Mass.,
1941, Ed. Italiana, Spazio Tempo Architettura, Hoepli, Milano, 1984
4
Ibidem
5
Cfr. Colin Rowe, La matematica della Villa Ideale, op. cit., pp.83
6
Cfr. Ibidem
fig. Frank Lloyd Wright, National Life Insourance, Chicago, 1924.
a telaio assume i ruolo di catatlizzatore delle possibili deifnizioni dello spazio
attraverso lo slittamento dei paramenti murari.7
La rigida ripetizione statica dei telai, così nuovamente concepita, anziché
vincolare l’edificio a una rigida uniformità, aumentò la possibilità di diversificare in identità distinte ogni singola forma spaziale.
La capacità di sfruttare lo slittamento dei piani come radice di uno scomposizione spaziale saranno fondamentali per lo sviluppo di un processo progettuale che, ormai è storia, un decennio più tardi porterà alle definizioni
teoriche e sperimentali di Van Doesburg e di Rietveld.8 Questo lo possiamo
affermare soprattutto considerando il dibattito culturale, che si sviluppava
all’interno della rivista di critica d’architettura Wendingen9, attraverso la
quale le opere di Wright e di Sullivan entrarono nel panorama culturale europeo.
Rimane comunque evidente come la radice profonda lasciata dall’esperienza della scuola di Chicago sia alla base della concezione della costruzione per parti, aprendo la strada verso nuovi processi progettuali, in cui il telaio
assume il ruolo di nuova costante compositiva, maglia geometrica con la
quale costruire una serie infinita di relazioni e di interazioni.
Il telaio assume così il ruolo di campo regolatore, dei possibili rapporti compositivi fra le parti dell’edificio. Questo aspetto ricondotto ad una laicità architettonica ci porta alle esperienze di Mies Van Der Rhoe, che vedremo in
seguito.
La configurazione degli edifici di Sullivan, era legata alla costruzione di volumi definiti con grande rigore formale, raggiungendo un’espressività austera.
La facciata degli edifici era definita attraverso la modularità geometrica
della struttura. La struttura si definisce così come elemento architettonico
dell’unità edilizia.
Ma al telaio in acciaio, che predirige una rigidità strutturale, si contrappone quello in cemento armato che trova una sua forma espressiva a partire
proprio dalle esperienze di Frank Lloyd Wright negli edifici a grande altezza.
Egli introdurrà definendo in modo chiaro l’autnomia strutturale rispetto alla
partizione dello spazio interno. La struttura così si svincola in maniera definitiva dagli elementi di tamponamento e dalle partizione interne, permettendo
una libertà di esplorazione spaziale interna all’edificio. L’uso del cemento gli
permette di introdurre configurazioni formali, più organiche e ben distanti
dalla rigidità dei telai in acciaio.
Da un punto di vista compositivo questa libertà di manovra conduce lo sviluppo progettuale alla ricerca di relazioni, di tensioni, di rapporti, interni, ma
soprattutto della ricerca di unità tra struttura e spazio.
Un esempio di questa manifestazione è riconducibile al progetto per la Na7
La struttura, concepita come insieme di colonne (piano verticale) e solai (piano orizzontale)
resa autonoma, permette di svincolare la partitura muraria interna e gli elementi di facciata, la pianta
si libera da vincoli strutturali murari, e pilastri garantiscono la continuità spaziale tra interno ed esterno.
Bernhard Hoesli, individua un primo esempio nelle architetture di F.L. Wright, ove “The pilar as a solution
to the limitations of space create a fusion of interior and exterior space almost without trasition and
allows for numerous intersetting zones that can be perceived horizontally in every possible connection.”
(Cfr. Colin Rowe e Robert Slutzky, Transparency, Birkhäuser, Berlin, 1997, p.70)
8
Cfr. Sigfried Giedion, Space Time and Architecture, Harvard University Press, Mass.,
1941, Ed. Italiana, Spazio Tempo Architettura, Hoepli, Milano, 1984, p. 538
9
2001
Cfr. Martijn Le Coultre, Wendingen: A Journal of Arts 1918-1932, Pricetong Architectural Press,
1
2
3
fig. 1 e 2 Frank Lloyd Wright, Sant’ Marks Tower, 1920, vista di inseieme.
fig. 2 Frank Lloyd Wright, Sant’ Marks Tower,
1920, veduta della torre.
fig. 3 Frank Lloyd Wright, Sant’ Marks Tower,
1920, planimetria, sezione e prospetti.
fig. 4 Mies Van Der Rohe, Grattacielo in Vetro
a Berlino, 1919-22, primo progetto.
3
tional Life Insourance Company del 1924 di Frank Lloyd Wright. L’edificio si
presenta come un sistema unitario concepito per parti. La configurazione
dei volumi si sviluppa attraverso un processo aggregativo di crescita organica. Grazie anche all’uso della mensola come principio strutturale è possibile
mantenere libera la pianta da possibili parti stuturali. La facciata così risulta
totalmente trasparente grazie all’uso del courtain wall, e non vincolata dalla
partitura strutturale. L’architettura si manifesta così come variazione di spazio continua, rompendo la rigidità data dalla serialità degli elementi costruttivi attraverso il gioco di variazione dei volumi.
Possiamo comprendere più chiaramente il principio di fusione tra struttura e
piani orizzontali nel progetto della Sant’Marks Tower di New York del 1929, le
cui caratteristiche formali sono molto simili agli studi per la torre di vetro del
1921 progettata a Berlino da Mies Van der Rhoe.
La sostanziale differenza nella Sant’Marks Tower, rispetto al precedente progetto della National Insourence company, è rappresentata dalla soluzione
strutturale concepita come una sorta di ossatura centrale, sulla quale poi si
sviluppano i vari piani.
Questo permetterà una definire in maniera più esplicita la fusione tra struttura e forma architettonica. La struttura diventa in questo modo generatrice
di spazio secondo quei principi di architettura organica definiti dallo stesso
Wright.10 La pianta e la configurazione delle facciate a cortain wall sono
legate allo sviluppo spaziale interno, riconducibile ad una modulazione di
base dettata dalla moltiplicazione di cellule esagonali che poggiano sulla
matrice strutturale interna (a froma di svastica).
All’interno dell’ossatura centrale trovano posto i vani di di servizio e i vani
scala. Nello spazio collocato tra le braccia struturali trovanno posto gli appartamenti, sfruttando al massimo le potenzialità spaziali determinate proprio dalla struttura stessa che si caratterizza per l’uso della mensola come
elemento protante. Tutti gli alloggi possiedono così un affaccio verso l’esterno per un doppio lato del loro sviluppo. Il carattere di novità è rappresentato
dall’interazione fra le parti costituenti l’edificio.
Rispetto a questo punto risulta doveroso evidenziare che la relazione tra spazio e struttura in Europa assumerà aspetti differenti: per Mies e le Corbusier
struttura e spazio assumeranno separate esistenze.11
Questa riformulazione dell’architettura, letta come composizione di piani liberi sovrapposti, verticali e orizzontali, è alla base di una rivoluzione culturale
ed espressiva dell’Architettura Moderna, ed avrà specifiche declinazione
rispetto alle formulazioni e agli ambiti espressivi nelle quali si manifesteranno.
10
11
Colin Rowe, La matematica della Villa Ideale, Zanichelli Editore, Bologna, 1990 p. 94
Ivi, p. 99
Cercando Mies Van Der Rohe
“Al giorno d’oggi il fattore economico rende obbligatorie la razionalizzazione e la standardizzazione nella residenza in affitto. D’altra
parte, la crescente complessità delle nostre esigenze richiede flessibilità. In futuro si dovrà fare i conti con entrambi gli aspetti. A questo
fine la struttura a scheletro è il sistema costruttivo più adatto.”12
Peter Carter nell’introduzione da lui curata sull’opera di Mies scrive: “Mies
van der Rohe’s Knowledge of the possibilities and limitation of the materials
with which we built – and particularly those which are typical and unique to
our time such as rolled steel section and large sheet of plate glass – enabled
him to develop their respective potentialities as elements of construction to
a level of poetic expression.”13
L’utilizzo e le innovazioni della struttura a telaio come abbiamo già osservato, hanno permesso la nascita di nuovi linguaggi architettonici, diversamente inclini a farsi carico della responsabilità di rendere o meno l’aspetto
strutturale parte evidente dell’architettura. Abbiamo anche già aanticipato
che rispetto alle svolte della scuola di Chicago, e attraverso l’opera di Le
Corbusier e Mies, la struttura e la forma dello spazio prendono direzioni separate nella definizione dell’opera architettonica, o meglio convivono come
soggetti distinti all’interno del progetto. Questo ha permesso loro di giungere
così a dei veri postulati teorici che fungono da definizione di un nuovo sistema operativo legato in entrambi gli architetti alla capacità di dare vita al
concetto di pianta libera.
La libertà di pianta permette lo slittamento dei piani rispetto al dato struturale, attivando così nuove capacità espressive verso lo sviluppo di tensioni e di
relazione fra le parti costituenti di ogni singolo progetto architettonico. L’architettura di Mies, rappresenta in questo senso la massima espressione della
potenzialità tensionale dei singoli elementi compositivi. La ricerca linguistica
condotta alla sua estrema semplicità e chiarezza, avviene attraverso l’uso di
elementi unitari, muro, colonna, in una ricerca di ordine geometrico “classico”. Ciò che emerge è l’estrema importanza che assumono in pianta questi
valori. La colonna soprattutto in Mies assume un ruolo chiave, assumendo
il ruolo di lemento puntuale della delimitazione ottenuta per assenza. Nella
storia dei suoi progetti la colonna assume la forma cruciforme, elemento
questo di minuzia costruttiva e di tensione materiale, sino alla sezione ad H,
figura di estrema e massima purezza materiale, di ritorno alla forma perfetta in cui forze statiche, materia, e campo di applicazione determinano la
forma assoluta del singolo elemento figurativo, in questo caso dell’acciaio.
Il materiale assume così la funzione che gli è propria. Dai disegni degli edifici
da lui progettati, emerge, inquesto senso, una chiara continuità tra disegno
e costruito in una sorta di continuità assoluta.
12
Mies Van Der Rohe, testo del 1927, in Kenneth Frampton, Storia dell’architettura moderna, Zanichelli, Milano, 2006, p. 187
13
Peter Carter a cura di, Mies van der Rohe at work, Phaidon, London, 1999, p. 23
fig. 1 foto pagina precednte, Mies Van Der
Rohe, Lake Shore Drive Apartment, 1948-51.
fig. 2 e 3 Mies Van Der Rohe, Lake Shore
Drive Apartment, foto degli spazi abitativi,
1948-51.
fig. 4 Mies Van Der Rohe, Lake Shore Drive
Apartment, 1948-51, atrio di ingresso.
1
3
2
Il precedente del Padiglione tedesco all’esposizione internazionale di Barcellona del 1929, assumerà il ruolo di atto sperimentale nell’utilizzo, su una
pianta libera degli elementi costitutivi, del gioco delle tensioni e dello scorrimento dei piani all’interno di una maglia strutturale puntuale e definita. L’uso
delle pareti libere, può conformarsi nella sua massima capacità espressiva,
separando così “struttura e spazio” 14 in due definite categorie figurative. Il
principio di continuità spaziale si manifesta come nuova forma di linguaggio15. La riduzione dello spazio viene descritta dallo slittamento delle pareti e
dalla dissoluzione dei margini spaziali tra interno ed esterno producendo la
trasparenza come parte del linguaggio compositivo.16
Questa definizione dello spazio sarà determinante per l’esperienza Americana, di Mies come dimostrano i Like Shore Drive Apartaments a Chicago
del 1951, dove nonostante la rigidità del telaio in acciaio, la libertà in pianta
viene preservato, come anche la continuità tra intenro e esterno.
In questa visione Mies sviluppa l’intero edificio come una sorta di macchina.
Tutto è ricondotto al minimo. La struttura a telaio in acciaio è pensata in
funzione del materiale e delle sue caratteristiche di assemblaggio, le piante
interne sono condotte al minimo delle loro partizioni con la prevalenza di
uno spazio aperto.
La facciata elemento fra i più importanti diventa espressione dell’architettura attraverso l’uso del curtain-wall pensato in sistemi modulari in carpenteria
metallica, a generare una sorta di pelle trasparente, di tessitura ricondotta
alle potenzialità del materiale utilizzato. L’elemento seriale, che abita la facciata, funge da filtro architettonico, il materiale da costruzione, acquista la
sua più alta capacità espressiva.
Ogni elemento è controllato e disegnato secondo la più chiara e rigorosa
logica industriale che, nel linguaggio architettonico, porta alla sua massima
espressività il materiale da costruzione.
L’edificio così si compone di telaio, facciata continua, e partizioni interne,
il tutto ricondotto alla modularità e serialità, in funzione della velocità di
montaggio e economicità di produzione. Tutto è esplicito, e diviene dichiarazione del rapporto tra composizione, costruzione, struttura e materiale da
costruzione. Questo diventa nella sua concezione formale un tutt’uno; l’architettura prende vita attraverso un atto prefigurativo di selezione estrema,
ogni elemento è concepito ridisegnando o reinterpretando la sua forma
madre. Una semplice trave ad H in acciaio, dipinta di nero assume un ruolo
spaziale all’interno dell’organismo architettonico. La struttura si fa limite dello
spazio.
Il tema compositivo, si sviluppa in pianta attraverso un principio governato
dall’assenza, ogni elemento è ricondotto al minimo denominatore, lo spazio
cartesiano è il vero protagonista.
Il processo compositivo che, fissa le linee direttrici nella struttura, e gioca con
il movimento di piani per la partizioni dello spazio interno, ricorda per certi
versi i presupposti teorici del movimento De Stijl.
L’esempio dimostra come di fronte a una razionalità apparente che caratterizza l’opera di Mies, prevale il forte intento risolutivo e creativo di una ricerca spinta sino al limite delle risultanti di ogni elemento costitutivo, verso la
14
15
16
Cfr. Ludwig Hiberseimer, Mies Van Der Rohe, Città Studi Edizioni, Torino, 1993, p. 23
Cfr. Ibidem
Bernhard Hoesli, Commentary, op. cit., p.71.
fig. 1 Mies Van Der Rohe, Lake Shore Drive
Apartment, 1948-51, sistema costruttivo modulare
fig. 2 Mies Van Der Rohe, Lake Shore Drive
Apartment, foto degli spazi abitativi, 194851, Cantiere.
1
2
definizione dell’opera architettonica.
Per Mies l’obbiettivo principale è rendere la struttura e il materiale da costruzione il mezzo di definizione dell’architettura e del suo linguaggio espressivo.
Di fronte al principio di standard, e di elemento seriale, Mies, riesce a dimostrare la potnzialità di un principio risolutivo universale col quale giungere alla
definizione della perfezione come espressone del dato minimo, l’esseza di
tutte le cose, o meglio il loro principio di affermazione.
Egli ha dimostrato come di fronte alle limitazioni imposte dall’uso delle strutture in acciaio sia possibile sviluppare infinite soluzioni.
“[…]se l’architetto intende usare questo materiale nelle forme in cui è prodotto: pilastro ad H, travi a I, ferri a U e ad L. Mies ha dimostrato come all’interno di tali limitazioni sia possibile una piena libertà di espressione.”17
La grammatica, dal punto di vista compositivo, acquisisce come elementi
“fonetici” le figurazioni dei profili standardizzati.
La forma del materiale, conserva in se, la sintesi estrema delle forze che la
generano. Le partizioni verticali attrezzano le quinte prospettiche dello spazio. Pilastri e paramenti verticali scorrono sino a toccare il limite della tensione spaziale.
L’utilizzo di elementi standardizzati di produzione industriale, entrano in gioco
nella composizione dello spazio, in una sorta di unicum, la colonna cambia
il suo “fonema”, in funzione del materiale di cui è fatta, un profilato estruso,
che all’interno del sistema di pianta assume una precisa nuova configurazione sintattica. Evolve quindi il linguaggio compositivo che si carica di espressioni figurative o “fonemi” della tecnica. La concezione della fabbrica si formula attraverso un processo di trasposizione degli elementi standardizzati in
figure inserite nel piano.
I tamponamenti di facciata, si manifestano come elementi di una trama, di
una tessitura per parti. Man mano che la tessitura si reitera nel principio di
modularità nel quale si definisce prende vita il ritmo, la partitura, il tema che
definisce l’idendità specifica dell’edificio.
17
Ludwig Hiberseimer, Mies Van Der Rohe, op. cit., p.39
fig. 2 Diagramma di lettura del ritmo di facciata attraverso la tessitura per parti; (a lato) sviluppo della faccita.
fig. 1 Diagramma di lettura degli elementi costituenti la facciata sia da un punto di vista costruttivo che per il dato compositivo ottenuto
per sovrapposizioni do elementi. Il dato si manifesta come una struttura tessile, per sovrapposizione e scorrimento di elementi. La modularità genera, nella ripetizione, la facciata per sovrapposizione di elementi.( M.M.)
fig. 2 Diagramma di lettura degli elementi costituenti la pianta. Interazione fra struttura e elementi interni di tamponamento.
Dalla letura emerge la definizione strutturale come maglia per punti definiti dove si inseriscono le partiture di tamponamento fra i diversi
ambienti. (M.M.)
Fast Track
18
(Progettazione Integrata e simultanea)
Della prima metà del novecento sotto la propulsione economica di uno sviluppo sempre più lanciato verso l’economia industriale e tecnologica legata al concetto di “tempo è denaro” si definiscono le basi per la nascita di
quello che si andrà definendo verso gli anni Sessanta il Fast Track o meglio
un sistema di progettare e costruire basato sulla simultaneità delle azioni di
progettazione e costruzione.
Nello specifico il progetto si basa sulla capacità di controllare e standardizzare sia il prodotto architettonico che la sua costruzione ma anche di standardizzare i sistemi di progettazione. Non a caso nel sistema del fast track la
predominante è la capacità, una volta sviluppato il progetto di base, di iniziare a progettare a scalare anche tutti gli apparati tecnici necessari sino a
giungere per assurdo alla contemporaneità delle azioni progettuali o simultaneous engineering. 19 In questo processo progettuale le opere di cantiere
iniziano ancor prima che tutti gli elementi progettuali siano definiti, o meglio
si definiscono in parallelo alla costruzione. In questo senso fast track sta per
processo progettuale veloce e contemporaneo alla fase di realizzazione.
Uno dei primi esempi di questo tipo di organizzazione progettuale, è rappresentato dalle sperimentazioni americane degli anni Sessanta. In un clima di
sviluppo radicale del paese, dovuta al benessere economico, si è manifestata un’alta propulsione speculativa.
Come abbiamo visto anche in precedenza la costruzione degli appartamenti al Lake Shore Drive di Mies era caratterizzata da una defiizione progettuale fatta per elementi prefabbricati stndard. La loro capacità di assemblaggio era in grado di ridurre i tempi di costruzione, garantendo un
forte abassamento dei costi e una rapida risposta alla richiesta immobiliare. L’evoluzione di questo processo di edificazione si andrà affinando sino
a formulare un sistema parallelo di azioni simultanee nella costruzione del
progetto e nella progettazione stessa, al fine di abbattere ancor più la tempistica di produzione e quindi dei costi. Proprio in questo senso all’interno
del Fast Track il progettista svolge un ruolo chiave; nel momento stesso della
formulazione del progetto, egli deve concepire delle soluzioni e dei sistemi
progettuali in grado di garantirgli la possibilità di gestire logicamente anche
le componenti di varianza rispetto al progetto madre.
Il sistema progettuale, normalmente, prevede che il progettista pensi concepisca l’opera, e poi in seconda battuta vada ad interagire tutte quelle
necessarie mutazioni tecniche dovute a questioni strutturali, impiantistiche, e
di cantiere. Nel fast track tutto questo è quasi simultaneo, a partire dal con18
Cfr. Nicholas Adams, Skidmore, Owings e Merill - SOM dal 1939, Electa, Milano, 2002
19
Per simultaneous engineering s’intende un insieme pianificato e coordinato di metodologie, tecniche e strumenti, che consente un approccio alla progettazione integrata di
un prodotto (concetto già anticipato da Walter Gropius) e del relativo processo produttivo.
L’obiettivo di questo vero e proprio processo di progettazione tende a ridurre drasticamente
i tempi di sviluppo e i costi dell’opera, consente inoltre maggiore flessibilità alla progettazione
e alla produzione. La questione più delicata di questo sistema è che se non ben coordinate le
diverse figure professionali nello sviluppo progettuale, intervengono nel progetto le così dette
“interferenze”. (Cfr. Nicola Sinopoli, La Tecnologia Invisibile, Franco Angeli Editore, Milano, 1997,
pp. 46 - 50)
fig. 1 pagina precedente, SOM, Inlnd Stell
Company, 1957, foto dell’edificio completato.
fig. 2 SOM, Inlnd Stell Company, 1957, fasi
di cantiere.
2
cepimento dell’opera, a scalare seguono tutte le componenti che entrano
in gioco nella definizione dell’opera, quindi del progetto.
L’architetto in questo senso è costretto all’interno di linguaggi definiti dalle necessità della produzione e della tecnica, attraverso un’operazione di
standardizzazione anche dei nuovi elementi che caratterizzano il carattere
figurativo dell’opera.20
La sviluppo progettuale viene pertanto influenzato dai dettami del processo
produttivo edilizio fin tanto che ne determina anche un suo specifico linguaggio.
Un esempio di applicazione dei principi processuali del fast truck lo possiamo ascrivere all’opera dei SOM - Louis Skidmore, Nathaniel Owings e Johon
Merill. Lo studio associato trova la sua origine, ponendo al centro del loro
sistema progettuale, il principio di simultaneità d’azione nella definizione
dell’opera. Nasce con questo l’intento di offrire la capacità progettuale e
ingegneristica e di controllo manageriale del progetto, dalla sua concezione sino alla costruzione finale.
L’opera più significativa è rappresentata dall’edificio della Inland steel Company progettato e costruito tra il 1956 e il 1957. Il carattere progettuale è
vicino alla concezione razionalista del movimento moderno, in accordo con
quei sostenitori del processo funzionale, “l’edificio era il prodotto degli spazio
che servivano”.
L’edificio realizzato si compone di due elementi principali: un torre rettangolare alta diciannove piani, in vetro e acciaio inossidabile, e una torre di
servizio di venticinque piani. La torre di vetro contiene gli spazi funzionali degli uffici, la torre ausiliaria contiene gli impianti, gli ascensori e e le scale di
accesso. Nel sottosuolo sono posizionati i parcheggi di servizio.
La struttura portante della torre ad uffici si manifesta attraverso lo spostamento dei pilastri portanti ai lati dei solai, liberando completamente
La pianta di ogni piano da possibili interferenze.
“Facciamo qualcosa con i contrafforti, come la Cattedrale di Notre Dame.
Ecco perché ci sono tutti questi contrafforti. Non esiste un pilastro dentro
questo edificio. I montanti sono tutti all’esterno. E’ tutto costruito a sbalzo.”21
La torre di servizio invece ridotta e posta nella parte retrostante, permette di
aprire la facciata alla città senza limitare la presa diretta di luce.
Nella fase progettuale dell’opera, la funzione stessa del processo di cantierizzazione diviene parte del processo progettuale. Tutto e ricondotto alla
funzione:
forma=funzione=standard=economicità22
dettato dal simultaneous engieneering.
Il sistema che sta alla base della sua concezione è di dare forma all’edificio
a partire da metodi innovativi di business planning, essa rappresenta un’ico20
Un esempio si delinea attraverso dalla costruzioni di elementi standardizzati, concepiti
appositamente per l’opera arcitettonica che si va a produrre. In questo senso, ad esempio i fogli
di titanio del Guggenheim di Bilbao di Frank Gehry, conservano un principio di standardizzazione del prodotto attraverso l’individuazione della chiave seriale che permette di descrivere poi
le forme dinamiche che caratterizzano l’opera e ne definiscono la sua singolarità.
21
Nicholas Adams, Skidmore, Owings e Merill - SOM dal 1939, op. cit., 2002, p.105
22
Cfr. Christopher Alexander, Note sulla sintesi della forma, Il Saggiatore, Milano, 1967
2
1
fig. 1 MIes Van Der Rohe, Casa Farnsworth,
Illinois, 1950
fig. 2 SOM, Inlnd Stell Company, 1957, planimetria di progetto.
na sullo skyline di Chicago.
“La torre è l’incarnazione del progresso di forma intorno ai bisogni del mercato globale e dinamico.“23
Le parti interne dell’edificio progettato dai SOM, grazie alla libertà di pianta,
ottenuta dallo spostamento degli elementi portanti in facciata, permette la
formulazione distributiva degli uffici in base alle necessità funzionali di ogni
singolo fruitore. Tutti gli elementi, come una sorta di kit, sono stati disegnati
dai progettisti, dai pannelli di tamponamento sino agli arredi. Viene pensato
un vero e proprio sistema integrato, flessibile e adattabile anche alle esigenze di mercato. Un passo avanti verso la pianta libera e flessibile, funzionale
alle esigenze di tempi diversi, creando uno spazio attento alla vita dinamica
dell’edificio e di chi lo abita.
Esso rappresenta, l’incipit di una svolta verso una nuova concezione autocosciente del progetto architettonico a partire proprio dall’introduzione all’interno del progetto di tutte le componenti e di tutti gli attori necessarie allo
sviluppo dell’organismo edilizio, compreso il tempo e le sue variabili.
Dal punto di vista processuale, assistiamo alla prima vera integrazione fra tutte le professionalità che definiscono, come in una sorta di organismo vivente, tutte le parti costitutive del progetto necessarie alla sua conformazione.
Rimangono comunque evidenti, alcune citazioni linguistiche, riconoscibili
agli edifici di Mies Van Der Rohe.
La partizione della facciata, ritmata dalle aperture modulari in vetro e dalle
nervature verticali che ne definiscono il telaio, sono un chiaro richiamo alla
tessitura prefabbricata in acciaio, utilizzata già da Mies.
Non ultimo la scelta della pianta libera, completamente in grado di assorbire le necessità funzionali future attraverso il posizionamento in facciata delle
componenti portanti della struttura. Forse un richiamo alla composizione sviluppata da Mies nella Casa Farnsworth del 1945-50, dove le strutture portanti
verticali, formate da profilati ad H, si posizionano esternamente al solaio in
acciaio, liberando completamente la pianta, sulla quale poi liberamente le
pareti.
23
Nicholas Adams, Owings e Merill - SOM dal 1939, op. cit., p.105
Le Corbusier
I piroscafi.
Una grande epoca è cominciata.
Esiste uno spirito nuovo.
Esiste una quantità di opere ispirate a questo spirito nuovo; opere
che si ritrovano soprattutto nella produzione industriale.
L’architettura è soffocata dalle convenzioni.
Gli stili sono una menzogna.
Lo stile è unità di principio che anima tutte le opere di un’epoca
ed è il prodotto di uno spirito caratterizzato.
La nostra epoca fissa ogni giorno il proprio stile.
I nostri occhi purtroppo non sanno distinguerlo.
C’è uno spirito nuovo: uno spirito di costruzione e di sintesi regolato
da una concezione chiara.
Checche se ne pensi oggi anima la maggior parte dell’attività
umana. 1
UNA GRANDE EPOCA È COMINCIATA
La pubblicazione del 1917, “d’Une Citè Industrielle” dell’architetto Tony Garnier, e i progetti per le “Villes-tours” di Auguste Perret, concorrono a rappresentare l’insieme delle influenze che ha condotto il giovane Le Corbusier a
formulare il piano per la città di tre milioni di abitanti.
A queste si aggiungono le esperienze formative del Werkbund tedesco attraverso le opere di Walter Gropius e Peter Behrens, come le officine Fagus
del 1922 e la Turbinenfabrique AEG del 1929. Questultima in particoalre, mostra la tendenza verso un nuovo modo di concepire l’architettura attraverso
il disegno pensato per l’industria, in cui emergono posizioni formali dell’architettura classica abilmente reinterpretate con la costruzione neo industriale
fatta di vetro e di acciaio.
Behrens“[…] si liberò dell’influenza dell’Art Noveau e raggiunse, nella Turbinenfabrik, quella forma di ascendenza Schinkeliana che Muthesius doveva
richiedere ai progettisti del Werkbund due anni più tardi.”2 L’atteggiamento
di Behrens d’impostazione neoclassica fu determinante per lo sviluppo di
nuove esperienze nell’uso dell’acciaio e del vetro, grazie alla sua ricerca di
una coerente rispondenza formale tra i nuovi materiai da costruzione e la
loro definizione figurativa.
In questo quadro storico europeo, Le Corbusier intraprende la ricerca di un
legame tra architettura e tecnica, elementi ormai alla base di una nuova
visione del mondo. Tale pensiero costituirà la base teorico-pratica per gli sviluppi della sua architettura e del processo di standardizzazione per elementi
del sistema linguistico e costruttivo delle sue opere.
Alla II conferenza degli Amis des Artes di Buenos Aires del 1929, disse: “Inizio
signore e signori, col tracciare la linea che può separare, nei nostri processi
1
2
Le Corbusier, Verso una architettura, op. cit., p. 67
Reyner Bhanam, Architettura della prima età della macchina, op. cit., p. 95
fig. Il disegno è di Le Corbusier, fa arte degli
appunti per la conferenza di Buenos Aires
degli Amis des Arts, pubblicato poi in Précision su un état present de l’architecture et
de l’urbanisme, Paris, 1930. Immagine tratta
da: Rosa Tamborrino, a cura di, Le Corbusier scritti, Giulio Einaudi Editore, Torino 2003,
p.117
percettivi, il campo delle cose materiali, degli eventi quotidiani, delle tendenze ragionevoli, dall’altro campo più particolarmente riservato alle reazioni d’ordine spirituale. Sotto la linea: quello che c’è; al disopra di essa: quel
che si prova”.3
Dal suo schizzo, quasi fosse un diagramma logico di classificazione gerarchica, emerge come le tecniche e le scienze moderne come l’economia e
la sociologia occupino il campo della ragione e siano posizionate alla base
degli strumenti a disposizione dell’uomo al momento dell’atto creativo.
(Nella rappresentazione gerarchica, Le Corbusier li pone all’interno di piatti uno posto sopra l’altro.) Viceversa al di sopra si posiziona il lirismo inteso
come: creazione individuale, sostento dalla ricerca del dramma, come poesia e ricerca del valore eterno. Alla sommità la frase che sintetizza e funge
da prodotto all’elenco dei fattori presenti nel diagramma:
Les techniques sont l’assiette mêmme du lyrisme.4
Le tecniche sono il piatto del lirismo, o meglio il suo contenitore. Questo ci
fa capire come la posizione verso le tecniche e la rivoluzione socioculturale
legata allo sviluppo industriale, diventino gli strumenti essenziali che l’uomo
possiede per raggiungere la massima espressione nelle sue arti. L’espressione è frutto di una “visione storica” rispetto alla rivoluzione culturale legata al
mondo delle macchine e dell’industria.
Dobbiamo ricordare che il clima espressivo nel quale Le Corbusier operava,
nel primo trentennio del Novecento, era improntato attraverso la rappresentazione e la ricerca del movimento; la velocità come rappresentazione
del tempo e del progresso, la velocità delle macchine.
Un periodo di ammirazione per le grandi scoperte ingegneristiche e scientifiche, nel quale, si andava formando una nuova estetica.
L’uso dell’acciaio e del cemento, materiali da costruzione, erano elaborati
in funzione della ricerca di una forma funzionale e ripetibile, si andrà verso il
disegno industriale.5
Nel 1923, dopo neanche un decennio dalla costruzione della Turbinenfabrik di Behrens e dalla conclusione della Fabbrica Fagus di Walter Gropius e
Adolf Mayer, Le Corbusier pubblica il suo libro manifesto Vers une architecture6, dove dichiara il suo interesse per l’architettura industriale, navale e della
macchina che costituisce una tappa fondamentale allo sviluppo della sua
ricerca estetica.
“Occhi che non vedono … 1. I Piroscafi:
Ingegneri anonimi, meccanici al lavoro tra la forgia e il grasso d’officina,
hanno concepito e costruito quelle cose formidabili che sono i piroscafi. Noialtri uomini di terra manchiamo della capacità di valutazione e dovremmo
essere condannati, per imparare a esultare davanti alle opere della rigenerazione, a percorrere i chilometri di strada che costa la visita di un piroscafo.
3
p.176
4
5
Rosa Tamborrino, a cura di , Le Corbusier Scritti, Giulio Einaudi Eitore, Torino, 2003,
Ivi, p.177
Cfr. Gillo Dorfles, Introduzione al disegno industriale, Einaudi, 2001
[ … ] Una casa è una macchina per dimorarvi.” 7
“Occhi che non vedono … 1. II Gli Aeroplani:
[ … ] Quando una cosa risponde un bisogno non è bella: appaga semplicemente una componente del nostro spirito. [… ] L’ARCHITETTURA è l’arte
per eccellenza, che raggiunge lo stato di magnificenza platonica, l’ordine
matematico, la percezione dell’armonia attraverso rapporti di proporzione.
Ecco il fine dell’architettura.”8
Si potrebbe pensare che la direzione intrapresa porti ad un ripensamento
generale sulle componenti dell’architettura e sulla acquisizione di quei fattori, quali la tecnica e l’ingegneria, adattati alle necessità dell’uomo moderno, ma soprattutto ai suoi processi logico meccanici che trovano un risvolto
anche nel pensiero creativo soprattutto rispetto al mondo delle idee, cosa
che nei prossimi capitoli andremo ad analizzare.
La ricerca di uno standard e la propensione per la tecnica, in Le Corbusier, a
differenza delle posizioni espresse nell’ambito del Werkbund sulla questione
dell’alloggio minimo, assume un carattere preminentemente diverso. In esso
vi si instaura la ricerca non tanto di un prodotto seriale standardizzato o di
una misura minima, ma bensì di un aspetto legato alla misura umana. Alla
ricerca di un rapporto matematico universale, che ponga al centro di tutto
l’uomo come accadde in epoca Rinascimentale.
