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Questa versione “elettronica” de “IL LIBRO” di Talco Talquez è
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antecedente alla revisione in corso. Per lo stesso motivo, in questo PDF potrai occasionalmente
imbatterti in trascurabili “imprecisioni” (tipo “capitolo 54b”).
Non è davvero il caso che tu continui a leggere. È
che semplicemente di alcuni libri proprio non ci si
può fidare: sono edera che ti s'avvinghia
tutt'intorno all'anima, e poco a poco ma
inesorabilmente vi affondano le radici. Però come si
f a , a re s i s t e r g l i ? C o n t u t t i q u e i n u m e r i n i c h e t i
strusciano i polpastrelli quando volti pagina.. quei
minuscoli timbrini che ti volteggiano davanti agli
occhi e dopo scodinzolano dai pori del cervello..
Piuttosto, quanto a te: vedi di non consigliare
questo libro a nessuno, sono stato chiaro?
Altrimenti contribuirai a diffondere un'epidemia.
Eppoi tu non ce l'hai, la mia scusante: tu non sei
stato obbligato a scriverlo pur di poter tornare a
vivere se non altro l'apparenza di un'esistenza
normale! Pertanto fai pure finta che si tratti solo
di un innocuo romanzo, un'invenzione, uno dei
tanti parti di qualche fervida mente malata.
Ecco, appunto: io sono pazzo, e lo so.
Irrimediabilmente. Tu non ancòra, per cui bada a
non diventarlo!
Quanto a questa copia del Libro, dalla alle fiamme
prima che diventi un'ossessione che ti perseguita
dappertutto: sul comodino, sopra la scrivania,
davanti allo specchio del bagno, sul sedile
dell'automobile..
Non ti darà tregua! Lo capisci, questo??
Ti seguirà ovunque. Come la tua ombra.
Come un cucciolo randagio che, quando solo gli
dimostri un briciolo d'attenzione, zac!: dopo non
t i m o l l a p i ù . T i f a g l Dedicato
i o c c h i o n i al
d o lmondo
c i , t u che
l o a cSaRa`
cogli
in casa tua, e in men che non si dica.. ci finisci
tu, a vivere nella cuccia, mentre lui si impossessa
di tutta quella che era la tua vita. Fìccati bene in
testa che questo è uno di quei libri che non si
lascia riporre in uno scaffale: fa di tutto per
riporci te! A quel punto nessuno ti potrà più
salvare.
È sufficiente un attimo. Una sola sbirciatina, a
volte, può essere quella fatale.
Non fare lo stronzo. T'immagini forse che mi sia
messo in panciolle a digitare quattro cazzate sulla
tastiera perché non avevo niente di meglio da fare?
Qui, ti sbagli! Ancòra lo conservo, il bigliettino del
blocco-appunti che regalano in banca – quello sul
quale la mia penna ha riversato all'impazzata le
parole che ora hai la disgrazia di leggere. L'ho
perfino rinchiuso in bacheca, illudendomi di
imprigionarlo, ma quello scampolo di incubo tuttora
mi domina dal mezzo della cornice. E tuttora mi
sogghigna addosso beffardo tutta la sua malignità,
quando ci passo davanti e..
SSSHT! L'hai sentito anche tu?? Era un fruscìo di
pagine, e proveniva da dentro il cassetto. Devo
interrompere: il libro mi sta spiando. Anzi: ci sta
spiando. E tu parla piano! Anzi: pensa piano. Non
vorrai mica che ci facciamo sgamare così?
Forse sei ancòra in tempo. Forse è sufficiente
incenerire queste pagine.
..o forse no.
2a edizione (Gennaio 2009)
stampato da www.pothi.com
Mudranik Technologies pvt. ltd.
Bangalore, India
Copyright © 2008 Talco Talquez
P.O.BOX 109, 23891 Barzanò (LC)
e-mail: [email protected]
sito internet: www.fenice.info
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Questo romanzo narra di personaggi, luoghi e vicende reali.
Qualunque idiota sia intenzionato a svolgere indagini volte a
“decrittare” i nomi di luoghi e persone (che ho appositamente
alterato a tutela della privacy dei diretti interessàti), sappia che
rendendoli pubblici commetterà un crimine morale del quale sarà
l'unico responsabile – anche a termini di legge.
Nessuno, tranne chi l'ha vissuto, saprà mai fino in fondo cosa è
realmente accaduto e cosa invece è stato aggiunto al fine di romanzare
la vicenda: pertanto nessuno ha il diritto di gettar discredito su persone
che, nella vita reale, assai poco potrebbero avere a che fare con il
personaggio che da essi ho estrapolato.
Ma soprattutto esorto te, mio beneamato lettore, a boicottare tutte le
iniziative intese a creare scompiglio partendo da questo libro: le
polemiche lasciamole a chi vive inconsapevolmente asservito alla cara
vecchia regola di Lao Tzu: “Chi parla, non sa. Chi sa, non parla.”
PARTE
PRIMA
1
C
redo di avergli promesso che avrei mantenuto il segreto. Giurato no, ma promesso sì
– come tutti gli altri, del resto. Oppure si è trattato di un tacito consenso. Com'è
come non è, era chiaro a tutti e quattro che certe cose bisogna tenersele per sé:
spiattellare equivale ad esser presi per pazzi, quindi meglio non tirarsi la zappa sul piede.
Anche quando ci si sta scavando da soli la fossa.
Ehi! Possibile mai? Un intero paragrafo e il computer non si è auto-resettato. Toh? Buon
segno. Da come lampeggia il cursore è ovvio dedurre che il periodo di “segreto d'ufficio” è
decaduto. Posso dunque parlarne liberamente, pare. Quantomeno scriverne.
Ancòra non mi sembra vero di esser stato capace di trattenere questo sfogo per così tanti
anni. Chiacchierone come sono. Anzi: come ero. Non sono più quel me stesso. Non dopo il
12 Ottobre 1993.
Angelo se ne sta a gambe incrociate sul letto di camera mia. Guarda spensieratamente il
soffitto rivestito di perline nodose. Un punto imprecisato. E io, lì. Seduto accanto alla mia
scrivania. A far da soprammobile.
Oh: è bene precisare fin da sùbito che Angelo non è il mio ragazzo – quello arriverà
quando tutta questa faccenda sarà conclusa. “Conclusa” si fa per dire. Angelo è il mio
migliore amico, e non potrei nutrire per lui altro che quella forma pervicace di Amicizia che
contraddistingue il nostro rapporto.
«Una serata come tante..», rifletto. «Una pizza fra amici, un film a noleggio, una
possessione da parte di uno spirito che per comunicare mi stritola la mano, e adesso eccomi
qua senza sapere che fare o cosa pensare.»
In circostanze simili, uno niente niente si aspetta un miracolo. Che so? Visioni, levitazioni,
voci disincarnate.. perlomeno, un misero poltergeist da quattro soldi! (Che poi a contarli
erano otto.)
«Niente. Qui non succede proprio un cavolo di niente. E quello mi fissa il soffitto. E se la
ride.»
Sorge spontanea la domanda inquietante: chi è costui?
7
(1)
• Risposta scontata: il mio migliore amico da tre anni a questa parte.
• Risposta a prezzo pieno: il corpo, è senz'altro quello di Angelo; quanto al contenuto,
non ci giurerei troppo.
Un'occhiata al soffitto ce la do anch'io, per la milionesima volta, però poi mi arrendo: non
c'è che dire, ha tutta l'aria di essere il soffitto di camera mia. Non mi risulta che Angelo
l'abbia mai osservato così scrupolosamente, ma suppongo che dieci minuti di silenzio per
uno stupido soffitto siano eccessivi.
Una frase comincia a prender forma sulla punta delle mie labbra, come le infiltrazioni
d'acqua che gocciolano giù dal soffitto quando hai il piano di sopra completamente allagato:
cosa
cavolo
stai
guardando?
Seee. Buonanotte. Ti pare che il prete de “L'esorcista” si sarebbe permesso una
confidenza simile, con la tizia posseduta dal maligno? Beh, si vede che quel prete aveva più
controllo sulle sue parole: io, in tutta spontaneità, le ho proferite quasi nel medesimo istante
in cui le ho pensate.
«Sto guardando le stelle.»
Ottima risposta. Se fossimo in giardino. Ma neanche con la vista a raggi X di Superman,
dal mio letto si vedono le stelle! Perlomeno, non da quell'angolo di visuale. Guardasse la
finestra, anche con un occhio soltanto..
Mi ha risposto senza battere ciglio. Restando talmente immobile da farmi come sospettare
che il movimento delle labbra me lo sia solamente immaginato in un secondo momento,
come razionalizzazione. Voglio dire: via! Uno come me, mr. Spock il vulcaniano
impassibile dalla logica ferrea.. Io, credere alla telepatia?!
Con tutto che già stavo credendo alla possessione.
Però poteva pursempre trattarsi di un repentino ma “spiegabilissimo” attacco di
schizofrenia. O di uno scherzo veramente ben recitato. Oppure.. Sì vabbè, ho reso l'idea:
tanto si sa, che per ogni fatto inspiegabile esistono infinite dimostrazioni scientifiche.
Stavo ruminando su tutte queste cose, quando prevalse in me la curiosità ingenua di
stuzzicare “l'essere” con argomentazioni un po' naïf e un po' strafottenti tout-court:
«Quello è il soffitto. Le stelle, semmai, stanno due piani più su, aldilà del tetto.»
No, dico: tu gliel'avresti ammollato, un calcio in culo a un rinoceronte assopito? Io mi
stavo rendendo conto in ritardo di averlo appena fatto.
Trascorre il più interminabile mezzo secondo della mia vita. Nella mia mente le immagini
più catastrofiche fanno la fila per spaventarmi a turno: mi avrebbe potuto fulminare con un
dito tipo Mazinga; ruggire come un orco e ammazzarmi d'infarto secco; sbranarmi peggio
di una tigre mangiauomini inferocita.. Insomma: un sacco di ipotesi veramente poco
8
(1)
scientifiche.
Invece, nulla di tutto ciò. Angelo o chi ne fa le veci, prèsosi la sua bella pausa di mezzo
secondo di suspance, si gira col capo e mi guarda con l'aria di saperla lunga su cose del
mondo delle quali io sono completamente all'oscuro. E mi sbeffeggia senza aprir bocca nè
scomporsi: il sorriso pietoso di chi sa tutto e si è sentito rivolgere una domanda stupida,
lascia presto luogo a una risatina sforzata alquanto umiliante.
Ciò fatto, torna a fissare il suo “cielo in una stanza” – come a dire: se son queste le
domande che intendi rivolgermi, allora tanto vale guardare il soffitto.
Trascorre altro tempo. E più penso a domande “degne” da porre, meno intelligenti esse
finiscono col sembrarmi. Perché qui, è chiaro, non si tratta di uno spiritello randagio
qualsiasi, di quelli che fanno ballare la breakdance alle vecchiette suonàte. Nè di un Alien
schifoso e repellente con la schiuma alla bocca, che se n'è uscito dagli inferi col lodevole
intento di movimentare un poco la vita degli umani mettendo tutto a ferro & fuoco.
(Sempre per rimanere in ambito di possibilità logiche e scientifiche, s'intende.)
Quest'essere – contrariamente allo spappolatore di dita, che se ne stava sdraiato immobile
senza riuscire a parlare nè a muoversi – pare piuttosto un imbucato: una specie di spettro di
passaggio, un turista-per-caso che mentre se ne andava a zonzo in spiritu si è infiltrato in
un corpo svuotato dalla precedente possessione e non ancòra riempitosi del suo legittimo
proprietario, nonché amico mio: Angelo.
Sarà per colpa di Benigni (avevo visto da poco il suo film “Il piccolo diavolo”), ma la
paura iniziale si era oramai tramutata in un sollazzo da autentico incosciente. Tipo tirare la
coda al gatto “ché, se non ha reagito prima, non mi farà niente neanche adesso”.
Temo di non averci fatto una gran bella figura, col mio ignoto visitatore. Sta di fatto che,
esaurite le domande serie (cui tanto non rispondeva), sono gradualmente scivolato a
chiedergli di inezie – le più disparate; le più imbecilli..
Risultato? Tale e quale a come se non esistessi: roba che dedico più attenzione io a un
sasso che l'essere a me. E così stabilisco che ne ho abbastanza: il bel gioco dura poco, e io
rivoglio indietro il mio amico Angelo. (Non che lui sia più loquace, ma quel che è giusto è
giusto: a ciascuno il suo proprio corpo.)
Così mi decido alla buon'ora a porre la domanda che era ovvio fargli fin dal principio:
«Dov'è Angelo?»
«Non c'è.»
In un solo istante rinsavisco dalla stupidera, ed ecco ritornare l'inquietudine.
“Orpo. Stavolta mi ha risposto.”, cogito. E mi rendo improvvisamente conto che l'averlo
pigliato in giro impunemente non mi ha poi tranquillizzato come invece avevo sperato.
Pur di rassicurarmi, provo a convincermi che sia solo Angelo in un temporaneo stato
confusionale:
«Come sarebbe a dire, “Non c'è”? TU, sei Angelo. Guàrdati allo specchio!»
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(1)
Ehi, me ne rendo conto: è una cosa alquanto ingenua, da dire a uno spirito che si è
impossessato del tuo migliore amico.
Invece questa mia osservazione pare prenderlo in contropiede; come se alimentasse un
dubbio che già covava; come se si fosse reso conto che io, per quanto primitivo e ridicolo ai
suoi occhi, potessi dopotutto aver detto qualcosa di vero, o perlomeno sensato.
Con la rara maestà di chi è abituato ad avere sempre ragione ma all'occorrenza non esita a
rimettersi in discussione per verificare le proprie ipotesi, l'essere si volta a specchiarsi. E,
dopo un lieve sussulto a malapena percettibile, torna a guardarmi. Stavolta però con
un'espressione diversa, e un saluto atonale:
«Ehi.»
Uffaaa! Ne ho piene così le scatole, di spiriti escursionisti che si danno il cambio usando
Angelo come medium involontario! Non ho mai avuto alcuna simpatia per i rompicapo fine
a sè stessi, specie per quelli irrisolvibili e monòtoni come questo. Pertanto deduco che si
tratti della burla di qualche folletto vigliacco (Ehi! Che fine ha fatto la mia scientifica
razionalità?) e accetto di stare al gioco – non foss'altro per il fatto che, una volta in ballo,
tanto vale ballare.
«Salve, compañero! Qua la mano! Chi sei, stavolta?»
Inconfondibile, la risposta di Angelo:
«Ma sei diventato pazzo?»
Precisamente.
Se non te ne frega niente di sapere come siamo arrivàti a questo punto, salta pure al capitolo 28 (pg.128)
2
S
e non sei pure tu un Predestinato, allora tanto vale che rinunci in partenza a capirmi
– chiamami pure “pazzo” o “bugiardo” che va bene uguale. Tanto, tu non ti devi
svegliare ogni mattina salutato dalla perenne spada di Damocle del pensiero: “Oggi
potrebbe essere il giorno in cui tutto si compie”.
Ah, e.. giusto per intenderci: non è che essere dei Predestinati sia 'sta gran figata che si
dice in giro. Anzi: tutto il contrario. È una croce maledettamente stressante. Sì, perché
essere un Predestinato significa sentirsi sul groppone il peso dell'intera Umanità: singola
persona per persona. Ovunque vai. Qualunque cosa fai.
Significa anche commuoversi davanti a film come “Highlander”, sospirando: “Beato lui!”,
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(2)
visto che (per quanto ardua e incerta) la vita di un Highlander poggia su basi ben salde:
sanno chi sono, da dove vengono, dove vanno, e perché. Un predestinato invece no.
Un Predestinato simpatizza piuttosto con Giobbe (se legge la Bibbia), o con Fracchia (ma
pochi sono i Predestinati che riescono a trovare il coraggio di ridere delle disgrazie altrui,
presi come siamo a leccarci le nostre, di ferite!). Nessuna voce tonante a squarciare il cielo
al momento del battesimo, a dirti chi sei. Niente fiori di loto che ti sbucano da sotto i piedi
tipo “Il piccolo Buddha”.
Soltanto certezze assurde, tipo sapere che sei venuto al mondo per dare una mano a
un'Umanità sorda e cieca all'Amore e votata alla rovina. O anche solo trovare ovvio che
esista la vita dopo la “morte”, senza bisogno di doverci credere: sapendolo.
“E a te chi te l'ha detto?”
Eccola qui. L'ho stanata sul nascere, la condanna sempiterna del Predestinato. Perché ci
sono solo sensazioni. E per giunta inspiegabili tramite il friabile linguaggio umano – questo
mezzo espressivo così grezzo e impreciso, già del tutto inadatto a comunicare il pensiero,
figuriamoci poi questo genere di cose!
Nessuna dimostrazione è possibile. Nessuna enunciazione, se non tramite metafore – che
poi sarebbe il modo migliore per smarrirsi in immagini fuorvianti: roba che non c'è cretino
che non sia pronto a fraintenderle in mille e più modi ingegnosi, o a strumentalizzarle e
rivoltartele contro pur di dimostrare tutto e il contrario di tutto. (Vedi quel che è accaduto
alle parabole di Gesù, Buddha & C.)
“Grave” non è tanto sentirsi domandare dall'intellettualone di turno “Ma lei come fa a
sapere queste cose?”. Il dramma esistenziale del Predestinato è che è spaccato in due
interiormente: da una parte, sa con assoluta certezza; dall'altra, lo assilla il dubbio perenne
di essere semplicemente un illuso, un “montato”, uno psicopatico affetto da deliri di
onnipotenza..
Pertanto, parliamoci chiaro e facciamo un patto: tu non pretendi spiegazioni, e io in
cambio non mi cimento a convertirti, OK? Non ti domando di credermi (se è per questo,
neanch'io crederei a me stesso) e neppure di ascoltarmi. Sai che mi frega a me, dopo che il
mio libro l'hai acquistato, di quel che ne fai!
Se ti interessa la storia, bene. Se preferisci convincerti che mi sia inventato tutto di sana
pianta, altrettanto bene. Se però ti suona verosimile che una vicenda del genere sia
realmente accaduta, stai attento a te. Tienti stretto il cervello, perché decondizionarsi
radicalmente dalle illusioni del mondo è un po' come andare sulle montagne russe con la
cintura slacciata. Non so se mi spiego.
Prendiamo il mio caso: sono le 4.34 di notte (o mattina?) e, anziché dormire, scrivo senza
essere io a scrivere. Come ti suonano, frasi del genere? Sono l'ABC del Predestinato. Roba
per addetti ai lavori.
Lascia perdere, già te l'ho detto, e torniamo a quell'Ottobre del 1993; ai giorni in cui
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(2)
ancòra vedevo davanti a me una vita normale; quando ancòra credevo che tutto fosse
spiegabile; quando ancòra prendevo sul serio la psicologia, tanto che mi ero persino iscritto
all'università; quando ancòra non ero un Predestinato (beh, se non altro non sapevo ancòra
di esserlo); quando ancòra ero semplicemente Alessio Bolis.
«Alessio, cosa diresti se ti dicessi che non sono umano?»
«Che l'ho sempre sospettato, Angelo.»
Tipico botta & risposta fra me e il mio vecchio amico. Uno particolarmente ben riuscito.
Uno di quelli che dopo mi segno sul diario:
1 Ottobre 1993: ripensando a ieri sera, e agli strani
discorsi fatti da Angelo..
«E se ti dicessi che potrei alzare questa sedia?»
«Che pure io ne sarei capace. Guarda.», poi mi alzo e
sollevo la sedia: «Visto? È facile.»
Ma quando incrocio lo sguardo intento di Angelo, qualcosa
in quella lucidità mi ammutolisce. Non è certo
l'espressione di uno che sta scherzando, nè quella di un
credulone che farnetica di trite e ritrite strambe
fesserie esoteriche. E non è neanche quella di un folle
col cervello che gli "batte in testa".
Angelo era serio, maledettamente serio. Anche più del solito. Si può dire che quella sera
incarnasse la serietà in persona. Tanto che non bastava buttarla sul ridere per spezzare
quell'atmosfera pregna di mistero che ci avvolgeva, spiraleggiando come un vortice
tutt'intorno a noi.
Però la mia ostentata incredulità lo bloccò. E siccome dal canto mio sono talmente
abituato ai discorsi che il mio amico comincia per poi interromperli un istante dopo..
«Lasciamo stare.», dissi. «Eppoi ci sono cose ben più importanti di cui occuparci, adesso.
Ciò a dire: sempre lei, Cleo.»
Che poi sarebbe l'unica ragione al mondo per la quale Angelo è tornato a ricordarsi di
avere un “migliore amico” in me: la sua donna l'ha lasciato, e a lui (eterno vincente per
vocazione) è mancata la terra sotto i piedi. Tanto da fargli piantar lì l'iscrizione all'università
e riarruolarsi. No, mica nella legione straniera, ma nel suo equivalente godereccio:
animatore presso un villaggio turistico Valtur in Sud-Italia, “o magari anche in Grecia, o un
poco più in là..”
Una partenza affrettata, osteggiata dai suoi e sconsigliata a posteriori da me. Ma col cuore
passato a fil di spada, quella pesantissima di Vercingetorige, la gelida lama sottile del “però
ci tengo che restiamo amici” di lei, ad Angelo non rimaneva che imboccare la strada
indicata dal suo gruppo musicale preferito – optando però per entrambe le soluzioni:
buttarsi nel lavoro e imbarcarsi in un viaggio inconcludente.
“O solamente stare semplicemente male”.
12
(2)
Appena due giorni dopo..
«Non so perchè ti chiamo.»
«Angelo! Sei proprio tu? Dove sei?»
«In montagna.»
«In val d'Aosta o in val Tur?»
«Nella mia casa di montagna.»
«Alt. Fermi tutti. Ma non eri partito per un villaggio turistico, l'altroieri?»
«Sì, ma non ce l'ho fatta e così sono tornato indietro. Poi mi sono fatto portare quassù da
mio padre.»
«Sei lì con lui, adesso?»
«Sono solo: devo pensare.»
«Ma così fondi, a furia di riflettere! Invita Arrigoni. O Viscardi.»
«Se è per questo, inviterei anche te.»
Facile a tradursi in: nessun altro dei suoi amici sarebbe stato così pazzo da raggiungerlo
fin lassù – ma il suo stato di prostrazione era tale da fargli accettare quel che passava il
convento.
«Me? Beh..»
Non conosco la strada + non guiderei mai una Panda sgangherata in montagna + anche
andarci in pullman, non ho idea di quali + va a finire che mi perdo nei boschi + dopo due
anni e passa non mi ricordo neppure il nome del paesello =
«..okay. Quando?»
«Domani?»
Siccome il mio quieto buonsenso di hobbit sedentario va a farsi friggere quando un amico
ha bisogno di me, l'indomani stesso prendo il primo treno e comincia l'odissea: la motrice in
panne, le autolinee sostitutive che non arrivano più, mancano collegamenti diretti così tocca
fare tappa in uno spiazzo cementificato disperso fra i monti che funge da capolinea..
La zona ha tanto l'aria del cantiere: un posto isolato che non hanno ancòra finito di
costruire. Così, solo e sperduto come io detesto essere, trovo temporaneo rifugio nel baretto
lì vicino – dove m'informano che il prossimo autobus che si inerpica “fin lassù” passa fra
non meno di 4 ore.
Che fare? Per cominciare, ordino una cioccolata calda che mi fornisca un pretesto per
scrollarmi di dosso gli sguardi inquisitori degli autoctoni – i quali, con la tipica schiettezza
un po' ruvida dei montanari, è da quando ho messo piede nel loro territorio che mi scrutano
con l'aria di interrogarsi su chi sia questo pesce fuor d'acqua che si guarda intorno come il
classico “straniero” dei film western.
D'un tratto, al pensiero che “Angelo ha bisogno di me. Ora. E non c'è tempo da perdere.”,
13
(2)
scatto in piedi come se un tafano mi avesse punto il didietro e decido di farmela a piedi.. e
via a scarpinare per kilometri, in salita, su una sconosciuta tortuosa stradina di montagna,
con un grosso zaino caricato sulle spalle e un ombrello portatile decisamente troppo piccolo
per ripararmi dagli acquazzoni che “simpaticamente” erano tornati a scrosciare nonappena
messomi in marcia.
Un paio d'ore dopo, zuppo di pioggia e madido di sudore, busso finalmente alla porta della
baita – che per fortuna era quella giusta, ma ero talmente stremato che sarei entrato in casa
di chiunque mi avesse aperto l'uscio. Non esistono parole per descrivere cosa rappresentino
dei vestiti asciutti, un caminetto e del tè caldo per una persona in quelle condizioni: ti dico
soltanto che è una delle esperienze degne di esser vissute almeno una volta nella vita. (E,
possibilmente, non più di una.)
Furono tre giorni incredibilmente intensi, trascorsi a parlare di lui, di me, di Cleo, di
Alessandro (che ufficialmente era ancòra soltanto il mio migliore amico che mi faceva
disperare per via del suo comportamento misterioso)..
Stentavo a crederci: Angelo sembrava aver ripescato da chissà quali recònditi anfratti del
proprio animo la sua fantomatica amicizia per me – quella, per intenderci, di cui avevo più
notizie fin dall'estate trascorsa insieme a scrivere il nostro libro a quattro mani.
E non mi stupì che, una volta tornàti a casa, non si fece più sentire per ben cinque
settimane: aveva una nuova vita da riorganizzare, e un pochino del merito per il suo
ritrovato sprint era senz'altro mio – che ancòra gongolavo per le parole che suo padre,
venuto a prenderci in macchina, mi aveva rivolto accompagnandole con una calorosa
stretta di mano nel congedarsi:
«È rassicurante, scoprire che a questo mondo esistano ancòra i veri Amici.»
Peccato solo che se le sarebbe rimangiate di lì a esattamente due mesi e due giorni dopo.
3
F
ino al giorno in cui non scopriamo di essere dei Predestinati, siamo
“semplicemente” tormentàti dal sentirci degli eterni disadattati. Siamo diversi,
eppure nessuno se ne accorge. Passeggiamo per le stesse strade dove cammini tu.
Siamo uomini travestìti da formiche, che si aggirano senza dare nell'occhio nel vostro
brulicante formìcaio terrestre.
Voi, la gente del nuovo millennio (che per ora di nuovo non ha proprio un bel nulla), vivete
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(3)
quotidianamente un'oscura miscela di passato e futuro: chi preferisce tormentarsi coi ricordi
dei bei tempi che furono “e che non torneranno più”; chi con le ansie del domani “che è
sempre un'incognita”. Alcuni di voi, magari dopo aver appena fatto l'amore, riescono a
vivere qualche fuggevole istante nel presente – altrimenti appannaggio dei soli “santi”: gli
unici a beneficiare stabilmente dell' hic et nunc, l'eterno presente che avviene col risveglio
interiore.
Noialtri invece partiamo con la consapevolezza interiore che il tempo sia una burla – e,
conseguentemente, la fretta una fregatura. E diciamo la verità: anche gli altri vostri limiti
fisici ci annoiano. (Ma tu lo sai, almeno, a che cosa serve lo spazio?)
Ho fermato gente per strada, e ho domandato: “Dove e quando ritieni di star vivendo?”, e
tanti occhi sgranàti tutti uguali mi hanno risposto: “A Milano, giorno X, mese Y”. I più
lungimiranti: “In Italia, nell'anno Z .”
Beh, se tu lo avessi chiesto a uno di noi, un Predestinato, la risposta sarebbe stata:
“Pianeta Terra, inizio del XXI secolo della cosiddetta era cristiana” – o altra risposta in
perfetto stile Star Trek.
Chissà quanti ne avete visti di noi! Seduti inosservàti in un cantuccio anonimo, tranquilli e
rilassàti seppure col lieve imbarazzo del “Che ci faccio, io, in questo posto?” che ci
contraddistingue.. mentre voialtri vi affrettate di qua e di là senza posa rincorrendo i vostri
impegni.
Siamo osservatori silenziosi, sovente scambiàti per tipi strambi o fannulloni. (Se solo
sapeste quanto ci sollazzano, certe vostre occhiatacce snob!) Seduti sopra una panchina, o
magari appoggiàti al muro, ma sempre a praticare il nostro sport preferito: il people
watching – il vostro modo di parlare, di vestirvi, di camminare; quanti attimi resistete,
quando qualcuno vi mette a nudo guardandovi dritto negli occhi, prima di scambiarla per
una proposta indecente..
E poi le maschere che indossate quando state con gli altri, le piccole ipocrisie alle quali
così gelosamente vi abbarbicate come l'edera, che senza il muro da sola non starebbe in
piedi..
Lo conosciamo bene, il vostro mondo: assai bene, come nessuno di voi. Pur se molti fra
voi potrebbero – poichè non si tratta nient'affatto di un superpotere, ma semplicemente di
un'abitudine a guardare all'anima delle cose anziché alla loro esteriorità.
Non ho viaggiato moltissimo, per ora, ma ho raggiunto un sacco di persone ai quattro
angoli di questo pianeta attraverso la corrispondenza. Che non è la chat nevrotica, on-line,
di Internet – il botta-e-risposta frivolo e allucinatorio di due persone che perdono di vista
ognuno sé stesso creandosi un alterego virtuale per ciascuno. No.
La corrispondenza C002 è un monologo interiore che si fa dialogo attraversando salubri
pause di riflessione che possono durare giorni interi. E a volte settimane. Interi anni,
addirittura.
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(3)
Leggere una lettera scritta col cuore significa passeggiare fra le righe dell'anima di chi ti
scrive, e poi rilassarti tutto il tempo che ti necessita per contemplare i tuoi pensieri e le tue
emozioni a riguardo. Lasciar maturare la risposta, anziché coglierla acerba ed indigesta.
Alla fine, ma solo quando ti senti intimamente pronto a farlo, riversi nella tua risposta il
nettare distillato del tuo flusso di pensieri – ed il bello è che ciò accade con la massima
naturalezza, senza inibizioni.
Ecco che cos'è la corrispondenza: un'urna di silenzio che abbraccia in sé due persone
presupposte estranee, e le solleva dal tempo e dallo spazio quel tanto che basta per mostrare
a ciascuno la propria reale identità. Aldilà delle maschere che, come tutti quanti, ognuno è
tenuto ad indossare per vivere in questo mondo frammentario.
Se Marcel Proust C003 fosse ancòra vivo oggi, non dubito che condividerebbe appieno la
mia opinione: cercare di conoscere qualcuno di persona è un po' come voler seguire un film
ingorgato da stacchi pubblicitari. Ci sei tu, quell'altro, e fra voi un roboante schiamazzo
fatto di: ho fame, non mi piace la sua voce, dio quanto me lo farei, chissà perché mi guarda
a quel modo, mi vergogno a parlargli di queste cose qui che ci può ascoltare il primo che
passa, non ha l'aria del tipo con cui discutere di religione, mi scappa una pisciata che non
finisce più, cosa cavolo suona a fare il clacson quel pirla laggiù al semaforo, speriamo che
non lo tiri per le lunghe 'sto colloquio ché ci ho un sonno che a momenti casco per terra, è
tardi ma forse se mi sbrigo riesco a non perdere il treno delle 18.41..
Via di questo passo, si riesce a captare dell'altro soprattutto i limiti connessi al suo vivere
quotidiano. E si possono passare in rassegna centinaia di maschere del proprio
interlocutore, a seconda delle differenti circostanze in cui ci si trova ad aver a che fare con
lui, ma il più delle volte risulta praticamente impossibile arrivare anche solo ad intravedere
chi uno sia in realtà, almeno fino a che non si sia entrambi rilassàti e a proprio agio. Vale a
dire: probabilmente mai.
(Ma se è per questo ho conosciuto molta gente che ha paura di concedersi anche solo per
corrispondenza, o checchè ne dica non è realmente interessata a farlo. Per fortuna, questi
ultimi è facile riconoscerli: come prima cosa ti chiedono la foto, e poi ti scrivono anche
meno di una facciata per informarti sulle condizioni climatiche del loro paesello. Li chiamo
i weather pals: a costoro non rispondo neppure.)
Conosco un'unica eccezione alla regola: me e Angelo. Ma, a ben vedere, anche noi ci
siamo conosciuti per iscritto: con la scusa di rendere più realistico il romanzo che stavamo
scrivendo a quattro mani, ne modellammo i protagonisti quali nostra copia dal vero – fino
al punto di trasporci completamente in essi. Così, indossando la maschera dei personaggi,
esponevamo proprio la nostra reale, più autentica, intima essenza. E senza alcun pudore,
visto che “tanto è solo una storia inventata”.
Quella sera del 30 Settembre 1993, l'idea era proprio questa: rimettere in sesto la nostra
amicizia, oliando i giusti cardini – quelli a noi più consoni, quelli che ci spronavano verso la
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parte migliore di noi stessi, quegli ingranaggi che avevamo messo in moto due anni prima
scrivendo assieme “Technophobia” C005..
Ricordo ogni cosa come se fosse accaduta ieri. Anzi: come se stesse accadendo adesso.
Come se fossi lì ora, in questo preciso istante: una specie di fantasma invisibile che osserva
non veduto.
La cucina non ci staccava gli occhi di dosso nemmeno per un istante. L'aria stessa si era
come agglutinata – mentre il mondo intero si era arrestato in un punto imprecisato del
tempo, giacendo ansioso ed inerte. Carico di aspettative come uno studentello che trattiene
il respiro prima di scoprire l'esito dell'esame. Come i perfetti imbecilli (e io ne ho uno a
portata di mano giusto in famiglia) che a Capodanno leccano il teleschermo con le
palpebre, senza fiatare fino a che non viene ufficialmente proclamato l'inizio dell'anno
“nuovo”. C004
Era da poco scivolata via l'una, giù dai LED verdi fluorescenti del timer-orologio del
forno – la cui ventola era l'unico rumore a demarcare il confine tra il mondo dei viventi e
quello infradimensionale che si era avvolto intorno a noi. (O dovrei dire emanando da noi?)
Eccomi! Sono lì. ..mi vedo: spalle alla penisola che taglia in due la cucina, seduto
all'angolo sinistro del lungo tavolo da pranzo. Davanti a me, Angelo. Dietro di lui, la grande
finestra a doppi vetri che dà sul giardino – tutta scura, a parte il riflesso delle lampade al
neon fissate sul soffitto, giusto sopra la mia testa, come il sole allo zenith.
Ti è mai capitato, di vederti come in una cartolina? A me sta accadendo ora. È una specie
di film muto, dove il sonoro è rappresentato dall'essenza dei rumori che furono: il significato
senza significante, messaggio puro. E mi giunge aleggiando leggiadro, come ovattato,
rumori che si odono sott'acqua – eppure intenso, cristallino, marcato e ben definito come gli
spigoli iridati di una gemma preziosa.
Mi vedo: appoggio le posate sul bordo del piatto. Mi alzo. Angelo beve un sorso di Pepsi.
Prendo il suo piatto, lo appoggio alla sinistra del mio, proprio sull'angolo del tavolo. Apro il
forno. Aria calda sui capelli. Si appannano le lenti degli occhiali. Odore di pizza. Tanfo del
grasso di salame piccante che sfrigola. Tolgo innanzitutto la pizza per Angelo, poi la mia.
Chiudo il forno. Lo spengo. Torno a sedermi. Penso: “Questa è la seconda ed ultima pizza.
Il che vuol dire che, dopo averla consumata, Angelo non avrà più il suo alibi preferito per
tacere – e spingere invece me a parlare mentre lui mangia.” (Chissà perché, in sua
compagnia non mi è ancòra mai riuscito di gustare una pizza calda.) E invece no. Angelo
ha qualcosa che mi deve dire immediatamente.
«Mentre ero in montagna da solo, prima che tu arrivassi, sono successe.. delle cose.»
“Strano”, riflettei. “Non è da Angelo cominciare un discorso, specie prima di aver finito di
mangiare. E deve trattarsi di un argomento alquanto serio, per anteporlo a Cleo.”
«Sarà capitato anche a te, di svegliarti di notte, accendere la luce, e vedere come delle
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ombre..»
«Ombre? In che senso?», visto che era chiaro ad entrambi che non si trattava delle ombre
cinesi che una qualsiasi abat-jour proietta sul muro.
«Ombre. Tipo delle persone.»
«Intendi dire.. spettri?»
«Non lo so. Sembravano figure umane, ma sparivano sùbito – tanto che potevo a
malapena credere di averle vedute.»
«Tipo lo strano fenomeno delle ombre volanti durante le eclissi, si direbbe. Tuttavia..»
«Non c'era stata nessuna eclisse.»
«Appunto.»
Uno strano senso di mistero permeava l'aria, assieme alla netta e purtuttavia inspiegabile
sensazione di stare agendo al di fuori di un contesto di ordinaria realtà – che pur conservava
il suo aspetto, ma si faceva vieppiù labile ai nostri sensi esaltàti dall'attenzione interiore.
Oh, va precisato che quelli erano tempi in cui mi trascinavo ancòra i ceppi della Logica ai
piedi: da agnostico razionalista baconiano cos'altro avrei potuto rispondere, ad Angelo?
«Se mi stai domandando se credo ai fantasmi, la risposta è no. Non escludo che possano
esistere, ma al momento non vi è alcuna dimostrazione scientifica che lo comprovi. Quando
invece, di contro, sono numerosissimi i trucchi smascheràti. Per dire: ho appena terminato
di leggere un interessante libro di Piero Angela che..»
«Sono successe anche altre cose.», mi interrompe lui, con fare circospetto.
«Ad esempio?»
«Hai presente, casa mia in montagna? Che, sopra al caminetto, a sinistra, c'è una
finestrella che dà sul vialetto..»
«Sì. E.. allora?»
«Allora, mi è capitato di starmene lì seduto davanti al fuoco e pensare: adesso passa
qualcuno. E poi passava per davvero!»
«Una cosa che può accadere a chiunque.»
«Certo, una coincidenza può capitare, ma.. io ci azzeccavo sempre. Una volta ho persino
pensato: adesso passa un.. sai, quegli strani animali di montagna..»
«Un tasso?»
Angelo mi guarda come stupito: di tutti gli animali di montagna, come avevo fatto ad
azzeccare proprio quello giusto – e, peraltro, neanche il più comune?
«Un tasso, appunto. Io me l'immaginavo che passava, e l'istante dopo, lui..»
«Passava.», concludendo io la frase per lui.
«Già.»
«Beh, non dubito che tutto ciò sia bizzarro. Strano, posto che per “strano” uno si limiti a
intendere “inconsueto”. Però da qui ad attribuirti poteri paranormali, di strada ce ne corre!»
«E che dire di quella notte che mi sono apparsi alle spalle dei.. cerbiatti? caprioli?»
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«Definisci “apparsi”.»
«Me ne stavo a letto, poco prima di addormentarmi. Ad un tratto mi prende la voglia
irresistibile di andarmene fuori – sai, il prato dietro casa, quello ai piedi del bosco.»
«A-ha?»
«Mi sdraio sull'erba, guardo il cielo stellato, e mi sento come.. come al sicuro. Mi sento
bene. E non ho freddo.»
«Sì, vabbè: era ancòra estate, e una di quelle che quando apri la finestra ti sembra di stare
davanti all'asciugacapelli acceso!»
Noncurante del mio commento, Angelo prosegue:
«Mi sentivo “protetto”. Una specie di tepore tutt'intorno al corpo. A un certo punto mi
viene da pensare a un capriolo, nella macchia di erba alta dove comincia il bosco, proprio
alle mie spalle. Così mi giro e..»
«E il capriolo stava lì.»
«Proprio così!»
«Un capriolo nottambulo: insolito, ma non impossibile. Dopotutto, là sei in alta
montagna.»
«Ma io non l'avevo sentito arrivare! È come se si fosse materializzato lì.»
«Bum, esagera! Probabilmente tu eri distratto, e il capriolo particolarmente silenzioso.»
«Ma non è finita. Poco dopo, mi vien da pensare a una famiglia-capriolo: madre e padre
con un figlio piccolo, proprio dietro il capanno degli attrezzi.»
«Ed erano effettivamente lì?»
«Sono andato a controllare.»
«Sicuro che non stavi sognando?»
Per tutta risposta, uno sguardo in tralice.
«No, scusa, non mi fraintendere. Non ti sto dicendo che secondo me ti sei immaginato
tutto. Solo, che la prima spiegazione logica di quel senso di tepore e di sicurezza, e del fatto
che ciò che immaginavi poi puntualmente accadeva..»
«Non era, un sogno. Come non lo era il bicchiere dentro al lavello, quando mi sono alzato
la mattina dopo.»
«EEH?»
«Prima di addormentarmi, avevo bevuto un bicchier d'acqua, e l'avevo lasciato sul
comodino. Quando mi sono svegliato, non c'era più. L'ho ritrovato nel lavello, giù in
cucina.»
«Ce l'avrai portato tu senza farci caso: i bicchieri mica se ne vanno a zonzo da soli nella
notte!»
«Io non ce l'ho portato.»
«Avevi chiuso bene porta e finestre?»
«Perché me lo chiedi?»
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«Perchè forse è stato il tasso.»
«Ha. Ha. Ha. Molto divertente.»
«È che i tassi ci hanno la mania dell'ordine. Figuriamoci poi se trovano un bicchiere
lasciato così, in qualche modo, sopra a un comodino!»
«Ridi, ridi. Intanto nel lavello non ce l'avevo portato io.»
«Come fai ad esserne così sicuro?»
«E i Diabolik impilàti?»
«Magari li aveva messi in ordine tua madre.»
«Non è possibile: ero su da solo.»
«Prima, volevo dire. L'ultima volta che siete stati su.»
«Prima non c'erano. Li ho portati io, per avere qualcosa da leggere.»
«Uffaaa.. che ne so? Li avrai ammonticchiàti per far spazio, e poi (come faccio io) sei
stato così preso dal mettere ordine da dimenticarti di averlo fatto.»
Era inequivocabilmente cominciata l'arrampicata sugli specchi. Si tratta di una legge
universale: più fenomeni presupposti-inspiegabili si propinano a uno scettico, più
spiegazioni plausibili egli troverà da darvi. Un battibecco del tutto sterile, nel quale
oltretutto si verifica un paradosso assai curioso: le spiegazioni supposte plausibili
divengono così stentoree da apparire meno realistiche delle presupposte-tali fantasie che
esse cercano di confutare. In altre parole, il razionalista finisce puntualmente col venirsene
fuori con affermazioni addirittura più inverosimili di quelle che intenderebbe smentire.
Angelo si prende una pausa: si versa della Pepsi, e beve. Sta per appoggiare il bicchiere,
quando..
«Non ci posso credere! Ma.. è pazzesco!»
«Cosa?»
«Guarda tu stesso..», e mi porge il bicchiere, indicandomene il fondo. «Ti ricordi, questo
pomeriggio, quando ti ho detto di essere perseguitato dal numero 17?»
Sembra voler sdrammatizzare, così sto al gioco: c'era un minuscolo 51 in bassorilievo sul
vetro, e prima ancòra che io potessi verificare mentalmente il calcolo (sono sempre stato
poco incline alla matematica!)..
«Lo sai quanto fa 17 x 3?», mi domanda lui.
«51. Però! Complimenti. Tuttavia.. Vedi, Angelo, come sia facile far quadrare i conti
arbitrariamente: trovi 51, e dici 17 x 3; vedi l'ora, e..»
Lancio un'occhiata all'orologio e.. gulp!
«Occhei, vabbèène, è l'una e diciassette, ma questo non vuol dire assolutamente niente. Si
tratta soltanto di una coincidenza.»
«Tu dici?»
«Dico. Il procedimento mentale è facilmente spiegato: in fondo il meccanismo è lo stesso
della gente che sostiene che il mago tal-dei-tali avrebbe azzeccato un vaticinio letto nella
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palla di vetro.»
«E.. sarebbe?»
«Semplice: su 100 cose che ha detto, magari 99 erano cannate, ma è umano ricordarsi
solo di quell'unica “previsione” che ha imbroccato. Allo stesso modo tu, su 100 numeri che
trovi, fai caso solo ai 17 e ti ricordi solo quelli – e poi insisti a volerci leggere dietro chissà
quale profetico messaggio!»
«Non lo so.»
Hai presente, quei “non so” detti da chi invece ha tutta l'aria di sapere benissimo come
stanno le cose, solitamente l'esatto contrario di quel che gli hai detto tu? Bene: era come se
Angelo, con quell'ultimo “non lo so”, si fosse piuttosto domandato fino a che punto avrebbe
potuto permettersi di essere sincero con me; fino a che punto sarei stato disposto a
credergli.
«C'è dell'altro, vero?», indovinai-facile.
«Sì.»
Angelo esita. Ma io non sono mai stato incline a contare i secondi che si disperdono nel
silenzio:
«Beh.. che cavolo! Sono o non sono il tuo migliore amico? Di me ti puoi fidare: dimmi!»
Ancòra uno sguardo sottecchi, come ad indagare se stessi sempre ascoltando senza farmi
venire strane idee circa il suo stato di sanità mentale, e poi..
«C'è che ho trovato pure i resti di un Diabolik nel caminetto. Tutte le pagine erano ridotte
in cenere, tranne una: la numero 17, che era bruciata ai margini. Non solo: la facciata dietro
era scolorita, praticamente bianca.»
Rimasi ammutolito: l'unica risposta che mi veniva da dargli era: “Sarà stata una copia con
un difetto di stampa, e ti sarà caduta nel caminetto per sbaglio, e quella pagina si è salvata
dalle fiamme per caso”. Ma questo castello di carte non starebbe stato su neppure con le
impalcature.
«Scordavo un piccolo particolare: io quel numero di Diabolik non ce l'avevo neppure.»
Finalmente qualcosa di obiettabile cui aggrapparmi:
«Dai! Come puoi esserne così sicuro? Ti sei portato in montagna una pila di fumetti
raccattàti in fretta e furia, e riconosci da un'unica facciata di non aver mai posseduto
proprio quel numero?»
«Sono sicuro di non averlo mai comperato. O, almeno, sicuro quanto ero sicuro martedì
scorso di non aver piegato camicia e pantaloni prima di fare training autogeno.»
«E con ciò?»
«A te è mai capitato, di rilassarti così profondamente, facendo training, da farti venire il
panico tipo: non riesco più a.. “rientrare in me”?»
«Beh, sì, le prime volte è normale. Ma poi basta appena un po' di esperienza e ci si rende
conto che non vi è nulla da temere: nella peggiore delle ipotesi si scivola nel sonno, e la
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mattina dopo ci si risveglia normalissimamente. Sì, vabbè, ma che c'entra tutto questo
con..?»
«No, è che non mi aveva mai fatto un effetto così.. profondo. Mai. Fino all'altroieri-sera.
Figùrati che c'era una zanzara che mi stava pungendo il naso, e ne sentivo addirittura il
peso da quanto ero sensibilizzato.. ma non ero in grado di muovermi per schiacciarla.»
Una breve pausa mi rivelò l'autenticità del suo sconcerto.
«Comunque sia, sai come sono fatto io. Non c'è tecnica di rilassamento che tenga:
continuavo a rimuginare sul fastidio che mi dava aver lasciato le mie cose in disordine. E
così, durante il training, pensavo di rimettere in ordine camera mia.»
«Ribadisco: e con ciò?»
«Con ciò, finito il training la camicia e i pantaloni stavano lì sulla sedia: piegàti,
perfettamente in ordine.»
«Sarà passata tua madre, e credendoti addormentato avrà provveduto lei a..»
«Impossibile: erano messi come li metto io, non piegàti come fa mia madre.»
«E va bene! Li avrai piegàti tu stesso. Prima di fare training. Dopotutto, eri stanco ed
assonnato: si vede che li hai piegàti, però male, e così pensavi di doverli piegare
nuovamente..»
Sapevamo entrambi che le cose non stavano affatto così. Ma sapevamo pure che, per il
momento, era meglio non insistere troppo.
«Non so cosa dirti, amico mio. Forse lo stress per Cleo ti ha causato piccoli episodi di
sonnambulismo – ciò spiegherebbe il bicchiere e il Diabolik bruciato, di cui si è salvata
guarda caso proprio la pagina 17, numero per il quale tu stesso dici di avere una specie di
ossessione..»
«Non è, un'ossessione. Non in quel senso, perlomeno. E poi che mi dici, delle ombre? Ora
mi sembra di vederle ogni volta che accendo la luce dopo aver fatto training. A te non è mai
capitato?»
«A dire il vero no, comunque non ci vedo nulla di strano: gli occhi ci mettono un po' a
riabituarsi alla luce. Sarà stata una tua impressione.»
«Se lo dici tu.»
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4
B
envenuto nel mondo della compravendita: così, andrebbero battezzati, i vostri
bambini. Altro che quella burla grottesca circa il “venire alla luce”! Semmai, è vero
il contrario: nascendo sul piano materiale ci si allontana dalla Luce.
Qualcuno ci soffre, altri si adattano, altri ancòra ne godono. Che, così com'è, sembrerebbe
la definizione di – rispettivamente – Evoluti, Uomini e schìfidi. Ma la Storia ha già
ampiamente dimostrato che attenersi rigidamente alle definizioni generali è più rovinoso che
brancolare nel buio.
Certe cose, vanno necessariamente Sentite, poiché ciò che appare.. non necessariamente
è.
Anche un Evoluto si può adattare al mondo, ma ciò non toglie che la sua Natura non sia
umana. Anche un uomo può soffrire per la lontananza dalla Luce, ma ciò non fa
necessariamente di lui un Evoluto: potrebbe essere un artista particolarmente sensibile, o un
malato di mente, o (ancòra peggio) uno in cui la devozione “religiosa” è stata inculcata
tanto profondamente da causargli un anelito spropositato per del misticismo bigotto –
insomma: una ammirazione tanta e tale per i cosiddetti santi da spingerlo all'emulazione a
tutti i costi. Ciò palesa una debolezza dell'ego, non rappresenta un sintomo di “essere
spiritualmente Evoluto”.
E d'altro canto è privo di senso, ostinarsi a frammentare la linea direttrice della spiritualità
in segmenti ben definiti: vi è una continuità imponderabile fra schìfido e umano come vi è
fra umano ed Evoluto. Perlopiù è una questione di orientamento sulla direttrice.
..ma sarà meglio “tradurre”: immagina una strada lunghissima, che va dalla materia inerte
allo spirito senziente. Cosa troviamo a metà strada? Esattamente: la materia senziente. Ma
potremmo anche dire: lo spirito inerte. Dipende unicamente da quale punto di vista stiamo
guardando: per un sasso, l'uomo è materia senziente; per un angelo, uno spirito inerte:
un'anima che ancòra non è in grado di Sentire.
Queste non sono che microscopiche tappe nell'infinito iato che si estende tra Forma e
Pensiero: la “strada” di cui parliamo non comincia col sasso, e non finisce certo con
l'angelo!
Eccoti un prezioso suggerimento utile a districarti in questo mondo di menzogna: tu puoi e
pertanto devi sempre mirare solo all'Essenza – intesa come l'autentica, reale, più profonda,
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(4 )
intima, necessaria Natura delle cose.
Dal momento che la Verità stessa si manifesta in molteplici modi, sta a te (e a nessun altro
che te) riconoscerla, anche sotto le mentite spoglie delle forme più inverosimili entro le quali
essa non disdegna (anzi: è solita) ammantarsi.
Ricorda: un assassino può dire il vero quanto un uomo probo può affermare il falso.
Analogamente: non solo un Evoluto, può assumere forma umana, ma anche uno schìfido.
Non lo dico per diffondere il panico, ma il secondo caso è senz'altro quello attualmente più
diffuso sul tuo pianeta: vi sono molti più schìfidi travestìti in forma umana, che Evoluti
intrufolàti fra voi. (E uno schìfido sulla Terra è come un uomo in carne ed ossa in paradiso:
entrambi sono fuori posto.)
Ora ti sorprenderò: senza che tu te ne sia minimamente reso conto, ti ho spiegato
dettagliatamente che cos'è un Predestinato. Un Predestinato, meglio conosciuto dalla
tradizione religiosa induista col nome di “Avatar”, è un Evoluto che va a cacciarsi
deliberatamente in un casino non causato da lui.
Non per “mettere ordine”, tipo quei deliranti giustizieri che hanno dilaniato la Storia del
tuo pianeta (ma delle crociate semmai parleremo poi), bensì per dare una mano. Offrire
aiuto, giammai imporlo. Predicare, giammai convertire. Affermare, non dimostrare. Della
serie: se ritieni il suggerimento valido, applicalo; se non mi credi, o se non ti interessa
ascoltarmi, sèntiti libero di cercare, trovare e scegliere da te la strada che preferisci.
Bom. Una volta chiarito che i Predestinati sono qui per aiutare gli uomini, presumo ti
rimanga una domanda irrisolta, ovvero: chi aiuta loro?
Io e Angelo stavamo giusto per scoprirlo.
Erano le 4 di mattina del 1° Ottobre 1993 quando, finito di vederci il solito film, io e
Angelo decidemmo di comune accordo di provare a verificare i suoi timori, mie “curiosità
scientifiche”.
Si era guardato bene dal ritentare il training autogeno dacchè aveva sperimentato il panico
di non riuscire a “rientrare”, ma questa volta (fiducioso poiché ci sarei stato lì ad assisterlo
io, che gliene avevo dato i primi rudimenti un paio d'anni prima) era quella l'unica strada
percorribile se intendevamo giungere ad una qualsivoglia conclusione a proposito delle sue
strane esperienze.
Se ti trastulli un poco di scienza, l'hai già riconosciuto per quello che è: il famigerato
metodo sperimentale – quello che vorrebbe ogni evento scientificamente riscontrato
misurabile e, soprattutto, ripetibile.
«A quest'ora nessun rumore disturberà la seduta, e nessun visitatore importuno..»
«Nessun visitatore umano, per lo meno.», specificò lui, sapendo che l'avrei scambiata per
una battuta.
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(4 )
Tutto procedeva regolarmente: Angelo si era sdraiato comodamente a pancia in su sopra il
letto, le braccia distese lungo i fianchi, le mani con le dita aperte e arcuate “tipo pianista”, le
gambe leggermente divaricate coi piedi a V, occhi chiusi ma rilassàti, mascella “cascante”..
Insomma, le tipiche premesse che qualsiasi istruttore di training autogeno vi farebbe: è la
posizione standard per il rilassamento, che Angelo assunse senza bisogno che fossi io a
rammentargliela.
«Ora immagina di trovarti nel posto e nella situazione in assoluto più confortevoli in cui tu
ti sia mai ritrovato – o in cui desidereresti trovarti. Visualizzala in ogni dettaglio.»
Non conosco quale essa sia per lui, ma non ho difficoltà a rivelartene una delle mie: una
solida scogliera a promontorio sopra il mare acerbo; il vento fra i capelli e lo sciabordìo
delle onde che si infrangono spumeggiando contro la roccia; l'erba rorida di gocce di
rugiada sotto i miei piedi nudi; il tepore del sole primaverile che mi carezza il volto; l'odore
del mare che si mescola a quello dei primi fiori..
Ogni senso va ricreato: quanto più dettagliata è la simulazione, tanto più facile il
proiettarcisi. L'obiettivo è quello di immedesimarsi naturalmente, scivolando in essa senza
la minima forzatura. E Angelo questo lo sapeva bene, tanto che durante le fasi successive
avevo la netta impressione di star più che altro sbrigando una mera formalità: quasi
sicuramente non aveva più bisogno che una voce lo guidasse. E poi chissà: forse era già
giunto al perfetto rilassamento e neppure badava più alle parole atonali che io ero tenuto a
suggerirgli in quanto sua “guida”.
«Ora sei completamente rilassato. E libero, di volare nel tuo spazio senza confini.»
In barba a chi ritiene che la proiezione astrale sia solamente una fesseria, dirò che questo
“volare” è una suggestione ipnotica impiegata anche da serissimi istruttori di training
autogeno per simboleggiare l'avvenuto conseguimento dello stato di massimo rilassamento:
quando il corpo praticamente dorme, e la coscienza è ancor ben sveglia ma divincolata
dalla fisicità. (Provare per credere.C102 )
«Bene. Ti lascerò così per qualche minuto di silenzio. Quando tornerò a parlare, sarà per
guidare il tuo rientro.»
I minuti trascorsi senza fare nulla in una stanza completamente buia e silenziosa non si
calcolano in secondi, ma in istanti interminabili. Così non saprei stabilire per quanto tempo
effettivo sono rimasto lì – muto, a guardarmi in giro, posando di volta in volta lo sguardo
sui contorni di quegli oggetti familiari avvolti dalla penombra, al fine di assicurarmi che
stessero tutti ben fermi al loro posto (diversamente dalla camicetta e dai pantaloni che
Angelo aveva detto di aver trovato piegàti al rientro dal suo ultimo training).
Stavo già per chiudere con un CVD quel test scientifico sulla telecinesi quando Angelo
attaccò improvvisamente a fare respiri profondi con le narici. Dapprima era ovvio supporre
che Angelo avesse deciso di rientrare per conto suo: lunghi respiri profondi sono infatti la
prima cosa da fare per destarsi dallo stato di rilassamento. Ben presto però mi fu chiaro che
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(4 )
c'era qualcosa che non andava affatto: stava iperventilando – e, se anche si fosse trattato di
una sua personale modifica alla tecnica standard, non me ne aveva mai parlato, ed era mio
preciso dovere intervenire.
Sì, ma.. come?
Prima che potessi farmi venire un'idea, in un solo istante tutto era tornato all'apparenza
normale: aveva cessato di respirare come un mantice che debba vivacizzare una fiamma
che si sta spegnendo.
«Angelo?»
No: non si era risvegliato. Giaceva ancòra lì, immobile nella tipica catalessi da training.
“Uhm.. Un pò troppo, immobile”, osservai. “Pare non respirare nemmeno!”
Così feci quel genere di cosa che non andrebbe mai fatta ad una persona in stato di ipnosi
(e il training autogeno, casomai non fosse ancòra sufficientemente chiaro, è una banale
forma di autoipnosi)..
..ma dopotutto un brusco risveglio è pursempre meglio di un decesso per arresto
respiratorio, no?
Così afferro Angelo per le spalle e lo scuoto: non dà alcun segno di vita
“Come un sacco di patate. O.. gulp.. un cadavere prima che sopraggiunga il rigor mortis.”
«Angelo!»
A quel punto dischiude gli occhi, si mette seduto e farfuglia un:
«Gesù che mal di testa!»
Uno shock da pressione era prevedibile, e gli sarebbe passato nel giro di pochi minuti, ma
a me lo spavento preso no:
«Si può sapere che cosa cavolo ti è successo?», protestai. «A un certo punto hai preso a
respirare a soffietto. Poi di colpo hai smesso del tutto, che sembravi morto!»
Niente. Lui non si era accorto di nulla, a parte che ancòra una volta era andato in panico
perché non gli riusciva di “rientrare”. Tipico di Angelo: nessun commento. Anzi:
«Aspetta che mi passi il mal di testa, e poi riproviamo.»
«PREGO?! Cosa hai detto?!?»
«Ho detto che riproviamo.»
Già allora conoscevo abbastanza bene Angelo per accettare follie simili senza dubitare
nemmeno per un istante che potesse trattarsi di uno scherzo: Angelo è forse l'unico essere su
questo pianeta ad essere totalmente sprovvisto di senso dello humour – o, il che poi sarebbe
la stessa cosa, è l'unico ad avere un senso dello humour tutto suo.
E difatti, verso le 6 ci riprovammo: altro training, altra “fuga prematura”. Pure questa
volta si era “perso” sùbito, altrettanto e forse ancor più profondamente di prima, ma se non
altro in modo meno spettacolare.
Stavolta però, scoperto il trucco, il risveglio fu a-traumatico – ed avvenne che era oramai
ora di colazione:
26
(4 )
«Sono quasi le 7. Che ne dici di farci una brioche in pasticceria, Alessio?»
«Dico che mi hai fatto sudare sette camicie per tutta la nottata e adesso ci ho un sonno
della malora. Buonanotte.»
5
D
op o u n lu n go ed e stenu a nte vi a g gio i n pu l l m a n at t r aver s o u n d e s er to p olvero s o, m i
r itrovo pre s s o quel lo ch e h a tut t a l 'a r i a d i e s s ere i l ter m i n a l d i u n aerop or to o d i u n a
st a z ione fer rovi a r i a. E u n'i mp el len z a u rolo gic a (ch i a m i a m ol a co sì) m i spi n ge a l l a
r icerc a d el l a più vic i na toi let te.
C hied o a l bi gl iet ta io, u n tip o d a l l'a r i a u n p o' lo s c a, qu a si luc i fer i n a.. D ice ch e l 'u nico
ce s s o st a d entro , i nd ic a n d o a ld i l à d el l a b a r r ier a cont ap er s one ch e egl i cu sto d i s ce. Uffa. D o
u n'o c chi at a a l c a r tel lone d egl i a r r ivi & p a r ten ze ch e st a s opr a l a su a te st a, u n o d i quel l i a
c a r at ter i a l fa nu m er ic i rot a nti p er i nten d erc i, m a s en z a b ad a re più d i t a nto a l le p o s sibi l i
d e sti n a z ioni. C o s a v uoi che m 'i ntere s si, s ap ere ch e c'è a ld i l à? L a s ol a co s a che m i pre m e,
or a co m e or a, è s c a r ic a r m i, a l leg ger i r m i d el p e s o che p or to d ent ro.
L at ro c i nio o n o, c'è d a pa g a re i l bi gl iet to, e d o m a n d o: “ How much i s it?”. S ap en d o
i nfat ti d i t rova r m i supp ergiù i n A m er ic a, o qu a nto m eno a l l 'e stero, l a conver s a z ione si è
svolt a fi n o a que sto m o m ento i n i n gle s e. I nvece i l ti zio i na sp et tat a m ente r i sp ond e nel l a m i a
l i n gu a: “D ue d ol l a r i.”
Non d i sp on go d i b a n conote d i ta gl io i nfer iore a 10, e quel lo i n c a s s a e m i d à i l re sto – ch e
non sto neppu re a cont rol l a r e: h o fret t a, e quel p a ga m ento d i p ed a g gio lo ved o u nic a m ente
co m e u n a st upid a for m a l it à d a sbr i g a re s en z a spre c a re a lt ro te mp o.
App en a ent r ato, va golo “s e mpre d r it to” i n quel lo ch e i ni zi a l m ente m i app a re e s s er e u n
s a lone ster m i nato (tip o i pad i gl ioni d el qu a r tiere-fier a d i M i la n o), m a ch e vi a-vi a si
re st r i n ge – fi n o a d iventa re st a n z e d a l s offit to b a s s o e, a l l a fi ne, u n bu gi gat tolo
st ret ti s si m o ed a n gu sto, d ove fi na l m ente..
M a pro ced i a m o con ord i ne.
27
(5)
Sto at t r aver s a n d o a p a s s o sp ed ito u n m a g a z z i n o t r ab o c c a nte d i o gget ti ch e m i r icord a
quel lo d el l a B a i ler, i l nego z io d i fer r a m ent a a l l 'i n gro s s o d ei fr atel l i d el b abb o. Si e sten d e
fi n qu a si a p erd ita d'o c ch io, m a co m e co m i n c io ad or ienta r m i m i r ie s ce d i fa r m i u n'id ea
c i rc a l a su a natu r a: i n pr i m a a n a l i si lo si d i rebb e u n c ap a n none i ndu st r i a le, d a l s offitto a
u n a m e z z a d o z zi n a d i m et r i d a ter r a. Co mu nque si a, t ropp o va sto p er a n che s olo p ens a re d i
voler m ic i fer m a re ad esplor a rlo m egl io: m i c i p erd erei.
C o sì r a g giu n go, s en z a p er a lt ro ac corger m i d el p a s s a g gio fr a i due d iver si a mbienti p er vi a
d el l a fr et t a, u n a zon a stip at a d i p entoloni gi ga nte s ch i: c i l i nd r i d i l at t a a lti non m en o d i u n
m et ro, e l a r gh i a lt ret t a nto, a lcu ni d ei qu a l i p o g gi a no su gro s si for nel l i ac ce si. S e ne d educe
che que sto st a n zone d el le d i m en sioni d i u n'offic i na d a elet t r auto, e col s offit to a l l'i n c i rc a
su i 4 m et r i, è i n rea lt à u n a enor m e cuc i na. M a ti ro d r itto p er l a m i a st r ad a .
Noto i l pr i m o c a r tel lo ch e i nd ic a l a toi let te, m a or a m a i s on o gi à p a s s ato oltr e: at tr aver s at a
u n a p ed a na a p onte s opr a u n cor s o d'acqu a, m i t rovo i n u n a sp ec ie d i platea d i teat ro. A l l a
m i a d e st r a, u n va sto pubbl ico co mp o sto d a uo m i ni e d onn e, a i cu i o c ch i a qu a nto p a re io
r i su lto i nvi sibi le. Sta nn o s eduti su l p avi m ento a g a mb e i n c ro c i ate, con e spre s sione eb ete e
s gu a rd o i ne spre s sivo fi s s o su l p a lco – a l l a m i a si ni st r a, i ntegr a l m ente o c cup ato d a
u n'a n i m a z ione m e c c a ni z z at a d i st atuet te. I n tutto e p er tutto si m i le a cer ti pre sepi
“viventi”, r ipro duceva c ic l ic a m ente m on otone s cene d i s e s s o: le m a r ion et te si muoveva n o
ava nti a s c at ti, e p oi u n el a stico le r i-t r a s c i nava i nd iet ro p er r ico m i nc i a re d ac c ap o
a l l'i nfi nito, c iòn ond i m en o (con m i a gr a n d e s or pre s a) c a l a m ita nd o l'at ten z ion e d egl i
a st a nti.
C o sì d e c id o d i fa re u n a s o st a. D appr i m a, m o s s o a genu i na co mp a s sione p er “quei p over i
d efic ienti con gl i s gu a rd i s m a r r iti nel v uoto”. E p oi, i ncu r io sito d a l m e c c a ni s m o ch e
a ni m ava quel r ud i m ent a le teat r i n o: s a rebb e stato i nter e s s a nte o s s er va rlo nel d et ta gl io, a l
fi ne d i co mpren d er ne i l fu n z ion a m ento. E ro con s ap evole d el fat to che b en pre sto quel lo
sp et t acolo r ip etitivo m i av rebb e a nn oi ato a m or te, eppu re a l te mp o ste s s o ero tentato d i
fer m a r m i p er ved erlo re c itato a l m en o u n a volta p er i ntero, “ta nto p er sp er i m ent a re co s a si
prova ad e c c it a r si co m e fa que st a gente” .
C o m e n on d et to: l'u rgen z a fi siolo gic a è t a nt a e t a le d a fa r m i d e si ster e s en z a p en s a rc i su
due volte, co sì r iprend o i l m io c a m m i no – che a d i re i l vero or a m a i è più u n a cor s a.
Us cen d o, l a s a l a si fa s e mpre più b a s s a, s e mpre più a n gu st a.. e più io cor ro ava nti, più i l
cor r id oio si st r i n ge, i l s offito si abb a s s a .. E i l cor r id oio d a ret ti l i neo si fa cu r vo, u n a
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(5)
spi r a le t r id i m en sion a le i n s en s o or a r io, e io cor ro, cor ro, cor ro s en z a più p en s a re ad a lt ro
che a l l a m et a .. at t r aver s a nd o a p erd i fiato quel lo che d ivent a pr i m a u n t u nnel, p oi u n
bud el lo, p oi u n a sp e c ie d i vor tice i nd i sti nto d i luce che si r ipieg a su s é ste s s a..
Fi n a l m ente, r a g giu n go l a m i a m et a. E, d ent ro a u n m i nu s colo st a n zi n o d ove oltretutto
s on o obbl i gato a chi na r m i p er st a rc i, t rovo u n ce s s o a l l a tu rc a d ent ro a l qu a le, con u n s en s o
d i l ib er a z ione i nd e s c r ivibi le!, p o s s o r iver s a re i l fa rd el lo che m i gr avava d ent ro.
S olo i n quel l a n oto propr io d ava nti a m e u n a p or ta bi a nc a, qu a si m i m eti z z at a nel l a p a rete.
E s e qu a lcu n o l' apr i s s e propr io ad e s s o, e m i s g a m a s s e qu i a pi s c i a re? Ch e r a z z a d i fi gu r a c i
fa rei?!
Ci svegliammo (vattelapesca chi risvegliò chi) sei ore più tardi. Angelo propone di andare
a Milano per far colazione al Burghy: idea balzana “dunque” irresistibile. Sosta da
Alessandro per invitarlo con noi ma deve ancòra mangiare, poi deve arrivare suo fratello,
poi deve studiare un altro po'.. Morale?
“Prendetemi un panozzo e ci si vede più tardi.”: ciò a dire, sua madre gli avrebbe fatto
storie.
Per le 15 arriviamo a Sesto ed Angelo, taciturno per tutto il viaggio, comincia a frugarsi le
tasche.
«Problemi?»
«Proprio come pensavo: ho dimenticato a casa i buoni-pasto di mio padre.»
«Fa niente: usiamo i Ticket Restaurant che mi ha dato mia madre. Poi al limite me li
ridai.»
Parcheggiata la Panda, scendiamo verso il metrò. Angelo si ficca le mani nel bomber, e
cosa ci trova?
«I Pass Lunch!»: che lui pronuncia pedissequamente così com'è scritto, tanto da far
sembrare “lûnch” una parola dialettale brianzola.
«Meglio così: a me ne rimangono appena due, di ticket, e temo che non ti avrei potuto
offrire un lauto pranzo, se dovevamo farceli bastare per tutti e due.»
«Ma.. è impossibile! Prima non c'erano!»
Angelo era esterrefatto. Io, invece, tutt'altro che incline ad assecondare i suoi mysteri C006 –
specie dopo una notte trascorsa a tentare (invano) di fugare ogni suo dubbio.
«Ma che impossibile e impossibile! Ce li avrai banalmente dimenticati lì, dai!»
«Non è possibile, ti ripeto. Ieri li avevo portati con me dai nonni, e sono sicuro di averli
lasciàti in macchina.»
«Probabilmente li avrai raccattàti sovrappensiero..»
«No: li avevo proprio chiusi nel portaoggetti.»
29
(5)
«Boh.. fai tu. Comunque sia, sarebbe semmai strano se sparissero.»
Così Angelo se li rimette in tasca. Pochi minuti dopo, citando dal mio fido diario..
h 15.30: Burghy di Loreto: sono scomparsi i buoni-pasto!
Angelo comincia a tremare, io lo mando a sedersi e ordino
io: cerca, ma è tutto inutile. Gli dico che saranno
caduti, ma sono io il primo a non crederci: da quella
tasca, verticale e pure abbottonata, al massimo glieli
hanno borseggiàti.
E non finisce qui: un quarto d'ora dopo, neppure abbastanza perché Angelo si
tranquillizzasse del tutto, noto con la coda dell'occhio che il cartello pubblicitario doubleface appeso con una ventosa e una V di filo di nylon sul lato interno della vetrina accanto al
nostro tavolo ha preso a ondeggiare: dapprima, quasi impercettibilmente; poi, più io lo
osservavo, sempre di più.
“Che sia una corrente d'aria?”, ma la porta era chiusa – e comunque eravamo totalmente
riparàti, noi come la vetrina stessa, da un muro. “Che dipenda dal cartello stesso, appeso
male?” – eppure prima era fermo. “Che l'abbia urtato inavvertitamente Angelo sedendosi?”
Oh, finalmente una risposta scientificamente plausibile: l'urto aveva originato un moto
armonico che ancòra perdurava. “Okay, nulla di strano, dunque. Però è meglio fermarlo,
prima che Angelo lo noti e si faccia venire chissà quale strana idea.”
Rammento che quando toccai quel cartello per fermarlo avvertii una strana sensazione sul
dito indice, simile alla repulsione tra i campi magnetici generati da due calamite
giustapposte. E più tardi mi pareva di sentire lo stesso “campo di forza” davanti al braccio
di Angelo posato sul tavolo.
Ma era ovvio attribuire questa temporanea percezione distorta della realtà che mi
circondava all'autosuggestione, pertanto non me ne feci cruccio e spazzai dalla mente
l'interesse per quel “fenomeno inusitato ma perfettamente spiegabile”.
Manco a volermi fare dispetto, neanche cinque minuti dopo il cartello aveva ripreso ad
oscillare.
“Si vede che non l'avevo arrestato del tutto”, mi rimprovero. Così questa volta, anziché
opporgli semplicemente un dito, lo afferro saldamente a due mani e lo tengo fermo per un
poco.
Senonché, nonappena mollo la presa, quello ricomincia a dondolare come un pendolo di
Foucault!
“Certo che 'sti cartelli sono belli larghi! Chissà che momento d'inerzia hanno, da
smaltire..”
E così stabilisco di provare con un altro cartello – accanto alle casse ce n'era giustappunto
uno identico. Mi alzo col pretesto di andare a ordinare un altro degl'inarrivabili milk-shake
alla banana del Burghy (altro che quei vomitini del macDonald!), e mentre aspetto di essere
30
(5)
servito..
“Bom: dondolare, dondola. Mo' lo fermo.”
Rimango ad osservarlo fino a quando l'inserviente dal viso butterato ritorna, portandomi
quanto avevo ordinato. Il mio alibi temporaneo era infranto: se mi fossi trattenuto oltre,
avrei dato nell'occhio con Angelo, pertanto agguanto il milk-shake e ritorno al tavolo.
«Ops! Che sbadato, ho dimenticato la cannuccia!»: la prima scusa cretina che mi è
frullata per la mente. Vado a prenderla accanto al cartello, e ne approfitto per osservarlo
minuziosamente da vicino: “La conclusione non può essere che una soltanto: sta
decisamente fermo, poche balle!”
Angelo va in bagno e io ne approfitto per fermare ancòra una volta il cartello davanti al
nostro tavolo: per qualche secondo vibra leggermente avanti e indietro, anziché oscillare a
destra-sinistra come faceva prima, ma poi finalmente si ferma.
“Oooh! Visto?”, gongolo. “Si tratta solo di uno stupidissimo, insignificante, banale,
comune cartello appeso male.”, sentenzio trionfalmente a me stesso.
Peccato fosse una teoria destinata ad aver vita assai breve: nonappena ritorna Angelo, il
cartello prende nuovamente a dondolare – e in maniera più vistosa di prima. Infatti se ne
accorge pure lui:
Ci imponiamo di ignorarlo, ma entrambi finiamo col
lanciargli occhiate di tanto in tanto prima di uscire.
Poi, preso il panino per Alessandro, facciamo il giro
dell'isolato e, tornati lì, il cartello era fermo.. ma,
come si è avvicinato Angelo, quello S'È RIMESSO A MUOVERSI
COME PRIMA! Forse però non s'era nemmeno mai fermato.
Sì, certo. Come no.
6
T
anta letteratura mitologica ed agiografica, ma soprattutto parecchi romanzi e
troppi film di eroi, ti hanno abituato a pensare a noialtri Predestinati come a un
manipolo di incrollabili esseri superiori. La leggendaria forza di Ercole, la
sapienza di Platone, la saggezza Mentale di Buddha, quella Shaktica di Osho Rajneesh.. E
poi al cinema: il soldato Reeves che attraversa il tempo per arrestare il “Terminator”,
Conner McLeod nel già citato capolavoro “Highlander”..
31
(6 )
Ci vedete invincibili – e così è, tecnicamente, poiché ce lo si legge già nel nome stesso
della categoria, che non possiamo mancare di compiere l'obiettivo per il quale siamo venuti.
(Non nel senso che siamo obbligàti a compierlo, ma che con noi o senza di noi, l'obiettivo si
raggiunge comunque – e, in effetti, è già stato raggiunto.)
Ciò che ai più sfugge, tuttavia, è che si tratta di un còmpito alquanto ingrato, specie ai
suoi inizi. E il più delle volte stiamo parlando di lunghi, lunghissimi, interminabili inizi!
Pensaci bene, la prossima volta che t'immagini un Illuminato o un Predestinato! (Non che
ci sia poi tutta 'sta gran differenza, intendiamoci: il Predestinato ri-raggiunge sempre
l'Illuminazione, e raramente-se-non-mai si diventa Illuminàti e si rimane a questo mondo a
meno che non lo si faccia per Amore, come Kuanyin: per “insegnare”, come hanno fatto
Buddha, Gesù ed altri fino ad Osho, che appunto erano nati Predestinàti proprio a questo.)
Il tuo mondo è il nostro inferno, come dicevo due capitoli fa. E, aggiungo adesso,
trattandosi al giorno d'oggi di un mondo a netta prevalenza di nature Mentali, per le anime
di matrice Shaktica come il sottoscritto la tortura raddoppia.
Non che per un Predestinato Mentale sia tutto rose & fiori, beninteso. Ma se non altro
Angelo può trovarsi più a suo agio, qui, con Gente della sua stessa Natura – per quanto
infinitamente meno evoluti di lui. Questione di compatibilità. Una questione che, in una
dimensione frammentaria come questa, è impossibile trascurare. Lo so anch'io, che non vi è
vera opposizione fra le due facce del Tao, poiché esso è Uno. Ma tutto questo mondo non è
altro che una gigantesca panzana, un'illusione che si regge per l'appunto sulla
giustapposizione degli opposti – e pertanto qui di fatto il conflitto fra Shiva-Mentale e
Shakti-Amorevole non solo sussiste, ma origina un attrito poderoso che talvolta sembra
volermi spaccare l'anima in due.
Tutto chiaro?
Hehe.. Non pretendo affatto di essere capito, anzi questa è proprio la primissima cosa a
cui un Predestinato ha il dovere di rinunciare. Tuttavia, dal momento che stai leggendo la
mia storia, mi rendo conto che tu stia cercando di inquadrarmi entro i tuoi schemi mentali.
Impresa doppiamente ardua, per te, dal momento che oltre ai differenti piani di pensiero ci
separa la natura tipicamente Mentale del linguaggio umano – che io, da Shaktico che sono,
uso in maniera assai impropria: più affine alla poesia (che impiega la parola come pretesto
per evocare sensazioni) che alla narrativa.
Ignoro se ciò potrà agevolarti o rappresentare un ulteriore rompicapo per te. Tuttavia
indovino che, se non appartieni alla Famiglia di Angelo, ti troverai più a tuo agio con
quanto segue – un testo del tutto equivalente ai tanti “discorsi complicàti” di cui sopra:
19 Agosto 1996
Figli e nipoti miei Amatissimi,
vi scrivo (poiché qui si usa così) dalla Terra del Sole
Buio: dove anche Luce non è più luminosa,
ma solamente
32
(6 )
una sfumatura un po' meno lugubre della tenebra che
avvolge ogni cosa.
Secondo la gente di qui, paga del proprio Nulla, io ho
tutto – ma la verità è che non ho un bel niente: lontano
da Casa, lontano da voi che mi siete Cari.. E, quel che è
peggio, lontano da Me stesso medesimo.
Anelo a ritornare, ma.. come ?
Certo mi accogliereste, se abbandonassi questo corpo
anzitempo. Nè avreste cuore per rimproverarmi, ma solo per
lodare la mia lunga resistenza qui (che certo da fuori
deve parervi incomprensibile!).
Ma io sono qui con un perché – tragicomica disgrazia, la
consapevolezza che il tempo non sia ancòra maturo, non
foss'altro che per conoscere questo "perché".
Restare qui. Restando me. Come? Non ne ho la minima idea.
Posso desensibilizzarmi, gettandomi a peso morto negli
abissi dello spirito che sono abituali agli esseri di
questo mondo.. ma così soffoco! Oppure posso calcare la
strada dell'Amore. Sì, ma con quale fiducia? Con quale
speranza?
Dovrei prima spiegarvi l'inconcepibile: ossia che qui
l'impossibile esiste. Peggio ancòra: esso è la norma. Voi,
creature di Luce e Amore, dareste a me del bugiardo se
osassi raccontarvi della barbarie che imperversa quaggiù.
Dove nessuno se ne stupisce. Dove l' "ipersensibilità" è
considerata una malattia; e i sentimenti profondi, uno
spiacevole fastidio da curare.
Ma soprattutto il Suono! Dov'è, il Suono? Le mie Armonie..
che fine hanno fatto? E dove siete, voi?
Buio.. Cecità.. Notte senza stelle.. E dolore. Tanto
Dolore.
La maledizione peggiore è che questo meccanismo perverso
fa di me un altro suo ingranaggio: la Macina della
Sofferenza (ma come potreste mai arrivare a credere in un
assurdo simile, voi che mi Conoscete?) usa pure me per
generare altra sofferenza. Sì, mi avete sentito bene: io,
che sono Luce, in un mondo di tenebra imparo il peggio
anche dando il meglio di me!
Questa amara consapevolezza da capogiro mi dà l'assillo e
lo svenimento insieme: quello.. questo.. non sono io!!!
..eppure lo sono. Senza ricordare chi
sfuggire ciò che più vorrei, l'Amore,
(no, voi non capireste davvero..) una
esacerbata che già ora mi tramortisce
Sono. Costretto a
per non peggiorare
sensibilità
con un nonnulla.
Nella lunga attesa di riabbracciarvi, vi penso sempre con
Amore.
Benu.
Preziosi e fragili come sottilissime lamine d'oro. Meravigliosi e capaci di librarci in volo,
ma solo dopo che sia avvenuta la muta da bruco in farfalla. Ecco: questo, è quanto
intendevo spiegarti prima.
Non sbagli affatto, se guardi estatico a una farfalla pieno di ammirazione, ma commetti
33
(6 )
un deplorevole errore quando pensi che la farfalla sia più fortunata di una formìca poiché è
bellissima. Per un predestinato non vi è “vantaggio” alcuno che non si sia pagato assai a
caro prezzo. E, tipicamente, in anticipo.
“Ma tu sei diverso da noi: tu sei il Figlio del Grande Gabbiano!”, si sentiva ripetere fino
allo sfinimento il buon vecchio Jonathan. Embeh? Chi l'ha mai detto, che un Predestinato
debba necessariamente assumere sempre forma umana e non di volatile?
7
U
n tempo lo SMAU era il più importante appuntamento annuale con l'avanguardia
informatica, ma quel 4 Ottobre 1993 neppure la presentazione del tanto atteso
“superprocessore” (il primo Pentium) mi rendeva più sopportabile quel brancolare
facendomi largo a gomitate attraverso un bagno di folla sudaticcia e vociante.
Non potevo negare a me stesso l'amara evidenza dei fatti: quell'atmosfera da sagra di
paese, che aveva rimpiazzato l'antica magia di un ambiente elitario da sempre “riservato
agli addetti ai lavori”, ai miei occhi di veterano stanco sanciva definitivamente l'inizio
dell'età del clicca-qui e il tramonto della ben più gloriosa era pionieristica – quella in cui
spremevamo la memoria del nostro homecomputer fino all'ultimo bit, da domatori di leoni,
e non da utenti-pecora di sistemi operativi talmente a prova di incapace che ipso-facto ti
trattano da deficiente.
Ehi, aspetta un attimo. Ti sembra forse che queste siano divagazioni inutili e fuori luogo?
A parte il fatto che il Libro è mio e me lo scrivo come cavolo voglio io, ti invito a non dare
mai nulla per scontato – che poi è un buon suggerimento comunque, ma diventa una
necessità se speri di cavare un qualche ragno dal buco leggendomi. Stavo dicendo? Ah sì..
Nella “moderna” epoca del mouse (io infatti preferisco la trackball) vieni trattato alla
stregua di un bimbo dentro a un girello. Sicuro, all'inizio il girello ti aiuterà a imparare a
camminare – ma se non cominci a reggerti sulle tue gambe da solo, esso stesso ben presto
diverrà una limitazione: ti fa sentire libero di andare ovunque, però da quella porta non ci
passi, per quella scala non puoi salire, lo sportello là in alto non riesci a raggiungerlo..
Con la scusa di semplificarti la vita, dandoti la pappa pronta ti stanno rendendo loro
schiavo: te li spacciano (e a che caro prezzo!) come preziosi strumenti, e invece sono
soltanto catene!
È facile, darmi del nostalgico, o peggio del retrògrado, e accusarmi di combattere i mulini
34
(7)
a vento respingendo l'inevitabile avanzata del cosiddetto progresso.
Ma quando un antivirus ti cancella files che lui considera potenzialmente pericolosi senza
neppure chiederti il permesso; e quando il sistema operativo ti nega l'accesso a certe risorse
del sistema con la scusa che potresti riconfigurarlo male; e quando il tuo computer ti
impedisce di accedere a un sito web perchè secondo lui non è adatto a te.. beh, significa che
la balia è diventata un carceriere C007 e, quel che è peggio, a chi ti ha recluso in prigione le
chiavi le hai consegnate tu stesso. Senza farti pregare, e senza neppure far domande.
Prova un po' con questa, ad esempio: chi realizza i programmi anti-virus? Uno che
conosce bene come i virus funzionano, ti pare ovvio. Benissimo. Come mai allora non ti
suona altrettanto ovvio che dunque potrebbe esser stato proprio lui a crearli e diffonderli?
I virus moderni, è un fatto risaputo, sono la palingenesi delle prime protezioni antipirateria degli anni '80 (“se il programma non è originale, cancellalo”). Indovina un po' chi
le scriveva? I pirati stessi, che per colmo dell'ironia s'arricchivano a vendere i loro antifurti
informatici alle stesse case produttrici di software di cui essi craccavano i programmi.
Rifletti: perché mai oggi le cose dovrebbero stare diversamente? Creare dal nulla un
bisogno, quando si è gli unici in grado di soddisfarlo, significa dare il via a un monopolio
assai remunerativo. Dopotutto, non è la stessa precisa operazione che hanno fatto le
cosiddette religioni istituzionalizzate? Gli è bastato inventarsi che “Se non vai a messa,
finirai all'inferno” e.. zac! Miliardi di business domenicale e/o festivo che sbucano fuori dal
nulla. (Per non contare le “offerte” concusse a battesimi, matrimonii, funerali..)
Forse adesso ti risulta più chiaro il senso di questo capitoletto: che non era la sterile
divagazione di informatichese che ti appariva dapprincipio.
Perché qui sta il punto: proprio dove meno te lo aspetti, proprio dove meno te ne rendi
conto, proprio dove metteresti la mano sul fuoco.. lì si nasconde, il nemico che ti
monopolizza a tua insaputa! Rendendoti il suo schiavo inconsapevole, e dunque un servo
assai docile: hai i ceppi ai piedi, ma non li vedi. E fintantochè obbedisci ciecamente, ti viene
concesso di confortarti da te – coltivando la patetica convinzione di star esercitando appieno
un libero arbitrio del quale, invece, non ti è dato altro che la pia illusione.
Condizionamenti. Nient'altro che subdoli condizionamenti mentali.
Certo è più facile comprarsi una prèdica con un'offerta settimanale, che andarsi a studiare
per conto proprio la Bibbia. È più facile farsi scarrozzare da un girello, che reggersi sulle
gambe. È più facile berci sopra, piuttosto che affrontare il problema. Più che giusto.
Ma questi dovrebbero essere solamente gli inizi. Vai a catechismo per sentire una delle
tante campane in fatto di religione. Appòggiati al girello (o a una stampella) mentre stai
(re)imparando a muovere i tuoi primi passi, ma senza per questo votarti a diventare un
paralitico claudicante che senza qualcosa che lo sorregga non si alza neppure dal letto. O
un fanatico religioso che getta via il suo tempo con “rubriche aperte sui peli del Papa”.
Ascolta tutti. Credi a nessuno.
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(7)
La Fede-prima-del-dubbio è una grave malattia. Io la chiamo “la sindrome del fanatico”:
quelli che, proprio poiché non hanno saputo risolvere i propri dubbi, si accaniscono contro
chiunque non condivida le loro convinzioni. (Il paradosso in sè sarebbe anche risibile: chi
cerca con tutti i mezzi di convertirti, lo fa poiché non crede veramente in ciò di cui vorrebbe
convincerti.) Individui simili non mirano affatto al raggiungimento della verità, ma piuttosto
al mantenimento dell'ignoranza: finchè tutti ci credono, una menzogna può agevolmente
passare per realtà.
Attìvati per trovare la tua verità, e poi mantieniti fedele ad essa, per quanto ti sarà
umanamente possibile farlo. Ma quanto al credere, non ingannare te stesso con la speranza
del tutto illusoria che sia possibile mutuare una fede altrui. “Credere”, non devi credere a
niente e a nessuno: neanche alle cose che ti dico io, che sono solo un onesto bugiardo.
E dopotutto questo è solamente un romanzo inventato di sana pianta.. o forse no?
Avrai tempo e modo di rifletterci dopo. Ora invece è giunto alfine il momento di
soddisfare l'istinto da lavandaia che si nasconde sopito dentro ogni persona, e in modo
particolare il tuo – così palesemente insoddisfatto dell'assaggino concesso nei capitoli
precedenti a riguardo della vita privata dei Predestinàti.
Questa volta si parlerà anche della mia, purtroppo. Dico “purtroppo” poiché non sono
incline a certi tipi di confidenze fatte a menti potenzialmente morbose. E poi, agitare il
coltello in una piaga richiusa a fatica è cosa che rasenta il masochismo.
Disgraziatamente, però, ciò è necessario per la corretta comprensione degli eventi che
seguiranno, e dunque.. sia!
Cominciamo con un breve dialogo avvenuto la sera di venerdì:
«Come vanno le cose con Valeria, Angelo?»
«Stiamo benissimo. Come se ci si conoscesse da sempre.»
«Vi vedete spesso?»
«Praticamente ogni giorno.»
Dopotutto, conclusa la tormentata storia con Cleo, ero stato io stesso a spronarlo in tal
senso: oltreché doloroso, è inutile fossilizzarsi sui ricordi.
«Senti.. che tu le piaccia, non è una novità: me l'hai detto pure tu quand'eravamo ancòra in
montagna, che è dalla prima superiore che lei ha un debole per te.»
«E allora?»
«Beh, parlando francamente, ho come il sospetto che anche lei piaccia a te. O sbaglio?»
«EEEEH? Ma va'! Figùrati! Cosa dici? MA NO!»
Appena poche ore dopo, invece, Angelo e Valeria si mettono
assieme. Ma non è che il mio "amico" questo me lo dice il
giorno dopo (ci si è visti sia sabato che domenica), no:
aspetta dopo, all'ultimo minuto, e solo perché è saltata
fuori una complicazione con Alessandro di cui avrei dovuto
farmi carico io.
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(7)
Evvai! Si rientra nella fase in cui amico-Alessio serve. A
entrambi. Anche ad Alessandro, quello scomparso per tutta
l'estate e che quando riappare si scusa ma non si spiega.
Tipo televisione: spenta, e accesa dopo 3 mesi.
Nulla di nuovo, Angelo è fatto così: quando si innamora scompare senza preavviso – e, se
anche rimane, è come se non ci fosse più. Quando si era messo insieme a Cleo all'inizio
dell'ultimo anno delle scuole superiori, mi incrociava nei corridoi della scuola passando via
senza neanche notarmi: non un saluto, non un cenno. Figùrati che, a oltre un anno di
distanza, non me l'aveva ancòra manco presentata! (La qual cosa avrebbe creato non poche
complicazioni in seguito..)
Ma, dopotutto, io sono “soltanto” il suo migliore nonché unico vero Amico. A sentir lui,
rappresento un punto fermo nella sua vita; il punto a cui far ritorno per un rifugio sicuro; il
punto da dove ripartire; una specie di faro sullo scoglio, per quanto ne capisco io: è bello
sapere che c'è ma, finché stai navigando col vento in poppa e tutto va bene, non te ne
potrebbe fregare di meno. (Cinismo tipicamente Mentale.)
Alessandro, invece, era un mistero a sè:
Ti amo, Alessandro.
Ed è crudele, che una volta deciso di non sopprimere più i
sentimenti mi sia innamorato senza alcuna speranza di essere
corrisposto; sapendo che qualunque cosa io pensi, dica,
faccia.. non servirà a nulla, se non a rovinare un'amicizia cui
comunque tengo moltissimo.
E sto male, pensando che da Luglio (o forse prima!) non ci
vedremo mai più.
E non dormo, i tuoi occhi scolpiti nel cervello, il tuo viso
dolcissimo che mi guarda quasi spaurito.
E impazzisco, scrivendoti queste lettere che non leggerai mai;
tardi la notte, solo, davanti al computer.
E non è giusto, che la soluzione di tutti i miei problemi mi rifiuti
persino la sua amicizia, dicendo che per lui sono esattamente
come tutti gli altri.
E sono convinto di meritare grandi amicizie e grandi amori dalla
vita, ma non me ne frega un cazzo se non posso meritare te.
E non posso piangere, se non da solo e senza fare rumore.
E non posso parlarne con nessuno.
E non posso abbracciarti, quando le mie braccia ti cercano.
E non posso accarezzarti, le tue guance ispide ma tenere.
E non posso baciarti, nemmeno sulla fronte.
E non posso amarti.
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Ma perchè?
Non è che una delle tante lettere che gli ho scritto in quegli anni. Questa però non l'ha mai
letta, a differenza di moltissime altre (gliene recapitavo personalmente almeno un paio alla
settimana): flussi di pensiero o, per usare il bel vocabolo inglese: brainstorming.
Ma insomma: chi è questo Alessandro?
Te lo sarai domandato un sacco di volte, nel corso della lettura. Bene, ora lo sai: è stato il
mio primo Amore.
Bada: non la prima cotta, o la prima esperienza sessuale, ma colui che fu mia “croce e
delizia”, “dolce ed atroce”, come recita una canzone dello stesso anno delle mie vacanze
romane con lui.
Una delle opere Ispirate dai nostri “collaboratori del mondo spirituale”, destinata
precisamente a me. Uno dei numerosi “segni” nei quali il Predestinato si imbatte nel corso
del suo tormentato cammino. (Specifico “tormentato” perché, casomai ci fosse ancòra il
bisogno di ribadirlo, non è tutto rose & fiori: la maggior parte degli altri “segni” hanno la
delicatezza di una mazzata sulle gengive.)
Ora: senza nulla voler togliere alla grandezza degli autori di queste opere, va detto che la
levatura spirituale contenuta nella loro produzione non è farina esclusivamente del loro
sacco. Qualcuno parlerebbe di channeling inconsapevole, ma in realtà l'autore non è mai un
semplice trascrittore del messaggio che veicola – poiché l'Ispirazione sovrannaturale lascia
ampio spazio alla libertà del singolo artista. (Ricevuta l'idea, egli può realizzarla come
meglio crede – a patto di non denaturarla. Ma naturalmente non si Ispirano mai le persone
non idonee a svolgere il compito al meglio.)
Esistono Ispirazioni ad hoc: quando cioè viene affidata la realizzazione di un solo lavoro
all'individuo più qualificato per portarlo a termine. È il caso ad esempio di un film come
“Eternity”: una produzione decisamente anti-commerciale in cui “guarda caso” partecipano
attori spiritualmente evoluti, in-quanto-tali sensibili al richiamo delle tematiche trattate..
..ed esistono Ispirazioni ad personam: quando si agevola la carriera di un artista (o di un
gruppo di artisti) particolarmente indicato per un certo tipo di messaggi. Questo è forse il
caso più interessante: Cèline Dion, Vangelis, Jean-Michel Jarre, i Bee Gees, Franco
Battiato, ma anche poeti come Kahlil Gibran ed Emily Dickinson, scrittori come Richard
Bach e Christian Jacques.. o, per Angelo: i Pooh, Nek, e chissà quanti altri noti a lui solo.
(Colgo peraltro l'occasione per ringraziarvi tutti quanti per l'ottimo lavoro svolto fino ad
ora, e per aver reso un po' meno buia e incomprensibile la vita di noialtri Predestinati.
Grazie di cuore.)
La cosa curiosa è che non è mai il Predestinato a dover cercare l'opera, quanto piuttosto il
contrario: è il libro a trovare il Predestinato; è il film, a chiamare a sè il suo legittimo
destinatario.
Ma soltanto quando è il momento giusto: non prima, non dopo. E nulla può impedire che
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ciò accada: neppure il Predestinato stesso potrebbe. Se sfugge, viene inseguito. E, per
quanto fugga, gli si dà tempo fino al giorno prestabilito: ma se entro quel giorno un certo
messaggio gli andava recapitato, potete stare certi che quel giorno sarà.
Esistono pure opere multi-livello con porzioni dormienti, come ad esempio quei libri che
inizialmente mi entusiasmano ma arrivato a un certo punto finisco con l'accantonarli pur
senza esserne stufo – e magari per passare a letture più noiose. Dietro a questo fatto
apparentemente illogico, s'intuisce una chiara indicazione: non era ancòra giunto il tempo di
leggere i capitoli successivi, ma nonappena sarò pronto sarà il libro stesso a richiamarmi a
sè.
Io, personalmente, vado goloso di “segni”: tanto da contare impazientemente il tempo che
mi separa da un messaggio al successivo. Angelo invece, di indole opposta alla mia, sembra
detestare ogni cosa che gli rammenti la sua reale Natura – sì, insomma: gli piacerebbe poter
credere di essere un uomo come tutti gli altri, e così i segni o li schiva o non li considera tali.
(Purtuttavia neppure lui può sottrarsi al suo Destino di Predestinato.)
Direi che a questo proposito sarebbe alquanto opportuno ripescare la concezione che la
mitologia greca aveva a riguardo del Fato: quella secondo la quale le Parche stabiliscono
degli avvenimenti cui nessuno, uomo o divinità, può sottrarsi. Non importa affatto il modo
in cui questi eventi giungono ad avverarsi, al punto che ognuno è libero di raggiungere i
punti prefissati dal Destino percorrendo le strade che più lo aggradano.
Se ad esempio tu sapessi che giri strani, arrivano a fare, gli oggetti Destinati a
raggiungerti! Per dirne una: il manoscritto per Angelo è stato redatto in pieno medioevo in
una piccola abbazia europea; successivamente è stato usato come specie di segnalibro nel
breviario di un monaco ardimentoso che raggiunse l'America quando questa ancòra era
denominata Terra Incognita; poi è rimasto nascosto colà per quasi due secoli, in un codice
miniato custodito sopra uno scaffale anonimo della biblioteca della chiesa di san Paolo a
Baltimora, nel Maryland (USA).
Oh, aprendo una breve parentesi: il nome Elvis Presley ti dice niente? Non è un caso, che i
Grandi nascano in prossimità di zone ad alta valenza spirituale. Basti ricordare
Shakespeare, venuto al mondo a Stratford: un paesello bagnato dalle acque dello stesso
fiume Avon che attraversa Salisbury e che, poco più a nord, scorre non lontano dai
monumenti megalitici di Stonehenge. (Ulteriori dettagli li lascio a Martin Mystère. C006)
Chiusa parentesi circa il Maryland, torniamo al manoscritto. Che a quanto si dice
riattraversò l'oceano nelle mani di un giovane ardimentoso mormone, per poi essere tradotto
e fotocopiato da alcuni suoi colleghi che a loro volta l'hanno faxato un po' ovunque: amici
& parenti, ma anche clienti e fornitori sul lavoro, uffici pubblici, banche, eccetera.
Una versione, quella col ghirigoro di edera C008 tutt'intorno, era giunta anche a me, da parte
di mia madre – che l'aveva ricevuta dallo stesso collega di ufficio che poi le avrebbe donato
un libro a lei del tutto incomprensibile, in realtà Destinato a raggiungere me.
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Si trattava però di una traduzione piuttosto maldestra, che riduceva il tutto a un
“Messaggio Di Saggezza” con le maiuscole sparate a caso: una delle tante banalotte
preghierine della sera che giustappunto sortiscono quale unico effetto quello di conciliarti il
sonno.
La versione più fedele all'originale è invece giunta al fax della banca dove è impiegato il
padre di Angelo, che l'ha puntualmente recapitata al figlio quindicenne esattamente 742
anni e migliaia di miglia dopo che fu trascritta appositamente per lui adattandola da un
libro Sapienziale di una sessantina di secoli fa. Mica male, che ne dici?
A tutt'oggi, una fotocopia ingrandita e ritoccata personalmente dal sottoscritto spicca
appesa sul mobile davanti al mio computer – e una sua gemella, incorniciata come mio
regalo di compleanno, troneggia sulla parete dietro la scrivania dell'ufficio dirigenziale di
Angelo.
Che quella sera tardava ad arrivare per cena, e le pizze si stavano irrimediabilmente
freddando.
8
U
na pizza riscaldata è come un'amicizia rinsaldata in extremis: non è mai la stessa
cosa di quand'era fresca, ma a volte è una necessità. Nel caso di Angelo, poi,
un'abitudine radicata: non era quella la prima volta che tardava ad arrivare, e non
sarebbe stata l'ultima in cui avrei dovuto tenergli in caldo la pizza – così come da anni
faccio custodendo la nostra amicizia: quando anche lui dimostrerà coi fatti di volerla, la
troverà lì pronta ad aspettarlo.
La prima cosa che fa dopo essere entrato in casa, è sfoderare la videocassetta che aveva
portato per la serata con un gesto plateale di quelli che tanto gli piacciono.
«Che roba è?»: ho sempre fatto poco affidamento sui suoi gusti cinematografici.
«“L' uomo dei sogni”.»
«E sarebbe?»
«Un film. Con Kevin Cosner.»: perchè Angelo lo chiama proprio così, senza la T.
Era recentemente uscito il peggior vilipendio fatto ai danni di Robin Hood in tanti secoli di
storia, e guardacaso portava proprio la firma di Kevin Costner. Si aggiunga a ciò la mia
notoria insofferenza per le americanate, ed è facile immaginare l' espressione con la quale il
mio volto bocciava l' idea.
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(8 )
«E, dico: di tutti i film che hai registrato dalla televisione.. perché mai proprio questo?»
«È strano: mi è come balzata all' occhio, proprio mentre stavo uscendo di casa. Come se
qualcosa mi dicesse che devo vedere questo film con te. Stasera.»
Un esempio da manuale di “opera predestinata”, insomma. Ma siccome allora non ne
sapevo nulla, e anche ad averlo saputo tanto non ci avrei creduto, l'unica cosa che m'impedì
di rimproverarlo per quella sua ennesima “fissazione da paranormale” fu vederlo
strabuzzare gli occhi in maniera alquanto strana (roba che faceva quasi paura!) e poi
mettersi a vaneggiare manco gli fosse venuto un febbrone da cavallo:
«Toh? Non sapevo che tu avessi una giacca rossa!»
Uh?
«E infatti non ce l' ho, Angelo.»
«Ma se ce l'hai indosso!»
«Sei diventato daltonico, per caso? È la mia solita giacca blu! Te l'avrò ripetuto cento
volte, che son preseguitato da 'sta sfiga di cercare vestìti neri e trovarne solo di blu-scuro.
(Anzi, chissà che tu prima o poi non riesca a fornirmi una spiegazione paranormale anche
di questo fenomeno..)»
Ironia inutile. E non solo perchè una ragione effettivamente esisteva, ma perchè erano
parole al vento: Angelo pareva badare unicamente ai miei piedi, riuscendo solo a balbettare
una salva di
«Ma.. ma..»
«Si può sapere che cos'hai?»
Si stropiccia gli occhi manco fosse appena sceso giù dal letto, e poi:
«No, no.. niente. Tutto a posto. Sarà stata la stanchezza. È che vedevo te vestito di rosso e
me di bianco. E poi tu, con la luce spenta, così nella penombra..»
«Embè?»
«Mi sembrava che tu non avessi le gambe.»
Tieni a mente questo, e la prossima volta che sentirai Angelo esordire a parlare dicendo
“niente”, fatti squillare un campanello d'allarme in testa.
«Sarà stato senz'altro come dici tu: un gioco di luce. E probabilmente hai un calo di
zuccheri: andiamo a mangiare, prima che ti vada ancòra insieme la vista!»
Finita a fatica la pizza, attenendoci al solito “rituale” scendiamo in camera – giusto per
scoprire che la videocassetta era stata registrata a passo ridotto, e il mio vetusto
videoregistratore non era in grado di riprodurre il segnale. Poco male: decidiamo di
ripiegare su “Linea mortale”.
Alla fine del film, quando riaccendo la luce, notiamo entrambi sul lato sinistro del
videoregistratore una colonna di monete: 7 da 100 lire, più una da 200 lire (la seconda a
partire dall'alto) – impilàte una sopra l'altra con precisione millimetrica.
«Ce le hai messe tu, Alessio?»
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«Veramente io credevo fosse roba tua..»
Angelo controlla nel portafogli:
«Effettivamente sono mie. Però..»
«Però?»
«Non ricordo di avercele messe lì io.»
Puntuale la mia risposta:
«Ih, quante storie per delle monetine! Eri così stanco ed affamato che non riuscivi neanche
a vedere il colore della mia giacca, e mo' ti fai problemi per esserti svuotato le tasche
sovrappensiero?»
Più che plausibile, al punto che m'illusi di averlo convinto.
Senza altro verbo proferire, Angelo ripose quelle 900 lire nel portafogli e tornò a casa sua
– con la promessa che ci saremmo rivisti presto per guardare “L'uomo dei sogni” sul suo
videoregistratore.
Me ne andai a dormire pure io.
“Dormire”, oddio.. diciamo piuttosto che mi infilai sotto il piumone. Perché non c'è niente
da fare: quando un pensiero mi coglie, è peggio che avere una mosca che ti ronza intorno.
L'unica è spetasciarla o farla uscire dalla finestra – che poi è l'opzione più laboriosa poiché
occorre guidare il benedetto animaletto, che generalmente si dimostra piuttosto restìo a farsi
indicare la via da una montagna volante che lo sospinge verso la luce.
Coi pensieri poi è pure peggio..
“Prima che cominciasse il film non le avevo neppure notate, le monete. E sì che in quella
posizione davano nell'occhio. Forse c'erano anche prima.. ma allora come l'ho fatta partire,
la videocassetta? Non dal pannello di controllo del videoregistratore sennò le avrei certo
viste. Avrò usato il telecomando. Eppure giurerei di aver schiacciato PLAY sul frontalino
stesso. Si vede che mi sbaglio. Altrimenti ce le ha messe lì lui durante il film. Ma non mi
pare che si sia mosso. Certo ero distratto dal film, però se si fosse alzato me ne ricorderei.
Allungando il braccio, tuttalpiù le impilava a destra. E invece le monete stavano a sinistra.
Suvvia: la telecinesi non esiste! Magari ricordo male: forse non stavano sulla sinistra, ma
sulla destr.. No. Sono sicuro: stavano proprio sulla sinistra. E se anche fossero state sulla
destra, poi? E se anche ce le avesse messe lì lui? Però il portafogli stava nella giacca. Beh,
presumo, almeno. Ma se anche lo teneva nella tasca posteriore dei jeans, l'avrei sentito che
lo sfilava, l'avrei visto aprirlo, l'avrei udito rovistare tra le monetine..”
Contrariamente alle apparenze, però, stavo pensando a tutt'altro: quelli erano solo vuoti
flussi di parole coi quali tenere occupata la mente, per impedirle d'interferire coi ricordi..
Il giorno in cui conobbi Alessandro, io ero “lo straniero” della III E. Il
ripetente che veniva da un'altra scuola. Ricordo che attorno a me si
era formato il vuoto, e un sacco di bisbigli alle mie spalle. Seduto in
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seconda fila ascoltavo la prof dai capelli rossi e gli occhi grigi
infervorandomi per il piano di studi e il metodo di lavoro, quand'ecco
che entra lui – in ritardo fin dal primo giorno di scuola: tipico..
Mi fu immediatamente chiaro che fosse un tipo di poche parole.
Fortuna che l'unico posto rimasto nell'aula era quello accanto a me. E
che strana familiarità di sguardi: m'ingannavo, o era reciproca?
Soprattutto: dove potevo averlo già visto? Passai in rassegna le facce
di tutte le persone che avevo frequentato nel corso della mia vita, ma
invano: nessuno che gli somigliasse anche solo un po'.
Chi lo sa? Forse, risalendo a quel modo a ritroso nel tempo, avrei
finito con lo scantonare nei ricordi di una vita precedente..
Una vita.. prece..
Con quelle parole scivolai dolcemente nel sonno: la mosca ancòra ronzava, ma io non la
sentivo più.
S
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abbi a. Ter reno a r id o. A rgi l l a s e c c a e r i a r s a . Pied i s c a l z i d i b a mbi n o. Un a t u nic a d i
s ac co. Non i nd o s s o a lt ro: e s on o tutto sud ato, appic c ic atic c io e sp orco d i p olvere. ( Per
for z a: s on o s e mpr e a l l ' ap er to!) Ad e s s o sto gio c a n d o con a lt r i b a mbi ni i n u n p o sto
br u l lo, d i p er i fer i a, a i m a rgi ni d el d e s er to. Ca s e d i fa n go e p a gl i a si confond on o col
p ae s a g gio.
Non h o genitor i. S ono m olto p overo. M i h a a d ot tato u n'a n z i a na si gnor a, ch e a s s o m i gl i a
ta nti s si m o a l l a m i a nonn a m ater n a at t u a le. G l i a lt r i b a mbi ni s on o tut ti fi gl i suoi. A l cu ni,
c a r ne d el l a su a c a r ne; a lt r i, t rovatel l i. Una fa m i gl i a nu m ero s a, ch e l a s er a si r iu ni s ce
i ntor n o a u n gro s s o tavolo d i legn o gr e z zo e pi a l l ato m a le, due lu n gh e p a nch e, p o co cib o m a
ta nto a m ore.
Provo t a nto a ffetto p er loro, m a p er qu a nti sfor z i e s si fac c i a no p er fa r m i s enti re u n o d i
fa m i gl i a, m i s ento p erenne m ente u n e st r a n eo – colp a for s e d el l a m i a c r ap a p elat a:
p erenn e m ente r ap at a a z ero, t r a n ne ' sto co d i no l ater a le i ntre c c i ato d i cu i m a m m a h a t a nt a
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cu r a. Chi s s à p oi p erchè. Qu a n d o le h o d et to ch e vor rei t a nto avere u n a z a z z er a s c api gl i at a
co m e tut ti gl i a lt r i, h a s co s s o i l c ap o a m abi l m ente m a s en z a spieg a re. D ice ch e u n gior n o
c api rò.
Ier i s er a c'è st at a u n a d i s cu s sione. Nel l a st a n z a ad i acente a l l a cuc i na, m a m m a h a s gr id ato
i l suo pr i m o genito: i l più gr a n d e, fr a n oi. E tutto p er colp a m i a. C h e vergo gn a. Cio è, io ce
l' h o spiegato, a m a m m a, che n on er a niente; che stava m o gio c a nd o; ch e non m i h a spi ntonato
app o st a ; e co mu nque m i ero s olo sbuc c i ato u n gi no c ch io, che s a r à m a i? L ei i nve ce gl i h a
d ato lo ste s s o u n o s c h i a ffo: “M a ti rend i conto? E s e fo s s e c a duto su u n s a s s o? E s e ave s s e
pic ch i ato l a te st a o si fo s s e sp e z z ato u n a g a mb a?”
Um i l i a nte. Più p er m e ch e p er lu i: ero d av vero m or ti fic ato. M i d i spi aceva ter r ibi l m ente,
che lo ste s s e s gr id a n d o p er u n a co s a co sì d a p o co. D op o a lu i gl iel'h o d et to, m a n on faceva
che at t ribu i r si tut te le colp e.. r iu s cen d o s olo a fa r m i s enti re a ncòr a più d i p e s o.