Lo standard non è solo frutto di un processo razionale e meccanico che mira
alla semplice equazione con la macchina. Lo standard risiede nella misura
al cui centro è posto l’uomo.
Il Modulor in questo senso individua nella misura, il rapporto rispetto al quale
tutto ricondurre, una misura di controllo, regolata da principi logici e razionali, ma sempre riconducibili alla scala umana. Le Corbusier porta avanti una
ricerca, in questo senso, che si sviluppa su due vie distinte: una indirizzata
alla ricerca di uno spazi regolato da leggi universali, l’altra in funzione della
prima, che riconduca alla centralità del’uomo rispetto al mondo.
La questione meccanica mostra la sua estetica attraverso la formulazione
dell’opera architettonica concepita per parti. L’architettura si carica delle
dimensioni ricondotte al Modulor. Si afferma così, un sistema di misura in grado di fungere da tramite tra la dimensione tecnica e la dimensione umana.
Le Corbusier però oltre a definire la questione della misura (del Modulor),
pratica una sorta di cassazione, di elementi tipo, che gli permettono di costruire un sistema compositivo nella logica dell’assemblaggio, paradigma
della nuova estetica industriale.
Non imita la forma del prodotto industriale, ma ne interpreta la sua grammatica per trasferirla in architettonica, e soprattutto in ambito compositivo.
Scompone l’organismo architettonico per parti. La costruzione diviene così,
il prodotto di un montaggio di elementi finiti che assumono propri significati,
ed hanno poi, attraverso il montaggio un principio di unitarietà.
Una via analitica che conduce alla composizione dell’opera ed alla sua
costruzione. “[…]le diverse unità parziali, da cui risulta l’unità generale di un
7
8
Le Corbusier, Verso una architettura, op. cit., p. 70
Ivi, p. 86
1
2
3
4
fig. 1 Le Corbusier, Immuble Villas, vista
dell’edificio da 120 ville sovrapposte, 1925
fig. 2 Le Corbusier, Sistema di costruzione
Dom-ino, 1914
fig. 3 Le Corbusier, diorama de la cité contemporaine pour 3 millons d’habitants, presentata al Salon d’automme a Parigi nel
1922
fig. 4 Le Corbusier, modello del Plain Voisin
del 1922
edificio, e che si definiscono: Unità di sistema o principio; unità di concetto
o di composizione, unità di pianta, unità di alzato, unità di decorazione e di
ornato,unità di stile e di gusto”9, costituiranno la base teorica di Le Corbusier
per la definizione dei “cinque punti”: i Pilotis (piloni); i Tetto-giardino (tetto
a terrazza); il Plan libre (pianta libera); la Facciata libera; la Fenêtre en longueur (o finestra a nastro).
Uno dei primi prototipi sviluppato nella logica del montaggio a secco per
elementi tipo/standard, è sviluppato nello studio delle Maison Domino, e si
definisce attraverso l’evoluzone del sistema MAS – maison a sèc.10 Esso si
compone di un sistema a telaio in calcestruzzo, montato a secco alternativo
all’uso dell’acciaio che, pur mantenendo il suo carattere industriale e seriale, permette lo sviluppo pratico dei già citati “cinque punti”.
Lo spazio interno è riconducibile all’utilizzo del Modulor, applicato come: sistema di verificazione e di controllo logico della costruzione e come controllo di uno spazio biologicamente adatto all’uomo.
Su questa linea teorica Le Corbusier sviluppa le sue ricerche più importanti
in merito all’unità minime d’abitazione, che occuperanno gran parte della
vita progettuale a partire dalla Ville Radieuse e dal Plain Voisin11 del 1925.
Un intero quartiere di Parigi riprogettato in funzione della nuova concezione
di città ideale, nella quale reticoli di strade ortogonali, grandi aree verdi e
grattacieli cruciformi garantivano una qualità di vita moderna e ordinata,
soprattutto regolata dalle nuove logiche funzionali della vita moderna.
Gli alloggi erano a misura d’uomo, secondo il progetto dell’immeuble Villas
presentato nel padiglione dell’esprit noveau del 1925 a Parigi.
“La modernità s’intreccia con l’esistenza umana, l’alloggio è parte di questa, come rifugio dell’anima e dello spirito moderno vive una tumultuosa
trasformazione. Allora, questo eterno processo della storia si ripeterà di nuovo: la creazione dell’alloggio, prodotto dell’invenzione degli uomini: etico
ed estetico. Prodotto anche dell’ingegnosità: la grande industria si impadronisce dell’edilizia! Uomini e macchine si mettono d’accordo, sensibilità
e matematica, mentre numeri forniscono le messe dei rapporti prodigiosi: il
reticolo e le proporzioni.”12
L’opera che permetterà a Le Corbusier di applicare le sue teorie è rappresentata dal progetto per l’Unitè d’Habitation di Marsiglia, che basa la sua
conformazione sull’utilizzo di quindici misure derivate dal Modulor. “Questo
edificio immenso, lungo centoquaranta metri e alto settanta metri, ha un’a-
9
A.C. Quatremère De Quincy, Dizionario storico di architettura, trad. di A. Mainardi, Mantova
1842-1844, voce “Unità”; riportato nelle dizione a cura di: V.Farinati, G. Teyssot, Venezia 1985, p. 283
10
Cfr. Francesco Tentori, Vita e opere di Le Corbusier, Laterza, Bari, 2007
11
Il Plan Voisin era il nuovo piano per il cento direzionale e residenziale di Parigi (1922-25), sviluppato all’interno del programma di studi decennale che conduce allo studio della - Ville Contemporaine pours trois millons d’habitants -, fino ai progetti per Algeri. “La città del Sole, così definita in contrapposizione con l’ideale storico di Parigi conosciuta come la città del Re Sole, si pone come obbiettivo di
fissare in modo paradigmatico lo scontro con la città reale in una utopia concepita non soltanto come
presente possibile ma persino come eterno presente”. (Cfr. Marcello Fagiolo, Le Corbusier versus Paris.
Dal Plan Voisin alla Ville Radieuse: il cimitero della storia.). Il centro di Parigi doveva essere rinnovato e
ricostruito su se stesso, come fenomeno biologico e geografico. (Cfr. W. Boesiger, H. Girsberger, Le Corbusier 1910-1965, Zanichelli, p.316-320)
12
Le Corbusier, Il Modulor. Saggio su una misura armonica su scala umana universalmente applicabile all’architettura e alla meccanica, Gabriele Mazzotta editore, 1974, Milano, p. 110
fig. 1 Unitè d’Habitation, Tracciati Regolatori. In alto il Modulor, sotto riproduzione dei rapporti geometrici della sezione tipo dell’unità di
base duplex, a seguire tracciati reolatori delle facciate. (M.M.)
spetto familiare e intimo: è a scala umana in tutta la sua altezza.”13
Il processo creativo qui è fortemente regolato da due componenti fondamentali, la regola e la funzione. Da un estratto del libro Il Modulor, pubblicato
nel 1954, possiamo comprendere dalle parole dello stesso Le Corbusier l’importanza del nuovo pensiero:
“14 Febbraio 1946: Un foglio di istruzioni per l’ATBAT
1)
Applicare una regola aurea a scala umana (il Modulor) per la preparazione dei piani di un prototipo di abitazione (una unità di abitazione di
grandezza conforme).
2)
Architettura: a)lunghezza; b) pavimenti pannelli, pareti e soffitti; c)
altezze; d) volumi.
3)
Architettura: cellula di appartamento o piccola casa, casa.
4)
Architettura: cellule o piccole case.
5)
Cellule o piccole case (combinazioni)
6)
Architettura: pannelli: a)pareti; b) soffitti; c) pavimenti.
7)
Architettura e urbanistica
8)
Architettura tecnica e d’ingegneria (ossatura)
Questo foglio d’istruzioni, destinato ai tecnici, mostrava l’utilità di introdurre
in tutti i luoghi determinanti dell’opera (una vasta unità di abitazioni capace di ospitare da 1500 a 2500 persone) i benefici di un dimensionamento
armonico.
Preparato da venticinque anni (1922) e rimesso in cantiere dieci volte nel
corso degli anni, questo studio doveva approdare alla costruzione attualmente in corso a Marsiglia, dove sono applicati i metodi più avanzati delle
tecniche del costruire.”14
Tutto è ricondotto ad un controllo di misura, la misura è l’elemento ordinatore, la regola, piuttosto che il materiale da costruzione. Questo comporta
un’influenza estrema sul controllo ideativo del progetto, spostando anche
la stessa tecnica di visualizzazione del progetto attraverso un processo per
immagini di risoluzioni procedurali, frutto di una derivazione logica.
Alla base della concezione vi è il pensiero logico matematico, i processi cognitivi di controllo sistematico sono sviluppati per giochi d’insiemi funzionali
e tipologici. Come vedremo più avanti, il processo creativo si approprierà
di sistemi di controllo matematico per la gestione della stessa formulazione
del progetto. Per progetti complessi come in matematica, la necessità è la
semplificazione, per semplificare è necessario ricondurre il processo logico a
formule primarie di risoluzione.15
In fondo l’architettura è la risposta a un problema posto. Nel caso specifico
il problema è la costruzione di alloggi minimi, a basso costo e rapidamente
realizzabili nel rispetto delle necessità della vita moderna e dell’uomo. La
soluzione sta nella risoluzione del problema posto, e in questo la matematica
13
14
15
Cfr. W. Boesiger, H. Girsberger, Le Corbusier 1910-1965, Zanichelli, p. 291
Ivi, p. 114
Cfr. Chritopher Alexander, Note sulla sintesi della forma, op. cit.
fig. 1 Le Corbusier studio tracciati regolatori
alloggio tipo. (FLC 29289)
fig. 2 Le Corbusier, Diagramma dimostrativo
della capacità di densità abitativa dell’Unitè rispetto al classico sistema di schiere
che avrebbe occupato gran parte del suolo.(FLC 29265)
1
2
assurge a dare una risposta, attraverso l’introduzione della logica matematica degli insiemi, figlia della cultura tecnica e guida della gestione dei processi di concezione dell’architettura.
L’Unitè di Marsglia viene commissionata a Le Corbusier nel 1945 dal Ministero
per la ricostruzione, concedendogli di applicare la sua concezione di casa
moderna destinata alla classe media.
“L’unitè constitue une pro position d’habitat pour les novelles génération de
la société macchiniste”16
L’unitè prevedeva 23 tipi di alloggi diffrenti: per singol, coppie, coppie con
due figli, coppie con due o quattro figli, coppie con tre o cinque figli. In
totale 337 appartamenti raggruppati in 130 metri di lunghezza e 56 metri di
altezza, dotte di tutti i sevizi necessari tra i quali anche la zona commerciale
(panificio, supermercato, bar , ecc…), e la zona dei servizi collettivi (palestra,
nido, solarium, ecc…).
Se analizziamo i disegni di studio e preparatori del progetto dell’Unitè d’Habitation di Marsiglia risulterà evidente come i rapporti dimensionali degli
spazi sono dimensionati attraverso l’applicazione della misura di base che
Le Corbusier aveva ideato e che trova qui applicazione nella gestione del
progetto. Tutto è ricondotto al Modulor come unico elemento razionale di
controllo e verifica.
Possiamo altresì affermare, dal materiale documentale, che descrive l’opera nel suo complesso, come sia presente non solo un controllo matematico
e geometrico che regola il tutto da un punto di vista dimensionale e formale,
ma l’instaurasi di processi logici in grado di gestire il progetto e il suo funzionamento. La questione del programma è alla base dello sviluppo spaziale.
Nello sviluppo del progetto entrano in gioco calcoli matematici e diagrammi funzionali in grado di indirizzare il progetto attraverso risoluzioni logico deduttive, proprio come se risolvessimo un problema matematico.
La sezione definita attraverso il gioco di incastro dei volumi rispetto alla strada centrale di accesso alle abitazioni, definisce lo sviluppo despaziale degli
alloggi, a cui poi viene attribuita in pianta la distribuzione interna.
La questione processuale è messa in atto da questo primo sistema di visualizzazione dove, il sistema combinatorio dei volumi(definiti con le lettere x y z a)
costituisce il processo di prefigurazone e controllo del sistema combinatorio
dell’insieme degli alloggi che compongono l’edificio.
L’introduzione di sistemi di visualizzazione logica, come i diagrammi, svolgono un ruolo chiave di esemplificazione del controllo del processo progettuale.
I digrammi, nel caso dell’Unitè si manifestano come: come sistemi prefigurativi per la definizione dello spazio e del sistema di assemblaggio; sia come
sistemi di visualizzazione grafica e di controllo delle relazioni funzionali.
L’uso del diagramma, come controllo delle relazioni funzionali, emerge nel
disegno di organizzazione dei servizi comuni. Le Corbusier utilizza così il diagramma stabilire le relazioni funzionali secondo il concetto di unità di sistema
e di principio.17
16
Le Corbusier et Pierre Janneret, Oeuvre complète : 1938-1946, pubblicato da Willy Boesiger,
Erlenbach-Zurich, Les Editions d’Architecture, 1946. p. 177
17
Ci si riferisce alla volontà di organizzare l’intera “macchina da abitare” secondo un principio
di unitarietà sia formale che funzionale.
1
2
fig. 1 Le Corbusier studio sulla luce e il sole
rispetto alla conformazione delle Unitè.
(FLC 27211)
fig. 2 Le Corbusier, Scema di organizzazione
dei servizi pubblici (FLC 27145)
1
2
fig. 1 Le Corbusier, Studio diagrammatico sul
colore degli elementi di facciata dell’Unitè.
(FLC 27093)
fig. 2 Le Corbusier, Studio sul colore degli elementi di facciata dell’Unitè. (FLC 27098)
fig. 1 Le Corbusier, ricerca delle principali
combinazioni d’appartamenti, Foundation
Le Corbusier, (FLC 26294)
fig. 2 Le Corbusier, codifica delle principali
combinazioni d’appartamenti inserite nel
progetto, Foundation Le Corbusier, (FLC
26406)
In questo senso i diagrammi assumono non solamente un ruolo di rappresentazione spaziale, come nel caso delle sperimentazioni del movimento De Stijl
(scomposizione dello spazio per piani ) ma svolgono un ruolo d’identificazione delle relazioni e della gestione della macchina architettonica, concepita
nella sua logica funzionale e spaziale.
L’edificio funzionava come una sorta di grande meccano, ogni elemento
è controllato, e definito attraverso quel processo di verifica innescato dalla
definizione della misura in rapporto all’uomo.
Ovviamente l’aspetto meccanico, porta ad una drastica rigidità dovuta
alla ripetizione simultanea degli elementi costituenti, che viene contrastata
con una grande varietà di soluzioni spaziali.
Il principio di controllo delle singole unità, avveniva secondo un intricato sistema di incastro di elementi volumetrici funzionalmente predefiniti.
Quattro moduli base: X, Y, Z, A; permettevano di distribuire tutte le funzioni
associative necessarie.
X =livello strada interna, Ingresso, cucina, sala da pranzo,
salavita comune
Y =docce, camere ospiti, bagni, sala vita comune
Z =docce, camere dei bambini, bagni
A =camera
Il loro assemblaggio secondo le necessità, formula 15 soluzioni di “unità alloggio” differente. Il loro incastro all’interno dell’edificio, genera una fitta
matrice che conduce a un’impercettibile variazione spaziale dall’esterno,
dove si percepisce chiaramente la partizione in cinque parti funzionali distinte: attacco a terra, l’albergo, strada interna, gli alloggi, copertura.
L’intero progetto si formula, seconda il principio diell’assemblaggio per parti.
L’aspetto dell’architettura come maccina prende così forma.
Dai disegni di progetto, emerge la chiara distinzione per parti dell’intero sistema compositivo così suddiviso :
- unità struttura
- unità spazio interno
- unità facciata
- unità attacco a terra
- unità copertura
Ognuno di questi elementi sottende a una gerarchia autonoma di elementi,
ricondotti al principio di unitarietà. Le regole che sottendono nella formulazione dello spazio interno si ripetono anche esternamente sottoforma di una
sovrascrittura testuale, tutto è ricondotto nel principio unitarietà attraverso
la serie. Ogni singolo elemento è concepito come elemento di serie, la variazione compositiva diventa l’unico elemento distintivo rispetto alla rigida
matrice imposta dal principio risolutivo.
Se osserviamo la composizione della facciata, possiamo selezionare tre caratteri grammaticali: il tamponamento verticale (parapetto), il frangisole, il
fig. 1 Unitè d’Habitation, studio delle unità tipo formulate da Le Corbusier e ripopizione della mtrice di controllo per l’inserimento degli
alloggi. (M.M.)
fig. Le Corbusier, ricerca delle principali
combinazioni in sezione, Foundation Le Corbusier, (FLC 27226)
foro aperto (vuoto). Tali elementi vengono formulati da Le Corbusier attraverso la costruzione di un piano compositivo seriale, la cui variazione definisce il carattere dei prospetti.
In tal senso si fa riferimento alla sovrapposizione di elementi, per mezzo
dell’assemblaggio, che conservano un carattere architettonico definito.
La sovrapposizione tra struttura, spazio interno e facciata, o la lettura dello
stesso prospetto principale come associazione di elementi bidimensionali, ci
permette di leggere chiaramente la struttura compositiva che si svolge per
sovrapposizione di piani.
In un certo senso tale sviluppo compositivo è individuabile come procedura
di formulazione compositiva per sovrapposizioni di “oggetti tipo” e trasparenze, che lascino emergere l’unità oggetto.18
Rimane da sottolineare come parte del processo progettuale l’uso del modello, come mezzo descrittivo del principio strutturale modulare nella descrizione dell’incastro. Il modello era ed è tutt’oggi un chiaro manifesto del
concetto di separazione tra struttura portante (il telaio) e struttura portata
(le unità tipo).
18
Cfr. B. Hoesli, Comentary,op. cit.,s p.48
fig. Le Corbusier, studio dell’allogio tipo,
Foundation Le Corbusier, (FLC 27226)
fig. 1 Unitè d’Habitation, Ridisegno dell’alloggio tipo. (M.M.)
1
2
fig. 1 Unitè d’Habotation di Marsiglia, Foto di
cantiere
fig. 2 Foto dell’opera conclusa
fig. 3 e 4 Riprese di vita intena
3
fig. 1 Unitè d’Habitation di Marsiglia, spaccato assonometrico. (M.M.)
fig. 1 Unitè d’Habitation, studio delle partiture di facciata. L’elemento standard definito da: briesoleil, parapetto e vuoto, generano attravrso la variazione il principio identitario che distingue i fronti e i vari piani. (M.M.)
fig. 1 Unitè d’Habitation, studio delle partiture di facciata. L’elemento standard definito da: briesoleil, parapetto e vuoto, generano attravrso la variazione il principio identitario che distingue i fronti e i vari piani. (M.M.)
Definizione della natura
processuale
II
fig. 1 Definizione degli elementi costruttivi e
costitutivie dell’architettura, in nine square
grid, da Education of an Architect.
Il processo progettuale
Per focalizzare la questione processuale, dobbiamo cercare di comprendere cosa intendiamo inannzitutto per processo. Il processo progettuale racchiude in sè, l’intera sequenza degli elementi e degli atti mirati alla costruzione del progetto. Per facilitarne la comprensione possiamo partire dallo
studio, che ipoteticamente potremmo svolgere per la progettazione di un
alloggio residenziale instaurando quello anticipatamente possiamo definire
processo lineare. Nel caso del processo lineare quello che cercheremo di
fare in prima istanza, sarà di estrarre dalla realtà, o prefigurare, un modello
unitario, per esempio: una famiglia che svolge nell’intera giornata determinate attività, ed avrà interessi, orari, condizionamenti,a cui dovrà rispondere la nostra configurazione spaziale. La risoluzione alla quale giungeremo
come risposta spaziale alla unità minima di vita, sarà “un’unità semantica,
cioè relativa ad un insieme omogeneo di segni il cui denotatum, elemento
fruitore, è costituito da un gruppo di comportamenti determinati dalla manifestazione esistenziale di un modello aggregativo umano elementare,”1 nel
nostro esempio la famiglia di cui si parlava precedentemente.
Quindi, possiamo affermare che il processo progettuale si manifesta nel momento in cui, posto un problema, si dovrà innescare quella successione di
operazioni e di fatti concomitanti che conduce alla soluzione dei problemi
posti, con una adeguata risposta.
“Per processo progettuale s’intende sinteticamente una successione consapevolmente organizzata di atti originati da un fine e destinati a realizzarlo.”2
Sulla questione della consapevolezza di tali atti vedremo poi come in realtà
coesistano anche elementi d’inconsapevolezza e incertezza progettuale,
soprattutto nel caso in cui ci riferissimo al processo stocastico o probabilistico. In questo caso il fatto processuale conduce al disvelamento dell’opera
senza per forza definirne le unità semantiche, ma individuando i parametri
generatori di massima: il suo massimo volume, il suo programma; sui quali poi intervenire senza una definizione di forma controllata ma in maniera
empirica o probabilistica (per tentativi). Questo aspetto lo affronteremo nei
paragrafi sulla fenomenologia del processo. Per il momento ci atteniamo a
considerare la questione processuale, come successione di atti consapevoli, unicamente valida, ove la sua validità, sta nella sua stessa attitudine di
auto verificarsi.
Il processo, per sua natura racchiude la cronistoria delle azioni attraverso
cui si manifesta lo sviluppo progettuale, e come tal è sempre ricostruibile e
verificabile.
L’organizzazione di tali atti procedurali, una volta che questi giungono a una
loro definizione, costituiscono la base per la formulazione di un metodo.
1
Cfr. G. Luca Giannelli, Processo Progettuale - Progetto e didattica, Libreria Editrice Fiorentina,
Firenze, 1972, p. 20
2
G.C. Argan, Enciclopedia Universale dell’Arte, Voce: progetto, Sansoni, Firenze, 1958
fig. Seconda di copertina della pubblicazione, CIAM Il Cuore della città.
In questo senso il metodo nella questione processuale rappresenta l’insieme
degli atteggiamenti, i modi di porsi, le azioni sviluppate durante l’atto progettuale, tale da farne un’attività di verifica, razionale e scientificamente
provata dallo svolgimento del processo. “Il metodo così, si presenta nel riconoscimento dei principi supremi dell’essere e del conoscere. […] Il metodo
in tale modo rientra nel più vasto problema ontologico.” 3
La questione del processo però non si sofferma alla sola rappresentazione di
uno svolgimento del progetto, o alla attivazione di una strategia progettuale attraverso specifici strumenti. Il processo porta con se anche implicazioni
legate a questioni più prettamente filosofiche, ove tra l’esigenza della tecnica e lo sviluppo formale di una architettura subentrano questioni legate
all’uomo e alle sue implicazioni. “Il processo così si appropria anche di una
questione più latente, legata al tempo delle preesistenze e delle necessità
umane rispetto alla questione dell’essere. Il riferimento filosofico, ci conduce a considerare gli sviluppi della fenomenologia, rispetto alla problematica del processo e della relazione, ritenuta soprattutto dagli architetti del
dopoguerra, un valido sostegno di evoluzione critica “dell’avanguardia
architettonica.”4
“Non mi nascondo le difficoltà di rispondere alle numerose domande che
sorgono alla nostra coscienza, e sollecitano dubbi e incertezze per le difficoltà di conciliare industrializzazione e umanità della casa. Si riuscirà veramente
a stabilire i limiti di rispetto tra individuo e collettività? Si riuscirà a tener conto
delle diverse abitudini, dei costumi dei popoli? Dei paesaggi?[...]. La risposta
a queste domande implica che il modello dell’edilizia possa essere concepito solamente come parte da comporre liberamente, non come posizione
risolta.”5
La questione legata all’individuo e al luogo, instaura una declinazione di un
modo di intendere la processualità come fatto esclusivamente logico. Ad
essa si accompagna una processualità storica, legata al tempo e alle preesistenze; legata all’uomo e alla collettività.
La grande critica del dopo guerra, intenta a ragionare sulle problematiche
generate da funzionalismo, mirato ad un concetto di universalità, nei CIAM,
conduce alla considerazione di: “[…] carattere geografico, […] di ordine
storico e sociologico. Nel centro funzionale si esplica la vita della relazione
tra gli individui di una comunità: è per precisare tale significato che abbiamo introdotto la parola cuore nel campo della tecnica urbanistica.”6
Il “Cuore della città”7 sarà il tema del VIII congresso dei CIAM a Hoddesdon
in Inghilterra, proprio ad indicare la necessità di re-instaurare la centrallità
del progetto, nella centralità della città e quindi dell’uomo e della società.
Questo susseguirsi di posizioni, rilettura delle questioni interne alla progettazione, trovano origine da un più complesso sistema di influenze, la ricostruzione
postbellica, la morte delle ideologie, e le scoperte scientifiche, e filosofiche.
“La filosofia ha introdotto la temporalità fra i costituenti essenziali del concetto di realtà; così è venuto a perdere il significato il concetto di – luogo di ri3
Cfr. G. Luca Giannelli, Processo Progettuale, op. cit., p. 31
4
Cfr. Ivi, p. 32
5
E. N. Rogers, Esperienza dell’Architettura, Einaudi Editore, Milano, 1958, pp. 85-86
6
Ivi, pp. 281-286
7
Cfr. E. N. Rogers, J. L. Sert, J. Tyrwhitt, a cura di, Il cuore della città: per una vita piu umana
delle comunità, Hoepli, Milano, 1954
1
2
fig. 1 Ernesto Nathan Rofers durante la trasmissione televisiva “La Casa dell’uomo”,
1953.
fig. 2 Ernesto Nathan Rogers, all’VIII CIAM
di Hoddesdon, 1951. Sono riconoscibili Jose
Lluìs Sert, Pietro Bottoni e Le Corbusier.
ferimento assoluto – della ragione dal punto di vista filosofico. Ha perso cioè,
di valore il concetto di realtà preconfigurata e statica, di fronte alla quale si
pongano la mente e lo spirito umani.”8
A partire dalle sperimentazioni del secondo dopo guerra la questione biologica, e quindi il concetto di natura, diventa centrale nel dibattito progettuale come elemento generatore del progetto, attraverso l’assunzione del presupposto temporale, sostituisce alla concezione classica della realtà “intesa
come insieme di cose quello di natura come fluire di eventi, cioè una realtà
processuale. In tal modo nessuno degli eventi del flusso può porsi, come
fatto indipendente, fuori di ogni relazione con la realtà, partecipe del processo essa stessa, nel suo divenire, costantemente relazionato e partecipe
dell’insieme.” 9
Il processo progettuale, quindi, conduce alla costruzione di una metodologia, circoscritta all’ambito di ogni singolo progetto e del territorio sul quale opera, in rapporto diretto con la realtà. La ricerca progettuale quindi, si
pone nell’ambito delle relazioni rivolte al luogo e alle sue interazioni.
Secondo Enzo Paci- le leggi significative ai fini della ricerca sono: “la legge
del campo”10 e il “principio di polarità”.11
Secondo Luca Giannelli12 “la prima stabilisce l’intorno nel quale il problema
è condizionato, pur consentendo, attraverso gli elementi stessi del campo,
una serie di scelte possibili capaci anche di produrre, sulla realtà notata
che costituisce la permanenza, un eventuale valore innovativo di questa,
o emergenza. La seconda fa presente la costante che ad ogni polo della ricerca, costituito da valori noti della logica, della tecnica o della stessa
astrazione scientifica cui il problema fa riferimento, corrispondano relazioni apparentemente estranee al campo palese della ricerca, ma che pure
indirettamente la influenzano, agendo sull’esperienza e sull’esistenza stessa
degli operatori impegnati in essa.”13
Ciò che possiamo trarre da quest’analisi è che il concetto di libertà assoluta,
nell’espressione architettonica, non è come può apparire garantita. La libertà assoluta, non esiste o meglio è limitata dall’influenza delle emergenze,
come pure è impossibile che egli sia soggetto al condizionamento di un totale determinismo, in quanto agisce rispetto a un ambito posto con il quale
entra in relazione diretta.14
Ovviamente, la selezione strumentale e processuale di costruzione del progetto e di costruzione del metodo, come abbiamo osservato, assumono
una configurazione/espressione dell’atteggiamento del protagonista (l’ar8
G. Sestieri, in “Architettura tre argomenti”, Quaderni, Università di Firenze, 1970, pag. 7
9
G. Luca Giannelli, Processo Progettuale, op. cit., p. 32
10
“Nel processo le forme sono relativamente permanenti ed emergenti. La permanenza è la firmitas, il durare di una costruzione nel tempo, secondo determinate strutture e un determinato e relativo
equilibrio; l’emergenza è il rinnovamento, l’apertura al futuro e alle possibilità- Di fatto ogni permanenza
è relativa: non esiste nel tempo permanere di un’identità. In compenso in ogni emergenza è condizionata dal passato e dal giuoco delle forze già realizzate che delimitano un campo. In quanto fantasia,
invenzione, ricerca e scoperta di nuove forme e strutture, linguaggio e arte costruiscono nuovi possibili
schemi.” (Enzo Paci, Problematica dell’architettura contemporanea, in “Aut Aut”,333, Architettura e
filosofia, il Saggiatore, Milano, 2007, p. 17)
11
Cfr. E. Paci, Dall’esistenzialismo al relazionismo, D’Anna Firenze, 1956
12 Luca Giannelli, docente e ricercatore che si occupò negli anni Settanta della questione processuale nel progetto d’architettura.
13
Cfr. G. Luca Giannelli, Processo Progettuale, op. cit., p. 32
14
A questo proposito, il caso dell’Unitè di Marsiglia rappresenta la manifestazione tra riconoscimento del luogo, e al contempo volontà determinista del progetto.
fig. 1 Palazzo di Katzura, Kyoto, Giappone
(secolo XVII). Immagine di apetura a Problemi di metodo, in Esperienza dell’Architettura
di Ernesto Nathan Rogers, 1958
chitetto), ed è ciò che determina poi, l’aspetto soggettivo del progetto stesso in quanto frutto delle sue idee e delle sue capacità di selezione delle
preesistenze.
Se questo comportamento è sollecitato, dalla crisi d’insoddisfazione di taluni
valori essenziali, riferiti all’architettura e alla società, questo attegiamento
risolutivo si manifesterà nell’intenzione di mutare la condizione relativa a quei
valori.15
Quando il protagonista (l’architetto) non si adagia nella passiva accettazione del campo di permanenza del problema, facendosi determinare da
queste ed ignorandone la crisi incipiente, quindi il problema stesso, realizza
quello che qualifica come comportamento progettuale innovativo, che è
anche “atto di gestione orientata a tenere sotto controllo il rischio e misurarne le conseguenze”.16
Naturalmente un simile atteggiamento è intenzionale, le forze condizionanti
delle soluzioni possibili esterne al campo degli interventi del progettista sono
tali da condurre lo stesso progettista a controllare l’incontrollabile, o a meglio di ricercare le regole per porsi in una posizione rassicurante.
Si tratta di lavorare su quella che Ernesto Nethan Rogers ha chiamato “l’utopia della realtà”, precisando che: ”l’universalità dovrebbe essere la parte
più spregiudicata della vita, libera da quei compromessi di ordine pratico e
contingente che appesantiscono l’esplicazione (e, perfino, la formulazione)
dei programmi di una società in divenire. Così si dovrebbe poter fare eccezione da certi limiti d’ordine economico o dai regolamenti […], cioè non velleitarie, anche se non immediatamente traducibili nella realtà di fatto; tale
impostazione dovrebbe contenere la possibilità di sviluppo quando mutino
le restrizioni contingenti.”17
In tal senso l’atteggiamento processuale, trasferirebbe quel carattere d’innovazione al progetto, costituendo quello che si definirebbe come nuovo
interagente tra ciò che permane e ciò che emerge dalla nuova configurazione.
Possiamo, in via generica, cercare di identificare una sequenza nello sviluppo del processo progettuale, attraverso quello che Giannelli identifica come
un procedimento per fasi, riferendosi però in questo caso alla questione didattica, o meglio alla trasmissibilità del processo progettuale. Nell’esame dei
vari gradi del procedimento progettuale, sostiene Giannelli, possiamo identificare le seguenti fasi fondamentali:
A_Esame del dato originario
B_Teorizzazione dei nuovi dati in ipotesi programmi o modelli
C_Trasferimento del modello in progetto
D_Traduzione del progetto in oggetto18
A questa sequenza, opponiamo una nostra formulazione, in considerazione
di un concetto più ampio di processo progettuale. Come vedremo in segui15
Cfr. G. Luca Giannelli, Processo Progettuale, op. cit., p.35
16
T. Maldonando, Comunicazione e semiotica, in appendice, a Analisi del linguaggio architettonico, di Koening G.K., LEF, Firenze, 1964, citato in Luca Giannelli, Processo Progettuale, op. cit.
17
E.N. Rogers, in “Utopia della realtà”, op. cit., p.12
18
Cfr. G. Luca Giannelli, Processo Progettuale, op. cit., p. 36
2
1
fig. 1 Il Campo Santo a Pisa danneggiato
dalla guerra. Immagine di apetura di Esperienza dell’Architettura di Ernesto Nathan
Rogers, 1958
fig. 2 E.Peressuti, Casa Ideale, pag. 80 di
Esperienza dell’Architettura di Ernesto Nathan Rogers, 1958
to, il processo progettuale si manifesta attraverso un principio di linearità,
Per linearità si intende lo sviluppo di un processo che si manifesta attraverso
un concetto di sviluppo temporale, come successione di azioni, quindi lineare. Nella sua manifestazione esso non si presenta solamente come sequenza diretta di eventi e azioni, ma prevede anche che le azioni progettuali e
prefigurative possano essere concomitanti, sovrapporsi, andare a ritroso.
Le fasi strutturali della sequenza progettuale non sono quindi logicamente
riconducibili a delle procedure determinate; ma in base alla procedura si
determinano delineando lo sviluppo del processo.
In questo senso ci sembra più proficuo sviluppare la sequenza processuale
attraverso la seguente successione di eventi.
A_L’esame dei dati e delle istanze di progetto
B_Scelta delle strategie19 di prefigurazione e figurazione progettuale
C_La costruzione del modello prefigurativo e dei programmi
D_Attivazione del procedimento processuale
E_Formulazione dell’opera
F_Verifica del sistema
G_Eventuale sviluppo teorico dell’approccio processuale20
Questo non vuole essere una rigida classificazione, ma una sequenza procedurale che si riscontra negli atteggiamenti e nelle manifestazioni progettuali,
una sorta di “passaggi” attraverso i quali si matura il processo progettuale
nelle diverse manifestazioni.21
La loro sequenza, può manifestarsi senza rispettare la dura logica della loro
classificazione, ma come accennato, i punti B,C,D possono essere concomitanti o prevedere un ordine diverso, mentre il punto E può come vedremo
nella fenomenologia coesistere, innescarsi e sovrapporsi ai punti B-C-D.
Questo gioco logico di sovrapposizioni di azioni e atteggiamenti determina
la questione processuale, che si manifesta attraverso le potenzialità prima
elencate.
Una questione, interna al processo sulla quale dobbiamo soffermarci, riguarda lo sviluppo del programma all’interno del processo. Esso rappresenta l’insieme delle procedure coscienti che mirano alla risoluzione del problema
posto. Il programma altro non è che la documentazione completa dello
svolgere del suo processo creativo; dalla interpretazione soggettiva delle
analisi necessariamente obiettive, allo studio di suggerimenti ambientali, via
via, fino ad una definizione degli spazi, e fino ad un embrione di forma.22
Il programma di lavoro non è quindi un qualcosa che ha come risultato una
19
Come vedremo in seguito, nella fase prefigurativa, non sempre lo sviluppo del progetto segue
vie canoniche. L’esperienza progettuale può considerare ad esempio come fonte di prefigurazione e
figurazione: il disegno in pianta, lo sviluppo in sezione, lo sviluppo attraverso dati strumentali, attraverso
sistemi diagrammatici, attraverso il modello fisico o digitale. In questo senso difficilmente si riesce a blindare il processo progettuale entro schemi predefiniti, ma quello che possiamo fare e fissare il punto in
cui si pone la definizione degli strumenti atti al suo svolgimento.
20
Quando questo assuma il ruolo di strategia consolidata, o metodo processuale.
21
Il processo in questo senso, secondo il concetto linearità, può manifestarsi come lineare, continuo e stocastico o probabilista. Queste tre tipologie vengono sviluppate nella questione legata alla
fenomenologia.
22
Cfr. I. Gamberini, “Considerazioni sul programma di lavoro”, Quaderno 1-3. Istituto di elementi
di Architettura Università di Firenze, 1969
fig. Robert Louis Stevenson, immagine tratta
dal libro, “La casa ideale di Robert Louis Stevenson”, Adelphi, 2004.
somma d’immagini definitive e precise, ma è uno schema aperto a quelle
possibilità e quelle relazioni che possono generare antecedentemente alla
formazione del progetto, un giudizio, non sull’essere ma sul divenire; sul divenire dello spazio e della forma non ancora formata23.
Questo è possibile se l’operazione progettuale, anche conclusa fino alle
estreme conseguenze della realizzazione, contiene dei gradi di libertà, previsti in progetto, che consentono un’ulteriore possibilità di decisioni spaziali,
e quindi creative.
Quest’ultimo punto sul programma è fondamentale, per capire anche ciò
che concerne la trasmissibilità del processo progettuale. Vedremo infatti
che la trasmissibilità del processo progettuale richiede la costruzione di una
serie di modelli metodologici, al fine di sviluppare o identificare l’autonomia
progettuale.
All’interno della questione processuale, abbiamo osservato come lo sviluppo logico sia indirizzato verso la risoluzione di un problema dato. Tale risoluzione si può sviluppare attraverso una sequenza di azioni concomitanti che
man mano definiscono il programma progettuale e che costruiscono, una
volta definiti, il metodo. Un ultimo fattore che all’interno di questa totalità di
elementi dobbiamo considerare è in ultima analisi, la questione legata al
dato.
“[…] si sviluppa per prima cosa la ricerca dei dati relativi al tema posto. Tale
ricerca si realizza conducendo, nei limiti del campo interessato al problema, un’indagine scientificamente intesa. […] L’indagine si può considerare
come la trasformazione controllata di una situazione negativa e quindi non
determinata in un’altra positiva, che sia determinata nelle sue distinzioni e
relazioni, fino a convertire gli elementi della situazione originaria”24
Questo effetto di sintesi come presa di coscienza reale, si ottiene stabilendo
un contatto con i fatti relativi al problema tra i quali “il ricercatore opera delle scelte tentando di individuare quelle che hanno caratteristiche di ripetizione (principio di polarità); ma è necessario che il dato venga colto nella sua
immediatezza, cioè spogliato di qualunque apporto di conoscenza anteriore o da relazioni non particolarmente inerenti al modo con cui si manifesta;
in sostanza occorre che il ricercatore effettui una riduzione fenomenologica
in modo da poter fruire del dato allo stato puro, cogliendo così l’essenza”25
In effetti tutto l’arco della progettazione è permeato dalla ricerca delle tracce, e dei segni emergenti. Riferendosi al concetto di segno, viene spontaneo
rapportare la ricerca dei dati all’immagine di una operazione linguistica.
Per prendere in considerazione tale operazione in maniera ordinata, cominciamo intanto con lo stabilire che cos’è per noi un dato. L’indagine rivolta alla realtà che noi compiamo nella formulazione di un progetto, con la
consapevolezza di un certo scopo, ci permette di percepire elementi che,
proprio in funzione di quello scopo, manifestano un interesse particolare,
emergente; “essi costituiscono per noi un messaggio capace di fornire, in23
Cfr. I. Gamberini, “Considerazioni sul programma di lavoro”, op. cit.
24
Dewey Jhon, Logica, teoria dell’indagine, tr. A. Visalberghi, Einaudi, Torino, 1974, p.128
25
R. Raspollini, Le analisi a livello scientifico per la progettazione e la pianificazione, Università di
Firenze, 1965, p. 56
fig. Le Corbusier, Une Petit Maison, 1923,
schizzo.
torno all’oggetto del nostro studio, certe informazioni che, opportunamente
organizzate, determinano il dato.”26
Possiamo identificare diverse manifestazioni del dato, rispetto alla questione
progettuale.
Un primo gruppo è composto da messaggi che sono in grado di trasmettere
le loro informazioni indipendentemente dalla visualizzazione, pur comunicando, attraverso i segni di un linguaggio.
Un secondo gruppo dai dati derivanti da informazioni la cui trasmissione avviene per mezzo della scrittura e dei numeri ma che si appropria della rappresentazione grafica, la quale identifica con maggiore efficacia ed immediatezza i relativi segni emergenti, facilitandone la rilettura al momento della
sintetica rilettura finale. Nel caso essi possono essere diagrammi concettuali.
Un terzo gruppo è costituito dai dati prodotti da quelle informazioni che sono
in grado di concretizzarsi solo attraverso la visualizzazione. E’ il caso di dire
che la visualizzazione non è più una rappresentazione del dato, ma costituisce il dato stesso.
Questi rappresentano gli schizzi, gli appunti, i dati istintivi del progetto, che
una volta raccolti costituiscono la documentazione del processo.
Il processo, assimila, in questo senso, nel suo susseguirsi di eventi e di azioni,
le questioni cruciali della determinazione progettuale attraverso lo studio dei
dati e l’attivazione delle scelte processuali. L’istituzione del programma, collabora con l’individuazione progressiva dello sviluppo progettuale, in funzione delle scelte del progettista, che aiutato dalle scelte strumentali, giunge
alla formulazione progettuale. In questo senso processuale.
26
Cfr. G. Luca Giannelli, Processo Progettuale, op. cit., p. 35
fig. Enzo Paci, foto nel suo studio, 1956
Teoria, verificazione e processo
“Il segno, il simbolo, la figura, la parola, ci hanno sempre aiutati ad
esprimere in qualche modo la mancanza di una soluzione, a fissare
in una presenza, in un’immagine, la forma di un gioco che si sta
costruendo le proprie regole nel momento stesso che sto giocando,
[…]”27
“Spesso si usano proporzioni che stanno tra logica ed empiria, cosìcchè il loro senso oscilla da una parte e dall’altra di questo confine;
ed esse valgono ora come espressione di una norma, ora come
espressione di un’esperienza.
(Infatti, non è un fenomeno psichico collaterale – così ci si immagina
i pensieri – ma l’impiego, a distinguere la proporzione logica dalla
proporzione empirica).”28
Siamo giunti a dire che, la misura, o lo standard fungo da strumentazioni utili
ai fini della verificazione del progetto, e della sua costruzione sia figurativa
che linguistica. Il processo quindi nella sua fase risolutrice, si formula come un
processo di costruzione teorica, valido all’interno dell’ambito della sua applicazione, quindi nel progetto. Il processo di costruzione teorica è, appunto
dalla parola stessa (procedere verso) una teoria di verificazione; teoria in
quanto presuppone l’istaurarsi di un procedimento che segue una serie di
fasi che vanno dalla formulazione di un’ipotesi, fino al momento della verifica posta dal confronto con la realtà. Questo tipo di sviluppo processuale, si
manifesta in modo progressivo attraverso lo studio e la verifica di risoluzioni
ed enunciati che possono partire da considerazioni generali o da considerazioni puntuali. La determinazione avviene attraverso una serie ripetuta di
tentativi di confutazione. Il fine ultimo è la ricerca della validità e quindi lo
sviluppo di una specifica teoria o prassi legata al caso specifico.
Le fasi di un processo di costruzione teorica sono del tutto simili al principio
di verificazione scientifica, che fonda le sue ragioni nel pensiero illuminista.
Possiamo riassumere queste fasi in:
A)La formulazione di un’ipotesi induttiva (derivata dall’osservazione empirica), sia deduttiva (di carattere puramente astratto) o di derivazione congiunta dalle stesse;
B) specificazione dell’ipotesi (si riformula l’ipotesi sulla base delle informazioni
acquisite);
C) verifica empirica dell’ipotesi: l’ipotesi viene verificata attraverso nuovi
studi empirici e la verifica viene ripetuta per ogni nuovo fenomeno rilevato
(nuova realtà esaminata) o per ogni insieme di dati;
D) concordanza della teoria: se l’ipotesi concorda con ogni nuova verifica
essa ‘può’ diventare una teoria.
27
Francesco Rispoli, La Ragione di Ulisse. Il colloquio tra paci e Rogers, “Aut Aut”, n.333, il Saggiatore, Milano, 2007, p.60
28
Ludwig Wittgenstein, Osservazioni sui colori, Biblioteca Einaudi, Einaudi, Torino, 1981, p. 11 n.32
fig. Sequenza di numeri di Casabella Continuità, diretta da Ernesto Nathan Rogers, fra i
numeri esposti vi è il 209, ove Enzo Paci inizia
la sua carriera tra filosofia e architettura.
In tale sistema procedurale, che sottende alla questione logica del processo, s’inserisce quanto detto in precedenza in merito all’idea (espressione
dell’autonomia progettuale), e in merito al significato (funzione della relazione tra oggetto – campo - oggetti stessi).
Possiamo quindi affermare, a seguito delle seguenti considerazioni che la realtà, si formula attraverso processi di relazione tra soggetto e campo d’interazione in quanto, il significato di ogni segno, oggetto, figura, esiste in quanto
frutto del contesto nel quale si applica.
“Il processo è concretamente spaziotemporale, e in quanto tale, è irreversibilità e entropia, consumo che esige lavoro, bisogno che esige soddisfazione
e apertura a nuove relazioni.” 29 Così nel 1954 Enzo Paci, delinea le questioni
che pervadono le problematiche dell’Architettura sotto l’aspetto filosofico,
attraverso un testo che pubblicherà la prima volta su Casabella-continuità –
209. Il testo nasce sulla base delle osservazioni emerse durante il CIAM VIII30,
il cui tema era “Il cuore della città”31. Il tema al centro del dibattito era incentrato alla risoluzione e alla verifica delle possibili vie da intraprendere per
un rinnovamento dell’architettura moderna. Il tentativo era di correggerne
le problematiche dovute essenzialmente alla capacità dell’architettura moderna di seguire le continue evoluzioni della città contemporanea, attraverso un’architettura il contino mutamento.
Il concetto del continuo mutamento si era sviluppato soprattutto in considerazione del fatto che, di fronte alla questione della razionalizzazione dell’architettura, il binomio forma/funzione, portava alla fissità della forma. Tale fissità della forma32, non garantiva una risposta adeguata a quelle che erano
le trasformazioni organiche della città e dell’architettura. Le considerazioni
sorgono dalla questione legata alle relazioni che si mettono in atto all’interno
dello spazio urbano e architettonico. Il problema che si pone quindi si sposta
in maniera astratta verso la questione più puramente compositiva, perché è
nella composizione che risiedono in primis, la ricerca delle relazioni e la risoluzione delle discrepanze. E in questo senso che si scende quindi, nel campo,
del significato e del linguaggio compositivo, in quanto è all’interno del concetto teorico di significazione che tutto si compie. La questione processuale
è al centro in quanto “nessuna forma è isolata, ma tutte sono interagenti, e
pur condizionate dal passato si svolgono in nuove forme possibili.”33
Partendo quindi dalla considerazione più puramente formale Paci ci conduce verso la considerazione che forme finite e organiche costituiscono il
processo. In questo senso nessuna forma è isolata ma tutte sono interagenti,
e nella loro interazione sono condizionate dal passato.
29
E. Paci, Problema dell’Architettura contemporanea, “Casabella-continuità”, 209, 1956, p. 4146, ripubblicato in “Aut Aut” n.333, Il Saggiatore, Milano, 2007, p.16
30
Cfr. CIAM, il cuore della città, op. cit.
31
Cfr. CIAM, op. cit. Le tematiche riguardavano la questione dello spazio civile, la sua funzione
rispetto alla comunità, in considerazione degli studi svolti dai CIAM rispetto al tema della città. Dai
contenuti della Carta di Atene del 1933, testo fondatore dell’architettura e dell’urbanistica moderna
incentrata sullo studio della abitazione moderna rispetto alla questione urbana dei servizi comuni e della circolazione. La questione della città nel suo insieme era sino allora considerata come “città chiusa”,
non attenta quindi agli spazi di relazione tra individui nel suo aspetto sociologico. Si parla, negli atti del
congresso della “città mercato”, la “città delle relazioni sociali”, dello scambio verso il mondo esterno.
32
Per fissità della forma, intendiamo esprime come la forma sottoposta al rigido controllo logico
del binomio forma funzione, non garantisca o meglio non porti all’assunzione nella forma stesse delle
componenti irrazionali, o meglio inconsce.
33
Enzo Paci, Problematica dell’architettura contemporanea, op. cit., p. 16
fig. Ernesto Nathan Rogers, Disegno per la
Sala Architetture misure dell’uomo, IX Triennale di Milano, 1951
Attraverso quest’attitudine, insita nella relazione delle forme stesse, si giunge,
per processo a nuove forme possibili senza perdere quell’attenzione per la
razionalità, fondamento del Movimento Moderno.
In questo senso, la centralità dell’operazione è il linguaggio, ed esso diviene, “[…] simbolico ed espressione di schemi e di forme relazionali possibili:
in generale simbolico è il linguaggio delle arti. L’architettura è, insieme, realtà economico-sociali che risponde ai bisogni concreti ed espressione di
nuove relazioni e di nuove forme. Nel processo le forme sono relativamente
permanenti ed emergenti. […] La permanenza è la firmitas, il durare di una
costruzione nel tempo. L’emergenza è il rinnovamento, l’apertura al futuro
e alla possibilità. Di fatto ogni permanenza è relativa: non esiste nel tempo il
permanere di un’identità. In compenso ogni emergenza è condizionata dal
passato e dal gioco delle forze già realizzate che delimitano un campo. In
quanto fantasia, invenzione, ricerca e scoperta di nuove forme e strutture,
linguaggio e arte costituiscono nuovi possibili schemi. Le nuove forme esigono individualità, condizionata ma creatrice. Linguaggi individuali vivificano
e allargano e rinnovano i linguaggi istituzionali. “34
Quest’analisi che in maniera cristallina ci descrive la questione processuale,
porta alla luce tre questioni essenziali per lo sviluppo della tesi.
In primis, il processo, quanto tale, ha una componente formale di permanenza, l’identità è secondaria. La permanenza è un elemento irreversibile,
in quanto permane, quindi nel processo sono identificabili forme di permanenza e quindi astoriche.
Dall’altro esiste una componente relativa, che permette nella risoluzione processuale una forma di rinnovamento del linguaggio, e quindi la sua componente evolutiva, che identifica la questione processuale come fenomeno.
Per terzo, il concetto di campo, o meglio, le condizioni che si relazionano
come preesistenze e che entrano in gioco nella relazione tra le nuove forme
che man mano si figurano. Questi tre concetti sono essenziali in merito alla
questione del linguaggio vista in precedenza. Essa costituisce ci permette di
affermare che all’interno del sistema processuale, esistono, per così dire tre
livelli espressivi e il cui significato e delineato dalla prassi.
La sperimentazione di nuovi linguaggi nasce dal principio della costruzione
della nuova significazione che risiede nella componente relativa di ogni singolo significato. Il significato, si assume in base al contesto nel quale si collocano; possiamo anticipare quindi che assumono significato rispetto al campo nel quale si inseriscono e rispetto agli oggetti con in quali interagiscono.
La chiave, è la questione sul relativismo35 o meglio l’inclinazione che ogni
segno, ogni figura, che assume un base allo spazio entro il quale determina
la sua esistenza come elemento di un linguaggio.
Questo ci permette di svincolarci e di liberare le forme oltre al di là della scala d’interazione e del contesto. Così, una linea può essere rappresentazione
di una strada, o essere una matita, o altre infinite oggettivazioni.
Per governare questi processi espressivi dobbiamo quindi, come sostiene
34
35
Enzo Paci, Problematica dell’architettura contemporanea, op. cit., p. 18
Cfr. Ludwig Wittgenstein, Osservazioni sui colori, op. cit.
1
2
3
fig. 1 Bauhaus, palnimetrie della scuola, tratte da: Colin Rowe, R. Slutsky, Trasparency,
Birkhauser, Basilea 1974;
fig. 2 Buhaus, foto della vetrata apribile.
fig. 3 Bauhaus, Dessau, foto della zona di
ingresso, 1925
Paci, ricorre all’ordine razionale, in grado di gestire forme di linguaggio oggettive e universali, unite all’aspetto creativo.
“Il rapporto tra forma e funzione, che si pone alla base delle ricerche di
Walter Gropius, sono il fondamento razionale per lo sviluppo della forma. La
razionalità supera il dato naturalistico e la funzione diviene l’elemento di armonia fra le forme. A sua volta la razionalità delle forme si lega all’espressione tecnica, all’uniformità dell’azione costruttiva, in quanto, esprime la sintesi
massima tra funzionalità e forma, liberandosi dagli stili.”36
In questo senso Enzo Paci, all’interno del suo scritto sulle problematiche
dell’architettura moderna, sottolinea come, Gropius insista nell’affermare
che: “[…] l’architettura non dipende solo dai materiali e dalla tecnica ma
dall’emergenza di nuovi concetti filosofici derivati da una serie di percezioni
intuitive.”37
La concezione teorica di Gropius tende all’architettura totale38, concepita
come la sintesi delle arti e come ordine sociale e collettivo. Se la natura
è processo, come abbiamo osservato in precedenza, e come lo stesso E.
Paci sottolinea, Gropius si preoccupa di relazioni che permangono fisse e
costanti. Come nel caso dell’edificio del Bauhaus a Dessau, l’uso del vetro,
indica la tendenza a una relazione immobile, il bisogno di fissare il movimento in una rappresentazione statica. Le grandi vetrate dell’edificio, che fanno
trasparire da parte a parte i volumi della scuola e in ultima il paesaggio che
la circonda, richiama la tecnica cubista delle trasparenze39, delle sovrapposizioni. In questo però, in quanto l’architettura è firmitas, la forma vede il suo
termine nell’edificio concluso e immutabile.
Ma il fondamento del discorso, che sta alla base dei fondamenti teorici della
stessa scuola del Bauhaus, è la questione dell’arte e della sua centralità.
“La razionalità funzionale si attua in una coerenza artistica: in questo senso
Gropius affida all’arte la soluzione di problemi naturalistici e sociali. La confusione tra la novità tecnica e il valore artistico è comprensibile, se è vero
che l’arte non può che esprimersi in forme di possibilità che emergono dal
processo e superano le condizioni del processo.”40
Paci ci suggerisce così che il processo non si risolve così solo nella concezione logico matematica dell’opera, ma esiste la necessità dell’opera di innescare un processo organico, quindi legato ad una formulazione ottenuta
per parti di crescita unitaria, spesso legata anche ad una questione fattuale.
In questo l’arte funge come attore principale in quanto forma di linguaggio
libera, o meglio liberata da qualsiasi preconcetto formale o tecnico.
“L’arte non è soltanto proiezione dell’industria ma momento creativo nell’interno dell’industria stessa; non è più la traduzione matematica della funzione
ma la prova che l’uomo deve dominare la tecnica.”41
Prima che si giungesse a questo passo verso l’astrazione, e all’assunzione
dell’arte come centralità della produzione architettonica, la razionalità era
tesa al concetto rigido di forma – funzione, aveva condotto ad una sorta
di visione meccanicistica. L’architettura si riduceva al rigido assemblaggio
36
37
38
39
40
41
Enzo Paci, Problematica dell’architettura contemporanea, op. cit., p. 18
Cfr. H. Bayer, W. Gropius, I.Gropius, a cura di, Bauhaus 1919-1928, Alle&Uniwin, Londra 1939, p.22
Cfr. Walter Gropius, Per un’Architettura Totale, Absconditia, Milano, 2007
B. Hoesli, Comentary, in R. Slutsky, K.Rowe, Trasparency, Birkhauser, Basilea 1974; p.48
Enzo Paci, Problematica dell’architettura contemporanea, op. cit., p. 20
Ivi p. 22
fig. Walter Gropius, Siedlung Dessau-Tor-ten,
1926-28, dettaglio assonometrico delle case
unifamiliari. Ricorrendo a un solo tipo edilizio
Gropius cercò di ricreare una situazione urbana ampliando la Siedlung, il cui impianto
aveva un andamento lineare, con una serie
di piazze.
funzionale.
Questa presa di coscienza, sposterà la visuale verso l’individuazione del tipo
non solamente come elemento di sintesi legato alla questione meccanica
dell’assemblaggio e della normalizzazione, ma scatenerà la libera ricerca figurativa di soluzioni basate su un vocabolario linguistico comune in grado di
formulare sistemi aperti e quindi processuali. La via è la sperimentazione empirica o intuitiva che condurrà alla costruzione di sistemi proto-tipologici42di
costruzione dell’opera.
Tornando sul pensiero espresso da Paci, egli insite sulla questione affermando: “[…] La tendenza a cogliere nella funzione un ordine rigoroso, a isolare
delle essenze funzionali, apparenta Gropius al primo Husserl. […] L’unica relazione ammessa è la razionalità anti-individualistica dello stile”43
La questione dell’anti individualismo era uno dei postulati filosofici di Husserl44. L’anti individualismo è indirizzato nella declinazione delle arti come il
raggiungimento di un vocabolario universale e astorico, unico e governato
dalla logica, ma in grado di costruire nuovi linguaggi collettivi.
Ogni arte, secondo Husserl, deve raggiungere un linguaggio generale, nella volontà di eliminare ogni individualismo attraverso l’individualismo stesso
dello stile.45 La ricerca quindi è verso una mentalità astorica e atemporale,
si cercano forme invariabili ed elementari. Poiché l’arte, si occupa del raggiungimento della verità, non può prescindere da questa impostazione anti
individualistica. In arte l’atteggiamento linguistico o formale che raggiunge
la verità della composizione, è quello verificabile, secondo la logica razionale, nel senso in cui sono verificabili le proporzioni matematiche.
Le proporzioni logiche, costituiscono le regole entro cui si stabiliscono le relazioni e le formulazioni del linguaggio.
Come abbiamo già osservato nei capitoli precedenti, Wittgenstein nel suo
Trattato logico-philosophicus del 1921, vedrà nel linguaggio lo specchio del
mondo e, per certi aspetti, la risoluzione del mondo nel linguaggio, anche
per Wittgenstein la parola sarà impotente e priva di significato al di fuori del
significato verificabile nella forma logica. Ma nella logica, la relazione è ciò
che determina il senso. La relazione, si svolge quindi nel campo delle relazioni, e nella costruzione di legami che fungono da tessitura dello svolgimento
nella verificazione formale.
Come sostiene Paci, la ricerca del legame però, tra la realtà fiolosofica e
la realtà empirica di verificazione avviene attraverso degli elementi definibili come unità di base atomica.46 Per Wittgenstein la parola, nel caso
del Movimento Moderno la ricerca del dato minimo di esistenza, o meglio
dell’Existenz-Minimum47, l’unità di base che lega le forme alla realtà. Per Le
Corbusier, diremmo lo stesso, per quanto concerne lo studio sul Modulor, che
preserva al suo interno l’elemento di verificazione dello spazio compositivo
42
Cfr. Massimo Iori, a cura di, Analisi Architettonica & Progettazione Analitica, Città Studi Edizioni,
Milano, 1995
43
Enzo Paci, Problematica dell’architettura contemporanea, op. cit. p. 20
44
Cfr. Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica,
Einaudi, Torino, 2004, Libro III
45
Ibidem
46
Cfr. Enzo Paci, Problematica dell’architettura contemporanea, op. cit. p. 24.
47
Ivi, p. 25. Paci fa riferimento alla ricerca svolta sul minimo vitale, in quanto, per G.C.Argan, il
dato di base atomico in campo filosofico, coincide con il dato minimo di esistenza o meglio l’ExistenzMinimum. (Cfr. G.C. Argan, Walter Gropius e la Bauhaus, p. 78.)
fig. Immagine di apertura tratta da Education of An Architect.
legato all’uomo. L’elemento base che funge da traduttore tra l’astratto e il
reale nel contino procedere verso sistemi di verificazione costruttiva.
Oltre ai dati spaziali di unità minima, o modulo minimo, vi sono anche i dati
legati allo standard, nelle accezioni che abbiamo visto nei capitoli precedenti.
Nello specifico possiamo individuare lo standard come un dato tecnico legato alla prefabbricazione seriale, e legato ad un dato più generale, come
elemento unitario di misura e quindi al pari dell’unità di base relazionale tra
forma e realtà.48
Il punto di forza e di debolezza di questa posizione, come sottolinea lo stesso
Paci, è se tale standardizzazione sistematica permetta o meno l’instaurarsi di
un processo dinamico e quindi in grado di generale molteplicità di forma.49
Questo punto cruciale è alla base della critica dell’industrial design e della
processualità formale di costruzione del progetto d’architettura moderno.
“L’importante è che la costruzione organica dell’edificio, o della città si imponga all’elemento standard, per rinnovarlo, e non che l’elemento standard, condizioni la costruzione: che l’uomo progetti i mezzi di cui ha bisogno
per costruire, e non che costruisca secondo i mezzi che non sono più quelli di
cui ha bisogno per lo sviluppo e l’emergenza della sua costruzione.
In filosofica come in architettura, un elemento base sempre uguale a se stesso non esiste: ogni dato è già relazionale. Ma ciò vuol dire che già nella natura c’è una realtà di rapporti costruttivi della sua forma: i materiali, il clima,
l’ambiente, la regione. La base prima sulla quale si costruisce è natura e
storia, matura e storia che sono forme in processo, così come le costruzioni
umane sono forme collegate ma emergenti rispetto a quelle naturali e a
quelle del passato.”50
Il processo, è quindi l’instaurasi di relazioni fra l’esistente e il campo di azione,
è la ricerca di elementi di verificazione, è formulazione astratta empirica o
analitica, in grado di condurre a nuove formulazioni. Le relazioni, sono la
centralità del processo.
“La relazione quindi non è così soltanto la relazione antinaturalistica, e astorica […] è il farsi di rapporti che nascono dalla nostra esistenza temporale, di
stili sempre superabili, di forme che devono comprendere organicamente in
sé il passato mentre si aprono all’avvenire.”51
48
49
50
51
E. Paci, Problematica dell’Architettura Contemporanea, op. cit. p.44
Ibidem
Ibidem
Ibidem
fig. Diagramma dell’idea architettonica,
schizzo a penna di Bernard Hoesli, 1953
Considerazioni sull’idea
All’interno della questione processuale, il ruolo dell’idea occupa un posto
previlegiato, o meglio, l’idea contiene di per se, l’insieme degli elementi che
conducono alla verità attraverso l’arte, ove per verità si intende la realtà.
Questo è quindi in concordanza con la conoscenza razionale, essa deve di
necessità ricondurre il mondo visibile a forme immutabili, generali ed eterne.
Le idee conducono alla formulazione dei prototipi, come sostiene Erwin Panofsky.52 Tale considerazione è ulteriormente supportante anche da quanto
osservato in precedente in merito alla questione del processo teorico di verificazione. Il processo essendo in parte ricerca di relazioni formali, libere dal
linguaggio degli stili, come sostiene Enzo Paci, ha bisogno nella sua componente intuitiva dell’idea e della prefigurazione.
Sulla base delle questioni sollevate possiamo avanzare l’ipotesi che l’idea si
formula durante lo sviluppo progettuale a stabilire, l’intenzione di colui che
opera all’interno del processo stesso (l’architetto).
A sostegno di questa ipotesi, osserviamo gli studi svolti agli inizi degli anni
Sessanta, presso l’università di Austin in Texas da Colin Rowe. Le ricerche da
lui condotte presso l’università, rappresentano una rivoluzione concettuale
e didattica rispetto alla posizione che assume l’idea all’interno del progetto
d’architettura. L’idea è quello che costituisce il contenuto “autonomo” di
ogni progetto architettonico. L’idea diventa centrale rispetto al fare architettura. “L’idea per Colin Rowe è ciò che sta nell’autonomia del progetto, al
di là, di ogni convenzione.”53
Rowe, sulla base di questo principio, conforma e propone un apposito sistema educativo basato sulla centralità dell’idea rispetto al progetto. Durante
i corsi di progettazione, si invitano gli studenti a riflettere sul concetto d’idea, sulla sua funzione rispetto al progetto. Riportiamo a seguire, così come
pubblicate un campionario di definizioni redatte dagli studenti raccolte da
Bernard Hoesli, un ex collaboratore di Le Corbusier giunto ad insegnare alla
Cuper Union:
“L’idea, per così dire, è il punto di svolta attorno al quale si costruisce il progetto.
Martin Ed
L’idea di un progetto architettonico è quello spirito che si sente nella progettazione, la parte spirituale della costruzione (del palazzo).... È il pensiero
nella mente del progettista che lo guida in ogni decisione e nei risultati finali
in tutte le fasi del progetto.... Deve avere il potere di stimolare l’ emozione
umana, anche inconsciamente.
52
Cfr. Erwin Panofsky, Idea. Contributo alla storia dell’estetica, Introduzione di Maurizio Ghelardi,
Bollati Boringhieri, 2006
53
Alexander Caragonne, The Texas Ranger – note of architectural underground, Mit Press, 1959,
p.202
1
2
fig. 1 Colin Rowe, Diagramma analitico fra
i tracciati regolatori della Villa Malcontenta
e la Villa Stein.
fig. 2 Ridisegno del diagramma e della sovrapposizione don gli elementi architettonici
significativi. (M.M.)
Boone Ken
Un’idea, architettonica, è lo schema o un motivo dietro il progetto. Ed è,
se gestita bene, evidente nella creazione stessa e fornisce la ragione per la
creazione del progetto stesso . Una buona idea è facilmente riconoscibile in
un edificio e non ci si deve chiedere perché questo o quello è stato fatto in
un certo modo, perché la ragione è evidente nel suo disegno.
Richard Mclìride”54
Hoesli prima di raccogliere le esposizioni ha sottolineato ai suoi studenti l’importanza di acquisire un “idea” generale che si possa chiaramente illustrare
ed esprimere in un risultato architettonico indipendentemente dalle esigenze del programma, del sito, della struttura.
L’emergere di questa idea di architettura è alla base dello sviluppo del
“working out”. Negli esercizi di architettura che ogni studente sperimentava,
risiedeva l’idea che si svelava in un momento cruciale nel processo di progettazione, da qualche parte, a cavallo tra la prefigurazione del disegno, la
fase analitica o i primi schizzi.
Ma la figura di Colin Rowe è importante anche per un secondo aspetto
ascrivibile ai suoi studi in merito alla lettura diagrammatica dei meccanismi
compositi delle ville di Palladio e delle architetture di Le Corbusier, mettendone in evidenza le affinità,55 costruendo così una unica unità compositiva.
L’azzeramento della distanza temporale, che separava Le Corbusier da Palladio, porta a quello che lo stesso Paci sosteneva, rispetto alla questione
processuale del Moderno o meglio il liberarsi dalle questioni di stile per aprirsi
alle sperimentazioni sul linguaggio e la ricerca di nuove formulazioni.
Questo procedimento diventerà, in seguito, uno degli elementi pedagogici56 della Cooper Union. L’esercizio, conduce alla costruzione di un vocabolario privo di stile, a costituire un metodo per rendere trasmissibile una pratica
processuale.