Poi u n gior n o a r riva u n si gnore d a l l a c it tà. D ice d i e s s er e u n s er vo d i m io pa d re (u h? h o
u n pa d re du nque?) e d i condu rlo d a m a m m a. L ei co m e lo ved e lo r icon o s ce, e gl i d ice s olo
“Non s ei i nve c chi ato.” e p oi “Ti st avo a sp et t a n d o, m a non c r ed evo co sì pre sto.” L e
pi a n geva i l cuore, a ved er m i a nd a re vi a col m io nuovo tutore. L e pro m i si ch e c i s a re m m o
rivi sti, e o gni pro m e s s a è d ebito – a nch e s e p o s s on o volerc i 470 0 a nni p er m a ntenerl a .
…
Ad e s s o n on s on o più u n r a g a z zi no: h o co mpiuto d a p o co i 15 a nni, e m i t rovo ad I nnu,
niente m en o ch e nel l a Ca s a d el l a Vit a – i l pri n c ip a le cent ro S apien z i a le d el l 'i nter a c ivi ltà,
non s olo d el l'E gitto, d ove ven gon o add e st r àti i s acerd oti e gl i s c r ibi d e sti n àti a i più a lti
i n c a r ichi. M a nel m io c a s o non c'è t a nto d a ti r a r sel a, vi sto che m i h a nn o a m m e s s o p er u n
favor iti s m o o qu a si. C h e p oi n on si c api s ce che co s a h o st ud iato a fa re p er que sti c i nque a nni
col m io tutore, s e qu i n on gl ien e freg a nu l l a d i tut te le co s e che h o i mp a r ato con lu i. Que sti
st a nn o a n còr a a l l' AB C! Tip o l a le z ione d i o g gi ..
C 'i n s egn a n o che Ra è a n d ro gi n o, m a s en z a sp ec i fic a re ch e l a prop or zione è l a
m ed e si m a d i Neith – c io è “p er due ter zi m a s c hio e p er u n ter zo fe m m i na”, e
n on i l m et à e m et à che i nvece d a n no a i ntend ere. S e p erlo m en o p oi n e
ch i a ri s s ero i l p erchè! E i nve ce no: a sp et t a n o i l s e con d o a n no, pr i m a d i svel a re
ch e c iò con s ente a l Cr eatore d i svol gere u n r uolo si a m a s chi le (c r ea re l 'id ea:
p en siero) si a fe m m i ni le (d a rle cor p o: m ater i a) .
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Co sì co m e a sp et ta n o i l s e con d o a nn o pr i m a d i a m m et ter e l'evid en z a che i l
9 0 % d ei co mp a gni d el m io cor s o h a gi à i ntu ito, o s si a ch e s e I sid e e a lt re
d ivi nità ven gon o r a ffi gu r ate con u n d i s co s ol a re, è p erchè s on o
m a ni fe st a z ioni d i Ra. Id e m s e h a nn o le cor n a b ovi ne d i Api (ch e p oi è s e mpre
Lu i: Ra), co m e i n eter d er ivàti d a Hator (ch e p oi è s e mpre Lu i: Ra). Non c i
ved o nu l l a d i co sì s convol gente: s e mpl ice m ente, Ra c a mbi a cor p o co sì co m e
n oi c a mbi a m o ve ste a s e con d a d el r ito ch e a nd i a m o ad offic i a re; o co m e u n
s old ato c a mbi a d ivi s a a s e con d a d el cor p o m i l ita re p er cu i l avor a.
Poi non c api s co d av vero lo st upid o pud ore ch e i mp ed i sce ad a lcu ni i n s egn a nti
d i rivel a re ( s e non con r id icol i gi r i d i p a role) i l si gn i fic ato u lter iore d i
t a lu ne m eta fore, p er a lt ro n ote a tut ti fi n d a l l a cu l l a. E mble m atico i l c a s o d i
Kepher: i l giova ne s c a r ab eo, che e s ce d a l lo sterco co m e u n a vita n on gener ata
d a a lt r i, n on è p er nu l l a d i s si m i le d a l S apiente – ch e appu nto co m i n c i a ad
e s s er e t a le s olo d op o e s s ere e m er s o d a l pat t u m e m ent a le ed e m otivo i n cu i vive
l a gente co mu ne. C on tut to che l'a sp etto d el t r a r si d'i mp ac c io (“u s c i re d a l l a
m erd a”) facend o a ffid a m ento u nic a m ente su l le propr ie for z e, r i su lter ebb e gi à
svi l ito d a u n p a r a gon e col pu lc i n o: a n che lu i d eve ro mp ere i l gu s c io d el l'u ovo
o m or i r vi s offo c ato, p erò l'u ovo è a s et tico, m entr e lo sterco è tut t'a lt ro. S olo
i l Keph er c i m et te i n gu a rd i a a nch e contro i l r i s ch io d i r i m a n ere i nvi s ch i àti
nel torbid o.
Qu i i nvece st a n n o s e mpre su l va go. Tu p en s a: p a s s a n d o p er i l s a lone c i fa n no
obbl i go d i leg gere i gero gl i fic i coi n o m i d ei d efu nti s ov r a ni, s en z a p erò
spiega rc i (e fi n o a l ter zo a nno!) che c iò s er ve p er r i nn ova r ne i l k a i m m or t a le.
Per n on p a rl a re d i tut ti i s egreti che m i è st ato d et to d i tener m i p er m e, e n on fa r ne p a rol a
neppu re con gl 'i n s egn a nti! O r a: c api s co evit a re d i s c onvol ger e l a gente m o st r a n d o loro u n a
piet r a che c a nt a co m e u n p app a g a l lo a m m a e st r ato, m a t acere ter r ibi l i profe z ie ch e
r i gu a rd a n o i l futu ro d el Pa e s e m i s a d i a nti-patr iot tico..
Tr a 8 s e col i u n a d ivi nità lo c a le u su r p er à i l p o sto d i Ra. E, co m e s e
que st'ab o m i nio non b a sta s s e, qu a nd o 5 s e col i più ta rd i u n i l lu m i nato s ov r a n o
tenter à d i r ipri sti na re i l cu lto d el n o stro Cr eatore i nd i s cu s s o, ver r à
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a s s a s si nato – e i l suo suc ce s s or e, co str et to add i r it t u r a a c a mbi a re n o m e!
A m e r i m a ne i n concepibi le, co m e si p o s s a c ad ere a u n t a le l ivel lo d i
b a rb a r ie, m a (co m e m i h a spiegato i l m io precettore) è co s a i nevitabi le p oichè
r ient r a n ei G r a nd i Cic l i d el l 'Univer s o: qu a ntopiù ava n zer à l 'at t u a le E r a d el l a
D i str u zione, t a nto p eg gior i i m i sfat ti ch e ver r a nno co mpiuti d a u n'u m a nità
sprofon d ata negl i abi s si d el l'I gnor a n z a, ner i e vi sch io si co m e l a p ece.
Però m a g a r i i d et ta gl i te l i r ac conto u n'a lt r a volt a C 0 1 0 0 ..
V
10
i a d a l vi l la g gio d i m a m m a, i l m io tutore m i h a cond ot to con s è i n u n p o sto sp erduto
i n m e z zo a l le m onta gn e. Una sp e c ie d i c aver n a, a nch e s e a d i re i l vero n on s e mbr ava
u n p o sto natu r a le: er a co m e s e fo s s e st at a s c avat a d a qu a lcu n o.. a n zi S COLPITA,
p erchè p a reti co sì l i s ce e a n gol i co sì net ti col p avi m ento io non l i h o vi sti m a i, neppu re a
p a l a z zo r ea le. E r a u n p o sto a s s a i st r a n o, i n s o m m a . E o gni ta nto i l m io tutore sp a r iva d ietro
a u n a p or t a m a gic a ch e s olo lu i s ap eva co m e apr i re. D iceva che u n gior n o s a rò i n gr ad o pu re
io, e ch e o gni co s a m i s a r à svel at a. C 1 4 2 Sp er i a m o.
Per i nt a nto s on o qu i, V IVO qu i, e h o p er co mp a gni d i cor s o d i pr i m o a nn o u n s ac co d i
“fi gl i d i p ap à” e r ac co m a n d àti va r i.. ch e p er for t u n a p erò r a r a m ente s e n on m a i ac ced on o a i
cor si sup er ior i, p erchè l ì o c i h a i l a stoffa o ti at tac ch i: p otre sti a n che e s s ere i l Fa r aone i n
p er s on a, ch e ti b o c cer ebb ero lo ste s s o.
O lt re a l l a s c r it t u r a s ac r a st ud i a m o p a re c chie d i s c ipl i n e: m ate m atic a, mu sic a, stor i a ..
t r a nn e quel l a a ntic a, d i cu i r i m a n gon o s olo leggen d e – che tut tavi a cor ri sp on d on o
abb a sta n z a b ene a c iò che i l m io tutore m i h a i n s egnato privata m ente, m a d i cu i m i h a d et to
che non d evo fa r p a rol a con n e s su n o. Sp ec ie a d e s s o, nel pr i m o a nn o d i cor s o prop ed eutico,
quel lo c io è ch e – a n zi: I N C U I si cor reg gon o le c at tive abitud i ni co mp or t a m ent a l i (e pu re
le s sic a l i, h ehe) cont r at te i n pre ced en z a, e io ch e non proven go d a u na fa m i gl i a a ri sto c r atic a
ne h o p a re c chie.. I noltr e si col m a n o le l a cu ne cu ltu r a l i – m a qu a nto a quel le h a gi à
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prov veduto i l m io tutore negl i a n ni s cor si, pr i m a d i condu r m i qu i. Sì, i n s o m m a, è u n a
sp e c ie d i s cuol a ch e s er ve a “r i m et ter si i n c a r reg gi ata”, a r a g giu n gere i l l ivel lo glob a le
giu sto p er e s s er e a m m e s si a u n'a lt r a s cuol a.
Ti avevo ac cennato a u na sp e c ie d i favor iti s m o che m i h a nn o fatto, e n on vor rei e s s er stato
fr a i nte s o: co m e tut ti (a n zi, for s e PI Ù d i chiu nque a lt ro, p erchè d a m e qu i si a sp et t a n o
qu a si i m i r acol i) d evo l avor a re du ro, e n on s on o cer to i l co c co d i ne s su n o. Epp oi, p er qu a nto
sti m ato si a i l m io tutore, n on è r ic co n è i nf luente – e i n o gni c a s o non s a r ebb e tip o d a
sfr ut t a re l a su a i nf luen z a p er av va nta g gi a re u n suo protegè. E m en o m a le, a ggiu n go, chè
que ste co s e p er i n d ole propr io non le d i ger i s co!
A l lud evo a l con su lto a st rolo gico/m ate m atico (p er a lt ro rob a che d ov rò st ud i a re pu re io a
p a r ti re d a l pro s si m o a nn o) ch e m i h a n no fatto i l gior no ste s s o d el l'i s c r i zione. D i s ol ito è
p o co più che u n a m er a for m a l ità, m a i n r a r i c a si fu n ge d a “c a mp a nel lo d'a l l a r m e” ad
i nd ic a re l a n ece s sit à d i u n a r icerc a più approfond it a. I nuti le d i re qu a le fo s s e i l m io c a s o,
sic .
C o sì h a nn o d ov uto s co m o d a r e l 'O r acolo, che è u n vec ch ietto ad or abi le – a l m en o fi no a
qu a nd o non c a d e i n t r a nce, chè d a quel m o m ento i n p oi le co s e n on le m a n d a cer to a d i re: te
le sb at te i n fac c i a s en z a ta nti gi r i d i p a role.. Rob a che a l l 'o c cor ren z a s a r ebb e c ap ac i s si m o d i
copr i re d'i n su lti a n ch e le m a s si m e c a r ich e d el lo st ato!
Nel m io c a s o n on con o s co d i prec i s o co s a abbi a rivel ato su l m io conto, p erò p o co m a sicu ro
rob a p e s a nte – vi sto che d a a l lor a tut ti si s on m e s si a t r at t a r m i con d eferen z a. S e n on
add i r it tu r a ti m or reveren zi a le. E tut to que sto p er co s a? “Per c iò che è st ato d etto su d i te.”:
o d io si s si m a ti r iter a . Con tut to ch e, co m e appu nto ti d icevo, non s on o m ic a ta nto sicu ro ch e
si a tutto vero. Ad e s e mpio: e chi lo d ice, che io si a d av vero nato quel gior n o, i n quel luo go,
a quel l a d at a or a? L o s o stiene i l m io tutore, d a l m o m ento che a qu a nto p a re non h o a lt r i
p a renti i n vita. M a i l m io tutore è uo m o d i s c ien z a: p otr ebb e b eni s si m o e s s er si c a lcol ato
tutto i n m o d o d a fa r m i fa re u n fi gu rone. Non che si a i l tip o d a b a r a re, i ntend i a m o c i, e p oi
non si c api s ce n ea nch e b ene p erchè m a i d ov rebb e fa rlo.. Nè p er qu a le r a gion e l'or acolo
av rebb e d ov uto st a re a l suo gio co s en z a sbu gi a rd a rlo. B oh? For s e p er non sfi gu r a re
s m entend o u n a cot a l c a r ta nat a le, o m a g a r i er a n o tut ti d'ac cord o, m a.. p erchè? E
s opr at tut to: p erchè propr io io??
D av vero non c i r ie s co, ad a r rend er m i a l l'id ea d i n on e s s er e u n o nor m a le. Tut te que ste
a sp et tative che nut ron o su d i m e.. M a lo c api s c i che m i s ento s c h i ac c i ato d a resp on s abi l it à
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che neppu re co mpren d o fi no i n fon d o? E s e ave s s ero sb a gl i ato p er s on a? E s e m i ave s s ero
s c a mbi ato p er qu a lcu n a lt ro?
Cio è, d ico: e c co m i qu a, a l l'i mprov vi s o ve stito i n m o d o r ic co d op o a nni d i st r ac c i e
sp orc i zi a. E non sto p a rl a n d o d egl i ac ce s s or i for niti ad o gn i st ud ente, co m e i l br ac c i a le
pu r i fic atore d i legn o d i s a n d a lo e l 'a nel l i no i si aco d i qu a r zo c a r at ter i stic i d i n oi a lt r i d el
pr i m o a nn o..
G u a rd a che rob a: u n eleg a nte p er i zo m a, u n a col l a n a d'a rgento lu n g a fi n o a l lo ster n o, e p er
p end a gl io u n'a nkh fat t a niente m en o ch e d i bj a! Ti rend i conto? L a ste s s a s o st a n z a d el le o s s a
d egl i d ei, qu a lco s a su cu i p er s e col i si è p otuto s ol a m ente ip oti z z a re – fi no a l gior n o i n cu i
i l m io tutore l 'h a e st r at to co m e u n i l lu sioni st a d a l suo s c r i gn o m a gico. Ciò a d i re, s e mpre
lei: l a “fa m o s a” st a n z a s egr et a d iet ro l a p or t a che (s e Ra v uole) u n gior n o p ot rò va rc a re
pu re io.
Tut to que sto p er vi a d i u n oro s cop o e d i u n'i n d a gi ne d i tip o or acol a r e/m ed i a nico, che
r i s aputa m ente n on for ni s ce a lcu n a cer te z z a e propr io p er que sto nor m a l m ente viene “pre s a
con le pi n ze” . “Nor m a l m ente”, appu nto: i nvece io non s on o nor m a le. E non p erd on o
o c c a sion e p er r ip eter m elo. Tut ti qu a nti: si a i n s egna nti ch e co mp a gni d i st ud io. Sp e c ie quel l i
d el qu i nto a n no, ch e evid ente m ente s a nn o qu a lco s a ch e io n on s o. S a rei pronto a
s c o m m et terc i ch e gl iel'h a r ac contato i l m io tutore, ch e appu nto è u n i n segna nte a l l ivel lo
ava n z ato. (Pu re l ì, a lt ro m i stero: co m'è ch e s'è m e s s o a i n segna re s ol a m ente que sto a n no, e
pre su m ibi l m ente i n s egn er à s ol a m ente fi nta nto ch e io frequenterò que st a s cuol a? C api s co che
m i vo gl i a ten er d'o c chio. C api s co u n p o' d i m en o, i nve ce, co m e abbi a fat to a convi n cere i l
col legio d o centi ad a s su m erlo.. s opr at tutto co m e i n segna nte d i l ivel lo ava n z ato.)
O g gi er a pre s ente a n che lu i, a l l a m i a pr i m a le z ione d i levit a z ion e. (Sì, lo s o, è rob a d a
qu i nto a nn o, p erò a m e l a fa n no st ud i a re fi n d a subito.) Ci t rovava m o i n u n a st a n z a d a l
s offitto m olto b a s s o, le p a reti a n gu ste.. u n luo go m olto s ac ro, av volto nel l' o s cu r it à m a
tut t'a lt ro che oppr i m ente, i l lu m i nato s olo d a u n fuo co-ch e-non-si-sp egne-m a i. C 'er ava m o io
e i m iei co mp a gni d el qu i nto a nn o: i n tut to c i nque p er s one, i nc lu s o l'i n s egna nte. E r ava m o
s eduti nel l a p o si z ion e d el loto, d i sp o sti a V nel l a p eno mbr a, e io m i s entivo tut ti gl i o c chi
pu ntati add o s s o – p erchè (e te p a reva!) aveva no st a bi l ito a l l 'u n a n i m it à d i conced er e a m e i l
p o sto d'onore, l a pu nt a d el l a V d i r i mp etto a l br ac iere.
Aveva m o app en a co m i n c i ato ad ac cord a rc i nel c a nto d el “Ta gl io Net to” qu a n d o i l
b a ston c i n o d ava nti a m e co m i n c iò a vibr a re. L a regol a er a ch e non p otevo to c c a rlo, e n on
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d ovevo st ac c a rgl i gl i o c chi d i d o s s o p er tut t a l a du r at a d el l 'e s erc i z io, co sì n on m i r i m a s e
che sb at ter e le p a lp ebre – pu re quel l a, a z ion e d a evita re, ch e p erò er a a m m i s sibi le p er u n
pri n c ipi a nte.
Niente d a fa re: co m e h o r i ap er to gl i o c ch i, ed e m e s s o i l m io suon o, quel lo st upid o
b a ston c i n o h a fat to u n br u s co m ovi m ento rotator io su s è ste s s o, tip o l 'a go d el l a bu s sol a
qu a nd o viene sfer z ato d a u n for te c a mp o m a gn etico, ed è s c hi z z ato p er a r i a, m et ten d o si a
f lut tu a re d ava nti a m e a l l 'a lte z z a d el m io cuore. E tut ti a m or m or a re “m i r acolo! m i r acolo!”
a l le m ie sp a l le. E p oi lo s gu a rd o co mpi ac iuto, s o dd i sfat to e pien o d i a m m i r a zione d el m io
i n s egn a nte.. ODIO, che m i c àpiti n o que sto genere d i co s e!
I l m io tutore i nvece non h a d et to u n a p a rol a e s e n'è a nd ato. “Ti h o l a s c i ato s olo p er i l
re sto d egl i e s erc i zi p erchè qu a lcu n o av rebb e p otuto p en s a re ch e fo s si st ato io a fa r levita re i l
t uo b a ston c i n o.” è stat a l a su a spieg a z ione qu a n d o l' h o ri n cont r ato p o che ore più t a rd i.
C h e p a l le! M i c i m a n c ava s olt a nto que st a. Riu s c i re a l pr i m o tentativo, a n zi p eg gio: pr i m a
che gl i a lt r i a n che s olo co m i n c i a s s ero a con centr a r si .. Rob a ch e i più br avi st ud enti d el
qu i nto a nn o c i m et ton o s et ti m a ne d i a l lena m ento a nch e s olo p er s muoverlo u n p o chi n o, e
i nvece io.. Io n on volevo, p erò è su c ce s s o u gu a l m ente. M i c i s on gio c ato l a reput a z ion e.
Con fer m a n d ol a . Po co m a sicu ro, que st a s er a s a rò nuova m ente l 'a rgo m ento d i d i s cu s sion e
d el l'i ntero refettor io: i m iei co mp a gni sp a rger a n no l a vo ce, m a g a r i gonfi a n d o pu re
l'ac c a duto, e tut to c iò non fa r à a lt ro ch e cont ribu i re ad a l i m enta re le st upid e leggen d e che
gi à c i rcol a n o su d i m e.
Non vo gl io e s s ere te muto, n è t a nto m en o vener ato! Vo gl io a m a re ed e s s ere r i a m ato. C o m e
tut ti. C o m e u n o nor m a le.
11
M
entre guidavo verso casa di Bobby, ancòra rimuginavo sulla telefonata che
Alessandro mi aveva fatto quella mattina:
“Dice che si sente giù, ma non vuole rivelarmene il perchè. Mi propone di vederci, ma
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(11)
siccome è in rotta con sua madre, oggi no. Promette di farsi vivo lui, però se non lo sento
entro 4 giorni devo chiamarlo io. Bah! Molto Alessandro, comunque, non c'è dubbio: lo
stile è inconfondibile.”
Il punto è che non l'avrebbe mai ammesso apertamente, ma aveva bisogno urgente di un
amico vero – ed era consapevole che questa volta non sarebbe bastata una delle tante
“facce” di cui è solito circondarsi. Ma soprattutto l'imbarazzava terribilmente rendersi
conto di aver bisogno proprio di me.
E siccome qualcosa mi diceva che ciò non dipendeva unicamente dal senso di colpa per
non essersi fatto più sentire, agii d'impulso dando retta all'istinto che mi suggeriva di
svoltare:
“Bobby mi perdonerà, se questa volta gli do buca.”
Suono il campanello di casa De Dominicis, e risponde prontamente sua madre – col
caratteristico sibilo da pentola a pressione perennemente in lotta per non esplodere:
«Siiiiiiì?»
«Sono Alessio. Alessandro è in casa?»
Mentre riattacca senza rispondermi, capto un «Alessaaandrooo?» che ricorda la
Marchesini quando fa Donna Prassede, e un po' mi scappa da ridere..
Eccolo! Ogni volta che appare, mi mozza il fiato. Classica tenuta domestica: magliettina
intima bianca, pantaloni della tuta di felpa grigia, bianchi calzettoni da basket di spugna,
ciabatte da piscina nere, capelli alla Einstein (pure lui si pettina con lo stile dei Beatles),
barba di un giorno..
«Ehi.»: il suo solito saluto impacciato.
«Beh, io veramente starei andando da Bobby, ma dopo la tua telefonata.. Come ti butta?»
«Se vuoi ti accenno qualcosa. Ma è meglio se saliamo in macchina.»
Suppongo che per un qualche motivo (sua madre?) non fosse prudente parlarne in casa,
così ci accomodiamo nella Panda – dove con mia grande sorpresa mi confessa che Valeria
gli “piace molto”, specie dopo le ultime vacanze che ha trascorso con lei ed altri due loro
amici a Parigi, dove la sua sorellanza di vecchia data con lei avrebbe subìto il primo
sbandamento da parte di lui. Lui che più volte mi aveva sdegnosamente smentito una
qualsivoglia possibile infatuazione per lei.
Soltanto a Gennaio così scriveva, sul resoconto della giornata che mi aveva stampato:
Sfiga vuole che mia madre ha sentito la parola Madesimo. Mi
dice che non vuole che vada perchè è troppo lontano, dovrei
guidare per troppo tempo e poi dice che alle sei è troppo
presto. Che palle la Petèga, sempre la stessa storia.
L'indomani sarebbero dovuti partire in 4 per andare a sciare, ma gli unici sopravvissuti
indenni agli eccessi del Capodanno erano loro due: Alessandro e Valeria. Quando Angelo gli
dice che non può proprio unirsi a loro..
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"Cosa facciamo adesso? Telefono a Valeria e le dico che non
andiamo?", chiedo io. "Ma no, andate lo stesso voi, che
problema c'è?" "No mah.., va beh, chenne so, comunque che
sfiga!", dico io.
Non somiglia proprio, alla reazione di chi si vede regalare dal destino un'occasione più
unica che rara di rimanere da solo e per una giornata intera con la persona che ama, tu che
dici?
Ogni tanto riesco a fare addirittura venti-trenta metri a
spazzaneve senza cadere, per cui costringo Valeria a fare la
pista da sola perchè altrimenti non scierebbe mai. Io intanto
rimango seduto o in piedi in compagnia di un cane che mi fissa
con uno sguardo vuoto per tutto il tempo.
Valeria è una ragazza molto intelligente, non ce ne sono tante
così. [..] Durante la coda parliamo di tutto: di lei e dei suoi amori,
dei nostri amici e della scuola, dei nostri genitori, di lei che non
potrà uscire stasera per il ritardo, del bagno bollente che ci
faremo a casa, di come abbiamo passato e di come
passavamo il Natale da piccoli, di tutto, insomma.
Avevano tutta l'aria di essere i tipici discorsi che fanno tra loro le ragazze, quando si
spiattellano vicendevolmente il reciproco passato fin nei minimi dettagli, con una
trasparenza quasi spudorata. Eppoi: perché dire solo intelligente, e non bella? Perché
mandarla a sciare per i fatti suoi anziché starle accanto non foss'altro che per farle da
cavaliere?
Gliel'avevo anche domandato, dopo aver letto quelle paginette:
«Non è che tu per lei sotto-sotto “covi” qualc..»
Ma Alessandro non mi aveva dato neanche il tempo di finire la frase, manco l'avessi
accusato di incesto con la sua più cara sorella:
«Sempre a pensar male, tu! Io e Valeria siamo buoni amici e basta. Chiaro?»
Chiarissimo. Si vede dunque che galeotta fu l'aria romantica di Parigi ad Agosto.
“Il perfetto cliché, che più sdolcinato di così si muore.”, ironizzai fra me e me mentre mi
voltavo verso di lui, mettendomi comodo sul sedile della Panda per porgli la fatidica
domanda:
«Ne hai già discusso con Valeria? Dei tuoi mutàti sentimenti per lei, voglio dire.»
«Ma sei matto? No, no..»: scuoteva la testa con la sollecitudine di chi trova la cosa
follemente inutile, perfino controproducente. Nessuna timidezza era ancòra stata chiamata
in causa.
«Il fatto è che adesso lei si vede con Angelo.»
«E tu pensi che si metteranno assieme, giusto?»
«Naah! Non credo. Non tanto presto, almeno.»
(Se solo avesse saputo..)
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«Ho le mani legate: non ho altro da fare che rassegnarmi.», ed era pazzesco constatare
quanto il pensiero di battersi per la donna che diceva di desiderare non lo sfiorasse affatto.
«Posso solo aspettare che Angelo sancisca il fatto.»
«E a quel punto?»
«Boh? Magari comincerò a fare pesi per distrarmi. Vorrà dire che ci vediamo in palestra.»
Avrei tanto voluto svelargli tutti gli altarini dell'inciucio che si stava compiendo alle sue
spalle, ma era mio preciso dovere di amico di Angelo quello di rispettare la scelta sua e di
Valeria di tacere. Peraltro non sarebbe stato piacevole, per Alessandro, scoprire di essere
l'ultimo a saperlo a cose già fatte. Stavo angustiandomi nel dilemma dell' “E mo' che gli
dico?”, quando fu lui a rompere il silenzio:
«Chissà adesso cosa starai pensando di me. Non so davvero come scusarmi: ho passato
metà estate a pensare a Valeria e metà a pensare di telefonarti. Giuro. Ogni giorno andavo
al telefono, tiravo su la cornetta, ma dopo non sapevo cosa dirti. Eppoi credevo tu fossi
arrabbiato: non mi chiamavi più, forse ti eri stufato di me, e mi dicevo “E! Ci ha ragione:
l'ho trattato da schifo.”.. Così finiva che l'indecisione mi portava a rimandare al giorno
dopo, e a quello dopo ancòra.. Guarda: se non ti facevi vivo tu, proprio non so come
andava a finire.»
Sorprendente. Ma mai quanto constatare che avevo seguìto tutto il suo discorso senza mai
considerare Valeria una rivale da combattere: solo ed unicamente come una persona a lui
cara per via della quale soffriva. L'avrei cioè aiutato anche se ciò avesse voluto dire darmi
la zappa sul piede con le mie stesse mani: se non era Vero Amore quello..! Piuttosto ce
l'avevo con Angelo, per avergli soffiato la prima ragazza per cui pareva dimostrare
interesse.
Di ritorno a casa per l'ora di pranzo, mi imbatto nel nonno – sprofondato dentro a stivali
di gomma verde-oliva grandi il doppio di lui, e intento come al solito a prodigare amorevoli
cure al giardino:
«È stato qui il tuo amico. Angelo.»
«A che ora?»
«Mah, non so. Forse un'ora fa.»
«Ha lasciato detto qualcosa?»
«No. Gli ho detto che non c'eri, ed è andato via.»
“Strano: non è da Angelo, fare improvvisate alla spicciolata.”, riflettei entrando in camera
mia. Apro la finestra che dà sul giardino, faccio per sedermi al computer, quando mi
accorgo che.. Le monete! Era ritornata la pila di monete!
«NONNOOOO!» (Stava giù nell'orto, ed è pure un poco duro d'orecchi.)
«O'?»
«SAI MICA SE IL MIO AMICO È ENTRATO IN CASA?»
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«No. Era giù in strada. L'ho visto che arrivava da dietro la siepe.»
Scordai pure le buone maniere, e anziché chiudere con un educato “GRAZIE!” mi limitai
ad emettere un “Ah.” di constatazione a volume pressoché zero.
Certo, Angelo avrebbe potuto sgattaiolare in casa mentre il nonno era distratto. Ma per
quale plausibile ragione? Per il gusto di alimentare il mindgame del Piccolo Occultista?
Decido di non toccar nulla fino al suo arrivo, già previsto per quello stesso pomeriggio. E
così, alle 14.15..
«Mi ha detto mio nonno che sei stato qui.»
«Chi? Io?»
«La grammatica insegna che è facile desumere il soggetto dal verbo. Ma, esplicitando: mi
ha detto mio nonno che tu sei stato qui.»
«Quando?»
«Verso le 11.»
«No. Tuo nonno si sbaglia.»
«E quelle monete lì sopra la scrivania? Si sbagliano anche loro?»
«Quali mone.. ah: quelle. Perché le hai messe così?»
«Non ce le ho messe io.»
«Ma dai!!» (Come a dire: sei scemo o che cosa?)
«Supponevo ce le avessi messe tu.»
«Io?! E.. E..», cominciando a ridere sbuffando mentre parla, «E perché?»
«Questo me lo dovresti spiegare tu.»
«Beh, guarda, io di certo non ce le ho messe!»
«Neppure io. Dai un'occhiata nel tuo portafogli, allora.»
«Eh?»
«Forse sono le stesse dell'altroieri-sera. Solo che adesso sono ricomparse sulla destra.»
«Sulla sinistra, vorrai dire.»
«No. Sulla des..»
Avevano cambiato posizione. Oppure ce le aveva spostate lui, approfittando di un mio
attimo di distrazione.
«Ti dico che stavano da quell'altra parte.»
«Non so cosa dirti. Piuttosto occupiamoci delle cose veramente importanti: io e Valeria
abbiamo parlato, e abbiamo deciso che per adesso è meglio non dirlo, ad Alessandro, che io
e lei ci siamo messi insieme.»
«Ma se te l'ho anche spiegato, che lui..»
«Stai tranquillo: ci parlo io.»
«Non basta: lasciarlo nel dubbio è crudele e inutile. Prima o poi glielo dovrete pur dire,
no? E allora diteglielo sùbito: via il dente, via il dolore.»
«Ti scoccia se faccio una telefonata?»
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E
ra da esattamente un'ora che Angelo se n'era andato, e io stavo provando al
pianoforte le parole di “One-way love”C103 – la canzone che avevo “composto” per
esorcizzare quella penosa attesa. Quand'ecco che mia nonna mi interrompe per
dirmi che ha citofonato Alessandro.
“Uh? Alessandro?? Impossibile! Sarà Angelo. A meno che Alessandro non sia venuto qui
per conto suo, ma a che scopo?”, riflettei. “Non vorrei mai che ce l'avesse con me per non
essermi schierato, ma come avrei potuto far altro che rimanere equidistante fra i due miei
migliori amici in conflitto fra loro? Chissà che fine hanno fatto, i tempi in cui ambasciator
non portava pena. E chissà se ci son mai stati. Boh? Non resta che andargli incontro, e sarà
quel che sarà.”
Nulla di tutto ciò. Davanti ai miei occhi sbigottiti si para il più anomalo degli spettacoli:
Alessandro e Angelo, novelli Gianni e Pinotto, amiconi come non mai – ansiosi di
condividere con me il loro nuovo paradossale slogan: “o si diventava nemici oppure grandi
amici”. Mi astengo dal ragionar sopra un tale sproposito, e scendiamo per parlare.
«Cioè, non è che ci aspettiamo da te un giudizio morale sulla situazione..»
«Parla per te, Angelo. Io sì.»
«Beh, non è difficile, Alessandro: tu ti sei comportato da fesso, e Angelo da stronzo.»
«..però ci farebbe comodo un parere su come risolvere la questione.», concluse lui,
ingoiando le mie ultime parole sapendo di meritarsele – o quantomeno, apprezzando la mia
franchezza.
«Guardate: il semplice fatto che siate qua, di per sé presuppone che il problema sia già
risolto. L'unico per cui non è ancòra capitolo-chiuso sei tu, Alessandro, ma non ha senso
parlarne se non a quattr'occhi.», come infatti assentì.
«Piuttosto mi dichiaro offeso dal comportamento di entrambi: come al solito mi tirate in
causa solo a cose fatte. In particolar modo tu», rivolgendomi ad Alessandro, «è davvero ora
che cambi atteggiamento con me. Lo sai che per te io ci sono e ci sarò sempre, tu però devi
sfòrzarti un po' di più di spiegarti, di farti capire. Aiutami ad aiutarti, sennò ho le mani
legate dai tuoi stessi silenzi!»
Me ne stavo seduto in fondo al letto, Alessandro all'altro capo, Angelo sulla poltroncina
rossa accanto a lui. In un attimo di pausa, mi voltai a guardare l'orologio e mi cadde lo
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sguardo sulle monete – rettifico: sulla loro assenza. Angelo non mancò di avvedersene:
«Le hai messe via tu?»
Finalmente le individuai: stavano sopra la mensola più alta della libreria, allineate a
destra. Gliele indicai con un cenno del capo per non dare troppo nell'occhio. Precauzione
inutile:
«Forse dovremmo dirlo anche ad Alessandro, il fatto delle monete.»
Roba da pazzi! Solo un incosciente poteva buttar lì una frase del genere in un frangente
simile, e ciò mi fece ribollire il sangue.
«Quali monete?», domandò Alessandro. Che, per fortuna, non ci aveva ancòra fatto caso.
O, se le aveva viste, non aveva dato loro nessuna importanza: una normalissima manciata
di spiccioli che gira per casa. (Cosa poteva saperne, lui, che nel nostro caso “gira” non era
un modo di dire al posto di “mi ci imbatto spesso poiché le lascio in giro”, ma la pura e
semplice verità di monete semoventi?)
«Ora che siamo grandi amici, ci possiamo fidare a dirlo pure a te.», insistette Angelo, e
questa volta solenne come non mai.
Avrei voluto pigliarlo per le orecchie, ma mi limitai a interromperlo gelido:
«Ti spiace?», facendogli cenno di seguirmi in un'altra stanza.
«Che c'è?», mi domanda lui, con il massimo candore che ha sempre la sfacciataggine di
sfoderare dopo averne combinata una delle sue.
«Porta pazienza, Alessandro, ma Angelo ed io dobbiamo proprio scambiarci due paroline
in privato. Torniamo sùbito.»
Saliamo in soggiorno, nell'angolo più appartato – quello fra il caminetto, la finestra e
l'armadio. E lì m'incazzo:
«Scusa, eh, Angelo, ma.. che senso ha?»
«Come, “che senso ha”?»
«Dico: se diventi così amico di una persona in due giorni, cosa devo pensare dell'amicizia
di lunga data che hai con me? Altri due giorni e potresti cambiare idea, presumo.»
«Ma che c'entra!»
«C'entra eccome! Credi davvero che il tuo rapporto con Alessandro sia cambiato? Così, di
botto? Non eri proprio tu, che quasi fino a ieri mi dicevi: “Non me ne frega niente di lui, ci
esco a giocare a basket e basta”?»
Tace (riflette?), così lo incalzo:
«Ma soprattutto: ti sembra il caso, di spiattellare certe cose a cuor leggero?»
Angelo si ripiglia: dice che lo aveva preso “una sorta di delirio/euforia”, ma a ben pensarci
rivelare ad Alessandro fatti che già sfuggivano alla nostra, di comprensione, era un azzardo
assolutamente ingiustificato.
«È vero: hai ragione. No, il mio rapporto con lui non è cambiato.»
Concordiamo pertanto un più prudente silenzio circa “il fatto delle monete”, e per fortuna
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– dopo che Angelo ci ha lasciàti per i suoi soliti allenamenti – con Alessandro riesco a
cavarmela con una piccola white-lie.
Più difficile non fargli subodorare quanto mi “desse da pensare” (diciamo così) aver
trovato sul mio computer l'orologio di Angelo:
«Strano: non se lo leva mai.»
«Vedrai che appena se ne accorge mi telefona.»
Facile profezia, la mia: tempo un quarto d'ora e..
«Pronto! Alessio: è successa una cosa pazzesca.»
«Lo so: hai dimenticato qua il tuo inseparabile orologio.»
«Meno male: credevo di averlo perso.. Ma non ti chiamo per questo.»
«Ah no?»
«Dove l'hai trovato?»
«Sul mio computer, nel posto dove di solito ci metto il mi.. Oh cavolo! Non starai per caso
dicendomi che..»
«Che, invece. Proprio così: mettendo via il vespino in garage, ho visto che avevo al polso
sinistro il tuo orologio. Chiuso con entrambi i passantini: ti dice niente?»
«Perchè “mettendo via il vespino”? Non sei tipo da specificare dettagli irrilevanti.»
«Infatti: ti sto proprio dicendo che durante il viaggio avevo ancòra il mio.»
Quella notte fu davvero dura prender sonno.
Troppi pensieri. Troppe riflessioni. E, “tanto per cambiare”, non tutta farina del mio
sacco..
Tutto ha un suo tempo, nella vita.
E attraverso il tempo, tutto si evolve.
Le variabili in gioco tendono a diventare costanti.
E le variabili in gioco sono poche.
La vita –
che dal parto ci segue fino al letto di morte e oltre, facendo maturare lo
spirito in un corpo e poi liberandolo nel Tutto eterno.
L'amore –
che da desiderio erotico diventa la prima infatuazione, poi la prima
storia, poi il collante di un'unione lungo la vita intera.. e fors'anco oltre.
L'amicizia –
che trasforma due bambini che giocano con la sabbia ai giardinetti
pubblici in compagni di scuola o di squadra, poi in ragazzi che si
divertono assieme, poi in confidenti, poi in pilastri solidi, affidabili ed
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immutabili che si sostengono vicendevolmente nel tempestare assiduo
della bufera dell'esistenza.
Tutto il resto è l'accidentale.
E l'accidentale ha la stessa consistenza di un granello di sabbia per
l'enorme aspirapolvere dei secoli che scorrono secondo dopo secondo.
Perché, dunque, finiamo sempre con l'accapigliarci a causa
dell'accidentale?
Perché vita amore amicizia debbono paradossalmente dipendere da esso,
anziché il contrario?
Tutto ha un suo tempo, nella vita.
E attraverso il tempo, tutto si evolve.
La moltitudine ignora che la vita è un passaggio, necessario ma
accessorio.
Ed ignora l'abisso che separa l'amore del corpo corruttibile dall'Amore
infinito pulsante del balenare di stelle immortali.
Ignora pure la differenza fra un conoscente, con cui puoi distrarti per
un'ora, e un amico, che ti segue fedele per tutta la vita fino alle soglie
dell'eternità.
E nella moltitudine, qualcuno si perde. Qualcuno smarrisce
nell'accidentale le sue stesse variabili, annullando sé stesso nella morte
allorchè il suo corpo diviene polvere.
Ma tutto ha un suo tempo, nella vita.
E attraverso il tempo, tutto si evolve.
Ecco quindi che la moltitudine diventa i molti, i molti i vari, i vari i singoli..
Chi si risveglia, non torna indietro.
Chi si risveglia, verrà ferito, dall'accidentale, e molte volte.
Ma giammai soccomberà.
Dovrà aspettare che qualche altro suo simile Maturi e si distacchi dalla
moltitudine.
Tutto ha un suo tempo, nella vita.
E attraverso il tempo, tutto si evolve.
Chi si risveglia, saprà apprezzare la vita e con gioia uguale congedarsi da
essa.
Chi si risveglia, godrà della fusione in una parte del tutto eterno concessa
dall'Amore – quale unica eccezione al mondo necessariamente accidentale
della materia grezza.
Chi si risveglia, proverà il gaudio dello spirito non più nel comunicare i
suoi propri pensieri, ma condividendo sé stesso medesimo tramite
l'amicizia.
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La domanda è: quando?
La risposta è: prima o poi.
Tutto ha un suo tempo, nella vita.
E attraverso il tempo, tutto si evolve.
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U
dii squillare il telefono. Presagendo che potesse trattarsi di Angelo, mi scrollai il
sonno di dosso e feci ciò che più detesto fare: precipitarmi giù dal letto senza
prendermi il mio bel quarto d'ora di dormiveglia post-risveglio – vale a dire, quel
fondamentale periodo fisiologico di tempo dedicato alla transizione fra il sonno e la veglia.
Nel preciso istante in cui grugnii con la bocca ancòra impastata il mio: «Pronto?»,
dimenticai il prezioso contenuto di quell'ennesimo “sogno strano” – in realtà, nient'altro che
una delle innumerevoli lezioni che vengono quotidianamente impartite durante il sonno ad
ogni Predestinato che si rispetti.
Oddio: dimenticai per modo di dire. Ma il fatto è che era ancòra troppo presto perché io
potessi accedere a questo frammento di Conoscenza, che mi era stato instillato in modo tale
che potessi recuperarlo solo in un secondo tempo, quando fossi stato in grado di capirlo.
Altrettanto l'ho voluto anticipare a te. Non occorre rileggerlo, né tantomeno impararlo a
memoria: già ci sta, lì, che tu te ne avveda oppure no. Vedrai che se lo lascerai sedimentare
nella tua mente, sarà esso stesso a capirsi per te.
«Sono Angelo. Stavi dormendo?»
«Questa frase devo averla già sentitta da qualche parte..»
«E non sarà l'ultima volta. Per questa sera sei già impegnato?»
«Con te, presumo.»
«Allora vienimi a prendere, diciamo.. alle sette e venti.»
A tutt'oggi non mi riesce di spiegarmi perché un cultore del Perenne Ritardo come Angelo
si tenga alla larga dal dare appuntamenti ad orari più normali – che so?, le sette e mezza.
Nossignore: sette e venti. Oppure otto e quaranta, anziché le nove meno un quarto.
E le 19.20 furono, ma prima di vederlo arrivare dovetti fare il fossile davanti al cancello di
casa sua per almeno un quarto d'ora. (Fatto alquanto bizzarro, il mio anticipo medio
equivale al “minimo sindacale” di ritardo del mio amico.)
Angelo reggeva il suo videoregistratore sottobraccio, più intento a non inciampare nei fili
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che a sistemarli ordinatamente, e più preoccupato di mantenere la videocassetta in
equilibrio piuttosto che riporsela al sicuro nella tasca della giacca.
«Sei in anticipo.», lo canzonai, aprendogli la portiera dall'interno. Lui la spalancò, la
bloccò con la schiena, entrò, la richiuse.. il tutto senza proferir parola.
«In anticipo sul ritardo, intendevo dire.», ma questo l'aveva già capito da sé.
Non feci in tempo a girar la chiave e fare manovra che il cavo di alimentazione del suo
VCR minacciava di aggrovigliarsi come un'edera alla leva del cambio. Inutile sperare che
Angelo se ne accorgesse. O per meglio dire: accorgersene, se n'era accorto senz'altro. Ma
dare una mano quando non glielo si sia richiesto esplicitamente.. beh, semplicemente non è
da lui. Così dovetti arrangiarmi.
Semaforo verde. Curva a sinistra, e siamo sulla provinciale. Da qui in poi, sempre dritto
fino alla frazioncina che sta sul confine fra il paese di Angelo e il mio: curioso che essi siano
vicini ma separàti, e il primo a nord del secondo, proprio come Karnak e Luxor.
“Mi sta venendo voglia di una pizza.”, penso io.
«Ti andrebbe una pizza?», dice lui.
La conclusione è una sola, e fin troppo ovvia per volerla esplicitare. Com'è altrettanto
ovvio che dopo aver cenato si sia scesi in camera mia..
«Guarda un po' se le monete stanno ancòra lì», dissi ad Angelo mentre mi toglievo le
scarpe.
«Non starai mica facendotene una fissazione?»
«Chiamala piuttosto un esperimento scientifico. Allora: ci sono oppure no?»
«Ci sono, ci sono. Piuttosto, tu collega il videoregistratore.»
Obbedii. Frattanto Angelo aveva già orientato il letto verso il televisore, ed alzato la testata
trasformando il mio versatile giaciglio in una specie di chaise-longue a due posti.
Spensi la luce e feci per andare a sedermi al mio posto quando, anche a rischio di
rendermi ridicolo agli occhi di Angelo (“Una volta in più, una in meno, cosa cambia?”,
direbbe lui simpaticamente)..
«Se non ti dispiace, io di queste monelle mi fiderei poco.»
«È troppo, chiederti cosa cavolo stai facendo?»
«Le sto disponendo in fila l'una dopo l'altra, orizzontalmente..»
«Ecco fatto! Mo' stiamo un po' a vedere, se hanno intenzione di andare avanti a giocare!»
«“Giocare”?»
«Si fa per dire. Intendevo dire: impilarsi. Stiamo a vedere se tornano ancòra a disporsi
l'una sopra l'altra.»
«Tu sei matto.»
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«Per tua grande, sfacciatissima fortuna. Sì.»
Comincia il film, e con esso le “curiose coincidenze”: faccio cenno di dover andare al
cesso e lo chiamo all'americana “john”, e proprio in quell'istante compare un John nei titoli
di testa del film; Angelo ìncita un giocatore a lanciare una palla curva, e quello così fa;
stupìto che il suo suggerimento fosse stato accolto, Angelo esclama: «Cristo!», e il tizio gli
fa eco dallo schermo quasi all'unisono..
Simili coincidenze si sprecheranno, nel corso della visione, ma lì per lì non ci faccio
granchè caso – dal momento che accade dell'altro a catturare il mio interesse..
«Sarò monomaniaco e tutto quello che vuoi tu», ammisi ad Angelo dopo esser stato in
bagno, «ma queste monete proprio cominciano a darmi sui nervi.»
«Ma lasciale perdere, e vieni qua a sederti! Ti pare il modo, di vedere un film?»
«C'è qualcosa che non mi quadra. Non è che le hai toccate tu, vero?»
«Toccate cosa, se non mi sono mai mosso da qui?»
«Se lo dici tu. Sta di fatto che qui ne manca una: per l'esattezza, il primo centolire di
sinistra.»
«No, scusa: come fai a sapere che prima erano sei e non cinque come adesso?»
«Che razza di domanda: me l'ero segnato, ovvio!»
«Tu sei pazzo. Dai, andiamo avanti a vedere il film.»
Dopo circa una mezzoretta, Angelo chiama pausa-patatine: apre il sacchetto, si versa da
bere, e intanto io – “malato” come un botanico che aspetta trepidante di veder sbucare
l'erbetta appena seminata – torno alle monetine:
«E allora? Che mi dici? Si sono impilate?»
«No. In compenso è sparito un altro centolire. Faccio partire io?»
Fu in quell'occasione che ebbi la netta sensazione di aver lasciato di stucco il mio amico,
tornando a dedicarmi al film senza altro commentare. Fino a quando..
«Questo posto mi torna familiare.», e me l'ero lasciato sfuggire di bocca senza neppure
lontanamente immaginare che Angelo stesse provando la medesima sensazione.
«Anche a me.», ammise lui, con l'aria seccata di chi è costretto suo malgrado a
riconoscere qualcosa che invece sperava di riuscire a ignorare.
Il luogo in questione era proprio quel “field of dreams” che dava titolo al film: un campo
di mais che sia io che Angelo avevamo già veduto in sogno senza poi ricordarcene al
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risveglio, senza però neppure poterci esimere da un vago sentore di deja vu nel riconoscerlo
subconsciamente.
Ci rimuginai sopra per tutta la durata del film, ma alla fine:
«Credo di aver capito dove si trova, Angelo.»
«Che cosa?»
«Quel posto.»
«Dovremmo andarci.»
«Hehe! Non ti facevo così brillante. Gran bella battuta, dico davvero.»
«Quale battuta?»
«“Andare in quel posto.”»
«Che ne dici? Andiamo a ispezionarlo, quel campetto sulla “strada dei boschi”?»
«Tu mi stupisci.»
«Perché ho indovinato il tuo stesso posto?»
«No: perché stasera sei una vera miniera di umorismo. Prendere sul serio 'ste cavolate fino
al punto di andare a cacciarci col fango fino alle ginocchia, a quest'ora di notte, in un tratto
di campagna spoglia sperduto..»
«Mi stai forse dicendo che non te la senti?»
Il tempo di munirmi di una torcia elettrica, e ce lo accompagnai. E ciò che vidi mi lasciò di
sasso: il campo stava proprio lì dove ce l'eravamo immaginato – un rigoglìo di pannocchie
dorate nel buio pesto di quella notte. La qual cosa per inciso non aveva senso alcuno, dal
momento che..
«Ci sono passato lunedì, Angelo, e lo stava sarchiando un aratro. Ti giuro: era una tabula
rasa.»
«E non basta: guarda qua!», mi indicò lui con un ampio gesto del braccio.
Lì, annegato in mezzo a fusti di mais così fitti che parevano quasi un bosco di bambù, un
curioso quadrato di terreno sopra al quale non era spuntato nulla se non qualche sporadico
ciuffo d'erba:
«Tale e quale a un campo da baseball in miniatura.», sentenziò Angelo.
«Ma va là! È soltanto una coincidenza. Ammetto che la forma è insolita, ma sarà per via
della rotazione delle coltivazioni: si vede che l'altr'anno il mais l'avevano piantato qui, e
quest'anno lasciano ripos..»
«Solo in questo quadrato di terreno? Saranno sì e no una manciata di metri quadri: così
poco?»
«Si vede che era un esperimento-pilota, per vedere se in questa zona cresceva bene.
Chennesò!»
«E come te lo spieghi – l'hai detto tu stesso – che solo lunedì non avevano ancòra neanche
seminato e ades..»
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«Ma è chiaro: mi sarò confuso con quest'altro campetto.», e gl'indicai quello dall'altro lato
della strada. «Noti le zolle? Ribaltate di fresco. Probabilmente ricordo male, e l'aratro che
ho visto stava sulla mia sinistra al ritorno anziché all'andata.»
Che curioso fenomeno, questo continuo scambiarci a turno il ruolo del convinto e del
confutatore. Infatti, nonappena rincasàmmo..
«Come stanno le tue monetine, Alessio?»
Controllai:
«Male: avvizziscono.»
«Eeeh?»
«Ne è scomparsa un'altra: adesso sono rimaste appena in tre – più il duecentolire, e il
centolire solitario a mo' di fanalino di coda. Tu ci capisci qualcosa?»
«Dovrei?»
«Come non detto. Piuttosto: mi sa che a questo punto è meglio marchiarle. Prendi!», e gli
lanciai al volo un uniposca nero.
«Cosa ti aspetti che ci faccia?»
«Uffa. Possibile che bisogna spiegarti sempre tutto?», lo canzonai. «Un segno di
riconoscimento per ciascuna moneta. Quello che preferisci: un puntino, una crocetta, un
ricamo..»
«Che c'entra il ricamo?»
«Niente. Battutona su “punto e croce”. Lascia stare: facci un puntino che va più che
bene.»
«Fatto. Adesso però mi spieghi a che cosa serve?»
«Forse a niente, forse a tutto. Tanto per incominciare: non ho mai fatto caso se le monete
si ribàltino, prima di sparire. D'ora in avanti, il puntino ci consentirà di stabilire il sopra dal
sotto.»
«“Ci”?»
«Vabbè, OK, il fissato sono solo io: mi.»
«S'è fatto tardi: mi puoi riaccompagnare a casa?»
«Ai duoi ordini, bwana badrone.»
Disconnesso il videoregistratore ed arrotolàti i cavi come dio comanda per impedire che
tornassero a intralciare le mie manovre, saliamo in macchina e..
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«Ah già, Angelo: e la videocassetta?»
«È nel video. Ti sei ricordato di riavvolgerla (sei il solito fissato) ma non di toglierla.»
Lo scaricai dove l'avevo fatto salire, vale a dire davanti al cancello che sta sul retro del
palazzo dove abita. Stavo per andarmene, quando Angelo mi bussa al finestrino:
«Sì? Che d'è?», abbassandolo con la manovella.
«Per quale motivo hai fatto manovra prima di farmi scendere?»
«Così dopo ero già pronto per partire.»
«C'era da aspettarselo. E così hai fatto fare a me il giro larg..»
Angelo volta con uno scatto il suo sguardo a sinistra, “puntando” il tratto di strada davanti
a me con l'espressione di un cane da caccia che ha fiutato una preda. Poi appoggia il
videoregistratore sul tettuccio apribile della Panda, e schizza via di corsa giù per la strada.
Impossibile seguirlo. Inutile chiamarlo. Così non mi resta che attendere..
Fa ritorno poco dopo, tutto ansimante – e se un fissato con la corsa come lui ha il fiatone,
credimi: significa che ha corso davvero parecchio.
«Che cosa cavolo..?»
«Mi era parso..», respirone, «come di vedere..», respiro profondo, «un tizio che correva
dietro a quella macchina.», e l'affanno gli era già bell'e che passato.
«Embè? Se anche fosse?»
«Beh, a parte che non mi sembra questa l'ora di fare jogging.. Quel tizio correva tutto
tranquillo, fresco e riposato, e la macchina andava almeno a settanta all'ora. Cià che vado.»
Non avevo idea di cosa pensare, men che meno di cosa dire, pertanto mi limitai a salire in
macchina. Fortuna che Angelo pensò bene di riprendersi il videoregistratore prima che io
partissi tipo l'avvocato di “Un pesce di nome Wanda”, dimenticando che stava sopra il
tettuccio.
Stavo tirando su il finestrino, quando Angelo fece retro-front e tornò a bussarci sopra: e
alè con quella manovella!, ad abbassare il finestrino per l'ennesima volta.
«Oui?»
«Dov'è la videocassetta? Qui non c'è più: guarda tu stesso.»
In effetti, sotto lo sportellino, nessuna traccia della videocassetta.
«Io pensavo l'avessi tolta tu.»
«E con quali pinze? O vedi forse qualche presa elettrica qua in giro, per accendere il vid..»
«E allora?»
«E allora si vede che l'abbiamo lasciata a casa mia: evidentemente mi ero ricordato di
toglierla, e tu hai preso un granchio quando hai creduto di vedercela ancòra dentro.»
«Può darsi: dopotutto era buio-pesto. Vorrà dire che me la ridai domani. Buonanotte.»
«Speriamo.», e ripartii.
Però stavolta col finestrino abbassato: non si sa mai.
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(13)
L
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a vita è una bizzarra combinazione di “fare” e “lasciare che accada
da sé”, di azioni e pazienza, di coraggio e sopportazione. Se tu
conoscessi con precisione e certezza il tuo destino, smetteresti di
agire aspettando che il tutto si compia da sé. Oppure ti rifiuteresti di
lasciar libero corso agli eventi e, ribellandoti, agiresti freneticamente a
sproposito: andando a caccia di mulini a vento, magari arrivando a toglierti
la vita – prima di aver considerato che vi è sempre un motivo ed un fine,
anche e soprattutto per il dolore.»
« I l d olore, gi à. For se l' u n ic a cer te z z a ch e m i re st a. »
«Il dolore è moneta di scambio: un travaglio necessario per maturare
dentro, una promessa di grandissima gioia futura. Ma ora ti ci vuole
pazienza, moltissima pazienza. E resistenza.»
« Non r id o, non pi a n go: a sp et to. »
«Una volta finito di piangere, imprecare, incolpare, giudicare, maledire,
rinfacciare, accusare, rimproverare.. rimane solo un problema da
risolvere.»
« I n que sto m on d o, i m a l ati non s olo r i fiuta no le cu re, m a a n zi ved end o ch e t u i nvece s ei
s a n o vor rebb ero fa r ti a m m a l a re. L'ot t u sità è u n vi r u s a s s a i st r a n o: i conta gi ati m et ton o i n
qu a r a ntena chi ne è i m mu ne. Troppi a n gel i, o g gi, d e c id on o d i st r app a r si le a l i: co m e , aver
fed e che i l lu n go t u nnel pr i m a o p oi fi ni r à, qu a n d o i l pio mb o d el lo s m o g te le app e s a nti s ce
fi no a rend erle i n s opp or t abi l i?»
«Fai ciò che puoi, e abbi fede per ciò che sta aldilà delle tue possibilità
attuali. Dunque fa' del bene, ma non sforzarti di cambiare il mondo: anche
questa è umiltà; anche questa, saggezza. Occhi fissi all'Eterno! Il cosiddetto
“reale” è un oggi senza domani che vuol distrarti e portarti via il tuo
domani, ma non temere: nulla di quel che fai è mai veramente sprecato.»
« Co s a h o fat to o g gi p er vivere? Niente. O ppu re tut to: s on o s opr av vi s suto a u n a lt ro
gior n o. S o, d i e s s er e i n gr a d o d i fa rcel a, m a i l pu nto è ch e n on s o co s a ! M i l a m ento ch e non
ce l a fac c io più, e conti nuo a r ip eter m elo co m e u n id iot a. Chi s s à ch e d i que sto p a s s o non
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(14)
fi ni s c a u n a buona volt a col n on pren d er m i più su l s er io!»
«La cattiva sorte non esiste: solo un destino intricato oltre l'umana
comprensione. Soltanto un'aquila reale con le ali tarpate da secoli,
potrebbe comprendere il tuo tormento. Ma non lasciare che gli eventi ti
strangolino, e che la vita caotica stringa in assedio tutto te stesso: continua
a vivere nella grande città, ma di quando in quando volgi lo sguardo alle
immensità del cielo, e ricorda che – dopotutto – la vita non è altro che un
gioco misterioso. Crudele e spietato, a volte, ma pur sempre un gioco a
tempo: tutto passa.»
« I l m on d o: u n luo go m er avi gl io s o re s o pre s s o chè i nvivibi le d a i suoi abita nti: fa l si,
cor rot ti e cor r uttor i. Può e s s erc i p o sto p er u n a gnel lo, fr a t a nti lupi?»
«C'è un po' di medioevo da scontare in tutte le epoche.»
« M i r at t r i st a avere i mp a r ato a m ie sp e s e ch e non puoi obbl i ga r e n e s su n o ad ac cet ta r e i l
b en e ch e gl i fa i. A l m a s si m o, s a rebb e i n tuo p otere fa rgl i ac cet t a re i l m a le, i mp on en d oti.»
«Offri amore a tutti, ma non darti pena per chi lo rifiuta. Il male non va
agito; il bene, appena si può. Fa bene, fare del bene, e fa pure stare bene.
Chi ne fa si aspetti di riceverne, ma senza domandare quando: la vita non è
un concorso a premi, una buona azione non “vale un bollino”! Guarda il
cielo: il vento, forte della sua invisibilità, ti insegnerà che la vita è la tua
avventura. Essenziale è l'Amore globale, non le sue singole manifestazioni
(per quanto importantissime). Gli amici e gli amori ti aiuteranno nel
cammino, ma ricorda: la strada è solo tua.»
« M a co m e può , l 'A m ore..? Qu a le for z a s a r à m a i, p er s cuotere co sì nel le profond it à i l m io
spi rito? Un i ntero u niver s o ch e vac i l l a a l s offio d i u n pro d i gio, co m e n on fo s s e a lt ro ch e u n
e si le c a stel lo d i c a r te!»
«L'Amore saltella leggiadro sopra la corda tesa sul confine tra razionale
ed irrazionale, prendendosi beatamente gioco di entrambi. Ecco perchè
non c'è bisogno di banderuole, nella Terra del Vento, ma di alberi dalle
salde e forti radici. È troppo facile, godere della natura in un bosco: un
fiore nell'immondizia parla della bellezza più ad alta voce. Notare la
bellezza nelle conchiglie è facile: il difficile sta nel riconoscere altrettanta
bellezza nella sabbia che calpesti. Similmente, amare la propria “anima
gemella” è facile: il difficile sta nell'amare tutti gli altri esseri (umani e non)
con altrettanto ardore. Le stelle appaiono piccolissime, a te che sei
lontano, ma in realtà ti rendi ben presto conto di quanto siano enormi mano
a mano che ti ci avvicini: così ogni essere vivente, e in particolar modo
ogni essere umano. La perfezione nelle forme trascende le dimensioni: sia
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(14)
la conchiglia più grande che quella più piccola irradiano il medesimo
splendore, e così gli uomini. Ma essi non ne sono ancòra consapevoli.
Molte persone preferiscono vivere in una gabbia (mentale o geografica)
anziché guardare in faccia la realtà, imparando a gestire sé stessi nelle
vastità sconfinate della Libertà. Che già possiedono, senza però sapersene
rendere conto.»
« L a m a g gior p a r te d el l a gente è sup er fic i a le, e s e mbr a o d i a re l 'id ea ch e qu a lcu n o p o s s a
a r r iva re a con o s cerl i.»
«Sospetto che ciò sia dovuto al semplice fatto che la gente, tanto per
incominciare, non conosce nemmeno sé stessa.»
« Co m e p o s s o e m a n c ip a r m i d a chi a m o, fi nta nto chè s on o add i r it t u r a s ch i avo d i chi
d ete sto?»
«Prima del coro, occorre imparare ad ascoltare il canto d'una singola
voce. Amare chi ti ama è facile. Amare chi non ti ama, lodevole. Ma in
questo mondo imperfetto, amare chi ti odia è roba da santi: tu astieniti
dall'odio – è già molto, sai? Ma quando senti che qualcosa ti striscia
dentro, usa pure il lanciafiamme. Ché dall'ira repressa germoglia l'odio,
come un rampicante che s'insidia nell'anima: piuttosto reagisci, limitando i
danni allo sfogo minore.»
« Vivere è l a co s a più d i su m a n a che io con o s c a. A volte n on s o s e prefer i rei t rova re l a for z a
p er ti r a re ava nti oppu re p er a m m a z z a r m i.. a volte s on o co sì st upid o!»
«La funzione della solitudine è quella di preservarti da legami dispersivi
con gente dappoco, spingendoti contemporaneamente ad intensificare gli
altri.»
« Sto lenta m ente m a i n e sor abi l m ente p erd en d o le t r ac ce d i m e ste s s o. C h e si a i l pr i m o p a s s o
p er r it rova re i l vero m e, p erd ere quel lo fi nto?»
«È sciocco insistere a voler proseguire un viaggio prima di aver
recuperato le forze pienamente. Talvolta, prima di poter andare avanti,
occorre tornare un poco indietro. Il mondo “concreto” è soltanto una
convenzione, e la materia è quanto dello spirito risulta visibile ai 5
miopissimi sensi umani. Il corpo stesso non è che un tatuaggio
temporaneo sull'anima, che indossa le maschere della personalità, ogni
vita una diversa dall'altra, per ottenerne differenti punti di vista sulla
medesima realtà. Non solo le nuvole non possono annientare il sole, ma
pure esse sono soggette alle stagioni: è normale che predominino in
inverno, così com'è normale che si esauriscano con le piogge di Aprile. Ma
soprattutto è bene ricordarsi che, quando qui piove, altrove c'è sole:
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perché restar qui a piangere quando, e basta volerlo, puoi recarti là e
continuare a sorridere? Devi sempre esser cauto, vigile e con gli occhi
bene aperti: il “reale” è come un buco nero, capace di risucchiare uno
spirito gracile dentro un mare di calamità apparenti.»
« Io vo gl io s olt a nto con o s cere l a ver ità.. »
«E lo dici come fosse una richiesta da nulla! Le stelle la sanno lunga sul
mondo, eppure saggiamente preferiscono tacere. Il punto è che, più del
conoscere la verità, è importante essere in grado di farne uso con
oculatezza. Tu stai lentamente imparando l'umiltà e con essa la pazienza,
che altro non è se non l'umiltà del tempo. Presto conseguirai pure la
pazienza della lingua, ossia sottrarre parole e moltiplicare i silenzi. E la
pazienza dell'orecchio, poichè è bene che tu impari ad ascoltare di più.
Vedi, seguire le vie dello spirito significa passeggiare per il caos del
traffico cittadino all'unisono con il pacifico fluire delle nuvole nel cielo: un
lieve contrasto bianco immerso nel blu. Domanda a te stesso quanti fiori
hai già schiacciato, conta quelli che rimangono, e poi decidi: quanti ancòra
puoi permetterti di distruggerne? Il dolore insegna, è vero, ed è la sua
unica ragion d'essere.. Ma la consapevolezza, ancòra di più.»
« Pr i m a n on s ap evo d ove a nd a re, i mpr i gionato nel l a g abbi a d el l a r a z ion a l ità. O r a s on o
l ib ero, m a pu r p otend o s cegl ier e non s o d a che p a r te d i r i ger m i. M a s o ch e pr i m a o p oi i l
m io i ntù ito, a s s opito d a l l a lu n g a e a l ien a nte pri gioni a, si r id e ster à e gu id er à con sicu re z z a
le a l i d el m io p ens a re. I l pu nto è ch e io s o e non s o, e que sto b a r at ro i l lo gico ch e m i si apre
s ot to a i pied i m i t u rb a: m i a sp et terei d i pre c ipita rc i, e i nvece vi re sto s o sp e s o s opr a a
m e z z'a r i a. Non h o n ea nch e p au r a! S olo, m i s ento u n p o' st upid o.»
«Ogni spiegazione razionale ha in sé una grande spiegazione ultrarazionale che ha tanta voglia di sbucare fuori. Dovresti abituarti a non
vederci proprio nulla di stupido, in ciò che “da essere umano ragionevole”
saresti portato a bollare come tale.»
« Non h o a n còr a c apito s e sto i mp a r a nd o, re-i mp a r a n d o, oppu re r icord a nd o. For s e sto s olo
appl ic a n d o . È l'i m m a gi na re i l m on d o spi ritu a le u s a n d o le c ategor ie e gl i s ch e m i d i quel lo
m ater i a le, a freg a r m i. M a, for s e, m olto m en o d i quel ch e s a rei p or tato a c r ed ere: e pu re
que sto, m i freg a.»
«È facile ma fuorviante, e quindi dannoso, lasciarsi andare a intuizioni
oggettivamente fuori della propria portata: sul sentiero del pensare è bene
camminare, lenti oppure a passo spedito, ma senza correre – altrimenti è
solo questione di tempo e poi si finirà con l'inciampare.»
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« Fac c io i l p o s sibi le p er ad egu a r m i ed obb ed i re con u m i lt à a m e c c a niche a ld i l à d el m io
at tu a le gr a d o d i co mpren sion e. Sb a gl io, a r itenere che i l m io cò mpito p er s on a le, i n que st a
e si sten z a ter ren a, con si st a nel m et tere i n ord i ne c iò ch e d ip en d e d a m e?»
«Il tuo còmpito consiste nel tentare il possibile. Quello del Fato, tutto il
resto.»
« Co m e a gi re, a l lor a? »
«L'esperienza, se non viene scordata, diviene saggezza – e quel po' di
saggezza che ha senso scrivere, ha molto senso leggerla. La ricchezza è
una pianta sacra: al sole germoglia, mentre al chiuso deperisce
rapidamente e infine soccombe strangolata dal silenzio. Ma soprattutto:
nessuna ricchezza vale quanto quella donata, proffusa generosamente così
come fa il mare con i suoi tesori. E nessuna ricchezza val meno di quella
imprigionata.»
« M i st a i d icend o ch e s e con d o te d ov rei s c r ivere u n l ibro? »
«Nulla vale aldifuori dell'interpretazione che se ne dà. Felice Risveglio, o
figlio della Fenice!»
Aprii gli occhi, ed era la mattina dell'otto ottobre: una data che ha un che di comico già
nell'incespicare quasi balbuziente dell'allitterazione – più ritmica di un sette settembre, meno
scorrevole di un nove novembre o dieci dicembre. E qualcosa di ridicolo stava appunto per
accad..
UUUUUUUUUUUT!
«Sì?»
«Ivano al telefono.»
«Vado!», e mi precipito a rotta di collo verso lo studio del babbo.
«Ciao. Sono Ivano.»
Contai i punti esclamativi: zero. “Non è da lui.”, pensai. “Dev'essere successo qualcosa.”
«Ehilà. Allora? Ci sei stato, in università?»
Facile indovinare dal mio tono di voce che già gli parlavo in qualità di futuro collega
psicanalista – e, in un certo senso, come suo mèntore: fui io ad attaccargli la “febbre” da
santone occidentale.
«Sì.»
Ivano laconico è una specie di ossimoro. “Allora la faccenda è grave sul serio.”, penso.
«Vuoi dire.. che non siamo passàti?»
Sarebbe stato il colmo: avevamo già stravinto al test d'ingresso di altre università, e
proprio per via del fatto che là ci eravamo classificati nella “Top 30” avevamo osato sfidare
la legge delle probabilità (e quella di Murphy).
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«No, è che.. Io ce l'ho fatta per un pelo: mi ha salvato il voto della maturità. Tu invece sei
arrivato 46 posti dopo il limite.»
Inghiottii il rospo e tacqui.
«C'è ancòra il ripescaggio del 18, non devi darti per vinto. Eppoi è stata solo una
stupidissima questione di punteggi: non è giusto, che il voto di maturità abbia più peso del
test attitudinale. E magari, anzi sicuramente, tu hai fatto un test migliore, però il mio 58 alla
maturità mi ha salvato e il tuo 50 no. Mi spiace.»
Ivano sapeva bene quanto ci tenessi a intraprendere l'unico corso di studi che mi pareva di
una qualche utilità, in mezzo alla mischia di vanitas vanitatum del mondo “moderno”. Dal
tono dimesso con cui parlava, avrei detto che si sentisse in colpa per aver scippato (con il
suo ingresso in lizza) una possibilità a me – che l'avevo sbloccato dal suo iniziale
tentennamento circa il corso di studi da intraprendere, dopo un diploma in elettronica in cui
né io né lui ci riconoscevamo affatto.
“Bando ai disfattismi: mal che vada, mi iscriverò in un'altra sede.”, stabilii, dopodichè –
da buon abitudinario del venerdì mattina che sono – me ne uscii alla volta dell'ufficio
postale.
Nuovamente a casa, prima di sbrigare la corrispondenza, mi tornò in mente la
videocassetta in nome della quale mi ero addentrato senza macete in una intricata foresta di
stupidissime pannocchie. Che fine aveva fatto? In casa pareva non aver lasciato traccia
alcuna.
“E adesso chi lo sente, Angelo?”
Lupus in fabula, squilla il telefono:
«Ciao. Sono io. L'hai poi trovata la videocassetta?»
«Stavo giusto cercandola, ma non mi riesce di capire dove accidenti si sia andata a
cacciare.»
«Lascia perdere: l'ho trovata io.»
«Maddai? E dov'era?»
«Dentro al videoregistratore.»
«Nel videoregistratore?! Ma come? Ieri abbiamo guardato in due, e lo sportellino era
vuoto come la scatola cranica di mio “fratello”!»
«Appunto. E non è questa la cosa più strana.»
«Ah no?»
«No. Tu la cassetta l'avevi riavvolta, dico bene?»
«Dici bene. E allora?»
«Allora, non mi spiego perché stava puntata circa a metà del film, dove viene
continuamente ripetuta una frase.»
«Quale frase?»
«“Lenisci il suo dolore.”»
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Il dolore di chi?
A me tornava ovvio: il mio. Chi aveva trovato il messaggio? Angelo. Chi potevano esserne
i destinatari? Io o Angelo. Chi aveva bisogno di un amico che lenisse il suo dolore? Angelo
aveva avuto me, per sopravvivere a Cleo, e ora aveva trovato Valeria. Ergo..
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(15)
P
erché abbia i contorni bruciati dal fuoco lo scoprirai poi. Per adesso, vorrei che tu ti
soffermassi un poco sull'infinita gamma di interpretazioni che questo semplice,
complesso messaggio ti offre.
Ho detto “complesso”, bada: non “complicato”. Tra le due parole c'è la medesima
differenza che passa fra il circùito stampato di un microchip e l'equivalente guazzabuglio di
fili elettrici: il primo, nella sua ordinata miniaturizzazione, assume l'aria “dimessa” di un
oggettino semplice e modesto; il secondo, voluminoso intrico di sgargianti guaine colorate,
ti si presenta con la parvenza ingannevole di un tronfio prodigio della moderna scienza
elettronica.. Ma a ben vedere, il primo non ha nulla da invidiare al secondo: tuttalpiù il
contrario.
Occorre saper distinguere la suprema sintesi dalla mediocre prolissità: specie in un
Occidente abituato alla logorrea di Freud e del tutto disinteressato a prestare la dovuta
attenzione a messaggi semplici e meno affabulatori come il “Nonostante tutto, la vita più
essere meravigliosa” – capace di far impallidire al confronto intere generazioni di “grandi”
filosofi occidentali.
Un messaggio semplice, dicevo: frasi brevi, poco più che aforismi; discorsi lineari, che
oltretutto suonano tanto di “già sentito” – o, il che è la stessa cosa, di: “questo già lo sapevo
pure io!”.
Perché è proprio qui che sta, la sua forza: siamo tutti originari di una.. chiamiamola
“dimensione” dove risulta chiaro e lampante a tutti, quale sia ciò che qui viene
comunemente definito (impropriamente) “il senso della vita”.
Questo è soltanto un utile promemoria, che Socrate riassumerebbe col “suo” celeberrimo
“Conosci te stesso” – per quanto io preferisco la forma “Sii Chi Sei” (dove nessuna delle
maiuscole è sparata a caso). Il quarto paragrafo infatti comincia proprio così: “Sii te
stesso.”, ossia: rimani fedele alla tua Essenza, e non lasciare che il tuo comportamento
venga alterato dalle circostanze contingenti in cui questo mondo ti porterà necessariamente
a vivere.
Le chiavi di lettura sono tante quanti sono gli esseri senzienti (umani e non) che
leggeranno quelle poche frasi. Ciascuno le capirà a modo suo, poiché così dev'essere. E
ognuno ne darà un'interpretazione diversa, magari la cambierà più volte lui stesso nel corso
della sua vita, ma risulterà sempre e invariabilmente l'interpretazione corretta.
Ti vedo perplesso: ti stai domandando come ciò sia possibile.
Beh, diciamo che è qualcosa che ha a che fare con dinamiche analoghe a quelle che, da un
esiguo numero di sillabe, formano un gran numero di parole e frasi. Non che si tratti di un
problema così facilmente riducibile in termini matematici, beninteso: in realtà ha molto più
a vedere col guardare le nuvole, che coi numeri!
Non sto scherzando. Rifletti su questo: poco importa quale sia la forma reale della nuvola.
Ciò che conta, è quel che essa ti appare: le immagini che ti evoca. Se ti riesce di pensare
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(15)
alla nuvola come uno strumento per estrarre un'idea pre-esistente in te, allora sei a posto.
Nota un'altra cosa: come quelle frasettine siano “banali” proprio come lo può essere una
nuvola.
Magari erano dieci anni che il pensiero di un ippopotamo non ti era più passato per la
mente, poi vedi una nuvola e.. zac! Scopri (così: all'improvviso, “senza ragione”) di
ricordarti che esiste al mondo un animale chiamato ippopotamo.
Magari ti senti un verme perché ti è stato insegnato che bisogna essere buoni a tutti i costi,
poi leggi “Per quanto puoi, senza cedimenti, mantieniti in buoni rapporti con tutti” e.. zac!
Ti dici: ma chi me lo fa fare, di star dietro a uno stronzo?
Magari vieni minacciato da mostri ectoplasmatici lunghi come un treno merci, poi leggi
“Coltiva la forza d'animo per difenderti nelle calamità improvvise” e.. zac! Ti rendi conto
che è ora di cominciare a far pratica di Arti Magiche per scacciare le presenze
sovrannaturali che t'infestano.
È soltanto una banale questione di interpretazioni.
Con una raccomandazione: vola basso. Lasciarsi andare a voli pindarici è poco igienico,
mentalmente parlando (e, in taluni casi, pure fisicamente e addirittura spiritualmente!). Mai,
dico MAI, farsi sfuggire la faccenda di mano – o nel migliore dei casi si rischia di uscir di
senno.
Inoltre, è sempre necessario accertarsi di essere in grado di Comprendere il significato
delle cose. Ciò vale sia per il secondo esempio (hai fatto veramente tutto il possibile, prima
di arrenderti? oppure ti aggrappi a quel “per quanto puoi” come ad un alibi per giustificare
la tua condotta insofferente verso il tuo prossimo?).. E a maggior ragione per il terzo:
questo mondo è già fin troppo logorato, da impiastri che si improvvisano maghi da
strapazzo!
Solo a un Predestinato è concesso di far uso di scorciatoie (dal momento che null'altro che
questo è, la Magia: una legge fisica ignota ai più, che fa risparmiare tempo e fatiche). E
unicamente in particolari circostanze.
In parole povere: se non sei come minimo un guru, rassègnati. Dilèttati pure con trucchi
da illusionista, ma per l'amor del cielo lascia perdere la Magia, OK?
Bom. Tutto questo era tanto per mostrarti uno scorcio un poco più ampio a riguardo del
cosa s'intende con “infinite interpretazioni”. Il fatto cioè che ciascuno ha la sua
interpretazione personale, che proprio in quanto tale non è esportabile ad altri.
Un ultimo esempio tanto per chiarire: nel mio caso, “Se insisti a confrontarti con gli altri,
rischi di diventare borioso e amaro”, mi ammonisce che la mia Natura è trascendente
rispetto a quella di Angelo, come viceversa lo è la sua rispetto alla mia. È insomma una
sorta di armistizio concordato fra Eoni, un invito a non paragonare mele con pere.
«E adesso cosa stai facendo?»
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«Controllo le monete, Angelo, se non ti spiace.»
«Ancòra con questa storia?»
«Pressappoco.»
«Come, “pressappoco”?»
«Beh, vedi: esserci, ci sono tutte.. Ma l'ala destra è partita all'attacco.»
«Stai dando i numeri?»
«Vieni qui tu stesso, e controlla coi tuoi occhi!»
«Vedo, vedo. Ma che fine ha fatto, il duecentolire?»
«Come sarebbe a dire? Non è più lì?!»
«Qui non c'è!»
«Birichino!»
Angelo mi guarda storto.
«Mica tu: il duecentolire. Fa' vedere..»
«Perché hai tolto l'ala?»
«EEEH?!»
«Il centolire che stava sulla destra.»
«Io non ho toccato proprio un bel niente. E poi semmai sei stato tu, a far sparire il
duecentolire.» (e lo diceva più che altro per ribadire che eran soldi suoi)
«Ah be' , allora è tutto a posto!»
«Come, tutto a posto?!»
«Ma è chiaro e lampante: io so di non esser stato, tu dici di non esser stato, ergo significa
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dire che sono loro.»
«Loro CHI ?»
«Su, Angelo, non far domande sciocche! Loro: le monetine.»
«Aaah.»: detto col tono cauto di chi asseconda un pazzo per tenerlo calmo. «E adesso?
Perchè accendi il computer?»
«Mah, niente, è che ieri mi è venuta l'idea di fare un programmino.. C053 una simulazione,
per la precisione. E ora devo aggiornarla.»
«Una simulazione di che cosa?»
«Uffaaaa.. ma degli spostamenti delle monete, no?»
«MU?!? Ti ha per caso dato definitivamente di volta il cervello?»
«Le mucche non c'entrano. “Em, you = emulator”, come quello che usavamo ad
elettronica: domanda ad Arrigoni del simulatore di circùiti che tanto l'entusiasmava!»
Lanciai il programma: premendo la barra spaziatrice, le monetine si animavano sullo
schermo, e la succesione delle posizioni di volta in volta assunte si faceva “film”.
«Poche semplici righe BASIC. Non certo un esempio di programmazione, ma.. funzionali
allo scopo. Vedi?»
«Vedo, vedo. Resta una domanda senza risposta..»
«E cioè?»
«Quella più scontata: “a che cosa ci serve tutto ciò?”»
Scoppiai a ridere:
«E chennesò, io?»
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R
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iec co m i a l l a Ca s a d el l a Vit a. S ono p a s s àti due c ic l i d el c a len d a r io d'or iente, h o qu a si
qu a r a nt'a n ni, e t a nte co s e s on o ac c adute d a quel pr i m o gior n o d i s cuol a . M a i n fon d o
conti nuo ad e s s ere i l r a g a z zi n o u n p o' r ib el le ch e ero a l lor a – a co m i n c i a re d a l m io
sti le d i vita, giud ic ato d a tut ti a s soluta m ente i n appropr i ato a l m io r a n go at tu a le.. Però i l
b el lo d el m io r a n go è propr io ch e non d evo rend ere conto a n e s su n o d el le m ie d e c i sioni.
Una st a n z a più gr a nd e n on m i s er ve, e n on ved o p erchè d ov rei ten ere a l le m ie d ip end en ze
u n s er vo ch e s e ne o c cupi: a l m en o fi no a ch e non s a rò tropp o ve c chio, p o s s o fa re d a m e; e
sic co m e m i b a sta n o u n p a io d i ve stiti, chè quel l i r itu a l i r i m a n gon o co m'è ov vio nel Te mpio,
non m i o c cor ron o a r m ad i. M i s on o su ffic ienti u n let to m o d e sto e u n o s c r ittoio sp a z io s o –
que st a “co m o d it à m o d er na” co sì i nvi s a a i t r ad i z ion a l i sti, convi nti co m e s on o ch e u n o
s c rib a d ebb a p er for z a st a r s ene s eduto su l le propr ie ch i app e, m a d i cu i io ne ce s sito p er
svol gere i l m io L avoro. (Non o st a nte si conti n o su l le d ita d i u n a s ol a m a n o quel l i ch e s a nn o
e s at ta m ente COSA sto S c r iven d o e p erchè, e s opr at tut to P E R QUA N D O.)
A l le a lte c a r ich e d el lo stato propr io non va giù, che io abiti nel l a st a n z a sp a r t a n a d i u n
s er vo. M a d op otutto n on è m ic a colp a m i a, s e pren d o a l l a let ter a i l m io giu r a m ento
d'i nve stitu r a – che fa d i m e, a l p a r i d el Fa r aone, appu nto i l s er vitore d el m io p op olo. Per
t acere d el fatto ch e t r a lu s suo s e m a p o co ac co gl ienti p a reti d i b a s a lto, s c i sto e a l ab a st ro gi à
c i t r a s cor ro buon a p a r te d el m io te mp o, du r a nte le fu n z ioni rel i gio s e e i r iti d a offic i a re
quotid i a n a m ente: conced ete p erlo m en o u n p o co d i verd e a i m iei p over i o c chi, e d el l 'o mbr a d i
p a l m e d a cu i a m m i r a re i l c ielo ter s o e blu C 0 5 2 d i que sto splend id o Pa e s e m er i-a n-n eter u.
Que st a s er a, p oi, l a br ez z a è d el i z io s a: è u n vero pi acere, s d r a i ato su l let to vici n o a l l a
fi ne st r a, p erd er m i con lo s gu a rd o nel lo svol a z z a re d el le bi a n ch e ten d e d i l i n o.. i nebr i a r m i
d ei profu m i provenienti d a l chio st ro.. cu l l ato d a l l a m orbid a luce d el l a s er a, che r ive ste d i
sfu m atu re a mbr ate le p a reti i m m acol ate d i que st a st a n z a co sì lu m i n o s a ed i nt r i s a d i
a r m on i a.
C o s a p otrei m a i fa r m en e, d el lu s s o?
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L'u nico co mpro m e s s o che h o ac cet tato è que sto a nel lo d'oro che p or to su l l'a nu l a re
si ni st ro. I l gr a n d e s m er a ld o verd e ch e c i ved i i n c a stonato s opr a? B eh, d ic i a m o ch e “h a l a
su a r a gion d'e s s ere” – s ebb ene n on si a quel l a m er a m ente d e cor ativa o d i stat u s-symb ol che
m olti supp on gon o. Ta nto p er i nco m i nc i a re, l'ol io d i cu i è i mpregnato è lo ste s s o che è stato
u s ato p er l a m i a cer i m oni a d'i nve stitu r a a S o m m o S acerd ote. E viene d a m olto lont a n o: u n
a lt ro m on d o, add i r it t u r a.
Avevo p o co m en o d i 19 a nni..
È app ena m a n c ato qu a lcu n o d i m olto i mp or t a nte p er tut ti noi, m a non ce ne
r at t r i sti a m o: r ient r a nel l'ord i ne natu r a le d el le co s e. S olo, ne s su n o s e
l 'a sp et tava ch e i l S om m o S acerd ote c i av rebb e l a s c i àti co sì pre sto. Non ch e si a
s co mp a r s o pre m atu r a m ente (cer te p er s one non muoion o m a i pre m atu re), a n zi
er a m olto a n zi a no, m a le sue con d i z ioni s on o pre c ipitate nel gi ro d i app en a
p o chi gior ni. Giu st'app en a i l te mp o d i d e si gna re i l suo suc ce s s ore , ed
i nfor m a rlo ch e l a cer i m oni a d i Tr a sfer i m ento d el M a nd ato stavolt a s a rebb e
av venuta i n c i rco st a n z e.. a lqu a nto p a r ticol a r i. E ch e i n s o m m a c'er a no u n p a io
d i co s et te ex t r a d a s ap ere.
Ta nto p er i nco m i n c i a re, non c i t rovi a m o più i n ter r a d'E git to. A n zi, s e è
p er que sto n on c i t rovi a m o più neppu re su l pi a net a – b en sì su l l a Lu n a, i n u n
p ad i gl ione ch e s o m i gl i a a u n a lentic ch i a d el d i a m et ro d i u n a qu a r a nti n a d i
m et r i, con p a reti i nter ne m et a l l ich e che pre su m o si a no d i b j a m a s sic c io.
Io sto prega n d o a l l 'e str e m it à sud d el s a lon e, a u n c ap o d el lu n ghi s si m o
t app eto ro s s o ch e l'at t r aver s a t r ac c i a nd o i l p ercor s o cer i m oni a le: d el i m itato
d a br ac ier i, con duce fi no a l l a p ed a na r i a l z ata d ove ( leg ger m ente sp o stat a
su l l a si ni st r a) è stat a p o st a l a te c a d i c r i st a l lo contenente l a s a l m a d el
d efu nto d e c a n o. D iet ro, a s si s o i n t ron o, niente m en o ch e i l d io Thot – ch e
abbi a m o ri svegl i ato app o sit a m ente p er offic i a re d i p er s on a a l l a cer i m on i a
fu n ebre (ch e gi à si è svolt a) e s opr at tut to a l l 'or a m a i i m m i nente r ito d i
p a s s a g gio.
A l le m ie sp a l le c i s on o t re i nd ividu i ch e m i st a nn o ve sten d o, e d i m e s s a m ente
i n d i sp a r te i l m io tutore.. O m egl io: i l cyb org ch e Th ot aveva pro gr a m m ato
con u n'i ntel l i gen z a a r ti fic i a le a l lo s cop o d i avere cu r a d i m e – p er c r e s cer m i,
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proteg ger m i e i str u i r m i fi no a che non fo s s e giu nto i l m o m ento d i Ricord a re.
(A que sto a l lud eva, du nque, l a m a n fr i na d el l ' “o gni co s a ti s a r à svelat a”.)
Per l a c ronac a, l a su a id entit à m e l 'h a svelat a s ol a m ente tr e gior ni fa – e d a
a l lor a non c'è più ver s o d i t r at t a rlo a m ichevol m ente co m e pr i m a: or a si
atteg gi a d a s er vo, e d ice ch e non st a r ebb e b ene ch e egl i face s s e a lt r i m enti,
s opr at tutto i n pre s en z a d i u n neter (ov vi a m ente a l lud e a Th ot) .
I t re s er vitor i m i c a l a n o su l le sp a l le i l m a ntel lo d el l'a bito d a cer i m on i a, d i
u n m ater i a le nero si m i le a s et a e con c i rc a 3 0 c m d i st r a s c ico. Ne s ento tut to
i l p e s o – e n on m i r i fer i s co a l l a ve ste: è i l s en s o d i resp on s abi l it à, a gr ava r m i
t re m en d a m ente su l le sp a l le.
L o s o: m a i pr i m a d'or a s'er a vi sto u n S o m m o S acerd ote co sì giova ne. M a
s opr at tutto m a i e p oi m a i av rei i m m a gi nato ch e l a m i a vita p ote s s e veni r
r ivolu zionat a co sì profon d a m ente nel gi ro d i app en a tre gior ni! Pa s si
l 'i n a sp et tat a d ip a r tit a d el d e c a n o, e p a s si pu re i l s enti r m i d i re ch e d ov rò
e s s er e io a pren d ere i l suo p o sto.. ( Ch e è u n onore m a s opr at tutto u n on ere
n otevole, cu i tut tavi a p en s o d i e s s er e pronto – s a lvo for s e d a l pu nto d i vi st a
ge stion a le, m a p er for t u n a ered ito gl i ot ti m i col l ab or ator i d el d e c a n o ed e s si
s apr a nn o s en z'a lt ro “m et ter m i a l p a s s o” .)
Però s copr i re ch e tut to c iò che m i h a r ac contato i l m io tutore d a qu a nd'ero
u n r a g a z zi no è vero A L LA LETTE RA..
D i più: TROVA RM ICI DE NTRO fi no a l col lo.. (C o m e qu a n d o h o
fi n a l m ente va rc ato l a p or t a “m a gic a” d el l a grot t a, s copren d o ch e si t r at tava
d i u na b a s e sp a z i a le a l ien a vec ch i a d i m i l lenni eppu re a ncòr a p er fet t a m ente
op er ativa.)
Add i r it t u r a FAC CI A A FAC CI A con u n “d io”.. (“Fac c i a a fac c i a” si fa p er
d i re, p oichè n on h a u n a for m a prec i s a – m a d ate le c i rco st a n z e h a
opp or t u n a m ente s celto d i m a n i fe st a r si con le s e mbi a n z e t r ad i z ion a l i d el d ioibi s d a l lu n go b e c co, e u na st atu a r i a pre s en z a d i c i rc a due m et r i e m e z zo.)
Vo gl io d i re: u n conto è aver st ud i ato le a ntich e leggen d e, e b en a lt ro è averc i
a ch e fa re!
E co sì e c co m i qu i, i nter na m ente s c i s s o: d a u n a p a r te h o l'a s s olut a cer te z z a
i nter iore che s on o qu a con u n m otivo pre c i s o e m olto i mp or ta nte, ch e s on o
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l 'uo m o giu sto a l p o sto giu sto a l m o m ento giu sto e con le “p er s one” giu ste;
d a l l 'a lt r a, i n a s s en z a d i ele m enti cer ti cu i fa re r i fer i m ento, m i s e mbr a d i
st a r m i d i s s ennata m ente i mb a rc a n d o i n u n gro s s o gu a io – oltr etutto, s en z a
n ea n ch e s ap ere p er cer to ch i h a st a bi l ito ch e tut to c iò d ove s s e ac c a d er e.
« M a t u ste s s o, natu r a l m ente. » , fu l'i na sp et tat a r i sp o st a telepatic a d i “Thot” a l m io
p en siero i nespr e s s o.
Ricord o ch e p oi m i s or r i s e nel m o d o i n cu i si s or r id e a chi h a app en a av uto u n'a m n e si a
p a s s eg ger a – e c iò facend o con fer m ò l a s en s a z ione d i fa m i l i a r it à ch e gi à avevo con tutto
que sto, e con lu i.
Aveva m o i nfatti concord ato o gni co s a pr i m a ch e io m i i nc a r na s si i n for m a u m a n a. E d egl i
er a venuto rec a n d o con s è i te sti a ntichi ch e io av rei d ov uto t r adu r re, s e mpl i fic a re ed
a m m o d er n a re – get t a n d o le b a si d el S ap ere S apien z i a le e Profetico d e sti nato a l l'Um a nit à
futu r a.
17
L
a mattina del 12 Ottobre Angelo, con Valeria e Alessandro al sèguito, andava ad
acquistare un regalo per la festa di compleanno di un loro amico comune – che si
sarebbe tenuta nel primo pomeriggio, se non ricordo male. Finalmente l'opportunità di
godermi qualche ora in compagnia di Bobby, che negli ultimi tempi avevo un po'
trascurato..
Come non detto: l'imprevisto è sempre in agguato.
«Ehi, Alessio! Ma.. quello laggiù non è Alessandro?»: con tutto che Bobby l'avrà
intravisto sì e no un paio di volte in vita sua.
«Oh cavolo, è proprio lui! Cosa ci fa qui a quest'ora? E quello lì è suo zio.»
«Non vai a salutarlo?»
«Al contrario: mi nascondo. Non facciamoci notare, OK? Sai com'è fatto: è capacissimo
di andare a pensare che l'ho seguito.»
«Dai! Io non credo che sia così paranoico.»
«Io invece sì.»
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(17)
..perché era già capitato, tipo la scenata che mi aveva fatto quel giorno che gli avevo
lascito dietro al tergicristallo un biglietto con scritto:
DATTI UNA MOSSA
O FAI TARDI.
PS:MAI SENTITO
PARLARE DI
UBIQUITA'?
«E questo che significa?»
«Esattamente quel che c'è scritto! Siccome abbiamo prenotato il
campo da tennis per le 18, e so come sei fatto tu quanto a puntualità,
ti ho voluto lasciare un messaggio a mo' di promemoria.»
«Per quale motivo l'hai scritto proprio col pennarello nero?»
«Ma.. che razza di domanda è?»
«Rispondi! Perché in nero?»
«È la prima cosa che mi è passata tra le mani per scrivere!»
«Sì, certo, come no.»
«Perché? Ha importanza?»
«E come facevi a sapere che a quell'ora sarei stato da Angelo?»
«Non lo sapevo, infatti. Stavo andando a consegnare in segreteria il
mio approfondimento per la maturità quando, diretto a scuola
attraversando come sempre il centro del paese, ho notato la tua auto
nel parcheggio sottocasa di Angelo. E ho ceduto alla tentazione di farti
una sorpresa.»
«Bugiardo. Lo so che in tasca tieni sempre il bloc notes e la penna..
ma non il pennarello.»
«E neanche la macchina fotografica, se è per questo. E con ciò?»
«Non mi prendere in giro, e rispondi.»
«Non ti sto affatto prendendo in giro: avevo portato uniposca e
macchina fotografica per dare il mio addio alla scuola. Se non mi
credi, non hai che da andare a controllare tu stesso: ho disegnato il
turboverme C009 in un angolo di prefabbricato, e poi l'ho fotografato
per ricordo – visto che prima o poi si decideranno a verniciarlo, quello
squallore di pareti di nudo cemento.»
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«A.»
«Perché, scusa: che ti credevi?»
«Allora.. era solo uno scherzo improvvisato sul momento.»
«Ma certo, che era uno scherzo! Cos'altro poteva essere?»
A tutt'oggi non saprei dire se abbia finito col credermi davvero
oppure no. Ma la cosa più strana, è che nei giorni a seguire si
rifiutava anche solo di accennare all'accaduto.
Mi ci son voluti dei giorni interi, prima di farlo crollare, ma la mia
tenacia è proverbiale. E sai alla fine cosa mi ha risposto,
imbarazzatissimo, con un filo di voce appena, e senza mai osar
guardarmi dritto negli occhi?
«Pensavo che tu mi avessi fatto seguire.»
Il tempo di raccontare per sommi capi ad Bobby questo episodio, che:
«Guarda-guarda chi spunta fuori: Cip & Ciop!», constatai.
«Chi??»
«Li vedi, quei due laggiù?»
«Di spalle.»
«Sono il fratello di Alessandro e il cugino, quello che nel bel mezzo dell'anno scolastico si
prende una settimana sabbatica e se ne va in Spagna a far baldoria.»
«Con la sua tipa?»
«Mai avuta una. Ci è andato con lo zio di Alessandro.»
« Cos'è, un indovinello dei tuoi? Sarebbe a dire.. suo padre.»
«No: quello è un altro zio. Questo zio, quello che vedi laggiù, è scapolo. E fa un po' da
padre ad Alessandro – che, come sai..»
«..è orfano. Sì, ne avevano parlato anche i giornali, di quel brutto incidente.»
Dall'alto della galleria, non perdo di vista un solo istante l'ultima schiera di poltrone in
platea (quelle prospicenti il grande schermo) dove vanno ad accomodarsi il cugino ed
Ernesto – facendosi strada attraverso le gambe di Alessandro e quelle dello zio
cinquantenne, già seduti sul lato più esterno.
«L'hai visto anche tu, Bobby?»
«Cosa?»
«Che lo zio ha..?»
«Ha?»
Bobby non aveva notato nulla, ma a me era parso che..
«No no, niente. Mi sa che ho preso un abbaglio.»
Eppure ci avrei giurato, che una pacca sul culo gliel'avesse ben data. Lo zio al cugino di
Alessandro, voglio dire, mentre gli passava davanti.
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(17)
“Massì, dai, sempre a pensar male! Sarà un gesto innocente, una goliardata..”, mi
rimproverai.
Proprio in quella:
«Ma quello là è il prof Buttazzi!», esclamò Bobby.
Colto di sprovvista, trasalii:
«Lo.. conosci?»
«Ed è cugino di Alessandro?»
«Sì, ma..»
«Insegna inglese al Jean Monnet, e ci ha la fama di essere un vero stronzetto coi suoi
alunni.»
«Ce l'ha raccomandato lo zio. Però tu come fai a..?»
«Ci avevo preso un paio di lezioni di ripetizione per prepararmi all'ultimo compito in
classe, chè sennò rischiavo l'esame a settembre.»
«Ma dai!»
«Giuro! Figùrati che.. quanti anni avrà?»
«Non lo so. Sulla trentina, direi, ad occhio e croce.»
«Bene: credici o no, sua madre gli prepara ancòra pane & nutella per merenda! L'ho visto
io con questi occhi: lo tratta ancòra come un ragazzino.»
«Alessandro mi aveva accennato qualcosa: pare che sia un tipo piuttosto.. mammone.»
«Mammone? Per me quello lì è frocio.»
Deglutii. Perchè avevo avuto modo di studiarlo dal vivo, e si comportava da vera criptochecca.
«Conosci pure lo zio?»
«Ci mancherebbe altro: è il preside della mia scuola.»
«Mi prendi in giro?»
«A-a. Come? Vuoi dire che non lo sapevi?»
«Sapevo che si era trasferito, che da quest'anno non insegnava più al Jean Monnet, ma
nient'altro. Della serie “le incredibili coincidenze”, eh?»
«Ne vuoi sapere un'altra? Ponterosso ha preso lezioni di italiano da lui.»
«Ah sì?»
«Giusto un paio. Poi ha cambiato insegnante.»
«E perché?»
«Chennesò? Certo che sei curioso, eh?»
Infatti. E appena pochi giorni dopo avrei appreso dalle labbra dallo stesso Marco
Ponterosso che la ragione per cui aveva cambiato insegnante non era di tipo professionale,
o per aver trovato qualcun altro che abitava più vicino, e neppure una questione di soldi.
«..figùrati che la prima volta, alla prima lezione volevo dire, mi ha
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(17)
accolto in vestaglia!»
«Da perfetto milord inglese..», osservai io.
«Veramente.. più un tipo.. come dire? Un farfallone!»
«Sarebbe? Un dandy?»
«Beh, no: uno un po' fru-fru. Sì insomma, lo sai anche tu.. uno di
quelli.»
quelli.»
Avevo bisogno di sentirglielo dire, per assicurarmi di non essere io a
saltare a conclusioni, o a “imboccare il teste”. Così tacqui fingendo di
non riuscir proprio a capire, obbligandolo a dirlo chiaro e tondo:
«Un culattone. Ecco: adesso te l'ho detto.»
«Magari era solo una tua impressione.»
«Una mia impressione?
impressione? Col cavolo! Aveva tutta l'aria di starci a
provare con me. Con me! Ma ti rendi conto?»
«E così ti sei cercato qualcun altro.»
«Ma bravo! Vedo che capisci!»
«Come mai.. ehi, Alessio! Dico a te: mi senti?»
Bobby aveva fatto svaporare la nuvoletta dei miei pensieri, richiamandomi alla realtà.
Immerso com'ero nelle mie congetture, non l'avevo quasi sentito.
«Scusami: devo essermi distratto. Dicevi qualcosa?»
«Dicevo: come mai hanno lasciato a casa la madre di Alessandro?»
«Non capisco dove vuoi andare a parare.»
«Da nessuna parte. Solo, non mi spiego come mai non l'abbiano invitata a venire al
cinema con loro, abbandonandola da sola come una ciabatta vecchia.»
«Non è sola. C'è quell'altro fratello di Alessandro: Samuele, il più giovane. Ma lui non
partecipa mai alle uscite con zio e cugino – anzi, che io sappia è quasi sempre dispensato.
Uffa, ma il film non doveva mica cominciare alle 14? Cosa siam venuti qua così presto a
fare?»
«Sai com'è, in questi cinemini dell'oratorio: aspettano sempre che si riempia la sala, e
l'orario esposto è a malapena indicativo. Ma mi stavi raccontando di Samuele..»
«Lo sai che è stato proprio lui (a sua insaputa, è chiaro) a smascherare il primo alibi
fasullo di Alessandro? La prima frottola fra le tante che doveva avermi propinato fino a
quel momento..»
«Dai, racconta! Come è andata?»
«Senti un po' Bobby: chi dava del curiosone a chi?»
«Mea culpa. Adesso però voglio sapere tutto.»
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(17)
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D
avvero ti interessa, Bobby?»
«Sicuro! E voglio tutti i dettagli.»
«Dopo però non dire che non te la sei cercata. Allora.. Come tutti i giorni della
settimana da quando avevo fatto la patente, la mattina passavo a prendere Alessandro e
andavamo a scuola insieme. Dopodichè ovviamente lo riaccompagnavo pure a casa..»
«A stasera.»
«Le solite otto e mezza, dico giusto?»
«Sì. Ah, Alessandro, un'ultima cosa! Ci hai mica la videocassetta di
“Footlose”,
“Footlose”, per caso?»
«Io no, ma mio zio ce l'ha senz'altro. Te la faccio avere.»
«Ho sentito bene? “Footloose”?! Da quando in qua ti sei messo a guardare certe
porcherie, Alessio?»
«Non era per me: dovevo passarlo ad Angelo. Stavo appunto per dirlo.»
Quella sera, ore 20.25, squilla il telefono: esattamente come
prevedevo, era proprio colui che ha sempre avuto la pessima abitudine
di cancellare solo all'ultimo momento gli impegni presi.
«Alessandro.», m'interruppe Bobby.
«Proprio lui. E mi dice:»
«Non posso più venire. Mi ero dimenticato che avevamo la cena
dagli zii.»
L'ennesima fregatura: “Encore un de fotou”, pensai. Ma siccome non
desideravo risultargli pesante, feci buon viso a cattiva sorte e
sdrammatizzai con una battuta:
«Ah. Ho capito tutto: ci vai per via del film!»
«Co.. come hai detto?»
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(18)
«Che vai da tuo zio per il film.»
«Chi.. chi te l'ha.. Tu come fai a saperlo?!»
«Footloose! Non mi dire che te lo sei già dimenticato, chè poi Angelo
se la prende anche con te!»
«Ah già: la videocassetta!», dandosi una sonora pacca sulla fronte
delle sue.
«Perché? Tu a cosa pensavi?»
«No no, niente, niente.. mi sono sbagliato. A domattina.»
«Sì, ma io continuo a non capire cosa c'entri tutto questo con la balla che ti ha
raccontato!»
«Ricorda, Bobby: un giorno ti toccherà pagare, per deliziarti delle mie narrazioni. Per cui,
fino ad allora, cerca di approfittarne.»
«Gnà gnà gnà. E tu, fino ad allora, cerca di stringere un pochettino. Se non ti dispace.»
«Uomo di poca fede: stavo giustappunto venendo al sodo..»
Una mezz'oretta più tardi, mia madre bussò in camera per
informarmi che l'indomani-mattina sarei dovuto andare a scuola col
pullman poiché la Panda serviva a lei. No problem.
“E invece problem eccome! Mo' come faccio ad avvisarlo,
Alessandro?”
Lanciai un'occhiataccia al perfido orologio: segnava già le 21.
“Forse faccio ancòra in tempo: se sua madre è come la mia, posso
ragionevolmente sperare di trovarli ancòra in casa.”
Il telefono suonava a vuoto, penoso TUUT dopo TUUT.
Stavo già dandomi per vinto e riattaccare, quando..
«Pronto?»
Non riconoscendo la voce, e dopo tutti quegli squilli a vuoto, mi
venne il sospetto di aver sbagliato numero.
«Sono Alessio. C'è Alessandro?»
«No. È andato al cinema con mio zio.»
«Ta-daaaam!», sottolineò Bobby.
«Eh già. Ma non è finita: scoperta la bugia, pretendevo i dettagli.»
«E come hai fatto?»
«Niente di più facile.»
«Senti.. sei Ernesto?»
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«No: sono Samuele. Mio fratello è uscito con Alessandro.»
«Astuto! In questo modo ti sei fatto rivelare pure dov'era Ernesto.», osservò Alan.
«Due piccioni con una fava, già. Stavo dicendo? Ah, sì..»
«Non ci azzecco mai, con le voci! Senti, Samuele,
Samuele, sai mica dirmi
quando tornano?»
«Aspetta un momento.. (Mammaaaaa! A che ora tornaaa,
Alessandro?)»
In lontananza un “Comunque non un'ora che si può telefonare in
casa d'altri”, poi il fruscio di una mano che copriva il ricevitore, e per
qualche secondo più niente a parte un indistinguibile borbottìo di
fondo. Fino a che:
«Pronto?»
«Pronto.»
«Non lo so, a che ora torna. Comunque tardi.»
«Fa niente, allora.»
«Devo dirgli di richiamarti, se torna presto?», quasi sussurrato, per
non farsi sentire da sua madre.
«No, ti ringrazio, fa lo stesso: lasciagli solo detto che domattina non
posso passare a prenderlo, e deve venire a scuola col pullman.»
«Va bene. Ciao.»
«Sei troppo scaltro!», si complimentò Bobby per tutta risposta.
«È solo questione di saper parlare. Sfruttare a fondo le parole, capisci?»
«A dire il vero.. no.»
«Facciamo un esperimento, allora: prova a non pensare alle balene bianche.»
«Tutto qui?»
«Tu prova e vedrai.»
Dopo qualche secondo..
«Ma.. è pazzesco! Più m'impongo di non pensarci, più la mia mente si affolla di
stupidissime balene bianche che sguazzano qua e là!»
«E quand'è stata l'ultima volta che hai pensato a una balena bianca, prima che io t'invitassi
a continuare a non pensarci?»
«Mesi. Forse anni. È.. è.. incredibile!!»
«Oh, bazzecole! Questa non è che l'applicazione, ma la cosa veramente interessante è la
teoria che ne sta alla base: l'ho sviluppata, ma dovrei dire inferita, un poco alla volta,
osservando come..»
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In quel preciso istante le preghiere di Bobby (e a questo punto presumo anche le tue!)
furono accolte: calarono le luci e incominciò il film.
Alla buon'ora mi potei finalmente risollevare da quella postura tipo vasca da bagno in cui
ero sprofondato per non farmi riconoscere. Ma non fui l'unico a muovermi: pochi istanti
dopo l'inizio della proiezione, sì e no il tempo per abituare gli occhi alla semioscurità, scorsi
i quattro alzarsi come un sol uomo e dirigersi verso i bagni – due in quello di destra, due a
sinistra. Bobby non si era accorto di nulla, e così tornai ad immergermi nel film.
Non feci più caso ad altri movimenti sospetti. Tuttavia, alla fine del primo tempo, fu
Bobby stesso a notare che:
«Toh? Hanno cambiato fila!»
Feci lo gnorri:
«Chi?»
«Come “chi”? Alessandro, zio & company. Stavano nella prima fila, ora nella seconda.
Non ti ricordi?»
«Si vede che erano troppo vicini allo schermo.», mentii, per non sollevare questioni.
Ma a partire da quel giorno, cominciai a catalogare meticolosamente tutti i fatti
potenzialmente sospetti che riguardavano Alessandro: una sorta di scatola entro la quale
raccogliere i vari pezzi del puzzle, nella speranza di riuscire un giorno a ricomporlo.
Alessandro è andato a prendere all'aeroporto lo zio, che
tornava da Lisbona col famigerato cugino Wolf: guarda
guarda. Giorni dopo, quando è suo fratello a tornare da
Lisbona con lo zio, Alessandro rettifica: con Wolf erano andati
a MADRID, non a Lisbona.
Si stava guardando la tivù a tarda sera, quando Tommy cambia
canale per vedere i trailer dei film porno. Io son sprofondato
nell'imbarazzo più totale, Alessandro invece no, ma era
veramente tutto tranne che minimamente eccitato o anche
solo incuriosito: pareva annoiato. Per un po' ha sfogliato un
fumetto, poi gli ha chiesto di tornare sull'altro canale chè la
pubblicità a quel punto doveva essere finita.
Il medesimo disinteresse col quale aveva gettato via un
opuscolo che gli era stato lasciato sul parabrezza: modelle
talmente gnocche che l'occhio mi ci era caduto persino a me!
<<Ce l'avrà messo Patrizio o Comensi! Stamattina mi hanno
passato un depliant di preservativi dicendomi "Studia!">>
..che poi sono gli stessi suoi compagni del corso di chimica che
erano arrivàti a scrivere su un muro della scuola "De Dominicis
è piatto davanti".
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(18)
19
E
cco arrivare Angelo.
«Hai sbagliato orario, per caso? Sei puntuale.»
«Spiritoso. È che alle cinque e mezza facciamo una scappata dal cugino di Valeria
che compie gli anni e.. Ma dimmi: come vanno le tue monetine?», e me lo chiedeva così
come a un allevatore di cavalli si domanda dei puledri. (Peraltro, non che gl'importasse la
risposta: era una di quelle frasi di circostanza che s'accompagnano sovente a una stretta di
mano, tipo “Ciao-come-stai”, “How do you do”..)
Le monete erano state ferme per quasi due giorni, ma controllare non mi costava nulla:
«Semmai dove.»
«Come dici?»
«Non come vanno, ma dove vanno. Oggi quella di sinistra ha fatto un passetto avanti.»
«Che fai? Riattacchi col solito disco? L'avrai mossa tu spolverando..»
«“Il soggetto non concorda col predicato.”»
«E cioè?»
«Sai benissimo che, oltre ad essere troppo pigro per volermi occupare della polvere (che
tanto poi si riforma nonappena volti un attimo lo sgurdo), io sono allergico agli àcari.»
«Cosa c'entrano le piante con la polvere?»
«Àcari: no àceri. Sono quei “simpatici” esserini che fanno pupù nella polvere dove essi
prosperano. A quanto pare, al mio organismo non piace fiutar merda.», e tornai a sedermi
sul letto.
«Perché? Al mio forse sì?»
«Non mi risulta che tu sia allergico alla polvere. Forse ai pollini. Che comunque già mi
sanno di più igienico.»
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(19 )
«Ehi! Ma..!», roba che se Angelo fosse stato un fumetto gli sarebbe spuntato un ? sopra
la testa.
«Stai forse per dirmi che è sparita un'altra monetina?»
«No. In compenso, si è spostato pure il centolire di destra.»