Con la tecnica di analisi proposta da C. Rowe, fuoriesce della propria esperienza diretta, l’intuizione, la ricerca del meccanismo storico procedurale
di formazione dell’architettura analizzata. Gli esercizi, svolti anche attraverso l’interazione di opere già costruite, favoriscono in una sorta di processo
storico la scelta di un’idea di architettura continua legata dai meccanismi
compositivi e non dai linguaggi. Tuttavia, la correttezza o l’utilità di un’idea
entrerà comunque e inevitabilmente in una messa in discussione, all’interno
del processo sia di analisi e di sviluppo del progetto. La situazione tipica che
si presenta in un’analisi è la ricerca di uno strumento idoneo, che permetta
di attivare il test dei suoi postulati iniziali, come il programma e il sito. Diverse
idee, sostiene Hoesli, “emergono sottolineando aspetti diversi del problema,
funzionali, territoriali, strutturali, o due o tutti di questi in combinazione, a seconda della predilezione e la raffinatezza degli studenti. Questa posizione
cerca di sviluppare a tutti gli effetti, il potere di astrazione, il potere di scac54
Alexander Caragonne, The Texas Ranger op. cit. , p.202
55
Cfr. Mauro Marzo, a cura di, L’Architettura come testo e la figura di Colin Rowe, Marsilio, Venezia, 2010
56
Agli studenti veniva posto come esercizio l’analisi di opere distanti nel tempo e diverse nello
stile, al fine di comprendere le questioni nascoste dei principi compositivi, che tradotti in grafici e diagrammi andavano a definire una unica matrice compositiva.
fig. Le Corbusier, Disegno del Palazzo della
Società delle Nazioni, Ginevra, 1927, con sovrapposto il diagramma analitico, apparso
su Transparenz (1968). L’immagine è stata
curata e inserita da Bernard Hoesli nella prima edizione Tedesca.
ciare gli estranei e muoversi verso il centro”57, questione essenziale. E’ stata
un’indicazione della capacità dello studente di generalizzare dallo specifico,
uno degli obiettivi dichiarati del memorandum di marzo 1954: “che il potere
di astrazione e di generalizzazione deve essere suscitato nello studente.”58
Semanticamente, l’idea architettonica è stata quasi sempre rappresentata
metaforicamente, ma in maniera visuale piuttosto che in senso letterario. La
scelta precisa di quella metafora era importante. Per esempio, “una scatola galleggiante avvolta intorno ad un nucleo scultoreo” o “l’erosione di un
cubo implicito” o “la sovrapposizione di una griglia strutturale rispetto ad un
sistema indipendente di volumi” potrebbe servire a descrivere i progetti di Le
Corbusier così come quelli di Palladio. Il fine ultimo è la formulazione di una
serie di vocaboli in grado di descrivere l’opera, vocaboli di base alla costruzione di un linguaggio valido. “Nello stesso modo in cui i pittori erano stati
capaci di prescindere e liberarsi della dipendenza contenutistica che aveva
caratterizzato le arti visive, gli architetti avrebbero dovuto affrancarsi dagli
obblighi imposti dalla funzione, dal luogo, dalla tecnica o dal programma”59
Questa impostazione, definita da Colin Rowe ci permette di spostare la questione dal progetto al processo progettuale, focalizzando l’obiettivo sulla
individuazione di un processo in divenire, o meglio che permette la formulazione dell’idea man mano che il progetto viene sviluppato.
Se scendiamo nel grado di analisi di alcuni esercizi proposti presso la Cooper
Union ci renderemo conto delle effettive emergenze che ogni singola lettura
mette in luce. Uno dei principali esercizi proposti al primo anno di corso era
rappresentato dall’analisi di un’opera del passato, scelta in modo astorico
e atemporale. L’analisi consisteva nello sviluppo autocosciente delle forme
geometriche di base che componevano l’opera indicata.
1) Il significato dell’architettura doveva emergere dalla rappresentazione a
disegno.
2) Si proponeva la riduzione dei valori visionari e simbolici in proposizioni geometriche elementari e diagrammatiche
3) La ricomposizione e la classificazione delle componenti architettoniche
4) Documentazione attraverso proiezioni ortogonali delle relazioni geometriche specifiche
5) Trasformazione delle proposizioni geometriche in modelli
6) Composizione e decostruzione dei modelli attraverso la classificazione per
elementi architettonici.60
Questo sistema, di “lettura applicata”, induceva nell’allievo l’assunzione strumentale e logica dei sistemi compositivi e processuali di ogni singolo progetto analizzato. Questo permetteva di attrezzare l’autonomia progettuale di
ogni singolo studente con una serie di strumenti tra i quali, l’uso del modello
come fonte compositiva e strumentale; l’uso del diagramma come elemento interpretativo dell’architettura, il disegno come controllo del progetto.
57
Cfr. Mauro Marzo, a cura di, L’Architettura come testo e la figura di Colin Rowe, Marsilio, Venezia, 2010
59
Rafael Moneo, Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti contemporanei, op. cit., p.125
60
Cfr. AA.VV., Education of an Architect - The Irwin S. Chanin School of Architecture of the Cooper Union, Rizzoli, Ny, 1989, p. 14
1
2
fig. 1 Ludwig Wittgenstein, foto
fig. 2 Ludwig Wittgenstein, Casa sulla
Kundmanngasse,Vienna, 1929, foto della
casa da lui progettata.
Definizione di processo
“Posso immaginarmi un logico che ci racconti che ora gli è
riuscito di pensare effettivamente 2+2=4”61
La natura processuale trova la sua esistenza nelle questioni legate al pensiero razionale, ma assume carattere preponderante quando la processualità
si indirizza alla ricerca dell’indeterminato. In questo caso parleremo di fuzzy.62
Come diceva Albert Einstein in Geometry and Experience: “ Quando le leggi della matematica si riferiscono alla realtà non sono certe. E quando non
sono certe non si riferiscono alla relatà.” L’indagine sui limiti della scienza
appartengono a molti scienziati e filosofi del XX secolo, da Heisenberg sino a
Karl Popper. Essi hanno portato alle estreme conseguenze il pensiero scientifico per rilevarne le contraddizioni e i limiti.
“Questa impostazione rispetto al metodo scientifico è oggi l’unica posizione
scientifica possibile, perché è l’unica che permette di sviluppare lì integrazione possibile tra scienza e natura. […] Da una parte le grandi geometrie matematiche della scienza, le sue leggi universali, le sue speculazioni perfette.
[…] dall’altra la grande complessità della natura, il caso, l’accidente, prodotti dei fenomeni perennemente diversi fra loro. Un universo dove il tempo
cambia la realtà, producendo sistemi fluidi di esperienze in contesti sempre
in evoluzione.”63
La possibilità del calcolo informatico e la possibilità di sviluppare sistemi di
calcolo ricchi di variabili, rende oggi possibile produrre la geometria dei
frattali o “gorghi logici”64. Questo naturalismo scientifico e tecnologico, che
considera la natura non più uno stadio primitivo da modificare, ma un modello evoluto da imitare nei processi costruttivi del nuovo appartiene ad una
modernità diversa. Si vanno così elaborando progetti più ricchi e meno legati alla rigidità metodologica. Questa impostazione conoscitiva e d’investigazione, accentua ancora di più le potenzialità del fatto processuale. Solo
attraverso la processualità si giunge al controllo dell’indeterminato, attraverso una serie di atti autocoscienti.
La questione processuale quindi assume un ruolo centrale nello sviluppo progettuale, un’analisi della sua natura risulterebbe assai complessa. Quello
che ci pare invece più proficuo, è affrontare il problema della questione
processuale, a partire da una domanda essenziale a cui cercare di dare
una risposta.
Questa domanda che ci andremmo a porre, non vuole svicolare il problema, ma affrontarlo partendo dalla questione più profonda che investe la
questione processuale, o meglio, come dall’idea (dall’indeterminazione) o
intuizione, procedo verso la verità del progetto (la determinazione).
61
Ludwig Wittgenstein, Osservazioni sul colore, Einudi, Torino, 1981, p.19 n.69
62
Il termine quasi intraducibile significa ibrido, sfumato, e fu usato per la prima volta negli anni
Sessanta dal logico Lofti Zedec, esso appartiene a quella particolare branchia della scienza moderna
che si è spinta verso il confine inesplorato del supermento della logica duale. (Cfr. Bart Kosko, Il fuzzypensiero. Teoria e applicazioni della logica fuzzy, Baldini & Castoldi, Pag. 365)
63
Andrea Branzi, Modernità debole e diffusa. Il mondo del progetto all’inizio del XXI secolo, Skira,
Milano, 2006, p. 18
64
Ibidem
fig.
Ludwig
Wittgenstein,Casa
sulla
Kundmanngasse,ViennaVienna, 1929, dettaglio
Possiamo quindi affermare che se consideriamo l’architettura il frutto di un
processo di trasformazioni, e queste trasformazioni sono guidate verso la riconfigurazione autonoma di un nuovo linguaggio, questa configurazione
autonoma, in quanto frutto di un processo afferma la sua oggettività, la soggettività invece si manifesta nell’idea.
Ovviamente non possiamo in poche righe, nemmeno giustificare la centralità dell’idea65 rispetto alla questione processuale, ma per ora la teniamo
come caposaldo del nostro discorso, per poi affrontarla nei capitoli successivi.
Per ora, ci poniamo la domanda che ci permette di controllare il problema. In che modo di intendere l’architettura come processo esiste le priorità
dell’idea?
Se ci scostiamo per un momento dal campo dell’architettura, è possibile
rileggere la questione del processo e dell’idea come un unicum.
Il modo di intendere il processo come abbiamo accennato in precedenza
si può identificare come:
A) un sistema di razionalizzazione a posteriori dell’intuizione dell’idea che rimane in forma inconscia nell’architetto. Solo in un secondo momento egli
stabilisce il percorso, il processo appunto, attraverso il quale giustificarla,
spiegarla e poi realizzarla.
B) sistema lineare in cui dall’idea si giunge man mano allo sviluppo dell’oggetto architettonico.
Ci sembra più proficuo affrontare la problematica del processo a partire dalla seconda prospettiva, in quanto permette di descrivere il processo dall’idea al progetto in maniera lineare e quindi maggiormente comprensibile.
Di fronte ad un progetto contemporaneo, ci si trova spesso nell’incapacità
di capire ciò che ci viene descritto, soprattutto quando ad essere messo in
discussione è un metodo già acquisito. Questo banale fenomeno non è che
un pretesto per analizzare ciò che sta dietro alla comprensione, e in particolare alla comprensione dell’idea.
Può essere utile richiamare la critica di Ludwig Wittgenstein sulla parola, e
dunque sul concetto, di “comprendere”.
Nelle Ricerche filosofiche si trovano un insieme di osservazioni sul seguire
una regola, dove il filosofo austriaco discute il significato di espressioni come
“comprendere una parola”, un’immagine, una forma, una regola66. Naturalmente egli lo fa con il metodo che caratterizza questa seconda fase del suo
pensiero, quindi asistematico, discontinuo e quasi aforistico; ma suggerisce
alcune cose interessanti per il nostro discorso.
65
L’analisi vuole solo porre l’accento su quanto già affrontata nei capitoli precedenti, in merito
alle ricerche a agli studi svolti da Colin Rowe, riguardo alla centralità dell’idea nel progetto Moderno.
La centralità dell’idea per C.R. è rappresentata dal fatto che l’idea rappresenta l’autonomia del progetto, la sua unicità. I vocaboli diventano utili al fine poi di sviluppare con vocaboli stessi nuovi giochi
linguistici. Quindi sperimentare nuove forme. Ciò che emerge è la centralità dell’idea.
66
Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino, 2009,pp. 138-242
fig. 1 Ludwig Wittgenstein, Casa sulla
Kundmanngasse,ViennaVienna, 1929, dettaglio della trave-colonna
Che cosa significa comprendere? E nel nostro caso, comprendere il processo?
Tradizionalmente la filosofia aveva dato due tipi di risposte:
a) quando comprendo, per esempio, una regola, le conseguenze della regola esistono già nella regola, come se essa tracciasse la linea della propria
osservanza attraverso lo spazio (possiamo chiamare questa posizione determinista);
b) tra le regole e la sua applicazione c’è bisogno di qualcosa, un’interpretazione, uno schema concettuale, una proiezione (posizione interpretazionista).
Le osservazioni del filosofo mirano invece a mostrare come nel fenomeno
della comprensione siano implicate “certe circostanze”67, “manifestazioni”,
“processi concomitanti”68 per cui diciamo che abbiamo capito la regola,
l’immagine, la parola.
2+2=4
>
4+4=869
Per esempio, nel caso di un’operazione algebrica diremo che l’abbiamo
capita quando la sappiamo sviluppare; nel caso di un’immagine quando
la sappiamo associare a qualcosa o riconoscere in essa forme e colori; nel
caso di una parola quando la sappiamo usare; nel caso di un’architettura
quando siamo in grado di riconoscerla come tale.
Wittgenstein mette in discussione entrambe le risposte filosofiche sopra accennate:
-
La prima, perché non è la regola che contiene la sua applicazione, ma spesso – dice – è nell’applicazione che vediamo la regola70;
-
La seconda perché ci sono regole che non hanno bisogno di un’interpretazione, ma che noi seguiamo, per così dire, “ciecamente”.
Dalle analisi sviluppate, possiamo comprendere quello che Wittgenstein
vuole mettere in discussione, o meglio che, non è se la regola esiste, ma
che abbiamo bisogno di darci queste spiegazioni, il dogmatismo per cui il
modello, il termine di paragone, è scambiato con l’idea preconcetta cui la
realtà deve corrispondere. Tutta la critica wittgensteiniana mira a riportare
l’attenzione sull’uso che facciamo delle parole, e quindi anche dei concetti
e delle idee, sui contesti (lui li chiama “giochi linguistici”) nei quali diciamo
di aver capito il significato della parola, sulle azioni che accompagnano e
precedono il linguaggio. “Le parole sono azioni”, “In principio sta l’azione”,
“La prassi dà alle parole il loro senso”, così il processo si auto genera nel
momento stesso in cui io lo riconosco come tale.
67
Cfr. Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino, 2009,pp. 154
68
Cfr. Ibidem p. 152
69
Ludwig Wittgenstein, Osservazioni sul colore, Einudi, Torino, 1981, p.19 n.69
“Posso immaginarmi un logico che ci racconti che ora gli è riuscito di pensare effettivamente 2+2=4”
70
Cfr. Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, op. cit.
fig. 1 Ludwig Wittgenstein, Casa sulla
Kundmanngasse,ViennaVienna, 1929, finestre simmetriche
Questa analisi ci porta a sostenere anche sistematicamente la terza via di
cui nell’introduzione si accennava; sostenendo che l’idea si va formulando
con lo svolgimento del progetto e la sua formulazione, in questo senso la
comprensione dell’idea porta al progetto architettonico e entrambe sono
all’interno di un sistema processuale: nel processo si mostra l’idea. E questo
non significa, svilire l’idea o la progettazione architettonica, ma solo guardarle da un altro punto di vista, o meglio dimostrarla attraverso l’autonomia
del progetto di cui parla Colin Rowe.
Un’ulteriore esempio, ad avvalorare la centralità dell’idea bel processo architettonico, è formulato dal seguente gioco linguistico di Wittgenstein:
“L’architettura è un gesto. Non ogni movimento funzionale del corpo umano
è un gesto. Come non è architettura ogni edificio funzionale.”71
Se partiamo per esempio dal presupposto, Gropiusiano forma=funzione, ci
accorgeremmo che all’interno di questa equazione, si cela appunto l’idea,
la verificazione, l’autonomia del progetto, che vincola la soluzione formale
inconscia alle relazioni che si mettono in atto. Altrimenti vi sarebbe solo fissità
della forma.
“Ricordati dell’impressione che suscita la buona architettura, che è quella
di esprimere un pensiero. Viene voglia addirittura di accompagnarla con un
gesto.”72
La questione sin qui esplorata sulla natura del processo se ascritta a una fenomenologia si presenta attraverso specifiche declinazione. Definita la posizione dell’idea, e la sua centralità rispetto al progetto, e osservati i principi logici che sottendono alla questione ontologica del processo stesso, possiamo
individuare una serie di processualità specifiche in base alle strategie poste
in atto dai singoli progettisti.
Il processo progettuale quindi può manifestarsi come:
A_processo lineare
B_processo continuo
C_processo probabilistico o stocastico
Nel caso del processo lineare, la formulazione dell’idea viene immediatamente espressa, e su di essa si costruisce tutto l’apparto programmatico e
strumentale, che vedremo in seguito, per attivare il progetto.
Nel caso del processo continuo, l’idea è meno definita, costituisce solo l’incipit per l’individuazione di una strategia operativa, e prende forma man
mano che il progetto viene attivato.
Il processo probabilistico o stocastico, pone l’idea in una situazione secondaria, aleatoria; l’idea si definisce in un punto imprecisato del processo, ma
solo alla fine, e quindi “a posteriori” trova la sua forma di verificazione.
Questa classificazione, ci permette di identificare una possibile fenomenologia, rispetto alla questione legata allo svolgimento progettuale. Vedremo in
seguito come questi tre atteggiamenti siano parte di un’evoluzione comportamentale rispetto alla questione progettuale.
71
72
Cfr. Ludwig Wittgenstein, Pensieri Diversi, Adelphi, Milano, 1980, p. 86
Rosa Tamborrino, a cura di , Le Corbusier Scritti, Giulio Einaudi Eitore, Torino, 2003, p.160
fig. 1 Ludwig Wittgenstein, Casa sulla
Kundmanngasse,Vienna, 1929
Linguaggio processo
“Fui attratto da quel bambino, per il fatto che egli continuava a
chiudere e stringere gli occhi, mentre tentava di portare il pugno
chiuso verso gli occhi, e si lamentava piagnucolando. La persona
che lo accudiva, pensando che il bambino stesse male, oppure
che facesse semplicemente i capricci, dondolava la carrozzina
per farlo tacere. Probabilmente pensava: ha mangiato , è coperto, respira bene, dunque non c’è ragione che si lamenti. Ma quella
persona ragionava per preconcetti, secondo i predicati e i luoghi
comuni della vita quotidiana. Non era in grado così di vedere e
capire i segni, i segnali che sono l’unico modo di comunicare del
bambino. […] In realtà quel bambino era molestato dalla intensità
luminosa di una lampadina. Ciò che ci fa leggere e capire i segni è
la percezione.”73
Herbert Read
Io non dico (come fanno gli psicologi gestaltisti) che l’impressione
del bianco si origina in questo o in quest’altro modo. Piuttosto, la
questione è esattamente questa: quale sia il significato di quest’espressione, la logica del concetto.74
Ludwig Wittgenstein
L’incipit del paragrafo, ci porta a visualizzare due concetti fondamentali
per addentrarci in quello che possiamo definire parte teorica degli strumenti
comprensivi del processo.
Abbiamo di fatto osservato, in merito all’analisi sul linguaggio, prodotta L.W.,
che tutta la critica wittgensteiniana mira a riportare l’attenzione sull’uso che
facciamo delle parole, e quindi anche dei concetti e delle idee, sui contesti (i “giochi linguistici”) nei quali diciamo di aver capito il significato della
parola, sulle azioni che accompagnano e precedono il linguaggio. “Le parole sono azioni”, “In principio sta l’azione”, “La prassi dà alle parole il loro
senso”. Ovviamente riportando il concetto linguistico nel tema compositivo,
i segni costituiscono la forma di linguaggio propria della composizione. Essi si
articolano secondo le necessità espressive generando forma.
Ovviamente però sempre secondo quanto osservato L.W., fondamentale è
il contesto (lo spazio) nel quale viene collocato il segno perché esso assuma
un dato significato, in questo caso la relazione diviene l’elemento cardine
per la comprensione del segno stesso, così è anche per il linguaggio. Inoltre
pone l’attenzione sul significato di alcune parole di cui sconosciamo il significato a prescindere dal contesto in cui esse si inseriscono. In questo senso
possiamo affermare di riconoscere una serie di significanti innate o meglio
universali (il dato atomico di Base).
Poniamo il caso di una retta tracciata su un piano infinito, essa, seppur generando forma, perché individua una cesura all’interno del spazio infinito rima73
74
Cfr. Herbert Read, Educare con l’arte, Edizioni Comunità, p.128
Ludwig Wittgenstein, Osservazioni sui colori, op. cit., p. 12, n.39
fig. Variazioni sul rettangolo. In senso verticale da la sensazione di respiro, in senso
orizzontale dà il senso di profondità. Questo
tipo di principio lo riscontriamo si a negli
studi del Bauhaus, sia nelle architettura di
Frank Lloyd Wright. (M.M.)
ne nella sua essenza una retta nello spazio. Se tracciamo la retta all’interno
di un foglio, questa amplia la sua categoria di significati, essa rispetto al foglio, può rappresentare un limite di una separazione tra due spazzi del foglio
stesso, oltre a essere una retta su un piano. In un certo senso essa viene
ad assumere quindi un significato legato al contesto. Tutti la riconosciamo
come linea o segmento (dato atomico di base) inserita in un dato contesto,
essa può essere un limite o una cesura (dato relativo di significazione) rispetto al campo nel quale interagisce.
In questo senso possiamo affermare che il campo di azione su cui si relazionano le figure genera il significato stesso della loro associazione. In questo
caso possiamo parlare quindi di Campo,
“Ma cosa possiamo intendere per campo?
Il Campo è uno spazio che presenta alcune caratteristiche costanti in ogni
suo punto. […] la lavagna, l’aula di una scuola, la tela del pittore, ecc. […]
Perché sono campi tutte queste cose, così disparate tra loro? Sono campi
perché sono spazi che hanno al loro interno certe caratteristiche omogenee (colori, materiali, forma, funzione,ecc.) e sono spazi perché al loro interne si compiono determinate operazioni.”75
Il campo quindi è lambito o meglio, lo spazio della significazione, lo spazio
delle condizioni cui si pongono gli oggetti.
“[…] il campo, è l’azione reciproca dello spazio sugli oggetti, e degli oggetti
sullo spazio, l’interazione oggetti campo che noi riscontriamo ovunque, anche nella città e nel territorio.”76
Il campo quindi svolge un ruolo fondamentale per l’azione stessa della composizione, esso rappresenta il limite entro il quale operare attraverso lo sviluppo formale.
Il campo però non si definisce in se ma si formula attraverso una sequenza
di sotto campi che lo compongono. La sua struttura si formula attraverso
l’interazione reciproca che gli oggetti esercitano sul campo e il campo sugli
oggetti. Il campo si compone di quattro specificità determinanti: il campo
geometrico intuitivo, il campo gestaltico, il campo topologico, e il campo
fenomenologico.
1 ) il campo geometrico intuitivo educa la nostra percezione visiva di tipo
oggettivo, con una espressione estetica di tipo enumerativo.
2) Il campo gestaltico educa la nostra percezione visiva di tipo fisiologico e
psicologico, con un’espressione estetica di tipo empatetico.
3) Il campo topologico educa la nostra percezione visiva al tipo associativo,
con espressione estetica di tipo immaginativo.
4) Il campo fenomenologico educa la nostra percezione visiva di tipo caratterizzante, con un’espressione estetica di tipo organico, ritmico e strutturale.77
75
76
77
A.Marcolli, Teoria del campo, Sansoni Editorie, 1971, Firenze. p. 3
Ibidem
A.Marcolli, Teoria del campo, op. cit., p. 4
fig. Variazioni su concetto di tensione e
movimento, nel dato percettivo.Ridisegno
degli studi svolti da Marcolli. (M.M.)
Se osserviamo una sedia, come prima cosa, ne percepiamo la sua fisionomia, che ci fa dire appunto che è una sedia, significato assunto per via inconscia, o meglio per prassi linguistica (in riferimento a Ludwig Witggestein).
In una seconda osservazione, la nostra osservazione ci porta a formulare delle considerazioni di tipo geometrico - intuitivo, ovvero le forme geometriche
che la compongono. La nostra osservazione acquisisce così un carattere
oggettivo.
Il punto da cui osserviamo la sedia e il significato percettivo che ne attribuiamo, che ovviamente acquista una sua inclinazione in base all’osservatore,
può sembrarci piccola, sproporzionata, di un colore non gradito, l’osservazione assumerà cosi un significato gestaltico la cui percezione dello spazio
è di tipo psicofisico. La sedia poi la vediamo in relazione anche tutti gli altri
oggetti, con i quali forma un insieme, un certo ambiente, uno spazio in cui
viviamo; in questo caso l’osservazione e di tipo topologico. In ultima analisi
ne osserveremo la tecnica costruttiva, come essa è assemblata, in questo
caso l’osservazione è fenomenologica, nel fenomeno inteso come momento della realizzazione, a percezione e di tipo caratterizzante. La sequenza
di lettura posta è solo funzionale, alla comprensione dell’analisi che si vuole
sviluppare. In realtà la sequenza di osservazione diretta può essere unica o
tutte queste cose simultaneamente.
Tenendo presente la classificazione dei diversi campi geometrici, diciamo
che:
A) Il campo geometrico - intuitivo si avvale prevalentemente della geometria euclidea, che è la geometria in cui le proprietà metriche delle figure
rimangono inalterate quando siano sottoposte a traslazione, rotazione, riflessione, o dilatazione.
B) Il campo gestaltico si avvale prevalentemente della geometria affine, di
quella geometria che permette diverse trasformazioni e la proiezione tramite raggi paralleli della figura su un piano comunque disposto; e della geometria proiettiva, basata sulla proiezione di una figura da un fuoco o punto
focale su uno schermo posto tra il punto e la figura oppure al di là della
figura.
C) Il campo topologico, si avvale della geometria topologica, di quella geometria che studia le proprietà di una forma che si conservano durante le
deformazioni continue. Piegatura, torsione, allargamento, in cui non si modifica l’ordine dei punti geometrici.
D) Il campo fenomenologico, si avvale della teoria e geometria degli insiemi, in cui l’ordine dei punti non viene mantenuta nella diffusione, ma ne
viene mantenuto l’ordine.78
78
Cfr. Ibidem p. 6
1
2
3
fig. 1 Struttura del campo, ridisegno del
digrmma proposto da Marcolli. (M.M.)
fig. 2 Articolazione formale di un campo
dato il quarato. Ridisegno.(M.M.)
fig.3 A composizioni differenti permane il
principio reciproco di unitatietà. (M.M.)
Il concetto di campo è uno degli esempi più efficaci e innovatori rispetto al
quale possiamo formulare un progetto. All’interno del campo infatti, scaturiscono a livello compositivo tutte le azioni in grado di controllare il processo
di figurazione. L’instaurarsi di una regola generatrice, la proporzione, l’interazione e la formazioni di situazioni psicologiche e percettive di regolazione
spaziale. Il campo in questo senso costituisce la parte strumentale e di governo del processo di formazione figurativa e compositiva.
Il concetto spaziale di campo, determina nella questione processuale, una
serie di considerazioni utili alla definizione, sia di quanto detto in merito agli
studi svolti da Colin Rowe, sia in senso più generale agli sviluppi successivi nel
campo del progetto architettonico.
Il concetto di campo permette il controllo dell’indeterminazione formale, o
meglio di gestire sia la evoluzione dei nodi geometrici, sia il controllo dell’interazione tra forme complesse.
fig. Albert Renger Patzsch, foto di elementi
naturali. Studio dei principi di morfogrnesi,
1933.
Forma e processo
“Archè: il principio è la natura più che la materia”79
“L’indagine sulle differenze e sui contrasti fondamentali tra i vari
fenomeni organici e inorganici, tra cose animate e inanimate ha
impiegato il pensiero di tanti intelletti, mentre pochi soltanto hanno
indagato i principi comuni e le analogie essenziali.”80
“Se le cose naturali fossero generate non solo per natura, ma anche
per arte, esse sarebbero prodotte allo stesso modo di come lo sono
per natura”81
“La forma è […] l’interfaccia tra l’essere e l’indistinto sfondo del non
essere. Ciò che rende grande o piccola, statica o mobile, compatta o articolata, vivente o inanimata una forma è un mutuo gioco
delle forze.”82
Se il nostro modo di intendere il processo in campo compositivo, assume
anche il significato di generatore di forma, allora possiamo affermare che la
generazione di forma è processuale. Questa affermazione, che si presenta
come un gioco di parole, in realtà racchiude un concetto fondamentale
per lo studio di questa tesi. Possiamo intendere la forma come fatto processuale?
Abbiamo osservato come le forme assumano precise manifestazioni, definibili nel loro controllo attraverso quella che in precedenza abbiamo indicato
come teoria dei campi, ove il campo è lo spazio nel quale la forma esiste.
Quindi abbiamo analizzato lo spazio delle interazioni, ora, ciò di cui necessitiamo è comprendere quali principi sottendono ai processi morfogenetici.
Soprattutto in considerazione degli sviluppi figurativi delle architetture contemporanee.
Innanzitutto dobbiamo partire dal significato di forma. La molteplicità di significati che attraversano il concetto di forma attraversa ogni sorta di linguaggio, o meglio qualsiasi artefatto comunicativo si sviluppo attraverso la
forma sensibile e la forma intelligibile.
Ma tradotto nel campo compositivo, dall’ideazione, alla progettazione,
alla produzione, coinvolge tanto la morfologia quanto la metamorfosi. Metamorfosi in quanto trasformazione di una morfologia in una successiva. In
questo senso molte delle manifestazioni figurative moderne che, permettono di associare la raffigurazione artistica a quella architettonica sono guidate da questo principio. “La forma è un elemento essenziale e imprescindibile
in qualunque ambito, dal microcosmo al macrocosmo, dall’effimero al duraturo, dal continuo al discreto […] dalle strutture della stabilità al divenire,
dall’energia alla materia.”83
La forma, quindi non attiene solo alla dimensione razionale, dettata dalla
79
80
81
82
83
D’Arcy Thompson, Crescita e forma, La geometria della natura, op. cit., p.20
Ibidem
Aristotele, Fisica, II,199° 13.14, in ID, Opere,Laterza, Roma 1983 Vol III p.45
Giuseppe di Napoli, I Principi della Forma, Einaudi, Torino, 2011 p. 2
Ivi., p. XIII
fig. Albert Renger Patzsch, foto di elementi
naturali. Studio dei principi di morfogrnesi,
1933.
mente umana, ma essa fa parte anche dell’informe. Essa vive e si manifesta
sia nella dimensione geometrica e allo stesso tempo nelle forme fluide e
complesse dei frattali. Essa penetra in tutte le forme espressive in quanto forma. Questo porta quindi a definire la forma, anche come qualcosa che non
si può limitare alla semplice descrizione geometrica bidimensionale, ma che
necessità di una dimensione più ampia, spesso materica, tridimensionale.
Ma come si manifesta la sua capacità processuale?
La processualità della forma sta proprio nella sua capacità auto-generativa,
in quanto insita nel concetto di spazio-tempo. La forma per raggiungere la
sua verificazione, e quindi formarsi deve avere un inizio e una fine, “la fine
nella quale ineludibilmente subisce l’ultima e definitiva variazione in cui si
definisce come altra forma.”84 La forma è quindi processuale per definizione.
Lo stesso Klee individua questo potere generatore di forma nella natura, così
nell’arte.85 “L’artista, deve porsi nel punto in cui hanno origine tutte le cose,
la dove ha luogo la genesi come creazione, dove le forze vorticose generano le forme originarie e primigenie comuni a tutti gli esseri.”86
L’architetto non imita le forme, ma il processo genetico di formazione, il principio morfogenetico da cui discendono; non imita la natura in quanto creato, ma in quanto naturans, in quanto processo di creazione.87
La forma quindi determina una permanente mutazione, un continuo processo formativo alla cui base risiedono un insieme di principi universali, che
determinano la particolarità di ogni singola identità. Quindi la forma si manifesta come, continua variazione, o mutamento, nel tempo e nello spazio
entro cui si colloca. Il modo in cui le forme vengono generate, e riprodotte
dall’uomo, è riconducibile: da un lato all’evoluzione degli strumenti di controllo informatico, in grado di calcolare e riprodurre i principi di morfogenesi;
dall’altro la presa di coscienza delle possibilità di astrazione insite nella forma
stessa. La forma quindi si genera attraverso l’azione di forze; il principio formativo è leggibile come il diagramma dei movimenti che le forze morfogenetiche tracciano nel loro spazio. Nella fase processuale di definizione della
forma, in assenza di vincoli, i principi di morfogenesi rispondono alle stesse
configurazioni presenti in natura. D’Arcy Thompson sostiene che gli esseri viventi assumono precise conformazioni in quanto “le particelle che le compongono sono state assestate, modellate, conformate […] in obbedienza
alle leggi della fisica”88. Ne consegue che le forme sono frutto delle forze
o meglio sono diagrammi delle forze in gioco. Il loro stare insieme sottende
alle leggi della composizione ove per composizione secondo la definizione
di J.Ruskin, significa “mettere insieme varie cose per farne una cosa sola, alla
cui qualità e natura tutte contribuiscono. Ad esempio il musicista compone
un’aria mettendo insieme le note in certi rapporti; un poeta compone una
poesia disponendo pensieri e parole in un bell’ordine; il pittore compone un
dipinto disponendo pensieri, forme, colori in un ordine dilettevole. Considera
come in tutti questi casi il risultato della composizione debba essere un’unità
84
Ivi., p. XVI
85
“…io contemplo il creato, la natura , da questo mondo primigeno, secondo formule preconcette, che abbracciano a un tempo l’uomo, l’nimale, la pianta, il minerale, gli elementi, e tutte le forze
peranti nell’essee” ( Paul Klee. Diari 1898-1918. La vita, la pittura, l’amore. Un maestro del Novecento si
racconta, il Saggatore, Milano, 2004, p 349
86
Cfr. ibidem, p. 349
87
Giuseppe di Napoli, I Principi della Forma, op. cit., p. XVI
88
D’Arcy Thompson, Crescita e forma, La geometria della natura, op. cit., p.11
fig. Cristopher Alexander, Diagramma prefigurativo di un viallggio. Tratto da: Note sulla
Sintesi della Forma.
concepita in precedenza.”89
La ricerca e lo studio dei principi formativi, trova storicamente da Ruskin in
poi, anche se la nostra chiave di lettura, deve andare oltre la questione più
propriamente ascritta alla composizione come elementi giustapposti e definiti. Più che altro a noi interessa il raggiungimento del principio di unità che
sottende alla questione compositiva.
Una chiave di lettura fra le più importanti per la nostra tesi, è rappresentata
dagli studi svolti da Cristopher Alexander in the nature of order. L’opera si
compone di quattro volumi entro i quali sviluppa una teoria basata sui centri,
in cui si interpolano una serie di atteggiamenti e manifestazioni di morfogenesi non tanto derivate dalla natura, ma piuttosto frutto dell’azione dell’uomo. Tali manifestazioni, trovano secondo Alexander un’analogia con le manifestazioni della natura. Alexander, parte dal una base teorica fondata su
due concetti di base: il primo è che le forme si generano per polarità, al di là
della loro scala, e dalle cui polarità scaturiscono nuova forma; la seconda
è che le costruzioni valide sono quelle che rappresentano istanze di forme
generali del progettare, non legate a nessuna tecnica specifica, ma che
permettono un equilibrio fra i ruoli assegnati alle diverse componenti della
costruzione. Date questi due principi definisce i principi di centro attraverso
la manifestazione di quindici proprietà di base di ogni processo formativo. 90
Sulla base di questi studi possiamo dedurre che la forma è processuale, e
che i suoi principi morfogenetici, anche se riprodotti dall’uomo rappresentano una continuità con i processi di morfogenesi naturale. Lo stesso Paolo
Portoghesi, nel suo testo Natura e Architettura91, sottolinea questo principio
di continuità, attraverso il principio delle analogie funzionali, e delle omologie strutturali.92 “I principi che presiedono alla formazione delle cose sono
dunque il legame profondo tra mondo naturale e mondo artificiale e costituiscono l’unico solido riferimento per l’artefice, l’unica certa ragione.”93
Alla luce dell’esistenza di un sistema processualmente definibile di definizione della forma attraverso l’azione dell’uomo, e in continuità le leggi di morfogenesi della natura, possiamo identificare la stessa capacità nello gestire
da parte dell’uomo tutte le forme (formate e informi) che si manifestano.
Questo principio libera la forma dai vincoli della geometria classica, per
aprirsi verso forme inesplorate, attraverso l’attivazione di quei principi che
sono proprietà della realtà. In questo senso possiamo chiamare in causa gli
studi condotti da Giuseppe di Napoli, in merito alla ridefinizione dei principi o
meglio delle proprietà della forma. Nei suoi studi riesce a sintetizzare in una
89
J. Ruskin, Gli elementi del disegno, trad. di M.G.Bellone, Adeplphi, Milano, 2009, p.187
90
Cfr. Christopher Alexander, Note sulla Sintesi della Forma, Il Saggiatore, Milano, 1967,
Il fisico e architetto americano, individua nella natura e nella attività umana, le medesime strutture
formative che giustificano la continuità dell’esistenza. Egli individua quindici principi che definiscono
un centro: livelli di scala, centri forti, confini bordi, ripetizione alternata, spazio positivo, forma buona,
simmetrie locali, interconnessione profonda, contrasto, gradienti, irregolarità, echi, vuoto semplicità e
calma interiore, non separatezza. (Cfr. Christopher Alexander, The luminous ground , Vol IV, in The nature
of order : an essay on the art of building and the nature of the universe, Berkeley Center for Environmental Structure, 2004). Tali principi individuati dagli studi di C. Alexander mettono in luce l’esistenza di un
sistema processualmente definibile.
91
Paolo Portoghesi, Natura e Architettura, Skira, Milano, 1999
92
In merito risultano importanti gli studi svolti anche dall’architetto Frei Otto, sulla geometria della
natura, e sui principi di morfogenesi descrivibili e traducibili in forme architettoniche.
(Cfr., Feri Otto, a cura di, Karl Wihelm Schmitt, L’Architettura della natura, Il Saggiatore, 1984)
93
Paolo Portoghesi, Natura e Architettura, Skira, Milano, 1999, p. 31
fig. 1 Diagramma dei sette principi. (M.M.)
precisa scala i principi formativi.
“Principio del centro
Principio del minimo
Principio delle polarità e delle transizioni
Principio della crescita
Principio della costanza e del mutamento
Principio della relazione parte-tutto
Principio dell’amorfia e del caos
Principio del campo vuoto”94
Il Principio di centro, si basa sul principio di fulcro generatore cosmologico,
tutto nasce dal centro e rimanda ad esso.
Il principio del minimo, si basa sulle forme che generano l’unità sinergica, le
forme universali che se applicate generano nuove forme. Possiamo definirle
unità di base.
Principio delle polarità e delle transizioni, costituiscono lo spazio entro cui
una forma si contrappone all’opposta nelle sue qualità. (piana-tonda; piena-vuota; aperta-chiusa…)
Principio della crescita, si basa sul principio dinamico della crescita della
forma legata al campo delle forze in gioco. La sua capacità a svilupparsi sul
campo della scala. Ad esempio la misura funge da elemento di controllo e
da generatore di crescita scalare.
Principio della costanza e del mutamento, sottende al mutamento della figura e alla sua evoluzione. Un caso per semplificare l’esplicazione è rappresentato da come possiamo interpretare la figura umana data una forma
universale e subisce mutazione.
Principio della relazione parte-tutto, la forma in se detiene i principi e le forze
che generano la forma stessa e quindi sono parte del tutto. Esse contengono i principi formativi che governano i successivi processi di genesi in altra
forma.
Principio dell’amorfia e del caos, riguarda le forme che sono informi o meglio distanti dal nostro campo visivo che tende a percepire le figure stabili. La
nuvola, o il fumo di sigaretta, sono informi, amorfi, fluidi e instabili, risultando
difficili da categorizzare con leggi o norme. Un tentativo è generato dalla
teoria dei frattali che assegna un ruolo anche al caso, analizzando le e generando metamorfosi irreversibili.
Principio del campo vuoto, anche il vuoto costituisce elemento di generazione di forma, o meglio esso stesso è forma in quanto interagente nel campo della morfogenesi. Il vuoto quindi fa parte come in natura, dei sistemi di
espressione della realtà e si definisce come spazio e quindi naturalmente
verificabile.
L’insieme dei principi qui descritti ci porta a confermare la posizione espressa in apertura, o meglio che la forma sottende a dei principi formativi di
tipo processuale, in quanto la forma si manifesta come fenomeno processuale. L’uomo attraverso sistemi di interpretazione, e attrezzi strumentali
specifici, è in grado di riprodurre tali principi, aumentando la sua capacità
di esplorare nuove forme.
94
Giuseppe di Napoli, I Principi della Forma, op. cit., p. XVI
Stumenti del processo
III
fig. Studenti del primo corso del Bauhaus,
Raffigurazioni di illusione ottiche. La sovrapposizione e la ripetizione di figure bidiensionali crea l’illusioni di strutture tridimensionali.
La approsimazione geometrica
L’indagine sulle differenze
E sui contrasti fondamentali
Tra i vari fenomeni
organici e inorganici,
tra cose animate e inanimate
ha impegnato il pensiero
di tanti intelletti,
mentre pochi soltanto
hanno indagato i principi comuni
e le analogie essenziali.1
“La geometria non sempre stabilizza l’architettura [...], la percezione del ruolo della geometria oggi è stato notevolmente condizionato[...]. La geometria per molto tempo è rimasta silente, essa “era
attiva nello spazio intermedio e ad ogni sua estremità.” 2
In merito alla questione processuale, possiamo individuare una serie di dispositivi, di strumenti grafici e di modelli, che assolvono a specifici scopi e
utilità all’interno dell’elaborazione progettuale. Posto che il processo si può
intendere come una sorta di “biografia del progetto”3 tesa a giustificare e a
dimostrare la validità della “strategie”4 messe in atto, possiamo rilevare che
queste ultime comportano il ricorso a specifici strumenti per giungere alla
risoluzione processuale.
Fra gli strumenti caratterizzanti la strategia processuale individuiamo: la geometria, come fonte descrittiva e esplorativa delle nuove ricerche formali; il
diagramma, come elemento di organizzazione programmatica, figurativa
e formale5; il modello come strumento di interpretazione, verifica, e elaborazione progettuale.
La geometria rappresenta anzitutto lo strumento d’interpretazione formale
diagrammatica della realtà, individuandone dei tratti essenziali. Essa inoltre
consente il controllo della forma e dei suoi processi. La geometria svolge
quindi un ruolo descrittivo e di controllo dei processi morfogenetici del progetto.
Ma nello specifico della strategia processuale, qual è il ruolo della geometria?
Per dare una risposta, possiamo partire da due considerazioni. La prima è
che la geometria è processuale in quanto elemento di controllo descrittivo
dei principi morfogenetici, concorre a generare forma dalla forma.6 La geometria agisce secondo modalità di per sé riconducibili a un processo.
In secondo luogo, come le esplorazioni formali e spaziali del XX secolo am1
D’Arcy Thompson, Crescita e forma, La geometria della natura, op. cit., p.21
2
Cfr. Robin Michaels Evans, The Orojective Cast: Architecture and Its Three Geometries, Ed. MIT
Press, 1995
3
Rafael Moneo, Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti contemporanei, Elecata, Mialno, 2007, p.128
4
Con il termine strategie si identificano i paradigmi, i procedimenti, gli strumenti formali che
compaiono con ricorrente insistenza nella pratica progettuale
5
Come vedremo negli esempi scelti, per la dimostrazione della questione processuale, il diagramma può assumere la funzione di determinante figurativa del progetto.
6
Cfr. Peter Einseman, La base formale dell’architettura moderna, Pendragon, Bologna, 2009
1
3
2
4
fig. 1 Antonì Gaudì, Geometria frattale del
Parque Guell a Barcellona, e geometria delle definizione strutturale della terazza e del
diagramma delle dorze del percorso coperto,1909
fig. 2 geometria dela posizione dei pilastri
della terrazza del parco guell.
fig. 3,4 Modelli, per la risproduzione dei diagrammi delle forze delle strutture portanti
1912
piamente dimostrano, essa funge da elemento di connessione tra aspetti
fisici e principi morfogenetici.
Dagli anni Sessanta, con l’introduzione dell’uso del computer nella pratica
progettuale, la descrizione geometrica assume nuove valenze, in quanto
viene utilizzata per descrivere forme complesse controllabili grazie al calcolo
elettronico.
La scelta di utilizzare forme prima difficilmente gestibili assume oggi un ruolo
centrale nella formulazione dei progetti, in una ricerca dell’indeterminato
e dell’inesplorato a cui sembrano affidati il carattere e l’unicità dell’opera.
La geometria, supportata dalla capacità di calcolo del computer, assume
un ruolo propulsore verso nuove esplorazioni formali, divenendo “prolungamento della mano.”7
Possiamo “intendere che il lavoro dell’architetto sta nel passare dalla geometria allo spazio attraverso la costruzione. Convertire un’idea in forma,
un concetto in realtà costruita, utilizzando la geometria come strumento
d’intermediazione.”8
Questo principio di continuità tra geometria e tecnica, caratterizzato da
una forte esigenza all’esplorazione formale, possiamo circoscriverlo alle sperimentazioni degli inizi del XX secolo.
Un esempio emblematico è rappresentato dall’opera di Antoni Gaudí,
il quale conduce nelle sue architetture, come nel caso del Parco Güell a
Barcellona, o della Sagrada Familia, una esplorazione della forma, portata
avanti combinando l’utilizzo della descrizione geometrica con quello di modelli sperimentali di interpretazione delle forze in gioco.9
Questo modo di procedere anticipa la contemporaneità per l’uso della geometria, anzitutto come elemento descrittivo dei fenomeni “configurativi
naturali” (per esempio la curva disegnata da una corda fissata alle estremità per effetto del suo peso proprio), e in secondo luogo come strumento di
elaborazione tecnico-costruttiva (con lo studio sulla catenaria).10
La geometria assume anche un valore espressivo, che si manifesta nelle
opere delle Avanguardie e, soprattutto, del movimento costruttivista, come
ad esempio nella torre di Vladimir Tatlin per la Terza Internazionale del 1920
a Mosca.
Si tratta di opere che utilizzano le possibilità espressive della geometria per
rendere il movimento e raggiungere una nuova rappresentazione “oggettiva” della realtà.
Lo stesso uso espressivo della geometria è individuabile nelle sperimentazioni del Bauhaus, con lo studio della forma pura e delle sue alterazioni11,
in relazione con le specificità dei materiali e con le potenzialità figurative
di questi. Le ricerche condotte nella scuola tra il 1925 e il 1928, nei corsi di
7
Cfr. Carlos Ferrater, Geometria en el Tiempo,Actar, Barcellona, 2006, p.4
8
Ibidem , p.4 “[…] intendere che, il lavoro dell’architetto sta nel passare dalla geometria allo
spazio attraverso la costruzione. Convertire un’idea in forma, un concetto in realtà costruita, utilizzando
la geometria come strumento d’intermediazione.“
9
Cfr.Juan Jisé Lahuerta, Antonì Gaudi 1852-1926, Electa, Milano, 1999
10
Una struttura che assume autonomamente una conformazione ideale è la catena, o la corda,
quando viene fissata alle sue due estremità, la curva che si genera per il proprio peso sottoposta alle
forza di gravità, da luogo alla catenaria.
11
Cfr. Robin Evans, The projective Cast, Architecture and Its Three Geometries, Ed. MIT Press, 1995,
p. 348 “Lissitzky, Van Doesburg, Mendelshon, Moholy-Nagy, and Gedion all approced sience in awe of
its inconceivable discoveries. Attacking the the metaphysics of classicism, they cobbled together a new
metaphysics out of the misteries of nineteenth- century mathematics.”
fig. Esercizi degli studenti dei corsi preliminari
di Albers, studi plastici, 1927
Gli esercizi miravano alla esplorazione delle
potenzialità palstico spaziali.
Studi realizzai con pezzi di carta taliata, senza asportarne pezzi. Gli effetti sono ottenuti
per estensione o compressione. La matrice
del taglio era frutto di uno studio geometrico. 1927-29
primo anno condotti da Laszlo Moholy-Nagy e Josef Albers, rappresentano
ancora oggi un punto di riferimento per le sperimentazioni sulle configurazioni plastico-spaziali: “Il fine ultimo era l’educazione a una capacità di vivere intensamente l’esperienza della figurazione architettonica.”12 Gli esercizi
prevedevano l’osservazione di fenomeni legati al peso ottico e all’espansione spaziale attraverso la costruzione di modelli. Oggi l’uso della geometria,
unito, come vedremo in seguito, alla costruzione di modelli, ricostruisce quel
legame tra ricerca materiale e configurazione formale.
Ma è soprattutto con la seconda generazione di architetti del moderno che
si manifesta una particolare attenzione per l’uso della geometria come strumento descrittivo del progetto e della costruzione, applicando in parte l’eredità dei pionieri come Graham Bell, di cui si è parlato in apertura della tesi.
Eredità nella quale la forma geometrica è intrinsecamente legata alla
espressività strutturale e spaziale della costruzione, in modo più esplicito di
quanto non avviene nelle architetture di Gaudí.
Un esempio è rappresentato dal progetto per la torre urbana di Filadelfia
del 1952 di Luis Khan, in cui la struttura determina la configurazione spaziale
dell’architettura.
Ma solo a partire dagli anni Sessanta, sull’onda del pensiero scientifico, assistiamo all’introduzione del calcolatore elettronico all’interno dei processi geometrici, consentendo come già accennato, lo sviluppo e la ricerca di configurazioni derivate dalle geometrie frattali. Questo, sostenuto culturalmente
dalle scoperte in campo logico e matematico “dell’attributo probabilistico”
ha condotto alla formulazione del così detto pensiero fuzzy13. “Le possibilità
del calcolo elettronico sui grandi numeri, e la possibilità di immettervi un numero altissimo di variabili, rende oggi possibile e riprodurre nei frattali i gorghi
logici dei fenomeni elementari della natura.”14
La geometria rappresenta in questo senso uno strumento utile alla costruzione di un linguaggio più prossimo alle manifestazioni formali presenti in natura, mantenendo la sua capacità di costituire un mezzo di controllo dei
principi morfogenetici.
Essa entra così a pieno titolo a far parte degli strumenti della strategia processuale, in quanto elemento descrittivo e di controllo della nuova ricerca
formale.
Le ricerche di Frei Otto sulla geometria della natura sono la dimostrazione
che l’architettura stessa potrebbe fondarsi sui principi morfogenetici naturali, ricostruendone geometricamente i rapporti armonici. Così facendo,
attraverso la descrizione geometrica dei processi morfogenetici naturali, si
costruisce un rapporto di analogie tra natura e tecnica15.
Un contributo importante è costituito dagli studi svolti da Frei Otto agli inizi
degli anni Settanta in merito alle configurazioni geometriche presenti in natura, riproposte attraverso il controllo geometrico in manifestazione architettonica.
12
Hans M. Wingler, Il Bauhaus, Campi del sapere Feltrinelli, Milano, 1987, p.552
13
Cfr. Andrea Branzi, Modernità debole e diffusa. Il mondo del progetto all’inizio del XXI secolo,
Skira, Milano, 2006
14
Ivi., p.19
15
Cfr. Otto Frei, L’architettura della natura. Forme e costruzioni della natura e della tecnica e
processi della loro formazione, Il Saggiartore, Milano, 1984
fig. 1 Lusi Khan, City Municipality Building,
1952-57, modello.
fig. 2 Luis Khan, City Municipality Building,
Esercizi strutturali sulla composizione del
triangolo, 1952-57
fig. 3 Luis Khan, pianta schematica dei piani
studio sulla conformazione. 1952-57
2
1
3
Lo studio sui principi morfogenetici della natura, sviluppato da Frei Otto, mette in moto una serie di meccanismi in grado di condurre la ricerca formale
verso nuovi orizzonti. Fra le sue analisi più importante vi è quella condotta
sullo studio morfologico delle bolle di sapone. Questo tipo di approccio ha
condotto a un rafforzamento dello strumento geometrico come approssimazione al controllo della forma organica.
Lo studio iniziale, si sviluppava attraverso lo sviluppo delle deformazioni delle
pellicole delle bolle di sapone, alle quali veniva applicata una forza reagente. Il risultato era l’ottenimento della deformazione della membrana di
sapone per punti di forza applicati alla superficie.16
La descrizione formale, ottenuta per mezzo del campo geometrico, ha permesso di descrivere l’andamento organico della forma attraverso la geometria. Frei Otto, ottiene così la configurazione della maglia di base sulla quale
applicare le forze di deformazione, riuscendo a riprodurre in chiave tecnica,
il fenomeno fisico di deformazione organica. Tradotta in campo architettonico, essa si manifesta con la tessitura di cavi di acciaio, che ricostruiscono
il campo di azione strutturale sui cui nodi si applicano i punti di deformazione. L’applicazione di tale principio è rappresentato dal padiglione tedesco
dell’Expo 67 di Montreal, la cui copertura è formata da una tessitura di cavi
che, sostenuti da elementi puntuali, simulano la forma organica delle bolle
di sapone. Questo passaggio richiede una forte astrazione geometrica in
grado di innescare processi di deformazione di una “maglia campo”, sulla
quale agiscono forze puntuali.
Il progetto così si appropria di una ricerca profonda, nascosta, che non viene esplicitata ma che permette il controllo tecnico di forme complesse, e la
verifica delle stesse forme applicate alla realtà.
Lo studio dei processi morfogenetici presenti in per mezzo della geometria,
rappresenta un’evoluzione verso la considerazione dei processi naturali
come elementi da comprendere e imitare, in grado di generare strumenti
grafici più ricchi e meno rigidi, più adeguati a dare conto di trasformazioni
complesse, diffuse, che sfruttano energie ambientali, sociali, topografiche.
L’uso delle maglie e dei reticoli come fonte d’indagine, di controllo e descrizione del progetto, portano ad atteggiamenti e approcci diversificati.
Da un lato l’esplorazione della forma si appropria di un rigore scientifico che
le consente di rileggere e riprodurre artificialmente il principio di morfogenesi naturale, riproducendone l’aspetto figurativo. Dall’altro questo sistema
di astrazione permette lo sviluppo e l’utilizzo delle maglie generatrici come
strumento sistematico per l’ottenimento della configurazione spaziale. La
maglia si libera da un’origine “naturale”, ma basa la sua autonomia sulla
generazione di un linguaggio proprio, stabilendo le proprie regole e grammatiche.
Peter Eisenman, basa la sua ricerca sull’uso delle maglie geometriche, dei
reticoli, al fine di costruire un linguaggio sistematico e non figurativo.17 La
posizione teorica è che “la forma architettonica sia la riconoscibile trasfor16
La prova empirica di verifica del fenomeno, era realizzata attraverso l’uso di un tirante in corda
posto a contatto con la membrana di una bolla di sapone adagiata su un piano. La risultante deformazione della bolla sotto la sollecitazione della corda, permetteva di controllare in natura la massima
deformazione della membrana.
17
Cfr. Rafael Moneo, Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti
contemporanei, op. cit., p.129
1
5
2
3
4
fig. 1e 2 Frei Otto, studi, vertice di una pellicola di sapone con lamelle trasformabili.
fig. 3 Frei Otto, studi, vertice di una pellicola
di sapone sulla quale vine posta una corda
di trazione.
fig. 4 Frei Otto, studi, Bolle concentriche, studio della morfognesi
fig. 5 Frei Otto, German pavilion at the World
Exhibition in Montreal, 1967
fig. 6 Frei Otto, paragone fra la conformazione delle bolle e le architettura pneumatiche.
6
mazione di qualche solido geometrico o platonico preesistente[…]”18 e che
essa sia come “qualcosa che è la semplificazione di certe serie preesistenti
di entità spaziali non specifiche”,19 assumendo così “una condizione fondamentale di frammentazione e molteplicità”20, come nel caso del monumento all’olocausto di Belino. In questo progetto, si avverte più che in altri la
presenza delle maglie sovrapposte come fondatrici della variazione spaziale. L’elemento seriale prende forma e identità all’interno della maglia, ogni
singola variazione dell’elemento seriale ne determina l’individualità.
Un ultimo aspetto, è rappresentato delle potenzialità offerte dall’uso del
computer, in quanto esiste un caso di manifestazione formale che supera
l’aspetto architettonico. Questo caso, si manifesta quando le regole generatici sono interne al progetto, attraverso l’astrazione numerica. In questo
caso, la geometria assume un ruolo generativo, come nel caso del Padiglione presso la Serpentine Gallery di Toyo Ito, nel quale le leggi sono dettate da
una componente algoritmica, riducendo la matericità a favore della speculazione geometrica.
Possiamo quindi affermare che la geometria assume un ruolo processuale,
in quanto in grado di:
-
descrivere e guidare il processo progettuale partendo da principi di
morfogenesi riconducibili alla natura;
-
descrivere e guidare meccanismi di morfogenesi sistematica attraverso astrazioni logiche;
-
descrivere processi che inducono alla smaterializzazione dell’architettura, attraverso la speculazione matematica;
-
esprimere l’aspetto simbolico della forma.
La capacità esplorativa della geometria permette in questo senso di descrivere e guidare principi indotti dalla ricerca aperta alla modellazione inaspettata, attraverso soluzioni geometriche che si reggono sul concetto di:
rete, maglia, superfici, algoritmi, sistemi di parametrizzazione.
Questo permette di produrre un ordine interno al progetto, in una sorta di
blindatura rassicurante, ma al contempo permette di gestire complessità
diversamente non controllabili, e di procedere adattandosi a variabili soggettive, locali.
La geometria si avvale anche di nuove proprietà prima d’ora difficilmente
gestibili con fenomeni di trasversalità, deformabilità, e metamorfosi.
La geometria rappresenta in sostanza l’elemento principale di scambio tra
l’intenzione progettuale, il controllo tecnico della forma, la sua trasformazione in funzione di variabili aperte e la realizzazione del progetto.
Le ricerche di Frei Otto sulla geometria della natura, sono la dimostrazione
che l’architettura potrebbe fondarsi essa stessa sui principi morfogenetici
naturali ricostruendone geometricamente i rapporti armonici. Così facendo,
attraverso la descrizione geometrica dei processi morfogenetici naturali si
18
19
20
Pippo Ciorra, Peter Eisenman Opere e progetti, Elecata, Milano, p. 20
Ibidem
Ibidem
fig. Il progetto di Toyo Ito e Cecil Balmond
per il Serpentine Gallery Pavilion del 2002, è
basato su un volume definito da un involucro uniforme costituito dall’intreccio di una
serie di profilati piatti di acciaio che costituiscono un reticolo apparentemente casuale. In realtà l’organizzazione strutturale è basata su un algoritmo generativo impostato
su un quadrato che ruota e si espande.
Alla base dell’algoritmo c’è una considerazione strutturale secondo la quale il reticolo
più efficiente per una copertura quadrata o
rettangolare è quello che congiunge i punti
medi dei lati contigui; ne risultano dunque
una serie di quadrati inscritti uno dentro l’altro e ruotati, i cui lati vengono prolungati
fino al perimetro della copertura e successivamente piegati a formare le chiusure laterali dell’edificio.
costruisce un rapporto di analogie tra natura e tecnica21.
Nel caso di Eisenman la logica, la razionalità, sono alla base della ricerca di
“una gerarchia di elementi razionalmente intesa […] per la risoluzione […] di
un progetto architettonico.”22
A partire da questa posizione possiamo individuare una diversa declinazione
dell’uso della geometria come strumento in grado di gestire la complessità
delle configurazioni formali.
21
Cfr. Otto Frei, L’architettura della natura. Forme e costruzioni della natura e della tecnica e
processi della loro formazione, Il Saggiartore, Milano, 1984
22
Peter Eisenman, La base formale dell’architettura moderna, Pendragon, 2009, p.45
fig. 1 Peter Einseman, Monumento all’Olocausto di Berlino, 2005.
fig. 2 Maglia generatrice
fig. 3 Matrice di controllo delle variazioni.
fig. 4 Foto dell’opera
fig. 5 Foto di dettalgio
1
2
4
3
5
Il Diagramma
Proclo (V sec. a.C.) nel Commento al primo libro degli elementi di
Euclide spiega perché l’utilizzo dei diagrammi geometrici è così indispensabile oltre che pertinente alla visualizzazione dei principi formativi. Proclo sostiene che la geometria è la scienza che: contiene
le forme tutte[…]di tutte le cose esistenti […] esamina la natura e la
forma degli elementi percepibili e delle forze che operano in esse,
e spiega in che modo vengono concepiti in precedenza come
causa dei suoi concetti […] riguardo a ciò che segue ai principi, fa
uso delle analisi, per dimostrare che le cose più complesse derivano dalle più semplici e a queste di nuovo ritornano.23
Il secondo strumento che noi abbiamo definito caratteristico del processo è
rappresentato dal diagramma, come elemento di organizzazione programmatica, figurativa e formale.
I diagrammi24 sono in genere pensati, soprattutto nell’ambito della progettazione architettonica, come attrezzi grafici.25
Oggi rappresentano il sistema più efficace al fine di comunicare, in maniera
immediata, sistemi e concetti complessi altrimenti difficili da visualizzare nella
loro interezza. Possiamo definirli una sorta di codice sempre valido con un
grado di comunicazione universale.
I diagrammi servono a rendere chiare le funzioni, le forme, le strutture e i programmi ai progettisti; il diagramma è la rappresentazione astratta di modelli
concettuali. Nel campo del processo architettonico, costituiscono uno degli
attrezzi utili allo sviluppo del processo stesso, preservano sia il concetto di
programmabilità di una situazione, di uno sviluppo, di una previsione, e sia
l’aspetto delle relazioni fra le parti anche di fattori non interni al tema progettuale. Nei casi in cui si rilegge a posteriori un processo di progettazione, il
diagramma funge da sistema di ricostruzione delle fasi operative e descrittive dello sviluppo dell’opera.
“Per cui il diagramma non è più semplicemente una cosa, […] diventa figura
geometrica, elenco, registro, gamma o scala musicale. […] Più precisamente, seguendo le linee della sua geometria, il diagramma potrebbe essere
una figura composta da linee, una figura illustrativa, un insieme di linee, segni tracciati.”26
Ma è la funzione del diagramma che definisce la sua attitudine, esso contribuisce a dimostrare un’affermazione, rappresentare il verificarsi o “il risultato
di ogni sorta di azione o processo.”27
23
M. Timpanaro Cardini, a cura di, Commento al primo libro degli Elementi di Euclide, Giardini,
Pisa 1978, p. 68
24
Esistno diverse accezioni di diagramma: Il “The Oxford English Dictionary” fa derivare la parola
dal francese antico “diagramme”, che viene dal greco “diagramma” e si esprime per la composizione
di dia(“attraverso” – “da un capo all’altro”) e gramma (qualcosa di scritto).
25
“Lotus”, n. 127, Diagrammi: Istruzioni per l’uso, Giovanni Corbellini, p. 88, Editoriale Lotus, Milano,
2006
26
Anthony Vidler, Cos’è comunque un diagramma?, in Peter Eisenman Contropiede, Skira, Milano, 2005, p.19
27
Cfr. Ibidem
PANOPTICON
DIAGRAMMA FUNZIONALE
PRINCIOPIO DI CENTRICITA
fig. Lettura diagrammatica del Panopticon,
il carcere ideale progettato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham. (M.M.)
Contrariamente alla rappresentazione oggettiva della realtà, esso si manifesta come un sistema che rappresenta “simbolicamente”.28
La sua capacità di astrazione è ciò che lo rende al contempo un abbozzo o
“un’idea di massima” e un preciso detentore della definizione della forma.
Mediante questa astrazione, il diagramma riesce a essere, produttivo, così
che attraverso permutazioni e trasformazioni, “i caratteri di un diagramma
possono apparire in un’altro”29. In questo senso il diagramma è sia lo strumento del pensiero deduttivo, (ad esempio nella costruzione dei diagrammi
logici o relazionali), sia il suo specchio, nella manifestazione processuale.
L’introduzione del diagramma come elemento di controllo progettuale,
nell’accezione moderna, si manifesta, nella declinazione processuale, a
partire dalla fine del Settecento. Ci riferiamo in particolare alla rappresentazione diagrammatica di un’architettura utopica: il Panopticon,30 il carcere
ideale nel quale un unico guardiano può osservare (optikon) tutti (pan), si
basa sull’espressione in architettura di una nozione che attiene alla psicologia, la volontà di controllo, e di un principio figurativo.
L’edificio pare rispondere ad una lettura diagrammatica del suo funzionamento, o meglio l’architettura è espressione di un principio che relaziona
intenzioni, necessità, funzioni, con la forma architettonica.
Ma è a partire dalle sperimentazioni del Moderno che l’uso del diagramma
assume un ruolo centrale nello sviluppo processuale del progetto. La rappresentazione diagrammatica inizialmente era legata alle questioni delle
relazioni funzionali, dimensionali e di conformazione degli spazi, sia alla scala
urbana, sia a quella architettonica.
Il caso dell’Unitè di Marsiglia rappresenta in questo senso un precedente
storico emblematico.
Il sistema di assemblaggio delle Unitè e la rappresentazione della loro proprietà combinatoria è espressa da Le Corbusier attraverso la costruzione di
diagrammi illustrativi atti a garantire la trasmissibilità31 del processo aggregativo.
Abbiamo osservato, nei capitoli precedenti come un secondo ordine di
diagrammi descriva i nessi logici e funzionali fra gli spazi comuni all’interno
dell’edificio; manifestando un uso del diagramma di tipo logico relazionale
fra le funzioni.
28
In merito alla questione simbolica, la sua semiologia, ha identificato la questione come espressione del pensiero. Il pensiero, si è sempre avvalso dei segni, che servivano per esprimere la conoscenza
di qualcos’altro, che venivano detti per significare o rappresentare. Un segno ha quindi sempre un
oggetto e “il segno a sua volta suscita nella mente un pensiero, un segno mentale dello stesso oggetto e
ciò che interpreta il segno.” (Cfr. Charles Sanders Peirce, The Essential Perice. Selected Philosophical Writing 1893-1913, Vol 2, Indian University Press,1998, p. 13 – 274. / Umberto Eco, La struttura assente, Tascabili
Bompiani, Milano, 2008)
29
Cfr. Ibidem, p. 13 – 255.
30
Il Panopticon, il carcere ideale progettato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham si
basava sul principio che il carcere ideale era pensato per far si che un unico guardiano potesse osservare i prigionieri in ogni momento, i quali non devono essere in grado di stabilire se sono osservati o meno,
portando alla percezione da parte dei detenuti di un’invisibile onniscienza da parte del guardiano, che
li avrebbe condotti ad osservare sempre la disciplina come se fossero osservati sempre.
31
Il concetto di trasmissibilità è insito nel processo. In parole povere è descrivibile un atteggiamento consolidato da parte dei progettisti di dimostrare il processo attraverso il quale sono giunti al
risultato finale, per garantire la trasmissibilità del loro lavoro. In realtà questo atteggiamento, porta alla
autonoma verificazione del progetto. Da un punto di vista didattico, la trasmissibilità del processo col
quale si è giunti alla formulazione dell’opera costituisce uno strumento indispensabile.
1
2
fig. 1, 2 Eduardo Arroyo, Residense in Durango Spagna, 2005. Diagrammi combinatori
delle funzioni e delle unità servizi dei singoli
alloggi.
fig. 3 Modello del DNA umano
fig. 4 Modello del progetto
3
La potenzialità del diagramma sta nella sua capacità di sviluppare oltre la
forma geometrica, la prospettiva di scenari diversi, i cui contenuti sono di
ordine relazionale e prefigurativo. “[…] Il diagramma è un assemblaggio
grafico con specifiche relazioni tra diverse attività e forme, organizzazione
della struttura e distribuzione delle funzioni. […] I diagrammi non sono schemi, tipologie, paradigmi formali, o qualsiasi altra regola basilare, ma semplici
strumenti di ricerca, istruzioni per l’azione, o descrizioni contingenti di possibili
configurazioni formali.”32 “Le variabili in un diagramma sono: spazio e eventi,
forza e resistenza, densità, distribuzione e direzione. In campo architettonico,
l’organizzazione implica la sua traduzione nello spazio distributivo.”33 Quindi
il diagramma conserva in se capacità di condensa analisi e di sintesi di procedimenti complessi siano essi logici, numerici, funzionali e compositivi. Oggi
ancor più che nel passato il diagramma rappresenta uno strumento indispensabile per visualizzare dati, gestire informazioni, controllare veri e propri
processi, definire principi di mutazione della forma, e di manifestazione delle
variazioni poste in atto. In questo senso l’esperienza del Bauhaus ha giocato
un ruolo determinate con le manifestazioni che abbiamo osservato in precedenza nella questione legata alla geometria.34 L’utilizzo di sistemi di rappresentazione diagrammatica, hanno assunto all’interno della scuola valori
primari, nell’impostazione progettuale, da un lato come ricerca di forma, in
relazione alla funzione, e dall’altro come sistema di rappresentazione di relazioni. L’uso del diagramma era così indirizzato verso lo svolgimento logico
del rapporto tra forma – funzione – struttura.