«Interessante.», osservai, inarcuando un sopracciglio.
Quindi feci esattamente ciò che avrebbe fatto il primo ufficiale scientifico dell'Enterprise:
mi fiondai al computer per inserire gli ultimi dati acquisiti a riguardo degli spostamenti più
recenti. Dopodichè feci partire il programma.
«Osserva attentamente gli spostamenti delle monetine. Ti fanno venire in mente nulla?»,
domandai ad Angelo, pigiando a cadenza regolare sulla barra spaziatrice.
«Ma dai! Non vorrai mica metterti a psicanalizzare delle stupide monete.»
«Psicanalizzare no. Estrapolare.. forse sì. Sta' a guardare.»
Feci ripartire tutto daccapo.
«Mi scuso per le approssimazioni. Tanto per incominciare, non ho rappresentato il
videoregistratore.», dissi, scorrendo il dito sul teleschermo. «Inoltre manca la prospettiva.
Tu però fai conto che la linea rossa sia il bordo della scrivania, e quella bianca il piano dello
scaffale.»
«Per questa volta cercherò di chiudere un occhio.», ironizzò Angelo.
«Al contrario: vedi di tenerli entrambi bene aperti. Per il resto, funziona come un
proiettore di diapositive: accòmodati, e premi questo tasto qui per passare alla successiva.»
«Impilate a destra sulla scrivania..», commentai.
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(19 )
«Si spostano a sinistra..»: manco fossi stato un telecronista nel bel mezzo dell'azione
cruciale di una finalissima di calcio.
«“Saltano” sulla mensola della libreria.. Come se volessero attirare su di sé l'attenzione.»
«Non starai mica parlando sul serio!»
«E provare per una volta in vita tua a fidarti delle mie intuizioni.. Mai, eh?»
Mi voltai a guardarlo in faccia per spiegargli meglio la mia teoria:
«Si tratta di un'ipotesi più che plausibile, invece. Hai mai fatto caso, a quando si
muovono? Solo quando sia io che te ce ne interessiamo. Ho visto qualcosa di simile in
“Ghostbusters II”: una sostanza psicoreattiva, o una roba del genere.»
«Mi stai dicendo che se non le caghiamo di striscio loro si sentono ignorate e per protesta
se ne stanno ferme?»
«Più o meno, mister cinico.»
«Tu sei fuori. Quindi, secondo te, se adesso torniamo lì a vederle..»
«Perché te la prendi con me? La mia è solo una ragionevole ipotesi..»
«Ragionevole un tubo!»
E invece:
«Visto? Ha raggiunto le altre due.»
«Non è possibile!»
«Aspetta solo un momento!»
Una strana frenesia mi spinse nuovamente al computer, ad inserire l'ultimo dato acquisito.
«Eureka!», esclamai. «Ho capito tutto: guarda!», e lanciai il programma, andando avanti
veloce fino al passo 8. «Dimmi tu se non stanno giocando a scacchi!»
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(19 )
«Apertura di pedone..»
«Viene mangiato un non-pedone – a giudicare dalla posizione, si direbbe l'alfiere destro.»
«Perché?»
«Le monete erano 8, in partenza: proprio come le caselle di una scacchiera. In sèguito
sono scomparse tre monete a sinistra: tutti centolire, tutti pedoni.»
«Ho capito: l'unico pezzo che poteva muoversi in quella casella..»
«Quella lasciata libera dal pedone davanti al cavallo..», precisai.
«..è l'alfiere del re.», concluse Angelo.
«Oppure la regina, se gioca coi neri.»
«Okay: ti seguo. Va' avanti.»
«A questo punto, viene mangiato il pedone che non è più protetto dall'alfiere.»
«O regina.», puntualizzò lui, come se oramai propendesse per questa seconda ipotesi.
«Il pedone sinistro avanza. Nota come il secondo pedone difenda il primo.»
90
(19 )
«Avanza il terzo, anch'esso protetto da quello centrale..»
«..che infine raggiunge i compagni.»
«Il caratteristico “avanzar compatto” dei pedoni.», osservò Angelo – che a questo punto si
era lasciato definitivamente catturare dalla mia teoria. «La logica mossa successiva
dovrebbe essere..»
20
P
recisamente: il pedone centrale avanza, mentre gli altri due gli fanno scudo.»
«Càspita! Ma
allora
stanno
davvero
giocando a
scacchi!»
«Esattamente. E avanzano.», confermai.
«Verso dove?»
Bella domanda. Voglio dire: se lasci un cane libero di muoversi, ti puoi ragionevolmente
aspettare che vada a far pipì in un cantuccio, o magari ad annusare qualcosa, ma.. una
moneta semovente?
«Non saprei.», risposi. «E, francamente parlando, non credo che ciò sia di una qualche
particolare rilevanza. In fondo ce le ho messe io, su quello scaffale, ma potevo metterle
ovunque.»
«Sì, però (ammesso di credere al tuo giochino) saltando sulla mensola sono state le
monete stesse a indicarti dove metterle, no?»
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(20)
«Però ho deciso io, di disporle verso sinistra anziché sulla destra.»
«E per quale ragione non le hai allineate a destra?»
«Poiché non c'era spaz.. Oh cavolo: era una scelta obbligata!»
«Vedi? L'ipotesi regge. Comunque: ti ho osservato, quando le hai messe giù in piano, e ho
fatto caso che hai lasciato la moneta che stava alla base nel punto in cui era..»
«..disponendo le altre una adiacente all'altra, una ad una verso sinistra. Precisamente. E
con ciò?»
«“Con ciò”, forse qualcuno o qualche cosa vuole indicarci un libro che sta sul tuo
scaffale.»
«E deve usare delle monetine, per farlo?»
«Cerca solo di attirare la nostra attenzione. Quanto a questo, non puoi negare che ci sia
riuscito in pieno.»
«Non sarebbe stato più logico spostare direttamente il libro, allora?»
«Forse è troppo pesante.»
«Sì, come no. Io batterei la pista degli scacchi, piuttosto.»
Estrassi dal medesimo scaffale “Il secondo libro degli scacchi”:
«Pagina 46: “MANTIENI FORTI I PEDONI”. Da' un'occhiata al box riassuntivo.»
«“I pedoni sono forti quando sono: uniti, difesi, liberi di avanzare.”», lesse.
Parlava di noi due Predestinati, ma ancòra non eravamo in grado di capirlo. (Perlomeno
io.)
«E questo ti suggerisce qualcosa?», mi domandò rigirandosi tra le mani il libro, per poi
porgermelo quasi a mostrarmene la copertina.
«A me no, Angelo. E a te?»
Ero andato a riporre il libro, così la sua risposta mi sfuggì. Né mi ricordai di porgli
nuovamente la domanda, poiché nel frattempo..
Tornai a sedermi tutto trafelato, e ad Angelo che già ne presagiva la causa dissi
semplicemente:
«Il primo pedone avanza.», e inserii le linee BASIC per aggiornare il programma.
«Già che ci sei, fai pure anche il terzo.»
«Lo prevedi?»
«Senza “pre”: lo vedo e basta.», buttò lì laconico, indicando la mensola.
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«Eccellente!», esclamai entusiasta, inserendo la nuova posizione. «Significa che siamo
sulla buona strada, te ne rendi conto?»
«Se lo dici tu. Piuttosto, fammi rivedere il tutto.»
«Un attimo solo che registro.. non si sa mai.»
«Io ho contato 16 spostamenti, fino ad ora. E tu?»
«Bah.. non saprei. Vediamo immediatamente!»
Rilanciai il programma e contai.
«Confermo: sedici. Perché?»
«Non mi stupirei se la risposta saltasse fuori alla prossima mossa.»
«Certo che la tua è davvero una fissazione, Angelo!»
«(Parla quello che alleva monete..)»
«Hai detto qualcosa?»
«Ho detto che secondo me ci vogliono indicare un libro.»
«Insisti?»
«Insisto.»
«E quale? Disposte a questo modo, stanno davanti a due libri. Quale dei due?»
Mi alzai per leggerne i titoli:
«“La saggezza della vita”, di Nicola Abbagnano, e.. Occazzo.»: sbiancai di colpo e
tacqui.
«Cosa hai visto?»
«Una moneta.. una.. u..»
«Che cos'hai? Ti senti poco bene?»
«Guarda tu stesso.»
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(20)
Una moneta si era infilata proprio sotto il libro a sinistra: l'ultima opera scritta da Paolo
Calliari, pubblicata postuma, che avevo acquistato per pura curiosità presso una libreria in
Vaticano durante le vacanze a Roma con Alessandro. Angelo ne lesse il titolo incredulo:
«“Trattato di demonologia”?»
Mi lasciai cadere sulla poltroncina:
«Proprio così: il libro che costituisce il testamento spirituale di uno dei maggiori studiosi di
satanismo.»
«Andiamo bene..», e allungò la mano per estrarre il trattato.
«No!», lo fermai io, scattando in piedi allarmato. «Rimangono altre due monete: non puoi
interrompere così l'esperimento!»
Fu un atto istintivo controllare che gli altri due centolire vi fossero ancòra – e c'erano, ma..
«Cristo, ci sto impazzendo.. L'hai per caso presa dentro tu, Angelo?»
«Io no.»
«Allora siamo a posto.»
Le gambe stavano per cedere, l'adrenalina pompava e la tensione era al massimo.. così mi
ri-buttai sulla poltroncina:
«Avevi ragione tu: due monete su tre ci stanno indicando un libro. Proprio quel libro.»,
che era troppo anche solo nominarne il titolo.
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«Ehm..»
«Lo so, cosa stai per dirmi: che non dovrei reagire così, e che in fondo..»
«Anche. Ma veramente volevo innanzitutto farti notare che pure quell'altra moneta s'è
messa in fila indiana con le altre.»
«Sono senza parole. Va be' , allora se le cose stanno così..» e poi, rivolgendomi alle
quattro pareti della mia stanza: «C'è qualcuno che ha voglia di giocare? Eccomi qui: su,
forza! Chiunque tu sia, fa' la tua prossima mossa! Dai! FATTI AVANTI!»
«Ma chi sei? Il Daitarn 3?», mi derise Angelo. (E non solo lui, temo.)
«E allora? Che fai, esiti? Io ti aspetto.»
«Io invece no: ho fame. Ti andrebbero, delle patatine?»
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A
ngelo mi aveva lasciato senza parole.
«'zzo mi guardi? T'ho chiesto se ti va di mangiare delle patate fritte, che sarà mai?»
«Proprio adesso??»
«E quando, sennò? Ce ne hai ancòra, in ghiacciaia, vero?»
«Non c'è niente da fare: tu sei rimasto ai tempi del tuo bisnonno, non è così? “Ghiacciaia”
un corno: si dice frigo! Freezer in inglese, refrigerator all'americana, passi pure
“congelatore” in italiano, ma.. ghiacciaia?!»
«Cosa fai? Ti arrabbi? Scendi la voce e abbassa il pensiero.»
«Sta bene: vada per la frittura. Però friggi tu.»
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«È ovvio.»
Mentre versavamo l'olio nella padrella..
UUUUUUUUUUUT!
«Chi sarà?»
«Boh? Forse mio fratello, che protesta perché non vuole che io gl'inquini l'aria friggendo.»
«E per quale ragione? Non sono ancòra le cinque: pranzato, ha pranzato..»
«Come sono solito ripetere: “L'uomo si diversifica dall'asino per il fatto di essere
intelligente. Mio fratello, per il fatto di essere bipede.” Vado a sentire cosa vuole.»
Provai a chiamare, ma non rispondeva nessuno.
«Per forza: il selettore è impostato per comunicare sulla linea 1, quella di camera mia. Si
vede che mia madre come al solito ha dimenticato di riposizionarlo sul 4, ossia questo
intercom.»
«Il fatto che non sia stato tuo “fratello” Domenico non spiega perché prima abbia
suonato.», osservò Angelo.
«Già.», la qual cosa mi dava parecchio da pensare..
Con un TRRRACK portai a fine corsa il selettore a slitta, poi mi diressi verso
le scale.
«L'olio quasi bolle: dove vai?»
«Giù, a verificare un'ipotesi. È un dato di fatto che la chiamata proveniva da camera mia.
Sèguimi.»
Ma, con mia massima sorpresa, le monete erano..
«Sparite! Senza lasciar traccia: sono scomparse nel nulla!», esclamai allibito.
Se invece si erano solo spostate, dovevano essersi nascoste bene – e non avevamo tempo
di cercarle, con l'olio non sorvegliato sul gas, così tornammo su. Una patata sfrigolava nel
mezzo della padella.
«È forse tua intenzione friggerle una ad una, Angelo?»
«Cosa stai dicendo?»
«Tipo quella che hai messo nella pentola.»
Angelo parve notarla per la prima volta in quel momento:
«Ti giuro che non ce l'ho messa io.»
Io nel frattempo ero andato a controllare l'intercom:
«Qui hai toccato qualcosa? È tornato sulla linea 1!»
«Ma non c'era già?»
«Sì, ma io l'ho rimesso sul 4 prima di scendere, non ricordi? Mi hai udito tu stesso.»
«Veramente, no.»
«Beh, allora fammi il piacere: stavolta vieni qua e guarda. Visto? Ora l'ho messo sul 4: se
si muove un'altra volta, ce ne accorgiamo.»
«Sai chi se ne frega.», chè Angelo non ha molto il senso dell'esperimento scientifico
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«Tu! O perlomeno dovresti: sarebbe il minimo, visto che mi hai cacciato in questa storia!»
«Cosa fai? T'arrabbi? Scendi la voce..»
«..e modera il pensiero: sì, lo so, l'ho capito. Me l'avrai ripetuto centomila volte!»
«(Mai abbastanza: hai sbagliato il finale.)»
«Come dici?»
«Che l'olio sarà caldo.»
Così, tolta la patatina solitaria oramai semi-carbonizzata, buttiamo le altre:
«Alessio.. hai sentito anche tu?»
«Sì: FSHHH! – rumore di patate surgelate che friggono nell'olio bollente,
liberando bolle di vapore acqueo che..»
«No: dico l'interfòno. Mi è sembrato di sentire che..»
«Io non ho udito nulla, ma controllare non costa nient..»
«Indovino? È tornato sull'1!»
«Tu vai pure avanti a friggere. Io scendo a controllare.»
«Un'altra volta?!»
Al mio ingresso in camera, venni colto alla sprovvista da due squilli lunghi.
«Chi accidenti è?» (Me ne rendo conto: Amleto era stato alquanto più raffinato di me.)
Ad ogni modo, chiunque fosse stato a chiamarmi, non pareva affatto intenzionato a
rispondere. Né servì ripetergli la domanda attraverso l'intercom, nostro canale di
comunicazione.
«Ma tu guarda un po' se è questo il modo di stabilire un contatto.. Che razza di maniere!»
Sorvegliavo l'intercom con gli occhi bassi, quelli di un toro pronto alla carica, soffiando
vapore dalle narici. Allorchè, nel silenzio della perfetta stasi, giunse la tanto trepidamente
attesa risposta:
«Le patate sono pronte.» UUUUUUUUUUUT! «Yuhuu? Alessio!
Mi senti?» UUUUUUUUUUUT!
Riavutomi dal coccolone, salii le scale come una furia – che ci mancava solo “La
cavalcata delle Walkyrie” per sottofondo.
«Oh, ma dico: sei scemo o cosa? È il modo di fare, questo?!»
«Che cos'hai? Non mi andava di scendere, e così..»
«..e così un corno! Io sto giù come uno scemo a cercare di stabilire un contatto, e tu ti
metti a giocare a “Indovina chi”?»
«È forse troppo, chiederti cosa cavolo stai dicendo?»
«Prima, i due squilli lunghi. Poi dico “Chi sei?”. Poi..», ma ad un tratto il muro di un
sospetto colse la locomotiva delle mie parole lanciata in corsa, e fu proprio Angelo a
confermarmelo:
«Hai fuso? Guarda che io non ho fatto un bel nulla. Semplicemente, quando le patate
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(21)
erano pronte, visto che non tornavi più su ti ho citofonato.»
«Cioè i due squilli iniziali non li hai fatti tu? E non hai udito niente di quanto ho detto?»
«Proprio.. gnam gnam.. proprio così.»: aveva già attaccato con le patatine. «Vuoi
favorire?»
Disarmante. Alle solite. Qualche fantasma misterioso con l'hobby della demonologia stava
tentando di comunicare con noi, e lui se ne stava lì serafico a brucare patate fritte! Il mio
mondo di solide certezze positiviste si sgretolava in mille pezzi, e lui che fa? Mastica.
Fossimo stati in un film, gli avrei strappato di mano la ciotola e gliel'avrei spetasciata in
testa. Siccome invece nel mondo reale poi tocca pulire per terra, mi limitai a riposizionare
lo slider sul 4 e infine – brontolando – ficcai una mano nella “mangiatoia” onde trarne
qualcosa da mettere sotto i denti, al posto dello stomaco che mi stavo già rodendo da un
pezzo.
Il tempo di distrarmi un attimo, e il selettore era tornato sull'1.
«E tu lasciacelo, che diamine!»
«Prima i cartelli che fanno l'hoola-hop. Poi le monete. E gli intercom che funzionano da
soli. E le patate che vanno a farsi friggere di propria iniziativa.. E che cacchio!!», protestai.
Così mi toccò scendere per la centomillesima volta, non mancando però di ridere tra me e
me al pensiero che “Il mondo è fatto a scale: c'è chi scende e c'è chi sale”.. e chi, come il
sottoscritto, faceva entrambe le cose.
Prima, però, era prudente fare una raccomandazione ad Angelo:
«Stavolta senza intervenire, OK?»
«Prova con qualcosa di più articolato.»
«Uh?»
«Che so? Una frase di senso compiuto, tipo soggetto + verbo + predicato..»
«Tu stare qui. Tu controllare intercom. Io lasciare intercom su 1. Insomma: se qualcuno
parla, o anche solo suona, vedrai accendersi la lucina sotto TX: occhi aperti ma non toccare
nulla, chiaro?»
«Tu sei un fissato. Lo sai, vero? Sì che lo sai.»
Lo presi per un sì, e tornai giù nel “laboratorio segreto” a cercare d'interfacciarmi con
l'interfono, manco fosse la stele del film “2001: odissea nello spazio”.
«Forse ho capito qual è il problema: non sei in grado di parlare, giusto? Allora facciamo:
2 squilli brevi per dire SÌ, e 2 lunghi per dire NO. Ti va?», tenendo premuto TALK.
UUUT! UUUT!
“Perbacco! Sembra funzionare!”, mi esaltai.
«A titolo di conferma, ora fammi un NO.»
Una manciata di secondi di silenzio si snocciolò lentamente.. e poi.. finalmente.. una voce:
«O! Si può sapere con chi cavolo stai parlando?»
L'avrei sbranato! Invece dovetti soprassedere. Feci un respiro profondo e pigiai il tasto per
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(21)
parlare:
«Angelo! Porca di quella.. Ma se te l'ho appena detto, di non toccare nulla!»
«Sei tu che hai cominciato a dire cose strampalate: credevo ce l'avessi con me!»
«Come scusa mi pare un po' deboluccia, ma stendiamo un velo pietoso. Ora: ti spiace..?»
Fu tutto inutile: dopo un paio di ulteriori tentativi, dovetti arrendermi all'evidenza che il
contatto era oramai sfumato e tanto valeva tornar su in cucina.
«Chette possino..», mugugnai all'indirizzo di Angelo.
«Quante storie, per uno stupido interfòno!»
«C'ero andato vicino, mi aveva anche risposto, però quando ti ci sei intromesso tu si
dev'esse..»
«Fermi tutti: ti ha.. risposto?!»
«Sì.»
«Chi?»
«Questo non lo so. Stavo per scoprirlo, ma grazie al tuo interv..»
«Cosa vuol dire “mi ha risposto”? Come? »
«Dovresti averlo sentito: 2 squilli corti per dire SÌ, 2 lunghi per NO.»
«Io non ho sentito proprio un bel niente.»
«Non è possibile. Hai cambiato linea? O abbassato il volume?»
«Ma se ti sei tanto raccomandato di non toccare nulla!»
Controllai: stava sull'1 come ce l'avevo lasciato, e la rotellina del volume era sul massimo.
«Perlomeno, avrai notato i LED che si accendevano!»
«Sì, certo: si è acceso..»
Stavo già abbandonandomi a un sospiro di sollievo, quando concluse la frase nel modo
sbagliato:
«..quando ti ho chiamato io. Invece non l'ha fatto quando tu mi hai detto di dirti di no.»
«Ma non lo stavo dicendo a te!»: peggio di una commedia degli equivoci tipo i fratelli
Marx.
«Parlando di cose più importanti..», aggiunse Angelo con tono grave. Arrivato a quel
punto, ero pronto a sentirmi dire qualsiasi cosa – incluse robe tipo “le patatine mi hanno
bisbigliato all'orecchio che sta per sbarcare un UFO da Plutone”. Per fortuna, nulla di tutto
ciò:
«Sai mica che ore sono?»
Fossimo stati in un cartone animato giapponese, a questo punto sarebbe comparsa la
classica gocciolona di sudore-freddo ad indicare il mio più totale spiazzamento. Ma oramai
ci avevo fatto il callo, ai clamorosi salti di-palo-in-frasca del mio amico, così non stetti
neppure per un momento a perplimermi e risposi pacatamente – beh, per quanto potessi
esserlo in quelle condizioni di stress:
«Desidererei attirare la tua attenzione sul mobile alle tue spalle. Riconosci il forno?
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Noterai che sopra di esso ci sta un orologio. Sei in grado di leggere le cifre arabe? Sono le
17 e..»
«..e 17. Grazie. Lo sospettavo. Beh, io devo andare: Valeria e Alessandro mi aspettano. E
se mangiassimo una pizza, dopo?»
«Cosa accadrebbe?»
«No, voglio dire: e se mangiassimo una pizza?»
«Ribadisco: SE + proposizione ALLORA..»
«Ma te sei malato di informatica!»
«E tu di perifrasite acuta. Lascia perdere i “se”, piuttosto, e parla chiaro.»
«Mangiamo. Una. Pizza. Stasera. Eh?»
«Anche due! Dimmi tu a che ora.»
«Mah, ci vorrà al massimo un'oretta, poi vado a correre, una doccia.. Facciamo alle
otto?»
«Le otto siano! Noleggiamo un film?»
«Ti va “Poltergist”?»
«Si pronuncia “Poltergaist”.»
«Quel che è. Allora?»
«Sai che non è il mio genere..», ma ci ripensai. «Date le circostanze, però, mi pare
appropriato. Il danno è che alla videoteca non ce l'hanno: me l'aveva proposto Bobby giusto
settimana scorsa e..»
«Magari era già stato noleggiato da qualcun altro.»
«No: mi hanno detto che proprio non l'hanno mai acquistato.»
«Io un tentativo lo faccio lo stesso. Semmai ne prendo un altro.»
Lo accompagnai alla porta, poi me ne tornai di filato in camera per “vestirmi da mondo
esterno”: mai come in quel momento avevo bisogno di cambiare aria facendo quattro passi
per distendermi i nervi.
Pronto per uscire, però, m'assalì uno scrupolo: “E se poi quello torna a farsi vivo mentre
io sono fuori-casa? Meglio fare un ultimo tentativo.”
Pigiai TALK e..
«Pronto? Pronto? C'è nessuno in ascolto?»
Niente: tutto taceva.
«Su, fantasma delle monetine! Glielo dici ciao, ad amico-Alessio che ti vuole tanto bene?»
Quella volta, l'intercom deve avermi preso per pazzo.
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F
orse non ci hai mai fatto caso, ma il tuo è un mondo sperimentale: l'unico, a livelli
tanto bassi, in cui si sia osato l'azzardo di portare l'Amore. Tu non hai la minima
idea di quante storie mi hanno tirato, quelli! Dicendo che era pura follia, gettare una
rosa in un porcile sperando che i porci non ci scagazzassero sopra. Così dovetti far
qualcosa per spiazzarli tutti quanti: “Ah, sì? E allora quella rosa sarò io!”, e mi tuffai in un
irrefrenabile slancio d'Amore.. che ancor oggi mi guardano da lontano con un'espressione
che definirei allibita, hehe.
Ed eccomi qui tra voi!
Non che la cosa sia stata propriamente facile: tanto per incominciare, portare Amore in un
mondo così basso equivaleva a rompere le uova nel paniere a chi in questo mondo ci
sguazza. E loro lo sanno bene, che io sono il peggiore dei mali che potesse mai capitare a
chi è abituato a spadroneggiare e a corrompere indisturbato il tuo pianeta.
Raggiunsi questo mondo da lidi remoti, vastità sconfinate di beatitudine
che trascende tempo, spazio, me, te.. Nacqui, così mi venne riferito, in una
ridente giornata di primavera:
« È un maschio! Gli daremo nome Alessio.»
A queste parole si levò il vento: così potente e così improvviso che quella
stessa donna, mia madre, avrebbe di lì a poco appuntato quel presagio sul
mio album personale di bebè.
Ero il primogenito – l'intera famiglia abbarbicata su un fine, sottilissimo,
esile crine di speranza: due nascituri erano morti ancor prima del parto.
Per ciascuno di essi, l'avrei ricompensata con coloro i quali lei mi avrebbe
un domani presentato come “i tuoi fratelli”.
Nascere è un po' come affogare all'incontrario: un “brutto quarto d'ora” ad
annaspare penosamente fra la vita e la morte. Solo che dopo, con tua
grande sorpresa, sei vivo – seppur non ancòra del tutto certo se sia un
bene o un male.
Eppure lei, finalmente madre, sfinita da un parto estenuante, mi stringeva
a sé con un amore così “selvatico”, ma già immenso; primitivo, ma
dolcissimo. Mia madre..
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Ma io chi ero? E dove mi trovavo? Cos'era successo? E perché mai questo
posto così pesante, così grezzo, mi aveva accolto con tanto dolore?
Mi affrettai a domandarlo al vento, ma lui si limitò a bussare ai vetri
sferzando un sassolino contro la finestra. Possibile mai, che non fossi più
in grado di parlarci?
Fin da quel primo giorno mi è sempre piaciuto sentirlo soffiare, stormire
tra le fronde dei rami del parco, vederlo trascinare i coriandoli del
carnevale lungo i marciapiedi, rincorrerlo e lasciarmi rincorrere, e giocare
con i miei primi capelli..
I miei primi capelli, già..
In quei tempi e in quei luoghi, era costume che li si bagnasse con
dell'acqua in uno stanzone gremito di gente: la donna che mi aveva donato
un corpo da abitare; un uomo ferocemente invidioso dell'affetto che quella
donna provava per me; due coppie con qualche anno in più (entrambe,
ancòra una volta – fatto singolare – appaiate uomo-donna); un gran vociare
di estranei e..
Lo riconobbi immediatamente: uno di loro! Un viscido servo di quella
genìa immonda! Che ci fa costui qui? Come osa, innanzi a me?! Per
l'appunto, riflettei: come può, uno così, trovarsi accanto a me e per giunta
contro la mia volontà?
Tutto era così strano, così sottosopra: niente pareva più funzionare
secondo l'ordine naturale delle cose. E quando gli ordinai di dileguarsi
all'istante, per tutta risposta udii il vagito di un bambino.
«Adesso capisco: il corpo! Adesso ho un corpo. Ecco perché costui..»
Ciònondimeno rimasi esterrefatto, dalla reazione delle “facce note”:
perfino quella donna amabile, si sentiva in soggezione davanti a quel
reietto! E addirittura domandava a me di essere buono, e di consentire che
mi si versasse addosso quella detestabile acqua gelida – quel che è
peggio, intrisa delle benedizioni di Forze con le quali l'essere immondo
faceva comunella. L'acqua magica del Lete, portatrice d'oblio.
E così, con ogni giorno che passava, il mio ricordo di Me stesso veniva
goccia a goccia sommerso dalla Grande Menzogna cui ero destinato a
credere per qualche tempo. E crebbi, dimentico delle mie origini, così come
si conviene ad ogni essere umano.
La grande città mi opprimeva, stringendomi nella sua grigia morsa di
concretezza cementata, pesante, tenace..
«A tutti i bambini piace uscire, mentre tu te ne stavi in casa tutto il
tempo. A soffiare sui vetri e osservare il vapore. A dipingere sui muri
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e sopra le poltrone. A esplorare il forno e metterti nei guai con la presa
della corrente. A smontare e rimontare i giocattoli. A sederti sui fiori
del balcone. A suonare l'organetto Bontempi..»
Nonna è sempre stata solita canzonare amorevolmente il suo primo
nipote: quello più intelligente – e, proprio per questo motivo, “il più strano
dei bambini”.
«Tu e la musica: già da piccolissimo cantavi in spiaggia, usando
come microfono un bastone conficcato nella sabbia. Oppure te ne
stavi per ore intere affascinato davanti a un juke-box.. Sempre così
curioso di tutto: che cos'è, come funziona.. Imparasti a leggere che
non avevi ancòra cinque anni, a furia di domandare al nonno cosa
c'era scritto sopra le insegne dei bar!»
Fu proprio in un bar, proprio in quell'estate, che scoprii i videogiochi:
“MegaPhoenix”, un coin-op spaziale che trillava una cascata di BIP! Come
sottofondo, una canzone che ancòra ricordo con nostalgia: “Su di noi,
nemmeno una nuvola. Su di noi, l'Amore è una favola..”.
Appena pochi giorni più tardi, ed ero in un ospedale in fin di vita..
«Com'è successo?»
Rumore di zoccoli all'olandese che rimbombano come in un tunnel.
«Mah.. era seduto su un muretto, poi un cane gli ha abbaiato
addosso, e lui è caduto all'indietro, e ha picchiato la testa contro un
sasso, e tutto quel sangue, e cosa dovevo fare, ma poi il tassista col
fazzoletto bianco fuori dal finestrino, io dietro con tutto quel
sangue..» : la voce del nonno tremava per lo spavento.
«Va bene, ho capito. La ringrazio: lei ci aspetti pure qui. Infermiera!
Dia un tranquillante al signore: non vede che è in stato di shock?»
Leggeri scossoni, ruote che rimbalzano sulle pieghe del pavimento in
linoleum verde, ronzii e tanta confusione in testa, e poi..
Buio.
Mi trovavo ai giardinetti.
Da solo.
Girovagavo tra i miei amici abeti, carezzandone le fronde, lasciandomi
inondare dalla fragranza aromatica emanata dalla loro resina balsamica..
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«Poverini! Perché vi hanno imprigionati nel cemento, e rinchiusi dentro a
queste recinzioni?»
Ricordi appannàti, affievoliti e senza peso come in un sogno..
All'improvviso, ebbi come la premonizione di un pericolo imminente: mi
voltai con un guizzo – e un'orda di dobermann neri coi collari di cuoio
dalle punte d'acciaio accuminate stava sfrecciando verso di me. E allora
corsi, corsi a perdifiato, ma dove potevo andare? e i nonni dov'erano? E
così scappavo, ma quelle fauci assassine erano sempre meno lontane,
quando.. Idea! Se mi nascondo sotto le fronde degli amici alberi, starò al
sicuro: essi mi proteggeranno, e i cani non potranno valicare la recinzione
tutt'intorno.
Impugnai con entrambe le mani la ringhiera sulla sommità della
recinzione, alta quanto me, e – imitando Actarus quando entra nello
scivolo che lo conduce dentro il suo robot Goldrake – con un balzo delle
gambe mi piroettai meglio di un ginnasta alla sbarra.
Giunto in salvo dall'altra parte..
«Ha aperto gli occhi! Venite, presto: ha aperto gli occhi!!»
Ma dove mi trovavo?
La lunga notte era scivolata via. Nonappena scrollatomi di dosso il
torpore, mi scoprii sdraiato sopra un letto d'ospedale, vegliato notte e
giorno da quella povera donna che aveva in Destino di esser madre a uno
scavezzacollo come me. Con tutto che dal suo viso non si erano ancòra del
tutto cancellàti i segni di un incidente che, poche settimane prima, sarebbe
potuto costare la vita a lei e a suo marito.
Uno strano incidente davvero: strada in perfette condizioni, guida
prudente e velocità fin troppo moderata, furgone della ditta di famiglia
appena revisionato, e poi.. SCRASH! Lo schianto con il
guard-rail, il furgoncino in bilico sul ciglio del ponte, e spalancato
sotto di essi muggiva l'abisso pronto a inghiottirli.
«Ci era passata innanzi agli occhi tutta la nostra vita. Con un solo
sguardo ci eravamo già dati l'addio, io e tuo padre: il guard-rail
avrebbe ceduto di lì a poco, e anche ammesso che qualcuno avesse
chiamato i soccorsi..»
Invece si ritrovarono inspiegabilmente al sicuro sulla terraferma
della strada: un po' ammaccàti, il furgoncino oramai da rottamare,
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(22 )
però salvi.
«Buongiorno.»
Soltanto un demente poteva uscirsene con una frase del genere dopo
l'accaduto: e infatti si trattava di uno zelante agente della polizia
stradale, giunto sul posto per raccogliere la deposizione di quella
giovane coppia che aveva appena guardato in faccia la morte.
«Si sentono bene?»
Qualche livido, una costola rotta, lieve trauma cranico con
lacerazione cutanea (l'impatto contro il voltante), fiumi di adrenalina
ancòra in circolo.. ma, a parte questo, tutto OK.
«Sarete assicuràti, presumo..»
Definizione di burocrate: l'indelicatezza personificata che non ti dà
tregua un solo istante.
«Sì. Sì, credo di.. Ma certo, che lo siamo! Il tagliando sta.. dove sta,
il tagliando? Ah sì: sul parabrezza, che scemo, dove altro?»
«Il parabrezza s'è frantumato ed è caduto giù dal ponte. Non
importa: date le circostanze chiuderemo un occhio, ma voi contattate
al più presto la vostra assicurazione, d'accordo?»
«Certo, agente. Certo. EHI! Ma..»
Il tagliando dell'assicurazione se ne stava lì come se nulla fosse accaduto,
in bella mostra sul sedile anteriore del furgoncino. Ancòra oggi, nessuno
ha mai saputo spiegare come ci fosse arrivato.
Tutto il resto invece venne risolto con tempestive razionalizzazioni: una
brusca manovra per evitare un'auto che giungeva a folle velocità, il rapido
arrivo dei soccorsi, e la “fortunata” resistenza strutturale del guard-rail.
Ordinaria amministrazione: una comunissima infanzia da predestinato. Perché non è
che uno si aspetti che gli schìfidi cessino di rompere le palle una volta che sei riuscito ad
incarnarti. Anzi!
Non riuscendo a eliminare me, ci hanno provato con le persone preposte alla mia
sorveglianza. Ma è chiaro che prima di venire al mondo ho preso bene le mie dovute
precauzioni. (Creando forme-pensiero al mio esclusivo servizio: suppergiù, una specie di
angeli custodi col compito di proteggere me e le persone che amo, e guidare il mio
sviluppo.)
Perchè nessun predestinato verrebbe al mondo senza essere certo al 100% di trovarsi
nelle condizioni di poter adempiere la sua Missione, è ovvio.
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23
A
ngelo era arrivato alle otto e un quarto, tutto gongolante:
«Visto che puntualità?»
«Al massimo sei in anticipo sul solito ritardo: s'era detto alle otto..»
Posto davanti a un'evidenza, Angelo cambia sempre argomento:
«Il film l'ho trovato.»
Tanto io ci casco ogni volta:
«Possibile mai? A me avevano detto che “Poltergeist” non ce l'avevano proprio!»
«Infatti questo è il 2.»
«“Timeo Danaos, dona ferentes et sequeliorum syndromen.”»
«Traduci.», detto più con l'aria di chi ti sfida a dimostrare di sapere cosa stai dicendo,
piuttosto che con il disorientamento di chi non ha mai imparato l'inglese, figuriamoci una
lingua morta come il latino.
«È maccheronico. “Sequeliorum syndromen”, voglio dire. Il resto è un autentico
proverbio degli antichi romani, estrapolato dall'Iliade.»
«E.. significa?»
«Temo i greci, e chi bussa alla mia porta recando doni.»
«La tua aggiunta.»
«Ah. Significa che io personalmente temo pure la sindrome dei sequel: prendi “Nightmare
on Elm Street” e quelle 5-dico-5 porcherie trash inguardabili che l'hanno seguìto.»
Peraltro, manco a rispondere a un appello, di lì a pochi mesi Wes Craven avrebbe girato il
settimo episodio che è all'altezza del primo. (Qualcuno qui potrebbe riconoscerci un 17.)
«Embè?»
«Ah già, dimenticavo che tu sei un malato di americanate, e non un cinefilo smaliziato.
Be', la differenza è lampante: l'originale è sempre meglio delle successive fotocopie. Non c'è
film di successo che non generi cloni mediocri: tanto le major cinematografiche lo sanno,
che al botteghino i fessi si accalcheranno comunque! Senza offesa, neh?»
«Un po' come “Voglia di vincere”. Il secondo fa schifo: non c'è più Michael J.Fox.»
«Sì, ma io veramente non la facevo tanto una questione di attori famosi: mi riferivo alla
storia del film, che il più delle volte è poco più di una banale ristesura del medesimo
copione.»
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«Meglio.»
«Come sarebbe a dire?»
«Che se le cose stanno così, sarà come vedere il primo.»
«Ti riferisci a “Poltergeist”, presumo.»
«Chiaro.»
«Soltanto adesso lo è. Sai com'è: prima mi era come sfuggito un passaggio.»
«Oh, non importa.»
Oltre al danno, la beffa: anziché raccogliere la mia ironia, me la ribatte indietro come a
ping-pong. Aggiungendoci pure gli interessi:
«Dici che saranno pronte, le pizze?»
A quei tempi ero ancòra solito prendermi non solo la briga di decodificare i suoi comandi
dissimulàti, ma pure di eseguirli seduta-stante – e così, prima che il forno desse loro il colpo
di grazia, andai a prendere le pizze che avevo tenuto in caldo.
Angelo intanto (così, per puro spregio, giusto per irritarmi un po') faceva ciaociao con la
manina al Qualcuno Fuori Dalla Finestra Del Soggiorno – riesumando un vecchio
tormentone cominciato nei giorni in cui scrivevamo “Technophobia” C005.
«A proposito di “Nightmare on Elm street”..», dissi, iniziando a formattare la mia pizza.
«Quello con Freddie Krueger?»
«Proprio quello: il mostro che prende vita dai sogni delle sue vittime.»
«Perché me ne hai parlato?», con l'aria incomprensibilmente sospettosa.
«Per attinenza con quello che vedremo tra poco. Sempre che per una volta tu mi consenta
magnanimemente di finire questa beataeva di pizza. Tu piuttosto spiegami cosa ti turba.»
«No. Niente.», mentì Angelo.
«Ti sentiresti meglio, se facessi finta di crederti?»
«È che stanotte ho fatto un sogno.», ammise poi.
«Come tutti quanti al sopraggiungere della fase R.E.M.»
«Un sogno.. strano.»
Per tutta risposta, sollevai gli occhi al cielo: Angelo sa essere davvero snervante, a volte!
Però poi continuò:
«Eravamo io e te, nella discesa qui sotto, davanti all'albero vicino al sottoscala.»
«L'alloro che sta davanti al locale della caldaia?»
«Proprio. E tu eri.. strano.»
«Sarebbe a dire?»
«Tanto per incominciare, avevi su i tuoi sòliti pantaloncini.»
«Le mie braghette estive? Quelle che strenuamente difendo dalle grinfie di mia madre, che
vorrebbe gettarmele via soltanto perché sono lise e sbrindellate? Bella forza: per metà
dell'anno non indosso praticamente altro, in casa!»
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«Sì ma.. Non erano blu: erano rosse.»
«Càpita, nei sogni, che..»
«Càpita anche di vedere la gente con la faccia grigia?»
«O di altri colori. Sempre se si sogna a colori, ma per inciso io credo proprio di sì –
soprattutto a partire da “Armònia”.»
«Non si dice mica armonìa?»
«Sì, certo, ma “Armònia”.. possibile che non te ne abbia mai parlato?»
«No.»
«È un sogno che ho fatto tempo fa: nuotavo incorporeo nell'acqua cristallina di un lago di
alta montagna.. Ci hai presente, no?, il mio archètipo.»
«Arche-cosa?»
«Archètipo: quell'idea innata che io ho di un lago di alta montagna, circondato da una
foresta di conifere..»
«Tipo quello che avevi voluto mettere in “Technophobia”? C005»
«Ecco: mi pareva, di avertene già parlato!»
«Mai nel dettaglio.»
«Vabbè, comunque: nuotavo a rana coi polpastrelli a pelo dell'acqua.. Solo le mani: il
resto del corpo appunto non c'era. Costeggiavo un canneto, cullato da una melodia antica
soave come una ninna nanna..»
«“Armònia”?»
«Esattamente. Vedi che te ne avevo già parlato, allora!»
«No: semplice deduzione. Vai avanti.»
«Niente: mentre mi deliziavo di questa dolcissima musica, s'affacciò sul lago una fanciulla
eterea rivestita solo di veli semitrasparenti che ondeggiavano al vento..»
«Caspita: un sogno porno!»
«“Signore & signori.. ladies & gentlemen.. mes dames et mes sieurs.. Ecco a voi, in tutto
il suo squallore, mr.Cinico! Un bell'applauso, prego.”»
«Ih, come sei permaloso!»
«E tu, filisteo ed ignorante: era la raffigurazione della Verità. “La nuda verità”: mai
sentito?»
«No.»
«Comunque sia, costei attaccò a cantare con voce a dir poco celestiale “The way we
were”: una canzone che in circostanze normali mi sarebbe piaciuta moltissimo.»
«Ma chiaramente quelle non erano circostanze normali.»
«Claro que no! Stavo appunto già ascoltando un'altra melodia, e il sovrapporsi delle due
stonava terribilmente. Così, ricordo, mi voltai verso il pontile..»
«Quale pontile?»
«Non te l'ho detto? La Musa stava sopra un pontile fatto di tronchi di legno, legàti assieme
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(23)
con una corda di canapa.»
«La “Musa” sarebbe la tizia semisvestita?»
«Verità, Musa, chiamala come vuoi. Fatto sta che..»
«Anche “Euterpe”, dunque.», alludendo a una mia canzone.
«Vedo che capisci, me ne compiaccio. Morale della favola, la scongiurai dicendo: “Hai
una voce meravigliosa, ma.. ti prego: non ora!”»
«Lei invece andò avanti a cantare.»
«Come fai a saperlo?»
«È ovvio: sennò la storia finiva qui.»
«Difatti lei non accennava nemmeno, ad accogliere la mia supplica. E così non mi restò
che comportarmi come abitualmente faccio in questi casi: quando ho un'Ispirazione urgente
e magari c'è la radio accesa che interferisce, mi precipito al pianoforte per ricavarne la
melodia prima di perderla irreparabilmente.»
«E così hai fatto.»
«Già. Solo che quella volta stavo sognando. Beh, per farla breve: quando ho aperto gli
occhi non ero più nel mio letto, bensì seduto al pianoforte. Proprio quel pianoforte lì.», e lo
indicai alle mie spalle. «E stavo appunto suonando “Armònia”.»
«Però.»
«Tutto qua, quello che sai dire? “Però”?»
«Ti aspettavi un applauso?»
«No, certo. Da te, poi? Figuriamoci! Ma potevi ad esempio domandarmi di suonarti
quella melodia. Sognar musica non è cosa alla portata di tutti, chetticredi? A parte il
celeberrimo “Trillo del diavolo” C152, che io sappia il mio è l'unico caso omologato nella
storia della musica.»
«(Come la metti giù pesante..)»
«Che cos'hai detto?»
«“Posso domandarti di suonarmi quella melodia?”»
«No: adesso non più. Quando lo fai per mera cortesia, o peggio per sfottere, non posso
certo commettere un sacrilegio nei confronti della Musica.»
«(Tale & quale a come dicevo io: la metti giù dura per un niente.)»
«Questa volta ti ho sentito! E non è “per un niente”, ma bensì una cosa importantissima:
checchè accada oggi, con la barbarie musicale che imperversa di questi tempi, la Musica
non è un prodotto da smerciare un tanto al pezzo, ma una manifestazione del Sacro.C014 »
«Non ti facevo così credente.»
«Tzè! Cosa vuoi che ne sappia, un prete, del Sacro? Io mi riferisco al sacro che trascende
ogni religione costituita. Sacro così come lo erano i rituali degli antichi Egizi, o i misteri
celebràti ad Eleusi..»
«Adesso mi spiego, perché la prof ti dava otto in storia.»
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«Sì vabbè, io son qui a parlarti del Sacro e tu la fai tutta a tarallucci & vino..»
«Eeeh?»
«Lassa perde. Piuttosto: me la fai finire 'sta pizza, oppure no?»
«E chi te lo impedisce? Io no di certo: sei tu che non fai altro che parlare..»
Quanto a questo non potevo che dargli ragione:
«Touchè. Allora, visto che la tua pizza te la sei già sbafata, ti passo la palla: finisci di
raccontarmi il tuo sogno. Chi è che aveva la faccia grigia? E cosa intendi dire,
esattamente?»
«Tu. Avevi la faccia come una statua: grigia, bucherellata..»
«Vuoi dire porosa?»
«Come terra. Inespressiva. E i pantaloncini rossi.»
Nel '93 non disponevo d'altro che un'idea alquanto approssimativa del simbolismo
alchemico – così l'unica cosa che mi veniva da pensare era che quel suo vedermi
ripetutamente vestito di rosso dipendesse in qualche modo dal colore dominante
nell'arredamento della mia camera, o quello della mia automobile, o della mia cravatta
preferita:
«Non ne ho mai fatto un segreto con nessuno, che il rosso-fuoco è il mio colore preferito.
Dopo il nero, s'intende – che però è un non-colore, per cui a rigor di logica andrebbe
escluso.»
«Tu la metti giù in maniera troppo semplice..»
«Secondo me invece sei tu a complicarla: era solo uno stupidissimo sogno, dopotutto.»
«(Uno, sì: uno dei tanti.)»
«Hai detto qualcosa?»
«Sì: ti va se scendiamo a vedere il film?»
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D
ue sono, oltre alla “Legge di Murphy” che dà il titolo al libro stesso, le massime
raccolte da Artur Bloch che prediligo: la Prima Legge Del Dibattito , ovvero “Non
discutere mai con un idiota: la gente potrebbe non notare la differenza”; e la Seconda
Legge Di Clarke: “L'unica maniera di scoprire i limiti del possibile è di oltrepassarli, e
finire nell'impossibile.”
Proprio quel che mi stavo accingendo a fare con Angelo. Trascinato dapprincipio dal mio
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preciso dovere di amico di assisterlo nelle difficoltà, e finendo poi con lo scoprire un poco
alla volta che non ero una semplice pedina coinvolta per caso in un gioco d'altri – bensì io
stesso il Destinatario di tutta quella serie di eventi strani che mi avrebbero scalzato da ogni
possibile certezza, da ogni sicura verità acquisita, col preciso scopo di scaraventarmi fuori,
nel vuoto sconfinato del Mondo Reale.
Non il tuo: il tuo è illusorio, una specie di simulazione virtuale su scala ridotta – anzi:
ridottissima. “Semplificazioni che semplificano”, riassumerei, prendendo a prestito il
roboante fraseggiare di Angelo.
Il mio mondo è il tuo, ma il tuo non è il mio: non più. Lo è stato per qualche tempo, e
ancòra lo frequento di tanto in tanto – un po' per hobby, e un po' per via della Missione che
sovrasta il mio libero arbitrio – ma la verità è che per gli uomini del tuo tempo è ancòra
troppo presto per aprire gli occhi su una realtà troppo grande, troppo vasta..
Prova a prendere un vaso, e tienilo sollevato sopra il pavimento: il vaso ti obbedisce, e non
cade. Ma se invece ti schizzasse via dalle mani e si tuffasse di sua spontanea iniziativa per
terra? O sul soffitto? O se decidesse che si sentiva più a suo agio sul tavolo dove stava
prima e così ci torna? Tu ne rimarresti quantomeno sorpreso, o più probabilmente scosso.
Ecco perché s'è deciso di farti credere di vivere in un mondo coerente: se lasci un vaso in
un posto X, ritroverai lo stesso vaso nel posto X, a meno che tu stesso o qualcun altro non
sia intervenuto per spostarlo in un modo spiegabile dalle leggi fisiche a te note – anche il
gatto, oppure un terremoto.. Purchè esista una spiegazione plausibile.
Ti si coccola. Tutto qua.
E al tempo stesso ti si dà anche una mano a tenere in ordine le cose. Non che l'ordine
rivesta una qualsivoglia importanza in sé e per sé, ma poiché tu saresti incapace di gestirti
in assenza di ordine. Con tutto che quest'eventualità non implicherebbe, non
necessariamente, il caos più estremo – quanto piuttosto l'assenza di schemi mentali facili ed
accomodanti per catalogare le esperienze.
Tutto chiaro?
Presumo di no, così ti faccio un esempio – e con l'occasione ti spiego a cosa serve la forza
di gravità: a impedirti di saturare il mondo con oggetti sospesi a mezz'aria, dimenticàti per
sbaglio o lasciàti lì a fluttuare “intanto che penso a dove metterli”. Con la gravità è
“impossibile” che ciò accada, almeno per te. Invece nel mio mondo, come in quello dei
costruttori di piramidi (gente che ha dato ampia prova di essere ordinata!), la forza di
gravità altro non è che uno dei tanti default: le classiche impostazioni predefinite che
semplificano la vita all'utente inesperto, ma che è possibile modificare a piacere.
Si accennava alla magia.. Ecco che cos'è: l'accesso a possibilità consentite ma poco
conosciute. E poco conoscibili, ma solo in virtù della fissazione dell'uomo “moderno” per la
razionalità.
Già. Perché, casomai tu non l'avessi ancòra capito, la stessa Logica non è che un default:
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funziona, certo, per le piccole cose.. ma è un ben misero aggeggino, se paragonata alla
potenza del Pensiero! Spremila a fondo, e sarà lei stessa a rivelarti arrossendo il suo limite
principale: l'egocentrismo – vale a dire, porre sé stessa quale termine ultimo di paragone.
Ci hai mai fatto caso, a quante volte in vita tua hai dato per scontato che “logico”
coincidesse con “vero”, e “illogico” con “falso”? Il più delle volte funziona. Sempre,
fintanto che ti attieni ai problemi dappoco dai quali l'Umanità non ha ancòra imparato a
districarsi. Ma tra razionale ed irrazionale vi è un gradino il più delle volte dimenticato: l'
“a-razionale”, che se ne sta ben nascosto proprio come si conviene a ogni default che si
rispetti. In modo tale, cioè, che un principiante non finisca col modificarlo per sbaglio o
curiosità, finendo col compromettere il funzionamento del suo sistema senza essere poi più
in grado di ripristinarlo. (Pensa al casino che avrebbe fatto un carpentiere al lavoro su una
riva del Nilo, se avesse deciso di imitare per superbia l'architetto che lo guidava: “Che cce
vò? Come lo fai tu, lo posso fare anch'io: via la gravità!”.. e alè: l'Egitto intero si ritrova
zampe all'aria per colpa d'un pisquano presuntuoso incapace di far tornare la forza di
gravità!)
Idem con la Logica: per quanto fioco esso sia, il lume dell'intelletto ha una sua ben precisa
ragion d'essere, presso gli umani. Addentrarsi nei meandri della a-razionalità è sicuramente
possibile, auspicabile addirittura, ma farlo senza la dovuta preparazione conduce
inevitabilmente alla follia.
Basta così: meglio non aggiungere troppa carne al fuoco, per ora. Prima devi liberare i
contenuti di questo capitolo-mattone dall'imballo delle parole, dopodichè disporli
opportunamente entro i tuoi schemi mentali, e infine sbarazzarti delle inevitabili scorie. Un
lavoraccio che, avendolo già dovuto fare io per primo, non t'invidio davvero.
Fortuna per te che erano appena due pagine, hehe.
«Ma almeno te ne rendi conto, di aver sviluppato una mania preoccupante?», sbuffò
Angelo.
Stavo con gli occhi a pelo della mensola, intento a scrutare millimetricamente il bordo
inferiore del “Trattato” per verificare un'ipotesi..
«Appoggiare, appoggia.», decretai.
«Eh?»
«No, niente..»
«Come sarebbe a dire, “niente”?»
«Fammi finire, piuttosto. Dicevo: “No, niente, controllavo che le monetine non si fossero
magari infilate sotto il libro.”»
«…e?»
«E non ci sono: lo spigolo esterno della copertina aderisce al piano. Se ci fosse sotto
qualcosa, sarebbe rialzato.»
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Angelo si avvicinò e diede a sua volta una rapida occhiata.
«Mi meraviglio di te. Non ti sei accorto che il libro è storto?»
In effetti era quasi impercettibilmente inclinato all'indietro.
«Si vede che l'ho riposto male.»
«Oppure, che qualcosa di molto basso lo tiene sollevato dal fondo.»
«Il reggi-libri di alluminio.»
«Ne sei sicuro?»
«“Sicuro” non lo sono mai di niente: per principio. Diciamo che ne sono ipoteticamente
certo.»
«Tu sei malato! Che cosa cavolo mi significa, “ipoteticamente certo”?»
«Che vi sono altissime probabilità che una cosa sia così come si ipotizza che essa sia.
Probabilità talmente significative da consentire come plausibile l'approssimazione:
“estremamente probabile” circa-uguale-a “certo”. D'altro canto, però, questa
semplificazione rimane pursempre un atto arbitrario – che ipso-facto rischia di invalidare le
conclusioni cui siamo giunti operando tale semplificazione a fini squisitamente sperimentali.
Ne consegue che i risultati cui giungeremo saranno senz'altro validi, ma non
necessariamente veri, inquantochè fondàti su ciò che stringi-stringi è né più né meno di una
congettura. In breve: un'ipotesi di certezza. Quod erat demonstrandum.»
«Hai finito?»
«Perchè? Sei indeciso sul quando far scattare l'applauso?»
«No: soltanto per farti notare che ci sono troppi libri, fra il coso per tenerli su e il
“Trattato”. Per quanto lungo possa essere, il supporto orizzontale del tuo sgorbio di
alluminio verniciato non arriva certo fin lì.»
«Non ci avevo pensato.», ammisi, toccando il reggi-libri arancione senza osare spostarlo.
«La sai una cosa? Forse ci hai ragione! Peccato non poter controllare.»
«E che ci vuole? Basta tirar via di lì il libro.»
«No! Ferm..»
Troppo tardi. Prima che potessi ultimare la frase, prima ancòra che potessi impedirglielo,
Angelo aveva appena mandato in fumo giorni e giorni di indagini circa il misterioso
fenomeno delle monetine.
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H
oplà!», e l'irreparabile era oramai stato fatto. «Visto?»
«Visto che cosa?», sbottai, che più scontroso di così non si poteva.
Avrei voluto aggiungere «Ti rendi conto di quel che hai fatto?», ma a che pro? La
risposta già balenava in tutta la sua ovvietà, come soltanto un “no” sa fare.
Avrei voluto rinfacciargli che un perito chimico come lui aveva il preciso dovere di sapere
che, quando si studia il comportamento di un sistema adiabatico, l'ultima cosa da fare è
interferire col suo evolversi – poiché è sufficiente un intervento pure minimo per invalidare
tutto.
Invece mi lasciai coinvolgere, più sovrappensiero che per stupidità: un po' come fece
Adamo dopo che Eva ebbe colto la mela. Un inconscio ma pragmatico “oramai il danno è
fatto: tanto vale soddisfare la curiosità”. Addentai il frutto proibito consentendo a me stesso
di riaprire gli occhi:
«Eccotele lì, le tue beneamate monete! Altro che sparite: si erano conficcate in fondo al
libro, tutto qui.»
Nel momento in cui le rimosse ebbi un moto di disappunto tale da farmi sussultare, ma lo
lasciai fare – tanto a quel punto l'esperimento era stato irrimediabilmente compromesso, e le
mie domande destinate a rimanere senza risposta.
«Queste te le lascio qui nell'angolino..», e gettò le monete nella nicchia di spazio libero
accanto al reggi-libri. «..e il “Trattato” ritorna al suo posto, così! Bom: ora finalmente ci
possiamo guardare la videocassetta in santa pace!»
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(25)
Pia illusione.
Non erano ancòra trascorsi una ventina di minuti dall'inizio del film, quando Angelo
sobbalzò:
«Hai sentito?»
«Sentito che?»
«Una specie di fruscìo.»
«Se alludi al rumore di sottofondo del film, beh.. certamente: non è mica un CD. Ma non
vedo ragione plausibile perché tu debba averlo notato soltanto adesso.»
Dal momento che (fatto insolito) mi lasciava parlare, proseguii:
«Anzi: il tuo orecchio dovrebbe essercisi assuefatto ormai, proprio come accade con gli
odori – che a un certo punto il naso ci si abitua, e dopo non li senti più. A volte è una
fortuna (pensa a un puliscicessi!), ma in alcuni casi.. una tragedia.»
Ancòra nessuna reazione da parte sua, così per provocarlo diedi libero sfogo alla logorrea:
«Prendiamo ad esempio i minatori: sottoterra finirebbero con l'assuefarsi al grisou, un gas
già di per sé praticamente inodore, e così rischierebbero di lasciarci la pelle. Ecco perché si
portano appresso un canarino: se la bestiolina appena tentenna – oppure, poveretta,
addirittura tira le cuoia – via! che tornano in superfi..»
«Rieccolo!», esclamò.
«Faccio troppo il conferenziere, eh? Scusa, ma è che detesto dover lasciare inespressi
concetti attinenti al mio pensiero.»
Un nuovo momento di stasi incalzò l'horror vacui applicato alle parole di cui allora ero
ancòra schiavo – e così, pur di coprire il silenzio con qualcosa che valesse quantomeno il
fiato “sprecato”..
«Il fatto è che avrei bisogno di una sincronicità della comunicazione, che purtroppo al
linguaggio è preclusa. Prendi Nietzsche, e quel che diceva circa la lirica: la musica esprime
ciò che a parole non si può dire, e quando la si sposa con un testo che invece riferisce i
concetti verbalizzabili..»
«Sssht! Vuoi fare silenzio?!»
«(..si ottiene la miglior forma di comunicazione che l'uomo conosca. Pressappoco era
questo, quel che volevo dire. Scusami se esisto.)», il tutto in un mortificatissimo decrescendo di
voce.
«Ma non lo senti anche tu?»
«Che cosa?»
«Daììì! Non è possibile!! Il fruscio!!!»
Tesi l'orecchio: niente di niente.
«Beh, veramente io..»
«Tu..?»
«Non sento nulla.»
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«Regolare: ora ha smesso.»
«Starai scherzando!»
«Io non scherzo mai.»
«Allora mi stavi prendendo in giro.»
«No: il fruscio c'era, però ora ha smesso. In compenso ha cominciato a piovere.»
«Ha. Ha. Ha. Divertente. Moolto divertente.»
«Ti dico che sta piovendo: ascolta.»
Ascoltai. E non udii alcunchè.
«Col mio “superudito” riesco a sentire da qui se qualcuno parla in cucina, Angelo. Ma
adesso non sento né i rumori che tu dici di sentire, né tantomeno la pioggia. Come te lo
spieghi?»
«Se preferisci controlla pure, ma cerca di far presto.. O 'sto film non lo finiamo più.»
Mi alzai, accesi la lampada rossa coi bracci a molle che sta sopra la scrivania, e scostai le
tende – peraltro senza che mi riuscisse di ricordare quando le avesse tirate:
“Boh?”, razionalizzai, “Si vede che oggi il mio udito fa davvero cilecca..”.
Stava effettivamente piovendo.
«Visto?»
Ri-orientai la lampada per evitarne il riflesso sul vetro. Spalancai perfino la finestra.
«Piove: che ti avevo detto io?»
«E tu come facevi a saperlo?»
«Beh, lo sentivo.»
«Ma se neanche un cane che può udire gli ultrasuoni avrebbe mai potut..»
«No: lo sentivo nel senso che avevo come la sensazione che si fosse messo a piovere.»
«E tutto questo, per te, è normale.»
«Avrei anche potuto sbagliarmi, dopotutto.»
«Ma non hai sbagliato.»
«No: non ho sbagliato.»
«Beh.. complimenti!»
«Grazie. Piuttosto.. che mi dici di quello?»
«Cosa?»
«Quello.», indicandomi con la massima naturalezza (sempre da sdraiato e senza
scomporsi minimamente) un libro sul “nostro” scaffale.
Era ancòra il “Trattato”, e sporgeva per almeno 1/3 della sua lunghezza.
«Troppo pigro per rimetterlo bene al suo posto, eh?», lo rimproverai.
Stavo per ricacciarlo dentro quando una frase buttata lì da Angelo immobilizzò il mio
braccio – facendolo arretrare come per riflesso incondizionato, manco mi fossi scottato con
un ferro rovente:
«Io l'avevo messo via dritto.»
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(25)
Ero rimasto pietrificato: per metà, dal terrore che l'intera faccenda andava assumendo un
risvolto preoccupantemente demoniaco; per l'altra metà rallegrandomi che, per un
esperimento abortito, uno nuovo stava cominciando.
«Vedi di non farne un dramma, mi raccomando. Ficcalo al suo posto e torniamo al film.»
«Spostarlo? Ma sei matto? No no: adesso voglio proprio vedere come va a finire!»
«Fai un po' tu.», sospirò Angelo. «L'importante è che mi lasci finire 'sto film in santa
pace.»
Quella volta lo udii anch'io:
FRSHH
TUNC.
«Hai sentito, Angelo?»
«Sì, ma non ti distrarre: sarà stato il libro.»
«Come sarebbe a dire, “sarà stato il libro”?!»
FRSHH
TUNC.
«Ancòra!», esclamai allarmato.
«Uffaaaa..!»
Si stava spazientendo, ma non per la mia medesima ragione: a lui interessava più che altro
godersi la videocassetta che aveva noleggiato, senza che lo distraessi sollevando petulanti
questioni a proposito di libri o monetine semoventi. Oggi gli do perfettamente ragione..
..ma io allora non ci avevo ancòra fatto il callo, a simili accadimenti: per un aspirante
vulcaniano certi principi sono intoccabili – primo fra tutti, quello di causa/effetto.
Giunto all'apice della sopportazione, Angelo cercò a tastoni sul materasso il telecomando,
pigiò stop e si alzò – con uno slancio dettatogli dalla determinazione di porre fine al più
presto a quell'intera faccenda. Accese la luce e distese il palmo ad indicarmi il “Trattato”,
che oramai sporgeva per i 2/3:
«Ecco: era proprio il libro. Soddisfatto?»
Per meglio dominare il comprensibile panico di chi si vede crollare una certezza,
domandai “scientificamente”:
«Secondo te perché si comporta così? Vuole forse che noi lo leggiamo?»
«Ma chissenefrega, del perché si muove!»
E poi con un movimento ben risoluto estrasse il libro e lo gettò con un tonfo sulla
scrivania, macchiandosi di un secondo madornale affronto alla Scienza.
«Oooh: vedrai che da qui non si sposta più. Ora ultimiamo questo cavolo di film, ti
spiace?»
L'unica cosa che mi spiaceva davvero era che aveva fatto svanire l'interesse “accademico”
che controbilanciava lo sgomento, così ben presto cominciai a perdermi in un dedalo di
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(25)
pensieri..
Tanto per incominciare, rimuginavo sul fatto che quell'ultimo spostamento del “Trattato”
era accaduto mentre eravamo entrambi sdraiati sul letto – mentre per ogni precedente
movimento delle monetine vi era fattivamente la possibilità che fosse stato Angelo stesso a
spostarle approfittando di un mio momento di distrazione.
“Ammetto di non aver fatto caso a come Angelo avesse inizialmente disposto il libro: forse
l'aveva già lasciato sporgente, prima ancòra di spegnere la luce. Ma stavolta.. I casi sono
tre: o qualcuno/qualcosa ha spostato il libro (il libro stesso? o una specie di campo
magnetico applicato alla carta? o un fantasma?); oppure Angelo possiede poteri telecinetici
e sta solo cercando di impressionarmi; o magari ha ordito nei minimi dettagli un piano
macchinoso perfettamente architettato, volto a farmi credere chissà che cosa e chissà
perché.”
Un'escalation paranoica in piena regola, roba che ancor oggi non saprei dire quale delle
mie ipotesi mi appariva più assurda. Sta di fatto che per arginare il marasma mentale che
mi s'agitava per il cervello, la cosa migliore da fare prima di farmela sotto per davvero era
una solamente:
«Devo andare in bagno.»
A te magari parrà una fesseria, ma col senno di poi ti assicuro che non c'è come espletare
una funzione fisiologica, per riprender contatto con la concretezza del mondo “reale”. Bevo
dunque piscio: la variante concreta della famosa massima del filosofo Cartesio.
Al mio ritorno ero non dico tranquillo, ma senz'altro un poco rinfrancato – al punto che
azzardai persino una specie di sorriso accomodante ad Angelo.
«Va tutto bene?»
«Sicuro!», mentii pessimamente. «Guardiamo il film?»
Per tutta risposta, Angelo sfoderò una faccia come a dire “mah!”, e fece ripartire il nastro.
I miei occhi stavano fissi sul teleschermo, ma il cervello era assorto in una frenesia di
ricordi: neuroni allertàti come operatori di borsa poco prima della chiusura delle
contrattazioni; un corri-corri di libere associazioni attraverso i corridoi della mente;
un'accelerazione a rotta di collo lungo le autostrade del pensiero, dove basta un attimo di
distrazione e ti schianti; un labirinto spiraleggiante attraverso ogni sorta di idea, un dedalo
cervellotico popolato da esseri angelici e demoniaci: i pensieri “giusti” e quelli “sbagliati”;
che prima si mangiano il cartellino di riconoscimento, e dopo ti tendono l'agguato dietro ad
ogni angolo; come il minotauro prigioniero sotto il palazzo di Cnosso a Creta, argilla da
plasmare, materia grezza che si sbriciola nel terriccio rosso e polveroso calpestato da bufali
e menzogne che sprintano nell'arido deserto delle illusioni, in rotta di collisione con un treno
di sillogismi lanciato in corsa attraverso tunnel malamente illuminàti o addosso a rocce
dove ci si può schiantare al minimo sbaglio: basta mancare uno scambio, o selezionare
quello sbagliato, e PUM! la frittata è fatta, le tue ossa spezzate, i tuoi frammenti di pensiero
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che schizzano via come amebe protozoiche lungo i binari, vittime della stessa inerzia che
impediva di deragliare ma al tempo stesso non dava un respiro di tregua mentre lampi di
oscurità ti fulminavano come aghi avvelenàti sputàti da una cerbottana e..
Toh? Angelo si era addormentato.
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R
ettifico: Angelo non si era addormentato, ma caduto in trance. Così: di botto,
come una pera cotta. Ma, quel che era peggio, senza alcuna plausibile ragione:
non stavamo facendo training – e in ogni caso non gli sarebbero bastati quei
pochi istanti, per entrare in uno stato di rilassamento così profondo.
“E poi, scusa: che senso ha? Stava guardando un film! Almeno spegnere, no? Un colpo di
sonno, forse? Ma se era perfettamente sveglio un batter di ciglia fa! Né mostrava segno
alcuno di torpore – anzi: il film lo acchiappava pure parecchio! Che sia svenuto? Oh
cavolo! E adesso? Cosa si fa, quando uno è svenuto? Nei fumetti, basta una sniffatina ai
sali e via, ma.. nella realtà? Possibile che a scuola ti insegnino come calcolare forma
d'orbita e spin degli elettroni, in barba al principio d'indeterminazione (che pure
sfacciatamente ti insegnano, per il gusto di farti sapere che tutto quel che stai studiando è
assolutamente inutile).. e poi, manco una parola sul cosa fare quando di punto in bianco ti
sviene qualcuno mentre state vedendo un film! No, poi dico: perché svenire? Scarterei
l'ipoglicemia: abbiamo appena cenato abbondantemente. Forse troppo? Un sovraccarico al
sistema digerente? Un parossismo di sonnolenza postprandiale? Svenire come alternativa
estrema alla più tradizionale pennichella? .. Naaah! Mi suona tanto di cazzata! E allora
cos'è stato? Magari un messaggio subliminale nascosto tra i fotogrammi del film? Dico: se
ficcano messaggi satanici nei dischi rock, figuriamoci in un film di questo genere! Anzi, mi
sa che è più prudente spegnerlo.”
Allorchè pigiai lo stop, Angelo attaccò con la respirazione a soffietto che già gli era venuta
l'ultima volta che avevamo fatto training: somigliava al classico frenetico ticchettìo che
scandisce gli ultimi secondi prima che la bomba esploda.
«Angelo?»
Gli diedi un colpetto sulla spalla con l'indice e il medio. Con l'unico risultato di fargli
accelerare ulteriormente il ritmo della respirazione.
«Occristo! Angelo!»
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Lo sollevai reggendolo per le spalle, e improvvisamente cessò di respirare.
Il primo secondo, mi tranquillizzai.
Il secondo, lo chiamai.
Il terzo, lo riappoggiai allo schienale rialzato del letto.
Il quarto, feci caso che non aveva ancòra respirato – non solo a soffietto, ma
completamente.
Arresto cardiaco? Appoggiai l'orecchio sul suo torace: no, quello no. Batteva in modo
assai strano, lentamente.. ma per fortuna batteva ancòra.
Per anni non sarei stato in grado di spiegare, neppure a me stesso, per quale stupidissimo
motivo non mi ero precipitato di sopra a svegliare i miei per cercare aiuto o farlo portare
all'ospedale – chè io, fresco di patente e imbranato alla guida, prima di trovarlo mi sarei
perso una mezza dozzina di volte per strade sconosciute.
Me ne ristetti semplicemente lì, col cuore in gola e un amico stecchito sul letto: morto, o
perlomeno in coma, che non respirava più e..
Un sinistro richiamo alle mie spalle, come se un vento gelido mi avesse alitato sul collo,
mi fece voltare di scatto: la luce soffusa che scaturiva dal televisore, quello strano baluginìo
di puntini grigi sullo schermo sintonizzato su nessun canale, illuminava chissàcome il bordo
della mensola delle monetine – che appariva come una specie di sottolineatura sul legno
bianco del mobile, lasciata da un pennarello evidenziatore fosforescente.
Avvicinatomi per controllare meglio, inorridii:
Le monetine che Angelo aveva gettato nella nicchia accanto ai libri, si erano disposte a
croce rovesciata: forse il principale simbolo dell'anticristo, che ne indica il ruolo di
rovesciatore del messaggio evangelico.
E per giunta erano ricomparse le altre 5. Bada: non altre monete qualsiasi, ma esattamente
quelle che avevamo marchiato. (Faccio caso solo adesso al fatto che quelle ritrovate sotto il
“Trattato” erano le prime 3 ad esser sparite: le uniche non contrassegnate.)
Imprigionato tra due fuochi, giravo su me stesso come una trottola, incapace di decidere a
quale minaccia dare le spalle: se alla croce maledetta, che già sentivo pronta a conficcarsi
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tra le mie scapole come un pugnale, o se invece tener sotto controllo le monete “possedute”
– quando però il farlo comportava non poter più sorvegliare Angelo.
Non potevo fuggire. Non potevo neanche spostarmi di un solo millimetro, rispetto al
punto del pavimento in cui ero inchiodato: un ago di bussola impazzito, sferzato da campi
magnetici inclementi.
E così giravo.. giravo.. giravo.. Fatto strano, però, più giravo e più mi sentivo
perfettamente fermo: il capogiro paradossalmente diminuiva, portandosi via con sé ogni
ansietà. Ruotavo come un danzatore sufi misticamente postosi sul medesimo asse su cui è
imperniato l'intero Universo, ma in senso contrario – ritrovando in questo modo il Centro
dell'Assoluto, la calma e la quiete di quel Motore Immobile che è scaturigine del Tutto e del
Nulla, della Vita e della Morte.
Non ero più nella mia stanza, ma con la massima naturalezza mi trovavo sospeso a
mezz'aria sopra le stelle della Via Lattea: un senso di morbida, galleggiante incorporeità. E
una mirabile, silenziosa, eccelsa Pace mi pervase.
Dischiusi gli occhi, e non mi ero mai mosso di lì: camera mia, Angelo sul letto, monete
sulla mensola. Non più “il cadavere di Angelo e il diavolo nelle monete”, ma “Angelo (vivo
e vegeto) sopra il letto, e monete (inerti e banali) sulla mensola”: tutto qua. Perfettamente
padrone di me stesso, perfettamente centrato, a mio agio in una situazione nuova che
bastava imparare poco a poco a dominare e gestire, senza però la benchè minima
possibilità di fallire. Un po' come accade in un videogioco truccato, dove sei autorizzato a
commettere tutti gli errori che vuoi, tanto non rischi mica la pelle per davvero.
Quanto a me, poi, son sempre stato un asso nel truccare i giochi del computer.
Diversamente da Angelo, che non concepisce come si possa provare gusto nel sottrarsi alla
competizione, a me piace esplorare gli scenari, visitare pacificamente il piccolo grande
mondo colorato aldilà dello schermo: un turista di passaggio, senza nessun'ansia nè
frenesia, senza temere gli ostacoli, ma avendo a disposizione tutto il tempo che voglio per
soffermarmi sui dettagli. Interagire, coi personaggi, anziché limitarmi a sparammazzarli!
Tuttalpiù prendendoli innocentemente un poco in giro. Loro ti stringono d'assedio e tutto
sembra perduto? Pigio un tasto che ho truccato e divento intergalattico, catapultandomi al
livello successivo e abbandonandoli tutti quanti lì con un palmo di naso.
Raccattai le monete e le scagliai sul petto di Angelo: più con la consapevolezza interiore di
officiare a un rito simbolico, che con la vergogna di starmi rendendo ridicolo ai miei stessi
occhi improvvisandomi stregone. (Ma d'altro canto era pure logico, presumere che le
monete fossero la chiave di quanto stava accadendo.)
Non accadde nulla, dal che mi fu chiaro che non erano più lo strumento principe per
comunicare prescelto dall'entità – che ora mi raffiguravo assai più vicina ad un'intelligenza
aliena tipo quelle di Star Trek, che a un orrido spettro degno di un negromante.
Ci ragionai sopra un po' alla ricerca della miglior formulazione di ciò che volevo
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comunicare. Poi, con la massima naturalezza, in perfetta calma e assoluta serietà, scandii
bene queste poche parole:
«Vengo in pace. Cerco un contatto.»
Mi sforzavo cioè di dar corpo ai miei pensieri secondo la massima semplicità e linearità:
concetti universali come il muoversi, la pace, il cercare, il contatto.. Ciascuno raffigurabile
(e raffigurato, nella mia mente) con un'immagine il più possibile separata dal contingente
umano.
Mi spiego: tendere una mano come segno di pace o semplice saluto, implica appartenere a
una specie che possiede le mani; implica considerare una mano vuota e aperta come non
volta all'aggressione.. ma cosa ne sai, che per un alieno protendere un'estremità del corpo
non sia magari considerato un gesto ostile?
“Vengo in pace”, ossia: compio lo sforzo di avvicinarmi a te avendo quale scopo la pace.
“Cerco un contatto”, ossia: è mio vantaggio trovare quel che cerco, e lo cerco con
determinazione – tanto da espormi indifeso (“vengo in pace”, ossia non armato) pur di
ottenerlo. E cosa desidero a tal punto ottenere? Un contatto: far aderire me a te, il mio
pensiero al tuo. Senza mescolarci. Senza invàderti. Senza derubarti. Ma solo affinché io
possa conoscere te e tu, se lo vuoi, conoscere me.
Il mio pensiero conservava quella leggerezza e quell'antigravità che avevo assaporato
durante i brevi istanti di “danza sufi”. Non parlavo più parole scagliate dall'alto, e neppure
da un me a un te, quanto piuttosto una goffa telepatia, un tentativo di condivisione del
pensiero senza ancòra sapere come fare ad emanciparmi del tutto dall'impaccio delle parole.
Ragionavo per icone, come nello splendido videogioco “Captain Blood” C016 – forse il mio
preferito su Commodore64, in quanto nel suo piccolo coronava le mie più alte aspirazioni,
e per qualche misteriosa ragione mi tornava familiare. Erano le avventure di una specie di
turista intergalattico che viaggia di pianeta in pianeta alla ricerca di parti smarrite di sé
stesso, entrando così in contatto con svariate forme di vita aliena più o meno intelligenti,
alcune buone e altre ostili..
Sì, però intanto le monete non si erano mosse di un solo millimetro. Non che mi aspettassi
una risposta scritta, visto che con soli 8 punti a disposizione si possono comporre uno o al
massimo due caratteri stilizzàti per voltaC017, e quindi per intere parole e frasi ci sarebbero
volute delle ore..
Né m'illudevo che si potesse arrivare a sostenere un dialogo fatto di simboli, dato che avrei
potuto mal interpretarli o non conoscerli affatto.
Non c'era neppure da sperare che venisse in mio soccorso alcuna voce disincarnata, tipo
quella dell'Onnipotente al battesimo del suo figliolo prediletto – i soliti raccomandàti, tzè!
Non una visione. E neppure una misera telepatia da quattro soldi. No, dico: proprio niente
di niente! Chiunque fosse stata quell'entità, era palesemente votata al risparmio di effetti
speciali.
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Ma non mi persi d'animo, dal momento che un'altra cosa mi tornava più che evidente: sia
che lo sfruttasse unicamente come fonte di energia (un parassita tipo quello del film
“Alien”), sia che lo pervadesse come nei casi di possessione diabolica, l'entità era
assolutamente polarizzata su Angelo.
«Mmmh.. Dando per assodato che lui sia il tramite, come posso comunicare se non è
cosciente? Può darsi che quando parlo l'entità mi intercetta attraverso le sue orecchie, ma
quanto a rispondere mediante un corpo immobile che dorme..!»
Quando si dice il dubbio amletico:
«Già: dormire. E in quel sonno, sognare.. sì, ma durante il sonno.. il corpo si rigira, a volte
seguendo le dinamiche dei sogni: credevi di precipitare in un burrone e finisci col cascare
veramente giù dal letto. Per non parlare degli episodi di sonnambulismo, ai quali peraltro
Angelo è tutt'altro che estraneo – vedi il bicchiere e i Diabolik in montagna..»
Appurata la possibilità, almeno in linea teorica, che una persona addormentata potesse
rispondere muovendosi – come del resto è possibile in stato di ipnosi – rimaneva da capire
come fare a comunicargli la domanda. Chè, diversamente dall'ipnosi, quando si dorme non
si è coscienti.
D'un tratto.. EUREKA!
«Ho letto da qualche parte che gli stimoli dell'ambiente fisico esterno influenzano l'attività
onirica: hai freddo ai piedi e sogni di scarpinare attraverso le distese ghiacciate dell'antartico
ascoltando Vangelis. Quindi forse una stimolazione tattile, là dove essa è più sensibile..»
Pertanto provai a stringere la mano di Angelo che gli pendeva giù dal letto.
«Riesci a sentirmi?»: Angelo, o chiunque altro fosse.
Abbandonai la presa, e la sua mano tornò a schiudersi mollemente.
Feci un secondo tentativo, stavolta sforzandomi di essere più specifico:
«Se riesci a sentirmi, stringi questa mano.»
In effetti, m'era come parso di percepire un lieve scatto: una leggero sussulto muscolare
analogo al riflesso del ginocchio, solo infinitamente più debole – tanto che non potevo
escludere d'esser stato io stesso a generarlo lasciando la presa.
«La risposta non è adeguatamente chiara per me. Puoi ripeterla?»
Niente da fare: la mano si ridistendeva poco a poco, afflosciandosi. Come schiacciare una
camera d'aria: nonappena la molli, ripristina poco a poco la sua forma originaria.
«Beh», pensai, «se non altro è ancòra calda e nient'affatto irrigidita.»: nessun sentore del
calo della temperatura corporea o chessòio di rigor mortis, e ciò contribuiva non poco a
rassicurarmi nel mio sentire che Angelo era vivo nonostante le apparenze.
«Chissà se adesso riesco a risvegliarlo.»
Ne tentai veramente di ogni, tranne il classico secchio d'acqua: gli feci aria, spalancai
persino la finestra (con tutto che io gelavo e lui no!), gli sollevai i piedi, lo misi seduto sul
letto.. nulla.
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(26)
Tanto valeva fare un ultimo tentativo:
«Ripeto: se sei in grado di sentirmi, stringi questa mano in maniera tale che me ne
accorga.»
Già sappiamo dal primo capitolo che mi prese in parola, e me la maciullò.
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N
on propriamente quella che si dice una calda stretta di mano, ma perlomeno ci
eravamo presentàti: ora era tempo di rompere il ghiaccio (anzichè le mie falangi!) e
provare a comunicare sul serio.
Aiutandomi con la mano rimasta incolume mi divincolai da quella presa titanica e mi misi
a massaggiare le dita gelide della povera mano destra: a giudicare da quant'era arrossata, e
dalle chiazze biancastre, l'espletamento di quella piccola formalità aveva niente-niente
dissanguato i capillari delle mie delicate “mani da pianista”.
«Meno. Stringi meno, sennò mi fai male.»
Sebbene con una certa riluttanza alla sola idea di toccarla nuovamente, così come un
bambino che si è appena ustionato ci pensa su due volte prima di metter mano a una
pentola anche fredda, riposi sul letto a fianco del corpo la “morsa assassina”, che era
rimasta penzolante come una tagliola scardinata. Dopodichè, per prudenza, mi allontanai
dalla portata di quelle ganasce da tornio.
Era stupefacente notare come tutto il resto del corpo fosse rimasto immobile mentre la
mano serrava la stretta più esibizionista che avessi mai sperimentato. Certo se fosse stato
animato da cattive intenzioni avrebbe infierito, anziché lasciar andare la presa, pertanto
doveva essersi trattato di uno sbaglio, o più probabilmente di una prova generale: come se
l'entità avesse voluto saggiare i livelli estremi di forza, per imparare successivamente a
dosarla. Quella impiegata del primo scatto quasi impercettibile era il livello minimo; la
successiva stretta micidiale, il maldestro tentativo di calibrare “ad occhio”.
A scanso di ulteriori equivoci, era opportuno informarlo/a:
«Colpa mia: avrei dovuto dirtelo fin dal principio, di stringere poco. Posto che tu sia in
grado di quantificare autonomamente “poco” – in scala umana, dico.»
Per fargli capire che ero ancòra intenzionato a comunicare, pensai che fosse necessario
avvicinarmi – e temo di essergli parso una mosca in circospetta ricognizione attorno ad una
pianta carnivora.
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«Ehi? Ci sei ancòra? Stringi il tuo pugno per dire sì.»
Nessun cenno.
“Può darsi che prima occorra stabilire un contatto con la mia mano. Già, bravo! E se poi
invece questa entità che ti sta così simpatica altri non è che Astaroth l'angelo della morte?
Forse non ti ha spezzato la mano perchè vuol prima imparare a muovere anche il resto del
corpo: così da massacrarti meglio, facendo di te una frittella spetasciata tipo Terminator
sotto la pressa idraulica. Cautela, Alessio, cautela..”
Mi cadde l'occhio sul piatto portaoggetti agganciato al letto, che se ne stava sospeso come
una specie di UFO mimetico nella notte tra il lato del cuscino e il pavimento: al centro del
disco di plastica nera svettava ora una piramide di monete!
A rigor di logica, visto che erano 8, dovrei dire che c'erano 4 centolire alla base, 3 centolire
sopra, e il duecentolire sulla sommità – ma comincio ad accorgermi che negl'intorni di ogni
esperienza paranormale s'origina una singolarità spaziotemporale: una labile area di confine
tra sogno e realtà, che si mescolano fra loro in maniera pressochè indissolubile. In questo
punto di discontinuità, la logica vacilla e i ricordi s'intersecano inestricabili – fino a
sovrapporsi o scambiarsi, mescolandosi alla fine in un magma fluido che ribolle
inesprimibilità.
Lo so che è impossibile, ma son certo che quella piramide era composta da un numero
maggiore di monete: quattro per ogni lato della base, e poi gli strati 3x3 e 2x2 prima della
sommità. L'unica cosa invariata era appunto il duecentolire che fungeva da dorata vetta
della Grande Piramide.
Inoltre mi s'affolla confuso nella (o dalla?) mente il ricordo di un'altra figura geometrica
disposta nella nicchia dello scaffale: qualcosa a metà fra la croce rovesciata e la piramide.
Rappresentava senz'altro l'anello mancante, quello che mi consentirebbe di ricostruire
questo passaggio che indovino fondamentale, ma una sorta di membrana placentare
mentale mi impedisce di penetrare nel dettaglio questo specifico ricordo: riesco a malapena
a intravederlo, attraverso una lattiginosa trasparenza che me lo offusca e rivela a tratti – ma
più mi concentro, e più perdo in nitidezza.
E perché, proprio mentre stavo lottando aspramente per esprimere un concetto cruciale, è
squillato il telefono facendomi perdere il filo del discorso? E perché, quando sono tornato, il
computer aveva mischiato i file eseguendo un comando di append anziché di save? È
sufficiente la vicinanza dei tasti S e A sulla tastiera per giustificare una mia svista, un errore
di battitura motivato dalla fretta di recarmi a rispondere al telefono? Con tutto che io
giurerei di aver letto chiaramente il comando save prima di confermarlo pigiando return.
Ma oramai l'intero paragrafo era stato sovrascritto dall'ultimo file registrato, il che non ha
senso dal momento che sia append che save tengono come punto di riferimento la linea di
testo su cui si trova il cursore. Visto che stavo salvando tutto, mi ero necessariamente
portato sull'ultima linea di testo – quindi append avrebbe potuto al massimo fottersi
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l'ultima riga. E perché nel giro di 5 minuti non mi riesce già più di ricordare cosa avessi
scritto di tanto importante? Riguardava sicuramente la fase di transizione in cui si
manifestò il “visitatore”, quello che fissava il soffitto.. E invece ho un vuoto di memoria che
per quanti sforzi io faccia non mi riesce di colmare.
Tanto lo so benissimo, che sono loro. In fondo me l'aspettavo: così come interferivano
allora, non si daranno certo per vinti proprio adesso che sto per entrare nel vivo della
narrazione di quegli avvenimenti – che li smascherano, e soprattutto li umiliano. Ancòra vi
brucia, eh?
La cosa più difficile non fu risvegliare Angelo, ma spiegargli quant'era accaduto in sua
“assenza”.
«In mia assenza? Io non mi sono mai mosso di qui! Ma sei diventato pazzo?»
«Non ripeterti: l'hai già detto a pagina 10. Piuttosto, dai un'occhiata all'orologio.»
«Cosa c'entra il mio orologio, adesso?!»
«Mettiamola così: a che ora abbiamo finito di mangiare la pizza?»
«Saranno state le nove. Ma che c'entra?»
«Poi siamo scesi in camera, abbiamo trovato le monetine..»
«Ho trovato le monetine.»
«Perfetto. Allora: tu hai trovato le monetine e.. poi?»
«Ma ti sei rincretinito? Poi ci siamo messi a guardare il film.»
«Già. Perché tu, adesso, sei sdraiato, vero?»
«Certo che no! Mi sono alzato e..»
«E?»
«Ma.. No, aspetta un attimo.. io..»
Piccolo particolare: quando, si era alzato? Angelo non se lo ricordava, perchè appunto
non se lo poteva ricordare – non essendo stato lui a mettersi seduto. Così accolse l'ennesimo
suggerimento-a-posteriori e accondiscese a guardare l'ora:
«La una e mezza di notte?!»
«Come ti stavo spiegando un attimo fa, dopo circa un'oretta di film.. saranno state
suppergiù le dieci e mezza.. tu ti sei come addormentato, dopodichè..»
«Non è possibile.»
«Sta bene. Come preferisci. Allora raccontamelo tu, cosa hai fatto nelle ultime tre ore
della tua vita!», e incrociai le braccia.
«Beh, ho visto il film.»
«..che notoriamente dura meno di due ore, non tre. Ma facciamo pure finta che sia andata
così. Dimmi: ti è piaciuto il finale?»
«Il finale..»
«Perché, vedi, l'ho interrotto io con queste stesse mani poco dopo l'inizio del secondo
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tempo. E ancòra me lo domando, come accidenti vada a finire 'sto beata eva di film.»
«Oh, insomma! Non lo so, va bene? Non lo so come finisce il film, e non lo so cosa
accidenti ha il mio orologio che non funziona.»
«Sarebbe a dire.. oh, capisco: intendi dire che va avanti.»
«Proprio.»
«Secondo te si tratta di una specie di epidemia?»
«Che cosa?»
«Non lo so, vogliamo inventarle un nome apposito? Che ne dici di tachicronìa? O forse
preferisci corri-orologite acuta?»
«Quando hai finito, fammi un fischio.»
«Era per dire che se il tuo orologio corre, anche la mia sveglia è avanti.»
La guardò. E angelescamente saltò alla conclusione che..
«Ce l'hai messa avanti tu.»
«Segùro! Dimmi quando l'avrei fatto, e ti darò ragione.»
«Senti: adesso ne ho abbastanza, va bene? Non lo so. Punto. Anzi guarda: è meglio che io
vada.»
Detto-fatto, inforcò la porta di camera mia senza altro aggiungere.
«Ma come? Senza neanche ascoltare la mia versione dei fatti?», assolutamente basìto.
«No.», replicò lapidario.
Indossò la giacchetta col fare nevrotico di chi si sente a disagio in un posto e non vede
l'ora di lasciarselo alle spalle, e addirittura aprì da sé la porta dell'ingresso senza aspettare
che lo facessi io – come invece è sempre stata nostra abitudine al commiato.
«Magari un'altra volta, OK? Ci sentiamo.»
«Quando vuoi.»
«La cassetta puoi riconsegnarla tu, in videoteca?», indossando il casco.
«Tessera numero 1151.»
«Allora ciao.», e s'allontanò nella gelida notte a cavallo del suo bianco vespino d'epoca,
lasciandomi con un palmo di naso e un gran sonno.
Agitato. Agitatissimo.
A st ronavi su l mu ro, co m e r a g gi l a s er d'u n r ay-t r ac i n g d el i r a nte e spi golo s o,
ch e sp a n d e l a su a f luore s cen z a s opr a l a m i a fac c i a . M e ste s s o, s d r a iato su l
fi a nco si ni stro a respi r a re n o d o s e p erl i ne d i legn o. S opr a d i e s s e, i l c ielo
n ot tu r no d i u n u niver s o i m m en s o, pu ntel lato d i stel le che b a lù gi na n o
lonta ne, d a profond it à i nfi nite a ld i l à l a p a rete.
L a vo ce d el l a m i ster io s a t u nic a ner a, che a leg gi a a l le m ie sp a l le s en z a ch e io
p o s s a (oppu re o si?) volta r m i, e ch eg gi a telep atic a ent ro l a sp elon c a d el l a m i a
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(27)
m ente, d ivi ncol a n d o si con p o s s ente a gi l it à at t r aver s o le st a l at titi e le
st a l a g m iti d el m io p en siero ro c c io s o.
Cosa mi stava dicendo? Non ricordo. So solo che mi andava mostrando..
Str ut tu re geo m et r ich e t r id i m en sion a l i, a st ronavi, fa lchi predator i k l i n gon
t r ac c i àti d a u n CA D ve c chi a-m a nier a .. i l futu ro?
M i nu s cole sfere d i sud ore rotol a n o giù d a l le br ac c i a p a r a l i z z ate, m a u n a
st r a n a si mbiotic a fa m i l i a r ità col m i ster io s o sp et tro m i i mp ed i s cono d i
svegl i a r m i d i s opr a s s a lto i n pred a a u n ter rore a lt r i m enti giu sti fic ato.
E p erché ved o i l m io cor p o d a fuor i? E p erché propr io d a l l a vi su a le d el n ero
fi gù ro?
Tratta che ebbi l'ovvia conclusione, la visione disparve, e con essa il sogno. Sbattei le
palpebre incredulo: era soltanto camera mia.
28
S
fortunatamente, a cominciare da quel fatidico 12 Ottobre il mio fido diario cessa di
essermi da guida nella stesura di questo resoconto: intere pagine bianche, con giusto
qualche appunto sibillino sparso qua e là, rivelano come in quel periodo così
travagliato mantenere un diario fosse l'ultima delle mie preoccupazioni. Un po' perché ero
trascinato dagli eventi, ma soprattutto per via del fatto che ritenevo assai poco prudente
lasciare prove scritte della mia “follia”. Poiché questo è, il nome che le persone ragionevoli
affibbiano a qualunque fenomeno oltrepassi il loro personale livello di comprensione.
Una sola cosa era sicura: se un fratello ficcanaso o una madre preoccupata avesse letto
cosa stava accadendo mentre mi stava accadendo, non mi avrebbe mai potuto credere.
Tuttalpiù (se ero fortunato) assecondare. E magari, nel mentre, aveva tutto il tempo di
prendere precauzioni – tipo consultare uno psicologo professionista o un esorcista
dilettante, quale che fosse il male minore. O peggio, propinarmi psicofarmaci a mia
insaputa: nel latte della colazione, nel sugo della pasta..
128
(28)
Paranoie? Certamente! Salutari paranoie da carbonaro che si avventura nel campo minato
situato ai confini del credibile. Uomo della caverna che scopre grandi verità, però
incomunicabili a quelli che preferiscono tirare a campare in un'ombra rassicurante piuttosto
che abituarsi gradualmente alla luce.
Ma in fondo li capisco: per quale ragione plausibile, bisognerebbe compiere un tale
sforzo? Abituarsi alla Luce non ha alcun fine pratico, non è ricompensato da alcun
vantaggio tangibile, e per di più c'è un prezzo da pagare. Un prezzo altissimo.
Stratosferico. E per colmo dell'ingiustizia non si ottiene nulla in cambio, tranne che
confusione, dolore, emarginazione, ansia.. Dopo aver compiuto un siffatto tuffo
nell'impossibile ti sentirai anzi sfottere con perfidia e inclemenza dalla tua nuova vita: “Ti
ho aperto gli occhi sul fatto che tutto ciò che ti circonda è illusorio. Ora però la verità devi
scoprirtela da te. Hai voluto la bicicletta? Mo' pedala!”. E la strada è tutta in salita.
Guarda, ti spiego, col cervello funziona pressappoco così: dapprima sei convinto di
trovarti in un continente, e c'è gente (quasi tutti, in verità) che si ferma qua: nasce e muore
senza azzardare neppure un passo fuori dall'ovile. Spesso amano autodefinirsi
“intellettuali”.
Poi c'è chi cede alla curiosità di esplorare il territorio, e invariabilmente un giorno finisce
con lo scoprire – con sua massima delusione – che invece si trattava di un'isola. I più, a
questo punto, trascorrono il resto della loro vita a formulare astruse quanto inconcludenti
teorie su cosa ci sia aldilà del mare. E si fanno chiamare “filosofi”.
Infine ci sono i pazzi scriteriati, ben che vada definiti “mistici” – ma dagli altri, e solo
controvoglia o con amara autoironia da sé stessi. Sono quelli che quando iniziano a sentire
che quest'atollo sperduto in mezzo al mare gli va stretto, al primo soffio di vento favorevole
prendono il largo con un'imbarcazione men che provvisoria. E ancor prima di accorgersene,
si ritrovano sperduti in aperto oceano senza avere la benchè minima idea di cosa fare o
anche solo in quale direzione remare.
È pura follia! Possibile mai che tu non te ne renda conto? Perché persisti, dunque? A
lèggere, voglio dire. Può forse la tua insana curiosità spingerti fino a questo punto sul ciglio
del baratro, da farti rischiare il tutto e per tutto? E per cosa, poi? Quale sarebbe il
vantaggio? Lo sai come si dice: “tanto va la gatta al lardo..”
Non dovresti consentire che quanto sto per raccontare ti sottragga la terra da sotto i piedi:
soltanto uno stupido, volando sopra un tappeto magico, giocherebbe a fare il prestigiatore
che con un colpo di mano strappa via la tovaglia.. dal tavolo sul quale egli stesso è seduto.
Di te rimarrebbero solamente i cocci, ma – “piccolo particolare” – non ci saresti più lì tu a
raccoglierli. Sei forse tipo da scherzare col Fuoco?
Ascoltami. Dammi retta. Semplicemente, lascia perdere! Accendi la TV, e celebra un
nuovo Sabba Del Convincimento con essa. Il trionfo dell'inconsapevolezza
sull'autocoscienza lo si ottiene così facilmente: è sufficiente un dito sul giusto tasto del
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(28)
telecomando, e il Mammuccari di turno officierà il rito con stangone rimbambite che
vallettano nel ruolo di sacerdotesse. Che i tuoi occhi avidi di gossip addentino i loro Papi
Quotidiani, sfamando la bramosia di stupidità che conduce dritto-dritto verso
l'obnubilamento totale – potente magnete che trattiene lo spirito pavido ancorato alla
precarietà della materia.
Osare? Sarebbe una follia pari alla mia.
Sarebbe. Perchè, pur essendo stato Angelo a parlarmi, sono
stato io a decidere di:
1.
ascoltarlo;
2. confutarlo per quanto mi era possibile;
3. essergli comunque vicino quale persona fidata;
4. arrendere me stesso all'evidenza dei fatti, e
conseguentemente..
5. fare il possibile e l'impossibile per aiutarlo.
Tutto questo, ribadisco, anche a costo di sacrificare la mia
"vita ordinaria": la mia carriera universitaria, il mio lavoro, il mio
futuro artistico e di scrittore..
Tutto questo è un "ERA", e la cosa mi sta bene. Assurdo? No:
sono AMICO di Angelo. Amico nello stesso significato che
proprio lei, suo padre, aveva dato stringendomi la mano quel
giorno che ora forse non vuole più ricordare.
Perchè, adesso, Alessio Bolis è una parolaccia; è un
adescatore; è un praticatore dell'occulto (ma vogliamo
scherzare? Proprio io, agnostico che non crede in Dio!)..
Beh, vi prego di scusarmi. Ma mi sarei perso il passaggio da
"intelligente rispettabile e fidatissimo amico" a.. a..
A "merda", ecco.
Una delle mie responsabilità morali, verso il mio migliore amico,
è quella della fiducia: io non ho nè il diritto nè la lontanissima e
minima intenzione di tradire i segreti che lui sceglie di
confidarmi.
Quindi, nè voi nè altri potranno nè ora nè mai domandare
(figuriamoci poi "pretendere"!) spiegazioni su ciò che è
vincolato dal segreto d'amicizia. Un segreto, si badi bene,
molto più forte del "segreto professionale": tanto forte da
non poter essere definito a termini di legge come il secondo.
Angelo mi ha fatto delle confidenze, questo solo posso dirvi:
confidenze spontanee basate sul fortissimo rapporto di
amicizia che ci siamo vicendevolmente conquistàti. (Manco ci
fosse bisogno d'un'ulteriore riprova del fatto che io e Angelo
siamo amici!)
Con queste confidenze, lui ha voluto mettermi a parte di una
situazione che già viveva: e tutto avrei potuto fare tranne
130
(28)
rifiutargli la mia solidarietà, per quello che gli vale.
In seguito a questo, la mia vita stessa è stata scossa: senza
che io possa (e, conseguentemente, voglia) parlarne ai miei
genitori. Che, qualsiasi cosa accada, non potrebbero capire nè
farci niente.
Io sono soltanto il suo ombrello, anche quando come in questo
caso mi tocca fungere pure da parafulmine. Ma non l'ho
scatenato io, il diluvio su vostro figlio.
Pioveva ch e n ea n ch e s ot to l a d o c c i a è co sì. Pioveva d a fa r qu a si m a le a l l a p el le, co m e s e
fo s s e prec i s a i nten zione d el c ielo s ch i a ffeg gi a re l a ter r a. E i cupi t uoni g a st roi nte sti n a l i
che d i qu a n d o i n qu a n d o s c at u r iva no d a l le vi s cere d el l a volt a cele ste, p a reva no qu a si i l
b orb ot tio d i u n r i mprovero d ivi no.
C h e stavolt a non si t r at t a s s e d i u na m a r achel l a d a p o co, lo si d educeva d a l fat to che
d iver s a m ente d a gl i acqu a z zoni e stivi (che fa nn o l a vo ce gr o s s a m a p oi si sfo g a n o i n u n
m o m ento) que st a r a m a n zi n a s opr a nnatu r a le p erdu r ava or a m a i d a p a r ec ch ie s et ti m a n e.
L'Um a nità st ava giu st appu nto re cup er a nd o quel br ic iolo d i s enn o d i p oi che tipic a m ente
r iè su m a s olo qu a nd o è t ropp o t a rd i, e m entre p er le st r a d e a l l a gate er a tutto u n fu g gi-fu g gi
con fu s o d i gente che non s ap eva più d ove sb at tere l a te st a ; m ent re m ont ava l'a n si a d i s ap ere
d i d over s c app a re, s en z a p erò avere l a più p a l l id a id ea qu a nto a l d ove o a l co m e; m entre
s c i ac a l l i s ed icenti p s eud o-m i stic i n on trovava n o niente d i m egl io d a fa re, con quel ch e gl i
re stava d el l a loro p atetic a i nuti le vita, che gio c a re a l pi ffer a io m a gico coi topi che pu r d i
abb a nd ona re l a nave st ava n o p er get t a r si i n m a s s a a m a r e..
..b eh, io m e ne st avo s e mpl ice m ente l ì: ad a s s ap or a re quel m o m ento eter n o, fuor i d a l te mp o
e s ot to l'acqu a i nce s s a nte. D ietro a l l a qu a le, lo s ap evo b en e, si m a s ch er ava i l red ivivo Nu n –
e i nfat ti r ie c co m i qu a, pu ntu a le a l l' appu nta m ento.
Nea n che i l te mp o d i r id ere d i m e ste s s o i n s a nt a p ace, che a r riva lo z el a nte M a s si m i l i a n o
ad a s si l l a r m i:
« L a r iu n ione è r ico m i n c i ata, m io si gnore. Sta n no a sp et t a n d o lei. »
« S e è gi à r ico m i n c iat a, n on m i st a nn o a sp et t a n d o, ti p a re? » , s or r i si. « Co mu nque d ì loro
che sto a r riva nd o. E d ì a M au r i z io che d eve legger e l a r i g a s ot to.»
I l giova n e er a p er ple s s o, co sì gl ielo spieg a i:
« Non d o m a n d a r ti “qu a nd o gl ielo d evo d i re?”: t u d i gl ielo e b a st a. Gi à s o ch e qu a n d o lo
d i r a i lu i st a r à leggen d o l a r i g a giu st a, d o m a n d a n d o si p erchè ' st a gr a n s e c c atu r a d i
orga ni z z a re l'e s o d o si a to c c at a propr io a lu i – e p erchè io lo l a s c io d a s olo, st a n d o m ene qu a
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fuor i s ot to l'acqu a. Nel l a fr a s e che leg ger à t rover à l a r i sp o st a che cerc a . Ad entr a mb e le
d o m a n d e.»
M a s si m i l i a no e sitò, p oi r i nu nc iò a c api re e fe ce quel ch e gl i avevo d etto. L o s o: er a u n p o'
st upid o d a p a r te m i a, gio c a re a i m i r acol i, m a d i qu a n d o i n qu a n d o er a b ene r icord a r loro
chi s on o – e che s on o s e mpre pre s ente, a n ch e s e m a g a r i fi sic a m ente d i sta nte.
M a n d a r loro a d i re “n on o c cor re che m i fac c i ate avvi s a re ch e avete r ipre s o i l avor i: io ved o
o gni co s a” non av rebb e s or tito lo ste s s o effetto, s opr at tut to su quel l i d i m i nor fed e. (Non
fed e i n m e, c i m a n ch erebb e! Fed e che l'u niver s o si ste s s e “evolven d o a d overe” a n che i n quel
d iffic i le e app a rente m ente d i sp er ato fr a n gente.)
Po g gi a i l a m a n o su l l a z a mp a si ni st r a d i S e sh epA nkh At u m e gl i fe c i pat-p at co m e a u n
cuc c iolo: d oveva e s s ere fr u st r a nte p er lu i, non p oter si più sp e c chi a re nel s ole ch e s orge,
d ac chè l a coltre d i nubi aveva o s cu r ato l 'or i z zonte.
« Te l i r ip or terò s a ni e s a lvi fr a qu a lche a nn et to. Te i nta nto fa' i l br avo, ok ay? E fa i buon a
gu a rd i a.»
L a piet r a re s a vi s c id a d a l l a pio g gi a p a lpitò i l suo sì u n p o co n o st a l gico, rob a ch e av rei
voluto abbr ac c i a rlo – s e s olo ave s si av uto br ac c i a abb a st a n z a gr a nd i p er c i n gergl i i l col lo.
I nve ce tenni p er m e quel l a co m m o z ion e e st ac c a i i l p a l m o d el l a m a n o ch e co mu nic ava
quel l 'i n effabi le s enti re d a l m io cuore p o sit ronico a l suo cuore d i piet r a viva, e r itor na i a l
pre s ente.
C hiu si gl i o c chi. Sp a zi a i col p en siero nel r a g gio d i c i rc a 23 2 m et r i, co sì co m e fa rebb e u n
r a gno ch e s en z a muover si e s en z a gu a rd a re p ercepi s ce o gni m i l l i m et ro qu ad r ato d el l a su a
tel a s ot to a i suoi pied i. E r a no tut ti l à, p o co d i st a nti. Riu niti i ntor n o a u n t avolo
t r ab o c c a nte d i m app e e pi a ni d i evacu a z ion e. Tut ti preo c cup àti d el l 'e m ergen z a c l i m atic a,
qu a nd o io avevo i nvece b en a lt r i p en sier i p er l a te st a:
“A n còr a ne s su n s entore d i m io fr atel lo. Nea n ch e d a qu i.”
L a co s a più st r a na, p oi, è che app a rente m ente er a sp a r ito s en z a l a s c i a re t r ac c i a a lcu n a . E
ne s su n o ne s ap eva nu l l a, nè d i lu i nè d egl i a lt r i a l suo s è gu ito – a p a r te con fu s e leggen d e
d el l a m itolo gi a lo c a le, ch e p erò n on m i d iceva no nu l l a ch e non con o s ce s si gi à.
“Non ved o l 'or a d i sbr i g a r m el a, qu i, p er p oter fa r r itor n o a l l a b a s e e get t a re u n p o' d i
luce su que st a stor i a – ch e non m i qu ad r a p er niente.”
C h e c i fo s s e qu a lco s a ch e n on a nd ava, m 'er a ri su lt ato ch i a ro fi n d a l m io a r r ivo..
132
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L a fa s e i nter m ed i a s'er a svolt a regol a r m ente.. D a d i si nc a r nato ch e ero m i con d en s a i fi n o a
lo c a l i z z a r m i, co m e i l gr a nel lo d i s abbi a attor n o a l qu a le si for m a l a p erl a. Svi lupp at a u n a
st r ut t u r a d i s o stegn o st abi le, i l S ole le i nfu s e l 'en er gi a d i cu i n ece s sit avo e p otei a l fi ne
sp o st a r m i su l l a sup er fic ie d el pi a net a – d i ret to ver s o u n a zona m ont uo s a a lqu a nto i mp ervi a,
non t ropp o d i st a nte d a l l 'at t u a le E gitto.
Ra ggiu n si s en z a a lcu n a d i fficoltà l a b a s e, o c cu ltat a i n u n a grot t a, e i p o d cib er netic i
pront a m ente r i sp o s ero a l l a m i a pre s en z a attiva nd o si . L a gener a z ione d ei te s suti r ichie s e
qu a lch e m i nuto, ch e io sfr ut ta i p er co m i n c i a re ad i nter fac c i a r m i col “cer vel lo” d el “rob ot”
(b eh, più che a lt ro er a u n end o s c helet ro m et a l l ico) a l fi ne d i t a r a rlo s e con d o le m ie e si gen z e
sp e c i fiche. E, s opr at tut to, a s e con d o d el l ivel lo energetico d el m io vet tore: con u n cor p o
m ent a le d i que st a p oten z a, c'er a i nfat ti i l r i s ch io ch e i recet tor i si s ov r ac c a r ic a s s ero..
M a non d i lu n gh i a m o c i i n u lter ior i d et ta gl i: ti b a sti s ap ere che i n u n luo go m olto a ntico
na s co sto fr a le m onta gn e c'er a u n a c ap su l a che conteneva u n rob ot d a l l 'a sp etto u m a n oid e, l a
cu i str ut tu r a m et a l l ic a a l m io a r r ivo è st at a rive stit a d a te s suto vivente (mu s col i e p el le). Io
c i s on o entr ato, “i m m ed e si m a n d o m ic i”, d op o d ichè l a c ap su l a si è ap er t a.. giu sto i n te mp o
p er veni r “b at te z z ato” d a u n a d o c c i a d i p olvere e d et r iti.
« Co m i n c i a m o b en e. » , r i si, s c rol l a n d o i l c ap o e pu len d o m i a l l a b ene i n m egl io.
Ci m i si u n p o', ad abit u a r m i a l l a cor p oreit à: l a co s a più d i ffic i le er a i mp a r a re a gu a rd a re.
C er to m i t rovavo i n u n a m ac chi na s ofi stic ati s si m a, m a c iòn ond i m en o o c cor reva at t r aver s a re
u n a fa se d i a d at t a m ento ed id entific a z ione con e s s a . Tip o l a r i abi l it a z ion e d op o u n a lu n g a
d egen z a o sp ed a l ier a, c i h a i pre s ente?, qu a nd o d evi r i s copr i re i t uoi ste s si mu s col i ed
a l len a rl i gr a du a l m ente p er r ip or ta rl i a l l a pien a effic ien z a. O c cor ron o te mp o, tenac i a e
m olt a p a z ien z a – p erchè è d av vero sn er va nte, abit a re u n cor p o ch e n on r i sp on d e a i tuoi
co m a nd i s e n on i n r ita rd o e i n m a nier a a lqu a nto i mpre c i s a!
Epp oi d i s ol ito c'è qu a lcu n o ad a iuta r ti, o p erlo m en o a fa r ti co mp a gni a s c a mbi a nd o
qu at tro ch i ac ch iere, qu i i nvece..
« Ne s su n o. E l a b a s e, qu a nto m en o que st'a r ea, è i n p a le s e stato d'abb a n d on o d a u n a d o z z i n a
d i m i l len ni. O for s e d i più.»
Non re stava a lt ro d a fa re ch e r a g giu n gere i l più vici n o cent ro abitato, a c i rc a u n a
s et ti m a n a d i c a m m i n o, e pren d ere contat to con p er s on e abb a st a n z a colte d a c api re chi ero e
pren d ere su l s er io le m ie p a role. L o sl it ta m ento d ei p ol i i nco mb eva, e non c'er a te mp o d a
p erd ere. Neppu re p er s copr i re ch e co s'er a suc ce s s o a i m iei.
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Ric ava i u n a sp e c ie d i t u nic a d a u n s ac co, cont rol l a i ch e le r i s er ve d i biopl a s m a fo s s ero a l
co mpleto, e m i m i si i n m a rc i a . I l fat to ch e piove s s e a d i rotto, a l pu nto d a o s cu r a re i l c ielo
che p a reva qu a si not te fond a, non faceva ch e rend er m i le co s e più fac i l i: non m i s a rei d ov uto
preo c cup a re d el l a c a lu r a d el d e s er to e du nque s a r ei pre su m ibi l m ente a r rivato pr i m a d el
previ sto, n on d ovend o fa re t app e i nter m ed ie – i l ch e m i av rebb e con s entito l 'enor m e
va nta g gio d i pre s enta r m i con u n a m a g gior con s ap evole z z a d i m e.