Il diagramma quindi può rappresentare la morfologia di un’architettura, descriverne il suo funzionamento, definirne la relazione fra le parti, mostrare la
sua organizzazione, raccontare la storia del processo formativo.
Il diagramma assume così un ruolo decisivo nel campo della progettazione,
grazie alla sua capacità di riferirsi non solo alle informazioni necessarie alla
costruzione della fabbrica, ma anche a questioni sociali e funzionali, descrittive, analitiche, ecc., arrivando talvolta a poter costituire una prefigurazione
di un progetto non ancora elaborato o in fase di elaborazione….
Può avvenire che al diagramma corrisponda poi effettivamente lo sviluppo formale di un’architettura, come nel caso della torre per appartamenti
di Eduardo Arroyo a Durango35, dove una matrice diagrammatica di base
genera, per processi combinatori, lo sviluppo morfogenetico dello spazio
che simula e riproduce i processi di sviluppo del DNA umano, ricostruendo
un’immagine diagrammatica e parallela tra morfogenesi architettonica e
modulazione genetica.36
Il diagramma, se ricondotto alla scala urbana, assume significati di prefigurazione dello spazio urbano, di analisi delle funzioni strutturali, del controllo
della struttura ambientale e sociale. L’attenzione rispetto alla potenzialità
dei diagrammi e alle loro proprietà logico relazionali rispetto al controllo della crescita di una città, è riconducibile alle ricerche svolte negli anni Settan32
Stean Allen, Diagrams, in AA.VV., The metrapolis dictionary of advanced architecture,
Actae,Barcelona, 2004, p.162
33
Giovanni Corbellini, Voce Diagramma, Ex Libris, Ventidue Publisching, Milano, 2007, p.42
34
Ci si riferisce alle ricerca delle configurazioni plastico-spaziali del 1925 e il 28, nei corsi di primo
anno condotti da Laszlo Moholy-Nagy e Albers Josef presso il Bauhaus.
35
“El Croquis”, n. 136/137, Work Systems II, Madrid, 2006
36
Cfr. AA.VV., Eduardo Arroyo. Obra reciente, 2G, n. 41, Editorial Gustavo Gili, Barcelona, 2007
fig. Estratti da FarMax, attraverso dati informatizzatizzati, per generazione matematica
e combinatoria prendono forma sistemi di
prefigurazione e di previsione delle nuove
conformazioni urbane.
ta presso l’università di Harvard. Sotto la direzione di Walter Gropius,
Herdeg Klaus e Chritopher Alexander riuscirono a sviluppare un’interessante dimostrazione di pianificazione urbana attraverso l’uso
di diagrammi e di processi matematici combinatori, utilizzati come
attrezzi processuali di prefigurazione logica37 in funzione di un “clima
di oggettività per la progettazione”38.
Così il diagramma di un insediamento residenziale assume la forma
di strumento descrittivo dei processi di urbanizzazione, generato attraverso l’uso del computer che, date le istanze funzionali tradotte in
principi matematici / programmi, esprime in forma diagrammatica
le configurazioni possibili della crescita urbana.39
All’interno della questione processuale il diagramma può essere
quindi inteso come:
-
-
-
fonte di determinazione auto genetica;
fonte dell’indeterminazione;
funzione del programma40
Questo tipo di classificazione ci aiuta a porre in evidenza una serie
di caratteristiche in grado di definire le attitudini e gli spunti che il
diagramma può sviluppare all’interno del processo progettuale.
Il diagramma come fonte di determinazione auto genetica, svolge
la funzione di essere rappresentazione della configurazione spaziale
messa in atto da fattori derivanti da un sistema di gestione di informazioni e dati esterni.
Questo tipo di funzionalità del diagramma all’interno del processo
progettuale è rappresentato dalle sperimentazioni digitali sviluppate
in Farmax41, e in Metacity/Datatown42, dove il tema è la previsione,
la costruzione di scenari futuribili possibili, in assenza di un soggetto
operante; o meglio le operazioni di figurazione sono demandate al
computer. L’individualità progettuale è messa in secondo piano, la
previsione si sviluppa attraverso l’elaborazione di dati legati a diversi
campi, come ad esempio questioni economiche, sociali, dimensionali, di superficie, ecc., generando così spazi futuribili in cui la città
prende forma in conseguenza a un processo di auto formazione
conseguente all’elaborazione di variazioni numerico quantitative
generate dai dati introdotti. Nessuna topografia è definita, nessun
contesto, in un concetto estremizzato di immagine globale. Puri e
semplici dati che generano città.
37
Cfr. Herdeg Klaus, The Decorated Diagram, Harvard Architecture, and the failure of
the Bauhaus legacy, Mit Press, 1996
38
Guido Canella, Un ruolo per l’Architettura, TECA 5, Clean Edizioni, Napoli, 2008, p. 48
39
Chritopher Alexabder pubblicherà in proposito, A pattern language, una teoria di
classificazione di tutte le istanze di una città logicamente coordinabili attraverso l’uso di ben
253 pattern (modelli risolutivi) che risolvono problemi comuni a tutte le città.
40 Cfr. G. Luca Giannelli, Processo Progettuale, op. cit., p. 86
41
Cfr. Winy Maas, a cura di, Farmax. Exursions on Density, 010 Puclishers, Rotterdam, 1998
42
Cfr. Mvrdv, Metacity/Datatown, 010 Puclishers, Rotterdam, 2001
fig. 1 OMA Rem Khoolhaas, Progetto per il
Parco de la Villette a Parigi, 1982-83. Schema della zona centrale con fasce funzionali.
fig. 2 Schema con le fasce di destinazione
d’uso.
fig. 3,4 «No-Stop City» (1969) in contrapposizione alla ideologia del moderno, no stop
City rappresenta la estemizzazione ironica
delle architectura mostrando la sua assurda
capacita limite. “Permane l’idea di radicalizzare le componenti idustriali della architettura moderna.” A. Branzi
Planimetria generativa e veduta prospettica.
1
2
3
4
Il diagramma come fonte dell’indeterminazione del progetto costituisce
la chiave di ricerca sperimentale della forma inesplorata e sconosciuta. In
questo senso possiamo citare due esempi, il primo di questo genere è rappresentato dalle sperimentazioni degli Archizoom in No-stop City del 196970. In questi progetti diagrammatici s’instaura una coincidenza definitiva tra
soggetto e sistema, tra individuo e nuova definizione della metropoli come
grande giacimento genetico, in grado di produrre un continuo sistema di
espansione indefinito.
Il secondo è rappresentato dai progetti per il parco della Villette del 1982,
elaborati rispettivamente da Bernard Tschumi e da Rem Koolhaas, in cui il
diagramma rappresenta lo strumento per la gestione di processi progettuali
complessi e svincolati da obiettivi di carattere formale43, in grado di produrre
architetture capaci di confrontarsi in termini strategici e funzionali. “Laddove
il parco tradizionale è replica della natura dotata di quel minimo di attrezzature necessario per il diletto del pubblico, il programma in questione presenta un’autentica foresta di strumenti sociali.”44
Questo tipo di approccio costituisce il punto di arrivo di una forma espressiva del digramma definibile come sistema aperto, in grado di produrre in un
secondo momento la base per lo sviluppo della configurazione dell’opera e
lasciando il programma aperto alle necessità future.
In altri termini, il sistema diagrammatico si presenta, nella formulazione del
parco della Villette, come una strategia di indeterminazione programmatica; ogni cambiamento o mutazione del progetto, infatti, non implica l’ipotesi di partenza, dotando il diagramma della capacità di assorbire la mutazione.45
In questo caso i diagrammi assumono il ruolo di veri e propri attrezzi programmatici, in cui la composizione delle parti è frutto della costruzione diagrammatica. Non si stabilisce la forma architettonica ma si stabilisce la sua
programmabilità funzionale.
Il diagramma come funzione del programma, prevede l’applicazione di un
programma definito, attraverso il cui sviluppo diagrammatico si genera una
soluzione funzionale e spaziale.
Come caso esemplificativo possiamo citare il progetto di Eduardo Arroyo
presentato con i No. Mad Arquitectura, all’Europan 5: Hybridisation process
001. Il progetto si caratterizza per un programma definito sia nelle funzioni,
che nelle quantità46 attraverso il quale si determina un processo di costruzione di tipologie ibride la cui aggregazione e formulazione spaziale, risulta
spontanea. Il progetto si definisce attraverso l’attivazione di un “un processo
d’ibridazione programmatica”47 basata sul principio naturale di adattabilità.
43
Cfr. Jaques Lucan, OMA. Rem Koolhaas. Architetture 1970-1990, Electa, Mialno, 2001
44
Ibidem, p. 86
45
L’aspetto teorico di Rem Koolhaas, si basa sulla necessità di definire l’identità del progetto,
nonostante il suo significato contestuale sia ormai inserito nella logica della “globalizzazione”. “Come
architettura icona.” In questo senso i suoi edifici diventano punti in cui convergono l’unicità del progetto e la sua contestuale aspirazione di realizzarsi attraverso proiezioni sociali, politiche ed economiche.
Un esempio fra i più emeblematici è rappresentato dalla Casa da Musica di Porto. (Cfr. Guta Moura
Guedes, André Tavares, OMA. Office for metropolitan architecture - Rem Koolhaas. Casa da MUsica,
Edizioni Casa da Musica, 2008, Porto
46
AA.VV., the metapolis dictionary of advanced architecture, Vincente Guallart, Voce Processo
(Process), Actar, Barcelona, 2005
47
Eduardo Arroyo, No.Mad, Gallindo Hybrid City in Barakaldo, 1998, “www.nomad.as”
fig. Eduardo Arroyo, No. Mad Arquitec-
tura, Europan 5, Hybridisation process
001. Sequenza del processo generativo
, 2005
Il progetto s’insedia su una zona industriale dismessa entro la quale, attraverso l’azione progettuale, si diffondono in maniera omogenea e per via
diagrammatica quantità percentili di utilizzo del suolo, tradotte in unità di
densità, ottenendo così una distribuzione uniforme di ogni singola funzione. L’interazione tra le direttrici pre-esistenti, dato dalle infrastrutture (strade,
treni, ecc…), e dai fattori territoriali (fiume), determina, con l’inserimento dei
dati programmatico funzionali, fenomeni di attrazione e repulsione che portano alla mutazione dell’intero sistema configurativo, generando un nuovo
equilibrio. L’interpretazione delle informazioni codificate e sovrapposte genera catene di funzioni programmatiche stabili, definite dallo stesso Arroyo
“ibridi urbani.” La loro definizione è generata dalle questioni dimensionali e
funzionali stabilite per via diagrammatica in fase preliminare. Il programma,
applicato alla nuova dimensione urbana, condiziona la configurazione di
ogni singola parte permettendo di sviluppare l’intero sistema come insieme
di combinazioni spaziali multiple a crescita organica. Il sistema d’ibridazione
è basato sul principio naturale di adattamento in un’area industriale dismessa. Il risultato di questo tipo di operazione è una sovrapposizione per elementi funzionali interconnessi che s’insediano prendendo forma da considerazioni legate alle percentuali di densità e di rapporti tra spazi pubblici e privati
inseriti nel programma. Il territorio di questa nuova meta-polis è, quindi, un
complesso sistema di relazioni ed eventi simultanei determinato sulla base
di maggiori o minori effetti delle combinazioni possibili tra successivi livelli di
attività e il sistema strutturale di reti a larga scala che li articolano. Livelli e reti
nei quali accadono processi ed azioni, e fra i quali compaiono zone di transizione, in una logica appartenente ai sistemi digitali e alle loro caratteristiche
che li differenziano da quelli analogici.
In questo senso il diagramma all’interno della questione processuale diventa un elemento proliferante in grado di condurre egli stesso verso qualcosa
che noi non abbiamo ancora visualizzato o compreso, verso la previsione o
prefigurazione.
Il diagramma diviene una macchina astratta48, un sistema in grado di costruire un percorso nel quale impariamo a comprendere l’idea, definiamo la
forma, e lo sviluppo materiale di un’architettura. Il diagramma in tal modo
permette all’architettura di slegarsi dalla tecnica ma senza con ciò vincolarne il contenuto. Esso rappresenta un sistema di proliferazione, un processo in
essere. L’efficacia del diagramma sta nella sua interdisciplinarietà49 nella sua
capacità di raffigurare attraverso segni grafici e simboli quella intermediazione e interazione tra campi del sapere che altrimenti difficilmente dialogherebbero, divenendo così un “sistema grammaticale“50 fra diversi campi.
48
Cfr. Gilles Deleuze, Che cos’è l’atto di creazione?, tr. Antonella Moscati, Cronopio, Napoli 2003
49
Cfr. Giovanni Corbellini, Ex Libris parole chiave dell’architettura contemporanea, Publishing
S.r.l., Milano 2007, pp. 42 – 44.
50
Cfr. G. Luca Giannelli, Processo Progettuale, op. cit., p.117
1
2
fig. 1 Sopra Michelangelo, Modello in legno
per la facciata di San Lorenzo a Firenze.
Casa Buonnaroti Cat. 235
fig. 2 Domenico Cresti da Pasignano, Michelangelo presenta al Papa Paolo IV il modello
per il completamento dell’edificio e della
cupola di San Pietro a Firenze, Casa Buonarroti. Cat 399
Il Modello
All’interno della dinamica processuale uno degli strumenti di verifica empirica è determinato dall’uso del modello.
Il termine viene utilizzato secondo due accezioni differenti: come “strumento
della rappresentazione, e come metodo o tecnica di progetto.”51
La prima accezione è quella che a noi interessa focalizzare, in quanto il modello come rappresentazione o simulazione di un dato figurativo è parte
della questione processuale.
Storicamente il modello ha svolto la funzione di rappresentazione della realtà, o meglio di simulazione di un progetto architettonico, o di una sua partitura.
In epoca Rinascimentale, tra il XV e XVI secolo, il ruolo del modello ha assunto, soprattutto in Italia, un ruolo fondamentale nello sviluppo progettuale. “Anche se gli architetti del Rinascimento non furono i primi a utilizzare i
modelli architettonici, essi li costruirono con molta più metodicità e regolarità di qualsiasi loro predecessore”. “nell’Italia Rinascimentale l’utilizzo dei
modelli era parte della prassi abituale per la valutazione di un progetto di
costruzione.”52 .
Il modello quindi aveva la funzione di trasmettere53 al mecenate in maniera
realistica le peculiarità di una architettura. Nell’accezione moderna però il
suo ruolo di rappresentazione della realtà si è arricchito di una serie di declinazioni, in considerazione anche delle influenze pittoriche e delle arti figurative. Questo arricchimento ha permesso di trasferire nel modello non
solo la rappresentazione della realtà, ma anche il suo dato espressivo e
concettuale.
Il modello ha così assunto l’accezione d’interpretazione di un “fenomeno”54,
conquistando la capacità di simulare, delineare, rappresentare, prefigurare,
dimostrare, un principio piuttosto che un concetto o una forma. Il modello
quanto sistema di prefigurazione progettuale, grazie alla sua capacità di
astrazione, può assumere attitudini specifiche.
Il modello può essere visto come prototipo del progetto, di una sua parte
o di un suo principio, o dell’insieme tutto delle sue parti, sia come prototipo
compositivo che di esplorazione plastica.
Una delle possibili definizioni di modello si manifesta come tutto ciò che si
pone come oggetto della mimesi o meglio come elemento intermedio tra
idea e formulazione fenomenica dell’Architettura.
Possiamo affermare che il modello è insieme un progetto astratto e concreto; cioè esso ha infatti tutte le caratteristiche (la documentazione) per poter
essere costruito, ma viene proposto come soluzione “esemplare”, in quanto
svincolata da condizionamenti esterni.
Il modello, se riferito al mondo digitale, mantiene le stesse attitudini del modello fisico, ma perde il rapporto con la materia e quindi con l’aspetto fisico
e ambientale a beneficiando di una grande libertà d’esplorazione figurativa
51
A cura di Aldo De Poli, Enciclopedia dell’Architettura, Motta, Milano, 2008 ,Voce: Modello
52
AA.VV., Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo. La rappresentazione dell’Architettura,
Bompiani, Milano, 1994, p. 19
53
Ritroviamo anche in questo caso la questione della trasmissibilità, entra in gioco, in quanto il
modello assume il ruolo di strumento espressivo immediato.
54
AA.VV., The Metapolis Dictionary of advanced architecture, op. cit., Voce: Model
1
2
3
4
fig. 1,2 Cartesian House, Raimun Abraham,
1988, Cooper Union
fig. 3,4 The Ledoux Exercise, Raimun Abraham, Esercizi di scomposizione svolti presso
la Cooper Union al primo anno di corso,
1988
in quanto virtuale e infinita.
Nel processo di elaborazione di un modello possiamo riconoscere una serie
di fasi:
1)
2)
3)
4)
5)
definizione preliminare;
configurazione del modello di partenza;
individuazione e costruzione delle relazioni;
formulazione o creazione dei o del nuovo modello;
controllo e verifica.
Questo sistema di classificazione, anche se non sempre rigido come viene
presentato, costituisce un elemento centrale alla questione processuale.
Il modello è elemento essenziale sia per lo sviluppo iniziale sia per la rappresentazione dell’opera architettonica finita, con la capacità di rappresentare
addirittura l’elemento di ricostruzione storica del processo stesso (a posteriori).
Possiamo catalogare in modo funzionale alla nostra analisi una serie di atteggiamenti atti all’utilizzo del modello. Esso può assumere una scala o sequenza di valori.
Un primo valore è di tipo concettuale / analitico, di costruzione logica. Nello
specifico ci riferiamo alla costruzione e all’individuazione di un sistema atto
a finalizzare un’analisi o lo sviluppo di un progetto attraverso la manifestazione di modelli concettuali che racchiudono in se l’intero sistema analitico
o figurativo della definizione formale dell’architettura. Una sorta di definizione delle matrici di base che compongono da un punto di vista spaziale la
sua strutturazione. L’uso di modelli concettuali come rappresentazione di un
principio o di un sistema di relazioni sono in questo senso rappresentativi di
tale prassi. Un esempio come abbiamo già osservato nei capitoli precedenti
è rappresentato dai modelli interpretativi sviluppati presso la Cooper Union,
al primo anno di corso, nel quale gli studenti attraverso un procedimento definito di approssimazione al progetto giungevano alla definizione di modelli
concettuali e logico descrittivi delle componenti di un progetto di studio. Fra
gli esercizi che ci permettono di dimostrare questa attitudine espressiva dei
modelli così formulati, vi sono gli esercizi predisposti da Raimund Abram55, tra
i quali la “The Ledoux Exercise”, e la “Cartesian House”.
Il primo esercizio, consisteva nella ricerca dei processi latenti interni alle opere oggetto di studio.
“Il processo latente56 si manifestava attraverso vari livelli di interpretazione
condotti da una serie di fasi da seguire.
1)
2)
3)
4)
5)
6)
Il significato dell’architettura come manifestazione del solo disegno
Riduzione delle manifestazioni visionarie e simboliche entro principi di
costruzione geometrica
Scomposizione e riclassificazione delle componenti architettoniche
Descrizione attraverso proiezioni ortogonali. Ricognizione delle relazioni
geometriche
Trasferimento delle relazioni geometriche in modelli
Composizione e decomposizione dei modelli attraverso la classificazione
55
Raimund Abram, laureatosi in architettura nel 1959 a Graz, nel 1969 si trasferisce negli Stati Uniti,
dove inizia la sua attività di docente presso la scuola di disegno di Rhode Island e, a partire dal 1971, alla
Cooper Union.
56
Per processo latente si intende quell’insieme di elementi formanti o di principio che conformano l’opera e che in essa sono occultati e che la visione d’insieme cela nella sua parte esteriore.
fig. 1,2,3 Luigi Moretti, Strutture e sequenze di
spazi, in Spazio”, a. IV, n. 7, dicembre 1951 –
aprile 1952. Pp. 9-20 e 107-108
2
1
2
degli elementi architettonici di base.”57
Il risultato era l’ottenimento di modelli in grado di dimostrare le istanze non
visibili dell’opera, identificando gli elementi “di base” che costituiscono l’opera, nonché la geometria latente che vi risiede.
Un secondo valore è di tipo fisico / spaziale, di controllo parametrico o simulativo58della forma tradotta in spazio o sequenza di spazi. Una rappresentazione legata alla densità dello spazio e delle sue conformazioni tra pieno/
vuoto e tra positivo/negativo.
In questo senso costituiscono un importante precedente storico, utile a definire la nostra dissertazione, le analisi svolte da Luigi Moretti sulle potenzialità
spaziali delle strutture59. Nel suo saggio Struttura e sequenza di spazi60, pubblicato in Spazio n.7, Moretti sviluppa un’analisi approfondita della configurazione degli spazi interni, o meglio dello spazio vuoto come parametro di
simmetria rispetto allo spazio pieno e costruito. Dal momento che, “una architettura si legge mediante i diversi aspetti della sua figura, cioè nei termini
con il quale si esprime: chiaroscuro, tessuto costruttivo, plasticità, struttura
degli spazi interni, densità e qualità delle materie, rapporti geometrici delle
superfici e altri più alieni, quali il colore, che di volta in volta possono affermarsi secondo le inafferrabili leggi delle risonanze.” […] Vi è però un aspetto
espressivo che riassume il fatto architettonico che sembra potersi assumere
anche isolatamente, con maggior tranquillità degli altri: intendo accennare
allo spazio interno e vuoto di un’architettura. Infatti basti osservare che alcuni termini espressivi – chiaro scuro, plasticità, densità di materia costruzione
– si palesano quali aspetti, formali e intellettivi, della materia, nella sua fisica
concretezza messa in gioco nell’architettura e formano perciò un gruppo
di una certa omogeneità e nel suo complesso fortemente rappresentativo.
Ora si noti che lo spazio vuoto degli interni di un’architettura si contrappone
esattamente a questo gruppo come valore speculare, simmetrico e negativo, come una vera matrice negativa, e in quanto tale capace di riassumere
insieme se stesso e i termini suoi opposti.”61
Questo tipo di analisi pone al centro della questione l’utilizzo del modello come strumento di verifica e di svelamento delle potenzialità spaziali di
un’opera.
Moretti esprime questi concetti attraverso la creazione di modelli pieni in
gesso ottenuti attraverso “il riempimento dello spazio vuoto” delle opere
analizzate. L’esempio dell’analisi svolta sulla chiesa di San Filippo Neri in Casale di Guarino Guarini, o le analisi della sequenza spaziale di Villa Adriana,
dimostrano la potenzialità di sviluppo analitico del modello, e delle sue qualità espressive.
Un terzo valore è di tipo operativo, in cui assume carattere più prettamente
57
AA.VV., Education o fan Architect , op. cit., p. 14-26
Cfr. G. Luca Giannelli, Processo Progettuale, op. cit, p.117
59
Cfr, Federico Bucci, Marco Mulazzani, Luigi Moretti Opere e scritti, Documenti di Architettura,
Electa, Milano, 2000
60
Cfr. “Spazio”, a. IV, n. 7, dicembre 1951 – aprile 1952. Pp. 9-20 e 107-108
61
Luigi Moretti, Strutture e sequenze di spazi, in Spazio”, a. IV, n. 7, dicembre 1951 – aprile 1952. pp.
9-20 e 107-108
58
1
2
3
fig. 1 Hans Kollhoff, in alto modelli di studio
per la torre Dimen Chrysler a Berlino
fig. 2,3 Hans Kollhoff, Studi volumerici per il
progetto della Piraeus sulla KNSM-Enland
processuale, in quanto questo tipo di declinazione il modello accompagna
lo sviluppo del progetto stesso. Il modello, o più modelli, assumono il ruolo di
rappresentazione del processo di definizione dell’opera. La verifica e la prova diventano centrali nella analisi della conformazione e nella composizione
spaziale.
In questo senso il progetto per la torre Daimier Chrysler a Postdammer Platz
e l’edificio residenziale Piraeus sulla KNSM-Enland, ad Amsterdam, di Hans
Kollhoff rappresentano rispetto all’uso strumentale del modello questo tipo
di approccio.
Nello sviluppo di entrambi i progetti, Kollhoff pone come questione determinate dello svolgimento progettuale lo studio delle masse plastiche, del volume, attraverso una serie di operazioni che hanno condotto, mediante una
metamorfosi empirica delle masse, alla definizione plastica dei volumi edilizi.
Nel caso della KNSM-Enland ad Amserdam, Kollhoff parte dalla volumetria
dell’isolato, definita da parametri urbanistici; “la forma del blocco è il risultato di una serie di trasformazioni morfologiche a cui è stata sottoposta […]
si passa così alla modellazione plastica e scultorea di un volume unitario.”62
L’operazione è quindi mirata alla individuazione della forma compositiva attraverso il modello definito su principi normativi. Così anche nel caso della
torre Daimier Chrysler a Postdammer Platz, a Berlino, partendo dalla volumetria consentita, imposta dal piano urbanistico di Renzo Piano, si vanno formulando modelli operativi sequenziali mirati allo studio delle possibili configurazioni volumetriche, costruendo così serie di prototipi, sino all’individuazione di
quello più adatto alle esigenze progettuali.
Si instaura così un vero e proprio processo di metamorfosi, a cui viene sottoposta la forma iniziale. L’aspetto progettuale si avvicina in questo senso
alla questione probabilistica; solo dopo vari tentativi, infatti, si giunge alla
definizione di una conformazione o giustapposizione di elementi. L’aspetto
plastico è al centro della formulazione progettuale, e l’uso del modello permette a Kollhoff questa indagine (infatti sono stati realizzati più di 40 modelli
volumetrici preliminari per lo sviluppo della torre Daimier Chrysler).
La volumetria di Kollhoff, resa plastica, ha raggiunto quell’intensità formale
che la caratterizza nel rispetto dei vincoli, attraverso l’uso del modello come
strumento di sviluppo della forma architettonica.
Il modello quindi, costituisce parte integrante del processo progettuale. L’uso del modello secondo le accezioni che esso può assumere, viene assunto dal progettista, come mezzo attraverso il quale, raccontare, dimostrare,
esplorare, leggere, in maniera diretta forme e fenomeni. Ma non solo, esso
ristabilisce, quel rapporto diretto con la materia e quindi con l’oggetto architettonico. Questo rapporto diretto permette di ristabilire un contatto perduto
tra prefigurazione e realtà fenomenica.
62
Massimiliano Ammatuna, Hans Kollhoff. L’architettura come rappresentazione tettonica, XXI
ciclo dei dottorati di ricerca in composizione arcitettonica, 2008, IUAV, p. 49
Fenomenologia del Processo
IV
Scopo di questa analisi fenomenologica non è fissare una teoria o costruire
una sequenza categorica delle manifestazioni del processo in architettura,
quanto porre in evidenza la questione del processo attraverso delle opere
paradigmatiche, utili alla dimostrazione di una precisa strategia progettuale.
La questione processuale assume caratteri di specificità rispetto all’autonomia progettuale: ogni singolo progettista infatti cambia approccio o linguaggio in base al contesto, alla sua formazione e alle sue scelte operative.
Sulla base di queste considerazioni, l’intento è individuare alcune declinazioni della strategia progettuale definibili come processi, una casistica dalla
quale emergano alcune strumentazioni legate alla processualità.
A seguire verranno analizzate opere selezionate in funzione a questo obiettivo di ricerca e che quindi non mirano a rivelare principi di fissità teorica, ma
rappresentano un insieme di atteggiamenti possibili rispetto alle questione
del progettare. La raccolta dei progetti si presenta piuttosto eterogenea,
poiché il tentativo è rendere riconoscibile l’elaborazione processuale come
strategia risolutiva del progetto attraverso l’applicazione di criteri fissati all’inizio del processo, che fungono prima da principi generativi, poi da strumenti di controllo e infine di verifica del processo stesso.
1
fig. 1 Planimetria di Inquadramento nel lotto
urbano.
fig. 2 Veduta del fronte del complesso residenziale a Gifu di Kazuyo Sejima, 1994-95
2
Processo lineare / A>B
Allo scopo di individuare una radice fenomenologica rispetto alla questione
processuale, consideriamo come esempio di processo lineare l’esperienza
progettuale di Kazuyo Sejima, la cui architettura si fonda sull’utilizzo del diagramma come fonte espressiva e formale del progetto. La lettura processuale rivela che il diagramma non è solo questo ma anche dispositivo di
controllo del progetto.
Così Toyo Ito definisce Kazuyo Sejima: “Kazuyo Sejima è un nuovo tipo di
architetto… se c’è un modo per descrivere lo spirito delle sue strutture bisognerebbe dire che la sua è architettura – diagramma.”1
Nel 1994 il governo della prefettura di Gifu2, regione situata nel centro del
Giappone, incarica l’architetto Arata Isozaki della supervisione di un nuovo
progetto, da collocarsi nella zona periferica del capoluogo regionale, per la
realizzazione di un complesso residenziale popolare in grado di contenere
430 abitazioni.
Prima dell’intervento la zona era caratterizzata dalla presenza di abitazioni
basse che occupavano la gran parte del suolo edificabile. La proposta di
Isozaki si distingue per la scelta di distribuire in altezza l’edificato e di posizionarlo lungo i margini irregolari del lotto, con il preciso obbiettivo di preservare
la parte centrale della nuova edificazione per poterla destinare ad un uso
pubblico. I blocchi edilizi, posti lungo il perimetro irregolare del lotto, permettono di proteggere l’area verde centrale e di garantire la massima superficie
pubblica del lotto in rapporto alla densità abitativa insediata.
La proposta elaborata da Isozaki prevede l’inserimento nel lotto di quattro
blocchi edilizi in linea a destinazione residenziale, caratterizzati dallo sviluppo
su 9 piani di altezza più il piano terra. Gli spazi collettivi trovano posto al centro del lotto nella zona a carattere collettivo. A partire dal piano urbanistico
impostato da Isozaki, i singoli lotti di intervento sono stati assegnati a quattro
diversi progettisti, tra i quali Kazuyo Sejima.
Il progetto per la realizzazione di questo blocco di alloggi popolari rappresenta per Sejima la possibilità di applicare gli esiti di una precedente ricerca,
commissionata dall’ente nazionale per le residenze pubbliche popolari, che
aveva per oggetto lo studio di abitazioni collettive metropolitane3. Questo
studio di sistemi aggregativi di nuovi quartieri popolari “tipo” era indirizzato
alla identificazione delle caratteristiche minime e standardizzabili delle unità
abitative. Superficie, uso, numero di vani, costituiscono la base per l’analisi,
la definizione funzionale e la strategia di raggruppamento delle singole unità
che compongono un ipotetico edificio residenziale, ricondotto al contesto
insediativo. La questione dato di partenza viene quindi così risolta, attra1
Cfr. Toyo Ito, Diagram architetture, in “El Croquis”, n. 77, 1996
2
La prefettura di Gifu, è situata al centro del Giappone, a circa trecento chilometri da Tokio.
La regione è una fra le più ricche di naturalità e di soleggia mento diurno, in quanto si trova in un’area
collinare geograficamente climaticamente favorevole.
3
Cfr. Kazuyo Sejima, MHS Por Kazuyo Sejima, Actar, Barcelona, 2001
Il termine “abitazione metropolitana” definisce una particolare conformazione di abitazione, singola o
collettiva con caratteristiche funzionali e di densità legate allo sviluppo urbano della città metropolitana.
1
fig. Sistemi insediativi diagrammatici sviluppati da Kazuyo Sejima per l’enete di edilizia
pubblica Giapponese, 1994
2a
2b
3a
3b
verso la definizione delle unità diagrammatiche, in funzione dei parametri
funzionali e dimensionali, normativamente definiti.
Il sistema processuale innescato, di tipo analitico, considerava contestualmente tre livelli di problematicità: le varianti spaziali/funzionali, la densità urbana, il rapporto tra spazio libero e spazio costruito.
Queste tre questioni sono al centro dell’analisi programmatica, che trova
nelle soluzioni proposte differenti declinazioni.
Il procedere per aggregazioni “meccaniche” di parti è reso efficacemente
da precise e appropriate scelte grafiche.
La strategia processuale si caratterizza per l’utilizzo della schematizzazione
programmatica e diagrammatica degli elementi funzionali, che diventano
i propulsori della risoluzione spaziale delle singole unità di progetto – dalla
residenza agli spazi collettivi, al verde, ai servizi, ecc. – attraverso l’individuazione dell’unità minima di superficie.
La matrice risolutiva prevede quindi un controllo totale sia del paesaggio
urbano, sia della distribuzione interna di ogni singola unità abitativa. Il risultato di questa impostazione progettuale, basata sulle proprietà combinatorie
delle singole parti, conduce alla definizione di cinque distinte proposizioni o
linee guida, alle quali si associano gli alloggi tipo rispondenti.
Le configurazioni ottenute sono:
1) edifici bassi con giardino;
2a) edifici di media altezza, centrali al lotto edificatorio definite a forma di S;
2b) edifici di media altezza con patio centrale;
3a) edifici in altezza a zig zag;
3b) edifici in a diverse altezze.
Seguendo questo procedimento teorico, il progetto di Gifu prende forma,
ritrovando nella formulazione progettuale la sua verifica.
Lo sviluppo del progetto segue gli stessi criteri di controllo attraverso diagrammi applicati ai programmi funzionali.
La costruzione logica e diagrammatica di ogni singolo elemento della configurazione funzionale e spaziale, garantisce il controllo del micro paesaggio
dell’alloggio e del macro paesaggio del nuovo insediamento rispetto alla
città. Si genera così un sistema di dialogo ininterrotto tra città e unità minima
abitativa.