C h e p erò a n d ava s ce m a n d o d i gior n o i n gior n o, d i or a i n or a. C o m 'è d el tut to nor m a le,
qu a nd o c i si i n c a r n a, s eppu re i n m o d a l ità provvi sor i a co m e avevo fatto io. A c c a d e l a ste s s a
co s a qu a nd o c i si r i svegl i a, fac c i c a s o: i l r icord o d el s o gn o, i ni zi a l m ente a s s a i vivid o e
pre s ente, b en pre sto s ce m a fi n o a sva ni re qu a si d el tut to. L'u nic a co s a ch e si può fa re, i n
entr a mbi i c a si, è cerc a re d i m a n d a r n e a m ente le p a r ti più i mp or t a nti: p o chi m i s er i
s c a mp ol i, br a n d el l i d i m e m or i a, ri sp et to a l r icord o co mpleto.. m a pu r s e mpre m egl io d i
niente.
E co sì, pr i m a ch e i l r icord o d i M e sva ni s s e d el tutto, m i sfor z a i d i i mpr i m er m i i l r icord o
d el le l i n ee-gu id a d el l a m i a m i s sion e: c iò ch e d ovevo fa re, a chi d ovevo r ivol ger m i.. E
s opr at tut to r a m m enta re ch e m i s a rei s en z'a lt ro i mb at tuto i n p er s one ch e si s a rebb ero
sp ac c i ate p er a lt r i – a l fi ne d i t r a r m i i n i n ga nn o, o p eggio. App ena i nc a r nato non av rei
av uto a lcu n a d ifficolt à a r icon o s cerl i, m a m a n o a m a n o che i l te mp o p a s s ava p erd evo vieppiù
l a c ap ac ità d i d i scer n i m ento i ntu itivo.
“C he gr a n s e c c at u r a!”, prote st a i fr a m e e m e, nel con stat a re qu a nti b a nch i d i m e m or i a si
offu s c a s s ero fi no ad a z z er a r si, m a n o a m a n o ch e l a ch i a re z z a d el l a con s ap evole z z a a n d ava
d i m i nuend o. D i s gr a z i ata m ente p erò non c'er a nient'a lt ro ch'io p ote s si fa re, s e n on
con s er va re i r icord i n ece s s a r i a st a bi l i re d i chi m i p otevo fid a re e d i chi i nvece n o.
29
D
opo due giorni di meritata vacanza, la sera del 15, come d'accordo, passai a prendere
Angelo davanti a casa sua:
«Tornerà a farci visita, stasera?»: per 48 ore non avevo fatto che domandarmelo.
134
(29)
«Chi? ..ah: lui. Non lo so. Spero di no.»
«Come sarebbe a dire “spero di no”? Ma non ti rendi conto di quanto è straordinario
questo fenomeno?»
«Forse lo è per te. Io invece mi domando solo una cosa.»
«E.. sarebbe?»
«Perché io?»
«Questo lo dovremmo forse chiedere a lui, non credi? A proposito: come lo chiamiamo?»
«Decidi tu.»
«Sarei quantomai onorato di farlo. Ma dal momento che “lui” ha scelto te, è giusto che sia
tu a dargli un nome.»
«“Gino”. Chiamalo Gino.»
«“Gino”?! Che nome del cazzo!», replicai. Senza sapere che non ci ero andato neanche
tanto lontano.
Pizza, tanto per cambiare. Quella fu forse la prima ed unica volta che mi riuscì di gustarla
mentre era calda: sia io che lui assaporavamo i bocconi lentamente, come a voler rimandare
al più tardi possibile il fatidico momento in nome del quale ci eravamo riuniti.
«Per prima cosa, vediamo di sistemare la questione notte.», proposi, scendendo le scale.
Onde evitare intoppi coi suoi genitori, Angelo aveva lasciato detto che si sarebbe fermato
qui a dormire: come ai gloriosi tempi di “Technophobia”. C005 «Seguimi in stireria. E tieni a
mente, poiché qualcosa mi dice che non sarà questa l'ultima occasione, bensì..»
«..la prima di molte: sa anche a me.»
«Allora: qui ci sono i cuscini, e qui affianco le coperte.»
«E il materasso?»
«Ma questo qua sotto, naturalmente!»
«E il cellophane? Lo togliamo?»
«Potremmo anche, ma visto che il materasso dovrà stare in terra accanto al mio letto..»
«Meglio di no, infatti. Ma così sudo. Ci hai mica un sacco a pelo?»
«Blu e trapuntato: lo usavo al campeggio. (Deve avere ancòra sopra l'etichetta con le mie
iniziali.) Sta qua in alto, se non erro.»
Aprii l'ennesima anta dell'armadio.
«Non erri.», disse Angelo.
Tastai a lungo il lembo esterno, fino a che trovai:
«“ALE B”: che ti dicevo? Le mie iniziali.»
«(Già te l'avevo detto: non erri..)»
«Hai detto qualcosa?»
«Chi? Io?!»
Tipico di Angelo: lancia il sasso e poi nasconde la mano. Ma quella sera e in quelle
135
(29)
circostanze non avevo alcuna voglia di reggergli il gioco:
«Lasciamo stare. Tieni: è tuo.»
Frase poco prudente da dire a uno che è solito allargarsi nonappena può – e anche quando
non può, se è per questo. Tipo che gli presti una cassetta e non la rivedi più, non importa
quante volte gliela solleciti. Oppure dopo che si è allenato gli dai la tua magliettina rossa
perchè s'era dimenticato a casa il ricambio, e lui ti stringe alle corde con un disarmante:
“Me la regali?”.
Meglio specificare, non si sa mai:
«“Tuo” si fa per dire. È tuo in usufrutto limitatamente a questa notte.»
Sorriso sornione di Angelo, di quelli che gli si apre un ventaglio di grinze sotto gli occhi.
Poi, un reciproco:
«Si va?»
«Si va.»
Quella che fu la stanza dei nonni materni è un'isoletta di pochi metri quadri situata al
pianterreno: la parete sul lato del letto e il soffitto rivestìti di perline verniciate trasparenti,
coi nodi nel legno che sembrano tanti piccoli occhi di Horus che vegliano su di me giorno e
notte. Ricorda vagamente il tempio di Salomone – sebbene le mie perline siano purtroppo
prive del profumo inebriante di cedro che emanava dalle sue.
Geograficamente parlando, è situata in un luogo sacro, protetto da una corrente
sotterranea di energia positiva – particolarmente concentrata a circa un metro di distanza
dalla finestra, in modo tale che il suo asse centrale attraversa perpendicolarmente il mio
guanciale. Ma queste cose le ho scoperte solo di recente, conseguentemente all'incrementata
sensibilità delle mie appercezioni.
Guardando indietro, mi rendo conto di essermi guadagnato questo tabernacolo poco a
poco nel corso degli anni: inizialmente, la mia prima cameretta fu quella cosiddetta “degli
ospiti”, che fungeva allora come oggi anche da stireria – era appunto l'umile rifugio che si
conviene a un apprendista, nelle immediate vicinanze della dimora del maestro. Poi, ai
tempi di “Technophobia” C005, ottenni una scrivania appoggiata alla parete esterna – che già
sottostava all'influenza del campo di forza, ma ancòra da fuori, sul confine. Infine, per le
cause di Forza Maggiore che avrei cominciato a scoprire nel giro di poche settimane dal
mio definitivo insediamento, mi fu consentito l'accesso definitivo al “tempio”.
Ma, ripeto, per quel che ne sapevo io nel 1993 era semplicemente la camera più tranquilla
di tutta la casa. Col vantaggio di trovarsi proprio innanzi alla porta d'ingresso del piano
dabbasso, il che la rende una specie di appartamento privato: una casa nella casa.
«Ti spiace chiudere tu la porta, mentre io tiro le tende?»
Obbedii.
«Allora?» : Angelo aveva l'aria impaziente.
«Vuoi che ti racconti di come è andata l'altroieri-sera?»
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(29)
«No. Raccontami una favola.»
«Non ne conosco molte. Ma se per te fa lo stesso, ti racconterò quella che mia nonna era
solita narrarmi per farmi addormentare: «C'era una volta un re, seduto sul sofà. Diceva alla
sua serva: “Raccontami una storia”, e la storia incominciò: C'era una volta un re, seduto
sul..»»
«Hai finito?»
«Beh, dipende: da qui in poi si ripete, ma trattandosi di una favola ricorsiva a ben vedere
non finisce mai. Se però vuoi sapere se il corpo principale della favola è stato esplicitato
tutto..»
«Hai finito?»
«Non mi dire! Era una battuta? Tu forse volevi che ti riassumessi..?»
«Precisamente.»
«Scusa, sai?, ma.. Via: tu e il senso dello humour siete come la panna montata e un panino
alla bresaola!»
«Hai finito?»
«E tre. Questo significa che stai parlando seriamente. Bom: vorrà dire che mi sforzerò di
fare altrettanto. Ordunque: i tuoi ricordi, se non vado errato, si spingono fino alle monete. È
esatto?»
«Mh.»
«E al fatto che s'era messo a piovere.»
«A-ha. Poi ho fatto ripartire il video, e.. Appunto: e?»
«Ti sei addormentato. Senza che io me ne accorgessi.»
«Perché non mi hai svegliato?»
«Come se non ci avessi provato! Ti ho chiamato ad alta voce, ti ho scosso.. niente. L'unica
cosa che era cambiata in sèguito al mio intervento, era che avevi cominciato a respirare
come un mantice impazzito.»
«E poi?»
«E poi non la finivi più. Anzi, aumentavi di intensità: respiri sempre più profondi, chè
sembravi una specie di maniaco sessuale alle prese con la sua telefonata oscena meglio
riuscita!»
«Tutto qua?»
«Ma-ga-rii! Invece hai cessato solamente quando ti ho tirato su di peso, seduto sul letto. E
siccome in ogni cosa che fai ti piace strafare, già che c'eri hai smesso del tutto di respirare.
Te neanche in stato di trance conosci qualcosa di diverso dagli estremi, mh?»
«Ma dai!»
«Te lo giuro: sembravi morto. Forse respiravi lentissimamente, io non lo so, ma così nella
penombra.. Temevo tu avessi avuto un arresto cardiaco, e scusami se è poco. O che, nella
migliore delle ipotesi, tu fossi svenuto per via dell'iperventilazione polmonare.»
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(29)
«Non è possibile!»
«Certo che lo è, invece! Lo facevano anche ai tempi dell'Inquisizione, sai? Pensa che, in
certi posti dove la barbarie impèra ancor oggi, è una tecnica insegnata ai soldati per
resistere alle torture: svenire a comando per risparmiarsi il dolore.»
«Non intendevo quello.»
«Ah no? E allora cosa?»
«E me lo chiedi? Non è possibile che queste cose siano accadute davvero!»
«Preferisci che io inventi? Come preferisci. Adunque: ti sei addormentato di sana pianta, e
siccome so che hai il sonno leggero ho pensato bene di farti respirare vapori di cloroformio
fai-da-te che avevo preparato sul momento col piccolo chimico, e poi..»
«Dai..!»
«..e poi sono uscito di casa con Michelle Pfeiffer, e siamo andati a farci un picnic alle
pendici dell'Etna lasciando te qui con le finestre spalancate per far sparire l'odore del
cloroformio che altrimenti avresti sentito al tuo risveglio.»
«E smettila!»
«Sono rincasato una mezz'oretta dopo, mi son fatto una doccia, mi son cambiato, giusto
in tempo per il tuo risveglio. Quando si dice il tempismo, eh?»
«Ho capito. Ho capito. Vai pure avanti con quell'altra versione.»
«Alla buon'ora. Dove eravamo rimasti?»
«All'arresto cardiaco.»
«Ah sì. Ma non lo era: il tuo cuore batteva ancòra. Lento, ma batteva.»
«Hai chiamato soccorsi?»
«No: ti ho eiettato sul petto le monetine.»
«(Un pazzo: sono nelle mani di un pazzo. È già un miracolo che io sia sopravvissuto.)»
«Mi rendo conto che potrebbe sembrare una cosa strana. Ma in quel frangente mi è
sembrata la cosa più giusta da farsi.»
«Andiamo bene.. E poi?»
«Non accadde nulla. Cosa che, in fondo, mi aspettavo.»
«È già qualcosa. Stai forse migliorando?»
«Voglio dire: le monetine erano troppo poche per formare delle scritte, e quanto a simboli
bisogna considerare che con una risoluzione di 8 punti..» e bla bla bla bla.
Fu una lunga e dettagliata spiegazione delle mie: di come mi aveva stretto la mano; e che
quando sembrava essersi svegliato era stato posseduto da una specie di spirito vagabondo
di passaggio che guardava le stelle coi raggi X; di come il misterioso visitatore se ne fosse
andato dopo aver visto nello specchio l'immagine riflessa del corpo che lo ospitava..
«Ecco per quale motivo ti avevo domandato “chi sei”. Capisci, adesso?»
Angelo si era addormentato.
Aridàlli.
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30
N
essuno si addormenta a quel modo. E non mi riferisco semplicemente alla rapidità
con la quale era “partito”: quella poteva essere il dono, seppur raro, che taluni pochi
fortunati possiedono di prendere sonno nonappena toccato il cuscino. È che nessuno
dorme con l'avambraccio perpendicolare al letto!
“Che sia.. lui?”, ponderai, cercando di far mente locale per ricordare il nome presceltogli
da Angelo.
«Se sei quello dell'altroieri, stringi il pugno.», restandomene a debita di stanza chè non si
può mai dire..
La mano penzolava floscia dal polso, tale e quale a un fiore appassito che si abbandona
mollemente giù per il collo del vaso.
«Poco ma sicuro, io la mia mano lì dentro non ce la metto mica: nossignore! Sbagliare
una volta è umano, ma perseverare..», e un brivido mi corse giù per la schiena.
Cos'avrebbe fatto in circostanze analoghe il signor Spock?
«Analisi, Mr. Spock.», avrebbe ordinato il capitano Kirk.
E il suo primo ufficiale scientifico gli avrebbe prontamente risposto:
«Data astrale: ignota. Data terrestre: approssimativamente la fine del
XX secolo, secondo l'antico calendario riformato gregoriano.C050
Presumibilmente, la prima metà degli anni '90. Ci troviamo sul terzo
pianeta del sistema solare: Terra. Emisfero boreale, Europa
meridionale, in un territorio denominato Italia, coordinate..»
«Grazie, Spock.», avrebbe affabilmente tagliato-corto il capitano
dell'Enterprise. «Mi complimento per l'accuratezza della sua analisi,
ma.. ci risparmi pure i dettagli e venga al dunque, le spiace?»
«Come desidera, capitano. Ebbene: ci troviamo di fronte a un essere
dall'aspetto umanoide – con ogni probabilità un umano, benchè non
disponga di dati sufficienti per affermarlo con certezza. In questo
momento il soggetto si trova in uno stato di coscienza alterata,
sebbene non indotta artificialmente: nel suo organismo non v'è traccia
alcuna di droghe né sonniferi. Se fossi incline come voi umani alle
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speculazioni non supportate da dati certi e comprovàti, desumerei che
si trova in trance, apparentemente posseduto da un'entità aliena.»
Vabbè, capirai che sforzo! Questo lo sapevo anch'io, grazie tante..
A questo punto, Kirk – è un classico! – avrebbe domandato: “Cosa consiglia di fare,
signor Spock?”, e lui avrebbe estratto il suo fido tricorder dalla custodia che si porta a
marsupio, e avrebbe capito immediatamente ogni cosa. Alla peggio, c'era sempre il
traduttore universale del computer di bordo. O la fusione mentale vulcaniana che risolve
sempre tutto.
Io invece me ne stavo lì, solo, e senza la più pallida idea sul da-farsi. A fantasticare di
poter godere almeno in quel particolare frangente dell'aiuto o anche solo della compagnia di
miei simili: altri “alieni” come me.
Fu questione di pochi minuti – sì e no il tempo di constatare che nessun teletrasporto
aveva intenzione di materializzare in camera mia una squadra di sbarco capitanata dal mio
eroe vulcaniano. E poi:
«Al diavolo le paranoie: prima o poi, deve comunque accadere!»
Con un colpo di reni accompagnato dallo squittire delle rotelle della sedia-poltroncina
rossa, mi avvicinai al letto e allungai la mano verso quella di “Angelo o chi per lui” – e
tanto per restare in tema, lo feci con la lentezza e circospezione di un'astronave che sta
attraccando al molo spaziale. Tutta la mia attenzione era focalizzata sui muscoli del suo
braccio: al primo minimo movimento sospetto, via! che avrei tolto la mano sfuggendo alla
sue grinfie..
Invece, “attraccai” senza problemi: con mio massimo stupore, la sua mano si richiuse
attorno alla mia con la delicatezza di una corolla di petali al rallentatore.
«Contatto stabilito, comandante.»
«Bene, Mr.Spock. Gli chieda se è disposto a comunicare con noi.»
Detto-fatto:
«Stringi la mano moderando la forza: una stretta per dire “sì”, e due per..»
Non mi lasciò neppure concludere la frase: ero arrivato appena a dire “mano” che lui
aveva già risposto di sì – con un tocco deciso e immediato degno di un ipnotizzatore, tanto
che non mi venne neppure di ritrarla.
“Frena: tutto ciò puzza un sacco di deja-vu.”, riflettei. “E se questo fosse l'equivalente del
primo scatto dell'altra volta? Quello debole e quasi impercettibile, cui è seguìto.. ahia.”: le
falangi mi duolevano ancòra al solo ricordo.
Proprio in quella, un'altra lieve stretta. La faccenda andava complicandosi:
“Significherà che è solo una prova e seguirà una stretta da macellaio, oppure che è solo
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una prova e basta? Beh, certo non me lo anticiperebbe, se volesse farmi male. Quindi forse
intende farmi sapere che ha imparato a moderare la forza. O anche che è pronto per le mie
domande.”
Tra la penultima e l'ultima ipotesi, arrivò un altro sì.
“Posto che lo sia, un sì, e non piuttosto una contrazione involontaria del muscolo.”
Altro sì.
Cominciavo ad andare nel pallone:
«Oh insomma! Che tu sia in grado di leggermi nel pensiero prima che io abbia formulato
la mia domanda, o che tu semplicemente riesca a dedurre la conclusione delle frasi prima
che io le abbia pronunciate, se continui così non ci capiremo mai!»
Nessun sì: buon segno. O.. pessimo?
«Capisci quel che ti sto dic..»
Sì.
«Aridalli! Porta pazienza, ma devi lasciarmi finire le frasi, d'accordo?»
Sì.
L'unico modo per distinguere un codice da un evento casuale è la sua funzionalità: se lui
stringeva la mano a casaccio, non avrei avuto modo di verificare che si trattasse
effettivamente di risposte alle mie domande – e non piuttosto di contrazioni naturali del
muscolo, che io invece contestualizzavo in base al punto in cui ero arrivato col mio
discorso.
«Devo fare un'ultima verifica, che mi è necessaria per stimare la coerenza delle tue
risposte. Conosci la matematica umana?»
Sì.
«1+1 fa 2?»
Sì.
«3+4 fa 1?»
Nessuna risposta.
«Si era detto.. io avevo detto.. due strette per “no”.»
Sì, sì.
«Dunque “no”?»
Sì.
«Hai ragione: così ci si incasina. Meglio come dici tu. Allora: diamo per stabilito come
nuovo standard di comunicazione che una stretta lieve significa “sì”, e nessuna stretta
“no”.»
Sì.
«Eccellente.»
Giocare a fuoco-fuochino-fuocherello non è mai stato una mia passione, tantomeno in
quel momento in cui l'unica vera domanda che mi frullava per la testa era: “Dimmi chi
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cavolo sei!”. Tuttavia non c'erano alternative, per cui fu giocoforza convogliare tutta la mia
esperienza di programmatore in quella specie di dialogo in codice-macchina puro: un solo
bit di output, un misero flag acceso/spento, un sì-o-no per tutta risposta.
«Hai intenzioni amichevoli?»
No.
“Andiamo bene!”, mi allarmai, salvo poi ripensarci: “Però forse si tratta semplicemente di
un'entità particolarmente pignola..”
«Hai intenzioni ostili?»
No.
«Dunque, né amico né nemico: neutrale.»
Sì, ma con un leggero ritardo nella risposta – a lasciar intendere che, se avesse potuto
parlare, mi avrebbe rinfacciato di esprimermi come un troglodita.
«Perché sei qui?»
Ero consapevole del fatto che questa domanda non poteva trovare risposta in una stretta di
mano, ma non ce la facevo più a trattenerla: semplicemente acconsentii che mi scivolasse
candidamente fuori dalle labbra, mentre nel frattempo mi spremevo per pensare a una lista
di possibilità che lui avrebbe potuto affermare o negare. Le passai in rassegna proprio tutte:
da “conquistare la Terra” a “studiare gli esseri umani”, passando per “gita turistica” e “ho
perso una scommessa con il mio amico Plutoniano”.
Ciònondimeno, a modo suo fu inaspettatamente in grado di rispondermi: dopo un lieve
trèmito come a dire “molla la presa”, allorchè sfilai la mano sparò il braccio intero in
direzione della televisione, col dito indice puntato a mo' di freccia scoccata verso il
bersaglio. In effetti avevo letto da qualche parte che gli extraterrestri, oltre a compiere
missioni in prima persona coi ben noti dischi volanti, sono soliti raccogliere informazioni in
merito alla “civiltà” terrestre captando i segnali radiotelevisivi analogamente a quando
fanno quei matti del SETI che scandagliano l'etere alla ricerca di trasmissioni aliene..
..ma mi sbagliavo: non era sua intenzione mostrarmi in TV alcun videodocumentario, che
poi sarebbe la versione hi-tech della visione mistica che in un simile frangente era tutto
sommato lecito aspettarsi.
Stava solo aggiustando la mira: quella fiocinata con l'indice, che peraltro doveva essergli
costata una fatica considerevole, era solo il puntamento grossolano che ora andava
rettificando – muovendo il braccio, rigido e tremolante come la canna di un carro armato,
un poco sulla destra.. un poco più in alto..
«Desideri che ti prenda un libro?»
Mi sorprese facendo un anello con pollice e indice: un inequivocabile “OK”.
«Quale ripiano? Questo qua?»
Fece tergicristallo con l'indice.
«Questo, allora.», e indicavo lo scaffale in alto a sinistra davanti alla mia scrivania: quello
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dove accatasto i libri già letti.
OK.
«Quale libro?»
Scorrevo il mio dito sui libri, uno ad uno, ma il suo OK tardava ad arrivare. Ad un tratto,
come spazientito, strinse il pugno con l'indice sparato nervosamente in fuori: sembrava la
manina che fa da puntatore sullo schermo per il mouse. Con un cenno risoluto ed altero,
indicò a destra, come a dirmi: “Così non ne veniamo più a capo: fai prima a partire
dall'altro lato!”.
Ero indeciso se sentirmi offeso oppure umiliato, ma non mi lasciò neanche il tempo di
stabilirlo chè già aveva aperto la mano a ventaglio, spingendola in avanti con le dite aperte.
«Devo fermarmi qua?»
NO.
“Non significherà davvero il numero 5?”, pensai.
Invece sì, però persistevo a non capire. Poi, la folgorazione:
«Ah, vuoi dire “5 libri dal fondo”!»
Ridusse leggermente la tensione delle dita, che così assunsero la caratteristica posizione
lievemente incurvata di una mano aperta ma rilassata. E la rovesciò, lasciandola cadere
mollemente con il palmo verso l'alto. Capii immediatamente: mi stava sfottendo. (Tipo:
“Era ora che ci arrivassi!”)
Il libro in questione era quello scritto da Piero Angela a confutare i cosiddetti “fenomeni
paranormali”. Ottima scelta, pensai.
“Adesso mi verrà a dire che lui è un marziano che si è infiltrato nel corpo di Angelo tipo il
ributtante sgorbio bavoso di Alien. O magari una specie di spirito errante, che trovàto il suo
medium torna a manifestarsi come il Gozer del frigorifero in Ghostbusters. O forse..»
Non mi era ancòra ben chiaro se gli riuscisse di leggere nei miei pensieri, ma quella mano
aperta con le dita unite (“STOP”) aveva tutta l'aria di essere un chiaro segno di disappunto,
un “Bom, ti sei sfogato abbastanza: ora dacci un taglio, OK? Piantala di pensare fesserie, e
dai retta a me.”
Dopodichè aggiunse tre cifre, gesticolando agilmente con la mano manco stesse
contrattando in borsa: si trattava, com'era fin troppo ovvio presumere, del numero della
pagina da leggere.
«A che riga? Il punto dove si parla degli illusionisti?»
Due gesti secchi solamente: l'indice infilzato come a trapanarsi il petto, e poi un ampio
movimento a ventaglio dell'avambraccio. Ovvero: “Il sottoscritto”, “assolutamente no”.
«“Quelli sono dei buffoni. Io no.” È questo che vuoi dire?»
OK, ma con una certa esitazione.
Quella infatti era appena una delle possibili interpretazioni di quel gesto, che oggi ritengo
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(30)
di interpretare meglio considerando il termine “illusionisti” nella più ampia accezione di
“coloro i quali vivono di illusioni” – vale a dire: tutti quanti gli esseri umani. In altre parole,
era un modo elegante per informarmi che lui non era lo spirito di un defunto.
Con ciò rispondeva alla mia prima domanda, quella più urgente, in merito a chi fosse lui:
chiunque fosse, non era umano e con tutta probabilità non lo era neppure mai stato. Quanto
a quell'altra domanda, la ragione della sua visita, mi avrebbe risposto di lì a poco.
A metà di questi pensieri, mi colse un altro suo gesto – questa volta più aggraziato, come
se dai precedenti avesse imparato come utilizzare un braccio. Pur senza distogliere mai lo
sguardo perso nel vuoto, mi indicò senza incertezze l'atlante posto sulla mensola dove
tenevo i libri e il materiale di scuola. Fu quella la prima occasione in cui lo vidi impiegare
anche l'altro braccio, facendomi cenno di aprire l'atlante e poggiarlo sopra il suo petto.
Pensai bene di aprirglielo a metà, poi fu lui stesso a sfogliarlo – girando le pagine con
movimenti da robot, sino a giungere alla pagina 98 che apriva la “Parte terza: il mondo
che noi conosciamo”. Qui si fermò, e disegnò con solennità un ampio movimento sopra
l'illustrazione in formato A3 che copriva quasi interamente le due pagine. C022 Lessi ad alta
voce il titolo di quella sezione:
«Lo spazio: cielo senza confini.»
Ripetè con maggior enfasi il medesimo gesto di prima, questa volta passando sopra la via
lattea, la galassia e le altre stelle con il palmo rivolto verso l'alto: un coltivatore che sparge
semenza sopra il campo incolto cui intende donare amorevolmente nuova vita. (Tutte cose
che osservo solamente ora, bada. In quell'occasione, il massimo che mi riusciva di fare era
escludere l'ipotesi del fantasma alla “Ghost”.)
«Stai per caso indicandomi il tuo pianeta d'origine?», domandai impudentemente.
Aspettandomi che avrebbe fatto vorticare per aria le monetine, magari quella gialla al
centro per indicare il sole della sua galassia, e i centolire tutt'attorno a fare da pianeti.
Dopotutto, se ci era riuscito quel nanerottolo imbranato di E.T...
NO!
“Ahò, tipo, e mo' che fai? T'incazzi pure?”, pensai con disappunto. Lo strano visitatore
cominciava a starmi piuttosto antipatico: “Mi piomba in casa non invitato, mi maciulla la
mano, mi fa tribolare coi suoi quiz cui io cerco di adeguarmi come meglio posso per dovere
di ospitalità.. e adesso si permette di fare lo stizzito e incacchiarsi se non riesco a capirlo al
volo?”
Del tutto incurante dei miei pensieri (o quantomeno dell'espressione risentita che avevo
stampata in volto), si limitò ad indicarmi la freccia rossa di pagina 99: quella con scritto “Il
nostro Sistema Solare si trova in questa zona.”
Forse si era offeso per quell'ingenua richiesta di descrivere il suo luogo di provenienza
basandosi su una raffigurazione così rudimentale:
“In effetti questa è solo una rappresentazione simbolica dell'universo”, riflettei, “e certo
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non una mappa sufficientemente dettagliata sulla quale lui possa indicarmi casa sua.”
«Bom. Direi comunque che ci siamo presentàti..»
Silenzio.
«Molto piacere!», e gli allungai la mano. Che però non strinse. Forse indispettito, pensai.
«Vabbè: vorrà dire che terrò buona quella dell'altra volta.»
Niente: non reagiva neanche alle ironie.
Era evidente che fossimo giunti a un punto morto. La prassi avrebbe voluto che lui mi
mettesse a parte del motivo della sua visita e si cominciasse a colloquiare, ma.. nel nostro
caso?
«Ti domanderei “Qual buon vento?”, ma visto che non puoi rispondermi..»
Ripetè per la terza volta l'ampio gesto, come a mostrare l'intero universo. E io per la terza
volta non capivo come accidenti si aspettava che lo interpretassi. A meno che..
«Intenderai mica portarmi via con te su un altro pianeta??», balbettai per l'emozione.
Traslocare in un mondo meno selvaggio di questo è sempre stato il mio sogno: non ne ho
mai fatto mistero con nessuno. Anzi ho persino affisso questo cartello all'esterno della porta
della mia stanza:
PROFUGO
EXTRATERRESTRE
cerca UFO (anche charter) per reimpatrio immediato
OFFRESI
conoscenza pluriennale acquisita su pianeta barbarico e
suoi primitivi abitanti, in cambio di protezione e assistenza
E.T. .. TELEFONO .. CASA!
(rivolgersi a qualsiasi ora del giorno e della notte
presso questo asilo temporaneo)
Disgraziatamente per me, invece, fece cenno di no: non era venuto per riportarmi a Casa.
Beh, se non altro non me l'aveva urlato addosso, diversamente dal suo no di prima.
Sembrava anzi che gli riuscisse di comprendere perfettamente la mia pena, e tutto
desiderasse fuorchè infierire.
«Accidenti a quell'ubriacona d'una cicogna intergalattica!», sbottai, per stemperare in una
battuta la tensione che avevo accumulato.
Per l'ennesima volta la vita mi stava chiudendo la porta alle spalle, e per l'ennesima volta
l'unica opzione che mi si lasciava era trangugiare quel fiele amaro tutto d'un sorso. Soltanto
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(30)
un prigioniero incarcerato ingiustamente, che di anno in anno si vede puntualmente negare
la grazia, potrebbe comprendere lo sconforto di aver veduto per un fuggevole istante la
Libertà.. così vicina da stare appena un passo più in là.. E poi sentirsela sfuggire
inesorabilmente via tra le dita.
Anche peggio di un bicchiere d'acqua limpida rovesciato davanti agli occhi di un profugo
disidratato: un istante era lì, che bastava tendere la mano, e l'istante dopo.. se l'è inghiottita
la sabbia.
Una desolazione sconfinata s'abbattè su di me, nel riscoprirmi intrappolato nella Terra di
Nessuno che sta fra questo mondo (che mi respinge) e quell'altro (che non mi vuole ancòra
accettare). Che ne sai, tu, dello sconforto? Che significato dai, tu, alla parola
“disperazione”?
L'ambasciatore di un mondo cui da sempre anelavo far ritorno s'era appena rifiutato di
vidimarmi il visto d'ingresso nel suo meraviglioso Paese, e per quanto mi sforzassi ero del
tutto incapace di capire perché – essendo consapevole di avere invece tutti i requisiti in
regola per meritarmi il nullaosta.
Né lui poteva motivarmi la ragione di quel diniego: ci sarei dovuto arrivare da solo, e
sarebbero dovuti trascorrere anni intieri di tribolazioni.
Tutto ciò che aggiunse fu: “TU”, puntandomi l'indice addosso come una spada di
Damocle, e poi ripetè ancòra quell'ampio gesto incomprensibile.
«Sarebbe che devo essere io, ad andarmene?»
NO. E ribadì il concetto di prima, che nonostante i miei sforzi proprio non mi riusciva di
agguantare.
«Io.. “viaggiare”?»
NO.
Tutto inutile: non capivo che il verbo esatto fosse “spaziare”. Oggi invece mi è chiaro, ma
solo in virtù del fatto che col tempo ho acquisito la conoscenza di un contesto che in quei
giorni ignoravo: la possibilità di espandere il pensare fino a spingersi oltre i rigidi confini
della razionalità.
Alla fine mi toccò arrendermi davanti alla mia ignoranza. Tanto valeva passare a
quell'altra questione:
«Che mi dici di Angelo?»
Che la sua incolumità non fosse in discussione me n'ero già sincerato la volta precedente,
però restava il fatto che il mio amico era vittima (tutt'altro che consenziente, come invece lo
sarei stato io) di un arbitrio: vorrei proprio vedere come reagiresti tu al suo posto, se ti
venisse requisito il corpo!
Indubbiamente si trattava di cause di forza maggiore, come quando i poliziotti da telefilm
espropriano l'auto a un civile per lanciarsi all'inseguimento di un criminale, ma anche a
prescindere dal fatto che ad Angelo il distintivo non gliel'aveva ancòra mostrato nessuno, né
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gli era stata data spiegazione alcuna (per quel che ne so io)..
..sì, insomma: il malcapitato privato della propria vettura può sempre tornarsene a casa a
piedi. Ma Angelo? Che ne era stato, di Angelo? Cosa ne aveva fatto? Quantomeno mi
dicesse dove l'aveva messo!
TU.
«Io..»: la mia voce faceva eco ai suoi gesti.
IO.
«Tu..»
NO: IO, IO.
«Vuoi dire.. non tu, ma Angelo?»
Una tantum ci avevo azzeccato: OK.
«Quindi: io e Angelo..»
Un nuovo gesto enigmatico: fece combaciare gli indici.
«“Uniti”?»
NO.
«“Uguali”?»
NO. E ripetè il gesto, questa volta più lentamente: direi quasi con maggior precisione.
«“Simili”?»
Frullò la mano a mezz'aria, come a dire “pressappoco”.
TU. IO, IO. E ancòra gli indici.
Quel modo di procedere a tentoni stava finendo col procurarmi un'emicrania: lo sforzo era
grande, e quel ch'è peggio prolungato. Non ne potevo più, e un poco alla volta sentivo
sorgere dentro di me l'impulso irrefrenabile di urlare “Bastaaaaa!” – che espressi tuttavia in
maniera più diplomatica:
«Perdonami, ma comincio ad essere un poco affaticato. Per intanto passami “simili”, e
tiriamo avanti. Cosa dobbiamo fare, io e Angelo?»
TU.
«Io..»
IO, IO.
«Io e Angelo..»
..e il misterioso “viaggiare” (o qualunque altra cosa fosse!) di prima.
«Ah, ho capito: io e Angelo dobbiamo viaggiare su un altro pianeta. Non come cavie,
voglio sperare!»
NO.
«Meno male. Come.. ambasciatori della Terra?»
NO!
«Sarebbe a dire che è sbagliato affermare che io e Angelo dobbiamo viaggiare.»
Palmo teso in avanti: “Ovvio! Che sei? Stupido?”.
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(30)
«E allora cosa dobbiamo fare?»
TU. IO, IO. Indici appaiati. “Viaggiare”.
«Io e Angelo dobbiamo viaggiare uniti?»
Lasciò cadere la mano: non potendo alzare gli occhi al cielo e sbuffare, quello era l'unico
modo per dirmi “Sei un caso disperato”. Poi, come a ricredersi (o, meglio, accettando
pazientemente la rudimentale interpretazione che avevo dato del suo pensiero), mi rispose:
CIRCA.
«Ti sarebbe possibile esprimerti diversamente?»
OK.
«Parlando?»
NO.
«Scrivendo?»
NO.
Quale accidenti poteva essere, un linguaggio universale che potesse essere espresso da una
“persona” sdraiata e completamente immobile, ad eccezione delle braccia?
«La musica! Saresti in grado di suonare qualcosa?»
OK.
Corsi a recuperare in tutta fretta la tastierina di mio fratello Antonio, quella che avevo
usato per registrare “Tribute to Euterpe”C013: tre ottave di tasti minuscoli, eppure mai come
in quello specifico frangente funzionale al suo scopo – voglio dire: diversamente dal
pianoforte, pesava pochissimo e potevo tranquillamente poggiarla sul petto di Angelo al
posto dell'atlante.
Detto per inciso: Angelo non è capace di suonare, manco il campanello di casa. E quando
tenta la spacconata di esibirsi imitando gli accordi che vede fare nei video musicali, ottiene
dissonanze di suoni così incredibilmente aggrovigliati da risultare un vero supplizio, per un
orecchio musicale ben educato.
A ulteriore riprova del fatto che il mio amico fosse altrove, ora le stesse mani che mi
avevano maciullato le falangi scorrevano con mestiere sopra quei tasti così stretti,
cavandone una melodia che (per quanto inusitata) possedeva una sua propria armonia e
nessuna dissonanza sgradevole. Quando ci ripenso, mi do dello stupido per non averla
registrata: con ogni probabilità non sarei stato autorizzato a farla ascoltare ad Angelo,
purtuttavia mi sarebbe piaciuto conservarla come ricordo. Ma bando ai rimpianti..
«Una musica spaziale.», commentai. «Mi fa pensare a Jarre..»
Mi rispose con un OK un po' strano, tanto che sembrava piuttosto un “aggiudicato!”
proclamato da un banditore d'asta. Un OK dal compiacimento misterioso di chi ha l'aria di
saperla lunga.
«..però continuo a non capire cosa abbia a che fare con me e Angelo.»
Lasciò cadere nuovamente le mani: BONK.
148
(30)
«Spiacente di deluderti, ma.. Dico sul serio: non ci arrivo. Prova con un altro esempio,
magari.»
Mantenendo gli occhi chiusi, e senza esitare né tastare alla cieca, raggiunse a colpo sicuro
i bottoni della tastiera che selezionano l'accompagnamento:
«Questa è una marcia.», osservai.
OK.
TU. ..e l'indice puntato sopra il materasso.
«Significa “qui”?»
No. “Indice sul letto.”
«“Adesso”?»
OK.
TU. IO. ADESSO. ..e il palmo aperto a indicare la tastiera.
«“Marciare”?»
OK.
«Significa: “adesso sì, che io e te andiamo d'accordo”?»
NO.
«Non vorrai mica che ti prenda alla lettera?»
OK.
«Come vuoi: allora, “io e te marciamo”.»
NO. IO, IO.
«Ah: “io e Angelo, adesso, marciamo”.»
OK.
«Scusa, ma.. “marciamo” in che senso? Mica nel senso della putrefazione, spero!»
Non ci stavo capendo più un accidente, ma nel preciso istante in cui cambiò
accompagnamento, tutto mi risultò più chiaro:
«Waltzer! Significa che io e Angelo dobbiamo passare dalla marcia al waltzer!»
OK!
«Non in senso letterale, presumo..»
Gli cascarono letteralmente le braccia, tanto da farmi pensare che avesse
improvvisamente cessato il contatto abbandonando il corpo di Angelo. Nient'affatto:
OK.
«Significa: “non in senso letterale”?»
OK.
TU. ..e l'indice appoggiato alla tempia.
«“Pensare”?»
OK. ..indice e pollice vicini, arcuati a U.
«“Piccolo”?»
OK. TU. PENSI. PICCOLO.
149
(30)
Qualcosa mi dice che quella lunga notte non era stata una faticaccia solamente per me.
31
I
l periodo aperto da quel primo contatto, quantomai denso di avvenimenti che avrebbero
drasticamente mutato il corso della mia vita, mi trovava indifeso come un granchio
sùbito dopo la muta, ed altrettanto affamato: abbandonàti i vecchi schemi di pensiero,
il mio cervello era avido di nuove direzioni in cui incanalare la propria frenetica attività –
ora che disponevo di una pelle nuova, più elastica, per idee che prima giacevano inermi,
imprigionate nella rigidezza coriacea del razionalismo.
Nessuno (umano o meno, poco m'importava) avrebbe potuto affascinarmi più di chi era
in grado di oltrepassare i miei limiti di pensiero. E chissà, forse pure disposto a insegnarmi
come si fa a “pensare grande”.
Non stavo neppure a farne una sciocca questione di ego: sentirmi rimproverare di
pensare piccolo infatti non intaccava minimamente la mia autostima, giacché se la mia
intelligenza e cultura obiettivamente sopra la media erano pensare-piccolo.. chissà quali
magnificenze erano riservate agli esseri superiori come lui! Che oltretutto forse era venuto
apposta con questo incarico. Insomma: la fantasia oramai galoppava a briglie sciolte.
In realtà, come avrei scoperto solo a distanza di anni, mi sbagliavo. Stavo ancòra
applicando, oramai impropriamente, i detriti del mio vetero-pensiero: quello scientifico, il
quale risaputamente non vede alcuna utilità, tra ricercatori della medesima squadra, nel fare
mistero di una tecnica appresa e standardizzata. Una volta scoperto un “come lo si fa”, lo si
rivela immediatamente al collega, poiché aspettare che pure lui ci arrivi da sè
significherebbe solamente moltiplicare inutilmente gli sforzi e allungare i tempi di ricerca.
Invece il pensare-grande non può essere insegnato: può soltanto venire appreso.
La cosa ti turba, lo so. Pure a me suonava quasi come una contraddizione in termini, e
mi ci sono tormentato senza requie per intere notti in bianco: invano. L'inghippo mi risultò
chiaro solo allorchè Compresi la differenza che passa tra il sapere (ciò che può essere
comunicato) e il consapere (ciò che si può unicamente sperimentare entro sé stessi):
type sapere =
record
conoscenze: integer;
end;
type consapere =
record
conoscenze: integer;
150
(31)
padronanza: array [1..infinito] of real;
end;
A chi “mastica” di Pascal, faccio osservare che padronanza (oltre a contenere una
quanità infinita di ulteriori informazioni complementari correlate) utilizza un tipo di
variabili diverso, rispetto a quello di conoscenze: valori continui, “analogici”, che certo
potrebbero venir espressi anche nell'altro modo (integer: valori discreti, “digitali”).. ma
solo per approssimazione: il prezzo da pagare sarebbe tagliar fuori la parte dopo la virgola,
e non sempre si tratta di trascurabili sfumature di significato, sai?
È la stessa cosa che accade quando si cerca di spiegare a parole una visione mistica, o le
sensazioni che ci suscita l'ascolto di una melodia: le frasi che ne risultano sono sempre e
solo una pallida approssimazione dell'autentica esperienza fatta. E non importa quante
parole impiegherai: la somma di infinite approssimazioni rimane pur sempre una colossale
approssimazione, cui a ben vedere sarebbe forse preferibile un più rispettoso silenzio.
Se fino a qui non ci ha capito una bega, tentiamo quest'altra strada: come ti suona “non
puoi sapere che cosa si prova a essere innamorato fino al giorno in cui pure tu t'innamori”?
Ecco quanto il sapere (ma non consapere) scientifico ha da dire al riguardo:
«Un soggetto, maschio o femmina, di età intorno ai sedici-diciassette
anni, dopo aver visto un esemplare del sesso opposto (per lo più), nota
un rapido cambiamento del suo stile di vita che comprende il pensiero
(la razionalità), gli affetti e il suo comportamento sociale. La sua
mente è occupata da una immagine che permane fissa, indelebile,
resistente ad ogni tentativo di cancellarla. Si dimenticano occupazioni
abituali e impegni sacrosanti: non si riesce più a studiare o a lavorare.
Uno sconvolgimento non meno importante si rileva nei sentimenti. Si
avverte una attrazione totale ed esclusiva per quella persona
incontrata e con la quale, magari, si è scambiato soltanto un saluto o
un sorriso. L'amore materno, se c'era, si allenta. Le amicizie
scompaiono, a meno che non accettino di ascoltare i nuovi affanni.»
Fino a che punto ti ci sei rivisto, in questa descrizione dello psichiatra Vittorino Andreoli?
• Se la risposta è “completamente”, allora non sei mai stato innamorato in vita tua. Forse
ritieni di dovertici preparare, studiando i sintomi dai quali riconoscere l'amore quando
esso irromperà nella tua vita.. Beh, guarda: purtroppo per te (ma per fortuna
degl'Innamoràti!) l'Amore non funziona come un orologio a cucù – sepproprio, come il
cucù in carne, ossa e piume: canta solo quando vuole lui e soltanto per chi gli va a genio.
151
(31)
• Se la risposta è “per niente”, allora sei un bugiardo; oppure uno che si è illuso di essersi
innamorato, e invece stava solamente coltivando la speranza di averlo fatto. Nessun
essere umano è mai partito con una Consapevolezza così grande da non essersi mai
ritrovato psicologicamente “gambe all'aria” con l'arrivo del primo Amore.
La verità, e mi permetto di chiamarla così solo poiché tu intimamente già la riconosci
come tale, è che quell'analisi è fredda, glaciale, tremendamente Mentale, e
conseguentemente del tutto insensibile. Non è “sbagliata”, ma paurosamente riduttiva.
Questo, disturba: che tagli fuori tutto ciò che di bello vi è nell'Amore. Mi riferisco alla pace
sorprendente, alla celestiale eccitazione, alla sconfitta di ogni paura, al prodigio di
quell'energia travolgente che non conosce ostacoli.. In una parola, tutto ciò che non è
definibile a parole – poichè il linguaggio umano, e non lo si può mai ribadire a sufficienza, è
uno strumento prettamente mentale. (Ciò che rende grande la poesia è precisamente la
capacità di trascendere i concetti che esprime a parole, sino a giungere a rivelare i
sentimenti.)
Torniamo al consapere: esso implica una intima consapevolezza della globalità
d'informazione; un qualche cosa che include, oltre alla conoscenza in sé e per sé (cioè
tutte quelle cose che possono essere tranquillamente espresse a parole), la totale
padronanza di quel particolare dato. Padronanza che si acquisisce poco a poco durante
la fase di ricerca. Padronanza che pertanto non può essere trasmessa, ma che va
necessariamente riscoperta autonomamente.
Semplificando con un esempio, la differenza tra sapere e consapere è la stessa che passa
tra il possesso di un kit “Fai-da-te la tua bomba atomica” e il bagaglio di esperienza (sia
scientifica che etica) posseduto da un Enrico Fermi. Col kit, qualsiasi cretino potrebbe
causare danni smisuràti, dal momento che sa come costruire un ordigno nucleare. Ma
unicamente chi non ignora la reale portata delle conseguenze a lungo termine delle
radiazioni, possiede la padronanza per operare realmente con ciò che con-sa.
Il sapere è consapere insipido. Anche un idiota può evocare demoni, ma solo uno
sciamano sa come controllarli: consapere = 1% di sapere + 99% di Responsabilità (ovvero
la sommatoria di tutte le sfaccettature etiche, ontologiche e gnoseologiche relative all'1%).
Non a caso, per un occidentale medio, un maestro che sa e si rifiuta di dire ciò che sa è
uno stronzo; mentre, per un orientale, un autentico saggio. (La tentazione di citare
nuovamente Lao-Tzu è grande, ma resisterò.) Sì, perché un vero maestro ti dice se è giusto,
ma mai che cosa è giusto. Fintantochè sai, egli tace o addirittura nega; quando finalmente
con-sai, ti dà una pacca sulla spalla e ti dice “Okay.”.
Insomma, una gran rottura di palle.
Nel frattempo la lunga notte della prima “conversazione” fra me e il nostro ospite
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(31)
paranormale stava volgendo al termine: indovinavo infatti, in quel corpo altrimenti
impassibile, un qualche cosa che indicava a chiare lettere un diffuso senso di affaticamento.
Che si trattasse di empatia o che semplicemente fossi io a proiettare su di lui la mia stessa
sensazione di stanchezza, ci avevo azzeccato.
«Un'ultima cosa, prima di salutarci: Angelo ha scelto per te il nome “Gino”. Dare un
nome è una importante consuetudine umana – di più: in casi come questo, un onore. A te va
bene, se ti chiamiamo così: “Gino”?»
Rispose un OK stentoreo con la sufficienza di chi si adegua a un gioco infantile, o forse
con l'autoironia di chi si sentiva affibbiare un nome.. del cazzo. Dopodichè mi intimò di
riporre l'atlante al suo posto.
«Non posso farlo dopo?»: non capivo infatti che fretta ci fosse.
Ripetè il gesto, conferendogli maggior autorità.
«Okay, okay..», brontolai, ma obbedii. «Dovrei proprio farti scambiare due paroline con
Angelo, un giorno di questi, sai? Proprio lui, che mi rinfaccia la fisima dell'ordine:
riavvolgere i nastri, riporre via i lib..»
Un libriccino occupava il posto assegnato all'atlante.
«Ma..! Ma..! Prima non c'era!»
Gino aprì il palmo della mano come a voler rimarcare l'ennesima ovvietà che mi era
scivolata fuori dalla bocca. Poi indicò il libro, e quindi me.
«È per me?!», domandai incredulo.
OK.
«“Le petit Nicolas et les copains”.»
Col dito tracciò una specie di X sul materasso, poi lo puntò su di me.
«Ics? Ah no, aspe: ho capito. È un “per”: significa che è per me.»
OVVIO. (Ma forse quella volta il palmo disteso stava a significare “È un regalo”.)
«Quale pagina?»
Era la 17, “guardacaso”, ma l'avrei dovuto scoprire da solo, leggendolo. Pertanto Gino si
limitò a rispondere NO, seguìto da un “frullare orizzontalmente l'indice per aria” che non
esitai a identificare come un POI.
«Devo leggerlo per conto mio, dopo che ci saremo salutàti.»
OK.
«E ad Angelo cosa devo dire?»
NO.
«Debbo tacergli tutto?»
NO.
«Cosa posso dirgli?»
TU. POI. PENSI.
«Ci penserò poi?»
153
(31)
CIRCA.
TU. POI. Indice davanti agli occhi: VEDI.
«Significa: “Vedrai”?»
Un accenno al CIRCA, interrotto a metà però dal sopraggiungere della stanchezza, che
glielo fa correggere in uno stentoreo OK.
TU. POI. VEDI.
IO. ..palmo disteso, pollice seminascosto dietro l'indice, un rapido movimento “a pendolo”
da destra a sinistra..
«Non significherà mica “smammare”?!»
OK.
IO. SMAMMO.
CIAO.
La stessa mano che mi aveva salutato ricadde a peso morto sul materasso, tale e quale a
un robot quando gli stacchi la spina. Angelo aprì gli occhi e si mise a suo agio seduto.
Osservò un poco intorno, con aria quasi schifata, e rapidamente passò in rassegna tutti gli
oggetti che lo circondavano – me incluso: manco fossi una specie di pupazzo gigante di
pelouche. Ma fu solamente quando si mise a scrutare il soffitto, che il sospetto che covavo
da un po' si fece realtà: era il prevedibilissimo rituale che tutto sommato mi aspettavo.
«Non me lo dire, indovino io: stai guardando le stelle!»
Distolse per un attimo lo sguardo dal “punto imprecisato aldilà delle perline sul soffitto”,
lo posò rudemente su di me con una smorfia di vago compatimento (come a dire “C'è forse
bisogno che ti risponda?”), ed infine – con leggerezza pari a una farfalla che si posa di fiore
in fiore – ruotò nuovamente il collo e sollevò il mento col naso all'insù.
«Tanto per tua informazione: tu non sei Angelo.», anticipandogli stavolta la conclusione
nella speranza di poter accorciare i tempi.
Niente da fare: mi degnava di tanta attenzione quanta tu ne dedichi abitualmente ai
mattoni di cui sono fatte le pareti di casa tua.
«Io sono Alessio, piacere. E tu chi sei?»
Tesi la mano, ma ancòra nessuna reazione.
«Senti, guarda, abbi pazienza: io sarei anche un pochino assonnato. E questa è casa mia.
E tu stai occupando il mio letto.»
Mi spaventò, voltandosi con occhi blindàti a fessura, come infastidito da una raffica di
nonsensi. Sebbene non avesse aperto bocca, quel suo sguardo tagliente significava certo
“Ma cosa cavolo vai farneticando?”.
«Ehi: sono solo umano.», risposi, facendo spallucce alla Fonzie. «Però non mi
dispiacerebbe fare la tua conoscenza. Sei in grado, di esprimerti a parole?»
Per tutta risposta, tornò a infischiarsene di me. Errore madornale:
«Sta bene. Vuoi fare il superiore? Accòmodati! Ma da un'altra parte, sono stato chiaro? Se
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(31)
io cerco il dialogo, e tu mi ignori, puoi anche alzare le tende e tornartene di filato da dove sei
venuto!»
Persisteva nella sua irritante ostentazione di altezzosa indifferenza, la qual cosa mi urtava
parecchio: era alquanto frustrante, per un ego umano, che lui ignorasse le mie parole –
oltretutto, senza neppure la punta di fastidio che avrei provato io decidendo di non prestare
ascolto al latrato di un cane.
«Ehi, cocchino!», esplosi. «Dico proprio a te, specie di “Starman” dei miei stivali. Ti
spiace restituire il corpo di cui ti sei indebitamente impossessato ad Angelo, suo legittimo
proprietario nonché amico mio?»
Con mia gran sorpresa, ci volle un po' ma alla fine funzionò:
«Ehi.»
Io me ne stavo lì – fischiettando, girandomi i pollici – nell'attesa che..
«Lorsignori han finito di sbrigare le loro formalità burocratiche, beata Eva??», protestai
volgendo gli occhi al cielo.
Pareva proprio di sì, tant'è che per tutta risposta ottenni l'ennesimo:
«Ti sei impazzito?»: Angelo, senza dubbio alcuno.
«Direi che questa scena l'abbiamo già girata.», sbottai. Dopodichè, a ulteriore riconferma,
mi toccò ripetere ad nauseam il muro-contro-muro già intavolàto la volta precedente – ma
che a te, mio carissimo lettore, ho la bontà di risparmiare. Fino al punto in cui, uno più
esausto dell'altro, decidemmo di passare alla fase 2:
«Facciamo finta che ti credo. Ma perché io? Perché? Perché queste cose devono
succedere proprio a me?»
Tale e quale all'incredulo protagonista del già citato film “Highlander”, al punto che la
tentazione di rispondergli citando le parole di Ramirez fu fortissima – ma la vinsi,
considerato che, più che di “una specie di magia”, la nostra la si sarebbe detta “una specie
di presa per i fondelli”.
«E perché parla con te? E non con me?»
«Non sono in grado di rispondere a nessuna di queste due domande. Forse saprò essere
meno impreciso dopo aver letto il libro che mi ha lasciato da leggere.»
«Quale libro?»
«Questo qui, che sta sopra il.. che fine ha fatto?! Eppure l'avevo messo qui.. Ma.. dai!
L'hai per caso spostato tu?»
Domanda inutile: glielo si leggeva negli occhi, che non ne sapeva niente. E allora mi alzai,
per passare in rassegna tutta la scrivania:
«Era un libriccino in francese.», gli spiegavo, e intanto scartabellavo quel fiume di foglini
& foglietti che da sempre affolla la mia scrivania. «Sai, tipo quelli che si leggono per la
scuola, con le noticine a pie' pagina e il compendio di domande riassuntive a fine-capitolo..
Tu hai studiato francese: li avrai pur fatti, i còmpiti delle vacanze.. Mh, conoscendoti mi sa
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di no: copiavi anche quelli, vero? Chi era l'Alessio di turno? Era forse Arrigoni, a quei
tempi, il povero malcapitato cui chiedevi di tradurre.. a partita doppia?»
Quando mi voltai, Angelo pareva pietrificato: seduto sul letto, le braccia appoggiate sulle
gambe come gargoyle meditabondo, gli occhi fissi nel vuoto, e il volto austero ed
impassibile di una maschera funeraria che con la sola forza dello sguardo mi inchiodava
alla sedia.
TU. NO. Indice sulle labbra: PARLARE.
«Sei tu, Gino?»
OK.
«Non devo far parola del libro con Angelo?»
OK.
Pose il dito a sigillo delle labbra, poi lo spostò ad indicare sopra il televisore: accanto
all'antenna (l'unico posto dove non avevo controllato), il libro. Esattamente dove avrei
benissimo potuto averlo dimenticato io.
TU. NO. PARLARE. LIBRO.
CIAO.
Angelo si stiracchiò, e mi diede l'imbeccata (suggeritagli da Gino, in un modo alquanto
particolare che vedremo poi) per concludere quella lunga serata:
«Ne parliamo domani a colazione, OK? Adesso sono stanco. Tu no?»
«Casco dal sonno.», e confermai con uno sbadiglio.
Una volta tanto, mi fu sufficiente poggiare la testa sul guanciale per sprofondare in un
limbo silenzioso e accogliente, dove il tempo cessa di esistere e il mondo è una bugia che si
dimentica così in fretta – finchè ben presto non ne rimangono che sordi echi lontani,
riverberi attutiti come rumori nell'acqua..
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E nt r a n d o nel centro abitato, m i m e s col a i a l l a fol l a d el m erc ato d el pa e s e: ve stito i n m a nier a
p over a co m'ero, m olto più m o d e st a d el l a m a g gior p a r te d el le a lt re p er s on e, non ebbi
d ifficolt à a p a s s a re p er u n vi a n d a nte. Trovavo l a co s a a lqu a nto d iver tente, e c iò oltretut to
m i for niva u n pu nto d i o s s er va z ion e privi legi ato, s en z a che n e s su n o b ad a s s e a m e.
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D 'u n t r at to ven ni colpito d a u n a z a ffat a i n ebr i a nte: i l profu m o d i p a n e e fo c ac c i a che
e m a n ava d a quel for n o va leva gi à d i p er s è i l d i st u rb o d i i n c a r n a r si. C on stata re qu a nt a
p a s sione e d ed i zion e i l for n a io m et teva nel suo l avoro, a ncòr a d i più.
“Per for t u n a i s en s or i e mp atic i e i l r a d a r pro s si m et r ico non h a nno subìto a lter a z ion i.”,
con stat a i.
E r a u n vero pi acere s enti re qu a nto ent u si a s m o gl i su s c itava c iò che st ava facen d o, qu a nto
a m ore m et teva nel fa re i l p a ne.
Pu r t ropp o l 'id i l l io fu i nter rotto d a l p a s s a g gio d i due s old ati, ve stìti supp ergiù co m e u n
cent u r ione ro m a n o – p erò con u n el m o o giva le con u n bi z z a r ro p o m el l i no su l l a s o m m it à, e
a lte l a n ce d a l l a pu nta a l lu n gat a . M egl io non d a re nel l 'o c chio: chi s s à ch e n on ave s s ero
qu a lco s a cont ro gl i “st r ac c ioni gi r a m on d o” co m e m e.. (heh e, ch e p en siero e si l a r a nte!)
A p er icolo s c a mp ato, d o m a n d a i a u n p a s s a nte d ove fo s s e sit u ato i l te mpio. D a l m o m ento
che n on p a rlavo l a loro l i n gu a, m i l i m it avo a mu overe le l abbr a m ent re co mu nic avo
telep atic a m ente: è u n vec ch io tr uc co, m a fu n z ion a s e mpre.. (Sp ec ie s e h a i l'a c cor te z z a d i
b orb ot t a re qu a lco s a a b a s s a vo ce, co sì d a non d a re nel l 'o c chio c a s o m a i p a s s a s s e qu a lcu n o l ì
vici n o – ch e giu sta m ente s'i n s o sp et ti r ebb e, a ved er ti muovere le l abbr a s en z a profer i re suon o
a lcu n o.)
E nel fr at te mp o d a l le r i sp o ste verb a l i ch e r icevevo co m i n c i avo a i mp a r a re l a loro l i n gu a .
Giu nto a p a l a z zo chie si ud ien z a col s o m m o s acerd ote, m a le gu a rd ie n on ne voleva n o s ap ere
d i d a r ret t a a u n o st r ac c ione, e a nu l l a er a va l s o pre s enta r m i co m e u n s apiente proveniente
d a ter re lont a n e ch e er a stato d er ub ato d i tut ti i suoi aver i d a i pred oni d el d e s er to. Co sì m i
to c cò fa re gl i st upid i gio ch et ti d i pre sti gio che i mpre s sion a n o s e mpre i m ente c at ti co m e
loro:
« Vi d a rò d i m o st r a z ion e d ei m iei p oter i, a l lor a. D ietro a l p or ton e, c i s on o a lt re due
gu a rd ie.»
« B el l a s cop er t a . »
« Sì, m a p er l a prec i sione u n a si tr ova l ì – e l 'a lt r a, l à. » , i nd ic a nd ol i at t r aver s o i mu r i.
« I nolt re le r i m a nenti gu a rd ie s on o co sì d i slo c ate: ... » , e fe c i s egu i re l a “r ad io gr a fi a”
e s at t a d ei loro effet tivi at tu a l m ente i n s er vi z io a p a l a z zo.
S c a nd a gl i a nd o a que sto m o d o, r i ntr ac c i a i pu re l a p er s on a d i cu i avevo bi s o gn o: d a i m i ni m i
m ov i m enti ch e faceva, er a pre su m ibi le fo s s e s eduto a u na s c r iva ni a o co mu nque i ntento ad
at tività i ntel let t u a le tip o leg ger e o s c r ivere; e d a l l a s erenità ch e a lb er g ava nel suo cuore,
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(32)
a s sie m e a s enti m enti elevati, er a le c ito d edu r re ch e si t r at t a s s e qu a nto m en o d i u n a lto
d i gnita r io.
« L a p er s on a ch e d e sid ero i ncont r a re si t rova l a s sù . » , i nd ic a nd o l a fi n e st r a d el p a l a z zo
d iet ro a l l a qu a le p ercepivo i l “s a g gio”.
« I l s o m m o s acerd ote?! M a tu s ei p a z zo, o i nd ovi n o! » , m i d er i s e u n o d i loro – ch e p erò s e
non a lt ro ad e s s o m i r icon o s ceva i l r a n go d i m a go.
« A que st'or a d e sid er a non e s s er e d i st u rb ato » , a ggiu n s e i l suo co mp a re, « e n on s a rò cer to io
a pren d er m i l a resp on s abi l it à d i..»
« O m i c i p or ti t u, o c i vad o io ste s s o. » , lo i nter r uppi, e fe c i u n b a l zo i n a lto d a fer m o che
non l a s c i ava dubbi su l l a m i a effet tiva c ap ac ità d i s a lt a re su l b a lcone d el S om m o.
E r a d av vero s e c c a nte, d over r icor rere a quei nu m er i d a s a lti mb a n co. C on tutto ch e
av rebb ero p otuto i nter pret a re m a le quel ge sto e quel le p a role, qu a n d o i nve ce non er a cer to
m i a i nten z ione i nva d ere n e s su n o. D e sid er avo s olo fa rgl i c api re che, s e chied evo i l p er m e s s o
d i fa re qu a lco s a che av rei p otuto m et tere i n at to i nd ip end ente m ente d a l loro a iuto, n on
p otevo che e s s er e a ni m ato d a buone i nten zioni.
Non s aprò m a i s e ce l'avevo fatt a a convi n cerl i, p erchè fu m m o i nter rot ti propr io d a l
S om m o S acerd ote i n p er s on a – ch e evid ente m ente aveva vi sto i l m io “nu m ero” e s'er a
a ffac c i ato a l l a fi ne st r a. O c c a sion e d'oro: m'i nchi na i e, gu a rd a n d olo d r it to negl i o c chi p er
m o st r a re ri sp et to m a pu re d i gnità, gl i d o m a n d a i ud ien z a telep atic a m ente. E st avolt a s en z a
muovere le l abbr a n è e m et tere suon o a lcu n o. Pre su m evo i nfat ti ch e u n a p er s ona d el suo
r a n go fo s s e av ve z z a a co s e d el genere, s e n on add i rit tu r a i n gr a d o d i ri sp on d er m i nel l a ste s s a
m a nier a.
I nvece a qu a nto p a re i l suo add e st r a m ento n on conte mplava l a telep ati a, t a nto che
i ni z i a l m ente n e r i m a s e s c o s s o. E te p a reva: avevo fatto u na g a ffe, co sì pront a m ente m e ne
s cu s a i:
« D o m a n d o veni a, e c cel len z a. » : a n còr a telep atic a m ente m a si mu l a n d o convi ncente m ente d i
p a rl a re, nel m o d o ch e gi à s appi a m o. « Non er a m i a i nten z ion e tu rb a rl a: s olt a nto
qu a l i fic a r m i p er c iò ch e s on o. E rend erle co mpren sibi le che s e m i p er m et to d'i n co m o d a rl a h o
i mp or ta nti ed u rgenti r a gioni p er fa rlo. Ch ied o ud ien z a.»
A ncòr a u n p o' s co mbu s sol ato, m a for s e d ov rei d i re sp aventato d i m e, fece cenn o a l le
gu a rd ie d i l a s c i a r m i p a s s a r e. Que ste apr i ron o i l c a ncel lo, gu a rd a n d o m i d a l b a s s o i n a lto
co m e c a ni b a ston àti, e con fi n t ropp o s er vi l i s m o m i l a s c i a ron o p a s s a r e:
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« Per d i qu a, i l lu st r i s si m o: s e mpr e d r itto, p oi le s c a le a si ni.. »
« Con o s co l a st r a d a, gr a z ie. »
Ci avevo pre s o: l a st a n z a i n cu i si t rovava i l S o m m o S acerd ote er a l a bibl iote c a d i p a l a z zo.
E lu i aveva l a s a n a abitud i ne d i rec a r vic i si o gni s er a p er con su lt a re i te sti a ntichi: d appr i m a,
p er suo giova m ento p er s on a le; negl i u lti m i gior ni, p erò, a l l a r icerc a d i u n a ri sp o st a a l l a
d o m a n d a che tut ti si p oneva n o.
« Non s m et ter à. » , e sord i i.
« Non s m et ter à co s a? »
« D i piovere. » , d a n d o u lter ior m ente c r ed ito a l l a qu a l i fic a d i i nd ovi n o ch e m i er a stat a
at t ribu ita . « Pu r tropp o ac c a d r à pu re d i p eg gio, e t r a p o chi gior ni app ena: u n c at ac l i s m a
m olto gr ave.»
« A l lor a qu a nto n a r r a no le leggen d e.. »
« ..n on è s olo leggen d a. D i s gr a z i at a m ente n o. »
« M a t u chi s ei? Co m e s a i que ste co s e? E co m e p o s s o io fid a r m i d i te? »
Per tut t a r i sp o st a, br a nd i i i l pu gn a le ta gl i ac a r te ch e st ava su l l a s c r iva ni a e m i i nc i si i l
p olp ac c io, l a s c i a n d o e ster refatto i l S om m o S acerd ote. C h e non aveva a ncòr a fatto i n te mp o a
t r a nqu i l l i z z a r si, d op o aver c apito ch e non i ntend evo rivol ger e l 'a r m a contro d i lu i, ch e gi à
lo s convol geva tutto quel s a n gue m a s opr at tut to i l ..
« Bj a. » , a ffer m a i, i nd ic a n d o i l m ater i a le d i cu i er a fatto l'en d o s chelet ro d el cyb org. E
i nvit a n d olo a to c c a rlo.
« M a t u s a n gu i ni, m io si gnore! » , d i s s e, pro st r a n d o m i si d ava nti.
I nfat ti, co m e s c opri i i n u n s e con d o m o m ento, le leggen d e d egl i a ntichi d i cu i lu i er a
profond o con o s c itore p a rlava n o d el bj a d efi nen d olo “le o s s a d egl i d ei”, e co m e t a le egl i m i
aveva appu nto i nqu ad r ato.
« Fa rò chi a m a r e i l m io m ed ico p er s on a le, col t uo p er m e s s o. »
« S ei genti le, m a n on o c cor re: cu rerò m e ste s s o i n p o chi i st a nti. Tu pr i m a p erò ch i a m a i l
re, e le p er s one cu i d e sid er i ch e l a m i a ver a id entit à si a not a fuor d i o gni dubbio: ch e
a nch'e s si ved a no e to c chi n o i l bj a, e a s si st a n o pu re a l l a gu a r i gion e. Poichè non con ced erò
a ltr e prove: non s on o venuto p er d a re sp et t acolo, m a p er a iuta rvi ad a ffronta re i l p ericolo
che i nco mb e.»
« Nat u r a l m ente, m io si gnore. »
« Ah, e u n'a lt r a co s a: b a st a r iveren z e. E s opr at tut to tì rati su: qu i i l S om m o s ei t u, m ic a
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io. » , e gl i s or r i si a m ich evol m ente.
« L a tu a m a gn a n i m it à è p a r i s olta nto a l l a t u a gr a nd e z z a, m io si gnore. Io non s on o nu l l a,
i nna n zi a te. » , m or m orò i l ve c chio a l z a n d o si .
« Ehi: niente s m a n cer ie, s'è d et to, ok ay? Io n on s on o d io. Puoi pre s ent a r m i a su a m ae st à
co m e u n S apiente proveniente d a u n a ter r a m olto lont a n a.»
« Un m e s s o d i D io? »
« S olt a nto s e propr io n on puoi fa r n e a m en o. A lt r i m enti “s apiente d el l a Ter r a d i Pu nt”
a nd r à più che b ene.»
Riten en d o er ron ea m ente che a c au s a d el l a fer it a ch e m i ero autoi nf l it to non fo s si i n gr a d o
d i c a m m i n a re, i l S o m m o S acerd ote d ied e i n c a r ico a l suo s er vo d i r adu na re u rgente m ente i n
quel l a ste s s a st a n z a i l Re, i suoi più vic i ni con si gl ier i, e i l gen er a le d el l'e s erc ito. Us a n d o l a
telep ati a (p er fa re s cen a, m a s opr at tut to p er r i sp a r m i a re te mp o) spieg a i loro qu a nto avevo gi à
d et to a l S o m m o S acerd ote, d op o d ichè d ied i a tut ti qu a nti l a “gr a n d e prova” d el l a gu a r i gion e
i st a nta n ea.
A n z ichè s cor tic a r m i s ot to i l s ole d el d e s er to, i nfat ti, avevo più-o-m en o-co m o d a m ente
m a rc i ato s ot to l a pio g gi a, p er cu i d i sp onevo d i su ffic iente biopl a s m a p er r i gen er a re l 'i ntero
p olp ac c io. Pro cedu r a nor m a l m ente auto m atic a i n c a s o d i d a nn o, m a quel l a volt a l'avevo
i nten zion a l m ente pro c r a sti nat a a l fi ne d i conqu i st a r m i l a platea.
Vi er a u n che d i d e m en z i a le i n tut to c iò, tut tavi a re c it a i fi no i n fon d o l a m i a p a r te d i
gr a n d e m a go, e con l 'a lte z zo sità ch e i l m io pubbl ico si a sp et tava d a m e: p a s s a i l a m a n o
s opr a l a p a r te s c a r n ific at a, e con u n ge sto pregno qu a nto a s s oluta m ente i nuti le at tiva i le
na n o m ac chi n e ch e pr i m a avevo m e s s o i n st a nd by.
Un coro d i “o o oh” ac co mp a gnò i l r ichiud er si i sta nta neo d el l a fer it a che, co m e u n c a nyon
i n fon d o a l qu a le br i l l ava i l “d ivi no” bj a, si r i m a rgi nò a p a r ti re d a l l' “o s s o” co m e s e u n a
zip i nvi sibi le ave s s e r iu nito i due le mbi d i c a r ne viva.
L a p a r te più d iffic i le fu quel l a che venn e d op o: i n si steva n o a s s oluti s si m a m ente p er
ad or a r m i, l a qu a l co s a m i tor nava ter ribi l m ente i mb a r a z z a nte: er a l 'i nevitabi le m a s e c c a nte
effetto s e con d a r io d el “nu m ero” ch e m i aveva m e s s o i n con d i z ion e d i svol gere i l m io
co mpito, p oten d o d i sp or re d el l a loro più tot a le e i n cond i zionat a col l ab or a z ion e.
“M egl io co sì”, p en s a i, “p erchè s e ave s si d ov uto loro spiega r e co m e fac c io io a s ap ere
d el l'i m m i n ente d i luvio, av rei d ov uto pr i m a for ni r loro su ffic ienti n o zioni d i geolo gi a ed
a st rofi sic a. C 1 4 3 C on sid er ato lo stato te c nolo gic a m ente a r ret r ato i n cu i a n còr a si t rova n o..”
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(32)
A lt ro fatto i nspieg a bi le, gi à. Sp e c ie con sid er ato lo st uolo d i fior-fior d i s c ien zi ati a l
s è gu ito d i m io fr atel lo. S co mp a r si pu re loro.
33
C
i alzammo assai prima del previsto – tanto che alle 8 eravamo già fuori casa, alla
volta del bar-pasticceria prescelto da Angelo.
«Magari lo incrociamo mentre va a prendere il treno..», buttai lì.
«Chi?»
«Come “chi”? Alessandro!»
«Ah già, hai ragione.. Abita da queste parti, non è vero?»
«Proprio davanti a quel prefabbricato che si intravede là dietro.»
Gino ci aveva calcato un po' troppo la mano: Angelo era ancòra sullo stravolto. Parlava
con un tono impersonale, quasi distrattamente.. tipo come faccio io quando mi si annoia
con discorsi futili inerenti sport o politica.
Ordinate brioches & cappuccini, prendemmo posto ad un tavolo di legno – e, fatto più
unico che raro, ad Angelo si sciolse la lingua:
«Stanotte ho fatto un sogno che mi ha dato da pensare.»
E lo diceva che suonava come il “c'era una volta” che apre tutte le fiabe: un espediente
retorico per raccontarmi qualcosa. Non che ne avessi bisogno, dal momento che giàssò che
le rare volte in cui Angelo si decide a parlare è un'esperienza istruttiva starlo da ascoltare:
«Prendi un puntino in mezzo al mare. Diciamo.. un puntino bianco che galleggia su un
oceano nero.»
Azzannai la brioche emettendo il primo e unico “a-ha?” di sincero interessamento della
mia vita.
«Immagina che il puntino si muova. Non importa in quale direzione, tanto nel nostro caso
l'oceano è infinito. Ci sei? Riesci a visualizzarlo?»
La risposta avrebbe dovuto essere un sì, ma considerando la rapidità con la quale in quei
giorni la parola “certezza” andava mutando di significato nel mio vocabolario, mi riservai
l'opzione di un sano dubbio. Cioè: visualizzarlo, lo visualizzavo – ma poi che cosa si
intendeva, esattamente, con “visualizzare”? Poteva darsi che non lo facessi secondo le
dovute modalità, troppo pochi dettagli a scàpito del realismo finale, oppure anche..
«Credo di sì.», risposi.
161
(33)
«Bene. Ora immagina che il puntino affondi poco a poco, fino a scomparire del tutto. Tu
però intanto continui a muoverti nell'oceano, anche quando il puntino si è completamente
dissolto.»
Quelle poche parole mi avevano colpito in profondità. Si trattava di una favoletta zen
intessuta su-misura per me; l'accendersi della miccia di una bomba che sarebbe esplosa nel
futuro, ma della quale già intuivo la sorprendente potenza di deflagrazione.
Così me ne ristetti silenziosamente lì, col mio boccone in bocca, senza neanche deglutire,
per un lunghissimo istante di sconvolgimento pineale: come un tronco, con quella sua aria
titubante all'idea di rovinare al suolo dopo che gli hai assestato l'ultimo, decisivo colpo
d'accetta.
Sta di fatto che mi ci vollero anni per anche solo cominciare a venirne a capo. Mica come
te, che pure in questo caso ti faccio trovare sempre la pappa pronta:
Immagina un puntino bianco, con intorno a sé un infinito mare nero.
Immagina che il puntino cominci a muoversi nell'infinito.
Continua così fino a quando perderai di vista il puntino.
E proseguirai a muoverti nel mare infinito.
OVVERO…
Immagina te-stesso, egocentrico mentre ti “guardi intorno”.
Immagina te-stesso, che cominci a muoverti: da te-stesso verso l'infinito.
Continua così (dal te-razionale al te-sentimentale al te-“spirituale” a..?),
fino a quando sfocerai nel Tutto e comincerai ad esistere dilagando in esso.
Domanda: dove sto andando?
Risposta: da tutte le parti e da nessuna parte.
Mi diffondo – come se il puntino bianco diventasse vieppiù trasparente.
Io, invece, qualcuno che si occupasse di rispondere alle mie, di domande, me lo potevo
solo sognare!
Venni preso in parola alla lettera quello stesso pomeriggio, mentre tentavo di recuperare
almeno un poco del sonno arretrato..
St r a no, non è d a m e u s a re p enna d'o c a e c a l a m a io. Per non p a rl a re d i que sto s c r it toio i n
legn o m a s sic c io.. Vabb è, “d i ne ce s sità vi r tù”, e sp er i a m o ch e vi si a i n ch io st ro a
su ffic ien z a.
Se e' vero che
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M a che r a z z a d i c a l l i gr a fi a..? B oh, l 'i mp or ta nte è che si a leg gibi le – p er i l re sto..
Se e' vero che le nostre strade sono parallele
e non ci incontreremo mai,
prego siano abbastanza vicine
da permettermi di starti sempre accanto.
Trascorrero' ciascun attimo del mio esistere
carezzandoti con lo sguardo
- perche' lo sai: io appartengo ai tuoi sorrisi.
Cosa potrei mai chiedere di piu'?
Svegliarmi, la mattina con te.
Svegliarmi, senza domandarmi piu' perche'.
Svegliarmi, gli occhi tuoi bambini.
Svegliarmi, io e te ancora stretti vicini.
Svegliarmi, e carezzarti i capelli.
Svegliarmi, e riscoprirci gemelli.
Svegliarmi, e..
Non svegliarmi: E' solo un sogno.
«Eccomi a te.»
« Ah, e c co, m i p a reva b en e, d i st a r s o gn a n d o! B eh, b ena r rivato. D i m m i: può l'A m or e n on
e s s ere cor r i sp o sto, nel tuo m on d o?»
«No. E nemmeno nel tuo, Naturalmente.»
« E a l lor a p erchè io muoio d'A m ore? »
«Un'anima non può morire. Può solo soffrire.»
« Spièg a m i che s en s o può m a i avere, u n a vit a pr iva d i A m ore! A che m i va le, ti r a re a
c a mp a re p er svi lupp a re l 'i ntel let to, qu a nd o e s s o p er i r à con que sto m io cor p o? S olo l 'A m ore
l a s c i a u n'i mpront a nel lo spi r ito, e s olo lo spi rito t r ava l ic a i l Te mp o.»
«Ciò che ti rimane ancòra da comprendere è che Amore non è scegliere,
bensì accogliere. Non cercare, ma essere trovàti: al pari di una principessa
che aspetta nella sua Torre d'Avorio, coltivando la Fede nella venuta del
suo principe azzurro; o come una cellula-uovo, il gamete femminile
inviolabile sino all'arrivo dello spermatozoo giusto.»
« Sì, m a .. “giu sto” co m e? »
«Domanda insensata: l'Amore non parla il linguaggio della mente.
L'Amore ti potrebbe solo rispondere: “L'ho riconosciuto quando ho
scoperto che era lui. Non avevo la benchè minima idea di chi fosse, ma l'ho
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(33)
sempre saputo.” In presenza di vero Amore, niente e nessuno può scalfire
quell'unione, né intromettercisi: Chi è fuori è fuori – e non vale a niente
“essere arrivàti prima”, quando non si è quello giusto.»
« M i st a i d icend o d i d i m entic a re A l e s s a n d ro.. »
«Ti sto dicendo che, aperta la porta, la chiave perde di significato. Le
forme dell'Amore possono mutare: così Alessandro, che pure ti amava in
un'altra vita, in questa potrebbe non amarti più. O, per meglio dire, non
ricorda di amarti – ma soltanto il suo corpo (e la sua mente, che del corpo
è appunto parte integrante). Ma il suo spirito sì, e te ne sei già avveduto. Né
potrebbe essere altrimenti, poichè l'Amore è Eterno. È dunque più saggio
identificarsi nell'Amore: quando tu sei l'Amore, che importa da quale forma
ricevi te stesso? In un'altra vita, chi ti ama non ti amava. In una prossima
reincarnazione, potrà non ricordarsi nemmeno, di te, e del vostro amore. In
questa stessa vita, potreste finire col separarvi. FORME. Sono tutte forme
dell'Amore, che ama sé attraverso voi.»
« Eppu re io A l e s s a n d ro lo ved o ov u nque. L o r icon o s co i n o gni co s a. »
«È quantomai logico: lui è in te, e l'Amore è in ogni cosa del Tutto. Gli
occhi si limitano a restituire un'immagine visibile dell'Amore secondo il
simbolo che tu hai scelto per esso.»
« E c io è A le s s a n d ro non è Iòio, l a m i a a ni m a ge m el l a ? »
«Ogni anima o nessuna, è la tua anima gemella. “Iòio”: ti sei mai chiesto
cosa significa? Su Antares (dove sei Ospite Sacro), e nel suo più recente
avamposto terrestre Atlantide, significa pressappoco “Gateway to Love”,
“Passaggio aperto sull'Amore”.. ma tu stesso puoi avvertire il disagio che
mi comporta semplificare un così Alto, Puro, Nobile concetto,
sacrificandolo entro gli angusti confini del linguaggio degli uomini.
Dunque cerca di Intuire, nella misura in cui ti è ancòra possibile, cioè.
Infatti rendendoti umano, tu (che pure sei la quintessenza dell'Intùito) hai
dovuto amputarti questa facoltà pur di acquistare quella del pensare
razionalmente.»
« Ch e co s a t r i ste e st upid a, b a r at ta r e l 'oro con lo sterco! »
«Tuttavia per vivere in una stalla il secondo può paradossalmente
rivelarsi più utile del primo. Faceva parte del prezzo da pagare per
assimilare a questo mondo la tua Natura. (Limitatamente a questo aspetto,
la Natura Mentale di Angelo l'ha fatto partire avvantaggiato: lui il suo
prezzo lo pagherà più avanti.)»
« D ov rei du nque A m a r e l'A m or e ed a stener m i d a l r icerc a re u n co mp a gn o? D u nque i l nonat t ac c a m ento a gl i o gget ti d ei s en si, l 'a s ceti s m o d ei m on ac i budd hi sti, è d av vero l 'u nic a
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vi a?»
«Hahaha! Certo che no!! “Non-attaccamento agli oggetti dei sensi” non
significa nient'affatto astenersene, ma interagire liberamente con essi senza
però mai arrivare a sentirne il bisogno. Sii un angelo di teflon antiaderente! La Suprema Verità che ti è sempre sfuggita tra le dita è che il
bisogno d'Amore è deleterio quanto invece l'Amore è Nobile e Sublime.
Amare è divino, quando il bisogno non incatena – e così per ogni altra
cosa, in modo particolare per i valori più grandi: Amicizia, Compassione,
Fiducia.. Chiunque direbbe sbagliato essere schiavi del bisogno sessuale,
ma solo in pochi capirebbero l'autentico significato di un “Ti Amo così
tanto che non ho alcun bisogno di te”.»
« D u nque i l ro m a ntic i s m o che c i viene i ncu lc ato fi n d a l l a pr i m a i nfa n z i a n on è a lt ro che
u n m o d el lo sb a gl i ato, u n a p er icolo s a bu gi a? E le p ene d'A m ore, u n o ster i le at to d i
m a s o chi s m o?»
«Se appena ci rifletti, ti rendi conto che ogni malinconia d'amore portata
alle sue estreme conseguenze si rivela da sola per ciò che è: null'altro che
una perniciosa forma di tossicodipendenza. Ti fa sentire un eroe nel tuo
soffrire, ma mentre gratifica l'ego fa appassire l'anima. L'Amore, ricordalo
sempre, è un dono: un qualcosa di più, un che di energizzante. Il bisogno
d'Amore, invece, è un vampiro di energie.»
« Vo gl i a d'A m ore: gr a n co s a. Bi s o gn o d'A m ore: c l a m oro s o er rore. È e s at to? »
«Sì. ancòra meglio sarebbe: “ho fame d'Amore, eppure sono in grado di
autosostentarmi per il tempo in cui ciò sarà necessario”. Tutti hanno Diritto
all'Amore, ma solo in pochi sanno Meritarselo.»
« E ch e m i d ic i d el l a m i a i nc ap ac ità d i con c i l i a re l'A m or e a l s e s s o? »
«È diretta conseguenza dell'errore di voler separare il corpo dallo spirito.
Il sesso altro non è che il modo che il corpo ha per esprimere Amore. Ad
ogni modo non hai nulla da temere: osserva!»
« Ch e co s'è? »
«Uno stralcio di una pagina del tuo diario. La scriverai un 3 Febbraio del
tuo futuro.»
Anche questo mi piace, fra noi: abbiamo fame l'uno
dell'altro, e ci saziamo di noi con la libertà di chi non
fa più differenza tra “il mio corpo e il suo” – io tocco
lui come tocco me stesso, e lui fa altrettanto con me.
È bello, poter vivere qualche giorno dedicando tutto il
proprio tempo all'Amore: fare l'Amore, sentire l'Amore,
riconoscere Amore nella musica, nelle pagine di un diario,
nelle pieghe dei cuscini, nelle foto, nei ricordi.. un
dolce cullarsi fuori del mondo, pur restando saldamente a
165
(33)
terra.
« Su l s er io que ste co s e le av rei s c r it te io? »
«Le scriverà il te-stesso del futuro, che includerà il te del presente ma..»
« ..m a non io lu i: c apito. C er to p erò ch e a p ens a rc i è p a z z e s co! (Vabb è, d i ch e m i st upi s co?
D op otutto sto s o gna nd o, e n ei s o gni o gni co s a è p o s sibi le.)»
«Diciamo piuttosto che in quelli che tu definisci “sogni” si riequilibra la
normalità: tutto è possibile, punto.»
« S e mpre e ov u nque? »
«Detto così, no. Ma per quel che intendevi esprimere tu, certamente sì.
Quando dici “sempre” ti stai auto-limitando nel tempo, e “ovunque” ti
circoscrive entro lo spazio: uno dei tanti trucchi della mente umana. (Lo si
capisce dal nome stesso, che t'inganna: mente!) Una migliore
approssimazione del tuo pensiero sarebbe stata: “Accade anche aldilà
delle circostanze spaziotemporali in cui sono temporaneamente
necessitato a sottostare?”. Risposta: sì – poiché, per quanto strano ti possa
sembrare dal tuo punto di vista, è semmai lo spaziotempo a rappresentare
un'eccezione, non la sua assenza. “Viaggiare attraverso il tempo”, “il dono
dell'ubiquità”.. che c'è di strano? È anzi meno difficile che circoscriversi in
un unico dato luogo, in un unico tempo, piuttosto che essere (com'è
naturale) ovunque e in qualsiasi tempo.»
« Vuoi d i re “a ld i l à d el lo Sp a z io e a ld i l à d el Te mp o”. »
«Vedo che impari in fretta, eh?»
« Ta lvolt a provo fa stid io nel p o s s ed ere u n a m ente p en s a nte, e l a co s a m i sp avent a . »
«Spaventa solo la tua mente, che già si vede licenziata in tronco. Tu
spiegale che si tratta piuttosto di una vacanza-premio, e che pertanto non
ha nulla da temere.»
« Ci s on o m o m enti i n cu i vor rei e s s ere co m e gl i a gh i d i pi n o che ved o br i l l a re s ot to i l s ole
e d a n z a re a l vento. L oro sì, ch e s on o “ l ì” , io n o: io non s on o m a i “ qu i e or a” , m a
sb a l lot tol ato ava nti e i nd iet ro nel te mp o d a quei p etu l a nti d ei m iei p en sier i, co m e u n
s a s s ol i no i ner m e che rotol a su l b a gna s c iu g a . Nel p a s s ato, nel futu ro.. ov u nque, m a qu a si
m a i nel pre s ente!»
«Essertene reso conto è il primo passo per superare quest'asservimento.
Dopotutto, per stabilire che si tratta di un miraggio, devi prima arrivare fin
lì e tendere la mano per toccarlo.»
« I l con cet to d i te mp o chi a m ato “a d e s s o” è quel lo che pred i l i go: u n u nico, lu n go,
s gu a i ati s si m o sb ad i gl io; l ib ero, l ib er ator io, m a s opr at tut to b eat a m ente pre s ente .
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E ste mp or i z z a r m i: e c co co s a vor rei! M a non s o d a che pu nto p a r ti re. Non s o n ea n ch e co s a
si a , i l te mp o..»
«Il limite precipuo della fisica umana è quello di studiare i fenomeni come
conseguenze di un dato spaziotempo, mentre invece la fisica per-così-dire
divina vede nei fenomeni le cause a priori. Potrei rivelarti che il Tempo è il
ritmo dello Spazio, ma a che ti gioverebbe saperlo? Sei così preso dal
rincorrersi dei tuoi secondi da non guardare più nemmeno agli anni – che
dire dell'Eternità?»
« Ch e p o s s o fa re, a l lor a? »
«Riflettere. Nessuna mucca al pascolo verrà mai colpita da esaurimento
nervoso perché non trova parcheggio. E cosa vuoi che ne sappia della
maestosità di una montagna, un grattacielo? Il canto silenzioso della notte
acquieta lo spirito come nessuna pasticca di tranquillante potrebbe mai.
Sei in grado di udire il mare, nella risacca del vento tra le fronde, e poi
trarne una poesia?»
« Un a p o e si a.. Qu a lch e m a n c i at a d'acqu a pu r a ch e i l p o et a t r ae d a l l a cor rente d el fiu m e
d el l a s en s a z ione, on d e d on a rl a a l m on d o..»
«Una poesia è una canzone senz'ali. Solo tu puoi farla volare.»
« Suona co m e u n i nvito a s c r ivere c a n zoni, o sb a gl io? »
«Nulla vale..»
« ..a l l 'i nfuor i d el l 'i nter pret a z ione che s e n e d à. Ho c apito. Vor r à d i re ch e a rd erò su l l a pi r a
d el l a vita l' u nic a co s a ch e a n còr a m i re st a: l a Sp er a n z a. E s egu i rò i l m io d e sti no, si a che m i
con duc a a l l a ter r a pro m e s s a, si a che m i abb a n d oni t r a i m a ro si d i u n a plu mb ea te mp e st a.
D op otutto, vit a o m or te, a que sto pu nto, p o co i mp or t a. M a av rò navi gato, av rò p or to le m ie
vele a l vento. E s e p oi b onac c i a d ov r à e s s ere, a l m en o l a m or te non m i av r à colto a n còr ato
vi gl i ac c a m ente nel p or to. Cr i stoforo Colo mb o s a lp ò e t rovò m olto più d i quel ch e cerc ava.
Qu a nto a m e..»
«Ad un essere umano dovrei dire: “Sei un dio bambino, e il mondo è la tua
stanza dei balocchi: devi fare pratica giocando, anche assieme ad altri deibambini, ma senza aver la presunzione di volerti occupare a tutti i costi
delle 'cose da grandi'. Se sei libero? Certamente: libero per quanto ti
consente la tua giovane età. (Spirituale, s'intende!)” ..ma a te, figlio mio, dico
che quando hai un minuto fra le mani e un dito lungo mezzo anno, hai 4
minuti e 17 secondi, e ne avrai 17 e 4.»
« 17 e 4 fa 2 1: l a m i a et à at tu a le! »
«..nonché il secolo che sta per incominciare. Direi che come Sfinge me la
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(33)
cavo benino: tu che dici?»
« “Ne av r a i 17 e 4”: p er fa r n e ch e co s a? »
«Per imparare a riderci su.»
34
H
ahaha!»
«Cosa ci trovi di tanto divertente?»
«Non puoi mica dire sul serio!»
«E invece sì. Cosa ci trovi di tanto strano?»
«Tu hai preparato un questionario per Gino, e domandi a me cosa c'è di strano? Ma tu sei
pazzo!»
«Non vedo perchè: in questo modo ho sottomano tutte le domande da porgli. E non mi
tocca spremermi all'ultimo minuto, chè finisce sempre che non so mai cosa chiedergli.»
«E questi “sì” e “no” rientranti a cosa servono?»
«Ho impaginato le domande come un programma in Pascal, strutturandole a mo' di
diagramma di flusso, cosicchè..»
«Per me parli arabo: io ho fatto chimica.»
«I diagrammi di flusso fanno parte del programma dei corsi propedeutici che hai fatto al
biennio.»
«Non implica che io li abbia studiàti.»
«Ah già, che stupido: dò sempre un sacco di cose per scontate!»
«Infatti.»
«Mettiamola così, allora: per ogni domanda che pongo a Gino, ho già pronte le sottodomande – a seconda che lui mi risponda “sì” o “no”.»
«Pazzesco.»
Angelo mi restituì il foglio, e andò alla finestra a guardare il giardino:
«Chissà quanto tempo ci avrai messo, a prepararlo..»
«Mah, non saprei: forse un'ora, forse un paio.»
«Assurdo. Con tutto che non siamo neanche certi che ritorni, stasera.»
«Tornerà, tornerà.. Vedrai che torna.»
«Che..? Ma cosa diavolo..?!?»
«Cosa c'è, adesso?», protestai.
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«Vieni a vedere, presto! Il ramo del pino, alla fine del sentiero..»
«Ecchè, ti sei dato alla poesia zen?»
«Non parlare. Guarda.»
«“Con margarina Calvè”: sì, certo, come no..», e lo raggiunsi alla finestra.
«Sssht. Quando parli, smette.»
«Smette cosa?»
«Le foglie, no? La cascata di foglie!»
«Aaah.»
«Allora la vedi!»
Scrutai ancòra:
«Desolato: no.»
«Ma dai! Proprio dietro alle betulle: il ramo che sembra un maxi ventaglio egizio..»
«Quello nodoso e ritorto, liscio che pare 'na biscia?»
«E! Il muro di foglie..»
«Di aghi, semmai: è un pino.»
«No: foglie. Dai! Non è possibile che tu non lo veda!»
«Spiacente deluderti, ma l'unico a vederlo sei tu. Eppoi, ragiona: che senso avrebbe, una
cascata di (lati)foglie da un ramo di pino?»
«E io che cavolo ne so? Ma tu davvero non lo vedi?»
«No.»
«No cosa?»
«No che non lo vedo.»
Angelo continuava a fissare forsennatamente fuori dalla finestra, sfuocando lo sguardo,
gli occhi sbarràti simili a quelli dei ciechi. E taceva. Pure troppo, per i miei gusti:
«Cos'è 'sta faccenda, che quando io parlo..»
«Non lo so. So solo che una frazione di secondo prima che tu apra bocca per parlare, il
flusso si interrompe. Poi, come smetti, riprende.»
«E quando invece sei tu, a parlare?»
«Continua indisturbato.»
«Noti nient'altro?»
«Come sarebbe a dire, “nient'altro”?! Sono qui a dirti che c'è una cascata di foglie nel tuo
giardino, e che reagisce alle tue parole, e tu mi chiedi se c'è dell'altro?»
«Beh.. sì. C'è o non c'è?»
«Sì: c'è anche un elefante rosa col ciuffo alla Elvis!»
«Davvero?»
«Ma certo che no! Ma sei scemo?»
«No: sono serissimo. Allora, Angelo: oltre al muro di foglie, vedi niente di insolito?»
«No.», e voltò le spalle a me e alla finestra. Poi aggiunse: «E comunque ha smesso, se la
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cosa ti può interessare.»
«Ogni cosa, mi interessa.»
«Buon per te.»
Sconsolato, Angelo si sedette sul letto, comprimendosi la testa tra le mani:
«Sto impazzendo. E lui mi domanda se c'è dell'altro. Io non lo so!»
«“Non lo sai” che cosa?»
«Ma non lo so! È solamente un modo di dire, cribbio!»
«Cribbio? Interessante: pensavo che fosse rimasta solamente mia madre, a dire cribbio..»
Mi lanciò un'occhiataccia tipo Kirk a Mr.Spock, e poi si lasciò cadere di peso sopra il
letto:
«Che stanchità!»
Sprimaccicò la testa sui due cuscini, strizzò gli occhi e poi i pugni, e infine prese a
lamentarsi nel modo suo tipico: una specie di incrocio tra un guaito e un vagito: «Mmm.
Mmm. Mmm.» Pausa. «Mmm. Mmm. Mmm.».. e così via, a triplette di “Mmm”.
«Tu sfògati pure. Io devo andare in bagno.»
Non mi rispose neppure: continuò semplicemente a lamentarsi, battendo di quando in
quando i pugni sul morbido piumone invernale del letto.
Quando tornai, pareva essersi acquietato.
«Rieccomi.»
Non rispose. Avevo già capito tutto, ma onde evitarmi l'ennesima gaffe col mio amico cui
il ruolo di medium andava fin troppo stretto.. meglio sincerarsene:
«Ti sei addormentato?»
NO. E lo fece sciabolando l'indice della mano destra.
«Gino?», domandai cautamente.
OK.
«Bene: ho un sacco di domande da farti, ma per prima cosa vorrei da te una risposta.»
Pollice ed indice ad angolo retto. Poi abbassa la falange del pollice, ed alza l'avambraccio.
«Uh?! Sarebbe a dire.. “spara”?»
OK.
Ancòra allibito per questo suo “progresso”, glielo domandai chiaro e tondo:
«Non sarai mica il diavolo?»
Ad indicarmi che non solo aveva migliorato la sua padronanza del linguaggio verbale, ma
pure quella dei muscoli del volto, fu il sorrisone “alla Stanlio” che accompagnò al suo NO
– fatto sventagliando il naso: un no buffo, e non più plateale e “drammatico” come invece
lo erano i precedenti.
«Mi rendo conto che potrebbe suonare ridicolo. Specie detto dal sottoscritto. Ma capisci
anche tu che quest'intera faccenda, tra la possessione di Angelo, il fatto che lui mi sogni
vestito di rosso con la faccia impietrita, e poi il trattat.. »
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(34)
IO. NO. ..e portò i pugni alle tempie, ne estrasse gli indici, per poi riderne sollazzato.
«Ti credo, ti credo. Certo che potevi sceglierti qualche cosa di diverso, dalla croce
rovesciata e il trattato di demonologia, eh?»
Per tutta risposta alzò i palmi al cielo, come a dire “si fa quel che si può!”.
«Senti, ho preso degli appunti..», dissi timidamente, raccattando il foglio con le domande.
Altro sorrisone, stavolta più sul derisorio che sul divertito.
«Risparmiami, OK? La mia dose giornaliera di sfottò me la sono digià dovuta sorbire da
Angelo.»
SPARA.
«“Spazio senza confini”: volevi dire che io devo spaziare oltre i miei confini?»
CIRCA OK.
«In che senso?»
Indice sulla bocca. Poi, indice e pollice a L ruotando il polso: un gesto addirittura più
eloquente delle parole necessarie a tradurlo.
«Dimenticavo, che non parli. Passiamo alla successiva: hai scelto il francese per
dimostrarmi che io ho la presunzione di sapere?»
Indice puntato: “Indovinato!”.
«Nel senso che, come il francese lo capisco ma non lo parlo, così riesco a comprendere
qualcosa di ciò che dici ma non so esprimermi alla pari con te?»
EVIDENTE!
«È esatto affermare che la tua.. “performance musicale” dell'altra volta, il passaggio
dall'accompagnamento da marcia a waltzer, significa che io e Angelo dobbiamo
accompagnarci non più con la sola logica, ma con la logica e l'armonia?»
CIRCA OK. TU.
«Cioè, sono io a dover passare dalla razionalità a..»
OK.
«Ti sarebbe possibile manifestarti con altri, oltre che con Angelo?»
TU NO PENSARE.
«Nel senso che sragiono? No, aspe, ho capito: vuoi dire che non devo farmene un
cruccio.»
OK.
Tanto valeva barrare la casella del no, dal momento che lasciava irrisolta una questione
assai importante:
«Te l'ho domandato poiché c'è il problema della disponibilità di Angelo: non è giusto,
privarlo del controllo del suo corpo anche contro la sua volontà.»
NON CI PENSARE.
«Beh, fai presto a dirlo, tu.»
NON CI PENSARE.
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(34)
«Vabbè, va': passiamo ad altro. Esistono altre entità, pensanti in senso lato?»
Era la domanda del “profugo extraterrestre” che da sempre albergava in me, e proseguiva
così:
SI: anche sulla Terra, oltre all'uomo?
SI: regno animale?
SI: delfini? Balene?
NO: regno vegetale? Minerale?
NO: nel nostro sistema solare?
NO: nella via lattea?
NO: nello stesso universo?
Hanno mai preso contatto con l'uomo?
C'entrano le piramidi, Quetzalcoatl, etc?
NO: ne sono esistite?
Invece Gino si limitò a tagliar corto, invitandomi a non badarci. Cominciavo a trovarlo
irritante, quel suo modo di bypassare le mie domande:
«Se permetti, il tuo arrivo rende più che giustificato il mio interesse a sapere se esistono
altre entità pensanti oltre all'uomo.»
Per tutta risposta, Gino aggrottò le sopracciglia, come a dire “Cosa cavolo vai
farneticando?”, e poi..
TU NON PENSARE.
«Questo lo hai già detto abbastanza volte, non ti pare? Ho capito.»
NO. PENSARE.
«“Pensare”?»
OK. IO PENSARE. TU NO.
«Andiamo bene! Sarebbe a dire che sono solo affari tuoi?»
Alzò gli occhi al cielo e ripetè, seccato:
TU PENSI PICCOLO. TU NON PENSARE. IO PENSARE. TU NO.
«Ah, ho capito: vuol dire che nemmeno gli uomini pensano.»
OK. (Ma sembrava piuttosto un “Era ora che tu ci arrivassi!”)
«Sei dunque tu, l'unico essere pensante?»
OK. IO IO. Indici incrociati: PIÙ. IO.
«Tu e Angelo siete gli unici esseri pensanti?»
INDOVINATO.
Avevo sempre considerato Angelo un ragazzo che, per quanto intelligente, finiva sempre
col perdersi nella retorica dei suoi arzigogolàti ragionamenti. Ed ora quest'essere, qualunque
fosse la sua natura, mi veniva a dire che quel parolaio sofista del mio amico era l'unico
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(34)
essere pensante-in-senso-stretto dell'intero Universo?? Stentavo a crederci.
«E io, allora?»
TU PENSI PICCOLO.
«Significa che sono un semplice essere umano che non pensa affatto?»
NO. TU PENSI. PICCOLO.
«Beh, grazie allora: un pochettino penso anch'io! Poco, ma penso.»
OK.
«Io penso piccolo e Angelo pensa grande?»
OK.
«Se lo dici tu.»
Ci ero rimasto assai male, ma non avevo ragione alcuna di dubitare delle sue parole:
orgoglioso sì, invidioso forse.. Ma complessato all'idea di essere un pensatore di serie B,
questo proprio no – tant'è che avevo già previsto due domande su come migliorare le mie
facoltà mentali. Era mia intenzione lasciarle per ultime, ma a questo punto era d'obbligo
anticiparle:
«Esistono dei libri, dei film, della musica, che potrebbero aiutarmi?»
Sembrò pensarci su un po', ma poi si risolse a rispondere per approssimazione:NO.
«Suggerimenti, su come espandere il mio pensiero? Mi riferisco a immagini, più che altro,
tipo quella del mare e del puntino. Puoi ispirarle ad Angelo?»
OK.
«Torniamo alle domande..»
OK.
«“Gino” in greco antico significa “donna”. Allude in qualche modo a Cleo?»
NO.
«La videocassetta era puntata sulla frase: “lenisci il suo dolore”. Il dolore di chi? Di
Cleo?»
NO.
«Il mio?»
NO.
«Di Angelo?»
NO.
«Era solo un richiamo?»
NO.
Oggi mi è facile supporre che si trattasse del dolore di Dio, nel vedere l'Umanità ridotta
così (oppure il dolore dell'uomo, che non sa più come vivere – il che poi sarebbe la stessa
cosa), ma allora non potei che arrendermi all'evidenza dei fatti: ero a corto di idee, e tanto
valeva passare alla domanda successiva..
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(34)
«L'idea del Sommo Bene di Platone, quella di Amore, aiuta?»
NON PENSARCI.
Sbuffai, imponendomi di non perdere la pazienza: ero comunque determinato a esaurire
tutte le domande della lista, sia che vi avrebbe risposto oppure no.
«Come posso capire se posso rivelare qualcosa ad Angelo? Faccio sempre passare 1
minuto, e semmai ti manifesti tu prima ad avvisarmi di non dirglielo?»
OK.
«Ci sono altri, come me e Angelo?»
NON PENSARCI.
«Ce ne sono stati?»
NON PENSARCI.
«Quello che definivo “demone” o “slave”, l'entità che prendeva il tuo posto dopo che te
n'eri andato.. chi è?»
NON PENSARCI.
«Per quale ragione devo tenere alcune cose segrete ad Angelo? Ne parl..»
NON PENSARCI.
«Oh insomma! Che cos'è? Ci godi, forse, a fare il dittatore?»
NO.
«Stavo scherzando..»
NO.
«Hai ragione: scherzavo, ma solo a metà.»
OK.
Il pallino dell'impietosa onestà verso me stesso ce l'ho sempre avuto, così riconsiderai le
sue parole: magari non lasciarmi finire di porre le domande non era presunzione, quanto
piuttosto economia:
«Sarebbe che una volta che hai capito che si tratta di una domanda alla quale non intendi
rispondere, è inutile che io perda tempo a finire di formulartela?»
OK.
«Il “tatto” l'hai ereditato da Angelo?»
OK.
Risposta interessante, ma lì per lì non ci feci caso e la scambiai per una simpatica battuta
– quando invece era un modo di Gino per anticiparmi qualcosa circa il suo modo di
interagire con Angelo.
«Ultima domanda del foglio: Valeria deve sapere tutto?»
Angelo mi aveva detto di averle accennato qualcosa a riguardo dell'intera faccenda, e
(diversamente da quella volta che avrebbe voluto spifferare tutto ad Alessandro) la cosa mi
stava bene. Dopotutto, ho sempre ritenuto che due persone che si mettono assieme
divengono una cosa sola: ciò che riguarda Angelo, riguarda anche la sua donna.
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(34)
OK.
«Valeria rimpiazza Cleo, per Angelo?»
NON PENSARCI.
Risposta accettabile, questa volta: dopotutto, non erano fatti miei. (E in ogni caso non
stava a Gino anticipare ad Angelo il suo destino.)
«Devo dunque proporre ad Angelo di far entrare Valeria nell'intera faccenda?»
OK.
35
DUE
(17/10/1993)
"Gocce di ricordi
piccole
tenui
battono.
Vetri vaporosi
quell'aula
tu affianco
la lavagna
rauca di gesso,
polvere bianca
delle ali di farfalla.
Lezione di storia:
la classe
dorme e ascolta
e cresce.
Nudi
pensieri
fischiano nell'aria
e il sibilo ci avvolge
penetrante.
Sguardi:
nient'altro che vibrazioni
ondeggianti.
Dal di dentro.
Al di dentro."
Stavo copiando in bella la poesia che avevo scarabocchiato tre giorni prima sopra uno dei
“fogliettini di recupero” del babbo, quand'ecco riaffiorare il ricordo della serata appena
trascorsa, perennemente in bilico sul ciglio tra la vita di tutti i giorni e quel richiamo
all'eternità che dentro di me si faceva sempre più pressante. Mi sorprese, ma in fondo
neanche tanto, rendermi conto che per una volta non era il perenne pensiero di Alessandro a
175
(35)
intromettersi in tutto il resto, ma viceversa qualcos'altro che giungeva a distrarmi dal
pensare a lui.
La verità nuda e cruda è che lo sapevo bene, di star solamente procrastinando quanto
avrei comunque dovuto fare un giorno. Mi stavo prendendo qualche ultima nostalgica
boccata d'aria, prima di immergermi a capofitto nell'abisso dal quale non potevo altro che
sperare di uscire vivo.
E, come se tutto ciò non bastasse, quella sera stessa avrei dovuto accogliere un'estranea
nella nostra avventura privata.
«Suppongo, Gino, che adesso mi saluterai. E che ci risentiremo solamente quando ci sarà
anche lei..»
Mi ci volle un piccolo sforzo anche solo per pronunciare il suo nome:
«..Valeria.», tant'è che mi uscì fuori a denti stretti.
NO.
«Sarebbe che c'è altro di cui parlare, prima di far tornare Angelo?»
OK.
«Tanto non rispondi mai a niente di quel che vorrei veramente sapere.»
SPARA.
«Non le cose a cui ti sei già rifiutato di rispondere, presumo.»
EVIDENTE.
«E allora cosa posso domandarti, così, a bruciapelo? Non sono un improvvisatore:
preferisco di gran lunga le domande ponderate a freddo, come avrai capito dalla lista che ho
preparato per te stasera. Ora come ora, non mi viene in mente nulla.»
NO.
«Ehi! Aspetta un attimo.. non mi starai per caso dicendo che secondo te io invece so cosa
domandarti!»
OK.
«Andiamo bene! Saprò bene io, cosa so e cosa non so!»
NO.
Naturalmente, ero pieno di domande da fargli sul conto di Alessandro, ma..
«Ricapitoliamo: hai affermato che io non penso.»
NO. TU PENSARE. PICCOLO.
«Okay, okay: io penso-piccolo.», detto senza badare a quella che invece era una differenza
sostanziale. «E tu mostri di non avere particolare simpatia per le futili questioni umane.»
OK.
«Stando così le cose, non ho più alcun dubbio: non ho nessuna domanda per te, per
adesso. Quelle rimaste riguardano solamente il mio amore-piccolo.»
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(35)
Inaspettatamente come non mai, Gino montò su tutte le furie. Addiritttura sobbalzò sul
letto, come se avessi bestemmiato in faccia all'Onnipotente. Definire “di disappunto”
l'espressione che fece è pressappoco come parlare di “tepore” di fronte all'esplosione di una
testata termonucleare: si conficcò quasi il dito nel petto, tant'era il vigore e la tensione coi
quali i suoi concitàti movimenti volevano demarcare l'importanza del concetto..
«“Amore”?»
OK.
Seguì uno strano gesto davvero: aperte le mani coi palmi che si guardavano a circa un
metro di distanza, le allontanò progressivamente verso l'esterno – ad indicare un che di non
solamente grande, ma talmente grande da non poter essere quantificato con un misero
metro di distanza.
Dopodichè infilzò il letto con l'indice.
«“Punto”?»
Lo calcò ulteriormente.
«“Punto e basta”?»
OK. ..poi, un palmo aperto sopra quell'altro, e un aprirsi a ventaglio degli avambracci.
Non stavo capendo:
«“Morta lì”?»
NO.
«Per me, quello è il gesto per “basta”, per “smettere”..»
NO.
«Prova a spiegarti diversamente.»
Mi mostrò l'indice, poi i palmi paralleli a poca distanza l'uno sopra l'altro, ed infine ancòra
il dito indice.
«Abbi pazienza, ma.. a me questo sembra più che altro un'equazione elementare.»
OK.
«Eh?! Era davvero un “1=1”?»
OK.
«Non finirai mai di stupir.. Aaaaah, ho capito! “1=1”, vale a dire: “sempre”!»
INDOVINATO. AMORE GRANDE. SEMPRE. PUNTO E BASTA.
«Quindi, anche il mio Amore è grande.»
Ripetè più volte e in rapida successione “EVIDENTE!”, tendendo i muscoli e sbuffando
dalle narici come una pentola a pressione che sta per esplodere. Come a dire: “Ma sei
scemo o che cosa? Te l'ho appena detto!”.
Incoraggiato da cotanta considerazione per l'Amore, che mai mi sarei aspettato di
riscontrare presso un'entità mentalmente così progredita, alla disperata ricerca di speranze,
più che di certezze, stabilii che avrei domandato a Gino ciò che più mi stava a Cuore – vale
a dire, se il mio Amore per Alessandro era o sarebbe mai stato corrisposto. E in più, se le
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(35)
mie ipotesi circa le cause del suo misterioso comportamento fossero esatte.
Gli sparai una raffica di domande, a cominciare da quelle che riguardavano fatti che io
conoscevo solo parzialmente, oppure ignoravo del tutto. I fatti cioè sui quali, fino a quel
momento, non avevo potuto fare altro che sprecarmi in ipotesi perlopiù inconcludenti.
A me bastava sapere che avrei usato quelle informazioni a fin di bene, senza rendermi
conto di come non fosse affatto giusto (né onesto) sfruttare Gino come una palla di vetro
tramite la quale sbirciare nei segreti altrui.
Gino era ben conscio delle mie ottime motivazioni, e della purezza della finalità di quelle
domande, ma diversamente da me aveva le idee ben chiare in fatto di etica assoluta: nessun
fine, per quanto nobile, può giustificare la vìolazione dell'altrui Libertà – inclusa quella di
farsi del male, o addirittura di farne ad altri. La Bontà ha da essere una scelta, giammai un
dovere, né tantomeno un'imposizione.
Pertanto si limitò a darmi delle risposte a casaccio – che però io prendevo sul serio,
finendo col capire tutto e il contrario di tutto, traendone immancabilmente le peggiori delle
conclusioni possibili.
«No, aspetta, vediamo se ho capito..», e gliele ri-esposi minuziosamente, ricapitolando
l'intero ragionamento. «Dunque le cose stanno veramente così.»
NO.
Uno smagliante sorriso m'illuminò il volto:
«Significa che ho sbagliato a riassumere ciò che tu mi hai detto?»
NO.
«Allora ho compreso male le tue risposte.»
NO.
Non stavo capendo:
«Scusa, ma.. com'è possibile? Delle due, l'una.»
NO. IO NO ..quindi si pose l'indice sulle labbra, e lo spinse in avanti verso di me.
«“Parlarmi”?»
NO.
«“Rispondere?”»
OK.
«“Tu non mi hai risposto”?»
OK.
«PREGO?!»: ero allibito, con gli occhi fuori dalle orbite. «Fermi tutti e procediamo con
ordine: tu mi hai fatto avvicinare, dicendo che eri stanco e così mi avresti risposto come
facevi prima, stringendomi la mano anziché a gesti..»
OK.
«Io poi ti ho posto le domande..»
OK.
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(35)
«Cosa continui a dire “OK”?? Mi stai prendendo in giro?»
NO. Mulinello di mani: PROSEGUI.
«Mentre io parlavo, tu la mano me la stringevi, no?»
OK.
«Me la stringevi davvero, voglio dire. Non è che me lo sia immaginato io, giusto?»
OK.
«E allora come fai adesso a venirmi a dire che non mi rispondevi?»
S'inventò lì per lì un'espressione insieme noncurante e perplessa, facendo svolazzare le
mani per aria. Lo capii al volo:
«“A casaccio”?!»
OK.
«Fammi capire: io ti domandavo del mio massimo dramma esistenziale, che mi affligge
terribilmente, scaraventandomi ogni giorno in una disperazione sempre più cupa e tetra, e
tu.. Tu mi rispondevi a casaccio??»
OK.
«E ci ha pure la faccia di ammetterlo così!»
TU PARLI ..e un mulinello d'avambracci da far pensare alla dirompenza di un tagliaerbe:
indubbiamente, stava a significare “VELOCE” – o meglio: “A RUOTA LIBERA”.
TU. ..aggrotta le ciglia, sbuffa dal naso, e non smette fino a che non gli riesce di
ricatturare il mio interesse al dialogo:
«Se sono arrabbiato?»
OK.
«Lo sai perfettamente: certo che lo sono! Ti sei comportato da vero bastardo: mi potevi
benissimo fermare prima, lasciandomi la mano oppure..»
IO. Entrambe le mani sopra la bocca, come l'ultima delle tre scimmiette di “non vedo, non
sento, non parlo”. TU. ..e l'indice spinto in avanti, leggermente a destra: LUI.
«Significa che non ti è consentito parlarmi di Alessandro?»
OK.
«E per quale ragione, se mi è lecito chiedertelo?»
Si battè l'indice sulle labbra.
«“Dovresti spiegarlo a parole”?»
OK.
«Ma tu guarda se è mai possibile! Sei un'entità spirituale talmente progredita che trascendi
il mondo fisico.. e non sei autorizzato a rivelare le piccole cose di esseri inferiori come
noialtri umani non-pensanti?!»
Esitò un attimo, guardandomi con aria “ironicamente dubitativa”, ma poi confermò.
«Pazzesco. Quindi, a voler riassumere i fatti: tu non mi puoi parlare di Alessandro, e la
ragione esatta del perché me la potresti spiegare solo a parole. E, nonostante questo,
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secondo te rimane dell'altro di cui io ti dovrei parlare adesso.»
OK.
«Non mi viene in mente nulla. Eppoi, dopo l'ultimo sforzo (davvero brillante l'idea di
prendermi in giro, sai?) sono veramente a terra.»
TU RISPONDERE ME.
«Mi stai forse facendo la tua prima domanda?», mi stupii.
OK.
«Allora deve trattarsi di una faccenda importante sul serio.. beh, che dire? In questo caso..
spara.», accompagnando quello “spara” con un sorrisone beffardo che lui non tardò a
replicare. Poi si fece nuovamente serio, direi quasi accorato, e mi pose la fatidica domanda:
TU PENSARE LUI ..e la mano a C con tutte le dita unite a mò di punto di domanda.
«Perché io penso ad Alessandro?»
OK.
«Oh bella, che domanda strana! Davo per scontato che tu lo sapessi, o che quantomeno
l'avessi capito: io lo Amo.»
Gino arrossì. Poi si pose un dito sul cuore, e ce lo fece rimbalzare a ritmo del mio battito
cardiaco: era naturalmente il verbo AMARE. Infine, il gesto di prima per “LUI”.
«Certo, che lo Amo veramente! E sennò per quale ragione ti avrei domandato di lui, dopo
che mi hai detto di farti la domanda che mi rodeva dentro? (E che esitavo a porti solo
poiché ritenevo che il mio amore fosse una cosa piccola rispetto al tuo pensare-grande.)»
PERCHÉ TU NON PARLARE IO.
«Per quale ragione non te ne ho parlato prima?»
CIRCA. IO IO.
«Tu hai voglia di scherzare! Mi stai realmente chiedendo perché non ne ho parlato ad
Angelo?!»
OK.
«Come se non ci avessi provato! Parecchi tentativi: tutti invano. A partire da quella volta
sul pullman, durante un'uscita scolastica per andare a teatro: quando la prof. tirò in ballo la
presunta omosessualità dell'attore protagonista, io colsì al volo l'occasione per sondare il
terreno – e con quale risultato? Un nostro compagno di classe sparò a zero sui “froci”, e
Angelo gli diede man forte rincarando la dose.»
TU PARLARE ANGELO.
«E questo me lo chiami pensar-grande?! Ma tu sei completamente suonato! Dirlo ad
Angelo? Con queste premesse? Ecchè, so' scemo, io?? Non se ne parla nemmeno! È
l'ultima delle cose che mi passerebbe per la testa di fare, con un razzista omofobico come
lui!»
PERCHÉ?
«Indovina! Mi rimane un unico amico, e questo amico è Angelo: non intendo nella
180
(35)
maniera più assoluta perdere anche lui. O, il che sarebbe ancòra peggio, farmi tollerare.»
Gino se ne ristette in silenzio per un po', dopodichè..
TU PARLARE ANGELO.
«È inutile che insisti, specie dopo quello che è arrivato a dirmi il mese scorso in
montagna..»
L'argomento era caduto sull'ultima copertina di una rivista, che
ritraeva un matrimonio tra lesbiche celebrato in Olanda. Ne era
passato, di tempo, da quella volta sul pullman con la prof. E adesso
eravamo pure soli, per cui non avrebbe più dovuto “difendere
cameratescamente la sua virilità” associandosi per questioni
d'immagine a quell'indegno sfottò sui gay. In più, mai come in quel
momento la fiamma della nostra amicizia ardeva alta, rinvigorita
dall'avventura che stavamo condividendo: due amici in fuga dal
mondo, in uno sperduto eremo di montagna.
Così osai ripescare un argomento che, dopo le sue sparate da vero
fanatico anni prima, avevo dato per morto e sepolto. L'esito fu
disarmante:
«Ma che amore e amore? Un frocio – un “omosessuale”, come dici
tu – è soltanto un malato. Altro che matrimonii! A casa loro, che
facciano le schifezze che gli pare. Ma che non mi vengano poi a
reclamare persino dei diritti!»
Inutile fargli presente che nessuno sceglie la propria sessualità.
Inutile il colto latineggiare del “de gustibus non disputandum”: che
non ha senso stare a discutere a riguardo dei gusti, poiché ognuno ha i
suoi. E provare a sciorinargli degli esempi famosi?
«Anche Perry Mason?? No, non ci posso credere..»
«Vallo a dire a suo marito, che dopo un'intera vita vissuta assieme si
è visto sbattere in strada dalla famiglia di lui, razzisti marci fino al
midollo e senza un briciolo di rispetto per il loro amore. (Con tutto
che Raymond stesso l'aveva nomianato suo erede universale!)»
«Anche Perry Mason?»,
Mason?», ripeteva Angelo sconvolto. Perché per lui,
come per molti altri, un omosessuale sarebbe una donna mancata –
ragion per cui un uomo tutt'altro che effeminato come Raymond Burr,
non poteva essere “frocio”. «Gesù, chi l'avrebbe mai detto! Ma ne sei
sicuro?»
Niente da fare: quanti più esempi celebri gli citavo (col proposito di
solleticarlo là dove è più sensibile: al fascino dei personaggi famosi),
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(35)
più “miti” gli distruggevo – ma senza mai smuoverlo neanche di un
millimetro dalla sua rigida posizione omofobica. Anzi: più gliene
parlavo, e le peggio cose mi toccava sentirmi rispondere:
«Ti dico solo una cosa: in casa mia, uno di quelli non ci metterà mai
piede.»
«E se fosse tuo fratello, ad essere omosessuale?»
«Ah, guarda: anche se lo fossi tu. Te, ti farei entrare. Ma il tuo
eventuale.. “compagno”», detto proprio così, con tutto il disprezzo che
era capace di riversare sopra un'unica parola,«..beh, tu potresti anche
entrare, ma lui dovrebbe aspettare fuori dalla porta.»
Come un cane rognoso. Anzi, peggio: perché lui, Angelo, ama
pavoneggiarsi di essere un “amante degli animali”.
Giuro che non ho mai provato maggior disgusto per una persona che
in quell'occasione. Quei discorsi mi davano letteralmente il
voltastomaco: una specie di maldimare emozionale, un senso di
nausea indicibile mi si rimescolava dentro, facendomi venir come la
voglia di vomitare e andarmene sbattendogli in faccia la porta assieme
a tutto il disprezzo che mi avevano suscitato quelle sue farneticazioni.
Per me era come per uno scampato agli orrori di Auschwitz sentirsi
intessere l'elogio del nazismo. Con la differenza non da poco che il
nazista, nel mio caso, era colui che si proclamava il mio migliore
amico.
«Non me li dimenticherò mai finchè campo, tutto il livore e l'acrimonia che Angelo aveva
riversato in quelle parole – che più sprezzanti di così non potevano essere. E tu adesso mi
vieni a dire che io dovrei.. parlarne con lui?? Guarda, fammi il piacere: andatevene a
cagare! Tu e lui. Se questa è la vostra “superiorità di pensiero”, allora non la voglio:
tenetevela, e che vi vada di traverso! Mo' se non ti spiace ho altre cose da fare, che starmene
qui buono-buono ad ascoltare questi spregevoli discorsi da razzisti di quart'ordine.»
Il segno di PERCHÈ stavolta significava..
«“Che cos'ho di meglio da fare”?»
OK.
Evidentemente Gino voleva fare il simpatico, ma cascava male:
«Qualsiasi altra cosa, è meglio.»
IO IO PENSARE.
A quel punto mi aveva veramente tirato fuori dalla grazia d'Iddio:
«Senti, guarda, vedi di non farmi perdere altro tempo, okay? Si può sapere che cazzo vuoi
da me, ancòra!? Tu pensi.. che cosa?»
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(35)
NO. IO IO ..e il dito fermo sopra la tempia.
«“Angelo sa”..?»
OK.
«Guarda, non credo proprio. Dopo la notte d'inferno che mi ha fatto passare quella volta
in montagna, col cuore in gola per l'ansia di farmi scoprire magari parlando nel sonno,
letteralmente terrorizzato all'idea di fargli schifo, ti assicuro: ho imparato bene, a
nascondermi. Sospettare, è ovvio che sospetti: io mi stra-rifiuto, di fingere di essere
qualcuno o qualcosa che non sono. Con chiunque. Mi limito a lasciar credere a ciascuno
ciò che preferisce credere, ma senza mai – dico mai – mentire. Bella scoperta! È naturale
che lui sospetti qualcosa, ma unicamente poiché gliel'ho concesso io. Però è chiaro che da lì
ad arrivare a sputtanarmi con le mie stesse mani, ce ne corre!»
ANGELO SA. TU DIGLIELO.
..e se ne andò.
36
I
n verità non mi è mai riuscito di comprendere come mai quando si parla di amore tra
un uomo e una donna si pensa a una rosa, e quando si parla di amore tra uomini alla
sodomia. Chissà? Forse è per via della parola stessa, “omosessuale”, che già da sola
sembra una specie di malattia venerea mortale.
Potenza delle parole.. In effetti basta dire anche “eterosessuale”, e tutto ciò che vi è di
romantico si appiattisce al livello medico/scientifico di un'analisi fredda, raziocinante, del
tutto incapace di interessarsi al sentimento che è causa di quell'unione tra due esseri.
Tradurre l'Amore come un banale fatto urologico? Dirle “ti amo” rappresenterebbe
unicamente il preludio alla deflorazione? C'è decisamente qualche cosa che non va. Tanto
per incominciare, il fatto che si parla senza sapere di che cosa si sta parlando.
Niente rappresenta Benedizione più grande all'interno di una qualsivoglia comunità
rispetto a persone che si Amano C024: esse divengono un catalizzatore di Energie spirituali di
cui tutti hanno bisogno per esistere ed evolvere, e le proffondono non solo ai propri simili
ma anche agli animali, le piante, i sassi..
L'Amore è la Potenza divina: la medesima che muove interi universi, la stessa che
deflagrò all'atto della Creazione. E due che si Amano, specie in un mondo disastrato ed
insidioso come questo, sono un vero e proprio miracolo vivente. Ci si ferma di notte ad
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(36)
ammirare la luna che riflette la luce del sole, e non ci si prostra in venerazione al passaggio
di due stelle luminose che balenano sopra questo pianeta sprofondato nell'oscurità, quali
sono due Amanti. Perché?
Qui l'idiozia imperante si rivela al suo apice, con le cretinate più inverosimili – per citarne
una: “il comune senso del pudore”, che vorrebbe si nascondessero i sentimenti così come si
nascondono i genitali. Poliziotti guardoni che vanno a stanare coppie che si appartano in
macchina, vecchiette che storcono il naso al passaggio di due fidanzatini che si baciano,
rotocalchi rosa che dissertano sull'opportuntà o meno di amori tra persone di età assai
differente tra loro..
Questa è tutta gente incapace d'Amare che sopperisce a questa mancanza analizzando e
criticando i pochi fortunati in grado di farlo, nell'illusoria speranza di riuscire così anch'essi
ad avere ciò che loro più manca: l'Amore, il dono più Grande.
Il dono: l'Amore lo si può solo dare e ricevere, ma giammai insegnare o imparare. E così
questi poveretti, frustrati nei loro intenti, reagiscono accanendosi contro chi Ama davvero –
e li invidiano a tal punto da non lasciare nulla di intentato per nuocer loro.
Già è difficilissimo Amare, stando in un mondo simile. E per giunta ci si mettono pure gli
invidiosi, di quella specie nefanda che fanno di tutto per togliere agli altri ciò che essi non
riescono ad avere: “Tu hai l'Amore che io non ho, e allora te ne privo così siamo pari” – e il
risultato è sotto gli occhi di tutti: un mondo sempre più insulso e corruttore.
La parola stessa “Amanti” è stata corrotta, trasformata trivialmente in mero sinonimo per
“due che scopano insieme”: accade così che la peggio puttana venga presentata al mondo
come l'amante dell'onorevole tal dei tali. Che orrore! Invece, come scrivevo tempo fa a un
mio corrispondente..
L'Amore non ha nulla a che fare con il sesso: il sesso può voler
essere un modo per esprimere Amore, ma anche in questo
caso è il sesso che ha a che vedere con l'Amore e non
viceversa.
Il sesso è la ricerca dell'estasi fisica: dalla sua forma più
egoistica (chi usa un'altra persona per ottenere piacere
soltanto per sè), a quella egocentrica (masturbarsi è dare
piacere a sè stessi), fino al rito che fa del sesso l'atto
simbolico dell'Amore (il reciproco donarsi piacere tra due che si
Amano).
Il sesso può avere come fine la procreazione, e negli animali il
più delle volte è così: ma gli animali sono soggetti ai cicli
riproduttivi imposti loro dalla Natura, mentre l'uomo ha la
facoltà di scegliere come, quando e quanto amare - e se
riprodursi oppure no.
Il "sesso contro natura" è stata un'invenzione dell'uomo,
quando ha scoperto che può ingannare la Natura ottenendo il
premio (l'estasi) senza pagarle alcun prezzo (il generare figli).
Difatti, mentre la pratica della masturbazione accomuna
184
(36)
l'uomo e taluni animali, nessun'altra specie pratica alcuna
forma di contraccezione.
Si potrebbe ribattere: "Bella forza: gli animali non sanno come
fare! Se potessero servirsi di contraccettivi, lo farebbero
pure loro!"
Probabilmente le cose stanno proprio così - e ciò non farebbe
altro che compromettere ulteriormente la nostra definizione
di "sesso contro natura". A quel punto, "sesso contro natura"
permarrebbe soltanto una cosa: l'astinenza sessuale, vale a
dire la repressione volontaria dell'impulso sessuale stabilito
dalla Natura.
Poiché madre natura chiama tutti quanti i suoi figli ad
accoppiarsi, e non uno di essi le dice no.
Tranne l'Uomo.
Dacchè è al mondo, l'Uomo (questo sovversivo del creato!) ha
da sempre utilizzato le proprie capacità per emanciparsi dalla
sudditanza alla Natura.
Molto di più: l'Uomo ha sfruttato le proprie doti (l'intelligenza,
la manualità, l'adattabilità a svariati ambienti e circostanze..)
per ribaltare la situazione: da servo, si è fatto dominatore
della Natura.
Già il fuoco ottenuto sfregando due pietre focaie anziché da
un fulmine è da definirsi "contro natura". Che dire dunque
dell'accendino ricaricabile a gas? E di un raggio laser per
microchirurgia?
Gli esempi si sprecano, in questo senso, ma la Storia stessa è
testimone che "agire contro natura" è una delle prerogative
principali (se non LA principale) dell'essere umano.
A meno che tu non mi stia leggendo unicamente in virtù di un
raggio di luce solare che filtra attraverso una spaccatura
naturale nelle rocce della caverna in cui vivi, guardati intorno
e pensaci su un pò a quanto "contro natura" ti comporti tu
quotidianamente: aprendo un rubinetto anzichè abbeverandoti
a uno stagno acquitrinoso infestato di zanzare; regolando il
termostato al posto di raggomitolarti davanti a un fuoco
fumoso di legna umida; e via di questo passo.
Per l'esattezza, l'Uomo (come dice la Bibbia) è il padrone del
creato - e come tale agisce non secondo schemi naturali
prefissati, ma in base al proprio autonomo discernimento - che
lo porta di volta in volta ad assumere comportamenti secondo
o contro natura. Scelti indipendentemente da "ciò che
comanda la natura", e unicamente in base al criterio di "ciò che
desidero io".
Fare una passeggiata in un bosco è "secondo natura",
respirare monossido di carbonio no. Eppure l'Uomo, per la sua
esigenza di vivere in una città, può scegliere di tollerare ciò
che va contro natura. E trasformare quella che
originariamente era una esigenza dettata dalla Natura
(ossigenarsi in un bosco) in un piacere - come tutti i piaceri,
185
(36)
soggetto al gusto personale: chi preferisce ossigenarsi con
una scampagnata, chi andando al mare, o in alta montagna..
La stessa cosa accade col piacere sessuale: ognuno ha gusti
e preferenze - nessuno giusto, nessuno sbagliato.
Ovvio. Di un'ovvietà talmente evidente da risultare misteriosa – tipo gli occhiali che
cercavi dappertutto, e poi scopri che ce li avevi sul naso.
L'Amore è Grande.
Sempre.
Punto e basta.
Esattamente la stessa cosa che aveva detto Gino.
«Tutte cose che avrei potuto benissimo dirti io stesso, senza bisogno di scomodare il
paranormale.»
«Restando in tema, Angelo: c'è una cosa di cui da tempo volevo parlarti, ma non ho mai
trovato il momento adatto per farlo. Per dirla tutta: dipendesse da me rimanderei ancòra,
ma secondo Gino..»
«Allora è meglio se rimandi. Mica ti devi far comandare a bacchetta da Gino, o
chicchessia!»
«Beh, tanto prima o poi finirà col venire a galla, per cui preferisco sia prima piuttosto che
poi.»
«Come preferisci. Prima però posso farti una domanda io?», cogliendomi del tutto alla
sprovvista.
«Sì: certamente.»
«Non è che per caso stai cercando di dirmi che ti sei innamorato di mia sorella?»
«Tua.. sorella?!»
Una sana risata liberatoria mi consentì di rompere un poco la colossale tensione che ero
andato accumulando fino a quel momento. (Mi sentivo come un condannato a morte che
detta il proprio epitaffio mentre si sta scavando la fossa con le sue proprie mani..)
«No. Certo che no! Sei completamente fuori strada. Magari, fosse così semplice! Il fatto è
che, io..»
«..tu?»
«Io Amo Alessandro. Nel modo in cui tu hai amato Cleo. Se ne deduce che sono
omosessuale, e che..»
«Lo so.», e lo disse senza scomporsi minimamente: mi guardava come se si aspettasse
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(36)
semplicemente di sentirmi concludere la frase.
«Tutto qua?»
«Se non hai altro di rilevante da aggiungere.»
«Ma allora aveva ragione Gino!», risi, risollevato. «Diceva che tanto tu già lo sapevi.»
«Ne ero quasi certo: dal modo in cui difendevi gli omosessuali.»
«Sì, vabbe' .. Se è per questo, io sono contrario a ogni forma di razzismo: aborro
l'apartheid, eppure non è che sono un nero! »
«Non era mia intenzione metterlo in dubbio. Intendevo solamente dire che qualcosa nelle
tue risposte mi dava a pensare. Cioè: a parte Alessandro, non conosco nessuno così..
bendisposto, con i gay.»
La qual cosa “lasciava ad intendere” parecchio – specie detta da una persona come
Angelo, che risaputamente è del tutto incapace di parlare a vanvera.
«Mi stai dicendo che gli hai rivolto le stesse domande?»
«Prima ancòra di farle a te.»
Non stavo più nella pelle:
«E con quale esito? Secondo te lo è anche lui?»
«Non lo so. L'unica cosa certa è che si comporta in modo strano, ma di come faccia il
misterioso ne abbiamo già parlato in montagna.»
«Continua.»
«Ti posso dire solamente questo: se non lo è, con te si sta comportando da vero stronzo.
(In fondo, però, posso anche capirlo.)»
«Grazie, neh? No, dico: bell'amico che sei! Io sono qui che mi danno l'anima, e tu?
Anziché aiutarmi, o anche solo darmi man forte, prendi le difese di chi mi fa disperare.»
«Non ho detto che lo giustifico: ho detto che posso comprendere i motivi che lo spingono a
comportarsi così.»
«Perché, fa differenza? Cambia qualcosa?»
«Cambia moltissimo.»
«Patate?»: una volta tanto, ero riuscito a spiazzarlo.
«Prima di cena?!»
«Tanto Valeria non arriva prima di mezz'ora. E comunque sarebbe la prima volta che le
rifiuti.»
«Non potrei mai. Andiamo!»
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(36)
37
V
aleria non mi è mai stata simpatica. Tanto per incominciare, è donna – e,
diversamente dal cretinissimo stereotipo che vorrebbe tutti gli omosessuali affini
alle donne, io sono da sempre e notoriamente un misogino alla Karl Krauss che con
loro ha a che spartire quanto un cacciavite con una torta. Intendiamoci: due o tre donne
piacevoli le ho conosciute anch'io, ma in linea di massima rientro fra coloro i quali
crescendo non hanno mutato l'opinione che notoriamente tutti i bambini hanno sulle
femmine da che mondo è mondo.
In particolare: le oche giulive proprio mi tediano a morte. È che francamente non trovo
onesto richiedermi di provare anche un solo briciolo di interesse per delle bambolegonfiabili di carne, che fondano il proprio “essere interessante” su parti anatomiche –
soggette oltretutto a precoce deperimento.
Capisci dunque da te con quale mortificato stato d'animo m'accingevo, quella sera del 20
Ottobre, ad accogliere il Giuda in gonnella destinato al nostro gruppo. (Se solo avessi
saputo che si trattava di una specie di legge universale, avrei quantomeno evitato di
farmene un cruccio..)
Angelo invece si era emozionato già allo squillare del citofono del cancello:
«Questa dev'essere lei!», impaziente come un cagnolino quando ode i passi del padrone
che rincasa.
«Temo di sì.», risposi grigio, e senza giocare con le parole che pronunciavo: quel “temo”
palesemente non era solo un inglesismo dei miei.
Portai controvoglia all'orecchio il ricevitore di plastica beige e pigiai con altrettanta
rassegnazione il bottone:
«Sì? Chi è?»
La ricezione, pessima come al solito:
«Sono Valeria.»
«Ti apro.», aggiunsi, e un pensiero di passaggio mi schifò alquanto.
«Grazie.», rispose lei. Poi il rumore di una portiera che sbatte, seguìto dal passaggio di
un'automobile..
«Sta arrivando.», ammisi con un che di sconfitto.
Angelo l'aspettava sbirciando attraverso le tapparelle poste fra i doppi vetri della porta che
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(37)
dà sul terrazzo:
«Non si può tirare su?»
«Mi spiace: è rotta.»
Una mezza bugia: la tapparella era rotta, e sollevarla avrebbe comportato incastrarla a
metà altezza per la disperazione di mia madre, ma sinceramente parlando a me non
dispiaceva affatto.
Per levarmi quel suo fare rinfanciullito dagli occhi, gli proposi di uscire ad aspettarla ma..
«No no, le ho spiegato per filo e per segno dove sta la tua cas.. Eccola! È lei!»
Continuavo a lambiccarmi il cervello alla ricerca di una plausibile risposta alla domanda
più ovvia:
“Chissà che ci trova, Angelo, in lei. Escludiamo l'intelligenza ed escludiamo pure che lui
l'ami, dato che – amleticamente parlando – lei sta a Cleo come un satiro sta a un
grand'uomo.”
Bingo.
“Forse gli piace proprio per questo: per il disimpegno. Una dama di compagnia, in tutti i
sensi e soprattutto in quello. Ed è senz'altro consapevole di andare sul liscio, visto che lei gli
muore dietro dacchè si conoscono. Invece averla soffiata ad Alessandro la si direbbe quasi
una incomprensibile provocazione gratuita..”
Ma, anche in questo caso, la risposta era in un certo qual senso implicita nel quesìto
stesso:
“Uhm.. Pensandoci meglio, mi sa che si tratta di un rischio calcolato. Molto astuto.”
Il che però non deponeva certo a favore di quella.. concubina che si apprestava ad
invadermi, a passo di carica sopra tacchi vistosi e un vestito amaranto ancor più
conturbante – o, per meglio dire, imbarazzante.
«Non la trovi provocante, in rosso?»
Che domanda cretina, da porre a uno che ti s'è appena detto omosessuale! E così, come a
quel punto era d'uopo, risposi a tono con un aplombe da perfetto gentleman inglese:
«Parli così solo perché non hai mai visto Alessandro in girocollo nero, scarpe laccate e
jeans in tinta.»
Riuscii a sortire l'effetto voluto: Angelo mi lanciò un'occhiataccia tipo “A me mica
piacciono i ragazzi!”, ed io replicai allargando le mani come a dire: “Allora siamo pari:
neppure io provo interesse alcuno nel guardare come si (s)veste la tua ragazza.”
..che oramai stava sull'uscio e toccava farla entrare. Aprii la porta strattonando la
maniglia (quella benedetta porta è semi-incastrata da quando ne ho memoria), e al biblico
pensiero di “Mio Dio, che cosa ho fatto!” la accolsi in casa come una regina – inquantochè
compagna ufficiale di Angelo:
«Ciao. Io sono Alessio – visto che ci presentiamo soltanto adesso.»
Che non fosse abitudine di Angelo quella di presentarmi le sue donne, era cosa risaputa fin
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(37)
dai tempi di Cleo – e avrebbe trovato riconferma nel fatto che Angelo non mi ha invitato al
suo matrimonio, rendendomene edotto soltanto a distanza di un paio d'anni, a cose fatte e
confermate. (Meglio così: mi son risparmiato l'imbarazzo di rifiutarmi di presenziare, onde
sottrarmi alle annesse & connesse cerimoniose ipocrisie della mondanità che tipicamente
seguono questo nevrotico show – imbastito attorno a un atto notarile già di per sè avvilente,
e ulteriormente sclerotizzato dalla rigida coreografia che è vestigia oramai senza significato
di una delle tante usurpazioni “proletarie” ai danni degli antichi sovrani.)
«Ciao. Io invece ti conosco già.»
«Sì, certo, come no? E io parlo swahili!», dopodichè la ribaltai a terra con un manrovescio
degno di McEnroe. «Dimmi “Ti ho già visto”, oppure “So come ti chiami”, ma con quale
insolenza ti permetti di sostenere che mi conosci, quando neanche io stesso posso affermare
di conoscermi fino in fondo!?»
Okay, okay, l'ammetto: stavo solamente baloccandomi con un sogno ad occhi aperti. La
verità è che leggendomi negli occhi che il mio proverbiale autocontrollo stava cominciando
a scricchiolare, Angelo si era messo tempestivamente fra noi:
«Dammi pure il cappotto, Valeria.»
Mi rodeva, vederlo quasi estasiato davanti a quella bisteccona sui trampoli che profanava
il nostro territorio. Il tutto reso ancor più intollerabile dal fatto che lo stava facendo col mio
assenso, altrimenti mi sarei potuto quantomeno ribellare.
“Eppoi tu senti qua che tanfo!”, protestava intanto il naso al cervello, suggerendogli la
canzoncina che so io. “Stai un po' attento che miss Millefiori non finisca col farti starnutire
fuori anche i polmoni, col suo profumo!”.
«L'accompagno in soggiorno. Le porti tu, le pizze?»
«Sì, bwana.», risposi àtono.
“È stato Gino in persona a dare l'OK. È stato Gino in persona a dare l'OK. È stato Gino
in persona a dare l'OK..”: non ho mai ripetuto più volte nel corso di una sola serata altre
frasi che questa. Perché era dura, terribilmente dura, convincersi che un sciacquetta simile
fosse degna anche solo di presenziare alle nostre riunioni.
Com'era facilmente prevedibile, Alessandro rappresentava tacitamente l'argomento tabù
della serata: sarebbe stato un po' come parlare di mele alla tavola di Adamo ed Eva.
Tuttavia io avevo fatto in modo che la sua presenza non fosse del tutto assente, disponendo
i piatti in modo tale da lasciare vuoto il posto alla mia destra, quello solitamente occupato
da Alessandro quando mangiamo la pizza. Giustapposto davanti a me, Angelo. E, alla sua
destra, la sua degna compagna (infatti mi ci immaginavo Cleo).
«Parlatemi di Gino.», osò lei, impròvvida come soltanto una bionda naturale sa essere.
Se non altro così facendo mi aveva graziato dal supplizio che mi dava la sua
conversazione, che languiva fin dalle prime battute: una pioggia torrenziale di luoghi
comuni ed ovvietà a non finire, roba che neanche il “dizionario dei luoghi comuni” di
190
(37)
Flaubert..!
Ingoiai il mio amaro boccone:
«Sono sicuro che Angelo te ne parlerà assai meglio di quanto saprei fare io.»: menzogna,
che lei naturalmente bevve – così, mentre lui le sciorinava in poche parole il “riassunto delle
puntate precedenti”, a me riuscì di gustare una pizza ancòra decentemente calda.
Fotografai mentalmente l'istante esatto in cui Valeria posò per la prima volta piede in
camera mia. A tutt'oggi ne serbo lo spiacevole ricordo.
«Che bella camera!» furono le sue prime parole nonappena entrata: la tipica frase buttata
lì per mera formalità, la tipica frase che io aborro, pertanto mi parve giusto ricambiare con
eguale spregevole retorica:
«Scusa il disordine.»
«Ma figùrati!»
Due a uno per lei: tanto valeva arrendersi. Cercai un pretesto per recarmi altrove, a
ridisegnarmi i lineamenti del volto prima che pure una svampita come lei potesse decifrarli:
«Se mi volete scusare, io debbo ancòra finire di sparecchiare. Torno sùbito.»
Mi ci volle troppo poco tempo, per riordinare in soggiorno. Così andai in bagno a
sciacquarmi il viso – il che è tutto dire, per chi sa come sono fatto, ma a mali estremi..
Detesto, dover fingere. Ma siccome allora me la cavavo ancòra benino (oggi,
semplicemente, me ne frego), tornando rassegnatamente in camera feci come il buon
vecchio Winston: recitando a memoria tra me e me “He had set his features into the
expression of quiet optimism which it was advisable to wear”, inspirai a fondo e varcai la
porta di camera mia con un sorrisone smagliante stampato sulle labbra:
«E rieccomi qua! Sapete, non vorrei che quando mia madre rincasa da teatro se ne abbia a
male, a vedere il suo soggiorno ridotto a quello stat..»
Valeria si voltò di scatto nonappena udì la mia voce: aveva l'aria sconvolta, e lo sguardo
da pazza – beh.. più del solito, cioè. Fu con la voce rotta dall'angoscia che mi si avvinghiò
addosso:
«Meno male che sei tornato tu. Stavo per venirti a chiamare: Angelo si è sdraiato sul letto,
e poi..»
«Tutto OK: stai tranquilla. A me è già successo, e non c'è nulla da temere: questo è
semplicemente il modo in cui si manifesta Gino.»
Quando lui replicò facendo un cenno di OK con la mano, Valeria si sentì immediatamente
risollevata – ed io, all'idea di scrostarmi quella cozza di dosso, ancòra di più.
«Adesso tu ti siedi qui», estraendo da sotto la scrivania la poltroncina rossa, col suo
caratteristico cigolìo e sferragliare di rotelle, «e soprattutto ti sforzi di mantenere la calma,
okay?»
In altre parole: zitta e buona, e non scassare la minchia al sottoscritto.
191
(37)
«Sei sicuro che non ci sia pericolo?»
«Abbastanza. E comunque ricorda: è stato lui stesso, ad invitarti.»
«Angelo, puoi sentirmi?», sussurrò all'indirizzo di Gino.
Incominciamo male:
«Gino.», scandii, facendo ben pesare la distinzione.
Fu lui a rompere il ghiaccio. Dapprima, puntandole l'indice addosso. (Le mise addosso
una soggezione tale che quella quasi mi sveniva dallo spavento!) E poi, portandosi il dito
alle labbra, per allontanarlo dalla bocca aprendo il palmo poco a poco.
«Che cosa ha detto?»
«Ti invita a parlare. Su: prova! Fagli una domanda.»
«Una domanda qualunque?»
«Purchè pertinente.»
«Sarebbe a dire?»
«Beh, ti dico solo questo: non è tipo da essere incline alle fesserie.»
Gino schioccò le dita.
«Dice di spicciarti.», tradussi.
«Ma non lo so! Davvero, Gino: non ho idea di cosa domandarti..»
Che si fosse rivolta direttamente a lui mi fece sentire improvvisamente accantonato,
improvvisamente inutile: un ambasciatore ridotto al rango d'interprete per una pivella di
neo-arrivata, fresca-fresca di nomina, prescelta non per meriti accademici quanto piuttosto
per nepotistica raccomandazione.
Scandagliàti i ritmi cerebrali di Valeria, Gino si stufò ben presto di aspettare invano la
formulazione di un quesito specifico – e si risolvette a ripetere per lei la manfrina
preconfezionata del libro di Piero Angela che aveva già recitato per me: tot volumi a partire
dalla destra dello scaffale, numero di pagina indicato lampeggiando con le mani a mo' di
morra cinese, eccetera eccetera.
Il massimo che seppe dire Valeria alla fine della sceneggiata fu:
«Ah. Capisco.»
Mi caddero le braccia:
«Tutto qua? Ma ti rendi minimamente conto di chi ti ritrovi davanti?! Hai una benchè
pallida idea dell'esperienza straordinaria che stai vivendo??»
«E! Certo che sì.»: detto proprio come le bambine che non vogliono sfigurare quando in
via del tutto eccezionale è stato loro concesso di partecipare a un gioco di maschi del quale
non ci capiscono un'acca.
«(Non ne hai certo l'aria..)», bofonchiai.
«Non ho capito. Puoi ripetere?»
«Dicevo: e allora approfittane. Ponigli delle domande. O dì qualcosa..»
«Perché non parla lui?»
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«Non è in grado di parlare.»
«E di scrivere?»
«...»
Non ci avevo mai pensato. Possibile? Una cosa così semplice.. un'alternativa così ovvia..
Gino, implacabile come sempre, colse al volo l'occasione per affondarmi nella vergogna:
OK.
«Sta dicendoci che è disposto a scrivere?»
Cocente umiliazione:
«Vedo che impari in fretta, Valeria. Accòmodati, allora: è tutto tuo.»
NO NO.
TU (rivolto a me). Poi il pugno chiuso con l'indice a becco d'uccello rivolto verso il
pavimento, e due rapidi su e giù col polso. Valeria mi implorava con lo sguardo,
disorientata:
«“Nient'affatto. Tu resti proprio qui.”», tradussi per lei.
OK.
«Ah be' , grazie tante. Vedi che allora servo ancòra a qualche cosa?», porgendogli la biro
raccattata dalla mia scrivania.
Mano a C con le dita unite: lo stesso segno che aveva usato per PERCHÉ. Poi tirò fuori
la lingua e ne toccò la punta. Così com'era uso, esplicitai:
«“In che lingua?”»
«Ma certo! Ci sono!! Ci sta domandando in che lingua deve scrivere!!!»
«Brillante deduzione davvero, Valeria.»
«Grazie!», si pavoneggiò lei, ben lungi dal cogliere la mia ironia.
«Significa che puoi scrivere in qualsiasi lingua?»
OK.
«Anche in arabo?», domandò lei.
OK.
«Anche in lingue antiche – che so, in geroglifici?», domandai io.
OK.
«Bene, allora. Per me, vada per i geroglifici.», desideroso di metterlo alla prova. Poi
sarebbe toccato al cuneiforme, al runico, ed infine ai glifi maya – per concludere la sezione
esotica. Cui sarebbero seguìti giapponese, cinese, cirillico.. poi le lingue ignote ad Angelo:
tedesco, spagnolo, inglese.. e solo da ultimo..
«L'italiano!», stabilì Valeria. Poi, rivolta a me: «Sei matto? I geroglifici?! E chi li capisce
più, poi?»
Mi aveva fatto sorgere il dubbio che potesse trattarsi di una scelta definitiva, e così..
«Vada per l'italiano.», accettai a malincuore.
Inaspettatamente, Gino spinse in avanti entrambe le mani coi palmi aperti: ALT!
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«C'è qualcosa che non va?», domandò Valeria preoccupata.
«Non lo so. Fallo finire di parlare, così lo scopriremo.»
Gino mi regalò un OK! cameratesco, puntando l'indice e schiudendo la mano come a dire
“Hai ragione. Eh, è ovvio!”. Ciò mi fece sentire un po' meno inutile, e contribuì a farmi
recuperare qualche punto sull'invasore in gonnella.
IO SCRIVO. TU (indicando me) TU (indicando Valeria), dunque VOI.. Poi l'atto di
stracciare un foglio, IO IO, un NO ampio e fermamente risoluto, e infine indicò gli occhi e
spostò l'indice sopra il palmo aperto.
«Io non ci ho capito niente. E tu?»
«Forse sì, Valeria. Vediamo: ci stai proponendo un patto, è giusto?»
OK.
«Tu sei disposto a scrivere a patto che noi distruggiamo i fogli senza farli leggere ad
Angelo.»
OK!
«Sei disposta a prometterlo, Valeria?», le domandai, forte della nuova dignità che aveva
assunto il mio ruolo di “interprete dell'oracolo”.
«Sì, certo.»
«Anch'io. Dunque.. Te lo promettiamo.»
IO VEDO VOI.
«Lo sappiamo.»
TU SAI. LEI NO.
Valeria arrossì: Gino le aveva letto il pensiero, ed è facile supporre che cosa: lavandaia
com'è, pensava certo di cavarsela con una promessa a dita incrociate per poi spiattellare
tutto ai quattro venti nonappena le si fosse presentata l'occasione buona.
«Se non basta, posso giurartelo.», tentò stizzosamente di difendersi.
«Non serve: Gino sa perfettamente cosa pensi, e se gli stai mentendo se ne accorge
all'istante.»
Altro OK! cameratesco. Però questa volta stava esagerando: era ingiusto umiliarla. Così
sorpresi me stesso, ritrovandomi a spalleggiarla con una battuta autoironica volta a
metterla nuovamente a proprio agio:
«Ah guarda, se è per questo Gino mi ha sgamato persino a mentire a me stesso, figùrati!»
«Davvero?»
Rispose Gino per me, con un OK che sembrava quasi voler esprimere anche plauso per la
mia scelta di non infierire su di lei. Gli porsi dei fogli, e lui se li sistemò sul torace –
mantenendo gli occhi sfocati in un punto nel vuoto, persino mentre scriveva.
ANGELO E ARRABBIATO
«“Angelo è arrabbiato.”», lessi per Valeria. «Che significa? E con chi?»
IO.
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«Con te, Gino?»
OK.
Gino appariva affaticato da una lotta interiore, per certi versi simile a quella di chi sta
cercando di trattenere uno starnuto. Poi improvvisamente si infilzò la milza con un dito,
esercitando una forte pressione che mi ricordava tanto il protagonista di un cartone animato
giapponese e la sua “tecnica Hokuto”, sorta di agopuntura estrema a mani nude.
«Ahò, dico!? Cosa cavolo ti credi di star facendo?», lo aggredii. «Non ti permetterò di fare
del male al corpo di Angelo: smettila immediatamente!»
Ancòra un paio di a-fondo, e poi cessò. Giusto quando stavo per intervenire io a
immobilizzarlo. Con l'aria visibilmente risollevata, scrisse:
A VUOLE TORNARE
L HO RIMANDATO VIA MA FATE PRESTO
«Perché scrivi A al posto di Angelo?», gli domandò Valeria ingenuamente. Le risposi io
stesso:
«Per la stessa ragione per cui salta accenti e apostrofi non necessari: inutile sprecare
lettere. Ovvio!»
Un OK! seguìto a ruota da un doppio schioccar di dita a incalzarci.
«Tu affermi che Angelo è l'unico in tutto l'Universo, oltre a te, a Pensar Grande. Com'è
possibile che un essere umano, per sua natura imperfetto..»
Stavo ancòra finendo di enunciare il mio quesito, che lui già aveva scritto:
A E PERFETTO LIMITATO SOLO DAL CORPO
Non gli riuscì di chiudere l'anello dell'ultima O, chè gli cadde la penna di mano – il volto
sofferente e il tronco agitato da strane contrazioni, spasmi che poco a poco si acquietarono.
Fu lui a tranquillizzarci con due gesti:
OK. SVELTI!
«Se Angelo Pensa Grande, qual è la caratteristica di Valeria?»
CAPIRE GRANDE
Non c'era il tempo materiale per sollevare obiezioni e così, ottemperato cavallerescamente
al “prima le donne”, domandai di me – e la risposta che Gino mi diede fu memorabile, nel
vero senso della parola. Al punto che se me la stampigliai a lettere di fuoco nella mente, non
fu solamente per via del patto di non lasciarne traccia su supporto cartaceo.
POSSO SOLO DIRTI CHE
QUALUNQUE COSA ACCADA
TU VALI MOLTO PIU DI QUANTO PUOI PENSARE
E SI CHE SEI EGOCENTRICO!
Parole che lì per lì fraintesi, restandoci pure assai male poiché mi parevano sancire il fatto
che io fossi l'unico del gruppo privo di “superpoteri”. Ciò che allora non avevo ancòra i
mezzi per comprendere, era che semmai mi veniva rivolto un enorme apprezzamento –
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ossia: “il pensiero non sarà mai in grado di definire nè tantomeno esprimere la portata del
tuo reale valore intrinseco”, che è Shaktico e dunque (come abbiamo già visto) trascendente
rispetto al pensiero che è di natura Mentale.
Purtroppo per noi, quella sera il fattore-tempo ci era sfavorevole – e Gino non mancava di
ricordarcelo ripetutamente, schioccando le dita. Così buttai lì una domanda-palliativo,
relativamente frivola ma che se non altro mi concedeva del tempo per pensare a qualcosa di
meglio:
«Hai accettato il nome che Angelo ha stabilito per te, ossia “Gino”. Dal momento che
adesso sei in grado di scrivere: desideri suggerircelo tu, un nome più consono e di tuo gusto
col quale chiamarti?»
CHE NE DITE DI “DIO”?
Valeria rimase a bocca aperta, incapace di credergli ma d'altro canto pure di smentirlo. Io
invece era almeno dai tempi delle scuole medie che mi ero messo in lista per un incontro a
tu per tu col principiatore dell'Universo. E sebbene non vi fosse evidenza alcuna che un tale
Essere ancòra esistesse, o se pur esistendo fosse in alcun modo interessato a questo
tragicomico frutto della sua creazione, in un certo senso me l'aspettavo che prima o poi
sarebbe giunto a tampinarmi.
Ci pensò Gino, a risolvere il nostro imbarazzo. Sdrammatizzando, più che correggendosi:
SCHERZO
GINO = OK
C'incalzò schioccando nuovamente le dita prima che io avessi avuto modo di pensare a
cosa domandargli, così non ebbi nulla da ridire sul riempitivo propostogli di Valeria:
«Perché non guardi mai il foglio dove scrivi?»
IO NON “VEDO”
NON CON GLI OCCHI DI A
«Eureka!», esclamai, tanto che Gino riesumò per l'occasione il vecchio gesto per
“SPARA”. «È una domanda talmente ovvia che mi vien quasi da chiedermi perché non ci
abbia pensato prima.»
Inequivocabile il pugno che si apre e chiude: STRINGI.
«Hai ragione, scusa. La domanda è: qual è il compito mio e di Valeria?»
Il suo modo particolarissimo di mimarci un ALLELUJA (allargare le braccia coi palmi
delle mani rivolti al cielo come fa il Papa) sembrava voler dire: “È tutta sera che aspetto di
sentirmi rivolgere questa domanda, che poi sarebbe l'unica in nome della quale mi sono
trattenuto con voi così a lungo.”
DARE FIDUCIA AD A
Un altro attacco: il più forte. Gino stavolta sembrava star avendo la peggio, così ci fece
cenno di distruggere i fogli.
«Stracciandoli?»
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CIRCA OK. Poi strisciò il pollice sopra il pugno chiuso, mimando un accendino a gas.
«Dobbiamo.. bruciarli?»
OK.
«E dove?»
Mi indicò il cestino di plastica rosso sotto il lato sinistro della mia scrivania. Proprio
quello che Angelo è da sempre solito sfottere, per via della mia “fissazione” (così la chiama
lui) di separare i rifiuti: la carta e tutto ciò che vi è di combustibile a sinistra, e il resto nel
cestino che sta dall'altra parte.
Obbedii senza pensarci su due volte. “Di sopra c'è il caminetto, che sarebbe la scelta
migliore, ma si vede che Gino vuole approfittarne per darci un segno, o anche solo per
mettere alla prova la nostra fiducia in lui.”, pensai. Voglio dire: se Dio-o-chi-ne-fa-le-veci ti
ordina di dare fuoco alla carta in un cestino di plastica, una buona ragione ci dovrà pur
essere, no?
Invece non c'era. Perlomeno non quella che credevo io, e così mi toccò precipitarmi in
bagno con il cestino in fiamme e la plastica che si squagliava, per spegnere quello
stupidissimo mini-incendio sotto il getto d'acqua della vasca. Al mio ritorno in camera, Gino
aveva superato la crisi. Io non ancòra:
«Il minimo che puoi fare a questo punto, è spiegarmi perché.», sentenziai inviperito.
Per tutta risposta si pose le mani sul ventre, e mimò chi ride fino allo spasmo “piegandosi
in due”.
«Io non ci trovo nulla di divertente.»
IO OK.
Valeria era esterrefatta:
«“Tu sì”?!»
Gino annuì col capo, persistendo nella muta grassa risata di prima.
«In parole povere: dovevo arrivarci da me, che non bisogna bruciare la carta in un
contenitore a sua volta combustibile?»
Se avesse potuto parlare, avrebbe risposto: “Mais oui, mon cheri!”. Invece si limitò ad
allargare le mani, sorridendo in modo così beffardo da irritare persino Valeria. (Chè pure lei
si era presa un bello spavento.)
Dopo non ci disse neppure ciao: semplicemente si lasciò scivolare via. Mollò gli ormeggi,
nel senso letterale di chi permane a fatica, e ci restituì Angelo – sorpreso nel vederci fare
capannello attorno a lui:
«Sei già qui?», mi domandò incredulo. «Ci hai messo poco, a sparecchiare!»
Valeria rise con la mano davanti alla bocca. A me invece restavano appena le forze per dar
voce all'ultima parola di quella serata:
«Routine.»
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F
inalmente solo, ma qualcosa chiamava più forte del sonno: dal cassetto un foglio
graffiava come un gatto alla porta, reclamando la mia attenzione. E siccome
“casualmente” mi ritrovavo già con una penna in mano, scrissi.
La voce.
» » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » »"Tu pensi piccolo"
EGLI no.
» » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » "Io penso grande"
Pensare
» » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » Grande.
Gorgo warp tunnel buio
Pensare grande.
» » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » Dilatazione percezioni.
Categorie?
» » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » Puah!
Razionalità?
» » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » Pensare piccolo.
Macchia d'olio.
» » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » Fiorire fuori dal recinto.
Wind shrieks-thru-clouds
Respiro notte cielo alba colori
» » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » GRANDE
Col senno di poi, è facile oggi riconoscervi una prova tecnica di trasmissione del mio Sé
Superiore: colui che fino a quel momento mi si era rivelato solo come Euterpe, andava
stabilendo un canale privilegiato di comunicazione con il sottoscritto, e quelle parole
incespicanti ne costituivano il primo labile timido indizio.
In termini tecnici, suppongo si possa chiamare “channeling cosciente”: diversamente da
quello solito, in cui uno spirito-guida si impossessa del corpo del medium che poi parla o
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scrive in stato di trance, io e lui siamo Uno. Semplificando, è come se il me stesso del futuro
suggerisse per via telepatica al me di oggi cosa scrivere o fare. Io poi vaglio questi
suggerimenti e dò loro corpo di frasi, musica, o altro. In altre parole, sono invasato da me
stesso – col non indifferente vantaggio di capirmi al volo, di potermi fidare al 100% della
mia fonte (il me del futuro sono sempre io, solo più saggio), e di disporre fin da ora del
frutto di facoltà che acquisirò unicamente nel corso degli anni. Insomma: roba da
Predestinati, tanto per cambiare.
Mi avvoltolai a bozzolo dentro il piumone, braccio destro sotto il cuscino, toh ho
dimenticato di tirare le tende, chi se ne frega,
..e s on o a tavol a con A n gelo. O qu a lcu n o ch e ne h a u gu a le fi sion o m i a. (Bi s o gn a che m i
r icord i d i c a mbi a re l a luce d el s o g gior n o, p erché s e l a s c i a co sì ad o mbr àti i volti d ei m iei
co m m en s a l i, a l lor a t a nto va le.) Ehi, m a.. i l t avolo è quel lo roton d o, p erò n on si a m o a ffat to
a c a s a m i a. D ove c i t rovi a m o?
Non m i r ie s ce d i muover m i: u n a for z a m i ster io s a m i c at tu r a, leg a n d o m i con fi l i i nvi sibi l i
a que sto tavol i no ch e s e mbr a fa re d a pi l a stro p er l'i ntero Univer s o. For s e si a m o nel lo
Sp a z io.. I l si len z io co mu nque è s en z'a lt ro quel lo d el lo Sp a z io E ster n o. (D ove l' h o gi à
s entit a que st a fr a s e? Ah gi à: “Wo m a n i n love” , l a c a n zone pre stat a a B a rbr a Strei s a n d d a i
B ee G ee s.)
Re spi ro u n'a r i a st r a na: s e mbr a piutto sto u n f lu id o d en s o, u n a sp e c ie d i m a g m a energetico
i mp a lp abi le, m a d i cer to i nad atto a t r a s m et tere i l suon o d el l a m i a vo ce. Po co i mp or ta, t a nto
i l m io p en siero p a re i nfi lt r a r si co m e u n fu m o d entro a i p or i d i o gni co s a che m i c i rcon d a.
S corgo A le s s a n d ro a l l a m i a d e st r a: a nch e lu i a l bu io d a l l a te st a a l tor ace, m a s on o più ch e
sicu ro ch e si a propr io lu i. D iver s a m ente d a l ti z io ch e m i st a d i fronte: co m i n c io a s o sp et ta r e
che non si t r at ti d i A n gelo, m a d i Gi no. (Fa rebb e for s e qu a lch e d ifferen z a?)
Un t app eto ret ta n gol a r e s ot to d i n oi. O u n a st uoi a, m a g a r i. C er ta m ente n on i l lo goro
vec ch io t app eto ch e to s si s ce l a p olvere d egl i a nni d o m e stic i, gi acend o m a n sueto s ot to i l
tavolo d el m io s o g gior n o.
“Vabb è”, m i d ico, “s a i chi s s en efr eg a !” .
Tut t'i ntor no, i l Nu l l a . Ch e fi ni s ce col d a r m i i l c ap o gi ro, e co sì e c co s orgere i n m io
s o c cor s o m i ster io s e p a l l id e r i lucen z e, a m o st r a r m i gl i a n gol i d i u n a p s eud o-st a n z a vi r tu a le:
p a r ven z e d i confi ni cu i a ggr app a r m i p er n on s c ivol a re nel lo s go m ento d el l 'h or ror vacu i che
m i at t a na gl i ava pr i m a . I n rea lt à è s olta nto u n tr uc co, u n'i l lu sione. E, p er m a nten er m i
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con s c io d i que sto, i l cub o ch e r ac chiud e i l m io sp a z io h a p a reti t r a sp a renti – d'u n a
t r a sp a ren z a i mp o s sibi l m ente tot a le, a l pu nto d a r i su lt a re i nvi sibi le.
L a que stion e s e m m a i è u n'a lt r a: ch e c i fac c io io, s opr a u n t app eto vola nte d el c avolo, coi
le mbi ch e non gl i svol a z z a n o ne m m en o, i m m er s o nel l a qu iete i n s on or a d i u n a b ol l a cubic a
s c a r aventata nel lo Sp a z io E ster n o, s eduto a tavol a con A n gelo e A l e s s a n d ro?
E p oi: d ove ac c id enti è, i l m io c a l zone fa rc ito?
XX I I s e colo. I nter n o not te. O ppu re gior n o, m a con u n a i l lu m i n a zione ver a m ente p e s si m a.
(O r a ch e c i fac c io c a s o, que sto lo c a le p a re non p o s s ed ere fi ne str e: p otrei a nch e t rova r m i i n
fond o a l m a re, p er quel ch e m i è d ato o s s er va re; o nel le vi s cer e d i u n a m onta gn a, tip o u n
bu nker a nti-ato m ico; o su l l a Lu n a.)
Luce a l n eon ch e s e mbr a qu a si u n'au reol a, a u n m et ro buon o s opr a l a m i a te st a. Un
cor r id oio, a su a volt a i nter s e c ato d a a lt r i cor r id oi: tip o i l c l a s sico d ed a lo ch e at t r aver s a i
p ad i gl ioni d el lo SM AU a l qu a r tiere fier a d i M i l a n o. D ev'e s s er e O t tobre, a l lor a.
Sì, cer to, co m e n o? O qu a l si a si a lt ro m e s e d el l 'a n no. A m m e s s o e non conce s s o ch e i n u n
p o sto si m i le i l concet to d i m e s e (d i più a ncòr a: i l concet to ste s s o d i te mp o) con s er vi u n
qu a lch e si gni fic ato.
G ente t r a felat a i n c a m ic i a bi a n c a e c r avat t a, che ent r a ed e s ce a get tito conti nuo d a l le p or te
vet r ate ch e si a ffac c i a n o su l cor r id oio. B o m: s on o fi nito nel ve c chio u ffic io d i m i a m a d re, o
i n u n d i st ret to d i p ol i z i a d i quel l i d ei telefi l m a m er ic a ni. A nd i a m o b en e..
A p a r ti re d a u n m etro d a ter r a le p a reti s on o d i plexi gl a s s t r a sp a rente – a lt r i m enti s on o io
che c i h o l a vi st a a r a g gi X, e p otrebb e pu re d a r si. Co mu nque si a: s c r ut a n d o c i at t r aver s o m i
fac c io l'id ea d i u n s a lone ster m i nato, t a l m ente va sto ch e non s aprei t r ac c i a r n e i confi ni
neppu re p er appro s si m a z ion e. S a t a nto d i cyb er sp ace m at r i x ..
Non s aprei d i re s e l a co s a più st r a n a è ch e qu i ne s su n o p a re fa r c a s o a l l a m i a pre s en z a,
oppu re ch e que sto fatto m i tor n a p er fet t a m ente nor m a le – a nch e qu a n d o qu a lcu n o m i
c a m m i n a at t r aver s o, s en z a c au s a r m i neppu re u n m i ni m o pi z zicor i n o a l na s o. Tutto OK,
i n s o m m a, t r a nn e p er i l fatto che.. Y u c k ! L a vi su a le co m i n c i a ad o s c i l l a r e, co m e
i nqu ad r at a d a u n a tele c a m er a p o st a s opr a u n a z at ter a.. O dd io, m i st a venen d o i l m a l-d im a re! (C hied erei volentier i u n Tr avel gu m a l pr i m o p a s s a nte, s e s olo m i r iu s c i s s e d i
co mu nic a re con qu a lcu n o.)
Toh? M a tu gu a rd a u n p o': si sp a l a n c a l a p or ta propr io d ava nti a m e, e ch i n e e s ce? Io e
A le s s a n d ro. Lu i è ve stito col gi ro col lo nero, d ei p a nt a loni st r a ni (u n i n c ro c io t r a stoffa tip o
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j ea n s, p el le, e pla stic a) ner i a nch'e s si, e i s ol iti a nfibi. Qu a nto a l s ot to s c r it to, i nve ce,
i n d o s s o u n a t u nic a ner a d a l l a fo g gi a a s s a i p a r ticol a re, conte mp or a n ea m ente a ntic a e
futu r i stic a: lo si p otrebb e d efi ni re u n abito s en z a te mp o, at tu a le ed eleg a nte nel l 'E git to d ei
fa r aoni qu a nto su l p onte d i co m a n d o d i u n'a st ron ave.
Ehi, m i h a st r i z z ato l 'o c chiol i no! (M a for s e d ov rei piutto sto d i re “m i SONO ”.) Ch e m i
p o s s a ved ere?
Provo a chi a m a rlo/m i, m a fa sp a l luc ce. Non s aprei s e p er ri sp on d er e a m e (tip o “m i spi ace,
m a n on è i l m o m ento giu sto”) oppu re a l ti zio che l i ac co mp a gn a – u n p ez zo gro s s o, a nch e
i n s en s o d i st a z z a fi sic a: i nd o s s a le bretel le, d i quel le i n c ro c i ate d ietro l a s c hien a, e gl i
re st a n o p o chi c ap el l i gr i giobi a nchi i n te st a .. M a chi c a spit a è? E co s a c'è s c r it to su quei tr e/
qu at tro fo gl i che regge i n m a n o, e d i cu i st a nn o d i scutend o t a nto a ni m ata m ente?
Li s eguo con lo s gu a rd o fi n o a qu a n d o svolt a n o l 'a n golo a si ni st r a i n fond o a l cor r id oio.
Vor rei s egu i rl i, m a non m i p o s s o muovere! M i s ento i mp ac c i ato co m e u n concor rente d i
telequ i z co st ret to a st a r s ene i m m obi le a favore d i tele c a m er a s opr a u na X su l p avi m ento..
Nuovo c a mbio d i s cen a .
D ue r a g a z z e ch e si b ac i a no. App a s sionat a m ente, m a s en z a vol g a r ità. L a luce d el l a s er a
fi lt r a at t r aver s o le i nfer i ate d el l a fi ne st r a con l a s o m m it à a gu gl i a, tip o le p or te d el le
m o s ch ee: u n a bi for a s en z a “bi” .
A l le m ie sp a l le, u n o s c a ffa le d i l ibr i – m olti d ei qu a l i s on o te sti a ntichi e m a l r i leg àti,
con le pa gi ne i n gi a l l ite che sp a r a no-fuor i i r regol a r m ente, i le mbi s gu a l c iti tip o m app a d el
te s oro.
Lu n ghi tavol i d i legn o gr e z zo, pi a l l ato m a non ver nic iato, con gl i spi gol i s mu s s ati
a r roton d ati d a l l'u su r a, e qu a lch e m a c chi a (d i c ib o o i nchio st ro, non s aprei d i re) or a m a i
a s sorbita d a l le venatu re p oro s e, ori gi na r i a m ente fibre d i u n m a r ron e s cu ro con p a l l id e
venatu re d i gr i gio.
O: i n que sto p o sto s e non a lt ro l'i m m a gi ne è st a bi le, rol l io z ero. Però è static a: u n a sp e c ie
d i foto gr a m m a t r id i m en sion a le, i nqu ad r ato d a u n pu nto prefi s s ato nel lo sp a z iote mp o: quel lo
d ove m i t rovo io.
È i l 17 2 1 e c i trovi a m o i n u n m on a stero, for s e i n Sve z i a . Que sto p otr ebb e e s s ere i l
refet tor io co m e u n a s a l a d i let t u r a: le p a reti i n effet ti s on o t app e z z ate d i l ibr i, m a non i n
nu m ero su ffic iente p er r icon o s cerl i co m e l a bibl iote c a d el convento.
201
(38)
L e due giova ni s si m e a m a nti i nd o s s a n o i l s a io, col c appuc c io rivoltato su l le sp a l le: av r a n no
sì e n o u n a qu i nd ici n a d'a nni, m a i l loro A m ore p à lpit a tut t'i ntor n o for te d i u n a stor i a
m i l len a r i a i ntercor s a t r a loro.
Rip ens a n d o c i, suppu n go d i aver pre s o u n abb a gl io: s a r a n no for s e st ati l a fre s ch e z z a d ei
l i n ea m enti d el loro volto, o quei c ap el l i l i s c i e n er i s si m i ta gl i ati a c a s c h et to (e i l co cu z zolo
r ap ato a z ero!), m a è ov vio d e su m er e s e non a lt ro d a l l'abbi gl i a m ento ch e si t r at ti d i due
r a g a z zi .
Mo' ch e c i fac c io c a s o: quel lo che st a su l l a m i a si ni st r a, s e m i na s c o sto nel l a nic ch i a
d'a n golo t r a l a fi ne st r a e i l mu ro, p op ò s o m i gl i a ad A le s s a n d ro – rob a che qu a si i nvid io i l
for t u nato ch e s e lo st r i n ge fr a le br ac c i a ! Pe c c ato non p oterlo s corger e i n volto, avvi n gh i ato
p a s sion a l m ente co m 'è a l le l abbr a d el l'a m ato.
M i au gu ro ch e non fi ni s c a no col p a s s a re u n gu a io: p ercepi s co i nfat ti u na pre s en z a a loro
p oten z i a l m ente o sti le (u n a lt ro m on aco, pronto a fa re l a spi a? l'ab ate d el convento i n
p er s on a?) ch e st a at t r aver s a nd o i l cor r id oio che i nter s e c a n d o que st a st a n z a p or t a d r it to a l l a
cuc i n a – i l lo c a le d iet ro d i m e.
S e s olo l i p ote s si avvi s a re! S on o co sì c a r i ni i n sie m e, e i n d ovi no u n gr a n d e e pu ro
s enti m ento t r a d i loro.. Vabb è d a i: h a n no m i l le r a gioni pl au sibi l i p er t rova r si qu i, vi sto che
st a nn o re st au r a nd o d ei co d ic i a ntichi – co m e è fac i le d edu r re d a l le b o c cet te d i i n ch io st ro
color ato d i sp o ste i n b el l 'ord i ne su l t avolo, o gnu n a con u n suo p enni n o i nti nto d ent ro. Epp oi
d ate le c i rco sta n z e st a r a nn o su l chi vive, no?
Fac c io ad ent r a mbi i m iei m i gl ior i au gu r i – e ne avete bi s o gn o, vi sti i te mpi bu i i n cu i
avete l a d i s gr a z i a d i vivere. (M a propr io u n convento d i p ed er a sti repre s si e s e s suofobic i,
d ovevate s cegl ier vi, d op o tut ti que sti s e col i?)
M i r ac co m a n d o: o c chio – a n zi: orec ch io a i p a s si ch e si avvici na no!
Poi la colonna di luce, che faceva luccicare le particelle di polvere immobili a mezz'aria,
specie di acquario tubolare che mi conteneva in sospensione galleggiante tra pavimento e
soffitto, si dissolse nel buio dello Spazio Esterno. Ed io con essa.
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M
i scardinai dal materasso controvoglia, puntellandomi con la forza di volontà, e
tirai le tende facendo aperto-sipario su una radiosa giornata autunnale. A dire il
vero non ricordavo di averle chiuse, ma chissenefrega: per la prima volta dopo
molti giorni avevo dormito benissimo, e l'unica cosa che m'importava era di sentirmi bello
fresco e riposato – un po' come questa mattina, che l'inverno sembra essersi preso una
vacanza lasciando il posto anzitempo alla primavera.
Non c'era un solo istante da perdere: mi misi immediatamente al lavoro. Perché non ci
avevo pensato prima, di dedicare un floppy-disk alle vicende paranormali? Dopotutto, per il
medesimo motivo che mi spingeva a non lasciare in giro nulla di scritto, la soluzione
informatica era l'ideale – specie con la precauzione di registrare i files con un trucco che
solo gli esperti programmatori del Commodore64 conoscono: in questo modo nessuno, tra
amici fratelli e parenti, sarebbe mai stato in grado di profanare il mio archivio segreto. C028
Per farla breve, a furia di “copiato questo, giuro che vado a fare colazione”, per ora di
pranzo avevo ultimato i trasferimenti di files – così da poter tranquillamente dedicare il
primo pomeriggio alla stesura della nuova scaletta per Gino, che avrei usato quella sera
stessa.
«Quasi due facciate! Che ora s'è fatta? Le sei?! Cribbio, devo correre in palestra!»
Feci ritorno a casa stanco ma felice – più che altro per la Gatorade al limone ghiacciata
con la quale ero solito premiarmi dopo due ore vissute da bue.
Me ne stavo lì seduto sul letto, a rigirarmi tra le dita la tessera della palestra e gongolando
al pensiero “Chi l'avrebbe mai detto che avrei resistito per un anno intero?”, quando
qualcuno mi fece sobbalzare bussando forte col dito al vetro della finestra. Lo sapevo
benissimo, chi era, e senza neanche stare a voltarmi gli feci cenno di entrare.
«Si può sapere che bisogno c'è, ogni volta, di farmi prendere un colpo? Sai che è aperto:
dunque entra, no?»
«E poi il divertimento dove lo metti?»
Lasciamo stare. Tanto mi sa che per certe cose non cambierà mai.
Quella sera per non insospettirli aveva già cenato coi suoi, che non vedevano di buon
occhio la recente abitudine del figlio a frequentare più gli amici che la famiglia: non ci
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(39)
restava altro da fare che starcene buoni-buoni in camera ad aspettare. Sapevamo bene
entrambi quel che doveva accadere, ciònondimeno era difficile rintuzzare i minuti che ci
separavano dal nuovo contatto con Gino senza avvertire almeno un po' di imbarazzo: lo
stesso che si legge in faccia ai giornalisti dei tiggì quando il servizio che hanno annunciato
tarda a partire.
Siccome Angelo nella conversazione spiccia è più versato di me, gli lasciai volentieri
l'onere di attaccar bottone:
«Allora? Come ti è sembrata Valeria?»
«In che senso?»
«In generale.»
Ih, che fastidio, quei suoi “in generale”! Quando vuol spremerti a fondo e farsi dire tutto
quello che pensi, ma proprio tutto, stai ben sicuro che ti propinerà uno dei suoi
stramaledetti “in generale”! Con tutto che sa benissimo che io sono tipo da prenderlo in
parola, e lo ero specialmente allora nei panni di Mr.Spock cui era appena stata richiesta
un'analisi completa:
«Ben vestita. Forse un po' troppo sgargiante, ma comunque in modo da valorizzare il suo
aspetto fisico – eccessivamente opulento rispetto al mio topos di eterno femminino, tuttavia.
Soprattutto stento a comprendere che senso abbia, per una bionda naturale come lei,
ossigenarsi i capelli.»
Fui sorpreso nel constatare che Angelo mi stava effettivamente seguendo, tutt'altro che
disinteressato – come invece sarebbe stato facile prevedere. Né pareva in alcun modo offeso
della mia analisi. Volevo proprio scoprire fino a che punto avrebbe taciuto:
«Tacco eccessivo. Profumo eccessivo. E tutta l'aria imbranata di voler fare buona
impressione a tutti i costi, peraltro partendo col piede sbagliato: non è l'esteriorità, tanto
meno quella di una donna, a far presa su di me.»
«Continua.»
I casi sono due: o voleva prender tempo nell'attesa che il “lieto” evento si compisse,
facendo parlare me mentre lui se ne rimaneva lì a cazzeggiare per i beati pensieri suoi,
oppure si stava facendo beffe di me:
«Sfotti?»
«Dico sul serio: continua. Io intanto, se permetti, mi sdraio un po'.»
Il dubbio si era fatto certezza.
«Te la sei cercata. Guarda però che io vado avanti sul serio, sai?»
«Parla, parla.», e intanto si sprimaccicava il cuscino.
«Vabbè. Allora.. quid dicam?»
«Eeeeh?»
«Latinismo.»
«Aaaaah.»
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«Che dire? Valeria mi..»
«Significa quello?»
«Cosa? “Che dire?”»
«Mh.»
«Sì. “Quid dicam” uguale “che dire”. Ma era il caso di interromperm..»
«E non potevi dire sùbito “che dire”?»
«Uffaaa! Mi fai parlare oppure no?»
«Parla, parla.», e si voltò a pancia in giù e col naso da Pulcinella spiovente dal cuscino.
«Dicevo: Valeria, e non avertene a male, mi sa tanto di una wannabe che però in realtà..»
«Parli così tanto per essere chiaro, vero?»
«Ma insomma! Stavo per l'appunto spiegandoti! Eppoi, scusa, se uso certi americanismi
lo faccio anche per riguardo alla tua notoria americanità.»
«O per indottrinarmi.»
«Vuoi dire come fai tu, quando insisti pervicacemente ad inculcarmi i termini tecnici del
gergo sportivo?»
«Touchè.»
«Anche se non conosci la parola “pervicacemente”?»
«Touchè.»
«Non è da te darmi ragione per ben due volte consecutive, oltretutto senza ribattere
alcunchè.»
«Touchè, anche se non capisco perché usi la parola “alcunchè”. Vai avanti.», e tornò a
sdraiarsi a pancia in su.
«Lo dici solo perché Gino tarda a venire.»
«No.»
Si voltò a guardarmi, ma con un'aria troppo sorniona per volergli credere:
«Davvero! Baaabbo!»
«“Babbo”? Che significa?»
«Mi sa proprio che d'ora in poi ti chiamerò così: Babbo Alessio!»
«E perché, di grazia?»
Io pensavo che si riferisse a Babbo Natale, per via della mia barba o dell'aria bonacciona
che taluni mi rimproverano. Tre anni dopo scoprii che nel gergo dei gggiovani (proprio
quelli con 3 “g” davanti) “babbo” significa “rimbambito”, “fessacchiotto”.
«Posso parlare, adesso?»
«Ma certo, babbo!»
«Ridi, ridi, chè la mamma ha fatto 'i gnocchi!»
«Eeh?»
«Niente: è solamente un modo di dire.»
«Ah. Volevo ben sperarlo.»
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«Senti.. Hai finito? No, dico, con questo dialogo di quart'ordine potremmo considerarci in
lizza per l'Oscar dedicato ai film di Van Damme!»
«Ehi! Modera i termini: a me piacciono, i film di Van Dam!»
«Appunto!»
«Ne hai per molto?»
«Dipende da te: prevedi d'interrompermi ancòra molte volte?»
«Ti giuro no: tu parli e io ascolto. Promesso!»
«Facciamo finta che ti credo.. Dicevo: Valeria mi ricorda tanto il Manzoteam. Le quattro
inseparabili delle scuole superiori, ci hai presente? Se solo mi riuscisse di trovare l'esatta
traduzione dell'aggettivo inglese “tame”!»
«Approssima.»
«Mansuete come bovini. Scialbe. All'acqua di rose, e pure annacquata.»
«Insignificanti?»
«Beh, adesso non esageriamo!»
«..ma quasi.»
«Che fai? Te la prendi per Valeria?»
«Nient'affatto: mica sono obbligato a condividere le tue opinioni. Però m'interessa
ascoltarle: vai avanti.»
«Il fatto è che ancòra non mi è riuscito di capacitarmi del passaggio Cleo/Valeria. Sai cosa
significa “ain't no competition”?»
«“Non c'è competizione”.»
«Poffarbacco! E da quando, sai l'inglese?»
«No: è che non essendo ancòra completamente rincoglionito, diciamo che fin lì ci arrivo.»
«Ti stavo solo sfottendo un po'.»
«Davvero?? Toh, non me n'ero accorto! Minimamente! E tu? Tu te ne stai accorgendo?»
«Ha. Ha. Ha. Ho riso: soddisfatto?»
«Moltissimo. Continua.»
«Ha. Ha. Ha.»
«No, intendevo dire..»
«Ghghghgh! Ma va'?»
«Tu sei pazzo.»
«Grazie. Ritornando a Valeria: non c'è sfida. Che stimolo ti può dare, una così? A parte
quello sessuale, non dubito che sia importante, e la sensazione di trovarti a tuo agio con lei,
perché non è sfuggito neppure a me quel suo istinto direi quasi primitivo di.. “maternità”.»
«Ti sei impappinato?»
«Già. Troppi GOSUB.»
«Se lo dici tu..»
«Niente: è BASIC, tu non puoi capire..»
206
(39)
«E allora perché lo dici?»
«Scusami: hai ragione. Si tratta di una vecchia abitudine da programmatore. Ma,
riprendendo le redini del discorso..»
«Bella frase.»
«Grazie.. Insomma: personalmente, trovo Valeria deludente, non all'altezza. Specie al
paragone con la tua ex. Non regge – e come potrebbe? Ma forse sono solo le mie solite
cattiverie da misogino.»
«(Forse no.)»
«Hai detto?»
«Ho detto: si spiccia oppure no? Come se non bastasse dovergli fare da cavia.. Cosa si
crede? Che io abbia tempo da perdere standomene qui a tua disposizione?»
«Beh.. “tecnicamente” parlando..»
«Ma tecnicamente cosa??»
«Sì insomma, non prendertela a male, ma a quanto pare le cose stanno proprio così.»
E difatti.. TRUC: Angelo si spegne, come svenendo di colpo, e arriva l'ospite tanto
lungamente atteso.
«Ciao Gino, e benvenuto. O: era ora! Perché ci hai messo tanto?»
VOI PARLATE TANTO.
40
C
ioè eri tu ad aspettare noi? Che finissimo di parlare?»
OK.
«Ma scusa: perché non ci hai interrotti, se parlavamo troppo?»
NO. Come a voler puntualizzare un concetto che io avevo tradotto male, fece il gesto
usato nel basket per indicare “passi”.
«“Parlavamo a ruota libera”?»
Si mollò una sonora pacca sulla fronte: ero decisamente fuori strada.
«Tieni: scrivilo!»
NO.
«Oggi non puoi scrivere?»
OK.
«E perché? Non mi dirai che sei stanco, per caso!»
207
(40)
CIRCA OK.
Il punto era che in mancanza di almeno una seconda persona non disponeva di sufficiente
energia psichica cui attingere, quindi si vedeva costretto ad economizzare – limitando gli
sforzi alle forme di comunicazione più semplici.
«Forse ci sono: vuoi dire che, siccome noi stavamo dialogando, non sarebbe stato educato
da parte tua interromperci?»
Dito in fuori: il suo OK “all'americana”.
Allorchè estrassi la scaletta dal primo cassetto, Gino si diede un altro
SCCIAFF! sulla fronte.
«Ti dà fastidio, se uso questo promemoria?»
NO. E un eloquente gesto per “Ma prego, prosegui pure!”: il medesimo col quale Angelo
aveva accompagnato il suo invito sornione pochi minuti prima.
«Che fai? Mi imiti Angelo?»
Sorrisone alla Angelo. Triplette di “Mmm Mmm Mmm” alla Angelo. Tutta una gamma di
espressioni angelesche. Per finire, la grassa risata della serata precedente.
«Ho capito, ho capito. Direi che possa bastare: passiamo alle domande.»
Lessi pedissequamente dal foglio:
Angelo ha sempre saputo della tua esistenza?
«Mi riferisco alla sensazione che aveva avvertito su in montagna, quella di “sentirsi le
spalle protette”.»
CIRCA OK.
Tu sei un essere pensante, e hai detto che l'uomo NON è
essere pensante. Angelo pensa grande quasi quanto te,
quindi:
a) Angelo non è essere umano (lo era, ora è qualcosa di
più?)
b) Angelo non è essere pensante (zavorrato dal corpo)
«Quale delle due? A o B?»
TU NON PENSARE.
«Altra domanda, allora.»
Angelo è limitato dal corpo solo fisiologicamente (mangiare,
respirare, dolore fisico) o anche nel pensare (esistenza
oggetti d'amore, input sensoriali svianti..)?
TU NON PENSARE.
«Cominci a diventare un po' troppo reticente per i miei gusti, lo sai?»
OK.
208
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«Beh, se non altro è già qualcosa.», sorrisi autoironico.
Circa me: pensando-grande sarò pari ad Angelo? (mi riferisco a
quanto dicevi, che io e lui siamo uguali e penseremo-grande)
NO. IO-IO NON UGUALE TU. TU IO-IO.. e ripetè quel gesto che mi aveva fatto il
primo giorno: i due indici che si avvicinano fino a combaciare.
«Vale a dire: io e Angelo non siamo uguali, bensì.. che cosa?»
Ripetè per l'ennesima volta quel gesto, lentamente e con la massima precisione,
conferendogli un portamento simile a quello di un ipnoterapista che ti domanda di seguire
attentamente i movimenti del suo dito. Tutto inutile: nessuna delle mie ipotesi si spingeva
oltre un CIRCA OK.
«Meglio se passiamo oltre..»
Tu sei il solo essere pensante "puro" che esista?
SI: ti sentivi solo, prima di Angelo? Annoiato?
NO: comunichi con altri?
Sventola all'indietro. Mulinello. TU NON PENSARE.
«Significa che non devo pensare in termini di prima e di poi?»
OK. PRIMA POI UGUALE PENSARE PICCOLO.
Angelo potrebbe impedirti di manifestarti?
SI: dovrebbe deciderlo una volta per tutte, oppure puoi
"fronteggiare" i suoi "tentativi"?
TU NON PENSARE.
«Questa te la faccio poi..»
PERCHÉ?
«Preferisco mantenere un minimo di senso logico all'interno del discorso.»
La sua espressione sembrava voler dire: “Come credi, però certo che sei strambo forte!”
Tu e Angelo siete VERAMENTE distinti? O siete due facce di un
globale?
IO PARLARE DOPO.
«Ce lo rivelerai in seguito?»
OK.
«Perché non ora?»
Un dito sulle labbra. E il gesto per “non funge”.
«Ah, capisco: non sei ancòra in grado di parlare.»
OK.
209
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«Anche questa dopo..», e lui lasciò cadere le braccia – comicamente.
Cosa è l'intuizione? Risposta (più o meno): è l'equivalente nel
pensar-grande della deduzione nel pensar-Logico.
CIRCA OK.
Poco dopo pare ripensarci e si corregge:
TROPPO CIRCA. NO.
amicizia = pensare-piccolo?
NO.
NO: tu sei amico di Angelo?
OK.
Di me?
NO.
La qual cosa un po' mi offendeva, così mi premurai di verificare che non si trattasse di un
fatto personale:
di Valeria?
NO.
di Alessandro?
NO.
Posso parlare ad Alessandro di te, Angelo, me?
Da come rispose, Gino aveva tutta l'aria di aver aspettato quella domanda con
impazienza:
OK. VOI PARLARE LUI.
«Quindi anche tu ritieni che a questo punto sarebbe opportuno coinvolgerlo.»
OK.
«Un'ultima domanda.»
Gino si passò il dorso della mano attraverso la fronte, come a volersi detergere dal sudore.
«Lo so. Se ciò ti può consolare, sappi che è una gran faticaccia anche per me.»
OK.
Cleo potrebbe pensare-grande?
210
(40)
TU NON PENSARE.
Come mai non se ne parla più?
Ero del tutto incapace di rassegnarmi all'idea che una così bella storia d'amore fosse finita
per sempre, specie a quel modo. Così com'ero incapace di credere che Angelo potesse
amare Valeria quanto aveva amato Cleo. Gino rispose:
OK TU PARLI.
«Mi stai forse dando del pazzo che parla a sproposito, e quindi tanto vale lasciarlo
sfogare?»
NO.
«Allora stavolta intendi davvero dire: “bella domanda”!»
CENTRO.
«Mi sento l'unico cretino che pensa ancòra a Cleo.»
NO.
«E chi ci pensa? Angelo?»
OK.
«Ma allora perché sta con Valeria?»
IO-IO NON PENSARE.
«“Non lo sa nemmeno lui”?»
OK.
«Ma se mi hai detto tu stesso che Valeria gli dà fiducia!»
OK. ..e poi: ultima parte, uguale, il dito sul cuore, e poi a tracciare per aria un punto di
domanda.
«Il dilemma è se il dare fiducia sia amore oppure no?»
CENTRO.
«Io non saprei davvero cosa risponderti. Fosse per me, direi che il dare fiducia è una delle
peculiarità dell'amore – condizione necessaria, ma non ipso-facto pure sufficiente. Però
questo è quel che sento io. Cosa sente, Angelo?»
IO-IO PENSARE ?
«Neanche lui sa come sentirsi?»
CENTRO.
Qualche breve attimo di penoso silenzio intercorse fra noi, ma un silenzio così diverso da
quello precedente. Alla fine fu Gino a dirlo per primo:
IO VADO. TU PENSA CUORE IO-IO.
«Sono o non sono il suo migliore amico?»
OK. CIAO.
«A presto, vecchio mio.», e m'affrettai ad infilare nello stereo il CD di Freddie Mercury
che avevo sulla scrivania.
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(40)
«Che canzone è?», domandò Angelo stiracchiandosi.
«La bellissima cover di un pezzo dei Platters: “The great pretender”. Sai cosa significa?»
«No.»
«Io sì. E più di quanto t'immagini.»
..perchè a un vero Amico non si sfugge tanto facilmente.
41
U
n tavolo, o una scrivania. Forse uno scrittoio: in effetti pare abbastanza antico.
Un foglio di recupero, però di carta immacolata, inondata dai raggi di luce del sole
che battono obliqui attraverso l'ampia finestra davanti alla consolle.
Sopra, un appunto scritto di mio proprio pugno:
U h m, i conti n on m i tor n a n o. S a r à i l c a s o d i ver i fic a re l a d ata, su l gior n a le d i o g gi.
A-h a! Vi sto? Ch e ti d icevo, io?
M i c ad e lo s gu a rd o su u n a r ticolo d i fond o, che titol a a prop o sito d i u n b a mbi no d i 12 a n ni
che s'i nna m or a d el l a d onn a ch e l'h a pre co ce m ente i ni z i ato a l s e s s o. D e c id o d i d a rgl i u n a
s cor s a: at tac c a c ita nd o a lcu ni p a s s a g gi d i u n a p o e si a d'a m ore, i n genu a ed i nno cente, s c r it t a
d a l b a mbi n o p er lei. I n cu r io sito, pro s eguo a leggere:
Questo bambino è Alessandro Dedominicis
(Tz è! Gior na l i st a i n co mp etente: gl i h a i s c r it to i l co gn o m e tut to at t ac c ato!)
212
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“M m m..”, r i f let to. “Que sto spiegh er ebb e le sue d ifficolt à con le d onn e: d er iva no
s en z'a lt ro d a l l a con fu sion e s enti m ent a le i n cu i d eve averlo get t ato que sto a m ore acerb o.”
S ot to l'a r ticolo s corgo u n p a io d i r i ghe r ita gl i ate e appic c ic ate s opr a a u n a lt ro p ez zo: si
t r at t a d i u n o s c a mp olo d el l 'i ntervi st a ch e r ip or t a i l co m m ento d el l a m a d re d el pic colo, l a
si gnor a L a S a nt a. (A n zi n o: è u n co gn o m e più lu n go, m a s on o abb a gl i ato d a l s ole e non m i
r ie s ce d i leggerlo b ene. Però s on o sicu ro: non è quel lo d el l a m a m m a d el “m io” A le s s a n d ro.)
E s s a a ffer m a d i n on nut ri re né o d io né d i spre z zo p er l'a m a nte d el fi gl io, p erò c i tien e a
m a n i fe sta r e i l propr io d i s appu nto p er i l “co mp or t a m ento fuor i d a o gni p o s sibi le etichet t a
s o c i a le” che l a d on na h a d i m o st r ato a gen d o co sì, s educen d o u n r a g a z zi n o.
I nfi ne, i n b a s s o, u n col la ge d i st r i s ce d i c a r t a i nc ro c i ate a X s opr a d el c a r ton c i n o nero: è
l' au gu r io d ei co mp a gni d i s cuol a, a ffi n chè A LE SSA N DRO (lo leg go ch i a r a m ente, gi ac chè
st a s c r it to propr io i n st a mp atel lo m a iu s colo) si r i m et t a pre sto.
Un'on d a spu m eg gi a nte c a ncel l a l a st a n z a, e c i r itrovi a m o d ava nti a l b a gna s c iu g a i n u n a
spi a g gi a ex t r a-d i m en sion a le: io e lu i d a s ol i, ent r a mbi b a mbi ni, s eduti su l l a s abbi a gr i gi a e
u m id a . Si d i rebb e ch e si a gro s s o m o d o i nver n o.
A l e s s a n d ro-b a mbi no, s e m i-d i ste s o a l l a m i a d e st r a con le g a mb e a rcu ate co m e suo tipico,
m o st r a a l m e-b a mbi n o i l suo d i a r io d i “8 0 p a gi n e a z z u r re”. M e lo d à d a sfo gl i a re, e l a
pr i m a co s a ch e n oto è che l 'u lti m a p a gi n a è l a 79: d a l m o m ento ch e non si not a t r ac c i a
a lcu n a d i u lter ior i pa gi ne che av rebb ero p otuto e s s er st ate st r appate, d educo che l a
nu m er a z ion e si a co m i n c i ata d a z ero.
A s egu i re, a lcu ni fo gl i bi a nch i s opr a i qu a l i A le s s a n d ro aveva s c r it to d el le m a s si m e, d egl i
a for i s m i.. Più u n fo gl io A4 a ggiu ntivo, bi a nco a nch'e s s o, for s e a r i gh e, pieg ato a m età p er
non fa rlo sp orgere r i sp et to a gl i a lt r i a d i a r io chiu s o: c i s on o at t ac c ate due foto gr a fie,
c i a s cu n a m ed i a nte due a nel l i d i na st ro ad e sivo su l ret ro.
L a pr i m a, col lo c at a a l cent ro e s atto d el “d epl i a nt” (e p er ta nto a nch'e s s a r ipiegat a a m et à)
è i l bi a nco e nero d i u n a b a mbi n a su i 6/7 a n ni ch e i n d o s s a u n co st u m e d a b a gno i ntero, sti le
a nni '4 0, a l a r ghi st r i s c ioni ner i e gr i giop erl a – o u n qu a l sivo gl i a colore ch e i n bi a n co e
nero r i su lti co sì: for s e u n verd e, o u n blu s cu ro..
L a s e con d a è u n a foto d i gr upp o d i a lcu ni co mp a gni d i c l a s s e d el l a b a mbi na, r itr at ti d a l
loro m a e st ro i n fon d o a l cor ti le d i quel le che er a no le m ie s cuole ele m ent a r i. For s e si t r at t a
d el l a squ a d r a d i c a lc io – fat to st a che s on o s olo m a s ch i, e tut ti qu a nti nud i. Tut t a lpiù
213
(41)
p o s s on o aver i nd o s s o d ei p a nt a lon c i ni bi a nchi, o d el le muta n d e, b a gn àti a l pu nto d i
r i su lta re t r a sp a renti.
Quel le foto i mb a r a z z a n o t a nti s si m o A l e s s a n d ro, p erò st r a na m ente sp ec ie quel l a d el l a
b a mbi n a, e co sì volt a fret tolo s a m ente l a pa gi na on d e na s con d er m ele.
I n fond o a l d i a r io, o for s e si t r at t a d i u n l ibr ic c i no s ep a r ato che lu i c i tiene s e mpre s ot to,
p o e sie s c r it te a m atit a con c a r at ter i i ncer ti – tip o pr i m a ele m enta re: u n a gr a fi a tr e m ol a nte e
d i s egu a le. I n m a iu s colo st a mp atel lo le d ate; i l re sto, m i p a re i n cor sivo.
Sfo gl io qu a lch e p a gi n a, e p oi ne s cel go u n a a c a s o: quel l a d el 17 F EBBRA IO 197 7, e l a
leg go. L a suc ce s siva è i ntitolat a s olo F EBRUOR 19 7 7 (ch e si a l ati n o?), ed è u n a p o e siol a
i nfa nti le: m olto d olce nel l a su a i nno cen z a, nel suo c a n d ore.. Pic colo “d et ta gl io”:
l'a rgo m ento t r at tato è u s c i re d a l l a propr i a m ente, e lo s c ior i na con l a luc id ità d'a n i m o d i
u n gu r u m i l lena r io.
Pa rl a a n che d i “d e c k” .
« D e c k? » , gl i d o m a n d o p erple s s o.
« For s e d er iva d a Gib s on. » , su g ger i s ce A l e s s a n d ro, a lchè gl i fac c io n ota re ch e m a n c a n o
a ncòr a 4 a nni a “Neu ro m a n cer”.
App en a pronu n c i ate quel le p a role, m i s'i n fr a n ge add o s s o u n'on d at a i m m en s a d i st up ore,
a m m i r a z ion e e Ti m or-S ac ro p er l a spi ritu a l ità i n sie m e gr a n d e e preco ce d i A le s s a n d ro – ch e
io i nve ce avevo s e mpr e s ot tova lutat a.
L a p o e si a su c ce s siva d at a ? / ? / 19 8 0 : s c r it t a propr io co sì, coi pu nti i nter ro g ativi a l p o sto
d el gior no e d el m e s e, m a con l a c a l l i gr a fi a d i u n b a mbi no più pic colo r i sp et to a i 6 a nni ch e
A le s s a n d ro av rebb e av uto a l l 'ep o c a . S eguon o a ltre p o e sie, s e mpr e i n ord i ne c ronolo gico, m a
a quel pu nto ac c a d e u n a co s a i na sp et tat a: a l lorchè r ip on go i l d i a r io a l m io fi a n co,
a s sicu r a n d o m i d i ad a gi a rlo b en e s en z a s ol leva re s abbi a che fi ni rebb e con l'i nfi l a rc i si t r a le
pa gi ne, e c co m i i mprov vi s a m ente d iveni re sp et tatore d i u na st r a n a s cen et t a che si svol ge a
Ri m i ni. (Vat tel ap e s c a p erché propr io a Ri m i ni, con tut to ch e non c i s on m a i st ato i n vit a
m i a.)
I l pu nto d i vi st a è qu a nto m a i i n cer to: a volte s on o u n o spi r ito d i si n c a r nato ch e o s s er va l a
s cen a d a l l'e ster n o nel l a su a glob a l ità; a ltr e volte i nve ce ved o tut to i n s o g get tiva, at t r aver s o
gl i o c chi d el lo ste s s o A l e s s a n d ro.
E d e c colo l ì: i nna n zi a u n c a ld erone più gr a n d e d i lu i – i n ghi s a, ver nic i ato d i n ero e
s c r o stato a chi a z z e – i ntento a fa r b ol l i re d el le patate, for s e d el l a c a r ne, approfit ta n d o d el
214
(41)
fatto ch e tut ti gl i adu lti st a nn o d or m en d o. L o o s s er vo r i m e sta r e s en z a p os a (ch e s e mbr a i l
d r u id o Pa nor a m i x, o M a go M erl i n o!) u n p app on e put r id o d a l l 'a r i a fetid a e m a leo d or a nte,
d a cu i d i qu a nd o i n qu a nd o a ffior a no i n sup er fic ie patate s e m ib ol l ite..
E c co! Propr io ad e s s o, ne è venuta a g a l l a u n a ch e s e mbr a qu a si e splo s a – con u n ta gl io a
X, o for s e a for m a d i a ster i s co, che p a re u n a c ic atr ice su l volto d i u n o sfregi ato. E p oi –
bleah! – si i nt r aved e qu a lco s a d i s c hiu m o s o e s e m i l iqu id o ch e s cor re l at t u gi n o s a m ente
d entro a l s olco: h a l'a sp et to d el l a p a nn a-m ontat a d el le b o mb olet te spr ay u n a volt a che si è
l iquefat t a nuova m ente..
42
E
tu vorresti fare lo psicologo?!»: quella mattina mi tornò più facile del solito, alzarmi
in piedi, e ancòra più naturale mi risultò farlo cominciando la giornata prendendomi
un poco in giro da me stesso.
«Va detto che, coi tempi che corrono..»
Mi fiondai su carta & penna.
«Sarà meglio fare come nel videogioco Zac Mc Kracken C040: i sogni vanno appuntàti
finchè sono freschi, certo magari non sulla carta da parati, ma.. Chissàmai che Gino non
abbia nascosto una profezia delle sue, in questo bislacco guazzabuglio notturno..»
Effettivamente, gli spunti di riflessione erano molteplici – ma del resto ogni sogno è fertile
di stimoli per la fantasia di chiunque si prenda la briga di interpretarlo.
«Suppongo che Freud risolverebbe il tutto con una digestione difficoltosa e una polluzione
notturna – ah, quella poi è immancabile! Tuttavia, nel mio caso, ritengo che farei meglio a
badare ad altri particolari.»
Tipo il fatto che l'articolo dice “bambino di 12 anni”, mentre Alessandro (che è del '74) in
quel 1987 avrebbe dovuto averne 13.
«Anzi no: 13 ne avrebbe compiuti a Maggio, ma dal momento che la scena si svolge in
inverno.. nei primi mesi del 1987, aveva effettivamente ancòra 12 anni appena! »
Perbacco: un sogno congruente! Roba rara.
«Senza contare che la data del 12 Ottobre, oltre ad essere il giorno in cui Colombo sbarcò
a “San Salvador” scoprendo le “Indie occidentali”, è anche e soprattutto quella che segna
l'arrivo di Gino!»
215
(42)
Inoltre, siccome la Terra è “il pianeta azzurro”, un diario di 80 pagine azzurre potrebbe
stare a significare che Alessandro vivrà 79 anni – in effetti, gli anni di vita si contano
proprio a partire da zero.
«Per non parlare del fatto che “79” nella nostra numerologia rappresenta noi due!»
E cos'era accaduto realmente, in quel Febbraio del '77? Mh,vediamo.. pressappoco in
quel periodo, io avevo cambiato casa, per venire ad abitare da queste parti.
«Che si tratti forse della prima volta che l'ho incontrato? Potrebbe darsi. Magari all'asilo,
dal momento che lui frequentava la stessa sezione “disco rosso” con mio fratello..»
See, come no? Lui aveva 3 anni, io 5.. Guarda: tuttalpiù possiamo esserci incrociati di
sfuggita ai giardinetti pubblici, accompagnati dalle nostre rispettive madri!
«E le sue poesie? Se in realtà si trattasse delle mie? Cosa significherebbe, questa
identificazione 7818676666666i56l____________ oa o
bbjghk.gc
Mi scuso con il lettore: a questo punto è arrivato Angelo per una breve visita, e il
computer ha deciso di salutarlo a suo modo. Segue il paragrafo ripristinato:
«E le sue poesie? Se in realtà si trattasse delle mie? Cosa rappresenterebbe, questa
identificazione che ho operato di me in lui? E se, com'era accaduto nel sogno del monastero,
quella bambina della foto non fosse stata una bambina, quanto piuttosto un bambino,
magari Alessandro stesso?»
E che dire della madre, allora, che nel sogno sembra aver sempre saputo di quella insolita
amicizia tra il figlio e una donna matura? La madre, che si limita a dichiarare il proprio
disappunto nel momento in cui la situazione si è fatta spiacevole per via dell'intervento dei
mass media? Imbarazzata, quasi stizzita, ma solo per via del fatto che siano venuti a ficcare
il naso in affari di famiglia che tutto sommato bastava celare poiché “occhio non vede cuore
non duole”.
«Per non parlare del fatto che lo zio fa appunto l'insegnante, e ama fare sport coi ragazzi
suoi alunni. Però i conti non mi tornano con “Neuromancer”, il romanzo-capolavoro di
William Gibson che è uscito nel 1984 – e non nel 1987+4, ossia 1991. E neppure nel 1981,
posto che ci fossimo traslati nel “Februor 1977” della poesia appena letta.»
Né mi spiego, poi, di aver impiegato la strana forma lessicale “mancano ancòra 4 anni a
Neuromancer” anziché la meno ambivalente “prima che venga scritto Neuromancer”. La
si direbbe quasi una profezia, tipo “tra 4 anni accadrà Neuromancer” – e cioè che cosa?
una fusione mentale tra Gino e Angelo? o, come in “Technophobia” C005, tra Angelo e me?
Oppure, tra me e il mio equivalente di Gino?
«E per quale ragione mi sbagliavo sul mese, confondendo Ottobre e Novembre? Per
l'esattezza, ora che ci faccio mente locale, ricordo che quel “12 Novembre 1987” l'avevo
appuntato io stesso.»
Adesso che ci penso, l'avevo pure sottolineato. E c'è dell'altro. Tanto per incominciare,
216
(42)
ricordo che quella data chiudeva una lunga sfilza di appunti: talmente cospicui che avevo
esaurito tutti i fogli del mio fido block notes.
E non l'avevo scritto sopra a foglio bianco, bensì a margine della stessa pagina di giornale
– reso bianchissimo ed abbagliante, immagino, dalla luce solare che vi batteva sopra.
Tuttavia, i minuscoli sbafi che sanguinavano fuori dalle cifre di inchiostro blu assorbito
dalla carta porosa, non lasciano àdito a dubbi: avevo scritto talmente fitto sul blocco-note
che non vi era rimasto neppure lo spazio per indicare la data – così l'avevo appuntata sul
margine del giornale. Per l'esattezza, centrata rispetto alla metà destra del bordo superiore.
(Chi lo sa? Forse è di una qualsivoglia rilevanza che per ora mi sfugge..)
«No. Sto rielaborando troppo. Sarà meglio interrompermi qui, prima di cavare a forza
un'orgia di teorie atte a confermare tutto e il contrario di tutto. Dopotutto, un sogno è
soltanto un sogno.»
Fatalità, in quel preciso istante squilla il telefono: è Angelo, e..
«Ehi, ciao. Stanotte ho fatto un sogno pazzesco!»
«Pure tu?»
«Mi correggo: non stanotte. IERI notte.»
«Perché, cambia qualcosa?»
«Forse no. Forse tutto.»
«Oooookay: assez! Che – cosa – hai – sognato – ieri – notte?»
«Io e te seduti intorno a un tavolo rotondo, e c'era anche Alessandro. Detto senza tanti giri
di parole: secondo me significa che è giunto il momento di farlo entrare a far parte del
gruppo. Tu come la vedi?»
Stentavo a credere alle mie orecchie.
«Non è possibile!»
«No, eh? Forse hai ragione tu. E dopotutto non è che mi vada tanto a genio, l'idea di farmi
condizionare da uno stupidissimo sogno.»
«Finisci un po' di raccontarmelo?»
«Mah, niente: sembrava una specie di seduta spiritica. In una stanza buia, credo lì da te –
ma non era camera tua. Tu stavi seduto di fronte a me, Alessandro alla mia sinistra. Forse
c'era anche Valeria, non ricordo bene.»
«Non ci posso credere. “Buio pesto”, hai detto?»
«Sembrava di stare.. tipo un cielo notturno stellato: un buio della madonna. A parte una
specie di sfera di luce proprio sopra al tavolo.»
«..che però rischiarava soltanto dal petto in giù, lasciando le facce nella quasi totale
oscurità.»
«Già. E poi tu ti stupisci se lo chiamo un sogno strano!»
«Angelo?»
«Occristosanto! Vuoi dire che..?»
217
(42)
«Io per ora non me la sento di affermare nulla di definitivo, fuorchè questo: è
scientificamente impossibile che due persone facciano lo stesso preciso identico sogno. E
perdipiù la stessa notte.»
«Anche tu l'altroieri?!»
«Proprio. Stessa scena, stessa collocazione dei personaggi – solamente, inquadrata dal
mio punto di vista. Tu riuscivi a muoverti, nel sogno?»
«No! Ecco cosa ho dimenticato di dirti: ero come ingessato al mio posto!»
«Io idem.»
«Ma dai!»
«Non so cosa dirti: interpretalo come ti pare. Però fossi in te scarterei Freud, date le
circostanze.»
Anche un idiota avrebbe riconosciuto l'invito sotteso da quel sogno profetico, così non vi
fu alcun bisogno di nessuna ulteriore analisi: Angelo saltò per entrambi a tirare l'unica
conclusione logica:
«Tra mezz'ora vedo Alessandro al campetto da basket: gliene parlo io.»
«Sarà meglio.», acconsentii.
«Solita ora, stasera, e prepara per tre. Le pizze stavolta le portiamo noi. Se ci sono
problemi, ti chiamo.»
«Non se ne presenteranno, vedrai. A dopo.»
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INFIMO (22/10/93)
Spento.
Umida terra.
Striscio.
Buio.
Cieco.
Notte.
Brividi.
Solo.
Ooo-oo.
Solo.
Strisciare.
Nulla
nel nulla
verso il nulla.
Ooo-oo.
Solo.
Strisciare.
Piovono spore
secche soffocanti.
Barriera.
Schermo.
Ooo-oo.
Solo.
Strisciare.
Porta Essere luce squarcio:
musica
Armonia.
Alto. E più su.
Domina l'Alto,
spazia l'Alto.
Verme rantola.
Ooo-oo.
Solo.
Ooo-oo.
Soo-loo!
Soo-loo!
Cigolio buio Essere Porta:
silenzio
Tenebra.
Ooo-oo.
Solo.
Strisciare.
Ooo-oo.
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(43)
Solo.
Strisciare.
Ooo-oo.
Solo.
Strisciare.
Ero precipitato in un circolo vizioso del pensiero: digitavo meccanicamente quelle ultime
tre righe, senza riuscire né volere fermarmi. Prigioniero di un ciclo infinito di disperazione
che mi faceva sentire un vecchio catorcio che si trascina fiacco, rantolando le sue ultime
energie, girando in tondo senza meta..
Un punto di penosa prostrazione talmente basso da farmi dubitare seriamente che fosse
possibile una seppur minima risalita verso la luce. Mi sentivo proprio così: infimo e reietto,
come un verme condannato a strisciare sulla nuda terra – in eterno.
A riscattarmi da una trance ormai meramente autolesionista, arrivò mia madre – o per
meglio dire il suo rumorosissimo aspirapolvere, che col suo insopportabile frastuono mi
obbligava a cambiare aria.
Così optai per salire in cucina a prepararmi un karkadè: il più nobile degl'infusi, di color
rosso-rubino e caro ai Tuareg per quel suo gusto dolceamaro come il sapore del deserto,
che io ho sempre bevuto per rammentare a me stesso la mia condizione permanente di
nomade in questo mondo.
Quello che invece ignoravo era di star officiando una variante del medesimo rito orfico
tramandato da Gesù, dal singolare potere di guarigione miracolosa: spremere la bustina
come esorcismo per strizzar fuori dal Cuore tutto il fiele che l'amareggia, e poi attingere a
quel liquido cruento ma rivivificante così come si farebbe col prezioso contenuto del Sacro
Graal.
Sta di fatto che da quel momento in poi tutto filò liscio, esattamente come avevo
profetizzato ad Angelo. Avevo addirittura trovato al supermercato la mia bibita preferita,
cosa che non mi accadeva più da mesi, e non vedevo l'ora di usarlo per brindare all'ingresso
di Alessandro in quella strana avventura.
«Aut Recoaro aut nihil. Delenda Sanpellegrinus. Vae fintichinottis!», declamai
pomposamente alzando il calice (beh, veramente era un banalissimo bicchiere!) per dare
ufficialmente il via alla serata.
«Guarda: per me sei semplicemente pazzo. Ti manca solo il cappellaccio alla Napoleone
in testa e la mano nel fodero della giacca, e dopo saresti perfetto.»
Inequivocabile: Angelo.
«Ehi, dico: tre anni. No, dico: tre anni! Ho gettato via tre interi anni della mia vita, a
studiar latino. Senza contare le annesse tre estati di fila, spese a sgobbar sui libri pur di
passare l'esame di riparazione..»
Fu Alessandro ad interrompermi:
220
(43)
«A proposito: cosa significa, esattamente, la frase in latino? Mica ho fatto il Jean Monnet
io..»
«Per l'appunto: stavo per tradurre. “O Recoaro oppure niente. Il Sanpellegrino va
distrutto. Guai ai finti chinotti!”.. beh, “fintichinottis” naturalmente è maccheronico:
probabilmente l'avrei dovuto rendere con “fasullis”, o qualche cosa di simile.»
«Fusilli?»
«No: fasulli, Angelo!»
«Finti chinottis, finti finocchi..»
Alessandro lo guardò storto. Poi, rivolgendosi a me:
«L'ultima parte mi pare di averla già sentita da qualche parte.»
«Infatti si tratta della celeberrima frase di..»
«Aspetta: non dirlo!», e cominciò a spremersi. Angelo ci guardò prima l'uno poi l'altro,
come a dire “Dio li fa e poi li accoppia”, ma dopo aver scosso la testa tornò a dedicarsi
indefessamente alla sua pizza.
«Vercingetorige!»
Ad Angelo andò di traverso il boccone per lo spavento. (Tutta scena.)
«Precisamente: il capo dei galli che mise in scacco Cesare.»
«Ma non era Panoramix?», intervenne Angelo, a sproposito come suo tipico – e intanto si
versava da bere picchiandosi il pugno sul petto e facendo la voce roca, tanto per insistere in
una pantomima che né io né Alessandro avevavo bisogno di smascherare: bastava
conoscere il tipo.
«Te l'ha mai detto nessuno, che sei ignorante tanto?», gli domandò Alessandro.
«Sì: io.», lo spalleggiai. «E, semmai: Abraracourcix. Il capo del villaggio gallico di Asterix
è Abraracourcix: Panoramix è il druido.»
«E le altre frasi?», domandò Angelo per sviare il discorso.
«Non mi dirai che ti interessano davvero?!»
«No, infatti, ma così poi la fate finita e si ricomincia a parlare di cose da persone
normali.»
«E te pareva.», buttò lì Alessandro.
«Ho parodiato le fatidiche parole di Scipione l'Africano: “Delenda Carthago” – che alla
lettera sarebbe “Cartagine va rasa al suolo”, sebbene io personalmente ritenga “Li mortacci
dei cartaginesi” una traduzione migliore..»
Ad Alessandro piacque. Angelo invece mi incalzò con aria sbrigativa:
«E quell'altra?»
«Cesare. Gaio Giulio Cesare.»
«Gaio? Finocchio pure lui?», rincarò Angelo con la consueta totale mancanza di tatto.
«Beh, sì, in effetti lo era: è uno dei celebri omosessuali del passato. Ma che ci azzecca?
Faceva “Gaio” di nome.»
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(43)
«“Gaio”? Ma non era “Caio”, con la “C”?»
«Si tratta di una banale questione alfabetica, Alessandro: inizialmente si usava la C anche
per la G, e la V anche per la U. Chiedilo un po' a tuo zio, che insegna latino.»
«Italiano.»
«Vabbe': avrà studiato pure il latino per laurearsi, no?»
«Morale: qual era la frase originale?», tagliò corto Angelo.
«Aut Caesar aut nihil. “O Cesare, o niente.” Soddisfatto?»
Mi rispose con una domanda:
«Sicuro che fosse di Giulio Cesare?»
«Abbastanza. La frase ad ogni modo è senz'altro corretta. Se poi anche avessi sbagliato,
nell'attribuirla al generalissimo romano.. beh: nessuno è perfetto.»
«Io sì.», rispose Angelo senza battere ciglio. E Alessandro:
«Seeeeee.. (Alla Icio.)»
«Chi è “Icio”?», domandai.
«Un chimico: il cugino di Sonia.»
«Ma non mi dire: quello del kefir?», chè per me era una specie di figura leggendaria.
«Proprio lui.»
Angelo cominciava a sentirsi escluso:
«Che cos'è 'sto kefir?»
Io e Alessandro eravamo allibiti:
«Cooome? Non conosci “il famoso Kefir d'acqua”?», domandammo all'unisono.
Rispose di no senza scomporsi minimamente.
«Ma sì: quello gioioso da bere!», aggiunsi io. Ma Alessandro mi corresse:
«No. È: “ogni giorno è gioioso per poterlo bere”.»
Mi precipitai giù in camera, lasciando entrambi con un palmo di naso. (Però Alessandro
una mezza idea ce l'aveva, tant'è che riconobbe immediatamente il foglietto che brandivo in
mano al mio ritorno.)
«Incominci tu, Alessandro, o incomincio io?»
«Incomincia tu.»
«Una frase per uno?»
«Una frase per uno.»
Così declamammo a turno l'opuscoletto fotocopiato, battuto a macchina da Icio per conto
di sua madre: “IL FAMOSO KEFIR D'ACQUA”.
«“Gli abitanti delle terre Kaucasiche conoscono molto bene l'effetto del Kefir.” (Tocca a
te, Alessandro.)»
«“Già i bambini bevono Kefir e arrivano ad una età media di IIo anni.”»
«“Dicono che è uno degli unici posti al mondo dove gli abitanti arrivano ad un'età
avanzata in piena salute.”»
222
(43)
«“Il professor Menkiv, avendo dedicato una vita allo studio e ricerca del Kefir, dice che
questi abitanti non conoscono la tubercolosi, il cancro, disturbi intestinali;”»
«C'è il punto e virgola, Alessandro: sta ancòra a te.»