La superficie di ogni singola unità è fissata in 70 mq, secondo il modello tipologico a tre camere da letto, cucina e sala pranzo, con una densità residenziale di 120 alloggi per ettaro di terreno. Il paesaggio viene considerata parte integrante dell’unità di superficie; così facendo, esso diviene elemento di
fig. Kazuyo Sejima, Residenze del complesso
di Giufu, 1994. Vedute degli interni degli alloggie della terrazza passante.
definizione dello spazio abitativo ed è ad esso fortemente integrato.
Il principio risolutivo d’interpretazione diagrammatica dello spazio, permette
di gestire simultaneamente, all’interno del progetto, vincoli dimensionali e
programmatici da un lato, e al contempo di produrne, una volta individuati
gli “addendi”, le possibili formulazioni aggregative. Nell’abitazione tipo, l’attenzione per il dato sociologico e culturale giapponese è garantito dalla
sequenza spaziale dei vari ambienti, differenziati per la loro funzione.
La presenza dello spazio dedicato al tatami4 conserva il principio funzionale
dell’abitazione tradizionale, attivando così un principio di traducibilità5 tra
antico e moderno.6
La definizione di singole unità funzionali permette la soluzione tipologica di
ogni singolo alloggio attraverso il processo aggregativo, che estende l’applicazione del sistema processuale all’interno sistema edilizio.
Il modo di procedere fin qui descritto richiama per certi versi il sistema processuale a cui Le Corbusier fa ricorso nell’Unitè d’Habitation di Marsiglia7,
ma, se ne differenzia in quanto il sistema aggregativo e di costruzione del
modello “alloggio tipo” si attua attraverso l’uso dell’“unità diagrammatica”8.
L’unità diagrammatica si svincola dalla rappresentazione convenzionale, e
può essere espressa sia in pianta che in sezione, conservando le sue caratteristiche di unità strutturale e funzionale e mantenendo valida la proprietà
associativa.9
L’edificio in Gifu si formula attraverso la specifica risoluzione di elementi tipo
che si susseguono a generare la forma aggregativa. In prima istanza ciò che
viene prefissato è la dimensione minima dettata dall’indice normativo giapponese, dal quale deriva un preciso programma dimensionale:
1) l’altezza libera minima viene fissata a 2,30m;
4
Il tatami è una tradizionale pavimentazione giapponese composta da pannelli quadrati affiancati fatti con paglia di riso intrecciata e pressata. Questo tipo di pavimentazione, assume anche il
ruolo di vera e propria unità di misura nell’architettura giapponese tradizionale. Il tatami corrisponde
alle dimensioni di 80 x 80 cm. Esiste anche la versione rettangolare che misura 160 x 80 cm, una modulazione del quadrato. L’accezione più moderna del termine identifica lo spazio nel quale si svolge la
tradizionale cerimonia del tè, parte essenziale della vita quotidiana dei giapponesi, caratterizzata dalla
particolare pavimentazione da cui prende il nome. Nel caso del progetto di Sejima assume quest’ultima valenza funzionale.
(Cfr. Kazuyo Sejima, Kazuyo Sejima en Gifu, Actar, Barcelona, 2001)
5
Come nel caso della traducibilità del testo letterario, così in architettura, il tema funzionale e
compositivo, viene reinterpretato in una nuova formulazione spaziale.
6
Questo stabilisce quel principio di continuità, e di preservazione dell’abitudine dei popoli che
Rogers auspica nella questione della prefabricazione. “si riuscirà a tener conto delle diverse abitudini,
dei costumi dei popoli?” (E.N. Rogers, Esperienze dell’Architettura, Einaudi, 1958, p. 86)
7
In precedenza abbiamo osservato, come nel caso emblematico dell’Unité d’habitation di
Marsiglia, Le Corbusier abbia provveduto a controllare il progetto attraverso un sistema di schematizzazione per associazione di elementi tipo, che combinati nelle diverse costituzioni, generavano la
distribuzione degli alloggi nel complesso aggregativo dell’Unité.
8
Per unità diagrammatica intendiamo in questa tesi l’unità funzionale minima alla quale si attribuisce nel medesimo tempo la caratteristica di unitarietà funzionale, dimensionale, associativa. Nel
caso delle unità diagrammatiche utilizzate nel progetto di Gifu, esse sono rappresentate dalle unità:
Unità Camera / Unità cucina pranzo / Unità tatami giapponese / Unità terrazza.
9
Per proprietà associativa intendiamo l’operazione binaria e combinatoria delle singole unità
diagrammatiche. In matematica tale proprietà si esprimerebbe 10+5=15 come 5+10=15 . Come si può
osservare allo spostamento degli addendi il risultato non cambia. Riportato il concetto matematico nel
caso architettonico significa che, a prescindere dal posizionamento dell’unità diagrammatica funzionale, la definizione di alloggio tipo viene sempre verificata e risulta inseribile nel sistema aggregativo.
Kazuyo Sejima, Residenze del complesso di
Giufu, 1994. Vedute della facciata meridionale
2) ogni zona notte deve essere munito di 2 camere da 9 mq e da 6,5 mq;
3) la superficie minima della cucina deve essere di 7,5 mq;
4) almeno il 9% della superficie dei dormitori deve essere destinata ad armadio;
5)
il soleggiamento deve essere garantito per 4 ore su ciascun fronte;
6) la distanza minima dalle scale di emergenza non deve superare i 60 m;
7) ogni abitazione deve possedere un minimo di due accessi.
Introdotti i dati dimensionali e funzionali, le unità si traducono in veste grafica, costruendo una sorta di codice, come un “codice a barre” composto
dalle singole unità diagrammatiche.
La misura minima di ogni singola unità diagramma è data dai dati dimensionali prima elencati; l’unità misura 2,3 m di altezza e 2,5 m di larghezza,
secondo il passo strutturale.
Alle singole unità viene poi, attribuita una lettera-codice funzione, secondo
la seguente classificazione:
B – Bedroom – unità camera
D – Dinner – unità cucina-pranzo
J – tatami – unità tatami giapponese
T – Terrace – unità terrazza10
La loro associazione viene formulata attraverso un sistema combinato di
possibilità distributive formulate in sezione, in quanto ogni unità si sviluppa tra
i due fronti principali con unità passanti con doppi affacci al fine di garantire
il soleggiamento ottimale prefissato.
I corridoi interni collegano poi i vari spazi funzionali di ogni singola abitazione, consentendone la fruizione. La maglia strutturale è pensata come una
sequenza di setti portanti e solai la cui intersezione definisce lo spazio entro il
quale trovano posto le singole unità di spazio funzionale. I solai diagrammaticalmente reinterpretati, svolgono il ruolo di pentagramma entro il quale si
inseriscono gli alloggi tipo frutto dell’aggregazione delle singole unità funzionali, sul principio del “cluster system”11. L’uso del diagramma come attrezzo
grafico di controllo del principio associativo delle singole unità tipologiche,
funziona, grazie alla sua capacità di astrazione. Ogni unità diagrammatca
è pensata come elemento descrittivo della funzione associata, inserita nello
sviluppo del vano attribuito visualizzato in sezione. La sezione longitudinale,
raffrontabile con il prospetto, diviene la formula generatrice del progetto.
funzione in pianta e dimensine in altezza del vano si fondono in un unica
simbologia. Questo aspetto è particolarmente importante rispetto a quanto
accade nel caso dell’Unitè di Marsiglia di Le Corbusier, dove la sezione ha il
10
Kazuyo Sejima, Kazuyo Sejima en Gifu, Actar, Barcelona, 2001, p. 10
11
Il termine deriva dal campo informatico, il cluster è un elemento funzionale unitario, in pratica
una unità computer di un network, una unità funzionale computer che fa parte di un insieme di unità
computer conformanti il network. (Cfr. Dizionario Garzanti, Italiano-Ingelse, Voce, Cluster.)
fig. Kazuyo Sejima, Residenze del complesso
di Giufu, 1994. Vedute da nord-est, e particolare delle scale di accesso. Diagramma di raffroto in sezione fra il sistema degli
accessi e dei ballatoi passanti fra l’Unité di
Marsiglie e il complesso di Gifu.
(M.M.)
solo scopo di determinante funzionale (residenze esterne - strada centrale)
mentre lo sviluppo degli alloggi avviene convenzionalemetne attraverso lo
sviluppo in pianta, rispetto a volumi predefiniti. In sisntesi, nel caso dell’Unitè,
il gioco d’incastro fra gli elementi della costruzione è unico, mentre nel caso
di Sejima permette fenomeni di variazione in funzione delle necessità abitative.
L’uso del diagramma permette un controllo del processo aggregativo
dell’intera macchina edilizia, dall’ideazione alla sua realizzazione, eliminando qualsiasi elemento di perturbazione.
La forma emerge dalla maglia diagrammatica del sistema associativo per
elementi predefiniti.
Si attua in questo modo il processo progettuale come funzione della risoluzione del diagramma.
La processualità, nel caso delle abitazioni di Kazuyo Sejima a Gifu, permette
il controllo del progetto e dell’intero processo formativo e costruttivo.
L’efficacia del diagramma consiste nella sua peculiarità di essere la rappresentazione di fenomeni eterogenei, e lo strumento di coordinamento dei diversi aspetti che concorrono alla complessità multidisciplinare del progetto.
Il diagramma, nel caso particolare permette di prefigurare il punto di arrivo,
il risultato del processo progettuale.
La strutturazione tipologica degli alloggi e i criteri aggregativi costituiscono
i principi dell’organizzazione dell’edificio ma determinano anche la sua definizione formale.
Possiamo quindi individuare una linearità procedurale, in cui l’intenzione, “l’idea”, è sempre verificata, in quanto su di essa l’intero meccanismo teorico
è costruito sin dall’origine.
Nel processo linerare, come abbiamo osservato in precedenza, definita l’idea, si giunge alla sua diretta espressione nel progetto.
L’identificazione dell’elemento seriale quale unità minima funzionale produce sistematicamente la funzione delle organizzazioni quantitative delle parti
in gioco, ciascuna formata dalla sequenza combinatoria degli elementi finiti
di “unità diagrammatica” che determinano il progetto di ogni alloggio tipo.
La loro aggregazione produce sistematicamente un principio di unitarietà.
La variazione emerge dalla cadenza sequenziale dei vuoti, gli spazi terrazza,
che generano la scansione ritmica della composizione e la sua capacità di
esprimersi come variazione di superficie12 in facciata.
Il sistema diagrammatico particellare, una volta applicato il sistema aggregativo, scampare per lasciare il posto all’unitarietà della facciata.
12
Cfr. Ernest Gombrich, Il senso dell’ordine, Einaudi, Torino, 1984
Il riferimento riguarda la questione dell’atto percettivo di unitarietà della figura seriale. L’esempio viene
posto in funzione del rapporto scalare tra maglia geometrico costruttiva e unità minima inserita, nel
rapporto tra pieno e vuoto, e sul principio di ripetitiva e varianza dell’unità standard.
[…] se intendiamo contare una serie di elementi visivi identici, tendiamo ad usare un dito, […]. Appena
spostiamo lo sguardo possiamo aver perduto la figura, e trovarci invece sullo sfondo, così che un’altra
griglia diventa importante. Maggiore è l’area più elusivi sono i suoi elementi.
Unità diagrammatiche
2.5 m
2.3 m
ballatoio passante
1.5 m
Unità funzionale
4.8 m
Terrazza interna
1.2 m
Dimensione dell’unità diagrammatica
Sistema Combinatorio grafico
Sistema Combinatorio in lettere
Sistema agregativo
fig. Individuazione delle unità diagrammatiche funzionali. Loro distrubuzione e loro sistema di aggregazione. Il sistema
diagrammatico è pensato per svilupparsi in sezione longitudinale rispetto all’edificio.
Attraverso la sezione si controlla e determina l’intero progetto, grazie alla potenzialità dell’incastro fra le parti. (M.M.)
Terrazze passanti
Sovrapposizione delle terrazze
Sistema dei Solai.
Sistema aggragativo delle singole unità
Sistema aggragativo delle singole unità diagrammatiche nella struttura
fig. Sistema di aggregazione applicato alla griglia concettuale di inserimento degli elementi. Come in una sorta di pentagramma, le singole unità si inseriscono, determinando nel loro dato funzionale gli elementi di variazione del prospetto.
(Doppia altezza, pieno-vuoto, frammentazione). (M.M.)
1
Unità Funzionali Diagrammatiche
Unità Funzionali
Zona Giorno e Cucina
2
Unità residenziali tipo riscontrate nell’edificio
Zona Giorno e Cucina
doppia altezza
Camere Singole o doppie
Terrazza
Tatami
fig. 1 Sviluppo delle singole unità diagramatiche in pianta. (M.M.)
fig. 2 Sviluppo delle singole unità tipologiche residenziali per aggregazione delle unità diagrammatiche. (M.M.)
1
Ballatoi
Terrazza passante
2
3
fig. 1 Diagramma con l’individuazione degli elementi regolatori del progeto, profondità della fabbrica e localizzazione delle terrazze passanti e dei ballatoi. (M.M.)
fig. 2 Diagramma con inseriti i setti murari portanti di ripartizione interna. (M.M.)
fig. 3 Diagramma con iseriti gli alloggi.(M.M.)
Unità residenziali composite
1
2
3
fig. 1 Individuazione delle partiture verticali, setti portanti in cls. Interasse di progetto 2,5 m.(M.M.)
fig. 2 Diagramma delle partiture orizzonatali determinani nello sviluppo diagrammatico della distribuzione degli alloggi.
Interpiano 2,3 m. (M.M.)
fig. 3 Sovrapposizione diagrammatica tra partitura orizzontale e verticale. (M.M.)
fig. 1 Diagramma del sistema aggreativo delle singole unità all’interno della planimetrima di base. Piano Tipo A (M.M.)
fig. 1 Diagramma del sistema aggregativo delle singole unità all’interno della planimetrima di base. Piano Tipo B (M.M.)
Processo continuo / A>B>C...n
Abbiamo osservato nei capitoli precedenti, che rispetto alla questione processuale esiste la manifestazione di quello che abbiamo definito processo
continuo. Esso si manifesta attraverso lo sviluppo di una strategia operativa
che dall’idea iniziale, conduce alla formulazione del progetto, attraverso
un atteggiamento di tipo esplorativo e sperimentale. L’idea quindi prende
forma man mano che l’atto progettuale trova il suo volgimento.
L’architettura di Carlos Ferrater in questo senso costituisce un caso esemplare di manifestazione del processo continuo, attraverso l’esplorazione geometrica come fondo di una teoria progettuale, in questo senso continua.
La continuità riscontrabile nei progetti dell’architetto spagnolo è data dalla
sua capacità di non vincolarsi alla prima fase ideativa dell’atto progettuale,
ma di assecondarla con l’uso del controllo geometrico, come fonte figurativa del progetto. Questo gli permette di generare un continuum tra formulazione ideativa, descrizione del contesto e definizione geometrica della
forma architettonica.
Il concorso del 1989 per la progettazione del Giardino Botanico di Barcellona, rappresenta in questo senso un banco di prova per l’uso del controllo
geometrico come fonte di definizione formale dello spazio.13
Il nuovo giardino botanico è costruito sulle pendici settentrionali del monte
di Montjuïc di Barcellona e si sviluppa su un terreno di circa 14 Ha di superficie che guarda alla città, e più precisamente verso la cittadella Olimpica
del 1992.
Il bando di concorso per la progettazione richiedeva di predisporre proposte
progettuali formulate attraverso il lavoro in equipe interdisciplinari; era infatti
necessario impostare il progetto con la collaborazione di biologi, paesaggisti, ingegneri, botanici ed esperti di orticoltura.
La definizione di un sistema processuale in grado di coordinare l’insieme delle componenti operative del progetto, ha condotto essenzialmente alla definizione di due obbiettivi cardine.
Un primo obbiettivo era di individuare e formulare una soluzione che non
fosse indifferente alla morfologia “topografica” della montagna, ma che al
contrario fosse in grado di integrarsi con essa.14
Un secondo obbiettivo era di far interagire all’interno del progetto una molteplicità di attori (botanici, ingegneri, paesaggistici, ecc…)in modo che entrassero in dialogo con la conformazione della nuova architettura.
Dati questi due obbiettivi, la soluzione sembra emergere dal luogo, facendo
derivare dalla condizione morfologica e topografica del suolo la forma del
13
Cfr. Carlos Ferrater y asicados, Fans teòric d’un procedeir pràtic, Col-legi d’Arquitectura de
Catalunya, Actar , Barcelona, 2008.
14
Cfr. Carlos Ferrater e Borja Ferrater, OAB Ferrater and Partner, Actar, Barcellona, 2010
nuovo “paesaggio costruito.”15 La geometria assume in questo caso il ruolo
di strumento d’interpretazione del contesto, aiuta il progettista a riconoscere
il luogo entro il quale opera, mettendo in luce le emergenze, e ricavandone
il campo d’interrelazione.
Ferrater quindi, per dare forza a questa impostazione progettuale individua
una maglia geoemtrica in grado di sovrapporsi al suolo e di descriverne
l’andamento. Questo tipo di approccio si presenta come atto di controllo
risolutivo delle topografie. La maglia si definisce attraverso la combinazione
di triangoli in grado in grado di adattarsi al terreno descrivendone la sua
morfologia.
L’associazione del concetto di maglia alla forma triangolare, conduce all’individuazione dell’unità minima programmatica entro la quale intervenire nel
successivo atto compositivo. Il sistema dei triangoli costituisce così, nel medesimo tempo, il sistema descrittivo del contesto e l’individuazione dell’unità
geometrica entro la quale esplorare le variazoni di forma.
La conformazione topologica della maglia traspare dalle prorpietà dei triangoli che la costituiscono in quanto preservano il principi di equivalenza e
disuguaglianza geometrica, concetto che permane in natura.
L’utilizzo della maglia triangolare, in grado di adattarsi a tutti gli accadimenti
del terreno, funge da elemento governante dell’intero processo risolutivo
del progetto. Essa è in grado infatti di sintetizzare l’andamento di ogni asperità come forma definita, e di renderla quindi governabile, attraverso l’associazione dei punti estremi di ogni triangolo con le isoquote.
Agendo su qualsiasi punto della maglia attraverso l’aplicazione di una forza
di traslazione, compressione o trazione, la maglia non perderà il suo carattere di unitarietà e sarà in grado di descrivere ogni singola trasformazione,
assumendo così il ruolo di “campo”16 di azione delle forze. I punti del triangolo si formulano come “nodi” della maglia. Le forze applicate, rispondono a
tre tipi di “azione forza“: variazione in altezza del vertice (Z), distanziamento
e avvicinamento sullo stesso piano dei punti di base, flessione o piega17 dell’
asse geometrico del triangolo per la definizione dei muri di contenimento
verticali.
I percorsi interni al parco rispondono allo stesso principio morfogenetico attraverso lo slittamento dei nodi della maglia adagiati sullo stesso piano. Si
generano così i percorsi che permettono di risalire il giardino.
Questo ordine geometrico apparentemente irregolare permette:
1) di razionalizzare la rete infrastrutturale nascosta, come i sistemi di irrigazione, drenaggio, e gli elementi tecnici;
2) di dotare l’area di una rete gerarchizzata di itinerari in funzione dell’uso,
percorsi brevi per la manutenzione, lunghi per la visita, ecc.;
3) il processo di infestazione naturale delle diverse isole “botaniche”;
15
16
17
Carlos Ferrater. Recent work, 2G, n. 32, 2004 Editorial Gustavo Gili, Barcelona, p. 145
Cfr. D’Arcy Thompson, Crescita e forma, La geometria della natura, op. cit.
Carlos Ferrater e Borja Ferrater, OAB Ferrater and Partner, op. cit., p. 12
fig. 1 Costruzione della maglia iniziale identificazione delle signole specie arborre per
ogni unità di suolo.
fig. 2 Maglia riprodotta per mezzo del computer. La maglia triangola si modifica per
azione sui vertici nella funzione desrittiva del
suolo.
fig. 3 Foto del sistema dei muri del giardino
botanico.
fig. 4 Diagramma di inserimento della maglia descrittiva sul suolo e generazione di
variazione in funzione delle necessità progettuali. (M.M.)
Maglia triangolare
Posizionamento della maglia
g
Variazione della maglia
Configurazione dei muri e dei percorsi
4) di predisporre e garantire la costruzione o l’ampliamento futuro di strutture aggregative al progetto.
L’azione compositiva si manifesta attraverso una riconfigurazione del paesaggio, preservandone il linguaggio e il carattere “Este meccanismo projectual iba a permitir finalmente lo que para nostro revestía mayor importancia,
lograr cierto control de las formas del futuro paisajes.”18 L’idea dell’utilizzo
della maglia triangolare nasce da un atteggiamento di tipo analitico nei
confronti della montagna di Montjuïc, “[…] dove non volevamo però intervenire sovrapponendo geometrie regolari alla natura […]. Piuttosto volevamo instaurare una griglia labirintica, nella quale la possibilità di percorsi si
moltiplicassero all’infinito.”19
La geometria costituisce l’elemento di taduzione della realtà, mettendone
in luce le caratteristiche essenziali, e divenendo parte di quella conformazione di determinazione auto genetica insita nel progetto, che solo attraverso
la rilettura del luogo viene posta in luce sviluppo della nuova configurazione
progettuale.
L’uso della geometria come fonte di determinazione auto genetica, svolge la funzione di rappresentazione della configurazione spaziale messa in
atto da fattori non dovuti ad una autonomia progettuale ma derivanti da
influenze esterne – nel caso del Giardino Botanico, dalla conformazione topografica del suolo. Essa assume il ruolo di controllo della forma e dei suoi
processi, legati ad uno sviluppo razionale dei singoli elementi, traducendo in
unità minima standard “l’unità triangolo.” (elemento particolare e universale
al medesimo tempo).
Il principio di unitarietà permette il controllo della forma e della costruzione
tecnica del progetto attraverso la geometria che svolge il ruolo di arbitro e
di controllore dei processi morfogenetici.
“Intendere che il lavoro dell’architetto sta nel passare dalla geometria allo
spazio attraverso la costruzione. Convertire un’idea in forma, un concetto in realtà costruita utilizzando la geometria come strumento d’intermediazione.”20
Proprio questa proprietà d’intrmediazione insita nella descrizione gometrica,
e quindi nella maglia, ha permesso il controllo e la definizione di ogni singola
porzione di suolo defininendo cosi ogni area monoclimatica: Canarie, Nord
Africa, Iberia, Mediterraneo orientale, Sud Africa, California, Chile, Australia;
ridefinendo “il controllo delle forme del futuro paesaggio.”21
La laoro configurazione pur rimanendo implicata alla maglia come elemento regolatore parte del tutto, subusce le variazioni topografiche necessarie
a garantire gli aspetti tecnici necessari al funzionamento dell’orto botanico.
Il progetto prende così forma solo grazie a una precisione determinata, limitando coscientemente il numero di sotto-unità del proprio sistema modulare, legandosi ad un’idea di approssimazione al mondo dei frattali, ma in rap18
19
20
21
Carlos Ferrater, Sincronizar la Geometría, Actar, Barcelona, 2006, p.20
Massimo Preziosi, a cura di, Carlos Ferrater Opere e procetti, Electa, Milano, 2001, p.13
Carlos Ferrater, Geometria en el Tiempo,Actar, Barcellona, 2006, p.4
Massimo Preziosi, a cura di, Carlos Ferrater Opere e procetti, op. cit., p.117
fig. 1 Prima stesura della maglia triangolare
fig. 2 Disegno ptogettuale ad acquerello
fig. 3 Modello topografico in legno
fig. 4 Disegno a matita di progetto
1
2
3
4
porto diretto con il contesto reale di produzione dell’oggetto architettonico.
Il grado di approssimazione progettuale, nella determinazione della giacitura degli elementi figurativi, esemplifica i criteri di vincolo alla maglia triangolare. Essi sono sempre subalterni alle istanze percettive di una ri-composizione.
Anche dal punto di vista percettivo e materiale questo approccio segue la
costruzione di un’architettura intesa come estensione artificiale di uno sfondo naturale, ovvero come costruzione di un paesaggio, attento alle preesistenze e alle morfologie.
Il terreno inizia così a sfaccettarsi, dando ad ogni elemento un orientamento
e un’inclinazione, che saranno definiti in base alle necessità di soleggiamento e irrigazione delle singole specie arboree. Quest’ultimo viene concepito
come specchio del sistema dei declivi e dei percorsi, come una sorta di
sottorete.
Il sistema costruttivo che rende possibile la frattura della maglia si risolve attraverso una serie di doppi muri vegetali concavi e convessi che variano in
altezza, in lunghezza e nel raggio di piegatura rispetto al loro centro.
Attraverso l’uso dei muri prende forma la nuova topografia acquistando così
una parvenza di ordine, anche se l’intero sistema è pensato per garantire
dopo la piantumazione la sua scomparsa. Esso rimarrà presente in una topografia segreta, rimanendo solo come ordine inerente alla costruzione del
giardino.
Da un punto di vista costruttivo i muri sono pensati in terra armata, preservando così un principio di naturalità all’intera area e al contempo il recupero del materiale di scavo, che ricompattato e armato costituisce le murature
di contenimento.
Questo metodo assolutamente artificiale finisce per assumere la dimensione
frattale della natura, senza però perdere di vista la ricerca dei “meccanismi
formali”22, come sostiene J.M.Muntaner, in grado di aprire un intervallo di
traducibilità attraverso il gioco geometrico tra natura e artificio.
In un certo senso rievoca l’esperienza artistica di Sol Lewitt, dove il reticolo
modulare, la maglia, l’elemento seriale, fungono da elementi espressivi della
riformulazione spaziale tra oggettività e nuova soggettività, come nel caso
delle “wall drawing Pyramid” del 1986.
“Pur non potendo essere classificata come eclettica, l’architettura di Ferrater alterna infatti la frammentazione dei volumi e delle facciate alla gestione stereometrica delle volumetrie, la sotto-costruzione dei suoli artificiali alla
giustapposizione dei volumi puri nello spazio. Ciò che coordina in un’unica
poetica questi nuclei è il rapporto con la fisicità dell’opera e dei contesti,
con la costruzione e con i materiali che nell’autore catalano sono sempre
austeri e poco inclini a declinazioni estemporanee.”23
In questo senso la realizzazione del Giardino Botanico di Barcellona e della
22
23
Cfr. Carlos Ferrater. Recent work, op. cit., p. 144
Carlos Ferrater. Recent work, 2G, n. 32, 2004 Editorial Gustavo Gili, Barcelona, p. 144
fig. 1,2,3 Foto di cabtiere del primo inserimento dei muri
fig. 4 Dettaglio costruttivo del muro vegetale
1
3
2
4
sede dell’Istituto Botanico, rappresentano il gioco dei contrapposti atteggiamenti. Mentre il giardino si articola per parti e frammenti triangolari, determinati sia dai percorsi pedonali che da una sapiente movimentazione
artificiale dell’altimetria del terreno, l’Istituto è costituito da un volume lineare, molto asciutto, caratterizzato dalla presenza di una parte in aggetto, rivestita di legno scuro e sostenuta da volumi retrostanti in cemento a vista, che
sovrasta e guarda l’intero complesso botanico. Ferrater alterna frammento
e stereometria, sempre all’interno di quel complessivo, rigoroso, esprit de
système24 fondato sulla fisicità dell’architettura che non lo abbandona mai.
Possiamo individuare nel “meccanismo” del “contenitore” e nella scelta
dei materiali “artificiali” il richiamo alla radice della tradizione razionalista e
modernista. Ma a questo Ferrater affianca il “meccanismo” dei paesaggi
frammentati, quando l’architettura è posta in diretto contatto con una natura che viene re-interpretata attraverso gli strumenti della progettazione
architettonica.
Questo accade ad esempio nel caso della porta di accesso al giardino,
dove in una sorta di mimesi si alzano i frammenti di copertura dell’edificio
che si fa paesaggio, ma anche, al contrario, accade che il paesaggio si
faccia architettura. Il rpincipio sul quale si fonda il sitema processuale è
“ basato sulla definizione di linee di forza che innervano triangolazioni del
terreno. Questo aspetto rinvia a molte suggestioni dalla Alpine Arkitektur di
Taut”25.
L’intento è di “monumentalizzare il luogo” invece che “cancellarlo dietro
un edificio monumentale”, disponendovi una griglia ordinatrice, anch’essa
tridimensionale, formata da “muri piegati” che delimitano e scandiscono
questa sorta di grande spazio interno - esterno.
La geometria rappresenta in questo senso uno strumento possibile e necessario alla modulazione linguistica più propria alla naturalità, pur mantenendo la sua peculiarità di controllo, di analisi all’interno del progetto.
La geometria entra pienamente a far parte degli elementi strumentali del
processo progettuale, in quanto elemento di ricerca di nuove configurazioni
formali e di intermediazione con il contesto.
La “naturalizzazione” della geometria costituisce una evoluzione verso la
considerazione dei processi naturali come elementi da comprendere e imitare, costruendo così una modernità diversa, in grado di generare strumenti
24
J.M.Muntaner, Taxonomy of Formal Systems in the Work of Carlos Ferrater, in Carlos Ferrater.
Recent work, 2G, n. 32, 2004 Editorial Gustavo Gili, Barcelona
25
Cfr. J.M.Muntaner, Taxonomy of Formal Systems in the Work of Carlos Ferrater, in Carlos Ferrater.
Recent work, 2G, n. 32, 2004 Editorial Gustavo Gili, Barcelona - Sull’utopia, per la storiografi a ufficiale
del Movimento Moderno, il termine “utopia”, parlando di Taut e dei suoi compagni, è stato sinonimo di
fantasticheria o, comunque, una via di sfogo, per così dire, per l’immaginario frustrato negli anni della
Grande Guerra a causa dell’inattività progettuale concreta e dello sconvolgimento della sensibilità
travolta dall’enorme massacro collegato al conflitto.
Tutti caratteri, questi, effettivamente presenti in quella storia e nell’uomo Taut che, immaginò, o, meglio,
finse di por fine a quel periodo di sangue con l’intelligenza e la poesia. I disegni dell’ Alpine Architektur
e, in particolare, l’appello ai popoli d’Europa che in quelle pagine comparve, nel quale si evoca l’ideale di un “socialismo cosmico”, certamente sono costituiti da questi elementi. Per Taut si tratterebbe,
dunque, di un’utopia che doveva convertirsi alla scienza del “razionalismo”, ai principi di razionalizzazione della Neue Sachlichkeit. Vedi anche: Alpine Architektur in BORSI, KOENIG, pp. 256-272 e AA.VV.,
Bruno Taut, Electa, 1880-1938
Sistema della aree climatiche
Sistema dei percorsi
Topografia originaria
Progetto
fig. 1 Diagramma di lettura della stratificazione degli elementi coordinati dalla maglia e della topografia originaria. (M.M.)
fig. 1 Schema delle proprietà geometriche
del sistema della maglia e dei muri. (M.M.)
Possibili variazioni geometriche del trinagolo
applicate al progetto dei muri di contenimento.
1-variazione angolo di piegatura
2-variazione in altezza e angolo di piegatura
3-variazione estensione
fig. 2 Foto dei muri vegetali.
fig. 3 Foto aerea di cantiere.
fig. 4 Sistema dei muri suddiviso per area geografica.
1
2
4
3
fig. 1 Diagramma di lettura del sistema dei muri di contenimento e loro proprietà (estensione in larghezza e altezza, piega, rotazione).
(M.M.)
fig. 1 Diagramma di lettura del sistema dei percorsi. (M.M.)
fig. 1 Diagramma di lettura del sistema delle “isole” climatiche. (M.M.)
fig. 1 Siste,a di drenaggio e irrigazione
fig. 2 Disposizione delle essenze arboree
fig. 3 Identificazione delle aree omoclimatiche per la piantumazione.
1
2
3
grafici più ricchi e meno rigidi per trasformazioni diffuse che sfruttano energie
ambientali, topografiche.
L’idea trova così una sua dimensione fisica, in quanto gli stessi strumenti grafici aprono la partita dell’indistinto e dell’inaspettato, la ricerca di nuova forma è aperta.
In questa ricerca aperta alla modellazione, inaspettata le speculazioni geometriche si regolano sul concetto di: rete, maglia, superfici regolate, algoritmi, sistemi di parametrizzazione.
La geometria quindi permette di generare un ordine intrinseco, permette di
gestire l’incontrollabile e di procedere verso variabili locali.
Le proprietà generative dalle maglia sono in questo senso riassumibili nelle
sue capacità di rendere la forma trasversale, deformabile, e metamorfica.
La geometria rappresenta in sostanza l’elemento principale di interazione
tra l’intenzione progettuale, il controllo tecnico della forma, la sua trasformazione in funzione di variabili aperte e la realizzazione del progetto in un gioco
di intermediazione fra preesistenza e progetto.
Il Caso del Giardino Botanico di Barcellona dimostra in questo senso una
progressione condotta a partire dall’uso strumentale della geometria in funzione della costruzione topografica, per arrivare a un linguaggio legato alla
questione insediativa del progetto.
Il rapporto con il contesto viene vincolato all’utilizzo strumentale della maglia innescando quel principio di “memoria, rispetto alle preesistenze”, che
unito alla ricerca del principio “dell’universalità utopica” di E.N.Rogers, conducono alla riscrittura del paesaggio.26
“La geometria non sempre stabilizza l’architettura [...]”27 ma permette di generare un ordine intrinseco che renderà difficile o impossibile l’intrusione di
interferenze nello sviluppo figurativo.
“Contrastare la prima idea di un progetto con una pianificazione geometrica aiuterà a riconoscere il luogo, e a intersecare le sue necessità nascoste,
facendo affiorare la sua vera condizione.”28
“L’idea di deformabilità è sin dall’inizio implicita o inerente nella sua struttura
geometrica, […] In questo terreno di gioco, nel quale emerge la capacità
di adattabilità di un paesaggio, il meccanismo geometrico, maglia, rete,
tracciati, o pieghe, costituiscono il fondamento che struttura e destruttura il
principio regolatore dell’intervento,”29 in un processo continuo di metamorfosi controllata e di verificazione progett
26
27
28
29
Si rimanda al II Capitolo della trattazione in merito alla definizione della natura processuale.