«Sì, però dopo c'è la lettera maiuscola: significa che qui ha sbagliato tasto.»
«Vabbe', se lo dici tu.. Dicevamo: “In Germania il dottor Drasek ha confermao”.. qui
manca la T, oppure parla brasiliano.»
«Yuk yuk!», rise Alessandro. Angelo invece cominciava ad averne abbastanza:
«Ehiehiehiehi! Basta, OK? Mi sta più che bene un riassunto. Tutta 'sta sceneggiata per
avervi chiesto che cos'è il kefir!»
«Se tu non ascoltale balzelletta, io non compelale tua bici.», replicai, citando quella del
cinese che va ad acquistare una bicicletta. Alessandro fu invece più accomodante:
«Il kefir ha l'aspetto di una gelatina biancastra semi-trasparente: un agglomerato di batteri,
o funghi, o enzimi, o Dio-sa-cosa..»
Andai avanti io, chè sovente con Alessandro finivamo col parlare come Qui Quo Qua:
uno comincia la frase, e quell'altro la finisce.
«..lo si ficca in una bottiglia d'acqua con un po' di zucchero, mezzo limone, e un paio di
fichi secchi.»
«Mi state prendendo in giro?»
«Giuro no, Angelo. Leggi tu stesso.», e gli porsi il foglio indicandogli la decima riga dal
basso:
ISTRUZIONI PER FARLO: I vaso di vetro da 2 l con coperchio; 6
cucchiai di zucchero; 6 cucchiai di Kefir; 2 fichi secchi interi; 1/2
limone biolgico ben lavato; 2 l di acqua fresca; mescolare bene
ogni 24 ore.
«Occhei. D'accordo. E.. poi?»
«Poi si beve.», concluse Alessandro, con la massima ovvietà.
«Si beve?! E tu ti tracanni quella porcheria?»
«È buono.»: dicevo sul serio. «Anzi: se ne vuoi assaggiare un po', ne ho giusto una caraffa
pronta in frigorifero. Aspetta che vado di là a prendertel..»
«Ma neanche per sogno! Io, bere dei batteri? Non se ne parla neppure!»
«Che c'è? Hai forse qualcosa contro dei poveri, innocenti batteri?»
«E me lo domandi? Certo! Se volevo bere dei germi, andavo a farmi una nuotatina in una
fogna!»
«Il solito razzista.», disse Alessandro scuotendo la testa a braccia conserte.
«Razzista? E che c'entra, adesso?»
Intervenni in difesa di Alessandro:
«C'entra eccome! Significa che esistono batteri e batteri: il kefir mica è uno streptococco!»
«Quello che abbiamo studiato in biologia?», domandò Angelo.
223
(43)
«“Abbiamo”? Vorrai dire “avete”! Mica vorrai farci credere che tu hai mai aperto quel
libro, vero?»
Andavo semplicemente pazzo per il modo che aveva Alessandro di fare dell'ironia alla
spicciolata, ma a quel punto toccava a me:
«Pure i fermenti lattici che ti mangi assieme allo yogurt sono batteri, chetticredi? Senza
contare quelli simbiotici, cui oltretutto devi persino la vita – tipo l'escherichia coli
nell'intestino.»
«Mi state facendo un corso accelerato di scienze?»
«Sarebbe solo tempo sprecato.», mi spalleggiò Alessandro.
«Per l'appunto. Ad ogni modo, il kefir è davvero buono.»
«E leggermente frizzantino.», aggiunse Alessandro.
«Che sapore ha?»
«Ricorda il moscato. Ne gradisci un po'?»
«No grazie: sono astemio.»
«Voleva essere una battuta?», trasecolò Alessandro.
Angelo gli rispose con uno sguardo sardonico, così lo “massacrai”:
«Perdincibacco! Non è da te!!»
«...»
«...»
«...»
Silenzio.
Sai, uno di quegli assurdi momenti sincronici in cui il silenzio ti s'abbatte addosso
inaspettato: così, di colpo, ineffabile e dispettoso. Un po' come se in quell'unico istante tutti i
pensieri fatui del mondo si fossero improvvisamente arrestàti perchè qualcuno “lassù”
aveva semplicemente chiuso il rubinetto.
Lo sapevo ben io, chi era stato: Gino.
«Che si fa, allora?», buttai lì, se non altro per rompere quel penoso giro di occhiate a
vuoto in cui nessuno voleva prendersi la responsabilità di essere il primo ad aprir bocca.
«Dillo.», mi comandò Angelo.
«“Scendiamo?”»
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io non ho mai offerto tanto di me a nessuno, con tanta
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(44)
insistenza. e con tanta pazienza, vedi Amsterdam.
«Siamo qui da quasi dieci minuti, ormai. Allora? Quand'è che arriva?»
e stupidità: avrei dovuto arrivarci, Alessandro, che se non
andare in vacanza con me per te non faceva nè caldo nè
freddo..
dopotutto, erano MESI che IO pianificavo, che IO credevo, che IO
mi sorbivo un mese di stage Telettra con l'unico incentivo del
viaggio con te
Sono un pirla. Nell'altra lettera ero ironico. In questa,
purtroppo..
Vorrei piangere. Ci provo, sai?, ma non mi riesco a sfogare.
Forse la faccio più tragica di quello che è, forse esagero
COL CAZZO! ESAGERARE UN CORNO! Adesso non credo più nella
tua amicizia, e a questo potrebbe rimediare un altro amico, ma
non credo più in nessuna amicizia, nessuna.
Angelo se ne andò in bagno.
E di conseguenza non credo più neanche all'amore, anzi,
Amore, con la A maiuscola.
Chissà, forse ti amavo, e forse ancòra, forse no, forse..
Ti avrei dato di tutto, avremmo potuto vivere ogni singolo
secondo del tempo che passavamo insieme.. intensamente,
con energia.
fanculo alle maiuscole, fanculo allo shift che s'inceppa.
cosa ho, che non va?
cosa mi manca, per essere tuo amico?
anzi, cosa mi è mancato, per non esserlo stato?
che schifo, siamo (anzi: sono) già ai verbi al passato.
di te mi resteranno le foto
sempre che me le riporti
saranno un supplizio, o un monito a non sbagliare più?
quei giorni di Roma, per me indimenticabili, rimarranno nella tua
memoria?
ti ricorderai di me, Alessandro? o avrai troppe facce nuove da
guardare, troppa gente di cui "dimenticare" il nome..
già, il nome, solamente adesso capisco.
Riecco Angelo. Si sdraia sul letto.
ma tu non parli, e non solo perchè ora che scrivo non ci sei.
225
(44)
ma perchè PROPRIO NON PARLI
ti confidi mai, Alessandro? nel senso di "fidarti con", ossia
bivalente, non come me che mi fido (sorry: "sono fidato") di te
a senso unico.
«Fìdati, se ti dico che non tarderà a manifestarsi. Ha fatto così anche con Valeria.», lo
rassicurai, senza però distogliermi dal flusso dei miei pensieri.
«Vuol creare suspance, lo stronzo.», sbottò Angelo mentre si girava i pollici e spaziava per
il soffitto con lo sguardo.
ma ancòra me lo chiedo: non senti mai il bisogno di aprire il tuo
cuore con qualcuno? COME FAI?
anche io, fino ad appena pochi mesi fa, avevo congelato i miei
sentimenti, il mio "essere un essere umano". anche a me stava
bene così.
poi però ho scoperto che, fatto di sola ragione, non ero un
vero essere umano: al massimo, poco + di una intelligenza
artificiale
tu COME DIAMINE FAI?
i fratelli, la mamma, lo zio, i compagni di scuola, quelli di
basket.. tanta gente, intorno ad Alessandro, ma Alessandro
chi è? Alessandro COSA VUOLE? cosa SENTE?
«Beh, sentite.. allora ci vado anch'io.»
«In bagno?»
«No, Angelo: in pellegrinaggio in Terra Santa.», ironizzò Alessandro.
istinto del buon samaritano, il mio? arrivo io e bum: risolvo in
quattro e quattr'otto il grande mistero, rivelando al mondo
che cosa si nasconde dentro di lui. perchè, e ancòra ne sono
convinto, per me c'è qualcosa in fondo a quel lago.
cosa, forse non lo sai neanche tu. E a questo punto della tua
vita non ti interessa nemmeno scoprirlo, beato te che ce la fai.
ma dimmi, te ne prego.. se puoi.. se lo sai..
no: tanto non mi risponderai. se mi va bene, un giro di parole.
oppure un silenzio. uno dei tanti.
«Ti vedo pensieroso..»
«Uh?», trasalii.
«Yu-huu? Mi riconosci? Sono Angelo.»
«Ah, scusa: pensieri.»
«Quali?»
«“In generale”.», mentii.
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(44)
la cosa tragica, anzi grottesca, è che qui l'unico a soffrirne
come un cane sono io. tu al massimo ti annoi a leggere queste
righe.
abbi pazienza, ti supplico per carità umana: hai pietà? allora, TI
SCONGIURO, usane un pochino per uno che è arrivato al punto di
sorriderti anche mentre dentro sta piangendo, vuoi?
tante cose non ho mai capito, e vorrei chiarirmene perlomeno
qualcuna.
ad esempio, mi sono sempre chiesto: come mai, quando ti ho
detto di essere omosessuale, mi hai detto "ne parleremo" e
poi tomba?
come mai, nello stesso filone, dopo aver dimostrato tanto
interesse per l'argomento-omosessualità (Golinelli, Paterlini,
discorsi vari, etc), proprio dopo esserti imbattuto in un "caso
contemporaneo" (me) non mi hai subissato di domande?
con tutto che non ti ho mai "proposto" niente, per quanto..
Rieccolo:
«Ancòra niente?»
Gli risponde Angelo:
«Niente di niente, Alessandro.»
fanbagno, giù la maschera: OK, ti voglio molto bene. mi spiace
enormemente imbarazzarti, ma tanto tronchiamo qui. non
sono mai stato innamorato prima d'ora in vita mia, quindi non
saprei darti per certo se ciò che provo è amore oppure altro..
(strano! qui uso ancòra il presente.)
beh, questo è il fatto. e mi bastava la tua amicizia,
"sublimazione" credo si possa dire, e chi se ne frega come
accidenti si chiama poi..
nix. a tutto questo, nix.
a TUTTO IL RESTO,nix. e forse un giorno me ne darò pace.
forse, un giorno, capirò.
capirò perchè doveva succedere proprio a me.
«Chissà perché ci mette tanto?»
«Io, Alessandro, una mezza idea ce l'avrei.», replicò Angelo, voltandosi sul letto faccia al
muro.
«Ossia?»
«Domandalo un po' al pensieroso laggiù.»
«Non capisco.»
«Neanch'io.»
Riuscirò a capire come fai, tu, a vivere di "amicizie" tra
227
(44)
virgolette?
Non lo so. Vorrei riuscirci, ma non ce la faccio.
Vorrei che tu comprendessi a fondo queste parole, nel loro
significato di disillusione, amarezza, dolore, lacrime che non
riesco a sfogare, groppo che mi stringe la gola senza però
soffocarmi.. lasciandomi cosciente davanti a tanto sfacelo.
Vorrei che tu capissi che non troverai, al mondo, molte
persone che ti regalano la loro amicizia: senza voler curare i
propri interessi, senza..
E sono convinto nel profondo dell'animo, per quel che me ne
resta, che un giorno lo capirai. E non ti basteranno più gli
"amici".
E nella mia presunzione penso che rimpiangerai quel "fissato"
di Alessio Bolis. E forse vorrai tornare indietro..
«“Indietro”?»: quel cenno mi aveva scosso dal mio solitario cogitare.
OK.
Era finalmente arrivato Gino, e mi faceva cenno di spostarmi affinchè Alessandro lo
vedesse. Non me lo feci ripetere due volte. Peccato solo non aver osservato neppure quella
volta l'attimo sfuggevole che mi ero sempre perduto: quello in cui Gino si sostituisce ad
Angelo.
«Alessandro?», posandogli una mano sulla spalla. «Gino. Gino? Alessandro.»
Fatte le presentazioni, si partì in quarta con la stessa pantomima riassuntiva inscenata per
me e Valeria: tot libri a partire dal fondo dello scaffale eccetera.
«Devo prendere il libro di Piero Angela?», domandò lui. (Con tutto che io ogni volta lo
riponevo appositamente in una posizione diversa.)
OK.
Poi gli fece cenno di aprirlo, e Alessandro lo dischiuse a caso:
«E adesso?»
Anziché indicargli il numero di pagina nel modo consueto, gli intimò sùbito di cominciare
a leggere.
«Aspetta un momento..», intervenni, ma Gino mi zittì bruscamente con un gesto secco.
«Qui parla di stregoni.», concluse Alessandro, lasciandomi esterrefatto senza neppure
capire perchè.
IO NO.
«Voleva dirti che lui non è uno stregone da strapazzo.», gli tradussi.
OK. IO NO.. e indicò il libro.
«Ma dai!», detto insieme a un accenno di risata: più che per incredulità, per scaricare il
comprensibile nervosismo. «Ma se non sapevi neanche a che pagina avrei aperto il libro!»
APPUNTO.
«Cosa significa quel gesto?», mi domandò Alessandro.
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(44)
«Significa “infatti”, “appunto”, “così è”..»
TU NON PENSI ME.
Stavolta ero io a non capire, ma Alessandro sì:
«Mi stai domandando se io non ti credo?»
NO. IO PARLO. TU NON CREDI ME.
«Lo afferma. Cioè: lui lo sa che non gli credi.»
«Bella fatica!»
ALT. TU.. e una faccia da punto interrogativo.
«Non ci vuole un indovino, per questo. È ovvio che io mi perplima.»
Me ne ristetti in disparte, osservatore a margine di quel tira & molla tra Gino e
quest'incarnazione vivente del Dubbio Perenne che è Alessandro: gli indicava le pagine, a
volte persino il numero di riga.. il tutto naturalmente senza spostarsi di un millimetro dal
letto.
All'improvviso, quell'alterco fatto di guizzi di mani da una parte e scuotimenti di testa
dall'altra si arrestò. Fu Gino stesso ad intimare l'ALT:
TU ORA .. e il dito perpendicolare al letto: CREDI.
Alessandro se ne rimase lì: immobile, tentennante, esterrefatto. Io invece stavo ancòra
tentando di decifrare il significato dell'ultima affermazione di Gino:
«Vi dispiacerebbe spiegare anche a me? Temo infatti di aver mal interpretato l'ultima
frase. Voglio dire, Gino: capirei se fosse avvenuto il contrario, se fosse stato lui a dirtela..»
«Infatti.», mi risposero entrambi. Alchè, ci arrivai pure io:
«Occazzo.»
«Già.», mi fece eco Alessandro.
«Cioè ti ha fermato nel preciso istante in cui tu hai sentito di credergli?»
Fu Gino a rispondermi di sì: Alessandro era come ammutolito, direi quasi spaventato.
«Ehi, dai, non fare così! Ti assicuro che non è il caso che ti preoccupi: a me è già
successo, e dopo un po' uno ci fa il callo e diventa una specie di abitudine.», gli sorrisi.
Intanto Gino, noncurante dei nostri discorsi, faceva insistentemente cenno alle sue spalle.
Oppure..
«Non è che ti stai stiracchiando, vero?», gli domandai.
NO. TU GUARDA ..e poi, come ad indicare dietro al cuscino.
«Lì sotto?»
NO. E mi ripetè il cenno.
Avvicinandomi a lui notai per terra, dietro alla testata del letto, un foglio di carta bianco
con qualcosa scritto in pennarello rosso dall'altro lato.
«E questo che cos'è?», domandai raccogliendolo. Dopo fu il mio turno, di ammutolire.
«Che roba è?», mi domandò Alessandro.
Gli porsi il foglio e mi lasciai cadere sulla sedia, dicendo solamente:
229
(44)
«È l'impossibile.»
Alessandro lesse ad alta voce:
«“Attenzione. Qui gatta ci cova.” Embè?»
Gino sorrise beffardo “alla Angelo”. Io invece scattai, sfogando in rabbia quel che invece
era puro sgomento:
«“Embè?” !? Lui dice “embè”! Ma tu ce l'hai una minima idea, dico io, di che cos'è
quello??»
«Un.. foglio?»
«Già. Sì, certo, come no? “Un foglio”. Si fa presto a dire “un foglio”. Lo chiama “un
foglio”, lui!»
Gino si stava divertendo come un pazzo, e per farlo capire anche ad Alessandro si portò le
mani sul ventre nella sua tipica GRASSA RISATA.
«Perché ride?», mi domandò Alessandro.
«Perché è stronzo.», sbottai io. «Poi magari però il signorino ce lo spiega, come ha fatto.»
Gino fece il gesto del prestigiatore che estrae un coniglio dal suo cilindro. Poi quello della
bacchetta magica che sfiora un oggetto con un tocco incantato. Infine, la classica nuvoletta
di fumo per le magiche apparizioni: PUFF!
«Non starà mica dicendo sul serio “magia”?!»
«Proprio così, Alessandro. Ci hai fatto caso, che quella non è la mia calligrafia, né
tantomeno quella di Angelo?»
«No.», ma ispezionò il foglio. «Adesso sì. E allora?»
«È la calligrafia del mi' babbo. Eppoi, guarda, non serve stare a fare tante perizie
calligrafiche: basta osservare che solo lui anziché gli uniposca usa ancòra quei vecchi
pennarelli ad alcool che attraversano la carta. O meglio dovrei dire: usava.»
Gino si intromise, col suo OK all'americana: CENTRO!
«La cosa è rilevante?»
«Eccome! Dal momento che, vedi, tanto per incominciare.. questo foglio non dovrebbe
affatto esistere.»
«Non ci arrivo: per quale ragione ti sconvolge tanto? A me pare semplicemente un banale
foglio con su scritto “Non disturbare. Isotta in meditazione.”!»
Saltai sulla sedia:
«Come hai detto? Rileggilo un po'!?»
«“Non disturbare. Isotta in meditazione.”»
Gino si sfregò i palmi uno sopra l'altro, poi fece con entrambe le mani il gesto che
solitamente significa denaro, e infine lanciò i palmi per aria: “Non c'è trucco, non c'è
inganno.. vedete? Le mie mani sono vuote, siore e siori! E ora, attenzioneee.. alè: magia!”
«Hai voglia di scherzare!», e gli strappai il foglio di mano. Lo rilessi un migliaio di volte,
ma inutilmente: c'era davvero scritto così.
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(44)
«Che ti piglia?»
«Ma se l'avevi letto tu stesso! Prima era.. era diverso!»
«Diverso? No, non mi pare..»
«Lascia perdere: avrò capito male io. E comunque per questa sera ti ho già fornito
abbastanza motivi per ritenermi completamente pazzo.»
«Allora siamo in due.»
«Però il risultato non cambia: perchè, vedi, questo foglio non.. cioè: sul serio, non..»
«Ehi! Prima càlmati, OK?», ma non era affatto un rimprovero.
Soprattutto: che strana voce, così accorata, così dolce, quasi materna.. Lo sapevo allora
come lo so oggi: non era quello il modo di preoccuparsi per un semplice vago amico. E
quanto mi fu facile e delizioso assieme, obbedire, abbandonandomi a quel tono segreto
dentro la sua voce che mi rendeva così tranquillo e rilassato, perfettamente a mio agio:
«Il fatto è che Isotta è la mia gatta. O meglio: lo era..»
Chinai il capo in segno di sconfitta e sollevai il braccio sopra la testa, facendogli cenno col
palmo della mano spalancato:
«..5 anni fa.»
Alessandro fece GULP come nei fumetti. E si sedette tipo “non si sa mai”.
«Capisci? Questo è il cartello che il babbo appiccicava sulla porta d'alluminio dell'ex
locale-caldaia quando Isotta stava per fare i gattini, e le veniva concesso in via del tutto
eccezionale di entrare in casa, in un posto caldo e riparato..»: mi stavo smarrendo fra i
ricordi, incespicando nei pensieri non dissimilmente da un pazzo nel suo delirare.
«Ora capisco che cos'è, quella specie di incrostazione arancione!»
«Quale incrostazione?», mi scossi.
Osservai attentamente il foglio: sul retro spiccava una traccia rettangolare di adesivo
essiccato. Ammutolii nuovamente.
«Che c'è?»
«Questa.», e la indicai ad Alessandro.
«L'incrostazione. Infatti. Embè?»
«Prima non c'era.»
«Ma sì, che c'er.. vuoi dire che non l'avevi notata?»
«No: intendo dire che proprio non c'era.»
«Ma se l'ho vista io! Fìdati: se ti dico che c'era, c'era.»
«Di te mi fido, Alessandro, ma la faccenda è ben altra: non dubito che tu l'abbia vista, così
come dici, ma altrettanto non posso dubitare che io prima abbia veduto (e, prima ancòra,
udito) diversamente.»
Gino tanto per partecipare rifece OK e.. PUFF! ABRACADABRA!
L'avrei strangolato con le mie stesse mani.
«Ma non è possibile, che lo stesso oggetto appaia in un modo a me e in un altro a te!»
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(44)
«Puoi dirtene assolutissimamente certo?»
«No.»
«Appunto.»
Non trovando niente di meglio da fare per sbloccare la situazione, che si era visibilmente
arenata in un punto morto, Gino mi fece cenno di incenerire quel reperto impossibile.
«Cosa sta dicendo?»
«Oh, nulla.. Si tratta semplicemente di un accordo che abbiamo tra noi: tutto ciò che lui
scrive va bruciato, senza farlo vedere ad Angelo.»
«Perché, sa anche scrivere?»
«Solo se è dell'umore giusto.»
«A. (Normaleee!)»
«Ti spiego dopo, ti spiace? Per adesso ho i neuroni un filino impegnàti: sto cercando
disperatamente di non uscire di senno.»
«E come te la cavi? Ce la stai facendo?»
«Mica tanto: il meglio che mi riesce di pensare, razionalizzando, è che io stesso abbia
conservato a mia insaputa il foglio per 5 anni, e per quale ragione? Perché ero d'accordo
con Angelo, due anni prima di conoscerlo.»
«Suona piuttosto assurdo.»
«Pure a me. Ma temo che siamo appena agli inizi.»
Gino, non visto, fece OK.
«Piuttosto: Angelo adesso dov'è?»
«Bella domanda, Alessandro: non si sa. Una volta mi ha risposto che Angelo sta altrove,
ma sta bene. Tuttavia.. Ecco, appunto: osserva!»
Gino aveva cominciato ad infilzarsi la milza con l'indice.
«Che cos'ha?»
«Sta lottando contro Angelo, che vuole rientrare.»
«Gli sta facendo male?»
«Credo di no. Nulla di lesivo, comunque, visto che quando Angelo si risveglia non
lamenta mai dolori. La si direbbe più una forma di.. solletico violento.»
«O di agopuntura. E a quanto pare funziona: si è calmato.»
«Che ti dicevo, io?»
Gino picchiettava l'indice sopra l'orologio, facendo cenno di stringere.
«S'è fatto tardi: deve andare. Vuoi dirgli qualche cosa d'altro?»
«No. Anzi sì: ci rivedremo?»
TU PERCHÈ ME.
Strano ma vero, ci arrivai al volo:
«Significa “Se tu lo vuoi” – dico bene, Gino?»
OK.
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(44)
«Certo che lo voglio!», gli rispose Alessandro concitatamente. «Quando?»
DOPO.
«Domani stesso?»
OK. TU BRUCIA FOGLIO. IO SMAMMO. CIAO. ..e poi si dileguò, prima ancòra che
potessimo ricambiare il saluto.
Nascosi in tutta fretta il foglio, mettendolo temporaneamente nel solito primo cassetto.
Angelo sbadigliò:
«Non so che dirvi. Si vede che per questa sera ci ha dato buca.»
Alessandro scoppiò a sghignazzare. Ed io, che pure ci ero abituato, mi unii a lui.
«Ma vi siete impazziti di colpo tutti e due?»
Poi si mise seduto, guardò la sveglia, e si corresse:
«È stato qui, vero?»
Diedi una gomitata ad Alessandro, e gli sussurrai tre sole parole all'orecchio:
«Dice sempre così.»
Più tardi, quella notte, rieccomi solo coi miei pensieri – e con l'incombenza di dover
bruciare a malincuore il cartello di Isotta che Gino aveva materializzato.
«I patti sono patti, certo però che spreco!»
Il mio volto aveva la medesima espressione di Sean Connery nel film “Il nome della
rosa”, impotente davanti al rogo di migliaia di libri: codici miniati, rari e preziosissimi,
divoràti dalle fiamme – proprio davanti ai suoi occhi, senza che lui potesse farci niente.
eh sì, hai presente la canzone "WHY"? è nata pensando a te.
anzi, sputtanamento totale, è nata con un altro testo:
dedicato esplicitamente a te, segreto a tutto e a tutti.
Era tutta la giornata che chissà perché non faceva che riaffiorarmi alla memoria la prima
lettera che avevo deciso di non recapitargli mai. La più importante: quella dove per la
primissima volta avevo trovato il coraggio di trarre, innanzitutto con me stesso, una
importantissima conclusione che fino a quel momento mi ero sempre voluto negare con
forza:
sì, probabilmente era amore, e forse ci spero ancòra. okkio
però: amore, da non confondersi con sesso.
non mi resta che sperare che ti trovi una ragazza al più
presto, così potrò metterci una pietra sopra.
In fondo io non aspettavo altro che questo: che arrivasse un amore più grande del mio,
davanti al quale inchinarmi cavallerescamente ed arrendermi.
però, scusa se oso.. non è che magari anche tu..
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(44)
sempre più indiscreto, me ne rendo conto, ma giustamente
Oscar Wilde diceva che "non esistono domande indiscrete:
tuttalpiù possono esserlo le risposte".
non offenderti. è che sembri sempre così impacciato, a dover
parlare di donne quando Angelo ti incalza.. Eppoi fuggi le
ragazze con una meticolosità sorprendente, come la tipa
bionda e "scotennata" che fa chimica..
Proprio lei: Valeria.
..è dall'inizio dell'anno, che ti viene dietro!
assomigli a me, fino a solo pochi mesi fa convinto di bastare a
me stesso.
..cioè fino a che quella magica, indimenticabile, romantica notte milanese del 27/3/'93
cominciò a farmi vacillare: la fatidica goccia che fece traboccare il vaso pieno d'Amore che
io ero.
Galeotta fu la cornice incantata di quella mezzanotte d'un Marzo pungente, io e lui soli a
ripararci dal vento rannicchiàti sotto la statua del Manzoni, mentre l'atmosfera tutt'intorno a
noi andava facendosi sempre più rarefatta – sulle note di una vecchia canzone di Memo
Remigi, che spingeva gli stessi lampioni a luccicare più forte..
..un po' come la fiamma del caminetto dove stavo incenerendo un nuovo rimpianto, che
guizzava ad ogni lacrima che mi scivolava giù: cadevano senza fare rumore, senza farmi
male, ma il vero miracolo era che stavo finalmente piangendo – senza neanche rendermene
conto.
Tutto quel che so è che una simultaneità di Amore mi rovistava il cuore, mentre il fuoco
solitario del camino prosciugava il mio pianto lasciando al suo posto una traccia sbiadita di
nerofumo.
Assolto il mio còmpito di “massone”, sentendomi Winston che per non farsi sgamare dal
nemico dà in pasto alle fiamme i bigliettini di Julia, ero pronto a concedermi un più che
meritato riposo. Manco fosse una cosa facile, addormentarsi, mentre ci si trova in equilibrio
precario sull'orlo di un precipizio e nient'affatto sicuri di ricordare come si fa a spiccare il
volo. (E poi.. verso dove?)
Quanto più disperatamente cercavo il sonno, tanto più finivo col rimescolarmi in quella
lettera..
a questo punto immagino che sarai rosso come un peperone.
(arrossisci spesso, sai?)
già sto un po' meglio: anche se non te ne frega niente, anche
se ancòra non hai capito nulla di me. o peggio: reputi di aver
capito, ma è tutt'altra cosa.
234
(44)
la mia tragedia è che sono un sognatore di merda, Alessandro,
e ora non ho più di che sognare. auguri di cuore per il tuo
futuro: io al mio non ci credo più.
Erano trascorsi parecchi giorni, da quando l'avevo scritta e poi dimenticata – perdendola
di vista fra i cavalloni spumeggianti di bits d'un floppy disk. Ed erano accadute.. un sacco
di cose davvero.
Però in fondo nulla era cambiato: il tempo è incapace di esistere, tra le pieghe di un cuore
innamorato.
45
P
ronto?»
«Mmh.. Mi sa di no.»
«Pronto! Alessio?»
«Abbastanza.»
«Eeh?»
«In effetti credo, di essere io, ma col cervello in questo stato non ne sono ancòra sicuro al
100%. Tu comunque parla pure.»
«Scusa. Ti ho svegliato?»
«Perspicace come al solito. Che ore sono?»
«Le nove e.. (Oh, insomma!) Circa le nove e un quarto.»
«Ah, capisco: le 9 e 17.»
«Esattamente.»
«Praticamente l'alba.»
«Oooh, esagera!»
«Va bene: praticamente ancòra notte fonda.»
«No, non intendevo dire in quel sens.. lasciamo stare. Che fai, oggi? Posso venire a fare
un salto da te?»
«Anche due. Ma non sarebbe più pratico (e lo dico per te) che tu facessi ginnastica a casa
tua, e poi mi raggiungessi solo dopo aver finito?»
«Facciamo che lo prendo per un “sì”?»
«Facciamo.»
«A che ora?»
«Che ne dici di.. adesso?»
235
(45)
Ed eccolo arrivare in capo a una decina di minuti, il che confermava la mia teoria: si era
già vestito pronto per uscire, e la telefonata gli serviva giusto per verificare che io fossi in
casa – onde eventualmente risparmiarsi un viaggio a vuoto.
«Dunque sapevi, che avrei accettato!»
«Baaabb-b-b-bo!», esclamò lui per tutta risposta tra un brivido e l'altro, tutto insorbettato
per aver appena macinato 12 km di strada col vespino attraverso il gelido autunno del '93.
«Vogliamo entrare?», domandai con uno svolazzevole inchino all'indirizzo dell'uscio.
«No. Fa un freddo che piovono pinguini, ma noi restiamo pure qua fuori a congelarci.»
«Come desideri.»
Ficcai le mani nelle tasche delle brache, e mi misi a zufolare. Angelo mi osservava
inebetito:
«Si può sapere cosa diavolo stai facendo?»
«Fischietto, non si vede?»
«Sì che lo vedo, ma.. preferirei entrare.»
«Hai già cambiato idea? Per me va bene. Anzi mi stavo giusto domandando cosa ti
trattenesse qua fuori, a parte la pioggia di pinguini..»
«La.. cosa?!»
«L'hai detto tu stesso, no?, che piovevano pinguini. O ti ho capito male?»
«Ma.. stavo scherzando!»
«Tu umoristico? Quale dilettevole novità!», e feci strada.
Approfittando del fatto che ero in casa da solo (ah, beatitudine!), ci recammo in cucina per
una tazza di tè caldo che aveva tutto il gusto provvidenziale di quel primo tè in montagna.
«Dimmi una cosa, Alessio, scherzi a parte: tu ci credevi davvero, che stessero piovendo
pinguini?»
«Ma ti pare? Certo che no!»
«Meno male. È già qualcos..»
«Tuttavia ritenevo possibile che per te si trattasse di un'esperienza reale – per quanto in
quel caso, ne converrai, si sarebbe trattato di una ben insolita visione.»
«Tu sei pazzo.»
«Non meno di quel tale che sosteneva di veder fioccare una cascata di foglie di acero sotto
i rami del pino che sta nel mio giardino.»
«Gli hai mai chiesto di parlare?»
«Al pino?!»
«Non diciamo cazzate! A Gino.»
«Non ne ho mai dette di cazzate a Gino, io. Perlomeno, non intenzionalmente.»
«Uffaaaa. Volevo dire che..»
«Ho capito benissimo: stavo solo scherzando.»
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(45)
«E allora?»
«Beh, mi aspettavo che tu ridessi.»
«No, intendevo dire di Gino: gliel'hai chiesto sì o no?»
«Ci sei cascato ancòra. Comunque la risposta è sì: all'inizio. Solo che non ne era in grado.
A dire il vero, pareva fare una gran fatica anche solo a moderare gli impulsi che inviava
attraverso i tuoi nervi.»
«Quanto a questo, ti assicuro che preferirei sapere che nei miei muscoli passano solo
impulsi nervosi miei.»
«Che schizzinoso. A me invece non dispiacerebbe affatto, fare il medium tipo Whoopie
Goldberg in “Ghost”. Dico sul serio.»
«Alla fine ti stancheresti pure tu. (Il che è tutto dire.) Se ci tieni tanto, però, ti cedo
volentieri il mio posto.»
«Magari! Gliel'ho pure domandato, ma Gino sembra non essere della medesima idea.»
«Che ti ha detto?»
«Di non pensarci. Semplicemente, ha evaso la domanda. Un po' come fai tu, solo che lui
almeno è onesto e te lo dice chiaro & tondo.»
«Perché, io come faccio?»
«Cambi argomento. Così, senza neanche avvisare. E poi ti stupisci se si ingenerano
confusioni.»
«Non hai messo un “in” di troppo?»
«Se preferisci, controllo sul vocabolario.»
«No, per carità: lasciamo perdere.»
«Lo sapevo, infatti io più che altro lo dicevo per minaccia..», sorrisi ironico.
«Però adesso, e correggimi se sbaglio, Gi..»
«Da quanto in qua, sei il tipo da accettare correzioni?», lo interruppi.
«Facevo per dire. Se sbagli, sbaglieresti ancòra – e io non commetto mai errori. Piuttosto:
ho finito il tè. Scendiamo.»
Al solito, Angelo prese posto sul letto e io sulla sedia.
«Stavo dicendo: adesso Gino è migliorato notevolmente, no? Tanto che gli riesce pure di
scrivere.»
«Non solo: muove gli occhi, imita le tue espressioni facciali che è una meraviglia.. Persino
si lamenta coi tuoi stessi Mmm Mmm Mmm!»
«Gli hai più chiesto di parlare?»
Il gelo.
«Dobbiamo aspettare primavera, Alessio?»
«Ehm.. Ecco, vedi, il fatto è che..»
«Che?»
«Me ne rendo conto che può apparire pazzesco, ma.. Non ci ho proprio mai pensato, di
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(45)
domandarglielo una seconda volta.»
«Tipico.»
«Grazie tante per la fiducia, Angelo.»
«Non c'è di che.»
«Tornerà?»
«Chi? Gino?»
«No: Dick E.»
«Eh?!»
«Sai?, la vecchia battuta trita & ritrita del “Dick E. non è in casa”..»
«..»
«No, dai, Angelo, non guardarmi così.», ironizzai. «Stendiamo pure un velo pietoso: tanto
comunque non la capiresti mai.»
Conoscevo quello sguardo fisso nel vuoto, ma se l'avessi chiamato “Gino” e invece era
semplicemente lui sovrappensiero, Angelo l'avrebbe preso per un insulto.
«Ti sei eclissato?», domandai prudentemente.
Anziché rispondere, scattò in piedi come un soldatino meccanico: rigido nelle
articolazioni, ma con l'agilità di una banda elastica.
«Gi.. Gino?!»
OK. E un passo trascinato in avanti facendo slittare il piede sul pavimento.
«Ehilà! Vedo che facciamo progressi, eh?»
Altro passo, in equilibrio quantomai precario.
«Fa' attenzione, chè poi Angelo mette in conto a me ogni minima ammaccatura, okay?»
Un'occhiataccia esasperata, come a dire contemporaneamente “Sto facendo del mio
meglio!” e “Possibile che tu riesca solo a preoccuparti di te stesso?”
«Era tanto per dire: fai pure con comodo.»
Passettino dopo passettino, dinoccolato come una marionetta di legno manovrata da un
puparo invisibile, Gino raggiunse lo studio del mi' babbo e si sedette sulla poltrona con la
rigidità di un omino del Lego.
Ne approfittai per porgergli la domanda:
«Gino: sei in grado di parlare?»
OK.
Forse era necessario formulare una richiesta non sottointesa, o più probabilmente si stava
solo vendicando della pedante pignoleria che gli avevo dimostrato sino a quel momento con
le mie domande:
«E allora parla.», esplicitai.
«Ciao. Sono Gino.»
«Grazie tante: lo vedo da me, che non sei Bella Figheijra.», ma questa non poteva capirla
perchè dubito fortemente che dalle sue parti abbiano trasmesso la parodia de “I promessi
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(45)
sposi” fatta dal mitico trio comico Marchesini, Lopez, Solenghi.
«Fra poco torna Angelo. Questa sera gli darò un segno, ma tu non dirgli nulla.»
«E se mi domanda come ha fatto ad arrivare fin qui?»
«Non te lo chiederà. Io vado.»
«Di già?», non rendendomi conto che aveva già bruciato tutte le sue energie per imparare
a camminare.
«Ci rivediamo questa sera: ore otto. Ciao.»
«Ciao.», replicai perplesso.
«Alessio, ma.. hai fuso? Perché mi saluti?»
«Noto che il tuo tempo di recupero è decisamente migliorato.»
Dopo essersi guardato intorno per un poco, resosi conto di trovarsi altrove senza essercisi
recato di sua propria volontà, Angelo si sollevò lanciando la poltroncina nera dietro di sé – e
s'allontanò dalla scrivania quasi ne fosse disgustato, imprecando contro il cielo:
«Ma porca puttànica! Perché a me? Perché proprio io?!»
46
I
l resto della giornata lo trascorsi alla disperata ricerca di una catarsi di musica e parole
che mi sgravasse il petto, ma più probabilmente l'anima, da tutto quello strazio che vi
avevo sigillato dentro come i venti del vaso di Pandora – e altrettanto ne paventavo il
potere distruttivo. Invece ne uscì un capolavoro.
Esacerbato da un dolore tagliente, trafitto dalla vile
meschinità del mondo infestato dagli uomini.
(Non solo piattole, zanzare e sanguisughe, a risucchiare la vita
altrui. Non sono solo gli acari a disseminare merda nella
polvere.)
L'anima nauseata mi si agita dentro, sferzata da una crisi di
rigetto per questo corpo, così inabitabile.
(Negli intrichi della mente pullulano dedali di strade senza
uscita, pensieri come vermi attrorcigliàti, pestilenziale nido di
vipere infami..)
Mi prosciuga la malinconia, gondola che alla deriva va - sotto
al Ponte dei Sospiri, giaccio esanime - riverso sopra a una
zattera sovrastata dal quel cielo plumbeo che separa
tempesta da tempesta, e che mi squassa reietto come albero
tra le onde.
Rantolo quelle poche parole che ho ancora il fiato sufficiente
a esalare.
239
(46)
Cerco dentro di me, ma non trovo che cuore e fegato - e mi
rimprovero di averne troppo del primo, e mai abbastanza del
secondo.
Dove vai trascinandomi via, corrente che mi fulmini l'esistenza,
oggi e sempre?
Alzo gli occhi al cielo, supplicando un paio d'ali per
attraversare questa coltre di nubi che mi strangolano, a
rivedere..
finalmente aria! finalmente sole!
in una forma d'angelo ritrovarmi cullato dalla Grazia, e avvolto
dal sorriso del mio Paese natìo - che non può essere così
lontano, come invece sembra di quaggiù, che si naviga allo
sbando, e vado rimbalzando di foschia in foschia vagolando
dentro a un mondo che ha il tocco di Mida all'incontrario: ciò
che tocca, marcisce.
Accarezzo il ruvido disincanto che mi ha smarrito nel
temporale della temporalità: l'ennesima replica notturna di
un'altra delusione, che mi fa scoprire solo altra cenere che
cova sotto la brace..
Sopravvivo a me stesso, intrecciando giorno a giorno come
Icaro faceva con le piume, e come Icaro temo la caduta: non
"più in basso", ma "ancora qui" - immortale tra i mortali,
solitario diamante disperso sotto un cumulo di schegge
d'opaco vetro grezzo.
Cerco un senso in ciò che mi fa senso, e fallisco mille volte in
un attimo - che non so cogliere nè dimenticare, nè assaporare
nè disdegnare.
Guardare dall'alto al basso dà vertigini ed ebbrezza, certo è
vero: tranne che all'impiccato che hanno appeso al ramo della
sua agonia.
Mutilato dei Sensi e per giunta azzoppato dalle parole, invoco
la Musica: lei sola ancora mi risponde, ma neppure lei che mi è
Madre accetta di portarmi via con sè.
Così non mi rimane che annaspare nel torbido, struggendomi di
stare a galla, ma là Fuori sulla grande nave nessuno ha
ancora avvistato il non-uomo a mare.
Oramai dispero pure del salvagente: chissà?, forse a bordo
non è rimasto più nessuno a lanciarlo.
Chi nasce all'imbrunire testimonia soltanto il lento progredire
dell'oscurità: la notte, coltre inesorabile. (E mi si dice che il
giorno verrà. Come Credere?)
Qui piove da sempre. Talvolta pure grandina.
Accecàti dai lampioni per strada, le stelle appese nell'aria chi
le vede più?
Toh? Il pendolo si è fermato.
"Eppur galleggio.."
Galleggio nell'Infinità. C148
Raggiunsi gli altri in capo a una manciata di minuti. Avevano persino chiuso la porta.
«No, dico: è forse questo il modo di fare?», protestai per scherzo entrando. «Vi riunite in
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conclave in mia assenza, e per giunta sbarrandomi fuori da camera mia?»
Alessandro stava seduto davanti al letto, ingobbito in avanti, i gomiti sulle ginocchia, a
martoriare con la bocca una penna per il nervosismo. Udendo la porta aprirsi, era
sobbalzato – guardandosi immediatamente alle spalle per sincerarsi che fossi io, e non
piuttosto mia madre o un altro intruso.
«Meno male che sei arrivato!», si rallegrò Valeria, seduta sulla sponda del letto accanto
alle gambe di Angelo. «Noi non sapevamo più cosa fare.»
«Stavo quasi per salire a chiamarti.», le fece eco Alessandro.
Gino tese le braccia, che sembrava quasi il Papa che benedice dal balcone, ma il suo gesto
aveva palesemente tutt'altro significato:
ERA ORA!
«Scusate il ritardo. È da molto che è arrivato?», domandai ad Alessandro – il quale si
alzò, cedendomi il mio legittimo posto sulla poltrona di comando.
«Praticamente da quando ha toccato il materasso.», rispose Valeria senza curarsi che la
domanda non fosse rivolta a lei.
Gino ribadì il concetto di prima, picchiettando col dito sopra l'orologio.
«Potevi anche mandarmi a chiamare, se avevi tutta questa fretta.»
«Loro non mi hanno ancòra chiesto di parlare.»
Alessandro e Valeria rimasero a bocca aperta.
«Scusate: è che prima non ho avuto modo di avvertirvi, per via di Angelo. Ma a questo
punto l'avete sentito da voi: Gino parla.»
«E.. da quando in qua?», domandò Alessandro.
«Da stamattina.»
«Perché mentre tu non c'eri è rimasto muto, allora?»
«L'ha detto lui stesso un attimo fa: dovevate prima chiederglielo. Fatelo adesso.»
«Puoi parlare anche con noi, per favore?»
«Sicuro, Valeria. E anche con te, Alessandro – nonostante tu l'abbia solamente pensato, di
chiedermelo. Ma per uno che Intuisce Grande, è normale dimenticarsi delle parole.»
«Intuiscegrande.. che?», mi domandò arricciando il naso il diretto interessato.
«È il tuo Talento, Dedo.», gli spiegò Valeria, approfittandone anche per pavoneggiarsi un
po': «Il mio invece è quello di Capire Grande.»
«Nel senso di understanding: ciò che i buddisti chiamano Compassione.», specificai.
Prima che potesse mettermi in imbarazzo, visto che ero l'unico a cui il proprio Talento non
era stato rivelato, mi affrettai a cambiar discorso:
«Piuttosto, Gino: stamattina avevi accennato a un segno da parte tua per Angelo..»
«Un segnoooo? Che segnooo?»: Valeria, con la sua consueta dovizia di O.
«Portami la giacchetta di Angelo, per favore.», così come avrebbe ordinato a un cagnolino
di riportargli un bastone dopo averglielo gettato. Non credo che Angelo avrebbe gradito
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(46)
quei modi verso la sua donna.
«Guarda nella tasca interna, Alessio.»
Ne cavai fuori una foto giovanile del padre di Angelo, e confesso che lì per lì ci rimasi un
tantino deluso:
«Tutto qua?»
«Forse c'è qualcosa sull'altro lato.», suggerì Alessandro.
Infatti. Voltai la fotografia e sul retro c'era una dedica, vergata a mano come si conviene,
con un vecchio pennino o una stilografica, l'inchiostro nero in parte sbiadito dagli anni in
strane sfumature rosate:
Ovunque io sia, qualunque cosa io faccia,
il mio pensiero è sempre con te.
Lessi ad alta voce e poi passai la foto ad Alessandro.
«Perché ti perplimi, Dedo?», domandò Valeria chiamandolo col suo soprannome.
Gino mi guardava dritto negli occhi: sapeva che io ero l'unico, oltre ad Angelo, a poter
capire – capire veramente, dico. E sembrava pure aspettarsi che fossi io a spiegare al resto
del gruppo:
«È la risposta che Angelo aspettava.»
«Ma questo qui è il suo papà. E se questa frase l'avesse scritta lui?»
«E! Appunto!», le rinfacciò Alessandro. «Quelle parole una ventina d'anni fa erano rivolte
alla madre di Angelo.»
«Non capisco.»
«Vedi, Valeria, la stranezza sta proprio qui.», cominciai a spiegare.
«Davvero?»
Più uno è stupido, meno gli piace sentirselo dire C034: regolare.
«Come sai, Angelo si tormenta nell'ignoranza di chi sia Gino», proseguii, «e del perché
Gino abbia scelto proprio lui.»
«Aaaaaa!»: il classico commento affrettato di chi non ha ancòra capito un fico secco del
discorso, ma non vuole fare la figura del fesso e così esclama “Aaa!” facendo affidamento
sul fatto che capirà per tempo una volta che tu avrai finito di spiegare.
Perché dargliela vinta? Anziché stare al suo gioco, finsi di cambiar discorso:
«Tu Alessandro cosa ne pensi?»
«Beh, io non me lo so spiegare, non razional..»
«No, scusate, ma..»
Come volevasi dimostrare, la manza tornava alla carica:
«Come faceva il padre di Angelo, così tanti anni fa, a sapere già che doveva scrivere tutte
queste cose?»
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Alessandro pareva una pentola a pressione, per quanto si sforzava di soffocarsi in gola la
risata. Io, sottovoce per non farmi udire da lei, esclamai con tono da bancarellaro: «Fuoco
alle polveri!». E Gino sembrava concordare coi miei propositi pirotecnici di festeggiare
degnamente la bufalata del secolo.
«Qui sta il punto, no? È impossibile, ma è effettivamente accaduto: ecco che cosa rende
questo segno così stupefacente!»
«A.»: lo stesso commento di prima, però breve, decurtato dell'ululato di “a”. Segno
inequivocabile che stavolta ci era arrivata pure lei.
Gino fece cenno a Valeria di restituirgli la foto, e se la posò aggraziatamente sopra il petto:
«Adesso torna Angelo. Noi ci vediamo domani, okay?»
Si fece timidamente avanti Alessandro:
«Io, veramente.. domani sera proprio non posso.»
«No, scusa.. ma ti rendi conto, sì?, che Gino non è esattamente quel che si dice “una
persona qualunque”?», lo redarguii. «Non credo che Mosè sul monte Sinai avrebbe detto
all'Onnipotente “Uè, scusa bello, ma io ci ho da fare, semmai ri-passa più tardi..”»
«Lo so, e verrei tanto volentieri ma.. dico davvero: se non posso, non posso.»
Anche Valeria lo incalzava con gli occhi, rendendogli la situazione ancor più mortificante.
«Su, Dedo! Trova una scusa, digli che vieni da me a studiare..»
«Davvero: vorrei. Ma se vi dico che non posso, è perché proprio non posso.»
Non avevo mai visto Alessandro così determinato a declinare un invito. Chi o che cosa, in
nome del cielo, poteva essere talmente importante da renderlo così irremovibile?
Io non ne avevo la benchè minima idea (poiché mi ero ripromesso di non fomentarmi più
paranoie sul suo conto), ma Gino sì: scrutò l'aria per un istante appena, come a voler
acchiappare al volo i pensieri di Alessandro, e poi con tono non solo conciliatore ma
addirittura amorevole gli disse:
«Ti prometto che finiremo largamente in tempo per il tuo.. impegno non rimandabile.
Facciamo per domani pomeriggio, qui, ore 16. Okay?»
Alessandro si era serràto nel silenzio, e teneva gli occhi sul pavimento. Quando gli posai
la mano sulla spalla per scrollarlo da quell'improvviso autismo, si ritrasse con uno scatto –
manco l'avessi ustionato.
«Eh?», trasalì.
«Dedo, che cos'hai?»: intuivo un che di angoscia mista a pena, in quella domanda.
«No, Valeria, niente. Niente, niente..»
«Allora.. sei dei nostri, domani pomeriggio?»: misurai le parole e calibrai il tono della
voce così come non avevo mai fatto prima in vita mia.
Ma la bugiarda spensieratezza simulata da Alessandro nel rispondenrmi «Sicuro!» non
bastò a tranquillizzarmi: si profilava all'orizzonte un'altra nottataccia da incubo.
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F
iles. Dannàti files. Date a un nato nell'anno del Topo un computer, specie se munito
di scanner, e ve lo infarcirà di files. Diversamente da un foglio di carta, un file non
occupa spazio. E non ingiallisce. E non lo perdi mai. (Certo se ti dimentichi dove
l'hai ficcato è un casino snidarlo, ma non può mai accadere che passa di lì qualcuno che per
sbaglio te lo getta nel cestino della carta-straccia.)
Non ne sapevo una bega, di astrologia cinese. Ma “bestiolina accumulatrice” ho sempre
saputo di esserlo: mai gettar via una fotocopia, chè ci puoi prendere appunti sull'altro lato;
mai mandare al macero i vecchi temi scolastici (roba che ho conservato persino i compiti in
classe di elettronica e quelli di diritto!); mai lasciarsi sfuggire di bocca una battuta senza poi
schedarla, chè magari prima o poi vien buona per un racconto..
La parola d'ordine è: archiviare. Di qualunque cosa si tratti, tienila buona chè prima o poi
ti tornerà utile. Un'intera vita fondata sul “non si sa mai”.
Un floppy disk da 3'.5” senza etichetta alcuna, completamente anonimo – tranne che per
la dicitura “DIARY”, visibile però soltanto in controluce poiché astutamente scritta a mo' di
filigrana con un pennarello nero sullo sfondo nero del dischetto. Contenuti all'interno, una
sfilza di files ultraprotetti aventi per titolo cose comprensibili solamente a me:
Ed eccolo qua: la cassaforte di bits (una delle) dove mi ero appuntato ogni minimo
dettaglio circa gli strani comportamenti di Alessandro.
Dubito che l'FBI avrebbe saputo far di meglio: a occhio e croce, un migliaio di linee di
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(47)
dossier dove tutte le informazioni erano catalogate secondo la fonte..
Secondo Maurizio, Alessandro è omosessuale e ci è rimasto
quando io gliel'ho detto [ad Alessandro] prima che fosse
lui ad ammetterlo; ora mi evita perchè
rifiuta la propria
omosessualità, e cerca in Angelo un esempio
eterosessuale.. ed oltretutto, una persona con cui
certamente non si lascerà mai andare: cosa che invece
potrebbe fare, magari di sera, parlando al buio con me.
Maurizio dice che ne è convinto, ma il vero guaio è che ha
convinto pure me.
O secondo la data..
3/2/93: Alessandro è fuori a cena per il compleanno dello
zio. Ma sua madre (sorella dello zio) non è stata
invitata, e neppure il fratello più piccolo: dallo zio ci
vanno sempre e solo lui ed Ernesto.
Oppure secondo l'argomento..
RAGAZZE: non ne parla mai, se non quando lo interpellano
direttamente sull'argomento – nel quel caso si limita a
lasciar cadere il discorso con commenti evasivi di
routine: i medesimi che uso io per svicolare, facendocredere senza alcun bisogno di mentire. (Angelo sostiene
che "dà risposte di circostanza adeguandosi a chi gli
parla, rimanendo in difesa per non esporre il veroAlessandro"). Soprattutto è famoso per battere in ritirata
appena qualcuno gli presenta una tipa che sembra nutrire
interesse per lui. È molto legato a una certa Valeria da
amicizia ben lungi da qualsiasi altra implicazione (ci
tiene a specificare che esce con lei e le amiche di lei
"per spettegolare", che se non lo conoscessi penserei alla
classica checca-comare stile tè
e pasticcini fra
ragazze). Quand'eravamo a Roma, pareva nemmeno notare le
"bellezze estive" che trovavamo per strada o sugli autobus
– con tutto che le notavo io! E non un commento sulla
nostra ospite, carina e oltretutto single. Unica
eccezione: quando mi ha detto che gli aveva telefonato una
sua ex compagna delle medie, e che sarebbero usciti a cena
– ma avevo frainteso, e si trattava di una reimpatriata di
gruppo fra ex-alunni.
Era facile per le mie orecchie sempre sull'attenti raccogliere informazioni da fonti ignare
circa la direzione della mia ricerca. La qual cosa ovviamente le rendeva ancor più
attendibili.
Alla pizzata di fine quarto anno (Giugno 1992) ci siamo
imbattuti per caso in alcuni suoi ex-compagni delle scuole
medie, e Alessandro è dovuto uscire per parlare con una
ragazza che lo cercava. Uno di loro ha domandato agli
altri se fosse la sua donna, e si è sentito rispondere con
divertita sufficienza: "Dedo? Assieme a una tipa? Ma
va'!".
A scuola lo sfottono come "impedito con le donne", e non
sempre amichevolmente come lui s'illude. Semplicemente
subisce, come la scritta "De Dominicis è piatto davanti"
fattagli trovare prima su un banco e poi addirittura sopra
una parete del corridoio.
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(47)
E poi ancòra: fatti, possibili interpretazioni, opinioni altrui.. E non solo su di lui, ma su
tutte le persone che ruotavano attorno al suo mistero:
PADRE: morto in un incidente stradale quando Alessandro
aveva 7 anni (ma lui non ne vuole parlare).
MADRE: maestra delle medie, stereotipo della maestra
bacchettona: ossessiva (i fratelli di Alessandro la
chiamano "Petèga", perchè
ha sempre da ridire su tutto),
possessiva (non vuole che Alessandro esca spesso, ma
quando lui è in casa lei è altrove o in un'altra stanza),
"castrante" (critica ai figli di non sapersi fare da
mangiare, ma appena vede qualcuno di loro ai fornelli se
ne occupa lei; li paragona ai loro cugini mammoni, dicendo
che sono peggio di loro e buoni-a-nulla). Alessandro la
lascia dire, non discute mai, tuttalpiù subisce.
FRATELLI: uno di 17 anni, con cui non ha rapporto
(condivide la stanza, e questo lo scoccia e basta); uno di
22, con cui condivide interesse per la musica. Alessandro
non è a conoscenza di "storie di ragazze" per nessuno dei
due, e tutti e tre (ma specialmente Alessandro e il
maggiore) sembrano avere come migliore amico lo zio.
Aridalli con 'sto zio! Gira e rigira, c'è sempre di mezzo costui. Ma chi è?
ZIO: fratello della mamma, sugli "anta", scapolo (non
convive, e passando tutto il tempo coi nipoti si direbbe
non gliene rimanga per frequentare regolarmente una
donna), ateo e filocomunista, filantropo della gioventù,
dalla tempra forte, intransigente e sicuro di sè al punto
da sfociare talvolta in una sorta di "sottile cinismo
brutale". Frequenta moltissimo Alessandro e fratelli tipo
padre putativo nonchè principale sostegno economico della
famiglia. Dispone di una videoteca fornitissima e ha la
fissa di VHS a sfondo erotico (SEX & ZEN, SOCIETY, TOKYO
DECADENCE) o omosex (SALÒ di Pasolini, MANGIA IL RICCO,
LENNY, MAURICE). Fa strane foto ai nipoti (molte li
ritraggono in mutande, sdraiati sul letto o in pose
equivoche o mentre si spogliano); altre ritraggono
soggetti balzani, tipo un brullo prato norvegese su cui
c'era soltanto un ragazzetto del luogo sdraiato a prendere
il sole a torso nudo.
Ma non finiva qui:
Il misterioso "vecchietto intraprendente" di Merate, una
specie di incrocio fra un pedofilo e un latinlover-gay di
terza età che una sera a ora tarda aveva provato ad
adescare Bobby alla stazione di Monza, afferma di
conoscerlo bene – sapeva ad es. della sorella vedova e ne
conosceva il nipote (cugino di Alessandro).
Avevo svolto un'indagine anche su questo potenziale supertestimone, appostandomi per un
paio di volte alla stazione di Monza nell'orario indicatomi da Bobby, alla ricerca di “un
uomo sulla sessantina, 1 metro e 75, testa quadrata, capelli bianchi e corti, occhi azzurrochiaro, che porta la dentiera e un impermeabile beige”.
Purtroppo non trovai mai nessuno che corrispondesse alla descrizione di quell'individuo.
Tuttavia avvenne un fatto quantomeno anomalo: alcuni giorni dopo averne accennato
qualcosa ad Alessandro, dicendogli che stavo svolgendo indagini su un vecchio
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sporcaccione che ci aveva provato con Bobby alla stazione (che poi è precisamente come
sono andate le cose), lui notò sopra la mia agenda un numero telefonico con le prime cifre
corrispondenti al circondario di Merate e tutto allarmato mi domandò: “L'hai trovato? Ci
hai parlato?”. Invece si trattava solamente del numero di un mio compagno di scuola dei
tempi del liceo, ma non c'era verso di farmi credere: Alessandro s'angustiava nella
convinzione che gli stessi nascondendo la verità.
Le mie erano forse tutte quante paranoie di una mente intricata, ne ero ben consapevole. E
non facevo che ripeterlo a me stesso: mentre scavavo, e ironia della sorte non facevo altro
che trovare nuove prove.
Va detto però che 'sto zio teneva dei comportamenti a dir poco bislacchi:
Ama fare sport con gli alunni (cosa alquanto anomala
nell'ambiente bacchettone/ultraconservatore del Jean Monnet),
e non solo nelle ore di educazione fisica, sebbene lui insegni
lettere.
Alessandro stesso mi ha riferito che suo zio, suo cugino,
lui e suo fratello spesso giocano a farsi il solletico molto a
lungo (un quarto d'ora almeno) buttati sul lettone.
Un cinquantenne che fa ghirighiri ai “nipotini” di 19 e 22 anni? Per interi quarti d'ora? Sul
lettone??
Ciònonostante, più tutto avrebbe portato a pensare in una certa direzione, più io
archiviavo diligentemente per poi passare sùbito a una strada diversa. Che però finiva
sempre col ricondurmi verso quell'unica tesi: quella che non poteva e non doveva esser
capitata proprio ad Alessandro, al mio Alessandro.
«Sto soltanto fraintendendo. Dai! Che razza di ipotesi al limite dell'assurdo è mai, questa?
Basterà trovare un'altra chiave di lettura, e ogni cosa si chiarirà. È tutto okay: Alessandro
domani sera ha un impegno qualsiasi. Ma soprattutto devo piantarla una volta per tutte, di
ossessionarmi per la maxi-orgia famigliare nel finale di “Society”!», mi rimproveravo,
incapace di porre freno ai miei pensieri.
Vegliai per tutta la notte: scorrendo avanti e indietro tutte le informazioni in mio possesso,
esaminandole una per una alla disperata ricerca di una interpretazione alternativa – e
intendo proprio dire una qualsiasi. Avrei voluto poter spremere lo schermo, per cavarne una
spiegazione rassicurante: anche una soltanto.
Mi ci affannai ostinatamente per ore ed ore – fino a quando, attraverso le tende marrone
scuro, mi resi conto che stava inesorabilmente albeggiando sopra un altro giorno privo di
risposte.
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M
i ridestai di soprassalto. La testa era tutta un ronzìo, il cuore batteva pesanti tonfi
come se il sangue si fosse fatto catrame, e nel naso sentivo quell'odore di niente
misto a polvere caratteristico delle notti in bianco.
La pressione bassa mi dava le vertigini, chè a stento mi riusciva di stare in piedi, così mi
sedetti sul letto sentendomi un po' come un astronauta appena sbucato fuori da un'unità
criogenica: ibernato e poi risorto – ma più somigliante a una patatina surgelata ammosciata
in un microonde, che alla Fenice C036 fiammeggiante che rinasce dalle proprie ceneri.
«Ehi cuore, si può sapere cosa mi combini? Non si direbbe che tu ti sia ben reso conto che
sono nuovamente in stato di veglia.» ..perché io, fin da ragazzino, al mio corpo ho sempre
parlato come il comandante all'equipaggio della propria astronave. (“Qui Kirk. Sala
macchine! Scotty! E allora? Cosa aspettate a erogare potenza ad impulso?”)
Metà per gioco, metà per training autogeno, funzionò egregiamente – e potei sollevarmi in
piedi senza barcollare più, sentendomi come un robot rimesso a nuovo.
Giusto il tempo di fare una doccia, ed ecco arrivare per primo Angelo: ci si era dati
appuntamento un'oretta prima che con gli altri, per una specie di summit al vertice.
«Che aria sbattuta! Tu ti fai troppi problemi: pensi troppo.»
«E poi non dormo. Almeno non prima di aver rintuzzato uno ad uno i pensieri che
m'infestano il cervello come minuscoli sfuggevoli scarafaggi. E prima di farcela,
tipicamente tiro l'alba.»
«Ancòra Alessandro?»
«La Terra orbita intorno al Sole?»
«Sei un sognatore. E un illuso. Poco ma sicuro, se si fosse comportato con me come si è
comportato con te, io l'avrei già mandato a cagare da un pezzo.»
«È molto meno ovvio di come la fai tu: ci sono parecchie variabili in gioco che tu ignori.»
«Mettiamo su un po' di musica?»
«Perchè no!»
«Cos'hai da offrirmi?»
«A te, un pedatone nel didietro. Io invece mi merito Jarre.»
«Ma allora è una occasione di quelle importanti!»
«Chissà..»
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Nonappena vide la custodia del CD che avevo appoggiato sulla scrivania, l'agguantò con
una zampata:
«E questo qui chi sarebbe?», trasecolò.
«E! Secondo te?»
«Non può mica essere Jarre!»
«Di solito uno sul proprio CD ci mette la sua foto, non quella del primo che passa per
strada.»
«Oppure che incontri sul treno.», arguiì quasi con solennità, per poi scurirsi in volto.
«O che incroci su un transatlantico. O che eviti in volo su un biplano. O che..»
«Dico sul serio: non sto scherzando. Stava seduto davanti a me. Mi ha detto di essere un
soldato americano che lavora per la NASA, e poi ha attaccato a parlare degli shuttle..»
«..specie di quello esploso anni fa, presumo.», suggerii, per il gusto di fare dell'ironia.
«Il Discovery, esatto. Ma tu come facevi a saperlo?»
«Il Challenger, semmai. Beh: a parte che è uscito su tutti i giornali, e come sai sono uno
startrekkista..»
«Continuo a non capire.»
«“Star Trek”: il mio telefilm preferito, ci hai presente? Quello che più lo guardo, più mi
sembra di trovarmi dalla parte sbagliata del teleschermo.»
«No, voglio dire: come facevi a sapere che lui mi aveva parlato proprio di quello shuttle?»
«Senti, Angelo: il gioco è bello finchè dura poco. Suvvia, andiamo!», mettendomi alla
ricerca del CD di “Rendez vous”. «Posso capire che tu sia una specie di medium e storie
varie, ma.. Incontrare Jarre sul treno? Mascherato in divisa, per calarlo meglio nella parte
di un marine? E magari ci aveva pure un leggero accento francese!»
«Centro!»
«Giura che non stai scherzando. (Trovato!)»
«Che tu ci creda o no, questo non cambia il fatto che ho incontrato Jarre sul treno. Forse
era un sosia.»
«Ma che sosia e sosia! To': leggi qua.», e gli schiaffai in mano il libriccino del CD.
«Non so l'inglese. Me lo traduci?»
«“Questo disco è dedicato a Ron McNair e ai sei astronauti che morirono a bordo dello
shuttle Challenger il 28 Gennaio 1986.”»
«Ma dai!»
«E poi prosegue, spiegando che questo Ron avrebbe dovuto suonare col sassofono un
pezzo che Jarre aveva composto per l'occasione: sarebbe stato, dice qui, “il primo pezzo ad
esser eseguito e registrato nello spazio”.»
«E invece.. Dio, che razza di sfiga.»
«Non venirlo a dire a me: perché non mi ci potevo imbattere io, in Jean-Michel Jarre?»
«Penso perché tu l'avresti riconosciuto.»
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«Ci puoi scommettere! Anche se, a onor del vero, avrei preferito incontrare Vangelis.»
«Aspetta: l'ho già sentito. Chi è?»
«(L'ha già sentito. Sic.) Quello che ha fatto la colonna sonora di “Bladerunner”.» Largo
all'ironia: «Sai, quel film che hai visto con Alessandro.. Proprio quello che ti sei sempre
rifiutato di vedere con me.»
«Adesso mi ricordo: la cassetta che mi hai fatto ascoltare!»
«Exacto: un Musicista nel modo in cui lo sono io stesso. Ci andrei pianino a parlare di
modelli, ma..»
«Che tipo è?»
«Nella vita? Pare sia un po' scorbutico: una specie di misantropo buono, come me.»
«Modesto fino in fondo, eh?»
«Ehi, giàssai: “L'immodestia è il mio unico difetto.”» C034
«Alla faccia!»
«A proposito di faccia..»
Andai a pescare la migliore delle raccolte di Vangelis, e gli mostrai la foto all'interno:
«Guarda!», dissi pimpante, «Questo è lui. E, traducendo da qui affianco: “suona da sé
tutti gli strumenti: è sia compositore che arrangiatore e produttore di sé stesso. Ha
incominciato giovanissimo, alla fine degli anni '60, creando textures di suono che sarebbero
diventate possibili solamente con l'arrivo dei sintetizzatori polifonici della metà degli anni
'70..” Perchè fai quella faccia? Ti sto forse annoiando?»
«No, è che..»
Angelo non aveva il coraggio di completare la frase, così si limitò a darsi una pacca in
fronte e a lagnarsi:
«È assurdo!», ripeteva scuotendo il capo. «Assurdo.»
«Non mi dire che hai trovato Vangelis sul metrò, perché sennò crepo d'invidia all'istante.»,
scherzai.
«Allora è il tuo giorno fortunato: non l'ho trovato sul metrò. Però stava sullo stesso treno
di Jarre: quello per Fano.»
«Fammi capire: sarebbe a dire che sei stato faccia a faccia con Vangelis e Jarre, e tutto
questo sul treno che ti portava al mare da Cleo?»
«Proprio. A un certo punto Jarre è sceso, ed è salito Vangelis. E ti dirò di più: attraverso il
finestrino li ho pure visti scambiarsi un cenno d'intesa, quando si sono incrociàti sulla
banchin.. Cos'hai? Stai male?»
«(Jarre. Vangelis. Sul treno. E ce l'avevo accompagnato io, in stazione! Personalmente!)»,
brontolavo fra me e me. «(Se avessi fatto il viaggio con lui, prima Jarre, poi Vangelis.
Invece ciccia: neanche un autografo. E lui? Manco li ha riconosciuti.)»
«Ehi! È arrivato Alessandro!», che detto così in quel frangente suonava troppo tipo
“guarda l'asino che vola” per volergli credere.
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«Sì, certo, certo. Come no?»
E invece:
«Peeeer-messo!»
Inconfondibile: era proprio lui.
«Disturbo?»
«No no, figùrati!», replicai.
«Perché quel muso lungo?», mi domandò.
«Tu che faccia faresti, se tuo fratello avesse incontrato.. che so? Jim Morrison – diciamo,
sullo stesso treno che prendi tu ogni mattina per andare a scuola?»
«È un indovinello? Mah, non lo so. Forse farei la stessa faccia che faresti tu se tuo fratello
avesse incontrato Jarre.» Poi, ascoltando l'inconfondibile “The Tao of Love” che suonava
dalle casse dello stereo, aggiunse: «Oppure Vangelis.»
Angelo era sbalordito, io ancòra di più. All'anima dell'Intùito!
«Bingo.», disse Angelo.
«Veramente non capisco..»
«Vedi, Alessandro..», e poi sbuffai fuori un sospirone alquanto rassegnato. «Si dà il caso
che Angelo abbia incontrato Jarre e Vangelis sullo stesso treno.»
«COOOOSA?!?»
«Proprio così: a Settembre, sul treno per Fano.», confermò Angelo. «Però li ho
riconosciuti soltanto adesso, vedendo le loro fotografie.»
«Ma.. ne siete sicuri? Magari ci assomigliavano e basta.»
«Due sosia sul medesimo treno? Con tutto che Jarre gli ha parlato dello shuttle che è
esploso..»
«Quello di “Rendez-vous”?», domandò Alessandro.
«Già. ..e poi Vangelis, dopo aver fatto un cenno d'intesa a Jarre, si è seduto allo stesso
posto della stessa carrozza: davanti ad Angelo.»
«Ma che mondo di merda! Jarre e Vangelis a uno che neanche si vergogna di ascoltare i
Pooh..»
Alessandro parlava senza mezze misure, tant'è che Valeria l'aveva udito da fuori la
finestra:
«Scusate il ritardo.», s'impose di dire entrando. «Cos'è questa storia? Chi è che ha
incontrato i Pooh?»
Come al solito, aveva capito “tutto”.
«Non i Pooh.», corressi io. «Jarre e Vangelis.»
«CHI?»
«Non li conosci?»: Alessandro si meravigliò, io nient'affatto. «Jarre è quello dei
sintetizzatori: il suo musicista preferito.», le spiegò, lasciando come da consuetudine fra noi
che fossi io a concludere la frase:
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(48)
«E Vangelis è quello che ha fatto la musica di “Blade runner”, per intenderci.»
«Mai sentiti.», scuotendo il capo.
Pigiai con rassegnazione il tasto 4 e improvvisamente tutto le fu chiaro:
«Aaaaa! La pasta Barilla!»
«“Hymn”. Semmai “HYMN”. L'ha scritta lui.»
«Ma.. scusa: se sono i tuoi musicisti preferiti, come mai non li hai riconosciuti quando li
hai incontràti?»
Zero assoluto: una scatola cranica con nessun'altra funzione che proteggere il resto del
mondo dall'antimateria in essa contenuta.
«Non li ha incontràti lui: li ho incontràti io. Sul treno.»
«Però.»
Io guardai Alessandro. Alessandro guardò Angelo. Angelo guardò me. Poi, ci guardammo
tutti assieme, e a tutti e tre caddero le braccia:
«Jarre e Vangelis, e tutto quello che ti riesce di dire è “Però.”?!», le domandò Angelo.
«Beh.. sì. Perché, sono così famosi?»
«…»
(Nota dell'autore: il capitolo è finito una riga fa.)
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G
liel'avete raccontato del fantasma?», domandò Valeria giuliva per trarsi d'impaccio.
«No: speravo di poter vivere almeno una giornata normale – senza il “para” davanti.»
«Semmai un pomeriggio, Angelo, visto com'è andata stamattina!», obiettò
Alessandro riuscendo solo a spazientirmi:
«Allora? Vi decidete a ragguagliarmi sì o no? Cosa dovrebbe significarmi, un fantasma in
pieno 1993?»
Mi rispose Angelo:
«Non lo definirei così, però è un dato di fatto che sono stato io l'unico a vederlo.»
«E quando noi ancòra non sapevamo nulla di quel che era successo.», interloquì Valeria.
«Beh, “nulla”.. Io a onor del vero me l'ero immaginato, che se il treno non partiva poteva
essere che qualcuno si era buttato sui binari.»
«Io non l'avrei mai detto. A notte inoltrata, o la mattina-presto sul treno dei pendolari,
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forse – anche se in una stazione così piccola è difficile. Però mai a quell'orario insolito:
saranno state le 10, vero Alessandro?»
«All'incirca. Dovevamo essere all'Università per la lezione delle 11 e..»
«Stavamo tutti e tre nello stesso scompartimento, il treno fermo in stazione. Quando mi
sporgo dal finestrino per vedere cosa cavolo stava succedendo..»
«Lo spettro.», insistette Valeria.
«O quel che era. Ad ogni modo a me sembrava vero come una persona in carne ed ossa.»
«Fatto sta che..?», lo incalzai.
«Fatto sta che c'era questo tizio sulla quarantina, rimasto incastrato sotto la carrozza. E
scusa se è poco.»
«Ti ha detto niente?»
«Mi ha chiesto aiuto, dicendo che non voleva morire. O forse che non voleva PIÙ
morire.»
«Astieniti dal rielaborare a posteriori. Attieniti all'accaduto, e pròvati ad essere
maggiormente didascalico.»
Valeria sgranò gli occhi. Alessandro le fece cenno di lasciar correre. Angelo, dal canto suo,
ci era abituato:
«Ci sto provando, ci sto! Ma è successo tutto quanto così in fretta..»
«E.. dopo?»
«Dopo abbiamo visto passare uno con una carriola, e dentro c'erano..»
Valeria rabbrividì al solo ricordo, ma Alessandro non si scompose:
«I pezzi.», concludendo con noncuranza la frase con la naturalezza di un lama tibetano
DOC quando descrive il tradizionale smembramento dei cadaveri.
«Io veramente volevo sapere cosa ne era stato del cosiddetto “fantasma”.», precisai.
«Svanito nel nulla! Come se non ci fosse mai stato. Come un'allucinazione. Ma si può?»
«Già: che razza di maleducato, ad andarsene senza salutare.», ironizzai.
«Il solito spiritoso.»
«Senti chi parla, quanto a “spiriti”!», ribattè Alessandro rubandomi le parole di bocca.
«Come mai Gino non arriva?»
«Non saprei, Valeria. Fammi controllare che ore sono.»
«Le 16 in punto, ed eccomi qua.»
Naturalmente fu tutt'un coro di «Gino!!».
«Allora? Hai gradito il segno, Alessio?»
«Il fantasma?»
«Quello non è un segno: soltanto un trascurabile evento secondario, una conseguenza.»
«(Chiamalo secondario!)», protestò Valeria sottovoce.
Alessandro invece fu più costruttivo:
«Conseguenza di cosa?»
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La risposta provai ad azzardargliela io:
«Conseguenza del nuovo stadio di medianità che Angelo ha raggiunto, suppongo.»
«Sì, più o meno.», confermò Gino. «Io però mi riferivo a Jarre e Vangelis.»
«E te pareva: avrei dovuto immaginarmelo.»
Gino mi guardò in tralice, fino a farmelo ammettere:
«Okay, okay, l'ammetto: in effetti l'avevo immaginato, ma mi pareva troppo presuntuoso
da parte mia darlo per scontato.»
«In questo modo tu e Angelo siete pari: ieri un segno per lui, oggi uno per te.»
«Aspetta un attimo: questo significa che tu c'eri già almeno un mese prima di manifestarti
a noi!», dedusse Alessandro.
«A-ha.»: poteva essere un sì come un no. Io ritenni logico prenderlo per un sì.
«Erano davvero loro in persona, oppure si trattava solamente di immagini – specie di
miraggi che tu generavi direttamente nella mente di Angelo, e che solamente lui poteva
vedere?»
«È più facile con delle persone vere, Alessio.»
«Avrei detto il contrario.», osservò Alessandro.
«Ma.. come hai fatto? Voglio dire: li hai teletrasportati e poi.. “posseduti”, tipo come fai
con Angelo?»
«Qualcosa del genere. Però con loro è..», e senza smettere di parlare si pugnalò con una
ditata. «Con loro è assai più facile che con Angelo.»
«Perchè loro non si ribellano.»
«Proprio così, Alessandro.»
«E non si accorgono di nulla?»
«No, Valeria.»
«Tipo gli androidi del nostro romanzo a quattro mani?», ipotizzai.
«Circa. Ma né adesso né tantomeno mentre scrivevate “Technophobia” C005 avrei potuto
spiegarmi in maniera più comprensibile per te.»
«Mi stai dicendo che..»
«A-ha.»
Il mio primo libro, l'esordio alla grande di cui andavo così orgoglioso.. che delusione!
«Vuoi veramente dire che saresti stato TU a ispirarmi quella storia?»
«Mica tutto: unicamente le parti più importanti.»
«Ah bè, dici poco! Tante grazie.»
«Non c'è di che: dovere.»
«(Io veramente intendevo dire un'altra cosa.)»
«Lo so.»
Appena il tempo di captare un “È il libro che hanno scritto insieme lui e Angelo”,
sussurrato alla chetichella da Alessandro a Valeria, e poi Gino aggiunse:
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«Ti vedo perplesso.»
Valeria che domanda ad Alessandro: “Tu l'hai letto?”. Lui che le risponde orgoglioso di sì.
Io, indeciso se compiacermi o meno dell'apprezzamento di Alessandro per quel libro non
più “mio”.
«È che non mi spiego come tu possa portar via una persona da casa sua, o dal posto dove
lavora.. Senza che nessuno noti che è sparita, e senza che la persona in questione si accorga
di alcunchè.»
«In teoria uno potrebbe rendersene conto, dagli effetti collaterali: giramento di testa, calo
di pressione.. Pressappoco come te, che stamattina hai suonato il pianoforte per quasi tre
ore di fila.»
«Maddai! Non è possibile!!»
«Ti assicuro che l'hai fatto. Anche se non puoi ricordartelo, hai suonato (e pure piuttosto
bene) “Oxygene IV” e “Chronologie IV”.»
«Le mie preferite.»
«No: le tue preferite sono “Oxygene II” e “Chronologie II”.»
«Sta' a vedere che adesso conosci meglio tu i miei gusti di quanto non li conosca io
stesso..»
«Precisamente. Le tue preferite sono sempre le seconde: le quarte sono quelle di impatto
più immediato, ma le tue preferite restano le seconde.»
«Con “Les chants magnetiques” è effettivamente così.»
«E pure con le altre: provare per credere. Ma ora basta parlare di te: mentre tu ci rifletti
sopra.. Alessandro?»
«Dimmi, Gino.»
«Avvicìnati a me.»
«Eccomi!»
«Benissimo. Ora dammi un pugno qui.»
«Vuoi che ti dia un pugno nello stomaco? Sul serio?»
«Non avere paura: non mi farai male.»
«Ma io veramente..»
«Fìdati, e dammi un pugno.»
Alessandro obbedì, martellandogli gli addominali come avrebbe fatto col giochino del
gong al lunapark. Gino rise di gusto:
«È tutto qui quello che sai fare? Più forte!»
«E Angelo?»
«Non temere. E picchia duro.»
Mi ripresi dal mio cogitare giusto in tempo per vedere un cartone alla Cassius Clay far
rimbalzare Gino sulle doghe del mio letto: Alessandro gli aveva sferrato un colpo diretto, in
verticale.
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«Dio che botta!», esclamò Valeria spaventata. Io invece optai per qualcosa di più
pragmatico:
«Tutto a posto?»
«Io sto benissimo.», disse Gino. «Angelo pure.», aggiunse immediatamente, anticipando
la mia domanda successiva.
Alessandro invece era rimasto lì a rimirarsi il pugno con aria attonita, mormorando a
bassissima voce una frase che lì per lì compresi solamente a metà:
«Avrei dovuto darglielo prima. Avrei dovuto darglielo prima. Avrei dovuto darglielo prima..»
A un certo punto mi s'accese come una lampadina nel cervello:
“E se anziché un segno per Alessandro si trattasse di un altro segno per me?”
Con ogni probabilità rappresentava entrambe le cose: era nientepopòdimeno che l'anello
mancante nella vicenda tra Angelo, Alessandro, e Valeria.
«Ora Alessandro ha intuìto.», furono le prime parole pronunciate da Angelo mettendosi
seduto sul letto al suo “risveglio”. O, il che è impossibile determinarlo con certezza, le
ultime dette da Gino prima di andarsene – cosa che aveva fatto così, senza preavviso, senza
neppure dirci ciao.
«Che cosa ha intuìto, Gino?», gli aveva domandato Valeria.
«Alessandro lo sa. E comunque, per la cronaca: io sono Angelo.»
Lo stesso Gino, qualche giorno più tardi, avrebbe ammesso che lo divertiva pazzamente il
fatto che noi non fossimo più in grado di distinguerlo da Angelo – lasciando oltretutto ad
intendere che ciò fosse un bene, chè tanto lui avrebbe sottoscritto qualunque cosa ci fosse
stata detta da Angelo.
A partire proprio da quel “Alessandro lo sa.”.
Per come la vedevo io, era lampante che per Alessandro non fosse che l'ennesimo suo
“..ma non l'ho fatto, chissà perché”. C114
“Finalmente s'è reso conto che se avesse davvero amato Valeria, il pugno ad Angelo
gliel'avrebbe dato immediatamente.”, riflettevo fra me e me. “Invece Angelo gli ha
paradossalmente fatto un favore, perchè portandogliela via lo ha sollevato dal dover
provarci a tutti i costi con lei. Un compito quantomai scomodo che Alessandro si era
imposto per attestare a sé stesso di non aver solamente scambiato per amore la forte
amicizia che li lega. (Difatti l'amicizia con Valeria Angelo non gliel'ha certo portata via, anzi
semmai l'ha rafforzata – limitandosi a spezzare l'illusione di un amore che però tale non
era.)”
L'unico dubbio rimasto era se Alessandro avesse capito anche che io, in quella sua
reazione, avevo trovato riconferma delle mie conclusioni.
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N
on riuscivo a pigliar sonno, così provai a canticchiare qualcosa che potesse fungermi
da ninna nanna..
«“Can you answer me a question? Have you lain awake at night? The curtains
drawn, the ceiling streaked with light.”»
Che poi era precisamente la mia situazione, da quando quel paranoico del vicino s'è messo
una 10.000 megawatt in giardino per rischiararlo a giorno – illudendosi di spaventare i
ladri, quando è più probabile che semmai faccia loro un favore illuminando la potenziale
scena del crimine.
«“Feel so tired that you can't sleep? Feel so hungry you can't eat? Well, this is life.”»
Black aveva ragione: non c'è nulla da fare, quando sei troppo stanco per dormire. Così mi
alzai dal letto, indispettito dagli stupidi paradossi della natura umana, e mi misi a scrivere di
getto per sfogarmi un po'.
Ed eccomi qua, dell'umore giusto per scrivere il diario
(cosa rara, di questi tempi), pronto a riesumare gli
avvenimenti degli ultimi giorni – chissà perchè o per chi,
poi – quando invece avrei solo tanta voglia di ululare
alle stelle: "Siete sorde o fate finta di non sentirmi?"
Tutto tace. Peggio ancòra: sono io, che non posso udire.
E mentre l'orgoglio mi scalpita dentro come il cuore di un
centometrista che aspetta lo START, tiro a campare come
una Ferrari travestita da trabiccolo, ferma davanti a un
semaforo che non diventa mai verde. (Cioè: per gli altri
sì, ma evidentemente io devo aver imbroccato la corsia
sfigata – come al supermercato.)
E così mi tocca restarmene buono e docile qua,
parcheggiato in un mondo alieno senza neppure sapere a
quale scopo, a rimproverarmi di non esser nato manzo come
i miei cosiddetti simili: che rimangono inconsapevoli fino
al midollo, qualunque cosa gli fai.
Hanno già scardinato loro le stagioni, anticipando
l'estate e ritardando la primavera.. Hanno addirittura
spostato le piogge da Marzo a Giugno. Hanno fatto nevicare
alle soglie dell'estate.. Niente: nessuno ci fa caso,
nessuno pare più avere un briciolo di memoria. Proprio
come nessuno sembra notare la miriade di focolai di guerra
che s'innescano dappertutto nel mondo, sorgendo
letteralmente dal nulla.
Alquanto sintomatico che si viva in una società che
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sceglie i cibi per il loro aspetto, anzichè per il gusto.
Non si annusa "perchè non sta bene". Non si asssaggia "per
non correre rischi".. E così finisce che si tira a campare
di mere apparenze: basta che SEMBRI bello, basta che
SEMBRI buono.. e la vita non la si assapora più.
Idem con le persone: sono tutti plastificàti. Così fieri,
così tronfi della loro impenetrabile pellicola domopak:
che li preserva gli uni dagli altri, ma intanto li
soffoca! Vaglielo a spiegare, che la noncuranza taglia
molto più in profondità dell'odio.
Perchè non sono affatto gli ideali, ad essere scomparsi,
ma la gente che dovrebbe crederci. Che schifo! Ma si può?
Al giorno d'oggi l'ideale non è altro che un comodo e
facile strumento di marketing, niente di più che un
volgare espediente demagogico, nelle mani viscide ed
infide della retorica più meschina e capziosa..
Subire queste cose inconsapevolmente è già terribile, ma
venir preso a schiaffi dalla mattina alla sera quando ti è
perfettamente chiaro cosa stanno facendo..! È la
spudoratezza, che proprio non mi va giù: un affronto
insopportabile. Vuoi fregarmi? Perlomeno sbattiti un po'
ad escogitare qualcosa di più furbo! E invece no: tutto
alla luce del sole, e nessuno pare aver nulla da ridire.
Hah! Mondo cieco, che ti fai condurre mansueto al tuo
stesso macello!
E sai il casino più antipatico qual è? Che una volta che
uno smette di domandarsi "Perchè io?", comincia a
chiedersi: "Io che ci guadagno in tutto questo?" – e
arrivato lì si rende conto che la risposta è una, e una
soltanto: "Nulla: tuttalpiù ci perdi".
A quel punto ti ritrovi solo come un cane a contemplare
l'ignoranza più grande, quella che brucia di più, il
quesito più soverchiante del mondo: "Che ci posso fare,
io?"
«Per il momento, nulla.»
« Oh? Ci ao. C o m e m a i d a que ste p a r ti? »
«Bentornato. Io non mi sono mai mosso di qui.»
« Si gni fic a ch e m i s on o add or m entato? »
«Tirando a indovinare, direi che eri talmente schifato dai tuoi stessi
pensieri che il tuo cervello ha preferito prendersi una piccola vacanza.»
« Qu i nd i s e con d o te m i sto s olo facend o d ei proble m i i nuti l i. »
«No, ma desiderar cambiare sè stessi pur di venir accettati è assurdo –
come lo sarebbe un parallelepipedo che decidesse di limarsi gli spigoli per
entrare nel foro rotondo anzichè in quello quadrato che gli compete. E con
quale risultato? Un incastro imperfetto per entrambe le parti, un cilindro
che per colpa tua non sa più cosa fare della propria vita, e – quel che è
peggio – nessuno che potrà mai più colmare il buco quadrato.»
« Un a pro sp et tiva i ndubbi a m ente i ntere s s a nte, p erò a te n on to c c a re m a re contro a l m on d o
gior n o d op o gior n o co m e u n s a l m one ch e r i s a le l a cor rente. D ico: m a l i h a i vi sti, gl i
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uo m i ni (o s ed icenti t a l i) che i mp er ver s a n o ov u nque d a l le m ie p a r ti?»
«Non bisogna perdere di vista la foresta, esaminando gli alberi. Tu sei
nato per guardare al mondo con la visuale di un uomo, ma ricorda: tu NON
SEI un uomo. E pertanto rassègnati: di quando in quando prenderai il volo,
è inevitabile, e molto di ciò che vedrai non ti piacerà. Ecco perchè è di
vitale importanza che tu impari a procedere coi piedi di piombo, passo
dopo passo: come un aquilone godrai di una panoramica molto maggiore
rispetto a chi non si solleva mai dal suolo; ma se lascerai che si strappi la
corda che ti tiene opportunamente ancoràto a terra, correrai di pari passo
il rischio di andarti a schiantare e finire distrutto.»
« Co m i n c io a c api re m egl io: o c cor reva u n a nfibio C 0 8 3 , i n s o m m a .»
«Esattamente: un Pesce capace di sopravvivere anche fuori dall'Acqua.»
« M a p erchè tutto que sto d olore? »
«Quando un granello di sabbia fa breccia in un'ostrica, già sai che attorno
ad esso nasce una perla. Quello che invece non hai ancòra capito, è che
quando il dolore visita un Cuore Puro lo fa per spronarlo a produrre più
Amore. Certo sono poche, le ostriche perlifere. E assai rare quelle che, pur
essendolo, si dischiudono abbastanza da far entrare la sabbia. I Cuori Puri
non son da meno.»
« B eh, p erò le o st r iche si p o s s on o si gi l l a r e nel loro gu s c io e s ot t r a r si co sì a gl i at t ac chi
più fero c i. Io i nvece m i s ento co sì v u l n er abi le.. Epp oi i l m io gu s c io n on m i s o m i gl i a p er
niente: s on o s e mpre più s cet tico, a r i gu a rd o d el l'i m m a gi n e ch e lo sp e c ch io m i r i f let te; o l a
vo ce che m i r ipro duce i l regi st r atore.»
«Hai ragione: infatti si tratta solo di un travestimento. Ma un OTTIMO
travestimento, credi a me!»
« Io p erò vor rei p oter m elo to gl ier e, d i qu a n d o i n qu a n d o, p er vivere d a vero-m e-ste s s o.
Non co m e quel t a le ch e d or m iva 12 ore s o gna nd o d i e s s er e u n a fa r fa l l a, e fi nì col s o sp et ta r e
d i e s s er e i nvece u n a fa r fa l l a ch e s o gn ava d i e s s ere u n uo m o. D op otut to neppu re a
D i sneyl a nd, obbl i ga n o i d ip en d enti ad i nd o s s a r e i l m a s ch eron e d i M ic key Mou s e p er 24 ore
su 2 4!»
«Tuttavia nessun astronauta può permettersi di disfarsi della propria
tuta spaziale, su un pianeta alieno privo di atmosfera. Impara a guardare al
tuo corpo con gratitudine: esso è il potente scafandro che ti rende
possibile sopravvivere all'interno dell'atmosfera venefica di questo pianeta
acerbo. Certo, dipendesse unicamente da te e dalla tua autentica Natura,
avresti per corpo una melodiosa trasparenza che s'ammanta di luce
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iridata..»
« S c a fa nd ro, d ic i b en e. L a co s a ch e m i tor na più d iffic i le è ch e n on è fat tibi le a n d a re
i ncont ro a gl i a lt r i a br ac c i a ap er te: è ne ce s s a r io pr i m a i nd o s s a r e u n a cor a z z a, r ip a r a r si
d iet ro a u n o s cud o, br a nd i re m i n ac c io s a m ente u na sp a d a – e d i qu a nd o i n qu a nd o el a rgi re
qu a lch e gen ero s a fr u stat a p er ten ere le b elve a d ebit a d i st a n z a, a lt r i m enti ti sbr a ner a nn o
s en z a p ens a rc i su due volte.»
«La stupidità è assai più diffusa dell'intelligenza: questione entropica,
ancor prima che statistica. Per cui quando t'imbatti in un uomo che fa il
burattino devi innanzitutto compatirlo, poi evitarlo – e solo se ciò non
basta, combatterlo. Rammenta che sono i vermi, a vivere nella terra: i veri
uomini, solamente sulla. Però è disgrazia di quest'epoca che molti, per
ripararsi dal vento che sferza la superficie, cercano rifugio nella melma
che tutto accoglie.. e colà imparano a fare i vermi, lordandosi l'anima. Ma il
loro mondo è rigido e inamidato solo per via del fatto che si sono imballàti
da sé: in stupidi scatoloni da cui non son più in grado di trarsi fuori. Così
finiscono invariabilmente col ridurre drasticamente i propri orizzonti, al
fine di adattarsi al limitatissimo spazio (mentale ma non solo) entro il quale
si son confinàti a vivere. Capisci? Il punto è che quanto più una persona è
terra-terra, tanto maggiore sarà il polverone che solleva – ed è
assolutamente vero che è unicamente chi striscia sul fondo, ad agitare le
acque, ma purtroppo è altrettanto vero che così facendo le intorbidisce per
tutti.»
« M i st a i for se d icen d o ch e non c'è a lt ro d a fa re che r a s s egn a r si? »
«Ciò che ti ostacola maggiormente, in questa ardua fase della tua
esistenza in forma umana, è il non renderti adeguatamente conto che
attualmente ti ritrovi invischiato nella vita come un insetto nella tela di un
ragno: più ti dimeni e più ti imprigioni, per cui tanto vale risparmiare le
forze e restare immobili..»
« ..sp er a nd o ch e i l r a gno n on t a rd i t ropp o ad a r r iva re. »
«Morire è il premio per aver vissuto nonostante tutto – e a quel punto
tornerai a ridere di te, di come prendevi sul serio i tuoi problemi, la tua vita
e te stesso. Sarà come aprire un album di vecchie fotografie, e rivederti
bambino a litigare per un non-ricordo-neanche-più-perchè. Fino ad allora,
però, faresti meglio a considerare che anche le leggi fisiche della natura
sono relative.»
« S a rebb e a d i re? »
«Che l'uomo è libero: basta decondizionarsi.»
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« Ha i d et to niente! L a que stion e è propr io que st a: co m e si può fa re ?»
«Ad esempio considerando che la vita umana è un cammino irto di
ostacoli posto sul confine tra il mondo della materia e quello dello spirito,
pertanto alcuni vanno scavalcàti buttandosi nella spiritualità e altri
nell'abbandono ai sensi, o anche solo al “lasciare che sia”.»
« Fi lo s ofi a? »
«Misticismo, piuttosto: la sintesi tra i due. La filosofia cerca la verità
mediante lo specchio deformante delle logiche della mente umana. Il
misticismo invece scavalca l'ostacolo, facendo diventare te stesso un
tutt'uno con la Verità mediante un balzo del cuore. Ciò che è impossibile
trovare, è possibile esserlo.»
« C'è gente ch e si tiene buoni gl i a m ic i s olo c a s o m a i u n gior n o gl i r itor na s s e l a vo gl i a d i
fa r ne u s o – co m e u n ve stito p a s s ato d i m o d a: chi s s à m a i ch e non r itor ni n o i te mpi giu sti. E
A n gelo è u n o d i que sti.»
«È facile, avere fiducia in qualcuno, quando non ci si deve mai appellare
ad essa – magari contro apparenze del tutto contrarie. D'altra parte, non è
mai una cosa saggia processare l'assassino e condannarlo a morte,
quando le sue mani ancòra insanguinate ti distraggono dal tuo retto
giudicare.»
« S a rebb e a d i re ch e l a giu sti zi a, co m e l a vend et t a, è “u n piatto che va s er vito fredd o”?
Que st a è u n a d el le due fr a si cu i io non h o m a i c reduto, e cu i non c r ed erò m a i.»
«Ma Naturalmente! La vendetta non si consuma nè calda nè fredda: la
vendetta fa semplicemente schifo. Nè se è per questo esiste alcuna
Giustizia al mondo – all'infuori della Giustizia Universale. Ritieni forse
giusto che un vitello sia stato macellato e poi scuoiato perchè la sua pelle
serviva a foderare la sedia sulla quale siedi tu? O che una intera famiglia di
steli di lino sia stata falcidiata per tessere la federa del guanciale sopra il
quale posi la tua testa?»
« I m m a gi no d i n o. »
«E invece sì: rientrava nell'inarrestabile flusso dell'esistenza. Doveva
essere. It was meant to be. Senza quella federa, tu avresti dormito male.
Senza quella sedia, avresti dovuto scrivere i tuoi romanzi restando in
piedi.»
« A lt ret ta nto i l vitel lo d oveva qu a lco s a a i cer ea l i ch e l 'aveva no nut r ito, e i l fu sto d i l i no
a l l a ter r a.»
«Precisamente. Ma avrei preferito che tu mettessi le virgolette, al doveva.
Poichè è certamente vero che tu “devi” qualcosa all'universo, ma è
261
(50)
assolutamente falso affermare che tu gli devi qualcosa. È invece vero il
contrario: l'universo, a te, deve moltissimo.»
« S en z a vi rgolet te? »
«Senza virgolette. Come il faraone doveva tutto al suo popolo, così
l'universo deve tutto alle sue creature. O, nel tuo caso, a Coloro che esso
ospita.»
« Ch i s on o, du nque, io? »
«Come? Non l'hai ancòra capito?»
« Non o s o. »
«Eppur dovresti.»
« S on o te? »
«Siamo me, o per meglio dire: noi sono.» C098
f
51
ino a quel momento era stata una tranquilla serata tra noi: la classica quiete prima
della tempesta.
«Due mesi esatti a Natale!», esclamò Angelo con l'aria pimpante di chi già
s'appresta a tirar fuori dagli scatoloni albero & presepe.
«Eh già..»
«Tu che piani hai?»
«Perchè? Forse che tu, in una situazione simile, fai ancòra dei piani per l'avvenire?»
«Ih come la metti giù tragica, babbo!»
«Chi lo sa, forse hai ragione tu. Però è che.. Non lo so: forse sto solamente diventando
paranoico, ma stamattina a Milano ho fatto degli strani incontri. A te è mai capitato, di
sentirti.. come osservato?»
«Sì, certo.»
«E da chi?»
«Chennesò? Da che mondo è mondo, se qualcuno ti spia non ti viene certo a dire chi è!»
«No, intendevo dire: ce l'hai una idea, anche vaga, diciamo una ipotesi, su chi..?»
«Ho capito dove vuoi andare a parare: il paranormale.»
«Già. Ebbene?»
«A volte. Forse anche prima che incominciasse tutta 'sta storia.»
262
(51)
«Addirittura prima della montagna?»
«Prima però mi davo del paranoico..»
«..con le manie di persecuzione.»
«Pure tu, Alessio? Allora siamo in due! Beh, comunque sia.. Ora, visto l'andazzo generale,
comincio a farmi un'altra idea.»
«E cioè?»
«E cioè che mi stessero osservando.»
«Potrebbe essere. E nel mio caso? Ritieni possibile che tengano d'occhio pure me?»
«Questo genere di cose faresti meglio a domandarlo a Gino, suppongo.»
«Hai ragione. Chiusa parentesi e passiamo al film. Cosa mi hai portato stavolta?»
«“Scacco mortale”, con Crìstofer Làmber.»
«O Cristophe Lambèrt che dir si voglia, visto che è canadese e pertanto bilingue. Di che si
tratta?»
«Un giallo. Lui è un giocatore di scacchi.»
«Questo era facilmente presumibile fin dal titolo.»
«Allora non ci resta che vederlo. Pizza su!»
«Hip hip urrà!», replicai.
Angelo mi rimproverò con uno sguardo che diceva “sei un caso senza speranza”.
«Pensavo che “pizza su” fosse una specie di sursum corda riferito al nostro cibo preferito.
Una variante comica del “parla come mangi”.», puntualizzai.
«Invece significa “accendere”, “dare corrente a un'apparecchiatura elettrica”.»
«Dunque si potrebbe dire “pizza il forno per le pizze”? Che affascinante modo di dire!»
«Te lo segni dopo, Alessio: adesso fai partire 'sto cavolo di videocassetta.»
Esattamente un'ora e cinquantasette minuti dopo..
«Beh, dai: non male, direi! Gentile, da parte di Gino, lasciarcelo godere senza
interromperci.»
«Prego.»
«Ah. Sei tu.»
..che non era mancanza di entusiasmo, quanto piuttosto un lieve moto di disappunto per
essermi veduto piombare tra capo e collo proprio colui che per quella sera avevamo deciso
di dimenticare. Beh: perlomeno accantonare.
«Ma non vai mai in vacanza?», ironizzai.
NO.
«Uh? Perchè sei tornato a comunicare a gesti?»
TU SAI.
«Angelo è stanco e non vuoi fargli sprecare energie.»
OK.
263
(51)
«Senti, non prendertela a male, ma veramente..»
IO SO.
«Il fatto è che ci eravamo ripromessi di non pensare a..»
IO SO.
«E allora che ci fai, qui?»
TU PRENDERE ..e si guardò il palmo della mano, disteso come a reggere un foglio.
Io ovviamente avevo il dovere di esser pronto ad ogni evenienza, ma.. touchè: uno a zero
per lui.
«Ecco qua. Prometto di fare in fretta.»
LEGGI.
«Incluse quelle che riguardano Alessandro?»
OK.
Una risposta che mi stupì alquanto, dal momento che ritenevo che le mie pene d'amore
non lo toccassero minimamente. (E così probabilmente stavano le cose. Ciònondimeno
presumo che per la buona riuscita della sua missione fosse di vitale importanza assistermi,
garantendomi il supporto della persona amata.)
«Alessandro disapprova che io abbia fatto coming-out con Angelo: dice che è uno sporco
razzista, un ipocrita bigotto. Dice anche che una volta gli aveva detto, testuali parole: “Che
schifo i gay, ma se mi sentisse Alessio..!”.»
OK.
«Angelo si è così espresso solo per fargli capire che pure lui era al corrente di me, o anche
per indagare sul conto di Alessandro e vedere come avrebbe reagito a una provocazione?»
TU ..e i due indici con le punte convergenti.
«A giudicare dal contesto, escluderei “simili”.. Ehi, aspetta un momento! Con quel gesto
non vorrai mica dire “acuto”?!»
OK.
Roba da matti.
«Alessandro, s'è detto, è una specie di incarnazione vivente dell'Intuire.»
OK.
«E io sono due anni che vado subissandolo di lettere, poesie, canzoni.. Tutte
esplicitamente, dichiaratamente dedicate a lui.»
OK.
«“Okay”?! No, scusa: sono solo io, che da A+B deduco C?»
LUI NO
«Lui no?? E perchè?»
LUI ..faccia perplessa, punti di domanda..
«Dubita?»
OK. LUI NO “seconda parte”. LUI ..e come se si volesse accendere una lampadina
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(51)
accanto alla testa.
«“Lui non deduce ma intuisce, e ciò comporta sempre un forte margine di ragionevole
dubbio.”»
Pollice su: l'OK in perfetto stile Formula Uno.
«Capisco.»
Arrivato a questo punto, mi concedetti una pausa per riflettere su un fatto singolare: era
come se talvolta, specie nei casi di maggior difficoltà ad esprimermi, intervenisse una sorta
di traduttore automatico a suggerirmi le interpretazioni migliori.
Gino alzò le spalle con aria compiaciuta.
«Mi stai dicendo: “chissà”?»
OK.
Solo che io supponevo si riferisse ironicamente al “Capisco.”
«È normale, che in questi giorni il tempo mi appaia più denso? Addirittura viscoso, certe
volte..»
OK
«Suppongo però che, per spiegarmi il perchè, dovresti parlare. E adesso non puoi.»
CENTRO
«Dopo che ci suggeristi di chiamarti “Dio”, ci ho riflettuto un po' su – e sono giunto alla
conclusione che effettivamente corrispondi ai prerequisiti del mio “dio laico”: entità
superiore non definibile, scevra da pretesti religiosi.»
OK.
«Capisci da te, dunque, che il finale del mio romanzo “The mindweb” C096 assume ben
altra portata – partendo da questo nuovo presupposto.»
OK.
«Un'intelligenza artificiale evolve al punto di superare il proprio creatore, il quale
riconoscendo questo fatto le cede il passo. Come del resto aveva già fatto David di
“Technophobia” C005 accettando che gli androidi..»
OK
«Ciò dunque implica che l'uomo ha ucciso o ucciderà il proprio creatore?»
TU NON PENSARE
«Lo sostituirà?»
TU NON PENSARE
«Lo scavalcherà?»
TU NON PENSARE
Invece ci pensavo eccome: sempre più intensamente, con sempre maggior trasporto..
«E la mia vecchia “ontologia ad albero binario”? Quella che sviluppai a Roma durante
una notte particolarmente Ispirata, spiegando ad Alessandro un pensiero che io stesso
andavo formulando a me stesso per la prima volta..»
265
(51)
OK.
«La realtà fondata ontologicamente sull'abbinamento di tasselli interdipendenti?»
OK
Stavo decisamente perdendo il filo, a cominciare da quello che mi ancorava al mondo
cosiddetto reale. Quando il vento metafisico soffia forte, è ben difficile non farsi spazzare
via – smarrendosi nei voli pindarici della propria coscienza.
Via di questo passo, ben presto giunsi al confine ove mi s'imponeva di operare una scelta
ben precisa. Una scelta che richiedeva uno sforzo tutt'altro che indifferente: abbandonare
questo mondo sensoriale, così grezzo ed ignorante, tuffandomi a capofitto nella Verità
Assoluta cui il mio spirito tanto anelava.. Oppure permanere qui a conquistarmi una Verità
Relativa giorno per giorno, con l'ironica consapevolezza che si sarebbe trattato sempre e
solo di una pallida approssimazione di quanto invece avrei trovato lasciandomi andare
placidamente a quel Vento.
Fu solamente allora, che compresi a fondo il mito di Ulisse: per aver vissuto il medesimo
rimpianto e struggimento di dover dire no quando invece tutto te stesso spasima e impreca
contro il mondo per gridare avidamente il più fantasmagorico ineluttabile variopinto sì di
tutta la tua vita.
Così come lui si fece legare all'albero maestro della sua nave, pur di non cedere
all'ammaliante canto delle sirene che l'avrebbe spinto a tuffarsi in mare ad affogare, io
dovetti aggrapparmi con tutte le mie forze a quel foglio – a quel misero foglio che,
dall'altezza vertiginosa ove mi aveva trasportato il Vento metafisico, vedevo riempito di
domande minime e triviali. Che interesse poteva più nutrire la mia anima per questioni così
futili, quando dall'altra parte risuonava la melodiosa sinfonia della Onniscenza Eterna?
Chissà? Forse gli autistici non parlano perchè sono immersi nel Tutto, fino a quel punto
che soltanto io conosco – dove nulla che è umano, e dunque parziale, suscita più il benchè
minimo moto d'interesse.
Bando ai rimpianti: so di aver fatto quanto andava fatto, nel raccogliere l'invito che fu di
Amleto per Horatio. (Nome interessante, peraltro: in latino significa “preghiera”.)
Ti confesso però che dopo tutti questi anni non ho ancòra trovato il coraggio di chiamarla
tout-court “la scelta giusta”. Giusta per chi? No di certo per me, che oggi mi trovo qui ad
approvarla con la mente e a rimpiangerla mille e mille volte amaramente col cuore.
Sta di fatto che l'ho compiuta, ed essa ha condizionato la mia intera esistenza da quel
momento in poi. Ma in fondo la vita è costellata da simili punti di svolta, anzi ne è
letteralmente invasa – e, perchè no?, costituita. Ogni giorno, milioni di piccole grandi scelte:
tutte quante decisive per il nostro futuro, sebbene la maggior parte finiamo col compierle
inconsapevolmente trascinàti da abitudine o impellente necessità.
Come risvegliandomi dopo uno svenimento, con un ronzìo molesto che mi pulsava dentro
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(51)
le tempie e lo scombussolamento di chi è caduto giù dal letto durante sonni agitàti, formulai
la domanda successiva. Una fatica immensa. Tuttavia dopo averlo fatto ogni cosa risultò
più facile: come se il semplice accettare di porre quella domanda avesse sancito il mio
definitivo rientro dal mondo metafisico.
«Il finale di “Technophobia” C005 spiega, almeno in parte, il tuo rapporto di telecinesi con
Angelo?»
CIRCA
«Se Angelo ti scavalcasse, che ne sarebbe di te? Saresti distrutto, inglobato in lui, oppure
reso incapace di esprimerti – perlomeno su questo piano materiale?»
TU NON PENSARE + ADESSO O VOLI VIA
«Hai ragione: meglio smettere qua. Eppoi tanto ho esaurito le domande.. e pure me
stesso.»
«Allora, babbo Alessio, ti è piaciuto il film?», sbadigliò Angelo stiracchiandosi, del tutto
ignaro di aver appena stabilito un nuovo record in fatto di rientri dallo stato di trance.
«Molto.»
«Regolare: infatti io credo di essermi addormentato. (Ho proprio bisogno di una boccata
d'aria fresca!) Mi sono forse perso qualcosa?», e s'alzò per spalancare la finestra.
Ero tentato di informarlo della parentesi-Gino. Tuttavia, dal momento che l'avrebbe
vissuta come un'intrusione nella mezza giornata di “ferie” che aveva chiesto e ottenuto,
preferii non rompergli le uova nel paniere e mi limitai a commentargli il film:
«Beh, l'idea di considerare l'isola come una scacchiera su cui giocare non era male. Però
rendersi conto che buona parte della suspance è stata creata usando impropriamente un
espediente cinematografico standard..»
Proprio in quel preciso istante, Angelo venne scardinato da terra da una forza sconosciuta.
Come un'esplosione silenziosa: una potentissima deflagrazione che chissà come o perchè
aveva colpito lui solo, scaraventandolo violentemente per terra.
A quel punto fu chiaro a entrambi che oramai rimaneva poco da dire e ancor meno da
fare: la situazione andava irrimediabilmente precipitando nella spirale di un vortice.
Volenti o nolenti, qualcuno aveva pigiato a fondo l'accelleratore che ci catapultava a rotta
di collo in un meandro degno dell'inferno dantesco – e alla guida della vettura non
c'eravamo noi, nè la rassicurante presenza di Gino: eravamo semplici passeggeri,
scarrozzàti Dio-sa-dove da un Destino che si faceva vieppiù incomprensibile.
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(51)
52
Non ci capisco più niente.
Mi sento fuori-posto ovunque e con chiunque.
Mi domando cosa accidenti ci sto a fare in quella famiglia:
madre padre due ragazzi come tanti altri.. Che ci azzecco, io?
Sempre più spesso mi sembra di essere una specie di
marziano, ospitato da una tipica famigliola terrestre.
Non ho più la benchè minima certezza. A parte quella di
esistere, ma forse sto soltanto sognandomi.
Non ho più bivii, davanti a me: ma nemmeno strada. Nient'altro
che un pavido sentiero alle mie spalle, che però non posso
ripercorrere: devo andare avanti, e davanti c'è la Vuotezza.
Devo farmi strada letteralmente: posare a fatica dei mattoni
innanzi a me, lastricare un ponte infinito che non posso
nemmeno immaginare dove mi porterà.
E ho freddo. TANTO freddo. E mi sento osservato dall'alto,
eppure così solo. Mille occhi intorno a me, che vedono tutto ma non io loro.
Lucido delirio? Sogno di onnipotenza?
No. Perlomeno: non ancòra.
Paura. Quella sì. E tanta.
A chi, invocare aiuto??
A
ngelo mai come in quel momento non aveva nessuno: soltanto sè stesso.
E quegli occhi semichiusi simili a quelli di un arciere che prende la mira attraverso
una feritoia, o a quelli di un esploratore che interroga l'orizzonte col suo fido
cannocchiale.. Beh, non promettevano nulla di buono davvero. Ma la questione però era
un'altra: si poteva ancòra definire uno sguardo umano?
Certe volte Angelo mi fa paura. Mi mette soggezione. Come se io fossi un moscerino che
può auspicare la sua simpatia, quanto temere da un momento all'altro di venirne
spiaccicato.
Ricordo di aver pensato: “Meno male che non sta fissando me a quel modo, altrimenti
finirei in mille pezzi come una lastra di ghiaccio sfondata da un proiettile”.
Rialzatosi da terra dopo la misteriosa deflagrazione invisibile, Angelo non disse neanche
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(52)
una parola: uscì e basta. Un solo attimo di esitazione: quasi a decidere se attraversare i muri
oppure concordarmi ancòra una volta la consuetudine di passare dalla porta – e così si
risolse a fare, perlomeno con quella di camera mia.
«Tu rimani qui. E non uscire! Qualunque cosa accada.»
Perentorio come nelle emergenze, ma imperioso come non l'avevo visto mai, Angelo –
bicipiti e pettorali tesi come un lottatore di wrestling, e soffiando aria dalle narici peggio di
un cavallo imbizzarrito – uscì a passo di carica e letteralmente disparve.
Nè io osai seguirlo, dal momento che quel suo “non uscire!” tuonava oscuro come la
coltre intossicata di penombre che era calata là fuori: un buio più buio del buio, manco una
seppia gigante avesse schizzato il suo nero inchiostro addosso ai vetri delle finestre.
Rettifico: non si trattava propriamente di una seppia.
«Direi piuttosto un rospo.. o meglio: un lumacone.»
Angelo era appena rientrato. Zoppicava un po', stringeva una mano sullo stomaco, ma
insisteva a cavarsela con le sue sole forze.
«Sei stato aggredito da un lumacone?»
«Di quelli senza guscio, hai presente? Quei ributtanti cosi arancioni che si lasciano dietro
una scia di bava.»
«E come no? In questi giorni di pioggia, il mio giardino ne è invaso.»
«Non è solo di una coincidenza. Un po' come le strane strisce gialle che hai notato sul
vialetto, e che naturalmente non possono esistere.»
«Forse è polline caduto dai pini, finito in pozzanghere che poi si sono asciugate. Oppure
chissà: il vento. Non nego che siano strane (io per primo te le avevo segnalate proprio per
questo), ma da qui a saltare a conclusioni affrettate.. Tu sapessi, quanti fenomeni bizzarri
contempla la natura! Esiste sicuramente una spiegazione plausibile che adesso mi sfugge.»
«Mi piacerebbe proprio sentirla, la tua “spiegazione plausibile” per dei.. dei.. dei cosi, dei
lumaconi delle proporzioni di un TIR: capaci di attraversare i muri, di volare e..»
«Aspetta-aspetta? Sarebbe dunque stato uno di quelli a colpirti, prima, quand'eri vicino
alla finestra?»
«Perchè credi che io mi sia seduto da questo lato del letto adesso, sennò?»
«Fammi capire: per quale ragione anziché sporgersi non entrano?»
«Vaglielo a chiedere tu stesso, se ci tieni tanto a saperlo.»
Aveva l'aria a dir poco stravolta, ed io mi sentivo una specie di mostro a torchiarlo così
dopo quanto gli era accaduto.
«Perchè non provi a sdraiarti?»
«Tu cosa ne dici, Alessio?»
«Beh, se te lo dico è poiché ritengo che rilassarti un po' ti gioverebbe..»
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(52)
«Intendevo dire: pensi che sia sicuro?»
«Non so cosa rispondere. Su quali basi, poi? Dimmelo tu, se puoi.»
Angelo strattonò il letto verso la parte più interna della stanza, spostandolo però di pochi
centimetri appena, e si sdraiò:
«C'è dell'altro, che desideri sapere?»
«E me lo chiedi?»
«Spara.»
«Certo che la somiglianza tra te e Gino si fa di giorno in giorno più impressionante..»
«Devo prenderlo per un insulto?»
«Lascia stare. Piuttosto: come te la sei strappata, la camicia?»
«Qui è stato il ramo di un albero, quando sono caduto.»
«Per quale ragione ti ci eri arrampicato?»
«“Arrampicato”.. tzè!»
E fece pressappoco la faccia che io riservo per gli imbecilli cui tocca spiegare ogni cosa,
anche la più elementare chè sennò non ci arrivano.
«Da che altezza sei caduto?»
«Tre/quattro metri. Forse cinque, non lo so. Sai, quando ti trovi sospeso a mezz'aria a
combattere contro uno di quei cosi, ti assicuro che uno non ci fa caso.»
Stentavo a credere alle mie orecchie: ero assolutamente esterrefatto.
«E le ferite?»
«Non le vedi da te? Qui, sulla panc.. Ma porc..?!»
«Cosa c'è adesso?»
«Semmai, cosa NON c'è: le ferite! Dove cazzo sono finite?»
«A dire il vero qui sei ancòra un poco arrossato..»
«Arrossato? Arrossato, dice lui! Lì c'era un taglio profondo due dita, fino a meno di un
minuto fa!»
«Tre minuti fa, quando..»
«Ah be', scusami tanto: sai cosa cambia!»
«Fammi finire: tre minuti fa, quando sei rientrato piegato in due contro il muro, non ho
notato alcuna ferita così profonda. In ogni caso, niente sangue.»
«Assurdo!»
«Forse che tu vedi del sangue sui tuoi vestiti?»
«Ah, guarda, se devi prendere per il culo, allora dillo sùbito che me ne vado vi..»
Prima che potessi interromperlo per spiegarmi, uno spasmo di dolore lo ricostrinse in
posizione supina.
«In circostanze differenti mi sarei lamentato della scarsa stima che devi nutrire di me, per
aver anche solo pensato ch'io possa sfotterti in un simile frangente. Ma sorvoliamo. Io
volevo semplicemente asserire questo: che poteva darsi, come con le latifoglie dal pino, e
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(52)
non a caso lo scontro è avvenuto proprio sopra al mio giardino..»
«Ho capito.»
«Tu sì, ma il lettore no: lasciami finire. Poteva darsi che unicamente tu fossi in grado di
vedere il sangue, o che viceversa (il che poi è la stessa cosa) esso a me risultasse invisibile.»
«Non è la stessa cosa, però lasciamo perdere – chè non ho le forze per voler stare a
sottilizzare.»
Lasciò cadere le palpebre e si abbandonò a un provvidenziale sonno ristoratore che
sopraggiunse istantaneamente, mentre io rimanevo lì a lambiccarmi il cervello per digerire
in fretta e furia l'accaduto – cosa notoriamente impossibile da farsi, a caldo, ma si sa: la
necessità di trarre delle conclusioni è connaturata alla mente umana, cioè l'unica parte di me
che allora conoscevo e praticavo.
Quando riaprì gli occhi, li aveva vitrei come quelli di un cieco e fissi al soffitto tipo un
cadavere in obitorio.
«Tutto OK, Angelo?»
«Angelo riposa: io sono Gino. Non temere, e avvicìnati.»
Certo quel flebile alito di voce attestava inequivocabilmente che chiunque occupasse il
corpo di Angelo era troppo debole per potersi permettere di più, ma.. Date le circostanze,
poteva anche trattarsi di un subdolo espediente per avermi a tiro. Occorreva la massima
prudenza:
«Come mai adesso parli? Se prima era un eccessivo dispendio di energia, figuriamoci
ora!»
«Non è un trucco. Rifletti: Angelo ha spostato apposta il letto in una posizione di
sicurezza, dove nessun essere a lui ostile avrebbe potuto arrecargli danno.»
«Alludi ai lumaconi?», domandai titubante.
«Non credevo, che sarebbero arrivati così presto.»
Inutile negarlo: oramai mi aveva conquistato. Eppoi, da provetto Amleto che sono, se era
venuto per parlarmi io ero disposto ad ascoltarlo angelo o diavolo che fosse.
«Ti posso fare delle domande, o sei troppo stanco?»
«Per sostenermi dovrò fare uso anche della tua energia: io mi stancherò, ma pure tu.»
«Più che giusto. Se non arreca danni permanenti.»
«No: solo stanchezza. Ma fai in fretta.»
«La prima domanda è la più ovvia: chi sono?»
«Forze contrarie. Troppo difficile da spiegare col tuo linguaggio, anche se avessimo il
tempo e le forze per farlo. Comunque: nemici. Pericolosissimi.»
«Perchè attaccano Angelo?»
«Per difendersi. Per eliminarlo prima.»
«Prima di che cosa?»
«Prima che lui elimini loro.»
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«Parlami dei lumaconi.»
«Angelo si è spiegato metaforicamente: in realtà sono masse di materia informe, all'origine
del tutto prive di un aspetto.»
«Eppure parrebbero piuttosto ributtanti.»
«Anche peggio, se è per questo. Angelo non voleva disgustarti, così te li ha abbelliti.»
«Mio dio.», e ammutolii alla sola idea.
«Anche affermare che strisciano, è solo per modo di dire, ma è pur vero che si lasciano
dietro una specie di traccia qualificabile come bavosa e viscida.»
«Tipo la pelle di un rospo, da cui la prima definizione di Angelo.»
«Si è spiegato al meglio delle tue possibilità.»
«Delle sue, volevi dire.»
«No: proprio delle tue. Lui si adegua alla tua attuale limitata capacità di comprensione.»
«E questi.. schìfidi esseri ripugnanti.. Ritieni che torneranno?»
«Sempre più numerosi e agguerriti.»
«Fino a che?»
«Fino a che Angelo non si sarà arrampicato sulla cima all'onda e l'avrà schiacciata, o
altrimenti..»
«Altrimenti?»
«Altrimenti soccomberà nel tentativo.»
«Cosa intendi dire esattamente, con “soccombere”?»
«Dentro di te, tu lo sai. Anche se non potresti mai e poi mai arrivare ad esprimerlo.»
La parola “tremendo” perse di significato in un solo istante. Percepii la disperazione
bussare concitatamente al mio cuore onde iniettarvi un atroce sgomento, ma non le aprii la
porta – conscio che se l'avessi lasciata entrare non sarei potuto sopravviverle.
«Adesso ti occorreranno le tue energie. Le ferite di Angelo sono rimarginate: non riaprirle.
Ho riappacificato la sua mente, però ora ha bisogno di riposo. Io tornerò presto: raduna gli
altri. Vado.»
Chiuse gli occhi, inespressivi eppure al tempo stesso così penetranti, e si dileguò:
silenzioso come sempre, silenzioso com'era venuto.
Angelo, con l'aria spaesata ma tuttavia serena di chi si è appena destato da un incubo che
già non ricorda più, si diresse verso casa – del tutto noncurante della reazione che sua
madre avrebbe potuto avere vedendo i vestiti di suo figlio ridotti a stracci. Evidentemente
Gino “provvedette” pure a lei.
Quanto a me, rimasto solo col mio inferno personale, riversai come d'abitudine l'anima sul
computer:
Ci arrivo. Ma non lo sento.
Deduco, ma non intuisco. Nè capisco.
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(52)
Quel po' di Ego, quel po' che resta del vecchio-me, sembra
destinato a cancellarsi pur'esso.
Mi sento svuotato e (quel che è peggio) non da un'unica pompa
idrovora, ma dal pungere di mille e mille zanzare, tafani, pulci,
tarme, sanguisughe..
Sento risucchiare fuori di me tutto ciò a cui s'appellava la mia
autostima: giorno dopo giorno (e nel giro di meno di un misero
mese), mazzate sui denti, mazzate sui denti, mazzate sui
denti, mazzate sui denti..
Chissà: forse "fuori" è il giusto posto, per eiettarci ciò che mi
faceva sentire grande. Forse questo significa proprio che
sono piccolo, e che tutto ciò di cui la mia auto-stima abbisogna
si trova invece "dentro".
Sì, ma.. cosa resta, dentro??
Altra lezioncina, presumo: quel COSA non ha predicato, difatti è
(punto).
Forse sto perdendo ciò che di umano ho, in favore di una
condizione extra-umana a cui magari non arriverò mai. (Forse
ultra-umana, non certo extra.)
La qual cosa è sconvolgente ma anche (e forse soprattutto)
terribilmente affascinante: che senso avrebbe, non
accontentarsi dell'oltre-ogni-limite? Cos'altro desiderare?
Chi lo sa. Forse, sentirmi meno spettatore..
Angelo sa. Io so che lui sa. Ma questo non è essere umani. No.
Questo è porre-la-fiducia sulla corretta interpretazione
soggettiva di percezioni imponderabili e quantomai aleatorie:
non certo umane.
Questo è rinunciare a comunicare da uomini, e cominciare a
farlo secondo una condivisione mirabolante e meravigliosa,
indubbio, ma così poco umana.
DOVE maledizione porta, questo lungo tunnel?
QUANDO finirà? (SE, finirà.)
E poi?
Nessuna domanda può essere evasa.
Vivere per aspettare, per me, sembra voler trapassare da
abitudine a regola.
Morale? Mi sento lucido davanti alla catastrofe, in un certo
senso ebbro scriteriato ed imprudente: come giocare alla
roulette russa, o impegnarmi in una folle corsa "a chi frena
per ultimo" mancando della consapevolezza del rischio di
SCHIANTARMI.
Io non sono più io.
Io non sono diventato non-io: io sono io-esteso.
Il che era bello. Prima di scoprire che "Technophobia" era un
273
(52)
pretesto.
DOPO TANTI "TU NON SEI", MI DOMANDO E CHIEDO: COSA SONO?
Non so nemmeno se credere ai miei stessi pensieri.
Brancolo in un buio così fitto, con la consapevolezza orrenda
che mai nessuna intuizione o comprensione mi rischiarerà lo
spirito.
TU
TU
TU
GRANDE
GRANDE
GRANDE
CERVELLO
SPIRITO
SCIENZIATO
IO
CHE
CAZZO??
Mi sorprendo a domandare a Gino l'assurdo, e mi sorprendo
ancòra di più della facilità con cui accetto i suoi responsi da
oracolo: "Mi va di ascoltare questa canzone?", "Sì.", "Ah. Va
bene.".. Peggio di "Zac McKracken & the alien mindbenders",
con la loro fottutissima macchina rincoglionitrice. C040
E la questione più grave è che non posso nemmeno dirmi
rincoglionito. Anzi, peggio: so che dovrei dirmi de-rincoglionito,
o addirittura migliorato. Di più: esserne contentissimo. (Difatti
è un grande passo.)
Il guaio è che lo sono, convinto. Ma non so più se sono
contento triste avvilito deluso perplesso impazzito straziato
speranzoso timoroso..
Ideona: forse potrei chiederlo a Gino! Forse potrei fare
diventare regola anche quest'assurda abitudine: domandarlo
a lui, come IO mi sento, cosa IO voglio.. (Fortuna che il cosa-iopenso sembra ancòra essere solo e unicamente affar mio.
Speriamo che duri: è tutto quel che mi rimane!)
Abitudine assurda e perversa - e contratta volente-o-nolente
nel giro di ORE e GIORNI, non di ANNI!
Frattanto i secondi mi sfuggono fra le dita, opachi e insensibili
al tatto..
Voglio una vacanza. Voglio umanità.
Chissà se per credermi umano, o per riscoprirmi umano?
No, inutile barare: era la prima, l'ipotesi corretta.
274
(52)
L'avventura continua!
NELLA SECONDA PARTE..
Le cose si complicano ulteriormente: qualcuno intende
mettere i bastoni fra le ruote al nostro “visitatore
paranormale”, e per farlo si accanisce violentemente
contro Angelo e getta scompiglio all'interno del
gruppo. Non siamo più al sicuro: il nemico ci pedina
ovunque – e toccare con mano che stiamo rischiando
la pelle non sarà una doccia fredda, bensì rovente.
Che cos'ha da nascondere Alessandro? E la storia di
Angelo con Cleo, è davvero finita per sempre?
Sogni e segni si moltiplicano, tutti quanti viviamo
lapsus temporali seguìti da inspiegabili vuoti di
memoria, persino i vecchi amici ci voltano le spalle..
“Esiste un tempo destinato, e questo tempo è il tempo
presente.” E tu? Sei pronto, per il conto alla rovescia
che ci separa dall'inevitabile scontro decisivo?
NELLA TERZA PARTE..
Forse era davvero tutto scritto da ancor prima che
nascessero. Forse aveva ragione Gino, e Alessio è
davvero più di quel che sembra. E forse è giunto il tanto
atteso Tempo delle Grandi Rivelazioni: “chi vivrà,
vedrà” – ben oltre la comprensione dei sogni e degli
altri 'pezzi di puzzle' rimasti in sospeso nel romanzo.
Forse, dopo milioni di anni, l'Umanità è finalmente
pronta per avere la risposta ai suoi più antichi quesiti:
chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo? perchè
viviamo? qual è la vera natura del mondo, nascosta ai
nostri occhi? e nascosta da chi? in che modo? e perchè?
dove conduce l'intera linea evolutiva degli esseri viventi?
e che cos'è l'Amore? a cosa serve? come funziona?
FORSE. (Mal che vada, ti prometto che se non altro
capirai cosa cavolo significava la quarta di copertina.)
..nelle migliori librerie o direttamente su www.fenice.info!
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compila il sottostante “Questionario di Proust (modificato)” e invialo al seguente indirizzo:
J.B. / P.O.BOX 109 / 23891 Barzanò (Lecco)
Sii sintetico, ma mai impreciso. E se hai più risposte da dare, elencale sempre in ordine di
importanza (se ad es. preferisci il verde al blu, scrivi verde, blu anziché blu, verde).
Compatibilmente con il tempo a mia disposizione, cercherò di rispondere a chi mi avrà
inviato le risposte e/o i quesiti più interessanti.
NOME e COGNOME: ___________________
SOPRANNOME: _____________
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ETÀ: ____ SESSO: ___ ORIENTAMENTO: etero / gay / bisex / trans (indicare quale)
SINGLE? FIDANZATO/A? SPOSATO/A? (indicare quale)
LAVORO / TIPO DI SCUOLA: ___________________________________________
MANSIONI DI LAVORO / MATERIE STUDIATE: __________________________
HOBBIES: ___________________________________________________________
TABÙ: ______________________________________________________________
RELIGIONE: _________________________________________________________
DATA DI NASCITA: ___ / ____ / ______ (giorno/mese/anno)
SEGNO ZODIACALE: _______________
ASCENDENTE: ______________
COLORI PREFERITI: __________________________________________________
LIBRI PREFERITI: ____________________________________________________
CANZONI PREFERITE: ________________________________________________
FILM PREFERITI: _____________________________________________________
SCRIVI QUA SOTTO IL TUO MESSAGGIO (mi raccomando che sia leggibile!)
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Il "QUESTIONARIO DI PROUST"
1.Ciò che non mi piace di me.
_____________________________________________________________________
2.Cosa mi fa piacere un uomo.
_____________________________________________________________________
3.Cosa mi fa piacere una donna.
_____________________________________________________________________
4.Cosa ci vuole per diventarmi amico.
_____________________________________________________________________
5.La volta che sono stato più felice.
_____________________________________________________________________
6.La volta che sono stato più infelice.
_____________________________________________________________________
7.In chi mi trasformerei se avessi la bacchetta magica.
_____________________________________________________________________
8.Cosa ero solito sognare che avrei fatto da grande.
_____________________________________________________________________
9.Quante volte mi sono innamorato.
_____________________________________________________________________
10.Lo sbaglio che non rifarei.
_____________________________________________________________________
11.La persona che più ammiro.
_____________________________________________________________________
12.Chi ringrazio Dio di non essere.
_____________________________________________________________________
13.Il rosso o il nero?
_____________________________________________________________________
14.Il capriccio che non mi sono mai tolto.
_____________________________________________________________________
15.L'ultima volta che mi sono arrabbiato.
_____________________________________________________________________
16.Chi vorrei fosse il mio angelo custode.
_____________________________________________________________________
19.Cosa arriverei a fare in nome dell'amore.
_____________________________________________________________________
20.Come vorrei morire.
_____________________________________________________________________
21.La mia qualità nascosta.
_____________________________________________________________________
22.Il difetto che temo non correggerò mai.
_____________________________________________________________________
23.La cosa di cui più mi vergogno.
_____________________________________________________________________
24.La cosa che mi fa più paura.
_____________________________________________________________________
25.In un amore cerco..
_____________________________________________________________________
26.Il mio sogno ricorrente.
_____________________________________________________________________
27.Il mio incubo peggiore. (Inteso come brutto sogno, altrimenti rientra nella 24.)
_____________________________________________________________________
28.Mi fa sempre ridere..
_____________________________________________________________________
29.La domanda che farei a Dio se avessi l'occasione di parlargli a quattr'occhi.
_____________________________________________________________________
30.E' bello..
_____________________________________________________________________
31.E' brutto..
_____________________________________________________________________
32.Mi fa veramente schifo..
_____________________________________________________________________
33.La qualità che vorrei avere.
_____________________________________________________________________
34.Le mie manie
_____________________________________________________________________
35.La tua stagione preferita?
_____________________________________________________________________
36.Preferisci il cane o il gatto?
_____________________________________________________________________
37.Qual è il peccato capitale che rischi di più?
_____________________________________________________________________
38.Cosa pensi piaccia di te agli altri?
_____________________________________________________________________
39.Come ti immagini il futuro?
_____________________________________________________________________
40.Qual è la pazzia più grossa che hai fatto?
_____________________________________________________________________
Qual è l'animale che preferisci, e perchè? ______________________________________
Il secondo animale che preferisci è.. ____________ perchè _______________________
Il terzo animale in classifica è.. ________________ perchè _______________________
Invece l'animale che più detesti è.. ______________ perchè _______________________
Immagina un grande quadro, appeso a una parete. Il quadro raffigura un deserto. Nel
deserto ci sono una scala, un cubo e un cavallo: disponili come meglio preferisci.
Dove si trova la scala? ____________________________________________________
Di che materiale è fatta? __________________________________________________
Dove si trova il cubo? ____________________________________________________
Di che materiale è fatto? __________________________________________________
Dove si trova il cavallo? _________________________________________________
Di che materiale è fatto? __________________________________________________
Improvvisamente si solleva una violenta tempesta di sabbia. Quando il ghibli si calma, che
cos'è cambiato rispetto alla scena di prima? Disegna qua sotto il "dopo-tempesta".
PARTE
SECONDA
2a edizione (Gennaio 2009)
stampato da www.pothi.com
Mudranik Technologies pvt. ltd.
Bangalore, India
Copyright © 2008 Talco Talquez
P.O.BOX 109, 23891 Barzanò (LC)
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TUTTI I DIRITTI RISERVATI
53
R
iesco a percepire distintamente il futuro. Perché, tu invece non lo senti?
Lo annuso nell'aria: è come un pungente odore di neve. Lo vedo acquattarsi sotto
la coltre grigia che è calata a strangolare il cielo stamattina, dopo una notte
popolata di sogni e premonizioni. Lo odo strisciare nelle ombre che si rincorrono sui
marciapiedi fetidi di questa città, specialmente quelle calpestàte dai passi più increduli. Lo
mastico, nel sapore di ghiaccio secco che ha una mela avvelenata acquistata ad una
bancarella in centro. E lo tocco, sfiorando questa mia pelle che reclama una muta radicale
nella forma e nel contenuto. (Ancòra mi resta da capire che senso potrà mai avere, un corpo
che non si lascia plasmare dalla volontà?!)
L'immanenza dello strano torpore che pervade ogni cosa, mi smarrisce in un
disorientamento gravido di ansie inspiegabili: spettri, che si generano spontaneamente a
confondere i pensieri e a turbare le emozioni.
Vado facendoci l'abitudine ogni giorno sempre più: come una quercia, troppo saldamente
radicata nel terreno per curarsi dei piccoli parassiti che la infèstano. Sciolgo le paranoie
prima che attecchiscano. Moltiplico la Fede e mi moltiplico in essa. E aspetto.
Fra i miasmi narcotizzanti che impregnano l'aere smunto, pateticamente crocefisso a
questo cielo muto. Così innaturale. Così fasullo.
Il mondo: quest'immenso dormitorio col suo tanfo di chiuso e di stantìo. Strade come
corsie di un sanatorio per malati immaginari del sonno, sigillàti da sé stessi entro loculi
criogenici: crisalidi in animazione sospesa, mentre larve immonde ne suggono linfa vitale
per cavarne nutrimento. E allo stesso tempo vi inoculano allucinazioni. Spargono fumiganti
incubi, polvere riarsa sopra l'oblio dei secoli. Come cenere riarsa, spruzzata sui deserti.
Come un manto di neve soffocante, sopra campi incolti destinàti a non germogliare mai.
Muta stasi nella penombra. Un sepolcro ingoiato dal Tempo. Lingue viscide a leccare esili
fiati di ossigeno, là dove grottesche creature dilagano libere e la Luce stessa ha orrore di
entrare. Lo squallore di un abbandono tanto e tale, da iniettare sgomento nell'animo puro di
un angelo misericordioso che si trovasse a vagolare per quei sudici posti, attraversando
giorni che non sono altro che notti meno scure, dove i passi affondano nei marciapiedi..
Mollemente ìnfidi come sabbie mobili che ti spingono avanti a forza: prova a soffermartici,
e verrai inghiottito; corri, e salverai te stesso ma non lascerai impronta alcuna del tuo futile
283
(53)
passaggio.
Insomma, l'Esistere come un brufolo: uno spurgo di coscienza impastato di fango e
minuti, schiacciato e già dimenticato, inutile da vivo e ancor meno da morto – dove il NonEssere era, e il Non-Essere permane.
Dai un'occhiata fuori dalla finestra, e dopo dimmelo tu che cosa vedi.
Quanto a me, quei maledetti bastardi mi stanno alle calcagna.
Mi alitano sul collo. Non lasciano nulla di intentato per ostacolarmi: m'inquinano il cuore
con la paura e lo sconforto, mi scombussolano la mente con assurdi dilemmi fatti di nulla
attorcigliato ad arte.. Tanto non attacca: oramai ho imparato, a distinguere i miei pensieri e
le mie emozioni da quelle che m'iniettano loro.
E così son passàti ad accanirsi contro il mio computer..
Prima se la sono presa col programma che uso per scrivere, che di quando in quando
s'impappinava incasinandomi l'impaginazione dei paragrafi e la disposizione delle immagini
– e successivamente ha preso a inchiodarsi. Peraltro il più delle volte in concomitanza con
un salvataggio, così da farmi perdere interi capitoli.
Visto che comunque me la cavavo facendo frequenti copie di sicurezza, hanno alzato il
tiro e son passàti a bersagliarmi i circuiti elettrici dell'hardware. Poco importa che a
computer spento non sia fisicamente possibile danneggiare interi settori dell'hard-disk (che
talvolta avevo persino disconnesso!): son cominciàti a spuntare come funghi errori di lettura
nei files. Poi son sparite intere partizioni: ore intere per ripristinarle. Fino a quella volta in
cui l'intero sistema operativo è affogato in una miriade di messaggi d'errore che invitavano a
riavviare il computer – e ad ogni riavvio, un nuovo errore. In questa penosa maniera ho
visto il PC affievolirsi poco a poco, come un malato col morbo di Altzheimer che una ad
una perde tutte le proprie capacità mentali, fino al crash finale.
Se come me consideri il computer un'intima estensione della tua mente, ti rendi conto che
si tratta quasi di un trauma fisico: lobotomizzando il tuo disco fisso, amputano via una
parte di te e dei tuoi ricordi.
Inutile recriminare: quel che è fatto è fatto. Eppoi nessuno mi ha mai assicurato che
quest'opera debba essere data alle stampe completa. Più preoccupante ancòra: nessuno mi
ha assicurato di sopravvivere a questo temerario resoconto.
Mi affido alle sapienti mani del Destino: se rientra nei suoi Piani che io riesca a concludere
questo romanzo, a tempo debito verranno messi a mia disposizione i mezzi per farlo.
Altrimenti vorrà dire che di me e della mia storia all'Universo non gliene frega più niente,
per cui sarà anche stato inutile raccontarla – se tanto nessuno la leggerà mai.
Quella mattina mi svegliai senza aver ancòra digerito gli accadimenti della serata
precedente. Nauseato a dismisura da tutta quanta la vicenda paranormale.
284
(53)
“Ma come cavolo mi ci sono ficcato, in un guaio simile?”, pensai alzandomi dal letto.
E cominciai a riflettere ad alta voce parlando con me stesso – cosa che non avevo mai
fatto prima d'allora perchè è risaputamente roba da pazzi..
«..ma tanto oramai sto perdendo il senno, per cui tanto vale. Allora, ricapitoliamo: il mio
migliore amico è una specie di mezzo messia; e per giunta forse l'altra metà sono io.»
Cominciamo bene.
«Da due settimane a questa parte, lui viene quotidianamente posseduto da un'entità
superiore (che ciònonostante ha accettato di farsi battezzare col buffo nome di Gino, mah)..
e, quanto a me, mi son messo a sognare di vite precedenti che risalgono a non meno di 6000
anni fa. Dimentico nulla?»
Spalancai la finestra ed inspirai a pieni polmoni l'aria frizzantina di quel plumbeo mattino
autunnale.
«Ah già, sicuro: la misteriosa presenza che mi appare in sogno per insegnarmi come stare
al mondo! Una specie di precettore che poi, se non ho capito male, sarebbe il me stesso del
futuro. Restando in tema, Angelo invece si è lasciato un promemoria scritto nel 1247, per
ricordare a sé stesso nascendo nel XX secolo che “Nonostante tutto la vita può essere
meravigliosa”..»
Per tacere degli altri indizi (?) che ci erano stati scatenàti addosso: cartelli che al nostro
cospetto si mettevano ad ondeggiare come pendoli, monetine che si impilavano a mo' di
poltergeist e dopo si spostavano tipo i pezzi degli scacchi, citofoni di casa impazziti e
patatine che andavano a farsi friggere per conto proprio..
Poi c'erano le cose che accadevano soltanto ad Angelo: tipo incontrare sul treno musicisti
di fama internazionale travestìti da gente normale, vedere cascate di foglie d'acero fioccare
dai rami di un pino, fantasmi che corrono giù per la strada a 70 km/h o che in stazione gli
fanno capolino dopo essersi appena suicidàti sui binari..
«Ora, dico io: vabbe' che negli ultimi tempi mangiamo pesante (pizza con doppio salame
piccante e calzone farcito, quasi tutte le sere) e vabbe' che abbiamo visto un sacco di film
strani, ma se davvero tutto si spiega col fatto che sono finito in un incubo tipo “Linea
mortale”.. che qualcuno venga a svegliarmi! Eppoi non esiste notte che duri in eterno, no?»
Con tutto che Angelo stava messo pure peggio: si sentiva riferire da me cose tipo “Gino
dice che tu sei l'unico essere umano propriamente pensante, e che sei perfetto, limitato
unicamente dal corpo” quando lui nemmeno ricordava nulla delle sue trance – aveva solo
colossali vuoti di memoria dai quali si risvegliava trovandosi in situazioni spesso assurde.
Specie da quando Gino (il suo “spirito guida”, per così dire) aveva imparato a scrivere,
poi a parlare, poi a muoversi, fino ad imitarlo alla perfezione in tutto e per tutto – al punto
che più passavano i giorni, e più diventava difficile persino per me distinguere il nostro
visitatore paranormale dal mio amico.
«Giusto ieri, la più assurda di tutte: prima viene scaraventato a terra da una forza
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(53)
invisibile che attraversa le pareti, e poi si ritrova a combattere contro uno schìfido lumacone
gigantesco – volando a 5 metri dall'altezza del suolo, proprio qua fuori, sopra il mio
giardino! Roba da matti.»
Sul fronte personale, poi, la mia vita stava messa persino peggio:
• non mi restava più il tempo di frequentare l'unico amico normale che mi era rimasto,
Bobby, che mio sommo malgrado mi vedevo spesso obbligato a bidonare per
fronteggiare le quotidiane emergenze paranormali
• non mi ero iscritto all'Università dove avevo passato il test perchè ero praticamente
certo di riuscire ad entrare in un nuovo e più prestigioso ateneo, che invece mi aveva
scartato per appena una manciata di posti in graduatoria (salvo poi tenermi in sospeso
per settimane e settimane, ventilando la possibilità di un ripescaggio)
..ma soprattutto:
• ero innamorato a senso unico di Alessandro, che faceva finta di non saperlo, così come
faceva finta di essersi votato a Valeria – che però gli era stata soffiata da Angelo, che pur
sapeva di quella sua cotta, ma paradossalmente Alessandro aveva reagito stringendo
amicizia col rivale perchè “o si diventava nemici o grandi amici” (ma che senso ha??)
• sospettavo che ci fosse del torbido fra Alessandro e lo zio che gli faceva da padre
putativo dacchè era rimasto orfano, ma per quanti indizi io meticolosamente catalogassi..
beh, una prova certa al 100% non l'avevo ancòra trovata, e non potevo certo saltarmene
fuori a dirgli “anche tu mi ami, ma rifiuti di essere gay perchè tuo zio abusa di te da
quando eri piccolo”!
Insomma: un disastro totale.
E aver coinvolto Valeria e Alessandro nella nostra vicenda ai confini della realtà non ci
forniva poi 'sto gran conforto, a me e ad Angelo, anzi forse complicava le cose e basta.
Avvertivo più forte che mai uno spropositato bisogno di prendermi una vacanza. Anche di
un giorno soltanto. Per fare finta che non fosse mai accaduto nulla: che Gino, gli schìfidi, e
il cupo destino-imminente dell'Umanità (per tacere del mio), non fossero altro che un brutto
sogno da scacciar via con una rassicurante tazza di latte caldo.
Come a voler materializzare i miei pensieri, in mezzo al tavolo della cucina trovai una
scodella. Vuota.
Era la più snobbata di tutte le sue consimili, impiegata solamente quando era l'ultima
rimasta oppure per compiti umili e ingrati tipo far rinvenire con acqua tiepida i funghi
secchi ancòra un po' sporchi di terriccio. La presi in mano che sembravo la caricatura di
Amleto col teschio di Yorick: che ci faceva, proprio lì, all'esatto incrocio delle diagonali del
tavolo?
La soppesai. Ne accartocciai un poco i bordi, così leggeri e flessibili, e mi convinsi che il
significato della sua presenza andava ricercato facendone uso – e così versai del latte intero
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(53)
nel pentolino e lo misi sul gas, grato che una volta tanto il babbo avesse accondisceso a
rinunciare al suo scialbo parzialmente-scremato.
Squillò il telefono, inopportuno come soltanto un telefono sa essere quando uno s'è appena
svegliato.
«Pronto.», risposi, mantenendo gli occhi sempre ben fissi sul fornello.
«Chi parla?»
«Facciamo un po' per uno. Per intanto comincia col dirmi chi sei.»
«Ciao, Bolis. Sono Erasmo, non mi riconosci?»
«Ciao, Livori.», replicando pan per focaccia a quella sua odiosa abitudine di chiamarmi
per cognome.
«Come va?»
«Ti dico sùbito che ho il latte sul fuoco.»
«E allora?»
«Allora, non intendo farlo strabollire. Eppoi tu a quest'ora non avevi mica appuntamento
col dentista?»
«Sì, però l'ho rimandato prima.»
«Sarebbe a dire che l'hai anticipato?»
«È quello che ho detto.»
«Veramente, “rimandare” farebbe pensare a poi.»
«È per questo che ho specificato “prima”. Comunque: ti posso parlare?»
«Dipende. È una cosa breve?»
«Beh.. Se devo dire la verità: no.»
«Ergo deduci.»
«“Deduci” cosa?»
«Che non mi puoi parlare. Te l'ho detto: ho il latte sul fuoco.»
«E non puoi andare a spegnerlo?»
«E tu non mi puoi richiamare dopo che ho fatto colazione in santa pace?»
«Colazione? Ma se è quasi ora di pranzo!»
«Io faccio colazione all'ora che mi pare e piace. E adesso, se non ti dis-piace..»
«Invece mi dispiace!»
..detto col tono scherzoso ma al tempo stesso strafottente tipico degli squaletti, ovvero
quell'irritante genìa di profittatori con la faccia di tolla di cui fa parte pure Angelo: quando
loro hanno bisogno di qualcosa, si ritengono in pieno diritto di importunarti e ti fanno
preciso dovere di accantonare ogni tua occupazione pur di rispondere prontamente e
diligentemente alla loro necessità.
Io purtroppo appartengo a quell'altra genìa: quella degli sfigati dal cuore troppo tenero per
saper opporre un netto rifiuto ad una qualsivoglia richiesta di aiuto. E l'emblema di questa
nostra “casata” è giust'appunto il latte versato: proprio quello sopra il quale è inutile
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(53)
piangere.
«Ecco, lo sapevo: il latte è strabordato. (Fortuna che c'è la termovalvola e il gas si è
spento.)»
«Ottimo. Così non hai più scuse per non ascoltarmi.»
«Temo di non poterti dare torto. Allora: sentiamo la ragione di tanta fretta.»
«È che oggi mi sono svegliato col malditesta. Si potrebbe trattare di un tumore al
cervello?»
«Sì.»
«E me lo dici così??»
«Sei tu, che confondi un possibile sintomo con una diagnosi definitiva.»
«Quindi secondo te ce l'ho sul serio, un cancro al cervello!»
«Da come dai di matto si direbbe quasi di sì», ironizzai. «Ma siccome con quelli come te è
pericoloso scherzare, spalanca bene le orecchie e ascolta con attenzione: tu – non hai –
nessun – tumore.»
«E il malditesta, allora?»
Alzai gli occhi al cielo, cercando di farmi forza: ma perchè mai sopportavo un individuo
simile? Pronta mi sovvenne la risposta: “Per quanto puoi, senza cedimenti, mantieniti in
buoni rapporti con tutti. [..] Ascolta gli altri: pur se noiosi e incolti, hanno anch'essi una loro
storia.”, e visto che non me la sentivo di rinnegare il “Nonostante tutto, la vita può essere
meravigliosa” presi un bel respiro e poi..
«Senti, ragiona: ti pare plausibile che a chiunque gli venga una minima emicrania..»
«Emicrania??», si allarmò lui. «Che roba è? Pensi che ci ho anche i sintomi
dell'emicrania?»
Perlomeno Valeria aveva la scusante di essere una bionda naturale.
«Emicrania uguale malditesta.», sbuffai.
«E non potevi dirlo anche prima?»
«Scusami. Farò in modo di parlare più semplice.»
«Dicevi?»
«Dicevo: mentre è vero che chi ha un tumore al cervello potrebbe avere il mal di testa, non
è affatto vero che qualunque malditesta sia causato da un tumore.»
«Spiègati.»
«Veramente.. era proprio questa, la spiegazione!»
«Ah, vabbè.. vorrà dire che la capirò dopo essermi riascoltato il nastro.»
«Da quando in qua registri le telefonate?»
«Da un bel po'. Così posso ripassare le cose che mi dici tutte le volte che voglio.»
«Te sei malato: questa è pura masturbazione mentale! »
«Non perdere tempo, che sennò mi finisce il nastro. Stavi dicendo?»
Questo suo modo di incalzarmi mi esasperava peggio del ronzio di una mosca che non ne
288
(53)
vuole proprio sapere di uscire dalla finestra da cui è entrata.
Per fortuna, venni salvato da un evento inaspettato:
«TU-TUT. TU-TUT. Avviso di chiamata per il numero..»
Pregai che fosse il mio, altrimenti Erasmo avrebbe potuto decidere di ignorare quella voce
àtona che si sovrapponeva sgarbatamente ma provvidenzialmente alle nostre.
Era proprio il mio numero! Esultai, e siccome per telefono le virgolette non si notano mi
allargai a dirgli:
«“Mi dispiace”, ma dobbiamo interrompere qui.»
«No, dai.. aspetta un attimo!»
«Non ci capiremmo comunque, con 'sta voce che ci parla sopra!»
«Tanto fra un po' smette.»
«..e comunque, chiunque abbia composto il primo 197 che ricevo ha senz'altro qualche
cosa di assai importante da dirmi. Abbi pazienza, OK?»
«E va beeene!», col tono capriccioso di un bambino viziato che si arrende, ma solo dopo
essersi visti rintuzzàti tutti i possibili contrattacchi. «Vorrà dire che ti richiamo tra cinque
minuti. Vedi di tenerla breve, questa tua “telefonata importante”, sono stato chiaro?»
La tentazione di mandarlo a cagare era forte, ma pazientai:
«Farò il possibile. Ciao.»
Ri-squillò immediatamente il telefono:
«Ciao: sono io. È tuo fratello, che sta le ore al telefono?»
«Purtroppo no, Angelo: era Erasmo, che sarebbe andato avanti per..»
«Erasmo?»
«La condanna della mia vita: quella specie di piccolo-fan che ho conosciuto per via del
“Pokefinder” C030. Sai, il programma che ho pubblicato tre anni fa. Gliel'avevo portato su
floppy disk allo SMAU, poi da lì abbiamo cominciato a frequentarc..»
«Perchè ti telefona?»
«Vuole che gli risolva i suoi problemi, ragionando al posto suo.»
«Quali problemi?»
«Più che altro, paranoie infondate. Oggi ad esempio era il turno del tumore al cervello, ma
mi sono già dovuto sciroppare quelle sull'AIDS, sull'inutilità di vivere, sui suoi capezzoli
troppo pronunciàti che lui vorrebbe farsi un'operazione di mastoplastica però ha una paura
fottuta dell'anestesia chè magari muore sotto i ferri del chirurgo..»
«Ma è pazzo?»
«Bravo: hai centrato un'altra delle sue paranoie. Anche se lui me la esprime con domande
più subdole, del tipo “Dimmi che cos'è l'intelligenza”, oppure “Come si fa a diventare più
furbi”..»
«E tu gli.. rispondi?!»
«Beh, sì. Perlomeno ci provo. Ma aspetta: non hai ancòra sentito il meglio. Quando viene
289
(53)
a trovarmi, e pure quando mi telefona, lui registra tutte le cose che gli dico! »
«Ma dai!»
«Ti mentirei mai?»
«No.»
«Registra tutto, ti dico. E poi trascrive.»
«Trascrive?!»
«L'ultima volta che è stato qua, mi ha lasciato il verbale (o: fedele parola per parola)
della nostra ultima conversazione. Nove facciate che cominciano pressappoco così: “Nastro
A: conversazione del 31-08-93 tra Alessio ed Erasmo. Argomento: creazione del mondo,
intelligenza artificiale”.C153»
«Ma lui.. che cosa se ne fa?»
«Qui sta il bello! Le distribuisce! Ma ti rendi conto? Ai suoi parenti. Forse pure ai suoi
professori. Roba che mi è persino toccato sentirmi dire da sua madre “Ah, sai?, ho letto i
tuoi discorsi: come sei intelligente! Lo dice anche una mia amica, che a lei e a suo marito
piacerebbe tanto incontrarti di persona..”»
«Pazzesco!»
«E lo vieni a dire a me? Neanche fossi Socrate in persona, o Gesù Cristo, che qualsiasi
cazzata mi esce dalla bocca diviene oggetto di culto per chissà quali ignote moltitudini di
Melegnano e dintorni!»
«Senti: e per questa sera?»
«Sto giusto aspettando la telefonata di Alessandro e Valeria dall'università, per la
conferma dell'orario – ma salvo imprevisti, solite ore 21 qui.»
«Rimaniamo che in caso di cambiamenti di programma mi telefoni, okay? “Il saluto.”»
«“Il saluto” anche a te.», e riagganciai.
Tornai al fornello, rassegnato a constatare il danno – che per fortuna era minimo: una
rapida passata con la spugnetta, per ripulirlo dalle incrostazioni, e poi misi nuovamente il
bollilatte sul fuoco.
Contemplavo i vapori che fumigavano dalla superficie. Li odoravo, inebriandomi del loro
aroma. E così facendo arrestai i pensieri per qualche esiguo istante. In quella, mi sovvenne
il ricordo dell'antica scodella di plastica che ospitava la mia colazione ai tempi delle estati
spese presso la “reggia” dei nonni paterni. La rossa: la mia preferita. Anch'essa così sottile
da risultare quasi trasparente. Anch'essa col fondo solcato da minuscoli tagli e consumato
dagli anni d'uso, che donavano un sapore caratteristico ed unico agli ultimi latte-e-malto che
avevo bevuto da molti anni a quella parte. Un gusto antico che sapeva di casa, e che mi
sorprendevo adesso a ritrovare dentro alla tazza più snobbata della cucina.
Il telefono prese nuovamente a squillare, e ritornai in me come allo scoppiare di una bolla
di sapone:
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(53)
«Sarà quell'importuno d'un Erasmo che torna alla carica.»
Al quinto squillo, però, il dubbio mi assalì:
« E se invece si trattasse di Alessandro?»
Centro.
«Ohè, dico: è questo il modo di fare aspettare il sottoscritto?»
Io ci andavo pazzo, per quel nostro modo di giocare, così recitai la mia parte:
«Cosa mi significa quest'insubordinazione, soldato? È forse questo il modo di rivolgerti al
tuo diretto superiore?»
«Ciumbia! Non pensavo che tu e Angelo avreste costituito una milizia anti-schìfidi! Ma
soprattutto non ricordo di essermici mai arruolato.»
«In effetti anche per me si è trattato di un co-optamento forzato, tipo servizio di leva. Ma
se è una leva che serve a risollevare il mondo, accetto volentieri di fare la mia parte.»
«Certo che te sei incredibile: riesci a dire cose serie anche quando scherzi.»
«È un bene o un male?», domandai lesto.
«Un bene, naturalmente!»
«Comunque: la ragione per cui ho tardato a rispondere, è che temevo che Erasmo volesse
fare il bis.»
«Chi? Il tuo.. discepolo? Era lui anche prima? Sono ore, che provo a telefonare, e trovo
sempre occupato!»
«Figùrati che Angelo ha dovuto persino fare il 197. A proposito di Angelo: per stasera?»
«Aspetta, che mi stanno finendo i gettoni. (Valeria? Passamene un altro, svelta!)»
«Perchè al posto delle monete usi ancòra quelle schifezze di rame annerito che fanno
puzzare le dita?»
«Ih, sempre lì a spaccare il capello in quattro!»
«Prego: la tetratricoctomia è una scienza esatta.»
«Hehe.. Umberto Eco è un grande!»
«Dedo, questo è l'ultimo.»: Valeria, che inserendo l'ultimo gettone l'invitava a non
divagare.
«Allora: va bene la pizza per le nove. Io forse arrivo un quarto d'ora prima, perchè se esco
più tardi delle otto e mezza la scusa che ho detto a mia madre non regge. O forse ritardo e
arrivo puntuale. (Bella, questa!)»
«Non illuderti: nessuno può battere Angelo, mister ritardo in persona.»
«Non che lui sia una persona.»
«Già: ipse dixit.»
«Questa la so: significa “lo disse lui stesso”. A proposito di “ipse”: pensi che tornerà?»
«È cosa certa: me l'ha ingiunto Gino stesso, di approntare per la sua venuta.»
«Ellamadonna! Manco fosse Gozer il Gozeriano di “Ghostbusters”!»
«Infatti lui è peggio. E questa sera ci vuole riuniti tutti e quattro.»
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«Io ci ho un paio di domandine da fargli, privatamente. Pensi che accetterà di parlarmi da
solo?»
«Per come la vedo io, sì. Ma non vorrei che tu ci rimanessi male, se io ti assicurassi ciò
che non sono in grado di garantire – trattandosi di una promessa che non dipende da me
mantenere.»
Alessandro scoppiò a ridere con la sua adorabile risata da tricheco, talmente fumettosa
che io l'avevo battezzata a sua insaputa “risata alla Pippo”.
«Ma tu parli sempre così?», mi domandò divertito.
«Beh.. sì. Ho forse detto qualche sproposito?»
«No no, ma non conosco molte persone che al telefono usano frasi così.. sintatticamente
ricercate!»
«A parte te stesso, immagino, giudicando da questa tua ultima.»
«È solo il tuo influsso, che mi contagia e mi spinge a risponderti alla pari.»
«Scusa. Non volevo farti sentire sotto pressione in alcun modo.»
«Ma che dici? Mi piace! Anzi, guai a te se smetti: te l'ho detto, che sei unico!»
Come fa, uno, a tacitare il proprio cuore innamorato davanti a parole simili? Come si fa, a
soffocare la speranza, già alimentata da un Amore immenso, se non le si possono scagliare
contro brucianti smentite – bensì nient'altro che ulteriori conferme, come benzina su un
incendio?
«Beh, allora.. A stasera!», concluse Alessandro al fine di superare quel lungo attimo di
silenzio calato come una coltre tra i miei pensieri e lui.
Mi sfuggì un incauto «Non vedo l'ora!», cui con mia massima sorpresa lui fece eco
lasciandosi andare a un «Anch'io!» che mi gettò in uno scompiglio di dubbi ed autosmentite:
“Non è davvero il caso ch'io m'illuda per così poco: sarà stato solo il botta & risposta
innescato dal “non vedo l'ora”, o magari è impaziente di domandare a Gino circa quelle sue
faccende private. (Chissà quali, peraltro.) Oppure lo dice perchè è contento che stasera ci
sarà anche Valeria. O forse perchè è intellettualmente affascinato dal mistero sollevato da
quest'intera faccenda paranormale.”
Chissà come mai le risposte più semplici, che sono anche le più vere, sono sempre le più
difficili a credersi.
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54
M
e ne tornai giù nella mia cella di clausura, a trascrivere il sogno fatto la notte
precedente..
E ro a M i l a n o. “E ro” co sì co m e lo si può e s s er e n ei s o gni: ta nt’è che qu a lco s a m i r icord ava
Bi s a n z io (propr io quel l a d ei te mpi ch e fu ron o: Fo zio, i l pr i m o s c i s m a ..), e qu a lco s’a lt ro u n
p ae s e d el nord-A fr ic a (l’E git to?). O for s e l a G re c i a: tut ti quegl i ed ific i b a s si, i n mu r at u r a
gr e z z a a ffre s c at a d i bi a n co..
M i tr ovavo a l l a r icerc a d i u n a icona s ac r a: l ’effi ge d el l a M ad on na, ch e i n qu a lch e m o d o m i
chi a m ava a s é, “r ic at ta n d o m i” con u n a s ete i ne sti n gu ibi le ch e av rei p otuto plac a re
s ol a m ente r icon giu n gen d m i ad e s s a. C o m e re A r tù a l l a r icerc a d el S a nto G r a a l, o l a Stele
d egl i A ntich i ch e er a stat a d e sti nata a Ken shi ro, ered e d el l a d i na sti a d i Hokuto..
D op o aver gi rova g ato d i qu a e d i l à p er le viu z z e s oleg gi ate d i quel p a e si no r id ente, eppu re
a l l’ app a ren z a d i s abitato, m’i mb atto i n u n a chie s a: a l l’e ster n o, i l D uo m o d i M i l a n o;
a l l’i nter n o, u n a b a si l ic a or to d o s s a . For s e u n a m o s c h ea . C er to er a b en st r a n o, p a s s a re d a l
cent ro d i u n a c it tad i na, ce m enti fic ato, a u na – p er qu a nto i mp on ente – u m i le chie s a d i
c a mp a gna ! Sì, p erché conti guo a l l a s ac r e sti a v’er a u n cor r id oio col s offit to a b ot te, pic colo
ed a ntico, ch e conduceva a l l’ap er to: u n ch io st ro n a s co sto, i nfat ti, u n gi a rd i n o s egreto, er a
cu sto d ito nel l ato si ni st ro d el l a b a si l ic a, r ivolto a Nord.
E r a app ena ter m i nat a l a fu n z ion e d el m at ti n o, r icon o s c ibi le a colp o d’o c chio p er vi a
d el l’e si guo nu m ero d i p a r te c ip a nti. Sicu ro, a lcu ni p oteva no e s s ere gi à u s c iti, p erò i l
nu m ero d el le p er s on e ch e a ncòr a si at ta rd ava n o (a n zi a ni e r u go si si gnor i d a i c ap el l i r ad i,
st a n c a m ente s eduti su l le p a nch e, l a m a n o tr e m ol a nte av vi n gh i ata a l b a ston e, e l’a r i a e s au st a
d i chi non h a propr io vo gl i a d i a l z a r si; ve c chie co m à r i i n pied i su l l ato d el cor r id oio, a
gr uppi d i due o tre..) er a t a le d a fa r p en s a re che l a m e s s a fo s s e fi nita d a p o chi m i nuti
app ena.
Ricord o ch e m i ero re c ato l ì p er a sp et ta re A a ron. S a r a nn o tr e a n ni ch e non n e h o n oti zie:
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gl i h o giu sto s c r it to u n a c a r tol i na ad A go sto, m a n on si è fat to s enti re. I c a si s on o due: o h a
s m a r r ito i l m io nu m ero d i telefon o, oppu re si è p erduto i n qu a lcu n a d el le r ea lt à vi r tu a l i –
che lu i pro gr a m m a (con o s cen d olo) i nna n zitutto p er s é, p er p oi con ced erle a l l a d it t a che pu re
lo stip end i a p er que sto.
Sp a zi a i tut t’i ntor n o con lo s gu a rd o.. Niente. A p a r te le p a n che v uote, gl i a n z i a ni s eduti, e
qu a lch e sp or ad ico c ap a nnel lo d i co m à r i, ne s su n a t r ac c i a d i A a ron.
< C h e si a gi à u s c ito? >
C o sì m i ac co d o a gl i u lti m i “sfol l a nti”, ch e e s con o p a s s a n d o p er i l ch io st ro – supp on go
p er fa re pr i m a. I nve ce, m i r itrovo i n u n gi a rd i n o. A l l a m i a si ni st r a, u n mu ro b a s s o
ver nic i ato e c r ù, con d ei r a mpic a nti (più le fron d e d ei r a m i ch e st ava no d a l l’a lt r a p a r te) a
copr i r ne l a s o m m it à. I n fond o a l vi a let to d i gh i a i a, u n a sp e c ie d i c a ncel l at a verd e: chiu s a,
for s e con u n a c atena e u n luc ch et to. A c c a nto a l l a c a n cel lat a, u n pic colo ed i fic io che h a tut t a
l’a r i a d i e s s ere u n a c app el l a votiva: s a r à quel lo, s a r a n no le viu z z e or to gon a l i d i gh i a i a ch e
d el i m ita no le a iuole qu ad r ate, p a re d i st a re i n u n c i m itero. Un c i m itero “a l legro”, p erò, a
co m i n c i a re d a l fatto ch e non c i s on o to mb e, m a s olo gr ac i l i a lb erel l i, pr ati, p er fi n o
b a mbi ni ch e gio c a n o sp en sier at a m ente a p a l lon e..
E c’è a nch e u n m on aco b a rbuto su l l a qu a r a nti na, d a i c ap el l i i spid i e i l c i l ic io b en st ret to,
i l c appuc c io r ivoltato su l le sp a l le co m e quel lo d i chi è s ol ito tenerlo i nve ce a l z ato, te st a
b a s s a e m a ni ap er te co m e a reggere u n l ibro i nvi sibi le – i l m o d o d i prega r e d ei mu su l m a ni,
s e n on vad o er r a nd o. S e n e st ava l ì, i n sie m e e statico e s offerente, su l m a r gi ne d i u n’a iuol a
coltivata a m o s a ico veget a le, i n gi no c chi ato i nna n zi a u n a sp ec ie d i t a r g a app es a su l t ron co
d el l’a lb erel lo ch e st ava nel l’a n golo i n b a s s o a d e st r a r i sp et to a l l’a iutol a. Ricord o ch e n on
o s a i leggerl a, p er r i sp et to d el suo r ac co gl i m ento.
I m iei p a s si er a n o si len z io si, e l a su a con cent r a z ion e profon d a – ta nt’è ch e non m i aveva
ud ito a r r iva re, co sì co m e d’a lt ro c a nto non faceva c a s o a gl i s ch i a m a z zi d ei b a mbi ni. D’u n
t r atto, p erò, co m e s e u n gu i z zo d i telep ati a gl i ave s s e r ivelato che io m i ero ac cor to d i lu i,
i nter r upp e l a su a preghier a e si voltò a gu a rd a r m i d r it to n egl i o c chi: vi er a u n che d i fiero
nel lo s gu a rd o, ch e m i a ggred ì, m a gl i c i vol le u n s olo at ti m o sp e s o a fr u g a re nei m iei o c chi
p er fa rgl i muta re d r a stic a m ente at teg gi a m ento: d appr i m a, u n s or r i s o d olc i s si m o (a nch e
t ropp o, p er u n re s a g gio p a r suo) gl i si d ipi n s e r a g gi a nte i n volto; p oi, u n che co m e a d i re
“Si a ri n gr a z i ato i l c ielo ch e s ei a r r ivato, a m ico m io!”; i nfi ne, u na profond a d i m o st r a z ion e
d i ri sp et to e vener a z ion e ch e m i l a s c iò a lqu a nto con fu s o ed i mb a r a z z ato: ac covac c i ato con
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u n gi no c ch io a ter r a, fece muto voto d i va s s a l l a g gio.
< Á l z ati, or a, e tor na a l le t ue or a z ioni. > , lo e s or ta i a m ich evol m ente, p o g gi a nd o gl i l a m i a
m a n o si ni st r a su l l a su a sp a l l a si ni st r a: i l ge sto faceva evid ente m ente p a r te d i u n a s or t a d i
r itu a le concord ato, ch e tut tavi a espleta i con l’a r i a s e m i-s er i a d i chi è u n p o’ a n noi ato d a i
convenevol i d i tut te quel le for m a l it à.
C o m e lo to c c a i, ebb e u n su s su lto – n ea nch e gl i ave s si app o g gi ato add o s s o u n fer ro rovente!
M a n on er a d olore, qu a nto piut to sto i n d e s c r ivibi le m er avi gl i a che io gl i con ced e s si l a gr a z i a
d i to c c a rlo. Con m ov i m enti u n p o’ eb eti d el c ap o, co m e a d i re “Sì sì”, fe ce qu a lch e p a s s o
i nd ietro, s e mpre i n gi no c ch i ato. Poi lo vid i tor na re quel “m ac i gn o” ch e er a, r apìto nel l a su a
fer vente eppu re a l te mp o ste s s o profon d a e plac id a pregh ier a .
D edu s si ch e quel re-m on aco si trovava l ì co m e s egn a le p er gu id a r m i lu n go l a vi a: i n ava nti,
du nque, no; a si ni st r a c’è i l mu ro.. A d e st r a, qu i nd i. Po co pr i m a d i svolt a re, nota i con l a
co d a d el l’o c ch io u n a bi a n c a st atu a d i pietr a, e d ava nti ad e s s a quel lo ch e s e mbr ava u n
p enitente. E r a u n a st atu a ch e r a ffi gu r ava l a M ad on na, e s olo a l lor a m i s ov venn e qu a l er a l a
r a gion e ch e m i aveva m o s s o: er a co m e s e l’ave s si con o s c iut a d a s e mpre, m a d i m entic at a lu n go
le vie chi a s s o s e d el l a c it tà. I l r ac co gl i m ento s ac r a le d i quel luo go aveva cont ribu ito a fa r m i
tor na re i n m e, eppu re..
< U h m, che st r a n o! Quel l a è s olt a nto u n a stat u a, nient’a lt ro ch e u n p ez zo d i piet r a.. >
L e m ie p erce z ioni non mut ava n o neppu re avvici na nd o m i, a n zi t rovava no confer m a nel l’a r i a
si ni st r a ch e e m a nava d a l lo s co fi gu ro ch e s e ne st ava l ì, app o stato co m e u n a s s a s si n o, u n
su b d olo s or r i s o ta gl iente su l le l abbr a: sp e c ie d i sip a r io d i d enti a gu z zi e m a rc i co m e m a rc i a
er a l’a n i m a che l i d i gr i gnava.
Pa s s a i oltr e con p a s s o m a e sto s o e c ad en z ato: quel m i s er a bi le er a l ì p er m e, m a n on o s ò (o
non gl i r iu s c ì?) muover si – n on u n si n golo mu s colo. E co sì, non p otend o si add ent r a re oltre,
fa l l it a l a su a m i s sione d i a s s a s si na r m i d i sp a r ve. Qu a nd’e c co..
Ancòra assaporavo gli strascichi della Beatitudine che mi aveva investito in quel preciso
istante del sogno.
..r iconobbi i l luo go d ove m i trovavo d a l l abi r i nto, i l p erché eter n o d a l dubbio p erenne, e
fu co m e s e o gn i e s s ere i na ni m ato ch e m i c i rcon d ava m i ave s s e r icon o s c iuto i n u n s olo
m o m ento, e m i s a lut a s s e e su lta n d o. S coppi a i i n l a c r i m e d i gioi a, s co s s o co m’ero for s e
t r ab a l l a i pu re u n p o co, m a conti nu a i a c a m m i na re s en z a neppu re ved ere d ove st avo a nd a n d o
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– e che i mp or t ava? Stavo a n d a nd o sicu r a m ente nel l a d i re zione giu st a .
Subit a n ea co m’er a venuta, l a B eatitud i n e sva nì co m e u n a p a rente si che si chiud e: u n
Pa r ad i s o i ntero ch e m i d iceva “A r rived erc i a pre sto” e ta gl i ava fuor i l a su a teofa nic a Luce
d iet ro a u n a p or t a. M a non m e ne r a m m a r ic a i, a n zi: fu i gr ato p er quel l’e sp er ien z a
vivi fic a nte che m i er a st at a d onat a p o co pr i m a d el r a g giu n gi m ento d el l a m i a m et a .
E i n e s s a m i c’i mb at tei, qu a si nel s en s o let ter a le d el l a p a rol a: er a sbuc at a d a l nu l l a, co m e
u n l a mpione p er ch i c a m m i n a a te st a b a s s a, e m i s ov r a stava nel l a su a d ivi n a i mp onen z a.
Tut tavi a n on l a te m evo, co m e i nve ce Mo s è te m eva l a colonn a d i fuo co. Ne ero a ffa s c i nato,
que sto sì . I n cu r io sito, m a con quel cer to d i st ac co che t r a sp a re d a u n e sp er to d’a r te d ava nti
a l qu ad ro d i u n autore fa m o s o. Ti d i rò: l a si p otrebb e d efi ni re “u n a s ac r a le a m m i r a z ion e”.
Gi à. Perché, co m e m i ac cor si sùbito d op o aver fatto u n p a s s o i nd ietro p er o s s er va rlo nel l a
su a tot a l it à, n on si t r at tava d i u n a stat u a d el l a M ad on na, b en sì d i u n qu a d ro. D ipi nto,
c red o a ol io, su u n p a nnel lo d i legno l i s c io, u n legn o p overo, p o co m en o gr e z zo d el
co mp en s ato; d el lo sp e s s ore d i n ea nch e u n centi m et ro, app e s o a c i rc a u n m et ro d a ter r a su l
mu ro d i c i nt a d el chio st ro, l à d ove e s s o si r iu niva a l l a ch ie s a ch e lo gener ava co m e i n u n
m ater n o abbr ac c io protet tivo.
Un d ipi nto a ntico, s en z a o mbr a d i dubbio. A fatic a ne d e c i fr avo l a d ata, s c r it t a
st r a na m ente i n gr a n d e, e pu re u n p o co stor ta, a si ni st r a d el centro d el qu ad ro: “a nn o 102 8?”
– propr io col pu nto d i d o m a n d a. Qu a nto a l gior n o e a l m e s e, er a n o i l leg gibi l i: i s e col i
aveva n o s c ro st ato u n p o’ d i ver nice, e va n d a l i aveva n o d etu r p ato con le loro pic cole s ce m en z e
u n a gr a n d e op er a d’a r te.
Un qu a d ro i nvero st r a n o p erò: r a ffi gu r ava a ti nte s cu re, d i rei qu a si lu gubr i, u n a M ad on na
s o sp e s a su sfon d o nero, ch e s ot to a i suoi pied i s c hi ac c i ava u n a m a s s a i nfor m e –
i nten zion a l m ente d ipi nta con u n ghi r i goro i nfa nti le: u n a sp e c ie d i tu rbi ne, propr io co m e i
b a mbi ni d i segna no i c ap el l i r ic c i, oppu re i l fu m o ch e e s ce d a i co m i gnol i.
C erc a i u n a t a r gh et t a con i l titolo d el qu ad ro. O, p erlo m en o, u n a che rec a s s e i l n o m e
d el l’autore. L o trova i i n fond o a l qu a d ro, s c r it to i n u n qu a si i nvi sibi le nero su sfon d o nero
con l a ste s s a p ennel l at a d el l a m a n o ch e aveva app o sto l a d ata: “A le s sio” (a lchè m i l a s c i a i
sfu g gi r e u n r a b d o m a ntico “E te p a reva!” a l p en siero ch e, co m e s e mpre nel l a m i a vit a, le
“coi nc id en z e” si spre c a no) e p oi qu a lco s a che p a reva u n a t r a sl it ter a z ione i n gr e co a ntico d el
co gn o m e.
Qu a nd’e c co app a r i re a l le m ie sp a l le u n a fa m i gl iol a d i t u r i sti con m a c chi n e foto gr a fich e a
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t r acol l a, p a nt a lon c i ni cor ti, e sp ad r i l l a s color ate e i l r id icolo c app el l i n o “d a p e s c atore
a l l’a lb a ”. Li av rei d et ti ted e s ch i. E r a no ac co mp a gn àti d a u n a m ico ita l i a n o ch e faceva loro
d a c icerone: u n i nd ividuo d a i m o d i d av vero p e s si m i, gi ac chè m i s c a n s ò con u n a sp a l l at a e
at t ac cò a rec ita re i l suo d i s co:
< A le s sio Cit ter io: u n pittore m i nore. >
L a C l’avevo c apìt a pu re io. L a I, i nvece, l’avevo s c a mbi at a p er u n t a gl iet to nel l a tel a . M a
fr a l a d oppi a T ch e s e mbr ava u n pi-gr e co e l a E d i segnata co m e u n si g m a .. oh b e’, è a nch e
vero ch e a volte i m i ster i m e l i va d o propr io a cerc a re, l a dd ove u na spieg a z ione più s e mpl ice
s a r ebb e st at a più pl au sibi le!
Ad o gni m o d o, l a s c i a i i l ti z io a i suoi er ud iti m a s op or i fer i bl ah bl ah, e approfit ta i d el
fatto ch e i l gr upp o si er a ac c a lc ato propr io l ì d ava nti p er a n d a re a d a re u n’o c chi at a a l qu ad ro
d a più lonta no. D a u n tr e-qu at tro m et r i d i d i st a n z a, l a p erce z ion e d el tutto si faceva a s s a i
più nitid a: t a nto p er i nco m i n c i a re, l a M ad on na spic c ava s opr a le ten ebr e. E quel “ ghi r i goro
a st r at to” si r ivelava e s s ere u na sp e c ie d i bi s c ion e r a ffi gu r ato i n u n a pro sp et tiva t a le d a fa rlo
s e mbr a re lu n ghi s si m o, co m e or i gi nato d a l le profond it à d el qu a d ro e l ì-l ì p er sbuc a r n e fuor i
s e s olo l a M ad on na n on l’ave s s e ac ch i app ato col pied e. Poi, quel le ch e d a vic i no s e mbr ava n o
a loni d i p olvere, er a no i n rea ltà folate d i vento ch e l a M a d onn a c ava lc ava (e/o gener ava) .
I noltre, chi s s aco m e d i s si mu l àti ad u n’o s s er va z ione d a vic i no, volti a n gel ic i a lati – ch e
s offi ava n o a loro volt a contro quel bi s c ione nero ed i nfor m e.
< “ No st r a si gnor a d el l a lu m ac a ” > , con c lu s e i l c icerone, e fu l’u nic a co s a che ud i i d i tut to
i l suo p a n egi r ico – m a più ch e abb a st a n z a p er sti m ol a re i l m io i ntere s s e. E co sì lo fer m a i,
m entr e lu i s egu iva i n co d a i l suo gr upp o d i ret to a lt rove:
< S cu si, co m e h a d et to? “No st r a si gnor a d el l a lu m a c a”? >
< E s at ta m ente. > , con fer m ò con u n aplo mb d a m a g giord o m o i n gle s e. < M a lei fa r ebb e
d av vero m egl io ad a l lont a n a r si, a d e s s o. >
Tut to s e mbr ava nor m a le. Ne s su n o aveva i l m i ni m o s entòr e d el l a te mp e st a ch e st ava
s opr a g giu n gen d o, ad o s cu r a re i l c ielo con nuvole s cu re e m i n ac c io s e. I b a mbi ni a n còr a
gio c ava n o a l p a l lone.. Poi u n o d i e s si lo c a lc iò (volut a m ente?) contro i l qu ad ro, che
co m i n c iò a vibr a re co m e u n gon g, sp a n d end o tut t’i ntor n o u n r u m ore ch e p a reva e s s er e
quel lo d i u n m i l lepied i gi g a nte, u n br u l ic a re d i tent acol a r i z a mp et te s opr a u n’a s s e d i
legn o..
M io d io! I l lu m acon e!!
297
(54)
C o sì fu g gi i. A p erd i fi ato. At t r aver s o tut t a quel l a nor m a l it à che ren d eva r id icolo i l m io
fu g gi r e. Tut ti r id eva n o d i m e, i nc lu s a l a gu id a tu r i stic a ( m a lu i r id eva p er u n a lt ro
m otivo) . I l re-m on aco n on c’er a più. I l gi a rd i n o er a d iventato u n c i m itero d i s s e m i nato d i
c ro c i. E r a i mprovvi s a m ente c a l at a u n a not te a fo s a d a s offo c a re. Lu gubr i b a lu gi ni i
sp a nd eva n o su l le to mb e fo sfore s centi u n a luce lu na re ch e a fatic a fi ltr ava at t r aver s o le
nuvole. Tutto qu a nto m i vor tic ava i ntor n o.. s e mpr e d i più.. s e mpre d i più..
54B
A
lessandro fu il primo ad arrivare, quella sera. Indossava i jeans neri, il girocollo in
tinta, e le sue scarpotte di pelle laccata che assomigliavano tanto a stivaloni da
motociclista tagliàti a livello della caviglia: nere anch'esse. Portava la barba di un
giorno – per quanto, nel suo caso particolare, è probabile che si trattasse di quella di un
pomeriggio, talmente gli cresce in fretta ed ispida. Suppongo si trattasse dell'ennesimo
tentativo di farsi un lifting al look, tipo quella volta che aveva provato per neanche una
settimana a coltivarsi un buffo pizzetto alla Aramis che gli nascondeva la fossetta sul
mento.. Ma conoscendolo avrebbe benissimo potuto trattarsi di pura negligenza nel radersi.
Fatto sta che non riuscivo a levargli gli occhi di dosso, la qual cosa peraltro pareva
imbarazzare assai più me che lui.
Nel corso degli anni avevo escogitato innumerevoli strategie per dissimulare l'avidità dei
miei occhi: la medesima disciplina che ogni ricercato sviluppa d'istinto per confondersi in
una folla potenzialmente ostile. È triste riscontrare come un simile meccanismo di difesa
possa segnare la differenza tra l'accettazione e lo sputtanamento totale, per un qualsivoglia
omosessuale intenzionato a frequentare altra gente senza rinchiudersi nei ghetti che gli sono
consentiti dalla società di “quelli che benpensano”.
Il miglior allenamento nella complessa arte del distoglimento dello sguardo è stata la
palestra, indubbiamente, ma non dimentico i miei primi turbamenti ormonali di liceale negli
spogliatoi – che alla fine mi ero risolto a non frequentare più causa sovraccarico da
eccessivo bendiddio, arrivando a scuola con la tuta già indosso.
Ehi, che cos'è quella faccia? Nessuno ha mai detto che i Predestinati siano privi di libido!
Anche Gesù, aveva occhi per Giovanni C039, e san Francesco per santa Chiara. Se poi il tuo
problema è che non riesci a calarti nei miei panni perchè a te piacciono le donne, fa' conto di
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(54b)
esserti ritrovato a cambiarti gomito-a-gomito in uno stanzone gremito di ragazze seminude
che ti sfilano davanti bocce al vento – senza che tu possa permetterti il lusso di tradirti
neppure con un singolo muscolo del viso. Un'impresa tutt'altro che facile, ne converrai,
specie sotto la spada di Damocle che un unico errore può pregiudicare il tuo intero
avvenire.
«Sei arrivato presto.»: la prima frase cretina che mi era saltata in mente.
«“Valeria mi ha invitato per cena a casa sua, e dopo aver mangiato studiamo insieme.”»:
la scusa congegnata per sua madre era una buona metafora – una ottima metafora, ma al
momento non me n'ero reso conto: lo stavo ancòra fissando, trattenendo il respiro come i
bambini di Fatima C088 davanti all'apparizione della Madonna.
In un istante compresi per quale ragione con lui tutte le mie tecniche fallivano
miseramente: non era un appetito sessuale ad affamare i miei occhi, bensì un che di sacrale
che aveva più a che fare con la sindrome di Stendhal che con le balorde teorie
sessuocentriche di Freud. Vesito di nero, proprio come la Madonna del quadro che avevo
sognato, Alessandro rappresentava per me l'icona dell'Amore stesso: e io l'ammiravo con
religioso fervore, adorandolo pur senza idolatrarlo, ammantandolo di venerazione e
reconditi significati simbolici che sfuggivano alla mia stessa compresione.
Fortuna che qualcuno staccò la spina in mia vece prima che la situazione si facesse
oltremodo imbarazzante:
«Ehilà! Disturbo?»
La tipica aria sorniona di Angelo: l'unico ad aver notato allora, oltre al mio sguardo,
quello di Alessandro.
«Nient'affatto!», mentii, dandomi un contegno. «Quando sei arrivato?»
«Adesso: è chiaro. E la porta era aperta.»
«Notizie di Valeria?»
«Dovrebbe arrivare a momenti.», rispose Alessandro. «Le ho telefonato per organizzarmi
la copertura, e mi ha assicurato che sarà puntuale. “Nove precise”: così ha detto.»
«“Infatti” sono le 21.04.», bofonchiai, per non farmi sentire.
«Le pizze sono in forno?»
«Sono già calde, Angelo.»
«Allora è meglio spegnere, o rinsecchiscono come foglie morte.», e ci andò personalmente.
«A proposito di foglie: ne hai più vedute? Chessò, magari dei fiori di loto che fioccano da
una sequoia..», lo stuzzicai.
«Spiritoso. Eppoi parla a bassa voce: se ci sentisse qualcuno?»
«Domenico e Antonio sono fuori con la “compa”: torneranno tardi. I miei sono a teatro.»
«Possibile mai?», si stupì Angelo. «Anche tuo padre?»
«In via del tutto eccezionale, ha accettato di accompagnare la mamma.»
«A che ora rientra?»: Alessandro istintivamente condivideva la mia antipatia per il marito
299
(54b)
di mia madre.
«Usciti da teatro si fermano dai loro amici di Monza, e non è mai capitato una sola volta
che le loro chiacchierate non si siano protratte per almeno tre ore filate.»
«E se invece proprio oggi facessero un'eccezione alla regola?», insinuò Angelo.
«Impossibile.», sentenziai.
«Ah sì? E come fai ad esserne così sicuro?»
«Gino.»
Ad Alessandro scappò da ridere:
«Parli proprio come la macchietta dell'arabo: quello che ogni due parole ti cita un brano
del Corano, chiudendo con “Così parlò il profeta”.»
«Touchè. Ad ogni buon conto, perchè non ci accomodiamo in salotto? Seguitemi, prego:
faccio strada.»
Alessandro scoppiò a ridere ancor più forte:
«Adesso invece sembri proprio Jeeves!»
Angelo, la cui fonte di cultura privilegiata è da sempre la sola televisione, non riusciva a
cogliere la battuta – pertanto Alessandro tradusse:
«Non ti sembra uguale al maggiordomo inglese della pubblicità della Schweppes?»
.. alchè pigliò ad entrambi un'improvvisa crisi di ridarella, da cui io stesso mi lasciai
contagiare perchè in fondo mi piaceva che Alessandro volesse “Ridere di me” come nella
canzone di Vasco Rossi.
«Che cos'è 'sto robo?», domandò Alessandro sedendosi.
«Ecco dov'era finito! Devi essere una specie di rabdomante: io l'ho cercato per tutta la
mattina! Appartiene al cantante del mio.. “gruppo”, se così vogliamo chiamarlo. Gliel'avrei
dovuto riportare nel pomeriggio, ma proprio non mi riusciva di trovarlo – e sì che il divano
è stato il primo posto, che ho passato al setaccio.»
«Non gli hai risposto.», osservò Angelo.
«Si tratta di un cavetto commutatore, da jack maschio a femmina.»
«Ahò, io non ci ho nessunissima intenzione di commutarmi!», scherzò Alessandro.
«Per fortuna!»
«Fate capire anche me?», protestò Angelo.
«“Jack” è il suo soprannome.», spiegai. «Gliel'ha affibbiato il suo amico pittore..»
«Non proprio.», opinò Alessandro, ma prima che potessi domandargli lumi..
«Sarebbe quello della mostra?»
«..e che gli ha fatto un quadro intitolato proprio così: “Jack”.»
«Come a dire che tu, De Dominicis, hai posato per un pittore?»
«Ma va'! Si è basato su una Polaroid. Fra l'altro non so neppure chi gliel'abbia data.»
Bugia! Se 2+2 fa ancòra 4, visto che il mecenate dell'amico pittore era lo zio di
Alessandro, quell'inquietante torso nudo raffigurato nel quadro gliel'aveva rifilato lui – e
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(54b)
forse addirittura commissionato.
«Avrei partecipato io stesso all'asta per aggiudicarmi quel capolavoro.», confessai.
«Non ne dubito.», ironizzò Angelo all'indirizzo di Alessandro, palesemente compiaciuto
delle mie parole.
«Avresti dovuto vederlo, quel dipinto: ispirava una certa angoscia, un che di spettrale,
un'inquietudine sottile e penetrante..»
«Se non ricordo male, ne avevi anche fatto una canzone.»
«Un brano strumentale, sì: “The portrait” C107.»
«(Cosa significa, Alessandro?)», prontamente gli domandò Angelo approfittando della mia
pausa di riflessione – o per meglio dire: di rimembranza, perchè difficilmente posso
nominare una mia canzone senza che il semplice farlo la richiami alla memoria.
«(Significa “Il ritratto”.)»
«Nel vederlo avevo immediatamente trasdotto l'emozione in melodia. Ricordo che per non
dimenticarla me la sono canticchiata per tutto il resto del tempo.», sorrisi.
«Adesso capisco!», sghignazzò Alessandro. «Mio fratello infatti mi aveva chiesto se per
caso stavi recitando un mantra tibetano!»
«Beh, in un certo senso lo era: appena arrivato a casa, senza neanche togliermi di dosso il
giaccone, mi sono fiondato al pianoforte e l'ho concretizzata in musica – finendo col
suonarla per dei quarti d'ora.»
«E tutto questo per un quadro?», opinò Angelo.
«Pareva quasi il suo cadavere: le orbite infossate, le guance scavate tipo il celebre dipinto
di Munch.. E poi quelle pennellate così pastose, piene di rughe, screpolate come la pelle di
un vecchio della Mongolia..»
«Perchè? Forse che un vecchio raccattato in un qualsivoglia ospizio nostrano non sarebbe
stato all'altezza?»
«Facevo per dire, Alessandro: non prendermi sempre alla lettera! È che recentemente ho
visto la foto di un vecchio della Mongolia, col volto solcato dall'età e dal vento degli
altipiani.»
«(Altipiani.. in Mongolia?)», s'interrogò Angelo non facendosi sentire – ma del resto ero io
il primo a dubitare circa le mie competenze in fatto di geografia.
«Tutto merito del soggetto.», disse Alessandro pavoneggiandosi un poco.
«E chi osa dubitarlo?», risposi.
«Tu no di certo.», infierì Angelo. «Io invece sì. Ma quando accidenti arriva?»
«Chi?», domandò Alessandro supponendo si riferisse a Gino.
«Valeria, presumo.», lo corressi io, che Angelo lo capivo meglio di chiunque altro.
«Sono già le nove e mezza, e non ha neanche telefonato.», protestò infatti lui.
«Che ne dite se noi intanto cominciamo a mangiare?», propose Alessandro. «Non so voi,
ma io sento un certo languorino..», picchiettandosi sullo stomaco.
301
(54b)
«Buona idea.», l'appoggiò Angelo. «La sua pizza gliela teniamo in caldo, eppoi dovrebbe
arrivare a momenti.»
«Sicuri che non volete aspettarla ancòra per un po'?»
Due sguardi famelici mi si accanirono contro, così fui felice di accontentarli.
Alla fine della prima portata, però, ancòra nessuna notizia di Valeria.
«Con gli schìfidi là fuori, io comincio a preoccuparmi.», rimuginò Angelo.
«Pensi che ritorneranno, stasera?»
«Ma cosa ne so, Alessandro? Io mi riferivo a Valeria! Non vorrei che le fosse capitato
qualcosa.»
«Non per alimentare allarmismi, però.. sono le 10 meno un quarto.»
«Doveva essere già qui da un pezzo.», constatò Alessandro. «Ma mi sembra eccessivo
preoccuparsi, Angelo: lo sai com'è fatta lei, no?»
«In circostanze normali potrei anche darti ragione, ma.. e se i nostri “amici”, si fa per dire,
le avessero fatto fare un incidente?»
«Ma va là! Guarda: nella peggiore delle ipotesi, ha bucato.»
«Io non sarei in grado, di cambiare uno pneumatico da solo.», ammisi.
«Neanche lei.», replicò Alessandro, sorridendo nell'immaginarsela alle prese con un cric.
«Però io a quel punto avrei telefonato.», aggiunsi.
«Anche lei.», replicò a ruota Alessandro, senza rendersi conto che si stava dando la zappa
sui piedi.
«Che vi dicevo, io?», concluse Angelo, alzandosi dalla sedia in preda ad un'agitazione
strana per uno come lui.
«Vedrai che arriva presto.», lo rassicurò Alessandro, candidamente sereno. «Che dite? Ci
facciamo la seconda portata?»
Io e Angelo lo guardammo vagamente allibiti: che sottovalutasse fino a quel punto
l'emergenza soprannaturale ci sgomentava.
«Ellamadonna, che facce scure!», si schermì lui.
«Va pur ammesso che gli schìfidi paiono interessarsi solamente a me.», ammise Angelo
riflettendo ad alta voce.
«E ai freni della macchina di Valeria.», feci eco io pessimista come al solito, alludendo a
un episodio di pochi giorni prima.
«Quello era successo solo perchè c'ero a bordo io.», rettificò lui.
Bussarono ai vetri della grande finestra che dava sul terrazzo: era lei.
«Valeria!», allibì Angelo.
Io tirai un sospiro di sollievo. Alessandro invece si limitò a farle ciaociao con la manina.
«Certo che bisogna avere i nervi d'acciaio..!», gli rinfacciai.
«Ooooh, dai! Siete voi, che vi preoccupate tanto per un nonnulla.»
“E sei tu, che dicevi di amarla e che sostieni di amarla ancòra, a non preoccuparti
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(54b)
minimamente per colei che dovrebbe essere sempre in cima a tutti i tuoi pensieri!”, avrei
voluto ribattere, ma sarebbe stata una crudeltà inutile. Mi voltai:
«Che fine ha fatto, Angelo?»
«Si è precipitato ad aprirle.»
«Meglio ch'io lo raggiunga, prima che sfondi la porta-vetri della cucina.»
55
S
i può sapere cosa cavolo d'un accidenti ti è successo, oppure è chiedere troppo?»
Angelo era furibondo, specie per via del fatto che sul volto di Valeria non leggeva
alcun accenno di rimorso, nessun senso di colpa per averlo fatto stare in pensiero.
Valeria intuì immediatamente la causa del qui-pro-quo:
«Il Dedo non vi ha avvertito, che avrei ritardato?»
L'aveva lasciato senza parole.
«Vuoi dire che..?»
«Gli ho telefonato apposta!», aggiunse rivolgendosi a me. «Cinque minuti dopo che ci
eravamo messi d'accordo, l'ho ritelefonato per avvisarlo che sarei arrivata verso le dieci –
chè i miei insistevano per farmi cenare lì.»
«L'importante è che ora sei qui.», ma immediatamente rettificai: «Sì, insomma: che non ti
è successo nulla di grave.»
«Adesso mi sente.», minacciò Angelo facendoci strada in soggiorno a passo di carica.
«Ehi! Vacci cauto, okay? Può anche darsi che siano stati gli schìfidi.»
A quel mio invito, Angelo si arrestò con le braccia conserte:
«Ah sì? E spiegami un po' in che modo!»
«Cancellandogli la memoria, così come Gino ha fatto coi tuoi genitori. Eppoi, scusa, chi ti
dice che Alessandro abbia realmente ricevuto quella seconda telefonata?»
«Sì, perchè adesso, secondo te, gli schìfidi si sono pure impossessàti delle linee
telefoniche!»
«Mi hai preso per Zac Mc Kracken C040?»
«Chi?»
«Un videogioco, lascia stare. Io comunque volevo solamente dire che uno di loro potrebbe
essersi spacciato per Alessandro, magari agendo direttamente sul telefono di Valeria.»
«Pura fantasia. Non potrebbe mai accadere.», ma quanto si sbagliasse l'avremmo
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(55)
scoperto soltanto di lì a pochi giorni: il 12 Novembre, al mesiversario dell'arrivo di Gino.
Ad ogni modo, spalancò la porta del soggiorno e si scagliò contro Alessandro – che stava
tamburellando le dita sul tavolo, domandandosi la ragione del nostro ritardare.
«E allora?»: nulla, nel tono di Angelo, suonava amichevole.
«Ma ciao, Valeria. Era ora!»
«Dedo! Ma.. sei fuori?», lo rimproverò lei, agitandosi la mano davanti alla fronte.
Alessandro cadeva dalle nuvole.
«Dice Valeria che ti aveva incaricato di avvisarci.», gli spiegai.
«Ah giàaa!», assestandosi una sonora pacca sulla fronte, quasi volesse appiccicarci un
post-it col ricordo smarrito. «Me ne ero completamente dimenticato!»
«Visto? Che ti dicevo, io? Sono stati gli schìfidi.», sussurrai all'orecchio di Angelo, mentre
ero diretto nuovamente verso l'anticamera per appendere il cappotto di Valeria.
«Impossibile.», sentenziò lui.
Ebbi la sensazione che stesse per rivelarmi il perchè di quella sua affermazione, poi però si
trattenne e mi lasciò andare.
La questione, ridotta ai minimi termini giusto per intenderci, è che l'Amore crea una sorta
di barriera intorno alla persona che ami: una sorta di scudo, diretta emanazione del tuo
proprio spirito, che tra le altre cose impedisce ad energie di bassa frequenza di oltrepassarne
il campo di forza – esattamente come nessun pipistrello andrebbe mai a dormire affacciato
ai vetri di un faro acceso e risplendente.
In soldoni: soltanto un essere assai Evoluto avrebbe potuto influenzare Valeria, e
certamente nessuno schìfido. Il che riduceva il campo d'indagine dei possibili sospettati a tre
“individui” solamente: Gino, Angelo, e io stesso. Angelo sapeva di non essere stato, e
sapeva anche che io non ero ancòra cosciente della mia autentica Natura – indubbiamente
non abbastanza per agire sul piano metafisico a quel modo. Non restava che Gino, ma per
quale ragione avrebbe mai dovuto spaventarci così?
«Posso farti una domanda, Alessio? Però mi devi rispondere sinceramente.»
«Non conosco altro modo, di rispondere a un amico, Angelo.», replicai piccato. «Se non
posso rispondere sinceramente, piuttosto taccio.»
«Ti credo. E allora dimmi: per quale ragione Gino ci ha convocàti stasera?»
«Ci deve parlare, non so altro. Tutto mi porterebbe a pensare che desidera rassicurarci
dopo quanto ti è accaduto l'altroieri notte.»
«Rassicurarci, eh?»
«Proprio così.»
Ergo i casi erano due: o Gino gli aveva voluto tirare uno scherzo mancino privo di senso,
oppure la spiegazione era che ad Alessandro non importava granchè di Valeria. Che poi era
ciò che Angelo aveva sempre sospettato, e che si prefiggeva ora di appurare:
«Non è che magari l'hai fatto apposta per farci uno scherzo?»
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«Mica starai dicendo sul serio!», si difese Alessandro.
«Non per schierarmi sempre dalla sua parte, ma.. devo dire che Alessandro non mi pare
dotato delle tue doti di “attore”: non mi sembrava che stesse recitando.»
«Anche a me sembrava sincero, Alessio. Però non si può mai dire..»
«Ih come la fai lunga, Angelo!», intervenne Valeria. «Dai, adesso sono qui, no? Si è
semplicemente dimenticato, e che sarà mai?»
«Nelle circostanze in cui ci ritroviamo, questo avrebbe anche potuto essere un errore
imperdonabile.», le feci osservare io, accigliato.
«Ma non lo è stato. Dico giusto?»
«Dici bene, Alessandro. Però in futuro non sottovalutare più il pericolo.»
Quel tono di voce.. quello sguardo cieco un po' veggente, simile a quello di Omero quando
frugava i mondi iperborei per trovare i versi dell' “Iliade”..
Fui io il primo a rendersene conto:
«Gino! Sei proprio tu?»
Rispose soltanto «I miei più sinceri complimenti.», poi ci voltò le spalle per andare a
raggiungere la scacchiera di legno intagliato posata sopra l'hi-fi.
«Però non hai notato questo.», e mosse un alfiere.
«Non toccava a me, muovere: stava ad Angelo.»
«Irrilevante.», affermò con sicurezza e un tono vagamente lugubre.
A tutt'oggi mi faccio una colpa di non aver copiato lo schema dei pezzi: ancòra una volta,
un mio eccesso di zelo sarebbe stato quantomai funzionale.
«Volete spiegare anche a me?», domandò Valeria.
«Già: si può sapere, cosa sta succedendo? E chi ce li ha messi lì, quegli scacchi?»
«Io, Alessandro. Si tratta di una partita che avevamo incominciato io e Angelo qualche
giorno fa.», spiegai.
«E che ci azzeccano con il ritardo di Valeria?»
Gino lo rimproverò con uno sguardo saettante, del tipo “Con chi ti credi di star
parlando?”, e poi lo inchiodò con queste poche parole:
«Non fare il furbo, Focci. Tu lo sai benissimo.»
Alessandro impallidì, sentendosi chiamare con quel nomignolo così segreto, e ammutolì.
Io, invece..
«Non sono sicuro di aver capito completamente, Gino.»
«Tu sei l'unico trasparente, qui.»
«“Insignificante”?»
«Onesto.»
«Valeria non può aver mentito.», constatai.
«Neppure Alessandro, quanto a questo. Però se tu e Angelo moriste, loro due
razionalizzerebbero dicendo che eravate pazzi e vi siete ammazzàti da soli.»
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(55)
«Questa è una cattiveria gratuita!», si scandalizzò Alessandro.
Per tutta risposta, Gino lo raggelò con una spietata profezia:
«Aspetta e vedrai.»
«Mi stai forse dicendo che io e Angelo verremo uccisi dagli schìfidi?»
«Adesso è tempo che Angelo si prepari: ci rivediamo poi.»
..e, tornato a sedersi al posto di Angelo, dopo aver invitato noi a fare altrettanto (indicando
a ognuno il suo posto relativo, secondo lo schema del sogno), ci lasciò soli con i nostri
dubbi.
«Cosa cavolo..?»
Angelo non riusciva (o non voleva) abituarsi a quei drastici passaggi attraverso stati di
coscienza ed incoscienza. Tuttavia, per stupìto che fosse nel ritrovarsi improvvisamente
seduto a quattro metri rispetto a dove si trovava in piedi un attimo prima, la risposta gli era
nota – tranne che per un dettaglio:
«È rimasto qui per molto tempo?»
«Pochissimo.», lo ragguagliai, a titolo di portavoce ufficiale.
«Neanche cinque minuti.», precisò Alessandro.
«Sei andato a giocare a scacchi, e..»: Valeria non è mai riuscita ad accettarlo veramente,
che Gino fosse altro rispetto ad Angelo. Ciònondimeno era mio preciso dovere correggerla:
«Non Angelo, Valeria: Gino. È stato Gino a..»
«Giocare a scacchi?!», si stupì Angelo.
«Lo so: suona strano. In realtà si è limitato a spostare un pezzo e..»
Angelo si precipitò a guardare la scacchiera:
«L'alfiere!», esclamò.
Sembrava spaventato, o forse solo angosciato. Io invece ero esterrefatto:
«E tu come fai, a saperlo?!»
«Prima stava qua, in questa posizione.»
«Accipicchia, che memoria fotografica! Vabbè che la partita l'avevamo appena
incominciata..»
«Appunto.», disse lui solennemente, poggiandosi le dita sotto il mento – novello Sherlock
Holmes, impegnato in riflessioni e congetture di chissà quale intricatissimo livello.
Non rientra precisamente nell'elenco delle mie abilità, quello di Pensar Grande, ma per
quel po' che mi è dato comprendere non ho alcuna difficoltà a rivelarti una piccola parte
della simbologia sottesa in quest'episodio.
Anzitutto (ripensa a “Scacco mortale”, l'ultimo film che avevo visto con Angelo) mi tornò
immediatamente chiaro che quella scacchiera simboleggiava in qualche modo il nostro
mondo. E che pertanto la partita giocata doveva essere una metafora di quanto stava
accadendo a noi, o che stava per accadere.
Inoltre oggi riconosco nell'alfiere bianco “Angelo-il-buono”, sebbene lui giocasse coi neri
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(55)
– ed ecco spiegato perchè l'aver mosso quel mio pezzo, anche se toccava ad Angelo, era
giudicato da Gino “irrilevante”. (Ma sospetto che Gino volesse anche intendere che “Non si
tratta di una futile questione di competenze: non è detto che, se un compito non pertiene
strettamente a te, tu debba per forza aspettare che sia Angelo ad occuparsene.”)
«Cosa intendi dire, con “Appunto”?»
«Che siamo soltanto agli inizi, Alessandro. Perchè vedi..»
Ma a questo punto, come in ogni thriller che si rispetti, accadde qualcosa di inaspettato a
lasciarci tutti quanti a bocca asciutta. Nei film è solitamente l'arrivo dei rinforzi, a tappare
la bocca al cattivo proprio quando aveva deciso di spiattellare tutto il suo piano all'eroe
buono – della serie: tanto dopo ti ammazzo. Nel nostro caso, invece, accadde precisamente
il contrario: Angelo aveva percepito..
«Gli schìfidi! Stanno arrivando! Presto, venite!»
Lo seguimmo a rotta di collo giù per le scale, e ci sprangammo in camera.
«Quella non vi servirà assolutamente a niente.», mi disse Angelo allorchè m'accingevo a
chiudere la porta. «Piuttosto, ho bisogno..», e intanto si affannava in una disordinata ricerca
alla cieca, tastando all'impazzata sulla mia scrivania. «Carta e penna! Possibile che non ci
sia neanche una penna, qui?»
«Possibilissimo: faccio tutto a computer, io. Detesto scrivere a mano, lo sai.»
«Me lo spieghi dopo, va bene? Saranno qui a momenti. Ora dammi carta e penna.»
Un'autorità sovrumana emanava da quell'imperioso “Dammi”, tanto che neanche
puntarmi un bazooka contro il naso avrebbe potuto conferirgli una maggiore carica di
convincimento: osar dire di no era l'ultima delle cose che chiunque avrebbe osato pensare,
di fronte a un simile comando.
Fu sufficiente aprire il primo cassetto per rivelare il mio arsenale di veterani strumenti di
scrittura manuale:
«Sèrviti. Io intanto ti prendo il foglio.»
«I fogli: me ne servono tanti.»
Il quarto cassetto in basso a destra era colmo di fogli di recupero: ne raccattai un
cospicuo mazzetto, e glielo porsi. Angelo non perse neppure un istante, e cominciò a
vergarci sopra una serie di numeri apparentemente privi di significato.
«Alessandro! Vieni qua, sbrìgati!»
E lui gli obbedì come un robot al suo esclusivo servizio.
«Scrivi – in colonna: 1, 7, 9, 2, 7.. Ci sei?»
«Vai troppo veloce.»
«E tu spìcciati: 1, 7, 9, 2, 7.. ci sei?»
«Ci sono.»
«4, 7, 7, 7, 7, 7.. Fatto?»
«Fatto.»
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(55)
«9, 5, 2, 24, 33, 42.. Ci sei?»
«33, 42.. okay.»
«D, L, F, 23, 6, 7, 8, e infine Z. Quando hai finito, ricopia la colonna di fianco alla prima.
A sinistra. Saltando il primo 7. Io intanto..»
«Cosa c'era, dopo 23?»
«6, 7, 8, Z.», gli ripetè senza distaccarsi neanche per un attimo da quell'altro foglio.
«Posso essere d'aiuto in qualche modo?», intervenni.
«Sì. Ce l'hai una calcolatrice?»
«Faccio prima ad accendere il computer.»
«No: mi serve una calcolatrice. Ce l'hai?»
«Sicuro! Eccola..»
«Alessandro! Scrivi..»
«Non ho ancòra finito di copiare la colonna.»
«Finisci dopo. Adesso scrivi, in una terza colonna: 2, 9, 4, 3, H, L, A, W.»
«Scritto.»
«Avvisami quando hai finito di copiare l'altra colonna.»
Poi coinvolse me in una scriteriata serie di calcoli infinitesimali, fino a che Alessandro lo
avvisò che aveva..
«Fatto.»
«Passami il foglio.»
Angelo operò una specie di confronto incrociato tra le due colonne uguali e quella minore,
che terminava con A e W: alfa e omega. Poi ci scrisse di suo proprio pugno:
7x2x2x7x9x8x2x1,0+ ..ma non finì il calcolo, come rendendosi conto di aver imboccato
una pista ingannevole e inconcludente.
«Maledizione!», e serrò le tende.
«Alessio, io ho paura.», mi sussurrò Valeria, stringendosi al mio braccio.
«Non devi temere, Valeria.», la rassicurai. E Angelo rassicurò me:
«Voi non correte nessun pericolo. A patto che non usciate da questa stanza.»
Poi scarabocchiò 10,27 e infine, sul margine del foglio, il risultato: 4851, che sottolineò.
308
(55)
Dopodichè si fece silenzioso – così, senza una ragione apparente. Si avvicinò alla finestra,
strinse gli occhi a fessura nel modo che già sappiamo, e si mise a scrutare l'esterno.
«Cosa vedi?», domandai, ma senza ottenere risposta.
«Si sta concentrando.», intuì Alessandro.
Di punto in bianco, Angelo si levò il golfino e la camicia – indispettìto come se gli dessero
un fastidio tremendo.
«Che.. che fai?», si imbarazzò Alessandro manco temesse uno spogliarello.
«Io vado. Voi non uscite di qui. Per nessun motivo al mondo, intesi?»
Valeria tentò di trattenerlo, sottovalutando il fatto che è impossibile trattenere la carica di
un Ariete. Io nel frattempo avevo avuto l'impulso di precipitarmi sulla macchina
fotografica, non so perché:
«Posso?», mentre il flash si stava caricando.
Per tutta risposta Angelo (se si trattava ancòra di Angelo) mi guardò come una star
hollywoodiana farebbe con un paparazzo, però mi lasciò fare – mettendosi pure in posa.
Il fotoritratto dell'alfiere bianco pronto alla battaglia.
309
(55)
56
D
a quanto tempo sarà uscito?»
«Stando alla sveglia, all'incirca cinque minuti, Valeria.»
«Già.», intervenne Alessandro spazientito. «Ma il fatto è che a starcene qui senza
sapere niente, il tempo lo si conta in secondi.»
«Anche meno.», disse Valeria. Che, finalmente realizzato il sogno di una vita di diventare
la ragazza di Angelo, avrebbe ora potuto vederlo svanire appena pochi giorni dopo che era
cominciato – e nel modo più terribile. Perchè lui, e questa era forse l'unica cosa che le
riusciva ben chiara di tutta la faccenda, stava mettendo a repentaglio la propria stessa
sopravvivenza.
«Alessandro, stavo riflettendo su una cosa.. Ricordi le nostre considerazioni sul concetto
di Tempo?»
«Ne abbiamo parlato assieme tante di quelle volte.. Gran bei tempi, quelli!», rispose con
aria pacata, accarezzandone il ricordo.
«Dando per assodato che il “Tempo in sé” non esiste, eravamo giunti alla conclusione che
ciò che noi chiamiamo tempo altro non è se non la nostra percezione del Tempo stesso.»
«Per l'esattezza, tràttasi della percezione che abbiamo dei mutamenti che osserviamo
avvenire entro la realtà a noi sensibile.»: gongolando per i paroloni.
«Beh, ma allora.. ti rendi conto che in questo preciso momento tutta la nostra realtà
sensibile si riduce a..»
«Questa singola stanza!», sbalordì lui, intuendo al volo dove volessi andare a parare.
Valeria intanto ci guardava sgomenta.
«Qual è l'unico mutamento all'interno di questa stanza che noi (forse a torto, ed è proprio
questo il punto) diamo per oggettivo?»
«La sveglia!», indicandola.
«Precisamente. E se avesse in qualche modo rallentato? E non parlo di pile scariche, visto
che peraltro è alimentata dalla corrente, ma di cause.. “non fisiche”.»
«Se è per questo, neanche Angelo sta facendo un semplice picnic all'aria aperta..»
«Oh insomma! Si può sapere che cosa cavolo state dicendo?», esplose Valeria sull'orlo di
una crisi di nervi. «Parlate troppo difficile: io non vi capisco!»
«Potrebbero essere passate delle ore intere, ma noi non ce ne siamo accorti..»
310
(56)
«..poichè ci basiamo unicamente su quello che ci dice la sveglia. Proprio così. E nel
frattempo là fuori tutto tace, almeno per le mie orecchie. Voi udite qualcosa?»
«Niente.», negò Valeria scuotendo la testa.
«Niente di niente.», disse Alessandro dando sfogo alla frustrazione.
«Allora io esco. Voialtri non muovetevi di qui.»
«Sei pazzo?», mi trattenne Valeria. «E se poi non torni più neppure tu?»
«Deciderete voi per voi stessi. Tuttavia dalle parole di Gino è logico dedurre che gli unici a
correre dei rischi reali siamo solo io e Angelo.»
«Allora vengo con te!»
«Pessima idea, Alessandro: potrebbero sfruttarti come bersaglio secondario. Eppoi sarai
molto più utile qui: è Valeria ad aver più bisogno del tuo aiuto, ora, non io.»
Mi guardò per un istante con la strana aria che assumono i cani quando li rimproveri, ma
poi fu piuttosto una vacillante forma di sgomento quella che gli lessi in fondo allo sguardo:
la medesima che l'aveva assalito dopo aver assestato il fatidico pugno ad Angelo.
«Ecco qua: mettete su un po' di musica.. che ne dite di Vangelis?»
Nessuna risposta.
«Chi tace acconsente. Poi vi sedete qui, sopra al letto: forse la zona-franca più sicura di
tutta la stanza. E cercate di rilassarvi. Io vedo di tornare al più presto, possibilmente con
Angelo.»
Alessandro soffocò come un impulso, e si rimise seduto. Ed io uscii nel buio di quella
notte codarda: da solo, contro l'invisibile che ammantava di mistero quei luoghi che
avrebbero dovuto risultarmi familiari, e invece..
«Diario del primo ufficiale scientifico, data stellare ignota: sono appena uscito da quella
che in apparenza era la mia camera da letto, tuttavia non ricordo affatto di aver aperto la
porta.»
Assomigliava a camminare sott'acqua. Attraverso la penombra ero certo di riconoscere le
pareti dell'anticamera dabbasso, eppure qualcosa mi stordiva:
«Anomale percezioni si alternano nella mia mente. Un sensorio alterato dilegua la realtà,
mescendola a questa strana specie di sogno vischioso. Ci sono appena due metri, forse
neanche, tra la porta di camera mia e quella che dà sul giardino – eppure a percorrerli
adesso mi appaiono di una lontananza spropositata.»
Lo spazio curvo andava segmentando le distanze, ponendo tra A e B una miriade di C, e
così pure tra A e C.. Un agglomerato di circonvoluzioni come quelle della corteccia
cerebrale – o piuttosto villi intestinali, dal momento che..
«Assomiglia a percorrere controcorrente un budello lastricato di carta moschicida:
soltanto la forza di volontà mi sprona, rendendo invincibile la mia determinazione a
conquistare il traguardo.», ma chiunque altro si fosse trovato là al mio posto, sarebbe
rimasto intrappolato in quel torrido non-luogo della mente.
311
(56)
Finalmente raggiunsi la porta, e nel preciso istante in cui impugnai la maniglia sentii
andare in frantumi quell'ostacolo sovrumano – peraltro forse posto lì proprio da Angelo
stesso per la nostra sicurezza. Sì, insomma: quale ulteriore deterrente per impedirci di
uscire, qualora avessimo ignorato il suo preciso ammonimento.
Il giardino era proprio il giardino. Anche il “portico” sotto la cucina era tale.
Ciònondimeno, questo non faceva che raddoppiare la mia incredulità:
“Sento puzza di marcio: appare tutto troppo normale, per essere vero.”, pensai con
istintiva diffidenza. “E se fosse una trappola?”
Qualcosa mi sfrecciò davanti. Forse soltanto una folata di vento. Invece..
«Angelo!»
«E tu cosa ci fai, qui? Te l'avevo ben detto, di non uscire!»
«Eravamo preoccupàti. Non sentivamo muoversi neppure una foglia, e cominciavamo a
temere per il pegg..»
«Scànsati!», e mi spinse col solo sguardo a ridosso del muro.
Un che di poderoso l'aveva investito in pieno, scaraventandolo all'indietro fino a
scomparire all'interno di una specie di squarcio invisibile che s'invaginava nell'aria. Ma
dov'era finito?
«Eccomi.», poggiandomi la mano sulla spalla e facendomi voltare.
Ero esterrefatto:
«Si può sapere, come accidenti hai fatto a..? Dove eri finito? Sembrava che la notte ti
avesse inghiottito!»
«ATTENTO!»
Ancòra quella folata di vento gelido, e Angelo si pietrificò. Poi si squarciò attraversato da
mille rughe, finendo letteralmente in polvere: una sabbiolina impalpabile simile a neve
artificiale troppo ghiacciata.
Il tutto peraltro avvenne in un attimo troppo veloce perchè allora ne potessi conservare un
ricordo cosciente, ed è soltanto adesso che mi è dato ripercorrere quei confusi istanti nella
mente come alla moviola.
«Quello non ero io. E adesso ritorna dentro e non ti muovere.»
Obbedii balbettando una specie di sì. E corsi. Corsi disperatamente, con tutte le forze che
mi ritrovavo in corpo. Sempre a patto che io lì ce l'avessi ancòra, un corpo – in quell'oscura
intercapedine situata tra due dimensioni, che rigurgitava in un altro spaziotempo brandelli
del mio mondo, ed incessantemente sputava macchie vive ed orripilanti addosso ad Angelo.
Stavolta era sicuramente qualcun altro, ad ostacolare il mio rientro in casa – ma la
dinamica era la stessa: la moltiplicazione ad infinitum dello spazio.
Spalancai l'uscio di casa e rientrai paonazzo e quasi senza fiato in camera mia.
Direttamente da fuori: senza neanche domandarmi che fine avesse fatto l'anticamera.
«Alessio!»: Alessandro accorse in mio soccorso, offrendosi di reggermi.
312
(56)
«Non occorre, ti ringrazio.», ansimando ancòra un po' pur dopo aver respirato a fondo.
«Là fuori è come stare in apnea. È.. è.. un vero macello.»
«Hai visto Angelo?», domandò Valeria con impazienza.
«Valeria! Ma.. non vedi com'è ridotto?»
«Sto bene, sto bene, non ti preoccupare per me. Sì, l'ho visto. O almeno credo: là accade
tutto così in fretta! Mi ha detto solo di rientrare.»
«Ma.. sta bene?»
«Pare di sì, Alessandro, anche se non ho avuto precisamente modo di controllare.»
«Ci credo bene: sei stato fuori neanche trenta secondi!»
«Co.. come hai detto? Ti spiace ripetere?»
«Sicuramente meno di un minuto: guarda tu stesso la sveglia!»
Ero assolutamente esterrefatto. Avevo appena incominciato a balbettare le mie prime
considerazioni in merito, quando un tonfo simile a quello di una corrente d'aria si appoggiò
contro la porta.
«State indietro!», comandai, ergendomi a loro scudo. «Forse mi hanno seguìto fin qui.
CHI È?», domandai, con un coraggio che fino a quel momento mi era sempre stato ignoto.
Nessuna risposta: indubbiamente una trappola. Oppure..
«Ehi! Si può sapere chi ha cambiato la porta?», domandai ai due.
«Cosa intendi dire con “cambiato la porta?”», presumendo stessi parlando in senso lato.
«Ma sì, Alessandro: la porta!»
«Quale porta?», domandò Valeria.
«Che domande! Quella porta.», indicandola.
«Che cos'è? Stai per caso dando i numeri? È sempre stata così.», rise Alessandro come si
fa con un ubriaco.
«Bugia! Quando sono uscito aveva la vetrata gialla, e una specie di cartello appiccicato
sopr..»
Mi zittii da me stesso, rendendomi conto che la cosa non poteva assolutamente essere.
«Forse ti sei confuso con quella che sta di là, nella tua vecchia camera da letto.», osservò
Alessandro.
Lì per lì gli detti ragione, non potendo immaginare che in capo a un paio d'anni avrei
scambiato le due porte dopo aver rotto quella con un pugno. Ma poi ci ripensai, intuendo
barlumi di quanto stava accadendo:
«Forse si sono intersecàti due punti del continuum spaziotemporale.»
Alessandro e Valeria mi guardarono come se fossi uscito di senno:
«Ma sì, non capite? Questo spiegherebbe la sensazione di trovarmi nel medesimo spazio,
ma a cavallo di due tempi diversi!»
«Stai parlando di una traslazione parziale nel futuro?»
«Esattamente, Alessandro. Oppure devo aver varcato una specie di soglia onirica.»
313
(56)
Ero molto meno lontano dalla verità di quanto io stesso potessi immaginare: ciò che stava
accadendo ad Angelo era infatti situato fra il piano fisico e quello astrale (comunemente,
seppur impropriamente, identificato con “il mondo dei sogni”). E il mio stesso sforzo di
“raggiungere la porta” potrebbe benissimo rappresentare una primissima esperienza di
proiezione astrale.
«Rimane comunque un dato di fatto: quanto ho vissuto corrisponde pienamente al
fenomeno della condensazione tipico dei sogni.», conclusi.
..ma nessuno ci fece caso, perchè il cigolìo della maniglia reclamò nuovamente la nostra
più incondizionata attenzione. La porta si aprì, e Angelo rovinò a terra esanime.
«Mio Dio!», strillò Valeria, tuffandosi la faccia nelle mani.
«Alessandro! Vieni qui e aiutami a metterlo sul letto!»
Non respirava più. Aveva la t-shirt ridotta a brandelli, e uno squarcio nei pantaloni della
tuta all'altezza del ginocchio. Come se l'avessero gambizzato sparandogli alla rotula da
distanza ravvicinata.
«È.. È morto?», osò Valeria.
Un sibilo di fiato emerse dalla bocca socchiusa del nostro amico:
«N.. no.»
«COME PUÓ PARLARE, SE NON RESPIRA?!»: Alessandro, appassionato dei film di
Romero, già temeva di trovarsi davanti a una specie di zombie.
«Datti una calmata, okay?», gli comandai. Stupefatto nel constatare come dalle mie stesse
labbra fosse uscita una voce in tutto e per tutto simile, nel tono autoritario, a quella che
Angelo aveva impiegato con me.
«Okay.», accondiscese Alessandro, divenuto straordinariamente calmo e rilassato in un
solo istante – quasi che le mie parole gli avessero riprogrammato in un microsecondo
l'intero stato emotivo.
Trascorsero alcuni istanti di silenzio, in cui ciascuno cercava di abituarsi il più in fretta
possibile alle nuove scoperte che andava facendo su sè stesso sottoposto a condizione di
massimo stress. Poi..
«Angelo sta bene.», sussurrò la voce.
E fu un coro all'unisono di:
«GINO!»
«Angelo riposa.»
«Non gli stai sottraendo energia, parlando con noi?», mi sincerai.
«No: questa è la vostra energia. Avete delle domande.»