R.Evans, The Orojective Cast: Architecture and Its Three Geometries, Ed. MIT Press, 1995
Ibidem
Ivi, p.9
1
4
3
5
fig. 1 Foto di cantiere
fig. 2 Aree di sosta
fig. 3 Sol Lewitt, wall drawing, 1970
fig. 4 Bruno Taut, Alpine Architektur, 1917-19
fig. 1 Foto del centro di ricerca posto alla
sommita del parco
fig. 2 Veduta generale verso la porta di accesso al parco
fig. 3 Dettaglio di un’area di sosta
1
2
3
fig. 1 Veduta del Museo Giggenheim e della area urbana di Bilbao
Processo stocastico o probabilista / A>B<A
“L’unità di un testo non risiede nella sua origine, ma
nella sua destinazione” 30
Per quanto riguarda il processo stocastico o probabilista abbiamo osservato
che esso si manifesta ponendo l’idea in una situazione secondaria, aleatoria; l’idea si definisce in un punto imprecisato del processo, ma solo alla fine,
e quindi “a posteriori” trova la sua forma di verificazione.
Rispetto a questa definizione processuale possiamo analizzare l’opera di
Frank Gehry ai fini della nostra trattazione.
Prima di iniziare un’analisi mirata dell’opera forse più emblematica dell’architetto americano, il museo Guggenheim di Bilbao, è opportuno considerare la città e la cultura nella quale è immersa la sua vita professionale, Los
Angeles.31
Los Angeles rappresenta la città della continua trasformazione, della libertà
individuale, al cui centro è il concetto di mobilità, attraverso l’uso delle automobili, e una cultura dell’individualismo.
Questa condizione ambientale induce a vedere l’architettura come un fatto isolato, individuale, in grado di rispondere prioritariamente alle necessità
del committente, i grandi quartieri rappresentano il pluralismo di questa individualità.
“Il cambiamento costante favorisce un clima di assoluta libertà da norme, al
punto da poter dire che Los Angeles è il paradigma della mancanza di norme, […] la non convenzione. […] L’architetto si trova senza il supporto che,
in genere, fornisce il contesto e ciò significa che il suo lavoro in nessun modo
deve identificarsi con un certo tipo di consolidamento. […] La sua integrazione […] presuppone di costruire come a Los Angeles, non a Los Angeles.”32
Così l’architettura di Frank Gehry è estranea al monumentale e si rapporta
al contesto per contrapposizione, o meglio liberandosi dalla preesistenza,
evitando di farsi influenzare dalle circostanze.
“Con questi occhi quindi dobbiamo guardare l’opera di Gehry, liberi da
qualsiasi preconcetto limitante”33 per sviluppare la nostra lettura sulla questione processuale, guidati dalla consapevolezza dell’origine ambientale e
culturale legate alla sua libertà operativa.
Con questi occhi possiamo addentrarci nell’analisi di quel progetto “manifesto” che è il Museo Guggenheim di Bilbao, realizzato tra il 1991-97.
30
Roland Barthes, La morte dell’autore, trad. it Bruno Bellotto, in id., Il brusio della lingua, Saggi
critici IV, Einaudi, Torino,1988, p.51
31
Cfr. Rafael Moneo, Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti
contemporanei, op. cit., p. 211
32
Rafael Moneo, Permeanza dell’effimero. La Costruzione come arte trascendente, in A&V Monografia de Arquitectura y vivienda, n.25, 1990, p. 9 - 12
33
Ivi p. 11
fig. 1,2,3 Sequenza di schizzi di individuazione delle strategie funzionali, Luglio, 1991
fig. 4 Diagramma della maglia generatrice
presente anche nella fase prefigurativa.
(M.M.)
fig. 5 Mappa della città di Bilbao su cui
Gerhy annota alcune considrazioni.
4
1
2
4
Il progetto, vincitore del primo premio nel concorso su invito da parte della
regione dei Paesi Baschi Spagnoli, costituisce il primo passo verso la riconversione di un’area dismessa nei pressi dell’antica zona industriale di Bilbao,
posizionata lungo il fiume Nerviòn.
L’area è ubicata al centro di un triangolo culturale urbano, individuato
dall’antico comune, dall’università e dal nuovo museo di belle arti, oggetto
del concorso. La conformazione dell’area è inoltre caratterizzata dalla presenza del ponte De la Salve, che collega la città del XIX secolo con la città
periferica posta ad est.
5
La presenza del ponte stradale, e la particolare posizione dell’area di intervento, aggiungono al nuovo edificio la funzione di porta d’ingresso alla città.
Il progetto, oggi icona della città di Bilbao, si formula attraverso uno studio
formale che non è la ricerca dell’ideale platonico della giusta forma, ma
si addentra in un campo legato alla espressività dell’arte e della scultura.34
Il Museo Guggenheim rappresenta il punto di svolta, a detta dello stesso
Gehry, di una esplorazione formale e processuale che negli anni precedenti
al concorso aveva caratterizzato il suo lavoro.
Non vi è una idea preliminare, una visione anticipata, di ciò che sarà la
costruzione ; il primo passo è definito dall’individuazione di un programma formale di base. “Un edificio si intende […] come dialogo tra forme
elementari.”35
L’architettura di Gerhy si formula essenzialmente attraverso la concretizzazione di un’idea indeterminata, durante il processo di creazione dell’opera
stessa.
L’azione progettuale, nell’atto di prefigurazione dell’opera dall’idea al modello, si formula attraverso quattro fasi identificabili come la approssimazione grafica e imprecisa ad una forma, la costruzione del programma, lo
smembramento del programma e l’associazione di figure definite ad ogni
singola e separata funzione individuata, la costruzione del modello fisico di
partenza sul quale innescare il processo creativo.
Il programma funzionale si formula nella seguente maniera:
1) Spazio per la collezione permanente, formata per tre gallerie consecutive di forma qusrata.
2) Spazio per la collezione degli artisti oggi in vita, che si forma per sette
gallerie con caratteristiche spaziali singolari.
3) Spazio per l’esposizione temporanea che troverà posto in una galleria
lunga 130 metri che si ingloberà al ponte stradale presente nell’area.
4) Le funzioni ausiliarie, magazzini, e servizi di carico scarico o imballaggio
opere si svolgono nel sottosuolo del museo.
34
35
Cfr. Frank Gehry 1991-1995, El Croquis, n.74/75, op. cit.
Rafael Moneo, Permanza dell’effimero. La Costruzione come arte trascendente, op. cit., p. 9.12
fig. 1 Schizzo di Franl Gehry, primo abbozzo
del programma e della composizione per
volumi. 1991
fig. 2 Analisi compositiva degli elementi figurativi di base che definiscono il programma
funzionale dell’edificio nella prima stedura.
(M.M.)
1
2
Fiume
Fiume
5) Tutte le sale convergono nell’atrio centrale, il fulcro del sistema distributivo e funzionale.
6) Gli spazi esterni sono sale espositive all’aperto.
7) Fra le sale vi è anche lo specchio d’acqua in rapporto con il fiume.
I numerosi disegni prodotti dall’architetto americano nella fase iniziale non
indicano una forma, ma esprimono solamente un’intenzionalità, con un accenno alla formulazione del programma iniziale e delle figure di base che
compongono la proposizione progettuale di partenza.
Questo non esime l’architetto americano dal controllo tecnico-costruttivo
del progetto, che in ogni fase del suo sviluppo è in grado di dimostrarne la
fattibilità tecnica ed economica.
“Ciò che mi piace è rompere il progetto nel maggior numero di parti possibile […] invece di intendere una cosa come una sola cosa, io la vedo come
se fossero dieci cose diverse.”36
Proprio queste dieci cose diverse rappresentano la scomposizione che Gehry opera nelle sue architetture attraverso la rottura del programma per parti.
Dal programma inizia un lungo lavoro di frammentazione del sistema funzionale in singoli oggetti; questa “smembratura” porta alla identificazione di
una serie di figure indipendenti, una sorta di organismi remoti la cui soggettività è definita dal rapporto uso/forma.
“Il processo è costruito a metà con il cliente. Il cliente ha bisogno di budget,
di programmi... i motori della progettazione. I miei colleghi lavorano con me,
capiscono i miei pensieri e procediamo intuitivamente in risposta a questi
elementi. È difficile da spiegare, è un’ispirazione intuitiva. In un’altra occasione ho provato a spiegare come puoi […] creare tu un contesto a partire
dalla tua mente, […]. È come cercare la tua strada nel buio, cercando di
capire chi sono, cosa si aspettano, cosa piace loro, andando incontro a
queste esigenze in modo intuitivo. I miei colleghi sanno, credo, come lavorare con me, e proviamo le cose insieme: realizzano per me modelli a partire
dalle idee. Si procede per piccoli passi, lentamente, ma riusciamo a rispettare i tempi. Siamo veramente orgogliosi di rientrare nei budget, di costruire
edifici che sono economici. Credo che la gente non capisca questo aspetto
del mio lavoro. Chi non ha esperienza guarda le mie architetture e crede
che siano molto costose, ma non lo sono. Sotto il profilo tecnico, dedico
molto tempo ai dettagli, le persone non lo capiscono quando guardano il
mio lavoro, non capiscono cosa c’è dietro e cosa davvero facciamo qui.”37
Nelle architetture di Gehry quindi c’è una grande attenzione per il programma, per il budget, per l’aspetto tecnologico in grado di stabilire il rapporto
costi-benefici e la fattibilità dell’opera.
36
B. Diamonstein, Interview with Frank Gehry, in dl., American Architecture Now, Rizzoli New York,
1980, p 54
37
Nicola Leonardi, Intervista a Frank Gehry , The Plan, n 45, 2010
fig. 1 Schizzo di Franl Gehry, primo abbozzo
del in cui compaiono le prime azioni di frammentazione, 1991
fig. 2 Analisi compositiva degli elementi figurativi di base. (M.M.)
fig. 3 Schizzi di progetto, e modello di verifica
delle prime fasi progettuali.
fig. 4 prima abbozzo in cui si definiscono
come oggi lo conosciamo il Guggenheim i
Bilbao. 1992
1
2
3
4
1
3
2
4
fig. 1 Serie di modelli preliminari ottenuti per
aggregazione dei solidi primari, di F. Gehry,
Luglio 1991
fig. 2 Schizzo del fronte overst dell-edificio, F.
Gehry, Luglio 1991
fig. 3 Modello definitivo si partenza definito
da composizione di solidi, 1992
fig. 4 Modello revisionato con inserimento
della piazza interna e delle galerie distribuite
a “fiore”, F. Gehry,Settembre,1992
fig. 4 Studio della configurazione dell’atrio
dell’edificio, F. Gehry, Settembre, 1992
Il posizionamento dei solidi “programmatici”
ha trovato la sua configurazione.
L’aspetto creativo si sviluppa per vie parallele, tra fattibilità tecnica e utilizzo
del modello fisico come elemento di verificazione materiale della costruzione.
Il modello è in grado di garantire un rapporto “personale” con l’opera; esso,
attraverso la scala, elimina ogni filtro, ogni vincolo alla ricerca di forma, e
libera l’azione progettuale dal vincolo del foglio.
Quindi per prima cosa il progetto fonda la sua struttura sulla formulazione del
programma e sulle necessità del cliente. “Le sue case non sono, come alcuni ritengono, oggetti di puro godimento estetico: nonostante il loro aspetto,
quelle case soddisfano i desideri dei propri committenti.”38 Il programma definisce le esigenze, le necessità singolari, mentre il conseguente “smembramento” del programma produce la forma.
Nel museo Guggenheim di Bilbao, una sequenza di spazi risponde alle esigenze espositive unendo in un unicum spaziale le esposizione temporanee
con le permanenti, portando al contempo la città all’interno del museo, e
viceversa il museo dentro la città.
Questo potere duale, queste relazioni e interconnessioni con l’intorno provengono dall’applicazione sapiente degli inviti visuali e spaziali che si generano dal movimento fluido delle forme ottenute e dagli spazi interstiziali tra
gli elementi smembrati del progetto.
Prima di giungere a questa fluidità, l’architetto americano parte, come abbiamo già in parte osservato, “non […] da un tipo. Gerhy scompone il programma, e dopo aver dato forma a ciascuno degli elementi che lo costituiscono, stabilisce una certa connessione tra loro. Ogni elemento mantiene
la sua integrità formale e l’edificio è il risultato delle forze che gli operano
intorno.”39
La funzione, attribuita ad ogni singola figura smembrata – una sala conferenze, un caffè, un negozio di regali, la sala espositiva, ecc. – frammenta il
progetto in parti autonome e definite. La loro autonomia garantisce anche
la loro libertà di associazione formale, preservandone le caratteristiche di
base, la dimensione.
Questo processo di smembramento consente a Gehry di spostare lo sguardo alla dimensione urbana, a ciò che accade nel suo intorno, al punto che
nel caso del Guggenheim la città entra fisicamente nel museo. Il vicino ponte stradale si ingloba nell’edificio museale portando parti di città a concorrere alla conformazione spaziale del manufatto architettonico, così come la
piazza esterna, concepita come un’area espositiva parte del museo. Una
volta smembrate le figure geometriche e ristabilito un principio di unitarietà
plastica, Gehry, procede con la costruzione di modelli che lungo il percorso
di formazione dell’architettura vengono modificati, tagliati e ricostruiti sino
al raggiungimento della giusta posizione delle parti. Il modello assume così il
38
Rafael Moneo, Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti contemporanei, op. cit., p. 215
39
Rafael Moneo, La solitudine degli edifici e altri scritti, Umberto Allemandi & C., Torino, 2004, p138
1
fig. 1 Modello digitale e fisico, sequenza,
1992
fig. 2 Diagramma della composizione di
base delle “scatole” di carta sovrapposte
che costituiscono l’elemento di partenza (il
modello) per le successive deformazioni.
Il modella in cartoncino della sequenza di
spazzi sovrapposti, gli permette di simulare
le conseguenti deformazioni sulla scorta di
azione dirette sul modello. (M.M.)
fig. 3 Sequenza di modelli di studio atrio edificio, F. Gehry, Settembre, 1992
fig. 4 Fotogrammi, che illustrano il procedimento operato da Gehry sui modelli.
3
2
ruolo operativo di strumento della formulazione della soluzione architettonica. Non si tratta di collage o assemblaggi, ma dell’azione delle forze di collisione40 tra le parti. La conformazione delle modulazioni spaziali delle forme
fluide si produce attraverso un’azione diretta di plasmazione, generando nel
modello la prima azione di deformazione plastica.
La reazione compositiva41 viene così ottenuta attraverso l’azione diretta
operata sul modello. Le forme del modello vengono plasmate sottoponendole al “campo delle forze”42 esterne al progetto.
Il reagente è l’azione prodotta del “taglia e incolla”, dalla piega del foglio,
dalla deformazione; ricercando nell’azione creativa, liberata dai vincoli del
disegno sul foglio, la risultante plastica ottimale, attraverso un gioco probabilistico.
Gehry entra così appieno nel vivo del progetto, anticipando con il modello
la morfogenesi dell’architettura.
“Questo costituisce il veicolo del suo lavoro, l’architetto palpa i pezzi, li sente,
ed è in questo contatto diretto che la forma si forgia.”43
Il processo si manifesta attraverso la potenzialità delle forme di frammentarsi, piegarsi, consumarsi, ecc., conducendo l’opera sino all’assunzione della
sua singolarità quale salvezza.44
L’edificio non è quindi pensato in termini di piante, sezioni, prospetti, assonometrie, ma attraverso la sua riproduzione nel modello fisico.
4
Gli elementi della rappresentazione non sono altro che strumenti per la trasmissibilità tecnica, e non per la ricerca figurativa. Non a caso i disegni di
Gehry risultano sempre indefiniti; indicano, ove riconoscibili, un accenno alle
figure “primitive” di base sulle quali si insedia il progetto, ma generalmente
sono frutto di un’azione convulsa, vibrante, figlia di un dato istintuale.
Il modello fisico rappresenta lo strumento operativo di figurazione del progetto.
L’uso del computer, anche in questo caso, assume il ruolo di elemento tecnico per permette il controllo e la massima libertà all’esplorazione formale.
La gestione delle forme fluide avviene attraverso la scansione digitale del
modello fisico, utilizzando un programma impiegato nella progettazione aerospaziale denominato CATIA (acronimo di Computer Aided Three Dimensional Interactive Application), in grado di simulare qualsiasi forma dinamica nello spazio tridimensionale. Con questo sistema di definizione digitale
dell’architettura ogni aspetto tecnico, costruttivo ed economico è simultaneamente verificato.
Il continuo passaggio dal modello fisico a quello digitale, permette di libe40
Rafael Moneo, La solitudine degli edifici e altri scritti, op. cit., p.130
41
L’accezione del termine composizione è volutamente utilizzato, come azione mirata all’ottenimento di un principio di unitarietà attraverso l’associazione di forme distinte e giustapposte
42
Cfr. D’Arcy Thompson, Crescita e forma, op. cit.
43
Ibidem
44
Possiamo sostenere che la sua resistenza, nell’essere definita architettura, sta nella sua capacità di preservare il suo dato artistico, in quanto, il risultato dell’opera è riconosciuta per la sua unicità e
soggettività, caratteristica riscontrabile nei confronti di un’opera d’arte.
rare l’intenzionalità creativa attraverso la materialità e la fisicità del modello
fisico che attraverso il suo equivalente digitale assume la controllabilità tecnica mirata alla verifica di ogni azione improntata sul modello stesso.
Con questa sistematizzazione, il progetto assume un ulteriore valenza intenzionale; l’uso del modello e del computer permettono a Gehry di realizzare
quel rapporto stretto che si esprime attraverso le sue architetture tra forma
e materiale.
La materialità assume un ruolo predominante. La scelta dell’uso della pietra e del rivestimento in titanio hanno una precisa definizione, nella ricerca
dell’effetto atmosferico e percettivo che potenzialmente possiedono questi
materiali contrastanti, bagnati dalla luce. Il rivestimento in pietra definisce i
volumi di base e l’attacco a terra dell’edificio. Il titanio, lucente e fotosensibile per riflessione alle cromie atmosferiche, segue forme dinamiche e indefinite nel tentativo di catturare il tempo.
Il materiale entra quindi a far parte di un fatto legato all’espressività del progetto e alla sua dimensione di opera d’arte.
Il Museo di Bilbao costituisce la parte conclusiva di una ricerca sugli strumenti, della costruzione di un processo particolare di accesso al progetto
d’architettura in grado di garantire le intenzionalità predisposte nel modello
prefigurato.
Il Guggenheim, d’altronde, ha permesso a Gehry di raffinare ulteriormente
l’uso del computer per lo studio e il controllo delle forme fluide rispetto ai suoi
progetti precedenti, tra i quali possiamo menzionare la Walt Disney Concert
Hall di Los Angeles.
La questione tecnica costruttiva, si esprime con l’uso di grandi strutture in
acciaio, e rivestite con facciate continue. Grandi scheletri metallici, rivestiti
da tessiture di lamiera o titanio, in grado di seguire e garantire la fluidità delle
forme ottenute, con una estrema chiarezza e controllo tecnico.
Non vi è negazione nell’architettura di Gehry dell’aspetto tecnico e materico, ma anzi viene posto in luce in contraddizione dell’apparente instabilità.
La materialità dell’opera esprime la potenzialità dei materiali e alla loro capacità espressiva.
Con questo sistema processuale, Gehry è in grado di controllare qualsiasi
forma e di generarne di nuove al di fuori della geometria convenzionale;
può concedersi di aprire il mondo del progetto a nuove vie, l’uso del modello come strumento di verifica diretta, e l’uso del computer come “guardiano” della costruzione.
“Gehry può, così, essere ciò che sempre ha desiderato, un inventore di forme, poiché non è più necessario servirsi di figure geometriche prestabilite
per potervi infondere un contenuto architettonico.”45 Viceversa il contenuto
45
Ibidem
fig. 1 Foto della pagina precedente, modelli di studio per lo sviluppo del progetto del
Guggenheim di Bilbao.
Fig. 2 foto de Guggenheim dal ponte stradale che lo intercetta.
architettonico si associa ad una maggiore espressività plastica ed emozionale legata a un universo figurativo totalmente soggettivo.
La tessitura, la piega, il ritmo delle lastre che rivestono le forme fluenti del
museo Guggenheim di Bilbao rimandano alle sperimentazioni artistiche e
alle ricerche materiche di artisti del Novecento, fra i quali Richard Serra e
Constantin Brancusi. Riconducibili per gli aspetti legati all’azione fisica sul
modello ad operatività similari.
Il solo raffronto per immagini mette in luce delle affinità operative fra le opere di questi artisti e la manifestazione spaziale del Guggenheim. Ne emerge
una familiarità di linguaggio e di espressione tecnica.
La curvatura delle facciate in titanio del Guggenheim e le tensioni spaziali
interstiziali fra gli elementi continui delle facciate ci rimandano alle opere di
Richard Serra, ove il materiale ricondotto alla sua essenza materica, amplificato dalla tensione di scala, si traduce in contrapposta fluidità della forma
generata attraverso l’interstizio, la fessura.
Viceversa, i volumi che compongono l’ingresso, o meglio la hall dell’edificio,
si dispongono a formulare uno spazio della variazione in altezza, nel raggiungimento della forza verticale, come nelle opere scultoree di Constantin
Brancusi.
L’atrio di ingresso, che si manifesta attraverso l’accelerazione spaziale verso
l’alto guidata dai sui elementi strutturali, che si sviluppa in alteza, genera
similmente la stessa forza percettiva, della colonna senza fine di Brancusi, in
una sorta di citazione nascosta.
Nell’opera di Gerhy, la forma si esprime attraverso una visione totalmente
individualistica dell’architettura, Il Museo di Bilbao in questo senso svolge il
ruolo principale di azzerare le preesistenze per dare luogo a un’inedita forma di riconoscibilità e di sviluppo alla città.
Da un punto di vista della questione processuale, possiamo affermare che il
sistema progettuale si avvale di una componente empirica, l’uso del modello funge da elemento di base sul quale in forma libera si applica la volontà
creativa.
fig. prospetti del Guggenheim
fig. 1 Diagramma di raffronto tra le contrapposizioni figrative date dagli elementi costituenti il Guggenheim di Bilbao. (M.M.)
Diagramma di individuazione degli assi di
giacitura principali. Essi si sindirizzano in rapporto alle osservazioni fatte da Gehry rispetto alla città. (M.M.)
Diagramma di individuazione degli assi di
giacitura con il riconoscimento delle figure di base del progetto inserite sulla pianta
(M.M.)
Diagramma di individuazione degli assi di
giacitura con il riconoscimento delle figure
di base del progetto. (M.M.)
Diagramma di individuazione dello snodo di
intersezioni degli assi sul quale si genera la
deformazione della hall (M.M.)
1
2
fig. 1 Richard Serra, union of the toros and the spere, 2001
fig. 2 Diagramma comparativo tra
l’opera di Serra e il Guggenheim di
Bilbao
fig. 3 Brancusi, la colonna infinita,
Parigi, 1938
fig. 4 Sequenza di immagini del modello di studio della conformazione
della holl del Guggenheim di bilbao, F. Gehry, Settembre, 1992
fig. A lato, Richard Serra, vista delle
opere nella sala espositiva del Guggenheim di Bilbao.
4
3
fig. Richard Serra
Union of the torus and
the sphere. 2001
Conclusioni
Esiste un modo di intendere il progetto d’architettura come fatto processuale?
Siamo partiti dalla constatazione che il progetto contemporaneo del
XXI secolo si manifesta come esperienza progettuale individuale, riscontrabile nella manifestazione diversificata dell’architettura, libera da preconcetti stilistici.
Abbiamo ritrovato le radici di questo mutamento di prospettiva nelle
rivoluzioni culturali, sociali e tecniche del Novecento.
Dalle analisi di alcuni casi esemplari, come le esperienze di Konrad Wachsmann, e le architetture di Mies Van Der Rohe e di Le Corbusier, siamo
riusciti a mettere in luce un atteggiamento sperimentale rispetto al fare
architettura, evidenziando uno spostamento di veduta rispetto al progettare che ha portato alla definizione di specifici strumenti e di chiavi
di lettura autonome nel rapporto uomo/tecnica.
Di fronte all’incertezza progettuale data dalla nuova posizione culturale si sono andati sviluppando specifici atteggiamenti intenti, attraverso
la razionalità oggettiva, a sviluppare sistemi e procedimenti teorici di
verifica e di controllo nel nuovo quadro di sviluppo. Questo sistema di
costruzione di prassi, di procedimenti, di teorie, definisce il processo; o
meglio la volontà di definire in modo determinato ciò che in realtà è
espresso dall’infinita varietà dell’espressione architettonica attraverso la
formulazione di appositi attrezzi grafici e strumenti sempre riconducibili
alla ricostruzione di una storia del come.
Questo concatenamento di eventi, sono la manifestazione di una continua ricerca che ha condotto verso nuove esplorazioni spaziali e figurative, liberando l’espressività dell’architettura verso nuovi linguaggi legati
al mondo dell’arte e della tecnica. Ciò è stato possibile attraverso le
potenzialità di precisi strumenti di controllo e di prefigurazione del progetto, che pongono l’architetto in una situazione di verifica rassicurante,
sia essa empirica o logicamente definita, ma sempre verificabile.
Il processo, in questo senso, costituisce l’infallibile compagno di viaggio,
la cronistoria del progetto, la memoria delle azioni e di ogni procedimento definito nello sviluppo dell’opera e dell’idea.
L’idea, in questo quadro di incertezza, svolge un ruolo centrale, o meglio è alla “base della autonomia progettuale” così come definita da
Colin Rowe. L’idea quindi svolge un ruolo cardine, o per lo meno fa parte come determinate del progetto, del processo di creazione dell’opera; ne definisce il suo carattere e conduce nei vari casi nei quali essa si
manifesta alla definizione del carattere soggettivo del progetto.
Nella libertà di linguaggio, l’unico modo per esprimersi, è farlo costruendo la propria grammatica, che per essere riconosciuta esige la costruzione di regole fisse e riconoscibili, queste regole, sono nella formulazione del processo, in questo senso verifica del tutto.
Ma la composizione?
La composizione assume, così il ruolo di esperienza dell’indeterminazione progettuale, di medium, un esempio è dato dai casi esaminati, in cui
una la sua assenza è solo apparente. In realtà viene svelata attraverso
il processo di definizione dell’opera. Nella ricerca del senso tra ciò che
determina relazioni tra soggetti e figure e il suo smembramento per parti,
come nel caso del Guggenheim di Bilbao di Frank Gerhy.
Abbiamo quindi posto l’attenzione su un possibile principio di evoluzione
del linguaggio e del fare architettura, frutto d’influenze esterne di carat-
fig. Dettagli degli inifissi e delle maniglie disegnate da Ludwig Witggenstein.
tere sociale, storico, di contaminazione. In questo senso il linguaggio è in
un continuo divenire, in mutamento, nel senso di questa tesi, in processo.
Il principio di mutazione, la razionalità tecnica, la ricerca di un’unità universale di misura, la questione della standardizzazione, la necessità di
ricondurre il tutto all’uomo, alla sua dimensione biologica, si definisce
nell’unico spazio libero che rimane dove l’architetto può esplorare e
ricercare tra essere e conoscere o meglio nel processo creativo.
Che ruolo giocano e quali sono gli strumenti del processo?
Un ruolo chiave è sicuramente svolto dagli strumenti sviluppati, utili allo
svolgimento processuale. Abbiamo visto, infatti, come nell’atto progettuale risiedano una serie di strumenti specifici, tra i quali abbiamo riconosciuto la geometria, i diagrammi, il modello.
Essi si manifestano come catalizzatori, come macchine prefigurative,
che sostengono l’esplorazione progettuale nel suo divenire, di fronte
ai vari gradi d’incertezza. La geometria, grazie all’uso del computer,
permette un più radicale controllo del progetto architettonico e delle
esplorazioni delle sue nuove forme. I modelli figurativi e prefigurativi si
manifestano come fonti di astrazione e concettualizzazione dei principi
compositi, e come mezzi di verifica e della composizione diretta e “materiale”. Il diagramma diventa fonte di sintesi funzionale, distributiva, e
di figurazione dell’opera.
Il processo entra così nella sua dimensione più intima, è continua mutazione e i suoi fattori creativi subiscono un continuo riposizionamento
rispetto all’idea architettonica, rispetto alle autonomie progettuale.
Attraverso l’analisi di alcuni progetti significativi e la ricostruzione di una
fenomenologia del processo nella progettazione architettonica, abbiamo identificato delle manifestazioni riconoscibili come declinazioni specifiche della questione processuale rispetto al concetto di linearità. Abbiamo individuato: il processo lineare, il processo continuo e il processo
stocastico o probabilistico. Tre manifestazioni che cercano di identificare le diverse manifestazioni e declinazioni con cui operatività e ricerca
progettuale si sviluppano nel procedere verso il progetto.
Lungi da qualunque pretesa di esaustività, difficilmente praticabile per
la particolarità e la vastità del tema preso in esame, quello che si è inteso fare è di fotografare una situazione in continuo divenire, mettendo in
luce attraverso l’analisi di alcuni progetti significativi i sistemi processuali
principali, e cercando di delineare una fenomenologia del procedere
pratico nel processo architettonico.
Questa tesi vuole essere un punto alla fine di una frase, perché subito
dopo ne inizi una nuova.
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MATERIALE DI ARCHIVIO
Foundation Le Corbusier Parigi, Francia
FLC / 15020
Schizzo di studio in pianta
FLC / 25090
Dettaglio di montaggio numerico della facciata.
FLC / 25094
Dettaglio Sezione Montaggio facciata
FLC / 25101
Dettaglio d’angolo di facciata dell’unitè
FLC / 25141A Serie dettagli
FLC / 25366
Facciata nord con codici posizionamento
FLC / 25371
Piano di cantiere diagramma su edificio
FLC / 25372
Calendario di trasmissione dei lavori
FLC / 25636
Piano e schizzi d’inserimento urbanistico
FLC / 25645
Piano del colore delle facciate
FLC / 25653
Piano numerico porte e infissi
FLC / 26238
Distribuzione elettrica
FLC / 26237
Distribuzione parapetti camere bambini
FLC / 26291
Sistema generale di configurazione
FLC / 26292
Stesso
FLC / 26293
Cellule abitative
FLC / 26294A
Sistema cellule e nomenclatura
FLC / 26294B
Sistema cellule e nomenclatura
FLC / 26294C
Sistema cellule e nomenclatura
FLC / 26294D
Sistema cellule e nomenclatura
FLC / 26295
Veduta generale
FLC / 26298
Planivolumetrico
FLC / 26302B
Planimetria con individuazione degli alloggi
FLC / 26306
Dettaglio infisso
FLC / 26307B
Planimetria generale
FLC / 26307C
Planimetria generale
FLC / 26308B
Planimetria generale
FLC / 27211 FLC / 26322B Planimetria unità A e B
FLC / 26323A
Planimetria uinitè CDEFG
FLC / 26406A
Schema montaggio unitè
FLC / 26406B
Schema montaggio unitè
FLC / 26896
Schema colore
FLC / 27092
Studio colore facciata
FLC / 27093
Studio colore facciata
FLC / 27094
Studio colore facciata
FLC / 27095
Studio colore facciata
FLC / 27096
Studio colore facciata
FLC / 27097
Studio colore facciata
FLC / 27098
Studio colore facciata
FLC / 27145
Diagramma
FLC / 27158
Schizzi studio unitè
FLC / 27226
Assemblaggio alloggi
FLC / 29265
Diagramma Plan de masse
FLC / 29289
Modulor nell’unitè
FLC / 29364
Plan realizzati
FLC / 30227
Schizzi di studio
FLC / 30724
Diagrammi
Archivio Centrale dello Stato Fondo Moretti
Fondo Moretti, III serie - rivista “Spazio” redazione rivista 1, 2, 5, 7
A Mia Mamma
A Mia Moglie
A Mia Figlia
perchè solo ora comprendo
la continuità e il senso della vita.
RINGRAZIAMENTI
Questa tesi è stata possibile grazie all’aiuto e all’appoggio
di: Giovanni Marras che in questi anni mi ha seguito nella
ricerca; Diletta che ha sempre saputo mostrarmi le questioni “da un’altro punto di vista” e a Vera che in questi mesi
ha sopportato pazientemente la mia assenza, salutandomi
ogni mattina con un sorriso.
Devo inoltre un ringraziamento particolare ad: Alberto
Peñín Llobell il cui apporto professionale e culturale mi ha
condotto a riflettere sul tema scelto e a Giudeppina Scavuzzo, assieme alla quale è stato possibile costruire un’esperienza didattica determinante.
La tesi è la fotografia dei vari anni durante i quali ho ricevuto numerosi stimoli, alcuni visibili, altri nascosti in una
conversazione, ma soprattutto è una riflessione su quanto
emerso durante l’esperienza universitaria in qualità di studente e poi di assistente attraverso il lavoro svolto in aula
con, architetti, alunni, docenti, dei corsi di progettazione e
d’interni, nonché dei seminari intensivi di fine anno.
Un particolarissimo ringraziamento va a tutti coloro che mi
hanno sostenuto fin qui attraverso piccoli o grandi aiuti, in
particolare: MIchelangelo Zanetti, Elisa Ruzzier, Francesca
Rossi, Valeria Santoro, Antonio Jìmenez Torresillas, Dario
Lugato, Luca Vecchiato, Francesco Semerani, Piero Vespignani, Silvia Fontana, Alberto Miotto, Sonia Vitturi, Luigi
Mozzato, Michele Panella, Adolfo Zanetti, Elena Manente,
Sara Cassara, Orio Marzaro, Giulio Marzaro, Anna Vendrame, Vittorio Alberto Monica Biancato.
A tutti molte grazie_Mestre, 21.03.2012