«SE, abbiamo delle domande? E ce lo domandi pure?», si scandalizzò Valeria.
«Guarda che, veramente, lui ha usato un tono affermativo.», le fece osservare Alessandro.
«Il pericolo è scampato?», chiesi, senza perdere altro tempo.
«Per adesso sì, ma torneranno.»
314
(56)
«Quando?»
«Presto. Ma non oggi.»
«Domani?»
«È probabile.»
«Angelo si riprenderà?»
«Completamente. Tuttavia ogni nuovo attacco riaprirà le precedenti ferite.»
«Vuoi dire che finirà col soccombere?»
«Se le cose andranno avanti così.»
«Spiègati.»
«Vi detterò un messaggio per lui. Alessandro?»
«Eccomi, Gino.», prendendo carta & penna.
«Scrivi:»
ESISTE UN TEMPO DESTINATO. QUESTO TEMPO È IL TEMPO PRESENTE.
ORA È IL MOMENTO CORRETTO PER ORGANIZZARE IL PUNTO DI
ANGOLAZIONE.
È NECESSARIO UN. UN
«Perchè dici due volte “un”?»
«Fa' vedere!», e gli scippai il foglio. «Gino ha detto: “È necessario un punto”, non “è
necessario un” e poi punto!»
«Aaa..»
«Va' che sei balordo, neh, Dedo?», mi fece eco Valeria.
È NECESSARIO UN PUNTO.
UN MOSCERINO NON RIESCE A MASSACRARE UN CLEPTOSAURO.
GUARDA CON OCCHI CHE GHIACCIANO.
FIRMA
«Questo potevi anche fare a meno di scriverlo..», specificò Gino.
ESSERE CHE VIAGGIA SULLE ALI DEL VENTO
P.S.
PER GLI AMICI, L'INDESCRIVIBILE
«Fine del messaggio.», annunciò Gino.
«Perchè non potevamo uscire?»
«Per non esporvi inutilmente al pericolo, Alessandro. Un bicchiere d'acqua non placa un
incendio: voi non potete e non dovete farci niente.»
315
(56)
«E perchè ad Alessio non è successo nulla?»: sempre “simpatica”, Valeria!
«Hai rischiato tantissimo: più di quanto tu possa ritenere.», mi rimproverò aspramente.
«Cosa, oltre alla mia vita?»
«La sopravvivenza dell'Universo intero.», e da come lo diceva c'era da poco da rispondere
“BUM!”.
Un fardello enorme mi gravò sopra le spalle, facendomi vacillare sotto uno schiacciante
senso di colpa:
«Io.. io.. Io non capisco.»
«Poichè un giorno Saprai.»
A onor del vero quel giorno non è ancòra giunto, sebbene ogni cosa intorno a me mi riveli
quotidianamente indizi d'un Destino che oramai da molti anni bussa perentoriamente alle
soglie della mia vita. Temo però che dovrò pazientare ancòra qualche tempo, prima che la
mia Natura mi si palesi completamente..
«Tuttavia..», proseguì Gino.
«Tuttavia cosa?», l'incalzò Alessandro.
«Tuttavia esiste una.. chiamiamola “distanza di sicurezza”. Sègnatela, poichè uno di
questi giorni potrebbe rappresentare per voi tutti la differenza tra la sopravvivenza e la
rovina.»
«Ci sono.», confermò Alessandro pronto a scrivere.
«La distanza minima che dovrete mantenere da Angelo durante gli attacchi è
approssimativamente 9,752443972 metri.»
«Approssimativamente, eh?», ironizzai.
«Approssimativamente.», confermò colui che Pensava Grande.
Frattanto le misteriose striature che solcavano il corpo di Angelo, arrossature simili a
graffi d'un gatto o a gigantesche punture d'insetto, andavano poco a poco sparendo sotto i
nostri occhi stupefatti.
«Prima erano veri e propri squarci: tagli profondi, che però io ho rimarginato. Angelo ne è
pieno.»
«Sono queste, le ferite che si riaprono ad ogni combattimento?», domandai, presagendo
già la risposta.
«Queste ed altre, ma non è questo il momento adatto per discuterne. Piuttosto..
Alessandro? Scrivi.»
«Pronto.»
«È difficile..»
È DIFFICILE
«No: sopra un altro foglio.»
«Fatto.»
316
(56)
È DIFFICILE IMPUGNARE IL VENTO. C071
«E poi?»
«Sotto, scrivi: circa-uguale a 32,5. Sotto ancòra: DIRE TUTTO.»
«Che significa?»
«Angelo capirà.»
«Ha a che vedere coi suoi misteriosi calcoli, vero?»
«Sei perspicace, Alessio.»
«Ci puoi raccontare esattamente che cos'è accaduto, questa sera?»
«Lo farà Angelo. Adesso Alessandro mi deve domandare qualcosa.»
Lui impallidì, segno che a farsi leggere nel pensiero non ci aveva ancòra fatto l'abitudine.
«È così, Alessandro?», mi sincerai.
«Sì, ma.. lui.. come..?»
«Non è forse proprio a riguardo di ciò, la tua domanda?», infierì Gino.
Alessandro deglutì: una cosa era indovinare che lui avesse una domanda da porgli, ma ben
altra era azzeccare quale essa fosse!
«Che aspetti, allora? Fagliela!», lo incalzai.
«Ecco, io.. Io volevo sapere se tu ci vedi anche quando non ci sei.»
«Temi forse che potrei svelare i segreti della tua vita privata?»
Alessandro arrossì, e farfugliò qualcosa di incomprensibile.
«Non hai nulla da temere: non svelerò i tuoi segreti. Tranquillìzzati pure.»
Invito inutile: Alessandro non avrebbe più spiccicato parola per tutta la serata. Sfuggendo
il mio sguardo e rifugiandosi in quello di Valeria, che invece aveva tutta l'aria di saperla
lunga.
57
C
ome non collegare questo alla sua paranoia che lo facessi seguire? O alla sua
reazione alle parole della prof di lettere, quando durante la cena post-maturità gli
aveva detto: “De Dominicis sembra un ragazzo tranquillo, ma sotto-sotto nasconde
qualcosa.”, facendogli andare di traverso il boccone?
Per tacere di tutte le volte che “dobbiamo andare a cena da mio zio”, lasciando intendere
tutta la famiglia, senonchè quando gli chiedo chi cucina mi risponde che vanno al cinese – e
solo quando gli domando “ma tua madre mica lo detesta?”, specifica che “infatti andiamo
317
(57)
solo io, mio fratello e mio cugino”. Oppure quella volta che..
«La Petèga a sorpresa mi fa: stasera pizza, per festeggiare la
maturità.»
«In effetti Angelo me ne ha decantato le lodi di pizzaiola..»
«No: andiamo a mangiarla fuori. Viene anche mio cugino.»
«A tuo zio la pizza non piace?»
«Sicuro! Infatti viene pure lui.»
..come se questo spiegasse tutto, incluso che senso abbia festeggiare ad Ottobre un esame
passato a Luglio.
E tutti quei filmacci, che pretendeva di non avere mai visto – salvo poi scoprire che ne
conosceva per filo e per segno la trama? “Tokyo decadence”, “Salò – le 120 giornate di
Sodoma”, il già menzionato “Society”, “Lenny” (il comico con la moglie lesbica), “Mangia
il ricco”..
«Li conosco solo perchè ce li ha mio zio, ma li tiene sotto chiave.», si difendeva.
Già. Quello stesso zio che gli aveva spiegato come Gabriele D'Annunzio si era fatto
asportare chirurgicamente una costola per arrivare meglio a succhiarsi l'uccello.
«Per forza, che mi racconta anche questi aneddoti: lui è insegnante di lettere!»
«Stessa storia per “Sex and zen”, immagino.»
«No: quello me l'ha prestato mio cugino.»
«Così l'hai visto.»
«Sì, ma non me lo ricordo.»
«Tipo col film di James Ivory, “Maurice”?»
«Quello non l'avevo mai visto, prima di vederlo con te – e solo perchè stava sulla seconda
metà della cassetta di “Breakfast club”, sennò manco me l'avrebbe prestato.»
«Ma se tu stesso mi anticipavi le scene che sarebbero seguite!»
«Davvero? Non mi ricordo.»
Tale e quale a quella volta che aveva visto su una rivista una foto di River Phoenix, e mi
domandò come si chiamava “quel film che è stato tradotto malissimo, che non c'entra niente
col titolo, che in italiano è..” – esitando, come per invogliare me a completare la frase.
Inizialmente avevo pensato che si riferisse a quello appena uscito nelle sale: “I signori
della truffa”, che effettivamente col titolo originale non c'entra nulla. Invece si riferiva alla
storia dei due marchettari da strada: “Qualcosa come BELLI E..”, che pareva Mike
Bongiorno che imbecca un concorrente del suo telequiz quando non si ricorda la risposta
esatta.
Quando alla fine ci arrivai e gli risposi “Belli e maledetti”, mi corresse col titolo esatto:
“Belli e dannàti – my own private Idaho, di Gus Van Sant.”: un film minore e di nicchia
318
(57)
omosessuale, certo non famoso come “Stand by me” e “Nikita” e “Mosquito coast” e gli
altri con River Phoenix, ciònondimeno ne conosceva pure il regista e addirittura il titolo
originale americano.
Frattanto s'erano oramai fatte le tre: quell'ora misteriosa che cammina in punta di piedi
sulla linea di confine tesa tra un giorno e quello successivo, tanto che non sai mai se dire “le
tre di notte” oppure “le tre di mattina”.
E io, solo col mio cogitare davanti al computer (assetato dei miei pensieri quanto una
brocca lo è di acqua) andavo delineando il testo definitivo di “Giù la maschera”: la
colossale ricapitolazione degli elementi che avevo raccolto nel corso degli anni sul conto del
misterioso comportamento di Alessandro, e dei quali intendevo domandargli un resoconto
preciso e dettagliato nel Chiarimento Finale che avevo sempre rimandato.
5 Marzo
Dopo aver accettato una “pizzata” coi ragazzi del giornale
di scuola, pur di uscire di casa cercando di non pensare a
lui, il caso mi fa imbattere in Alessandro insieme al suo
famigerato amico Mauro. Non sono riuscito a parlargli, dal
momento che sùbito dopo essermi presentato si è dileguato
come se avesse visto un fantasma, ma il mio gaydar ha
squillato. Può anche darsi che io mi sbagli e sia tutto il
frutto della mia fissazione, ma secondo me Mauro è
omosessuale quanto e più di me.
3 Maggio
Angelo mi riferisce perplesso lo strano comportamento
tenuto con lui ieri sera. Dovevano giocare a basket, e
Angelo passa a casa sua per prenderlo: Alessandro, già in
tuta e scarpe da tennis, dice che è ancòra occupato con
Mauro “per via del computer”.
«Mauro.. quello fissato coi Beatles?»
«Quello con l'aria da frocetto.»
Caustico come sempre, Angelo, ma se non altro confermava
che la mia prima impressione non era stata di parte. Poi
aggiunge:
«Vabbè che, quanto a questo, buona parte dei suoi amici
sono piuttosto.. "strani".»
Non saprei dire se fossero gli stessi che avevo incrociato
al circolo culturale dello zio, ricavandone la medesima
impressione, ma sicuramente questo spiega come mai
Alessandro si è sempre guardato bene dal presentarmeli.
Non avendo ancora detto ad Angelo che non sono etero,
però, era giocoforza che io facessi lo gnorri:
«Strani in che senso?»
«In quel senso: hai capito benissimo. E pure suo fratello
Ernesto, per dirla tutta, ma il punto è un altro: è che
Alessandro sembrava parecchio agitato.»
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(57)
«Avrà avuto fretta per via del computer.»
«E allora perchè non mi ha permesso di entrare, anziché
farmi aspettare fuori?»
Così Angelo si deve cambiare in macchina, e quando torna
Alessandro è sempre più agitato, e gli dice di precederlo
al campetto che poi lui lo raggiunge.
«Erano le 18.45, ed è arrivato alle 19.15: mezz'ora di
orologio. E indovina un po' con chi è arrivato?»
«Con Mauro.»
Domande attinenti: perchè non l'ha fatto entrare? Perchè
tanta agitazione?
«Senza contare che lui di solito in casa ci sta in
ciabatte. Se era già pronto per uscire, come mai ci ha
messo tanto? E poi, quando sono arrivàti, si guardavano in
un modo.. Tanto che Alessandro sembrava imbarazzato nei
miei confronti. Tu come te lo spieghi?»
«Si vede che era dispiaciuto del ritardo.»
Non potevo certo rispondergli "sarà stato un pompino
tirato per le lunghe, magari sfociato in un rapporto
sessuale completo" – anche perchè io stesso non me la
sentivo di saltare a conclusioni affrettate, e oltretutto
Alessandro mi aveva già negato di aver mai avuto
esperienze del genere. (Tuttavia non posso dimenticare
quanto si era allarmato quella volta in cui gli raccontai
dell'ennesima paranoia di Erasmo, che temeva di aver
contratto l'AIDS con un rapporto orale non protetto.)
1 Luglio
Gli dico: «Ti giuro che dopo aver dovuto ascoltare tante
stronzate sui gay da quel tizio, mi era venuta quasi
voglia di dirgli tutto.»
E Alessandro: «Anche per me è così.», detto in un modo
tale che aveva tutta l'aria di essere un lapsus freudiano.
Estate 1992
Non fa che dirmi quanto ammira lo stile di vita di Jack
Kerouac, ha letto tutti i romanzi di Aldo Busi, così gli
presto il libro di Golinelli ("Basta che paghino": storia
di un marchettaro) e quello di Paterlini ("Ragazzi che
amano ragazzi") – e specie di quest'ultimo ne è entusiasta
al punto che me lo riporta il giorno dopo stesso,
oltretutto richiedendomi indietro il primo.
Un giorno vediamo in TV un'intervista a Jimi Somerville, e
Alessandro dice che ci ha proprio la voce da gay – ma ci
tiene a specificare che per lui un omosessuale è una
persona come tutte le altre. Poi mi domanda se ne conosco
qualcuno, e gli rispondo con un ambiguo "in un certo senso
sì" (alludendo a me stesso). Quando poi gli rimbalzo la
domanda, esita e infine nega. Strano, perchè mi sarei
aspettato un NO secco.
Tre settimane dopo, se non altro per smettere di
illudermi, mi decido a fare coming-out - obbligandolo a
mettere le mani avanti col solito "ma ne sei sicuro",
320
(57)
seguìto dall'ancor più classico "io sono etero, ma per me
non cambia nulla".
Lui invece sprofonda nell'imbarazzo più totale, e non
spiccica parola. (Forse temendo un'avance, che mi sarei
guardato bene dal fare: io lo amo, prima di desiderarlo
fisicamente. E comunque non era nemmeno il caso di dirgli
che l'amo: era facilmente fraintendibile per quell'altra
cosa.)
Mi domanda quando mi sono accorto di essere gay, ma non
tipo il solito clichè: più come se si aspettasse delle
istruzioni per l'uso, un metodo da seguire per appurarlo
di sè stesso.
Infine, quando più tardi se ne torna a casa, si congeda
dicendo che "avremo occasione di parlarne ancòra". Visto
che l'argomento omosessualità lo interessava parecchio,
davo per scontato che avendo davanti a sè un caso reale mi
avrebbe sommerso di domande – e invece non tornerà mai più
sull'argomento. (Lo so: avrei dovuto battere il ferro
finchè era caldo, e sull'onda del pathos avrebbe forse
ceduto alla voglia di sfogarsi.)
Estate 1993
Alessandro ha fatto il diavolo a quattro per convincere
Angelo ad andare in vacanza a Parigi con lui e Valeria e
una loro compagna di classe, ma Angelo era inamovibile e
così Alessandro ci ha invitato un altro ragazzo. (Più
chiaro di così, che non fosse sua intenzione corteggiare
Valeria..)
Una sera è stato abbordato per strada da un gay parigino:
un certo Paco, che gli s'era praticamente appiccicato
addosso e non lo mollava più.
«Ci provava senza mezzi termini: diceva di essersi
innamorato di me al primo sguardo.»
«(Buongustaio, il tipo.)», avevo commentato senza farmi
sentire.
«Non sapevo se stava facendo sul serio oppure se
scherzasse, comunque lo lasciavo fare – senza però
ricambiare.»
«Perchè per sbarazzartene non gli hai detto di provarci un
po' anche con Marco?»: il sostituto di Angelo.
«Figùrati: Paco non se l'è filato di striscio fin dal
primo momento. Neppure quando l'abbiamo seguito in un
locale gay.»
Domanda: perchè Paco ci ha provato con Alessandro,
lasciando perfettamente indisturbato Marco? Questione di
gaydar, si direbbe: aveva capito che Marco era etero.
Inoltre, come mi ha fatto osservare Angelo, nessun
eterosessuale "lascerebbe fare" – non tollerando di venire
importunato (e per giunta in pubblico) da un altro uomo (e
per giunta un estraneo).
Ma soprattutto: nessun eterosessuale starebbe mai a
specificare che lui non ricambiava, dandolo per scontato!
321
(57)
Ora: io non sono un indovino, e non spio né tantomeno faccio spiare nessuno, epperò sono
capacissimo di ricomporre un puzzle – specie quando qualcuno, come Alessandro, non mi
lesina certo i tasselli.
E se dopo averne ricomposto il 90% salta fuori il viso della Gioconda, va bene non saltare
a conclusioni – ma non posso neppure farmi venire il dubbio di aver mal ricomposto uno
schema elettrico!
INDOVINELLO LOGICO
Non so quale figura geometrica sia, ma di essa ho scoperto che:
1. ha almeno un angolo retto (che sia un triangolo rettangolo?)
2. ha almeno tre lati uguali (un triangolo equilatero?)
3. ha le diagonali uguali (un esagono?)
4. è un parallelogramma (un rettangolo?)
5. ha meno di cinque lati (triangolo scaleno?)
6. è una figura piana priva di linee curve (un rombo?)
Nessun dato, preso singolarmente, consente alcuna deduzione certa..
..ma, tutti assieme, non lasciano alcun margine di dubbio che si tratti
di un quadrato.
Quando tutti gli elementi hanno una spiegazione in comune, con tutto che ne basterebbe
uno solo per porre il legittimo dubbio, si può concludere soltanto un'unica cosa:
«Ouadro non significa nulla, ergo è un errore di stampa.»
58
A
lla fine ero cascato dal sonno.
Letteralmente.
A muso duro sopra il computer.
E r a co m e levit a re: s o sp e s o a m e z z'a r i a, leg gero qu a nto u n'eter ea l i n gu a d i fuo co, vap oro s o
co m e i l fu m o ch e si srotol a d a u n b a ston c i no d'i ncen s o. L'a leg gi a re i m m ater i a le e l ib ero d i
u n pu nti n o che s cor r a z z a at tr aver s o le i m m a gi ni fich e a st r at te i nfi nit à d i u n pi a no
322
(58)
geo m et r ico. Qu a n d'e c co ch e i pied i p o g gi ava n o su u n a l a st r a d i c r i st a l lo..
« Pied i?? »
Rea l i z z a i che avevo fatto i l m io i n gre s s o nel lo sp a z io fi sico, con stat a n d o con pi acere che i l
cor p o m ent a le u m a n o ch e m i ero c r eato e pro gr a m m ato m i c a l z ava a p ennel lo.
« Tut to pro ced e a regol a d'a r te. » , p ens a i s o dd i sfatto m entr e m i c i a l l a c c i avo.
I nt a nto o s s er vavo d iver tito le a n gu ste p a reti ch e m i stava n o m ater i a l i z z a n d o i ntor no: er a
u n a co s a co sì bu ffa – e p er cer ti ver si p er si n o co m ic a, p er m e. D op otut to er a s olt a nto u n
gio co u n p o' sp er icolato, m a l a C au s a i n n o m e d el l a qu a le o s avo co m m et tere l a p a z zi a d i
tor na re p er l a s e con d a volta ad i nc a r na r m i su l l a Ter r a.. B eh, er a s en z'a lt ro l a più Nobi le d i
tut te.
Poi u na sp e c ie d i s obb a l zo – tip o qu a lcu n o ch e d a l p onti le t'è zo mp ato su l tetto d el l a
b a rc a, facen d oti rol l a re nel l'acqu a. S egu ìto d a u n o s c o s s on e d'a s s e st a m ento si m i le a u n a
m ac chi na i n gol fat a qu a nd o r ip a r te.
Tut to er a pronto p er le m a n ov re fi n a l i, s en on chè.. I L CROL LO!
I na sp et tato, i nco mpren sibi le, i na r re st a bi le: prec ipitavo giù . D ov'er a fi nit a, l a qu iete? E ro
d ivenuto u n a sp e c ie d i co m et a c at t u r at a d a l l a gr avit a z ione d i u n pi a net a o s cu ro, p op ol ato d a
m o st r i or ribi l i, b en a ld i l à d i o gni p o s sibi le preventiva supp o si z ion e. ( C er to i n pre ced en z a
l i avevo b en o s s er vàti, m a st a n d o m en e a l sicu ro a 2 0 0 p a r s e c d i d i sta n z a !)
D a u n a p a r te m i spi n geva no, e d a quel l' a lt r a m i ti r ava no a s é – e con u n a prep oten z a
s con o s c iut a a l l a for z a s er a fic a che aveva gu id ato l a m i a p a r ten z a. Però or a l a for z a a m ic a ch e
m i aveva con d ot to si n l ì er a giu nt a a u n confi n e p er lei i nva l ic abi le, e m'abb a nd onava:
i n gabbi ato ent ro u n a s c atol a d i c r i st a l lo le cu i p a reti, co mpre s s e d a l l'i nd ic ibi le pre s sion e
e ster na, si re st r i n geva n o s e mpr e d i più m i nac c i a n d o d i st r itol a r m i.
Sup er a re i l pu nto d i non-r itor no fu co m e ud i re lo spl a sh d i u n a b a r a get t at a a m a re.
D et ta gl io n on t r a s cu r abi le, l' O si r id e d i tu r n o ero io: vivo e vegeto, r i suc chi ato nei gel id i
abi s si d i u n m on d o a l ien o, r it rova nd o m i p er giu nt a lob oto m i z z ato nel l'e s s ere qu a nto
nel l 'a gi re.
Tut t'i ntor no, grot te s c h e gelati ne d efor m i d a l le fauc i lu s su r io s a m ente i n s a n gu i nate – e s s e r i
r ipu gn a nti! – gr a ffi ava n o prep otente m ente a l le p a reti, t a l m ente str et te che i nco m i n c i ava n o
ad a d eri r m i tut t'i ntor n o co m e u n a gu a i na. Ri n gh i ava n o m i nac c io si s cuoten d o
quel l 'i nvoluc ro p er loro i nvi nc ibi le ch e, d op o aver m i ac co mp a gnato nel via ggio più
st r aord i na r io ch e n e s su n o abbi a m a i co mpiuto, a nd ava or a co stituen d o i l m io pr i m o cor p o
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(58)
propr i a m ente u m a n o. Un fredd o tr e m en d o m i violent ava i S en si: d appr i m a u r tic a n d ol i, p oi
a ne steti z z a nd ol i fi no a fa rl i s opi re d el tutto. Stavo d av vero d ivent a n d o u n o d i loro! M a..
p erchè?
Nel m o m ento i n cu i m i re si conto che gi à non m e lo r icord a r vo più, venni colto d a u n o
s go m ento d eva st a nte – m a i l m io u rlo si len z io s o venn e i n ghiot tito d a l l a du r a not te, ch e
squ a rc i avo co m e stel l a c a d ente s ol ita r i a i n u n a fol le cor s a ver s o a lt r i ori z zonti:
NO O O O O O O O O
O O O O O O !!!
Sgranai gli occhi, la fronte madida di sudore – e per poco non precipitavo giù anche dalla
sedia.
«La torre di Babele di cristallo.. il grattacielo trasparente.. l'ascensore di vetro.. i cavi
tranciàti.. io che precipito in caduta libera..», fino a svegliarmi ogni volta col cuore in gola
nel preciso istante dello schianto al suolo – senza però mai riuscire a vedere la fine di quel
sogno ricorrente, neppure l'impatto finale.
«Dove.. dove sono?», domandai a me stesso sollevandomi dalla tastiera del
Commodore64.
Sullo schermo c'era il primo abbozzo del Chiarimento Finale con Alessandro.
«Lavoro troppo.», conclusi, scuotendo il capo e massaggiandomi la nuca indolenzita.
«Anche se non è da me, addormentarmi mentre sto facendo qualcosa. E questa non è
neanche la prima volta che mi càpita, da quando è arrivato Gino: mi chiedo solamente se..»
Una cortina fumogena di sonno prevalse sulla domanda più intelligente che mi ero posto
da mesi, e a quel punto decisi di spegnere tutto (me stesso incluso) andando a dormire sopra
qualcosa di più comodo.
La domanda in questione era: siamo davvero sicuri, che si tratti del solito frivolo sogno di
caduta su cui tanto oziosamente ha dissertato Freud? Quello che fa comunella con il sogno
di volare, e che tanto per cambiare si riduce ad un sostitutivo erotico? Oppure si tratta di un
qualche cosa d'altro?
Non avevo ancòra mai sentito parlare di proiezioni astrali, nè della possibilità di
recuperare ricordi di una vita precedente, ma la sana attitudine a mantenere un'apertura
mentale il più possibile ampia mi suggeriva che forse poteva esserci dell'altro – per quanto
ignorassi completamente che cosa fosse.
Esiste un fondo di verità, nel sostenere che le nostre paure ci perseguitano nel sonno –
come peraltro ogni viaggiatore astrale ben sa. Nè è un caso che gli incubi scelgano proprio
le esperienze più sconvolgenti per rivelarsi a noi. (Ti sei mai chiesto come facciano a sapere
324
(58)
ciò che più ti terrorizza? La risposta è semplice quanto invereconda: sei tu medesimo a
suggerirglielo. Essi sono soltanto lo schermo, delle tue paure: l'autore, che tu ci creda o no,
sei tu e nessun altro – a meno che tu non finisca nel mirino di certi bastardi..)
Ad ogni modo il sogno è un'esperienza certamente non meno reale di quella del mondo
fisico: semplicemente, si svolge su un altro piano di coscienza. Dal momento che la mente
umana è compatibile con il solo spaziotempo, e unicamente di un certo tipo, al cosiddetto
risveglio essa razionalizza – considerando “non effettivamente accaduta” qualunque
esperienza che non rientri nei suoi schemi cognitivi. In parole povere: la mente, essendo
incapace di parlare il linguaggio dei sogni, li nega classificandoli come assurdità.
Quanto alle immagini che mi erano rimaste impresse (il grattacielo, l'ascensore di vetro,
eccetera), non erano altro che la rappresentazione simbolica di quanto avevo sognato – e si
sa che ogni traduzione presuppone una certa flessibilità, in fatto di adattamenti.
Adesso però, tanto per contraddire il buon Socrate che affermava di non scrivere libri
poichè essi non rispondono alle domande del lettore, è decisamente arrivato il momento di
spiegarti cosa ho sognato: il mio ingresso quale incarnato nel tuo mondo. Un ingresso assai
spettacolare, làsciatelo dire. Un Antares/Terra express attraverso una particolarissima
intercapedine spaziotemporale che..
Non che io sia propriamente antaresiano, ma è pur vero che la mia ultima vita l'ho
trascorsa colà quale Ospite Sacro – seppur facente anche altre funzioni, oltre a quella
tradizionale di catalizzatore spirituale.
Ti vedo perplesso ancora peggio di prima. Beh, pensa a una specie di termosifone
spirituale che innalza il livello vibrazionale dell'intero pianeta (e se è abbastanza potente,
dell'intero sistema solare): alla sua presenza in ciascun essere si risvegliano formidabili
capacità sopite, o ne manifestano quali suoi tramiti. Lui, inquantochè Motore Immobile,
non occorre faccia alcunchè: gli basta esistere, per accelerare l'Evoluzione inducendo effetti
demiurgici tutt'intorno a sé.
Non esistono altri termini di paragone, nella tua lingua. E comunque ci rinuncio in
partenza, a spiegare cosa sia un Ospite Sacro a barbari con l'hobby perverso di ammazzare
i Grandi per poi rimpiangerli amaramente nelle generazioni future. Ad esempio levàtevi
dalla testa che il Cristo intenda rimettere piede da queste parti, dopo che i vostri antenati
l'hanno dapprima martirizzato di una morte orribile e poi non contenti ne hanno fatto
andare quasi totalmente sprecato l'insegnamento. (Che poi il lupo perda il pelo ma non il
vizio, lo dimostra il materasso imbottito di materiale radioattivo dove certuni puritani del
XX secolo hanno fatto dormire a tradimento Osho per farlo fuori “di morte naturale”.)
L'amara verità è che i più grandi Maestri che vi sono stati inviàti sono rimasti così
sconvolti dalla loro esperienza terrestre che è occorso un periodo di “convalescenza” assai
lungo e sofferto, per rimetterli in sesto e trarli in salvo dal tragico buco nero che a volte
inghiotte uno spirito messo a troppo dura prova.
325
(58)
È una sorta di autismo spirituale, e disgraziatamente il non uscirne porta al regresso: si
comincia a scadere, a perdere qualità spirituali conquistate a fatica nel corso di miliardi di
reincarnazioni, finendo col dover ripartire non dico daccapo ma quasi.
E, così come stanno le cose, il pericolo da correre è sproporzionato. Soprattutto in
relazione alle minime opportunità di ottenere un effettivo e duraturo cambiamento.
Risultato? Oramai quasi tutti si sono arresi, dando l'Umanità per irrecuperabile.
Il guaio è che quando non si trova più nessun medico disposto a fare visite a domicilio, se
si vuole scongiurare una pandemia inarrestabile non resta altro da fare che procedere ad
immediata quarantena e successiva disinfestazione.
59
M
ica era finita così, quell'ultima sera con Gino..
«Qualcosa che non va, Dedo? Cos'è quella faccia da accerchiato?», ma
Alessandro non rispondeva neppure a lei. Anzi: con rapidi guizzi dello sguardo a
delimitare un confine protettivo intorno a sè, si era rinchiuso in uno dei suoi mondi di
silenzio che tanto mi affascinavano – ma soprattutto inquietavano.
«Ehi. Sei tra amici, lo sai.», gli rammentai.
«Lo so. Lo so.», ammise lui con un che di paradossalmente sconfitto nel tono della voce.
Come se quelle mie parole anziché rassicurarlo gli rendessero tutto più difficile.
Fu Gino a trarlo d'impaccio:
«Ora il corpo di Angelo è pronto, ma lui necessita di altro tempo prima di tornare.»
«Poveraccio: devono proprio averlo sconvolto..», rimuginai.
«Supererà anche questo: gli basteranno pochi dei vostri minuti, per farlo.»
«La fai facile tu, manco fosse solo scappato di casa..»
«Una specie, Valeria.», confermai io, e Gino assentì.
«Nel frattempo possiamo farti altre domande?»
« Certamente, Alessandro. E, per la cronaca: incluse quelle “a tu per tu”.»
«Allora io e Valeria usciamo.», facendole cenno di alzarsi.
«Grazie, Alessio.»: una delle rarissime volte in cui Alessandro mi chiamò per nome.
Furono minuti interminabili: la conversazione spiccia non è certo il mio forte, e pertanto
preferii tacere – fino a quando fu Valeria a cedere al proprio horror vacui delle parole.
326
(59)
«Da quant'è che saranno dentro?»
«Più che altro, chissà cosa si staranno dicendo – per metterci così tanto.», ribattei.
«Di': hai visto quant'era sconvolto il Dedo? Come se avesse qualcosa da nascondere. Ha
dato anche a te quest'impressione, stasera?»
Stavo per risponderle “Non solo stasera”, ma preferii glissare:
«Alessandro si comporta spesso in maniera misteriosa.»
«Io non ci ho mai fatto caso, prima. Certo, per te che sei il suo migliore amico..»
«Non mi dispiacerebbe esserlo.»
«Ma tu lo sei: me l'ha detto lui stesso.»
«A me mai.»
«Anche questo è strano..»
In quella si aprì la porta e fece capolino proprio lui:
«Alessandro! E allora?»
Praticamente mi ignorò, ma a me era bastato rivedere il suo volto rasserenato da quella
lunga chiacchierata.
«Tocca a te, Valeria.», le disse.
«A me??»
«Gino dice che anche tu gli vuoi parlare di una cosa che ti sta particolarmente a cuore.»
Valeria deglutì. Forse impallidì pure un pochino, ma comunque non feci in tempo a
guardarla bene che già era entrata con passo titubante dall' “oracolo”.
«Tu ce l'hai una minima idea di cosa lei abbia da dirgli?», domandai ad Alessandro.
«Non saprei.»
«Ipotesi?»
«Beh, adesso è la donna di Angelo: si vede che è in pensiero per lui.»
«Non lo siamo tutti?»
«Per lei che lo ama non è la stessa cosa.»
«Non fraintendermi: capisco benissimo, che se lei lo ama si preoccupa di più.»
«..ma?»
«Ma se Valeria doveva domandare a Gino del futuro di Angelo, che bisogno c'era di
un'udienza privata? Gino poteva rivelarlo a tutti quanti noi, e anzi doveva – visto che siamo
un gruppo.»
«Tu credi?»
«Facciamo un esempio pratico: tu che cosa gli hai chiesto, là dentro?»
Alessandro sbigottì: non avrebbe mai immaginato che avrei osato porgli questa domanda,
nè tantomeno che l'avrei fatto così senza mezzi termini.
«Ci siamo.. parlàti.»
«A proposito di cosa?»
«Questo preferisco non dirtelo.»
327
(59)
«Lo vedi?», gli domandai traendo le fila di un bluff ben riuscito.
Alessandro sgranò gli occhi ed arrossì confuso:
«Lo vedi.. chi?», guardandosi alle spalle.
«Ehi: le visioni ce le ha Angelo, mica io. Intendevo dire: di qualunque cosa tu abbia
parlato con Gino, non volevi assolutamente che né io nè Valeria ne venissimo a conoscenza.
Giusto?», dedussi.
«E!»
«Qual è dunque il grande segreto di Valeria?»
«E il tuo?», mi domandò spudoratamente.
«Io non ho nulla da nascondere, tantomeno a te: lo sai che tu puoi rivolgermi qualunque
domanda.»
Ne avevo in mente una, in particolare – a cui, a onor del vero, gli avevo già risposto così:
Non potevi costringermi in un anfratto più insidioso,
in un dubbio più cieco,
in un circolo più vizioso con altra domanda che: 'Mi ami?'.
Amo il vento spettinato
e la primavera.
Amo il cielo terso
e il volo planato del falco.
Amo il mare,
rugoso di sale.
Amo lo svettare candido dei monti,
la solidità della roccia dei picchi.
Amo tutta quanta l'infinita bellezza che mi circonda,
che mi inonda..
Amo lo spumeggiare della vita.
Ma non saprei dire se "amo"
te.
Però
senza di te
sarei una notte senza stelle,
un cielo senza nuvole,
una melodia senza suono,
un angelo con le ali tarpate
- decaduto nemmeno negl'Inferi,
ma nel Vuoto Immenso e Microscopico.
Però
senza di te
non avrei più aria da respirare,
non avrei più occhi per ridere
e neppure per piangere.
Non ho che sintomi, da balbettarti:
la malattia che affligge l'animo mio
non ha
nè può avere
nome.
Ma se tu la chiami "Amore",
beh..
328
(59)
allora sì:
ti Amo.
Gridandotelo dal profondo di ciascun atomo
che mi dà energia e vita. C042
«Lo so.», e tornò ad accigliarsi.
«Non pretendo da te altrettanta assoluta trasparenza, ma se te la sentissi di rivelarmi
anche solo una piccolissima parte di ciò che Gino ti ha risposto..»
«No. Eppoi forse tu già lo sai.», indagandomi con lo sguardo.
Quel modo di procedere mi stava facendo impazzire: tutti quei finissimi sottintesi, che si
intrecciavano in una fitta rete di allusioni e rimandi al non detto, all'implicitamente
ammesso, a un'ipotesi data per certa ma che poteva benissimo essere completamente
sbagliata..
«Alessio..»: era qualcuno che chiamava da fuori della mia testa, mentre avevo il cervello
sovraccarico, completamente assorbito dal lampeggiare di un DATA OVERFLOW.
«Alessio..?»: se solo mi fosse riuscito di chiudere il rubinetto dei pensieri, avrei anche
potuto azzardare una risposta. Magari, addirittura una risposta sensata.
«Alessio!»: era Valeria, che reclamava urgentemente la mia attenzione.
«Sì? Che c'è?»
«Gino ti sta aspettando. Non è che avete origliato, per caso..»
«Noi? Ma figùrati!»
«Se non ti fidi di Alessandro, considera che avremmo potuto fregare te, ma certamente
non Gino.», e detto questo entrai.
«Presumo che domandarti cosa hai detto agli altri due sarebbe inutile.»
«Presumi bene.»: tanto per ribadire che il mio ruolo di coordinatore del gruppo non
includeva il passepartout ai fatti loro.
«Presumo inoltre che, se mi hai convocato qui, è perchè devo domandarti qualcosa.
Qualcosa di personale e di molto riservato.»
«Infatti.»
«Stavolta non mi prenderai in giro?»
«Stavolta è una cosa seria.»
«Cosa vuoi che ti dica? La mia domanda già la conosci, Gino.»
«E proprio per questa ragione me la devi formulare.»
Qualunque fosse stata la sua risposta, era meglio incassarla da seduto. Specie se si
trattava di sentirmi dire ciò che maggiormente ho bramato di sentirmi dire per tutta la mia
vita: le mie gambe non avrebbero retto, a un sì di quel calibro.
«Alessandro mi ama?»
Ero una foglia sferzata dal vento impetuoso dell'adrenalina, e il cuore mi batteva così forte
in petto che sarei potuto svenire proprio sul più bello. Istanti terribili ed interminabili
329
(59)
separarono la faditica domanda dall'ancor più fatidica risposta, che mi rovinò addosso
come un macigno:
«Non posso rivelare nulla che vìoli il libero arbitrio altrui, lo sai.»
«Dura lex sed lex, già. E le Leggi sovrumane non ammettono eccezioni.»
«Formula anche quella.»
«Prego?»
«Non fare lo gnorri.»
«Ma non potresti rispondere neppure a questa, di domanda!»
«Non lo potrai mai sapere, se non me la fai.»
«“Alessandro ha capito se non altro che io lo Amo?”»
«Gli scrivi non meno di due lettere alla settimana, premi affinchè vi vediate almeno giorno
sì giorno no da quasi tre anni, gli hai dedicato esplicitamente la tua prima raccolta di poesie
d'amore incompreso, gli fai leggere i testi delle tue canzoni tradotti e commentati, suoni la
tua Musica per lui..»
«Scusa Gino, ma questa volta ti interrompo io: non hai risposto alla mia domanda.»
«Ah no?», sornione come non mai.
«Vuoi dire che..»
«Ti ho solamente detto cose che già sapevi. Così come ho fatto con gli altri. Ora tu sei
ambasciatore di una domanda di Angelo: trovala e fòrmulamela.»
Era pazzesco, come Gino anticipasse i miei stessi pensieri. Al punto che a volte sembrava
fosse lui a ficcarmeli in testa.
«Per quanto io cerchi, non trovo alcuna domanda di Angelo in me. Cioè sì, ne ho una,
però si limita a riguardarlo – ma è una domanda mia. Volevo fartela da tempo, solo che non
sapevo come fare per non risultare indelicato e forse pure ingiusto.. Sì insomma: di non
farmi i fatti miei.»
«Tutto ciò significa solo che hai trovato la domanda. E ora fòrmulala, dal momento che
hai dato prova che si tratti effettivamente di un affar tuo.»
«Di Angelo.», lo corressi io.
«Dunque tuo, che hai un cuore grande abbastanza per tutti e due.»
«La storia di Angelo con Cleo è davvero conclusa?»
«No. Ma Angelo non può più farci niente, e Cleo è troppo orgogliosa per ritornare sui suoi
passi.»
«Ed io? Io posso fare qualcosa?»
«Chi lo sa.»: Gino per la prima volta sembrava partecipare emotivamente alla nostra
vicenda.
«Se non io, chi altri può aiutare Angelo? Tu, forse?»
«Tu sei l'unico al mondo che ha in mano la chiave della possibilità. Ma non è ragione
sufficiente affinchè tu ti senta obbligato a fartene carico.»
330
(59)
«Forse che la mia Amicizia per Angelo non lo è?»
«Quella sì, ma ricorda che se agirai lo farai di tua iniziativa.»
«Certamente non tua.»
«Certamente non mia.»
«Il punto è: cosa posso fare con Cleo, io che nemmeno ci ho mai scambiato parola prima
d'ora?»
«Sei l'unico che possa farla ragionare, ma non con la mente: dovrai riaprirle il cuore, che
la paura le ha sprangato. Angelo non è in grado di farcela, né nessun altro: tu solo, forse sì.»
«Non sembri granchè convinto.»
«Accade tutto troppo presto, specie per te che ancòra sei nascosto a te stesso fra i papiri di
Chemmis.»
«I papiri di che??»
«Capirai a tempo debito.»
«Okay, ma.. vi è una possibilità seppur minima di aiutare la loro ricongiunzione?»
«Sta nelle tue mani.»
«Cosa può accadere, nel peggiore dei casi?»
«Che Cleo e Angelo non si ricongiungano mai più.»
«Semplificando: se io sbaglio le cose rimarranno così come sono, mentre se ce la faccio
torneranno insieme. È così?»
«Sì.»
«Allora devo tentare.»
«Mi corre però l'obbligo di metterti in guardia su una cosa.»
«E.. sarebbe?»
«Angelo sarebbe contrario al tuo intervento.»
«Al punto da impedirmelo?»
«Se lo sapesse, ti direbbe di non farlo.»
«Vedrò di non farglielo sapere. Tu dammi pure del fanatico senza coscienza, se vuoi, ma
non gli lascerò gettar via Cleo per una.. Valeria. Non senza aver fatto il possibile e tentato
l'impossibile per dissuaderlo.»
«Anche Valeria ha un cuore, però.»
Quella singola frase, così lapidaria, ebbe il potere di farmi sentire un mostro.
«Già: Valeria.»
E chi ci aveva pensato? Vergognosamente non io. Come avevo potuto? Possibile mai che,
accecato dal mio personalissimo concetto di “donna ideale per il mio amico”, avessi
compiuto una scelta così importante senza considerare che se fossi riuscito nei miei
propositi (per quanto nobili) le avrei spezzato il cuore?
«Questa tua reazione ti fa onore, ma non devi buttarti giù così.»
«Tu dici? Stavo per massacrare un'innocente.»
331
(59)
«Tu chiedi troppo a te stesso. Eppoi il primo errore l'ha commesso Angelo, coinvolgendo
Valeria prima di aver risolto la situazione con..»
«Chissenefrega di chi l'ha incominciato, 'sto fottuto casino! Credi forse che basti attribuire
una colpa, per mettersi l'animo in pace? Se così fosse sarebbe facile.. oh, così facile,
smettere di soffrire. Io invece la voglio risolvere, questa penosissima situazione, mica
limitarmi a trovare un responsabile!»
«Tu sei l'Amico giusto per Angelo. Forse adesso incominci finalmente a Capire.»
Ero rimasto letteralmente senza parole: mi aveva provocato di proposito, rendendomi
furioso dallo sdegno affinchè fossi io stesso a chiarirmi la situazione.
«Come posso procedere? Lei neanche mi conosce!»
«Invece ti conosce, e molto meglio di quanto tu possa ritenere: Angelo le ha parlato
tantissimo di te.»
«Spero bene.»
«Anche meglio. Angelo è più fortunato di quanto sia solito ritenere.»
«È quel che dico anch'io.»
«Fai entrare gli altri: è tempo che io vada.»
59B
M
i stavo aggirando con aria furtiva fra le lapidi del cimitero, e non si trattava di un
sogno bislacco dei miei. “Beh, furtiva..”, riflettei tra me e me per ridurre
quell'imbarazzo a un solo passo dal senso di colpa. “Diciamo guardinga,
impacciata.. ma dopotutto non sto facendo nulla di male.”
Sebbene fosse grossomodo ora di pranzo, e il camposanto non sia precisamente un luogo
di picnic, temevo d'imbattermi in qualcuno che mi conoscesse. Forse addirittura lui, o
peggio sua madre – e a quel punto vaglielo a spiegare, ad Alessandro, del perchè mi ero
messo in testa di rintracciare la tomba di suo padre.
“Sempre che sia sepolto qui, poi. E tutto questo per cosa? Per fargli ascoltare una tua
performance registrata al pianoforte. Renditene conto, vecchio mio: mi stai proprio dando
di matto. It finally happened..”, e attaccai a canticchiare la canzone dei Queen.
“Tanto per dare meno nell'occhio, mh?”, riflettei poi, e giù a ridere di me stesso – fino a
che lo sguardo biasimevole di una pia signora mi rammentò che non era quello il luogo.
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(59b)
Chissà perchè, poi..
“Cara la mia sciuretta”, avrei voluto apostrofarla, “un vero cristiano si allieta, quando
qualcuno si ricongiunge al Creatore. Ma lo sa, lei, che presso i celti le veglie funebri erano
delle vere e proprie feste con tanto di danze e musica?”
Sì, come no? Ci mancava solo che mi mettessi a dissertare eruditamente di etnologia con
una povera vecchia..
«Eccola qui!», esclamai, e ad un tratto tutti i miei pensieri alla rinfusa si acquietarono,
come trattenendo essi stessi il fiato.
Non conoscevo il nome del padre di Alessandro, ma la foto sulla lapide non lasciava
dubbi: era la stessa che incombeva in ogni angolo della casa-mausoleo. Lessi mentalmente:
“Sergio De Dominicis: nato il 20 Ottobre 1938, morto il 4 Aprile 1982”. (Alessandro
avrebbe compiuto gli 8 anni di lì a poco. Un incidente stradale, non so altro.)
Approfittando del fatto che intorno non c'era più nessuno, estrassi dalla tasca il fido
walkman e pigiai play su “Dicata Spirto Maris” – che lasciai spandersi nell'aria senza
bisogno di aggiungere parole, che comunque non sarei stato in grado di trovare.
Non voleva essere una preghiera affinchè il defunto intercedesse per me: desideravo
semmai presentarmi quale suo aspirante genero. Tragicamente in ritardo, perchè non era
più in vita. E tragicamente in anticipo, perchè quel giorno sapevo unicamente ciò che
Alessandro rappresentava per me – ma non ciò che rappresentavo io per lui, nè tantomeno
se il mio sogno d'amore sarebbe mai stato coronato.
Prima di tornare a casa, completai quel mio pellegrinaggio recandomi pure al campetto lì
vicino dove lui gioca a pallacanestro – e dove io stesso da bambino, proprio in quel funesto
1982, praticavo minibasket. Desideravo per così dire creare un legame fra le due
esperienze, e per quanto mi sentissi un perfetto idiota nel praticare rituali fra il religioso e il
magico riuscendo solo a rendermi ridicolo al mio stesso cervello.. beh, in quei frangenti era
il cuore a decidere ogni cosa. E, ri-ascoltando in quel luogo la stessa musica, a lungo piansi.
Badando di asciugare bene lacrime che, al mio ritorno a casa, non avrei potuto spiegare.
Eppoi chissà se l'avrei più rivisto, considerato come s'era chiusa la serata appena
trascorsa, quella in cui Gino aveva concesso a ciascuno di noi udienze private..
«..non so proprio cosa dirti, Dedo.»
«Valeria? Alessandro? Entrate!»
A quanto pareva li avevo colti di sorpresa. Ma a giudicare dalla loro reazione, forse avrei
fatto meglio a dire: in flagrante.
«Che c'è? Vi ho spaventàti?»
«N.. no, no. È che non ti abbiamo sentito aprire la porta.»
«Di cosa stavate discutendo?»
«Hai sentito qualcosa?», mi domandò Alessandro concitato, quasi aggredendomi.
«Beh.. no. Perchè? Cosa c'è di così grave, che non devo sapere?»
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(59b)
Distolse lo sguardo, e Valeria intervenne a trarlo d'impaccio:
«Hai detto che ci sta aspettando, vero?», e fece strada.
Entrando, Alessandro mi sfilò davanti silenzioso e con gli occhi bassi. Mi sentivo
mortificato come non mai, ma senza conoscere il motivo di quella reazione: “Si vede che
avrò detto qualcosa di sbagliato, ma.. cosa?”.
«Alessandro?», accarezzandolo con la voce e prendendolo per il braccio.
«Non mi toccare!», mi ringhiò contro lui, scrollandosi la mia mano di dosso. «Lasciami in
pace!»
«Io..»: ero assolutamente esterrefatto. «Non capisco. Cosa ti ho fatto?»
«Niente, niente.», ma me lo diceva con un tono cattivo che mi feriva.
«Alessandro, siediti vicino a Valeria. E tu, Alessio, sulla tua poltrona.»: Gino aveva
parlato come l'arbitro del ring quando divide i pugili, e io proprio non riuscivo a capire cosa
potesse esser accaduto tra quei due in mia assenza.
«Non è un po' presto, per complottare?», li rimproverò.
«Chi? Noi??», replicò giuliva quella santarellina ipocrita di Valeria.
«Mi meraviglio di te, Alessandro. Perchè hai origliato?»
«Mi ha convinto lei.», replicò tra il seccato e l'impaurito, indicandola.
«Questa l'ho già sentita..», commentai io, pensando ad Adamo ed Eva.
«Però non abbiamo sentito nulla.», tentò di giustificarsi la furbetta.
«Tu ancòra non capisci, non è forse così?», le domandò con un tono che fece ghiacciare il
sangue nelle vene pure a me.
«E tu invece, Alessandro? Che scusa hai? Tu ancòra dubiti. Quante altre prove, ti
serviranno?»
«Dammene una. Una soltanto, ma dammela adesso: qualcosa di inconfutabile – che ne
so? Fammi volare, e ti crederò.»
«Non è fattibile, Alessandro.», intervenni. «Lo sai bene anche tu, quali sono i patti: Gino
non può aggiungere nulla a ciò che noi sappiamo o potremmo umanamente venire a sapere.
Darti la dimostrazione oggettiva della sua esistenza, equivarrebbe a provarti che esiste un
aldilà.»
«Queste sono parole di Angelo, ma chi mi assicura che Gino esista veramente?»
«Beh, dico, più di così: ce l'hai qui davanti agli occhi!»: a me pareva la cosa più
elementare del mondo.
«Su, Angelo! Adesso puoi anche farla finita, con tutta 'sta messinscena. Piantala di
recitare la particina dell'invasato, e diamoci un taglio: quest'intera faccenda incomincia a
darmi sui nervi!»
Ma era davvero il mio Alessandro?
«Cos.. che..?»: ero rimasto letteralmente senza parole, davanti a cotanta arroganza.
«Gli ho raccontato tutto, Angelo.», intervenne Valeria malignamente. «Quello che mi hai
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(59b)
detto prima: che tu ami ancòra Cleo.»
«Sei sempre stato bravo, ad usare le persone, tu.», infierì Alessandro.
«EHI?! STOP! Pausa! Tregua! Arimortis!», scoppiai. «Si può sapere che cosa diavolo sta
succedendo qua dentro?»
«Domandalo un po' allo.. spiritato qui.»
«Già: domandalo al signorino.», gli fece eco Valeria.
«Gino, perchè non dici niente? Cosa sta accadendo?»
«Dubiti anche tu di me, Alessio?»
«No. Certo che no! Questa è un'accusa ingiusta, e tu dovresti saperlo.»
«Dici bene: dovrebbe. Se lui fosse Gino. E invece è Angelo che fa il doppio gioco.»
«Ma cosa cazzo dici, Alessandro?», esplosi, senza più riuscire a misurare le parole.
«Ragiona, Alessio: cosa ci guadagnamo, noi, in tutta questa faccenda?»
«Beh, Valeria.. io veramente non l'ho mai considerata sotto un'ottica di dare e avere.»
«Forse è ora che incominci a farlo. Apri gli occhi: quando è incominciata, tutta 'sta
vicenda? Dopo che Cleo l'ha mollato.», insinuò lei.
«Devo ammettere che prima di raggiungerlo in montagna non mi aveva mai fatto parola
del paranor..»
«Lo vedi?», m'incalzò con lingua biforcuta la degna discendente di Eva.
«Sì, ma.. Io continuo a non capire.»
«Forse perché non vuoi, capire. Vi siete messi d'accordo, tu e lui, eh?»
«Messi d'accordo, Alessandro? E d'accordo per che cosa, in nome del cielo??»
«A me sembra sincero, Dedo.»: per una volta, Valeria interveniva in mia difesa.
«Certo che sono sincero! E, sinceramente, non ci capisco un accidenti: vi decidete a
spiegare anche a me, alla buon'ora?»
«Angelo ha messo in scena tutta 'sta commedia per riavere indietro Cleo. E se tu davvero
non c'entri nulla, allora quella di farti un favore è stata una decisione sua.»
«Un favore? Che favore?»
Alessandro mi rispose senza il coraggio di guardarmi dritto negli occhi:
«Lascia stare, chè è meglio. Resta il fatto che è una recita, frutto della sua astuzia
diabolica e perversa.»
«Miii, che paroloni!», ma ogni mio tentativo di buttarla sul ridere a quel punto era inutile.
«Alessio, è tempo di decidere: da che parte stai?», mi domandava Ange.. Gin.. An.. Gi..
Tutto intorno mi vorticava addosso: l'uragano di un dubbio di proporzioni ciclopiche mi
assaliva, giungendo per di più del tutto inaspettato. Si trattava di una bordata enorme,
un'accusa tremendamente grave – forse la più grave che possa esistere: il tradimento di una
Amicizia sincera e disinteressata.
«Ma ragionate: che bisogno avrei avuto, di inventarmi tutto questo? Non sarebbe stato più
semplice chiedervelo direttamente, di darmi una mano con Cleo?»
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(59b)
«A-HA!», esclamarono Alessandro e Valeria all'unisono. «Ti sei tradito!»
«Tradito?? Ma siete usciti completamente di cotenna?»
«Hai parlato in prima persona: hai detto “che bisogno avrei avuto”, il che significa che tu
sei Angelo!»
«Certo che sono Angelo! E chi altri dovrei essere? Napoleone?»
«Angelo??», esplosi io mentre il mondo intero mi rovinava addosso in mille frantumi –
come un vetro schiantato da un proiettile ripreso al rallentatore.
«Si può sapere che cosa sta accadendo, qui? Me lo vuoi dire tu, Alessio?»
«Ma se fino a un attimo fa stavo parlando con Gino!», obiettai.
«Infatti mi sono appena ripreso.»
«E se ne sarebbe andato senza neanche salutarci?»: il dubbio cominciava ad affondare le
sue sozze radici pure dentro la mia mente non ancòra del tutto addomesticata.
«Si vede che l'avete stufato coi vostri stupidi litigi da bambini dell'asilo.»
«Ci hai sempre avuto la risposta pronta.», gli rinfacciò Alessandro.
«Già.», fece eco Valeria con l'aria schifata.
«Oh insomma, sentite: io ne ho abbastanza. O vi decidete a spiegarmi cosa c'è che non va,
oppure io me ne vado.»
«Per me fai pure quello che vuoi.», disse Alessandro incrociando le braccia. «Anzi sai
cosa ti dico? Che siamo noi, che ce ne andiamo.»
«Dici bene, Dedo: andiamo via!»
Finalmente soli: io e Angelo, come agli inizi della nostra avventura.
«Forse non è stata una grande idea, coinvolgere quei due, dopotutto.», ammise
tardivamente Angelo.
Tacqui: stavo ancòra aspettando che il ghibli, il gran polverone sollevato da
quell'improvviso inspiegabile ammutinamento, si placasse almeno un po'.
«La profezia di Gino si avvera, dunque, eh?»
«Quale profezia?», domandai automaticamente.
«Ma sì: quella che se io e te morissimo, loro direbbero che ci siamo ammazzàti a
vicenda..»
«Veramente io non te ne ho mai parlato.», osservai scettico.
«Ah no? Beh, si vede che sarà stato Gino a condividere questo suo ricordo con me, tipo
quando.. Ehi, no, aspetta un attimo: tu da che parte stai?»
«Io non lo so più, Angelo.»
«Ah be', se le cose stanno così.. Tanti saluti: io tolgo il disturbo.», e saltò in piedi come
una molla, inforcando l'uscio di camera mia a passo di carica.
«Angelo!», ma.. inutile chiamarlo: se n'era già uscito sbattendo la porta.
Mi aveva mollato lì: seduto sul letto con la testa tra le mani, e il cervello che sembrava sul
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punto di schizzarmi fuori dalle tempie da un momento all'altro. Pur non disponendo
materialmente delle forze per schiodarmi di lì, non potevo certo lasciarlo andar via a quel
modo – e così puntellandomi sulle ginocchia mi rialzai e lo raggiunsi fuori. Aveva già
indossato i guanti e il casco, e s'apprestava a far partire il motorino.
«Senti, abbi pazienza: è stata una serata-no per tutti quanti, okay?»
«E me lo viene a dire a me!!»
In effetti la morte in faccia l'aveva vista lui, mica io. E certo non doveva aver avuto un
bell'aspetto, rana o lumacone verminoso che fosse.
«Guarda», aggiunse bilioso come non mai, «lasciamo perdere. Vorrà dire che un'altra
volta i miei amici vedrò di scegliermeli meglio. E adesso, se non ti dispiace..»
«SE NON MI DISPIACE?», gli tuonai in faccia in un moto di ira funesta. «Uè bello,
spalanca bene le orecchie: che cosa hai fatto tu, per me, in tutti questi anni che ci
conosciamo? Dove stavi, tu, quando io avevo disperatamente bisogno di un amico? Io pur
di esserti vicino nel momento del tuo bisogno mi sono scarpinato kilometri sotto la pioggia
dopo aver fatto un viaggio che per me è stato peggio di un'odissea! Tu invece, quando ti
parlavo di Alessandro non facevi altro che sbuffare. E allora?»
Se non altro ero riuscito ad ottenere la sua attenzione, ma c'era qualcosa nella sua
espressione che..
Ci guardammo in faccia e scoppiammo entrambi a ridere come dei matti.
«Cosa stavi dicendo?», mi sfottè lui tra una sghignazzata e l'altra.
«Non lo so nemmeno io: dopo tutta quella premessa, mi ero incartato!»
E giù ancòra a ridere.
«Fortuna che Alessandro e Valeria non sono qui.», osservò lui in una pausa di silenzio.
«Davvero temi che a questo punto potrebbero perdere rispetto per te?»
Insomma: ci siamo sbellicàti un sacco, quella sera, io e il mio amico Angelo. Con la beata
imbecillità di due paracadutisti che, resisi conto di aver indosso zainetti difettosi, occupano
il resto del tempo della caduta raccontandosi barzellette. Dopotutto, quando “o la va o la
spacca”, che differenza fa?
«Se non fossi dannatamente stanco, ti inviterei a rientrare in casa.», conclusi.
«E se io non fossi dannatamente stanco ti proporrei di friggere delle patate.»
«Che ne dici di domani?»
«Buona idea. Se mi sveglio prima dell'ora di cena, ti telefono.»
«Non prima delle tre di pomeriggio, okay? Io devo dor-mi-reeeeee.»
«Tu sei pazzo.»
«Sentiamo: e per quale ragione, stavolta?»
«Le tre del pomeriggio? Ma io non mi sveglio prima delle sei di sera!»
Un'ultima risata, poi mise in moto e se ne andò con un cenno della mano.
«Strano. Angelo non mi ha mai salutato così.»
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Ma Gino sì.
S
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t r a n o, a nd a re a fa re qu at tro p a s si con u n a m ico e r it rova r si (co sì, a l l'i mprov vi s o)
a l l'i mb o c c atu r a d i u n a grot t a. R i f le s si d i s ole d a rd eg gi a n o su l l a ro c c i a op a le s cente
co m e proiet ti l i m it r a gl i àti add o s s o a u n mu ro. Per ter r a, l a gh i a iet t a fa c r u n c r u n c
co m e a c a m m i na re su i p op cor n. E s a s si. E m ac i gni. I l regn o m i ner a le st ret to nel l'abbr ac c io
d i quel lo veget a le: mu s ch i e mu ffe ch e s'i n si nu a n o nel qu a r zo co m e ta r t a ro su i d enti – e
que st a c aver n a h a tut t a l'a r i a d i non s c i acqu a r si l a b o c c a p erlo m en o d a qu a lch e m i l len nio.
M i fa cen no d i sbr i ga r m i. (M a nco fo s s e fac i le, p or t a r si appr e s s o u na pi gn a d i piet r a a lt a
due m et r i co m e i l m enhi r che sto reggen d o d ietro l a s c hien a coi s ol i p a l m i d el le m a ni..)
M a sì, a r r ivo, a r rivo: u n p o' d i p a z ien z a, ch e d i a m i n e!
L'i nter no è m en o bu io d i quel ch e c i si a sp et t a d a u n p o sto co sì. I l p avi m ento è u m id o,
b a gnato, vi s c id o: s e mbr a d av vero d i st a re nel l a b o c c a d el l a m onta gn a. L a pro s si m a volt a
p erò s a r à m egl io ch e m i d e c id a a co mp er a re u n p a io d i s c a r p e a d at te. (M e e l a m i a fi s s a z ion e
d i non p o s s ed ere più d i u n p a io d i s c a r p e p er volt a..)
Ehi! D ove s ei fi nito?
Ah, e c coti! L' h o c apito che p er te che s ei pu re b a s s o muover ti qu a d entro è u n gio co d a
r a g a z zi, p erò t'a s sicu ro ch e sto facend o d el m io m egl io p er s egu i r ti n on o st a nte ' sto co s
che..
Perchè va d o i n gi ro con u n m enhi r? O b el l a! Perchè.. B eh, m a è chi a ro: io va d o i n gi ro con
u n m enhi r p oichè.. u h..
S a i che n on lo s o? D ac chè h o m e m or i a, u n m enhi r d a p a s s e g gio ce l' h o s e mpre av uto: è
co m e s e face s s e p a r te d i m e. For s e ch e u n elefa nte s'è m a i chie sto p erchè h a l a prob o s c id e?
Fa i pre sto, t u, a s cuotere l a te st a d er id en d o m i: p er te è tut to co sì fac i le, d a c api re. M a io?
Io.. B oh, non lo s o. L'u nic a co s a ch e s o è che d av vero n on m i r ie s ce, d i s enti r m i fa m i l i a re a
que sti luo gh i. M a a nch e que sto t u lo s ap evi gi à, d ico b ene? Ha i s e mpr e l 'a r i a d i s ap erl a
lu n g a, t u . M a d ove si a m o? E d ove ac c id enti sti a m o a nd a n d o? Io co m i n c io a st u fa r m i! Epp oi
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m i st a venend o a n ch e fa m e: che ne d ic i d i a n d a re a ved ere s e nei p a r a g gi t rovi a m o qu a lch e
c i n gh i a le? Per u n r apid o spu nti n o, c i nque o s ei d ov rebb ero b a sta r e..
A ster i x! A l lor a? M i st a i a s colt a n d o oppu re n o?! (B ah. Va l lo a c api re, quel lo: si avventu r a
t r a le ro c ce co sì, p er sp or t o p er c apr ic c io, o p er chi s s à qu a le st r a m a led et to m otivo.. E io?
Io s on o più s ce m o d i lu i, d a l m o m ento che lo s eguo i n que ste st upid i s si m e esplor a z ioni.
È for s e tu a i nten zione c ib a r ti d i c a r n e d i pipi st rel lo? (I nuti le: n on m i s ente. O ppu re fi n ge,
d i non s enti r m i.)
Toh? Una r a n a?! E ch e c i fa d a que ste p a r ti?
Ehi l à, si mp atico b atr ace! Ti s ei s m a r r ito?
BOINGBOINGBOINGBOINGBOINGBOING...
'n d o va i, st upid i na? L'u s c it a st a d a quel l 'a lt r a p a r te!
Uffa, m i c i m a n c ava s olo u n a r a na con u n p e s si m o s en s o d el l'or ient a m ento. Non ch e i l m io
si a p a r ticol a r m ente m i gl iore d el suo, pu r tut t avi a..
Ueh, r i mb a mbit a: lo v uoi c api re o n o, ch e h a i c a nnato st r a d a? Tor n a i nd ietro!
A ster i x, h a i m ic a vi sto u n a r a no c ch iet t a verd e ch e.. O h b e', l a s c i a m o st a r e: d a m m i s olo
u n m i nuto ch e va d o a r ip e s c a rl a, ok ay? Tu i nta nto tieni m i d'o c ch io i l m enhi r: tor no sùbito.
E cor r i cor r i cor r i cor r i cor r i ..
E b oi n g b oi n g b oi n g b oi n g b oi n g..
E cor r i cor r i cor r i cor r i cor r i..
E b oi n g b oi n g b oi n g b oi n g b oi n g..
Ahò: n on st a fer m a u n atti m o, quel l a for s ennat a. (PA NT ! PA NT!)
Tut to que sto cor rere m i h a m e s s o add o s s o u n l a n guori n o! Qu a si qu a si m e l a p app o. C er to
non è u n c i n ghi a le, m a n on c red o propr io che giù p er que sti t u n nel s ot ter r a nei m i si
pre s enter a nn o m olte o c c a sioni d i i mb at ter m i i n c ib o m i gl iore. Mo' fac c io u n s ac cot ti no
r ipieg a n d o que st a fet t a d i p a n c a r rè, lo l a s c io ap er to su l l a s o m m it à tip o con o gelato, e vad o a
c at tu r a re i l m io pr a n zo.
Pic col i na a a? Non e s s ere a ntip atic a: si i a ntip a stic a !
E cor r i cor r i cor r i cor r i cor r i..
E b oi n g b oi n g b oi n g b oi n g b oi n g..
E cor r i cor r i cor r i cor r i cor r i..
E b oi n g b oi n g b oi n g b oi n g b oi n g..
(Ah nf! Ah nf! Ah nf!) Co m e c a spit a fa r à con quel le z a mp et te co sì e si l i a zo mp a re a que sto
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m o d o s en z a st a n c a r si m a i, r i m a ne u n m i stero! Ah m a io m ic a m i d o p er vi nto, qu a nt'è vero
che m i ch i a m o O b el i x e ne s su n a r a n..
H EY! M a.. Io n on s on o O b el i x !!
U h m .. E s e n on s on o O b el i x.. v uol d i re che.. Oh c avolo: si gn i fic a ch e sto s o gn a n d o!
In un solo istante quella ritrovata consapevolezza mi precipitò perfettamente cosciente e
sveglio all'interno del mio corpo addormentato. Non feci in tempo a racapezzarmici, che già
mi libravo per aria a grossomodo una trentina di centimetri sopra il mio volto. Mi guardavo
dall'estern.. Beh, non è esatto dire che mi guardavo: avevo una percezione di me come se mi
vedessi, ma non è che mi “vedevo”.. Che disastro!
“Probabilmente si tratta soltanto di un altro sogno strampalato.”, e provai a
riaddormentarmi.
Sorpresa: non ci riuscivo.
“Per forza: sono già addormentato!”
Ben presto dovetti arrendermi all'evidenza che si trattava di un'esperienza paranormale: il
genere di riprova che avevo inutilmente aspettato per anni.
“Chissàcome, però, ritrovarmici in mezzo non è che mi gasi granchè. Siamo alle solite:
attento a cosa desideri, perchè potrebbe avverarsi.”
Per attinenza mi tornò in mente una delle più belle canzoni di Black, che in quel momento
pareva descrivere proprio la mia anomala situazione: sometimes at night, when you're alone
inside your bed, thinking of the things that have been said.. sometimes your mind begins to
go in directions you don't like.. you can't resist the flow, but if you listen.. then you might.
“Precisamente: una mente staccata dal corpo, che non sa come fare a muoversi.”
Provai a sbracciarmi, a nuotare a rana, a sforbiciare con le gambe o a muoverle appaiate
come la pinna caudale di un delfino – ma per quanti sforzi facessi, continuavo a fluttuare
indefinitamente a mezz'aria. Oltretutto col timore di ritrovarmi capovolto, allora sì che
sarebbe stato pure peggio.
“Ecco, appunto: vediamo di evitare l'effetto Asteroids.”: il bisnonno dei videogiochi spaziali,
in cui si guida un'astronave che sbanda attraverso lo schermo in preda a movimento
inerziale. Metterla in moto è facile, ma farla frenare è un casino pazzesco.
L'unica cosa sensata che mi rimaneva da tentare era proiettarmi in un altro sogno. Peccato
non avere a portata di mano il manuale del touring club per il volo astrale.
Così ripensai alla canzone che mi era tornata in mente sulla scia del mio proverbio inglese
preferito: “Certe volte di notte, lì da solo nel tuo letto..”, e fin qui ci siamo. “Mentre ripensi
alle cose che sono state dette”, ad esempio da Gino. “Accade talvolta che la tua mente
prenda ad andare in direzioni che non ti piacciono..”, tipo appunto ritrovarsi a galleggiare
per aria. “Non puoi resistere al flusso”: pure questo assodato, visto che nonostante tutti i
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miei sforzi si era rivelato impossibile oppormi alla corrente che mi aveva trasportato fuori
dal corpo – e sulla quale stavo mio malgrado galleggiando come una zattera in aperto
oceano.
“Se però ascolti, forse potresti farcela.”
«Ascoltare.», ripetei a me stesso. «Devo imparare ad ascoltare. Le mie sensazioni, certo!
Non so perchè, ma questa condizione di incorporeità non mi è affatto nuova. Anzi: mi torna
quasi familiare – sebbene proprio non mi riesca di ricordare come mai.»
È proprio vero, che una volta imparato ad andare in bicicletta non lo si dimentica più, ma
come la mettiamo se per colpa di un'amnesia hai scordato di aver imparato a pedalare? Sei
capace di farlo ma non ricordi più di averlo già fatto: un bel casino!
«La questione a questo punto è: come ne esco? Si accettano suggerimenti. E intanto quel
babbeo del mio corpo laggiù non fa altro che ronfare.»
Il tempo passava ed io ero sempre lì – fuori di me, e non per mero modo di dire.
Il disagio ben presto si tramutò in un misto di panico e costernazione tipo quando da
piccolo hai fatto il danno rompendo un vaso, e non hai la benchè minima idea di come fare
ad aggiustarlo prima che qualcuno scopra la tua marachella. Ma nel mio caso non c'era
ragionevolmente da aspettarsi l'arrivo di nessuno, a rimettere le cose a posto in vece mia.
Inspiegabilmente, a un certo punto mi rendo conto di aver fatto ritorno all'interno del mio
corpo. Non ero più un puntino privo di dimensioni fluttuante nell'infinito: ero chissàcome
tornato ad avere braccia, e gambe, e una testa, mani, piedi..
«Forse tra le migliaia di pensieri ho evocato quello giusto. O è stato il mio corpo a
richiamarmi a sé. Magari era scaduto il tempo previsto per quell'insolita gita, oppure esiste
una sorta di meccanismo di sicurezza che provvede a resettare la situazione dopo un certo
numero di tentativi andati a vuoto..»
Le ipotesi si sprecavano, ma ci avevo azzeccato al primo tentativo.
Mi ridestai, sentendomi perfettamente a mio agio – con quel senso di benessere un po'
artificiale che si sperimenta alla fine di una seduta ipnotica: un contentino come quando da
bambino il dentista ti dà il leccalecca se hai fatto il bravo mentre lui ti esaminava i denti.
Provai a stiracchiarmi, più che altro per il gusto di comandare al corpo e venire ubbidito,
ma “quello lì” era ancòra completamente KO – ma occorse solo un altro po' di tempo, e
alla fine tutto si normalizzò.
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61
Q
uando mi alzai dal letto erano sul serio le tre del pomeriggio. Fischiettando
spensieratamente, salii in cucina a prepararmi una tardiva colazione.
«Interessante.», arcuando il sopracciglio proprio come fa il signor Spock. «È un po'
come se la sfuriata di ieri sia servita a far piazza pulita di tutta la tensione che avevamo
accumulato.»
Risi di me nel rendermi conto che stavo parlando da solo, poi feci caso anche a un'altra
cosa:
«Toh che strano: ho usato il plurale. Sta' a vedere che..»
DRINN! (Perchè il telefono di sopra ha sempre avuto per suoneria un
assordante campanello.)
«Se è Erasmo, giuro che stavolta gli riattacco in faccia.»
Invece era Alessandro, con le orecchie basse e la coda fra le gambe:
«Ehi.»
«Carissimo!», esordii pimpante “a braccia aperte”.
«Io..»
Esitò: certo non si aspettava un'accoglienza simile.
«Tu..?», lo invogliai.
«Échenonsopropriocomescusarmi.», tutto attaccato.
«Dunque non farlo. Che bisogno c'è?»
Mi sa che ero un po' troppo frizzantino, per i suoi gusti:
«Mi stai prendendo per il culo?»
«Veramente preferirei cominciare con una cenetta romantica a lume di candela.»
La battutaccia l'aveva capita, ciònondimeno non era sua intenzione lasciarsi sciogliere:
«Vuoi dire che non sei arrabbiato?», alquanto meravigliato del fatto.
«Ti sembro forse arrabbiato?»
«Beh no, però..»
«..sospetti che io stia fingendo.»
«E! In mancanza di un modo più carino per dirlo..»
«Suvvia, Focci: lo sai che io sono negato, quanto a fingere!»
«Come mi hai chiamato?», e a ridalli col tono paranoico.
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«Col tuo nome, no?»
«Ripetimelo un po'?»
«Che, ti sei ammattito?»
«Ripetimi la frase di prima: fammi il favore.»
Incominciava a scaldarsi. Ed era un vero peccato – perchè se strabordava un'altra volta,
mi sarei convertito anzitempo a fare colazione col tè.
«Un attimo solamente, scusa: vado a togliere il bollilatte dal fuoco.»
Nel frattempo coglievo l'occasione per far mente locale a riguardo delle esatte parole che
gli avevo detto. La prima era stata sicuramente “Suvvia”, visto che mi ero auto-assegnato
un bonus di 1000 punti per aver impiegato un termine di uso così infrequente.
«Urca: “infrequente”! Fanno altri mille punti di bonus!», esclamai riprendendo la cornetta
del telefono.
«Adesso chi dei due si sarebbe ammattito?»
«Ops! Pensavo ad alta voce. Allora, vediamo un po': se la mia proverbiale memoria
casinista non mi abbandona, avevo detto “Suvvia, Alessandro: sai benissimo che sono
negato, quanto a fingere.” Oppure: “Suvvia, Alessandro: dovresti saperlo che io sono
negato a fingere.” O magari una combinazione delle due.»
«Lascia stare: mi basta. Si vede che avevo sentito male.»
«Perchè? Tu che cosa avevi capito?»
«Niente, niente.. Senti: ci possiamo vedere?»
Mi morsi le labbra per tacitare il trillo di giubilo che stava per esplodermi dalla gola:
«Certamente: quando vuoi!»
«Ti devo parlare.»
Quel tono improvvisamente serioso mi aveva allarmato:
«A riguardo di ieri sera, immagino.», replicai pacato, camaleontizzandomi empaticamente
all'istante nell'assumere il suo medesimo stato d'animo.
«Ci hai ragione: ti devo una spiegazione anche su quello, ma..»
«Come sarebbe a dire “anche”?»
Io già speravo per il meglio, ossia che stesse facendo il primo passo verso quel
chiarimento fra noi che io continuavo a procrastinare in attesa di tempi migliori.
«Stanotte mi è successa una cosa pazzesca, e non può essere stato altri che Gino.»
«Vuoi dire.. Angelo.»
«No: voglio proprio dire Gino. E spero di non aver fatto un danno irreparabile.»
«Intendi dire.. con lui?»
«Sì, con Gino. Ma se deciderete di estromettermi, io capirò.»
«Ehiehi: frena! Ma non sei stato mica tu, ad andartene?»
«È vero.», ammise arrendevole con un tono da cane bastonato. «Mi sono comportato da
vero pirla. Scusa se ti ho telefonato: è che speravo che..»
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«Cosa. Cavolo. Stai. Dicendo.», scandii.
«Vuoi dire che non mi tagliate fuori?»
«Io non potrei mai ferirti, Alessandro, figuriamoci addirittura tagliarti!»
«Uhm.. direi proprio che questa qui era persulserio contorta.»
«Dovrò pure adeguarmi ai tuoi livelli di paranoia, no?», replicai.
«Touchè. Senti, allora.. verso che ora ci possiamo vedere?»
«Che ne diresti di.. adesso?»
«Forse è un po' troppo tardi.», reggendomi il gioco in quel botta & risposta surreale.
«Facciamo prima?»
«Facciamo prima. Sei pronto?»
Avevo capito dove voleva andare a parare, così sorrisi e cominciai la conta:
«Al tre: uno.. due.. e tre.», alchè entrambi esclamammo “Primaaaa!”
Al suo classico “Yuk yuk” si sovrappose sarcastica una voce fuori campo:
«Noi usciamo. Alle sette meno dieci vedi di renderti un po' utile mettendo l'acqua sul
fuoco.»
«Chi era? Un benaugurale alchimista?»
«No: era la Petèga, mia madre. Lei e mio fratello stanno uscendo a comprargli le scarpe.»
«Antica usanza di famiglia?»
«Che vuoi dire?»
«Beh, Ernesto ha un anno più di me, e se per le sue scarpe si mobilitano tutti..»
«È che poi vanno anche al supermercato a fare la spesa, e serviva aiuto.»
«Dunque Ernesto si porta dietro la vecchia madre come bracciante, eh?»
«Ma no! È mia madre che..»
«Yu-huu?», della serie: stavo solo scherzando.
«Adesso sono solo, in casa. Ti va di fare un salto qui?»
«Dammi appena il tempo di cambiarmi, e sono lì da te.»
In men che non si dica, lo stavo già seguendo attraverso il corridoio – emozionatissimo al
pensiero che finalmente mi avrebbe fatto entrare in camera sua.
«Senti, è da un po' che volevo chiedertelo: chi ci abita, al piano dabbasso?»
«Quello è l'appartamento dei nonni.», detto sbrigativamente come a lasciar intendere che
fosse un argomento poco gradito.
“Tre anni che ci conosciamo, e non me li ha mai neppure menzionàti. Chissà se ci abitano
ancòra..”, riflettei. “Si direbbe di no: là sotto è sempre tutto buio e in silenzio. Forse se ne
sono andati dopo quel maledetto incidente. Forse è per questo, che lui non ne vuole parlare.
E poi chissà se sono ancòra vivi..”
Sulla sinistra, il soggiorno. In fondo, la cucina / sala da pranzo che dava sul bagno. E,
proprio sul gomito del corridoio che proseguiva a destra, una stanza in allestimento che
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aveva tutta l'aria di esser stata abbandonata così da anni, come predestinata a rimanere
incompiuta: col pavimento di cemento ancòra da piastrellare, e rudimentali tendoni di
cellophane trasparente semirigido per isolarla dal resto della casa.
Camera sua era situata giusto davanti a questo squarcio architettonico.
Non ho mai osato domandarglielo, ma ho sempre sospettato che in qualche modo si
trattasse di una scelta ben precisa per commemorare il padre: geometra nonchè (presumo)
autore del progetto della casa. Come se quella voragine disadorna nel cuore della dimora di
famiglia rispecchiasse, con una poesia sublime e malinconica, il vuoto lasciato nei loro
cuori da papà Sergio – che se n'era andato prematuramente, abbandonando dietro di sè un
buco nero di cose non fatte e non dette nella loro vita.
Una scelta un po' lugubre, forse, ma mirabilissima al punto da suscitare in me il più alto
rispetto. Tanto che passandoci davanti dovetti frenare l'istinto di fermarmi onde chinare il
capo in segno di deferenza, come anche per un laico è d'uopo fare in chiesa o al cimitero.
Oggi so che non mi sbagliavo: quella stanza vuota era a modo suo il sancta-sanctorum
della casa, il naos del tempio che ospitava lo spirito del padre di Alessandro. Possa egli
riposare in pace.
«Siediti pure.», spegnendo il computer, posto su un mobiletto bianco e traballante ai piedi
del suo letto.
«Dove?»
«Dove vuoi.»
Rimasi invece per un altro po' appoggiato con la spalla allo stipite, guardandomi intorno.
Sulla sinistra, un combinato letto + armadio che ricordava quello della stanza degli ospiti
che era stato il mio – di legno impiallacciato scricchiolante, che incombeva sopra i miei
sonni cigolando come una spada di Damocle.
«Qui ci dorme tuo fratello?»
«Ci dorme Samuele.», puntualizzò. Come se Samuele fosse una specie di estraneo, o nel
migliore dei casi un lontano parente. «Ernesto sta nella stanza accanto.», indicandola col
pollice come a fare l'autostop.
Sul bordo del letto, pile di cassette musicali in ordine sparso: alcune con la custodia, altre
senza, custodie vuote, libriccini millelire.. Scaffali sopra il letto, e accanto un armadio
dov'era appiccicato il poster di.. Moana Pozzi? Samantha Fox? Marilyn Monroe? No: un
supermacho bodybuilder a torso nudo, a cavallo di una motocicletta stile “Easy riders”.
«E questo chi sarebbe?», domandai simulando noncuranza.
«Non lo conosci??», manco fosse una star hollywoodiana.
«Dovrei?»
«Ma è Beppe Maniglia C108: il famoso artista di strada emiliano!»
«Mai sentito.»
Lanciai un paio di occhiatine furtive in giro, per scovare perlomeno un poster
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complementare – sì insomma: un paio di tette che controbilanciassero cotanta dovizia di
bicipiti e pettorali virili. Zero al quoto: di pin-up neanche l'ombra. C'era invece..
«Un altro poster di Beppe Maniglia?!»
Incredulo, mi appropinquai all'armadio di Alessandro.
«Ah, quello poi è un pezzo raro.», si pavoneggiò lui. «Si tratta di un manifesto
pubblicitario con le date dei suoi spettacoli, che ho staccato personalmente dal muro dov'era
affisso.»
Giuro che io la pazienza di staccare lembo a lembo e con la massima cura un foglio
appiccicato con la colla sopra un muro, non ce l'ho mai avuta e non ce l'avrò mai – né, se è
per questo, il fegato di perpetrare quello che ha tutta l'aria di essere un mezzo furto.
«Puoi toccarlo, se vuoi. Li senti i bozzetti?»
«Ti riferisci ai BB o ai segni lasciàti dall'intonaco?», ironizzai.
«BB?»
«Mica Brigitte Bardot, neh? Bulging Biceps: bicipiti gonfiàti, stile Rambo.»
Ignorò tout-court la mia domanda e si mise a raccattare i fogli sparsi sul suo letto, situato
nell'angolo diametralmente opposto alla porta d'ingresso. Proprio il letto che così tante volte
mi ero provato ad immaginare prima di addormentarmi, e che ora mi faceva così strano
trovarmi davanti – inondato di luce dall'unica finestra, lunga e stretta, posta sulla sommità
della parete come lo sono spesso i lucernai dei garage.
«Che c'è, là fuori?», domandai curioso e petulante come un ragazzino.
«Il giardino sul retro. Oddio, “giardino”: più che altro è un prato.»
«Qualcuno un tempo disse che i computer avrebbero rovinato l'industria della carta.»,
osservai allusivo mentre lui riponeva il mazzo di fogli nell'ultimo cassetto in basso
dell'armadio. (Già strapieno, peraltro.)
«Si vede che quel tale non ha mai fatto l'università: tra appunti e certificàti per
l'immatricolazione, senza contare le relazioni di laboratorio che presto comincerò a fare..»
Ero riuscito a farmi rivelare che roba fossero senza doverlo neppure chiedere: un modo di
procedere che era ormai diventato un'abitudine con Alessandro, così come con tutte quelle
persone che si sentono spiate se poni loro troppe domande.
L'avergli carpito informazioni a quel modo però mi fece sentire a disagio, e prontamente
mi s'innescò nella testa l'ennesimo “processo a me stesso” – sorta di antivirus automatico
col quale sorveglio il mio operato 24 ore su 24.
«Embeh? Ti sei incantato?»
Mi ero cacciato in un loop ricorsivo di pensieri stringi-stringi inconcludenti.
«Ops.», che parevo il computer che fa BIP quando pigi il pulsante di reset.
«Guardavi nel vuoto tipo Robocop mentre riceve ordini via radio..»
«Ci sei andato vicino.», ammisi. «Estemporaneo esamìno di coscienza.»
«A quest'ora?»
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«Perchè? Esiste forse un'ora prestabilita per farlo?»
«Conosco gente che lo fa per abitudine ogni sera dopo aver recitato l' “angelo custode”.»
«Per tua norma e regola: il mio non è un fatuo pro-forma, ma una cosa seria. Di quelle per
le quali tu e Angelo mi schernite spietatamente.»
«Angelo, semmai: io ti ammiro.»
Sgranai gli occhi:
«Lo dici sul serio?»
«Se così fosse, avremmo l'acqua alle caviglie. Anzi: saremmo completamente sommersi,
visto che ci troviamo in un seminterrato.»
Era la solita vecchia battuta trìta e ritrìta a riguardo del fiume Serio, ma non raccolsi:
«Facciamo finta che io abbia già riso, se non ti spiace.»
«Tu me la racconti sempre!»
«Sì, però detta da me fa ridere di più. Eppoi solo io sono autorizzato a farla, dal momento
che i miei avi hanno antiche origini nel bergamasco..»
«Ma allora sei un barbaro!»
«Senti chi parla! Che mi dici dei tuoi progenitori? Della Briganza, per via materna, e
saccheggiatori saraceni poi stabilitisi nei paesi slavi sul versante patern..?»
Mi morsi la lingua, ma oramai era troppo tardi. A rammentarmi di aver fatto una mezza
gaffe, toccando un tasto così dolente da rappresentare un tacito tabù, non furono tanto gli
occhi di Alessandro quanto quelli di suo padre – che mi sentivo addosso come due fari
puntàti, dalla fotografia incorniciata in argento che teneva sul comodino.
«Constato che ti sei perso ancòra. Facciamo così: mentre tu ti guardi in giro, io vado di là
a preparare un po' di tè. Ti va?»
La nuvoletta, anzi: il fumetto dei miei pensieri si dissolse con un PUFF!
«Sfuso o in bustina?», domandai prontamente.
«In bustina.»
«Ce l'hai un colino?»
«Sì, ma.. a che cosa ti serve? Ti ho detto che uso le bustine..»
«..che poi lasciano quel “buon” sapore di carta assorbente nel tè: no grazie. Se non ti è di
troppo disturbo, preferirei occuparmi io del tè.»
«Allora anch'io mi occuperò di te.»
«Prego??», deglutii.
«È la prima volta, che non capisci una battuta: stai forse invecchiando?»
Ripensai alle mie parole e ci arrivai:
«“Occuparmi io del tè”: eurèka.»
«Non si dice mica “eùreka”?»
«Chennesò, Alessandro? Lo chiedo a mio zio che insegnava greco e poi te lo faccio
sapere, okay?»
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«Faccio prima a chiederlo al mio. Comunque: andiamo a preparare il tè, chè poi ti
racconto tutto.»
«Sarebbe anche ora.», e lo dissi soprattutto per il rispetto dovuto a te che sei mio paziente
lettore.
«Biscotti?»
«No grazie: latte e zucchero.»
«Zucchero? Ma il caffè non lo prendi amaro?»
«Questo infatti è tè. E te mi piaci dolce.»
E due.
«Come hai detto?»
«Che il tè mi piace dolce, perché?»
«Niente: avevo capito male.»
«Osserva attentamente, chè t'insegno l'antica tecnica ninja per filtrare gli infusi.»
«Capirai che ci vuole!», e cominciò a versare dalla teiera al colino.
«Eh no, bello mio: così son capàci tutti, ma alla fine rimane del tè sul fondo.»
«Troppa fatica pulire la teiera?»
«Anche, ma è soprattutto questione di karma yoga: fare ogni cosa al meglio. Permetti?», e
gli feci cenno di passarmi gli strumenti del mestiere. «Vedi? Mescolando il tè nella teiera..»
«Si crea scompiglio in un microcosmo..», come avevo già avuto occasione di fargli notare.
«Sì. Solo che scompaginando quest'universo in miniatura non solo si facilita il rilascio di
tutto l'aroma, ma si crea un vortice tale per cui..»
..e versai il tè nella tazza, lasciando la teiera perfettamente pulita poiché tutte quante le
foglioline erano state catturate dal vortice e trascinate fuori dal flusso accelerato.
«Spettacolo!», col candore di un bambino davanti a un gioco di prestigio ben riuscito.
Pur lungi da me l'intenzione di frenare l'entusiasmo di Alessandro, cambiai in fretta
discorso per sottrarmi all'imbarazzo che mi causano i complimenti – specie quelli sinceri,
specie quelli di cuore.
«Conosci anche la tecnica ninja per mescolare il latte?»
Mi aveva colto in contropiede.
«Osserva attentamente perchè dura pochi istanti appena.»
Due cucchiaini di zucchero, una vigorosa mescolata, e poi mentre il tè vorticava all'interno
della tazza versò lentamente del latte in un angolo. Risultato? Un serpentone bianco che
s'arrotolava su sé stesso, rincorrendo quello nero.
«Il simbolo del Tao!», sbalordii.
«Già. Non ho mai pensato a dargli un nome, ma lo potremmo integrare nell'antica tecnica
ninja.»
«Ottima idea. A proposito di reintegrarsi..», sorbendo un po' di tè. «Cià, su, racconta: a
cosa è dovuta questa tua improvvisa ri-conversione sulla via per Damasco.. anzi: sulla via
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per Angelo?»
«Questa notte (saranno state le due o le tre, non mi ricordo) mi sono svegliato per andare
in bagno.»
«Posto bislacco, per un'apparizione.», chiosai.
«Difatti non c'entra per niente. Il punto è che quando sono tornato in camera c'era una
custodia nera sul mio cuscino.»
«Tua madre porta gli occhiali, mi pare.»
«No. Cioè: sì – ma era la custodia di una cassetta. E non una qualunque: una nera.»
«Perchè ritieni che sia così rilevante?»
«Non ho finito di raccontare.»
«Skiusa.», mi rimpicciolii.
«Tanto per incominciare, a quell'ora dormivano tutti della grossa.»
«Lo credo bene.»
«E! Quindi.. Chi poteva avercela portata lì?»
«Forse è scivolata giù dalla testata del letto. L'ho notato, sai?, come voialtri
ammonticchiate le robe da queste parti..»
«Sì, ma.. (Come posso fare a spiegarti?) La cassetta si trovava proprio in mezzo al
cuscino: come se qualcuno ce l'avesse posata lì apposta, in bella mostra.»
«Ehi, frena un attimo. “Cassetta”? Ma non era mica una custodia?»
«Scusa: un lapsus. Ho precorso i tempi.»
«Guadagnando 1000 punti.»
«EEH?»
«È un giochino da scrittore che faccio con me stesso: tu hai impiegato un vocabolo poco
usato e..»
«Ah già, quello di prima per telefono.», detto con l'aria terribilmente annoiata. «Lascia
perdere, e piuttosto ascolta: la custodia, lì così e illuminata dalla luce della luna, mi aveva
spaventato perchè sembr..»
«Porta pazienza se torno ad interromperti, ma in casi simili m'incorre il preciso dovere di
fare l'avvocato del diavolo. Ragion per cui ti domando: che c'entra la luce della luna? Non
ci trovo nulla di minimamente paranormale, dal momento che hai la finestra proprio sopra
il letto.»
«Ma non è mai entrata con quella particolare angolazione! E soprattutto non è mai stata
così forte, sennò me ne sarei accorto: come potrei addormentarmi, con una specie di
riflettore da stadio olimpico puntato dritto in faccia?»
«Dormivi per caso con la finestra aperta?»
«Beh, visto che quel freddoloso di Samuele ieri sera era a dormire da una sua amica, e che
io qua dentro ci avevo passàto tutto il pomeriggio a studiare..»
«Il ricambio d'aria, ho capito. Lo faccio pure io. Comunque, tut..»
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«Ehi, aspetta un attimo: tu come facevi a sapere che era aperta?»
«Semplice deduzione. O meglio: inferenza.»
«E cioè?»
«Ma non capisci? Questo spiega tutto: si vede che il vetro, messo obliquo perché la
finestra era aperta, ha deviato e forse pure concentrato i fasci di luce lunare. Tipo un
prisma: un fenomeno naturalissimo.»
Mi guardava incredulo.
«Sarà senz'altro come dici tu, però mica finisce qui: siccome una strana inquietudine
m'impediva di avvicinarmi a quella che mi appariva come una sacra reliquia sull'altare, o il
pezzo più prestigioso di un museo esposto al centro della sala..»
Non commentai solamente perchè stavo sorbendo del tè.
«Sì insomma, per farla breve: se non fossi appena stato al cesso, me la sarei fatta sotto.»
«Autosuggestione.»
«C'era dell'altro, te l'assicuro: una consapevolezza strana.. tipo stare in una chiesa, ce l'hai
presente? Oh uffa, come faccio a spiegartelo?»
«Non ti spazientire: te la stai cavando più che egregiamente, te l'assicuro. Intendevi “un
che di sacro”?»
«Centro! In più era come se mi sentissi in dovere di fare penitenza.»
«Che vuoi dire?»
«Provavo un forte senso di colpa – nemmeno io lo so, il perché. O forse lo so, ma sta di
fatto che mi sentivo un verme per.. Dai, lo sai: per la scenata che ho fatto a Gino, ecco.»
«(Mi sfugge il nesso, ma lasciamo stare.) Ed è bastato questo, a.. “redimerti”?»
«Credo di sì.»
«Come sarebbe a dire, “credo”?»
«Sarebbe a dire che poi è successo dell'altro.»
«È comparsa la cassetta.»
«E tu questo come fai, a saperlo?!»: mi si scagliò convinto di aver individuato un lapsus
che dimostrava che si fosse trattato tutto di uno scherzo di cattivo gusto architettato da me.
“Niente male come paranoia, considerare plausibile l'ipotesi che pur di simulare un evento
paranormale io mi sarei infiltrato in casa sua alle due di notte.”, osservai fra me e me.
“Fondando oltretutto il mio astutissimo piano sull'improbabilissima eventualità che lui si
svegliasse per andare in bagno..”
«Il tuo lapsus di prima.», mi limitai a rispondere senza batter ciglio, sorbendo altro tè.
«Ah già.»: arrossì, rendendosi conto dell'ennesima gaffe, e si calmò.
«Il resto però devi raccontarmelo tu, perchè io non lo so. E disgraziatamente ancòra non
mi riesce di leggerti nel pensiero.»
Mi scrutò titubante, come se nutrisse dei dubbi a riguardo della sincerità di almeno una
delle mie ultime due affermazioni, ma poi – come allontanando da sè il pensiero che potessi
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effettivamente esser arrivato a tanto – si spiegò:
«Ero venuto qua in cucina a bere un bicchier d'acqua. Per calmarmi. Per razionalizzare.
Ed ero quasi riuscito a convincermi che, come dicevi tu, si trattasse banalmente di una
custodia cascata giù dallo stereo. Quando..»
«Quando?»
«Torno in camera e la custodia è sparita. E al suo posto c'è una cassetta.»
«La cassetta.»
«Per l'appunto.»
«Che cassetta?»
«Una vecchia cassetta di Vasco Rossi. C109»
«Ritieni che fosse in qualche modo correlata alla custodia?»
«Sì. Primo, perchè la custodia era vuota..»
«Ne hai a bizzeffe, di custodie vuot..»
«Secondo», calcando la voce seccato che l'avessi interrotto, «perchè le custodie nere non
si usano più da un pezzo.»
«Ah bom, adesso capisco cosa intendevi dire.»
«Ai tempi di quella cassetta si usavano ancòra le custodie nere, oggi soppiantate da quelle
interamente trasparenti. Proprio come sta accadendo adesso con gli ultimi CD in uscita.»
Sbattei le palpebre.
«Ma non capisci? Evidentemente la custodia aveva richiamato a sé la cassetta: il
contenitore s'era ricongiunto al contenuto, sua unica ragione d'essere!»
«Ammetto che l'ipotesi regge. Reggerebbe meglio, però, se nella custodia ci fosse stata la
copertina dell'album di Vasco.»
«Proprio qui sta il punto!»
Guardai scherzosamente sul tavolo, accanto alla mano di Alessandro, fingendo di cercare
un segno sulla superficie del tavolo:
«Dove? Io non lo vedo.»
«Perchè non mi prendi sul serio?», protestò lui aggrottando la fronte.
«Perchè sono un balordo. Scusami: in simili frangenti è più forte di me, voler
sdrammatizzare.»
«Dicevo: quella copertina l'avevo persa. Anni fa. Proprio come tu avevi smarrito il cartello
della tua gatta!»
«Quello che Gino ha fatto riapparire?»
«Sì.»
«E perchè hai associato la copertina di una tua cassetta con un mio cartello?»
«È precisamente questo che mi ha sconvolto: non lo so perchè l'ho fatto, ma l'ho fatto!
Significa qualche cosa, secondo te?»
«A questo punto direi proprio di sì. L'hai ascoltata, la cassetta?»
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«È chiaro: l'ho immediatamente infilata nel walkman.»
«L'hai ascoltata tutta?»
«Tutta.»
«E facendolo hai scoperto qualcosa d'altro?»
«Eccome! Era indirizzata precisamente a me: un chiaro messaggio di Gino, che ha tutta
l'aria di essere il completamento delle cose che mi ha detto ieri.»
«Posso vederla?»
«Corro a prendertela.», e si dileguò.
Come ebbe svoltato l'angolo, cominciai a sentirmi a disagio – quasi non fossi solo e una
misteriosa presenza incombesse su di me. Controllai tutt'intorno e pure sotto il tavolo,
casomai Alessandro si fosse dimenticato di dirmi che aveva un gatto o altro animale
domestico, ma.. nulla.
Chiusi gli occhi: l'unico segnale tangibile della presenza di qualcuno era il rumore di
Alessandro che rovistava tra le cassette. Eppure, nonostante tutte le evidenze mi dessero
contro, non riuscivo a convincermi quando ripetevo a me stesso che in casa c'eravamo solo
noi due.
Non rimaneva che un unico posto, dove non avevo ancòra guardato: la parete alle mie
spalle. Mi voltai e..
«Bingo.»: la gigantografia della stessa foto sul comodino dominava l'intera cucina.
Conclusi frettolosamente che si trattasse solo di un modo per avere sempre il papà a
tavola con loro, senza riflettere adeguatamente sul fatto che non era un ritratto a grandezza
reale ma un ingrandimento tale da trasformare la presenza del defunto capofamiglia in un
solenne colosso murale.
«Strano che io non ci abbia fatto caso, entrando. E ancor più strano che mi abbia fatto
sentire spiato senza neanche sapere che ci fosse, quasi si fosse attivato solamente in un
secondo tempo..»
A quel pensiero, un brivido mi percorse la schiena:
«The big brother is watching you', the caption below it read.», sussurrai, citando a
memoria un passo del libro che in assoluto ho letto e riletto più volte. (Quando ancora “il
grande fratello che ti osserva” non era una stupida telecamera di uno stupido reality show.)
Fatto sta che quel ritratto color seppia, vagamente fumoso e sbiadito nei contorni come le
foto d'epoca, mi aveva sempre colpito per avere un che di sinistro (per la precisione: di
spettrale) nel suo modo torvo di seguirti con lo sguardo ovunque tu ti ponessi ad osservarlo.
Se fossi stato Edgar Allan Poe, ne avrei certamente tratto un eccellente racconto del
brivido: vi era un che di morboso, a tratti necrofilo, nell'incombere ossessivo di quella
fotografia – che sarebbe stata bene solo su una tomba, e invece ti tendeva l'agguato ad ogni
più remoto angolo della casa. Ti voltavi e.. zac!, gli occhi del defunto fissi su di te nel loro
implacabile “memento Mori”.
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«Eccomi qua!»
Sussultai, colto di spalle.
«Che c'è, ti ho spaventato?»
Alessandro appoggiò la cassetta sul tavolo, imponendosi di ignorare il fatto che stavo
fissando suo padre dritto negli occhi. Distolsi lo sguardo pur di non imbarazzarlo, ma
dovetti rimbalzar via pure dai suoi occhi per non farlo sentire doppiamente imbarazzato –
in dovere cioè di parlarmi di lui.
«E così sarebbe questa, eh?», rigirandomi la cassetta tra le mani.
«M-h. E non finirà mai di stupirmi.»
«Perchè?»
«L'avevo lasciata sopra lo stereo, ne sono sicuro, e invece è finita sotto tutte le altre. Si
vede che voleva giocare un po' a nascondino, come le monetine con te.»
«Oppure, che tua madre ha rassettato la tua stanza.»
«Se lo dici tu. E quindi?»
«Quindi che?»
«E! La cassetta. Non ti dà delle.. vibrazioni?»
Lo inchiodai alla parete con un'occhiataccia sbigottita.
«Chennesò? Vibrazioni, sensazioni, visioni, intuizioni..», elencò.
«In altre parole, tutto ciò che finisce per -oni?»
«Proprio. Escluso “li mè' cojoni”. Allora.. niente, vero?»
«Beh.. a dire il vero..»
Inutile cincischiare: dovetti arrendermi a deluderlo.
«In tutta onestà, no. Mi dispiace. Ma è Angelo, quello che si occupa degli.. “effetti
speciali”. Se vuoi posso passarla a lui.»
«No no, fa lo stesso. Eppoi parlarne mi ha fatto tornare la voglia di ascoltarla: mi aiuta a
riflettere.»
«In che modo? Ma soprattutto: su cosa?»
«A te piace Vasco?», cambiando apparentemente discorso.
«Non che io lo conosca particolarmente bene. È bufo.»
«“Bufo”? Ma non ce ne vogliono due, di effe?»
«No. “Buffo” è un'altra cosa: è un aggettivo blu col cappuccetto bianco. Mentre “bufo” fa
u-hu.»
«Ti sei ammattito?»
«Può darsi.», strizzando l'occhiolino. «Scherzi a parte: io uso “buffo” soltanto nel senso
comune di “cosa divertente e spiritosa”. Suppergiù.»
«E.. bufo?»
«“Bufo” è un che di buffo ma anche stravagante, misterioso.. per esempio: uno gnomo
non è affatto buffo, ma è assai bufo.»
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(61)
«Quindi secondo te in realtà Vasco è uno gnomo?», scherzò lui.
«Chi può dirlo? Certo è un tipo bislacco tanto.»
«La conosci “Alba chiara”?»
«E chi non la conosce? Una splendida canzone – per quanto non condivida l'idea di finirla
a schitarrate.»
«È solo perchè tu non capisci il Blasco..»
«Se lo dici te.»
«Ne conosci altre?»
«“Vado al massimo”, poi quella sulla Coca Cola..»
«“Bollicine”. E poi?»
«Una in cui si vanta di fregare i bigotti.. sai, quella che nei concerti poi fa i gestacci col
dito medio.»
«“Siamo solo noi”.»
«Ah, ne dimenticavo una più recente: “Liberi liberi siamo noi, però liberi da che cosa?
Chissà cos'è?” Molto adatta alla nostra situazione attuale, direi.»
«“Non l'hai mica capito” la conosci?»
«No. Però Gerry mi ha prestato la sua collezione di Vasco..»
«Gerry? Vuoi dire Matteo?»
«Proprio lui. Per cui mi documenterò.»
«E “Anima fragile”?»
«No.»
«“Colpa d'Alfredo”?»
«Neppure. Che cos'è? Un interrogatorio oppure una specie di quiz a premi?»
«No, niente: sono quelle che mi hanno colpito di più. Soprattutto la prima, che poi è pure
la prima del primo lato della cassetta. È pazzesco, non trovi?»
«Che cosa?»
«Che una canzone destinata a me oggi sia rimasta lì in bella mostra sopra un nastro inciso
dieci anni fa.»
«Dieci anni esatti?»
«All'incirca. Perchè me lo chiedi?»
«Forse è importante. O forse non c'entra nulla.»
«Dovrei chiederlo a Gino. Pensi che mi accetterà ancòra?»
«Torno a ripetertelo: hai fatto tutto tu.»
«Io e Valeria.»
«Ecco, appunto: perchè non provi a spiegarmi quel che vi è preso, ieri sera?»
«Vorrei. Ti giuro che solo il cielo sa quanto vorrei!»
«Forse anche Gino.»
«Lui, poi, lo sa sicuramente: gliene ho proprio parlato. Ma con te non posso, mi spiace:
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(61)
dico davvero.»
«Fa' ciò che ritieni più giusto. Per come la vedo io, è come se tu ti trovassi in una stanza
buia davanti a uno specchio: se solo le permetterai di emergere dal tuo subcosciente, prima
o poi l'intuizione che aspetti arriverà – e sarà come se si accendesse una lampadina. A quel
punto dovrai “solo” decidere se guardarti allo specchio oppure fuggire rifiutandoti di
sostenerne la vista.»
L'allusione alla scoperta della sua vera identità sessuale era talmente palese che mi
aspettavo che lui quantomeno negasse la metafora – o cogliesse la palla al balzo,
approfittandone per rispondermi a tono qualcosa tipo “Non mi serve guardarmi allo
specchio, dal momento che non ho dubbi al riguardo.” Invece..
«Già.»: risposta piuttosto sibillina, che però mi portava a ritenere che concordasse con la
mia analisi.
Saranno state grossomodo le cinque, quando un Alessandro che sentivo
straordinariamente vicino mi accompagnò fin sulla soglia di casa sua – restando poi lì a
seguirmi con lo sguardo fino a che partii.
Avevo addosso una tale fretta di ascoltare quel nastro che mi dimenticai persino di
togliermi il cappotto.
«Ma dove accidenti sta, “Colpa d'Alfredo” C109? Stai a vedere che Gerry si è dimenticato
giusto quella..», frugando avidamente come un tossico in astinenza che non trovasse più la
sua dose quotidiana.
Pessimismo ingiustificato: tempo cinque secondi netti e la ricerca finì, coronata da
successo. Lasciai cadere sulla sedia il giaccone e mi fiondai sul letto col walkman –
infilandone però un solo auricolare, così se avesse squillato il telefono l'avrei sentito. Buttai
un'occhio alla sveglia e..
«Le 18.17?!»: ero allibito.
Non che i miei rapporti con l'algebra siano mai stati precisamente idilliaci, ma più di
un'ora per fare a dir tanto 5 kilometri, a una media di 60 km/h e in pressochè totale assenza
di traffico.. erano decisamente troppi.
«L'ho sempre detto, che la matematica è un'opinione. Qui però i conti davvero non
tornano.» (“E la zuppa si fredda.”, aggiunsi mentalmente, ripensando alla vecchia
barzelletta.)
«Dev'esserci per forza un errore: forse è un'ora avanti.. No: pure il videoregistratore segna
le 18.17.»
E pure il mio orologio da polso, che come sempre avevo lasciato sul computer. E pure
quello dell'agendina elettronica.
«Che cos'è? C'è stata una tempesta magnetica in camera mia?»: scherzavo, ma siccome
non si sa mai..
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(61)
Neanche: l'orologio del forno, la sveglia di mia madre, le radiosveglie dei miei fratelli..
Tutti quanti gli orologi della casa concordavano. Non contento, telefonai al servizio “ora
esatta”: stesso risultato.
Che fine avevo fatto?? Nessuno dei miei ricordi era in grado di riempire quel buco di
un'ora intera.
«Vabbè, arrovellarmici sopra adesso non porterà comunque a nulla: tanto non posso farci
niente. Alla prima occasione lo domanderò a Gino, ma adesso c'è qualcosa di ben più
urgente di cui occuparsi..»
Invece, perlomeno quanto a rivelazioni, fu un ascolto alquanto deludente: erano soltanto
canzoni che parlavano dei sentimenti che Alessandro provava per Valeria, o perlomeno
quella era l'idea che me n'ero fatto.
• “Non l'hai mica capito” descriveva lui, che non trovava il coraggio di rivelarsi a lei.
• “Anima fragile”, bellissima e struggente al pianoforte, la stessa rassegnazione dell' “Il
fatto è che..” (“noi che siamo lontani ormai da tutte quelle situazioni che ci univano”
alludeva ai tempi di scuola)
• “Colpa d'Alfredo” parlava di un “africano che non parla neanche bene l'italiano” che
aveva soffiato la donna a Vasco, esattamente come Angelo (di cui peraltro Alessandro
era solito prendere in giro gli strafalcioni lessicali) che si era intromesso fra lui e Valeria.
Anche quanto al resto, c'era ben poco da interpretare:
“L'uomo dai capelli lunghi (io) alla fine si stufa e se ne va, e quello dai capelli corti
(Alessandro) parte per cercarlo – ma per conto della gente che è rimasta, non perchè manca
a lui.”, rimuginai. “Però decide di non tornar più neanche lui: sarebbe un buon segno, se
rimanesse là in compagnia dell'uomo dai capelli lunghi – ma non è detto che l'abbia trovato:
forse si è semplicemente stancato di cercare. Insomma: tipico di Gino, non esplicitare i
passaggi, così da lasciare spazio a interpretazioni opposte in perfetto equilibrio fra loro..”
Alcune questioni sollevate avebbero però trovato risposta domandando ad Alessandro la
sua interpretazione:
“È lui, l'anima fragile che per non piangere cerca solo avventure e non amore? E le
sensazioni forti di chi, e quali? (Ora come ora mi verrebbe da collegarle al suo arrossire
quando Gino gli ha domandato se teme per la sua vita privata..)”
Tolsi entrambi gli auricolari: quello strano suono di sottofondo che da un po' andava
terribilmente fuori tempo.. era effettivamente il telefono!
«È questo il modo di farsi desiderare?»
«Scusami Angelo, ma davvero non mi spiego come sia potuto accadere: stavo ascoltando
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(61)
musica col walkman, però ricordo bene di aver appositamente messo un solo auricolare pur
di tener sotto controllo il telefono.. Si vede che mi son distratto e li ho indossàti tutti e due
sovrappensiero.»
La realtà mi si rimescolava proprio sotto al naso, e io neppure ci badavo: rimanevo così
stabilmente ancorato alla razionalità (con annesse & connesse razionalizzazioni forzate) da
non voler neanche notare le pesanti ingerenze paranormali di cui ero vittima, o piuttosto: lo
zimbello.
«Dimmi tutto.», esordì Angelo.
«Semmai dimmi tu: a che ora vuoi che ci incontriamo?»
«Ma non hai telefonato tu, dicendo che mi dovevi assolutamente parlare di una cosa?»
«Molto spiritoso davvero.»
«Ho qui un biglietto di mia sorella che dice: “Ha chiamato Alessio dicendo che ti deve dire
una cosa. Richiamalo nonappena arrivi.”»
«Non è possibile. Ti avrà fatto uno scherzo.»
Udii il rumore della sua mano appoggiata a coprire il ricevitore, e un:
“Margheritaaa!”. Poi più nulla, fino a che:
«Alessio! Sei sicuro di sentirti bene?»
«Certo. Perché me lo chiedi?»
«Mia sorella dice che eri proprio tu. Che hai chiamato verso le cinque e mezzo.»
«Roba da matti.», ammutolii.
«È forse accaduto qualcosa?»
«A questo punto è quel che vorrei sapere pure io.»
«Cerca di spiegarti.»
«Fino a circa un'oretta fa sono stato da Alessandro, chè gli è capitato un fatto strano che
lui ritiene essere un segno di Gino per lui..»
«Un segno di Gino? Ma se non ci credeva più!»
«È stato appunto il segno a fargli cambiare idea, ma te ne parlo dopo. Piuttosto: la cosa
veramente strana è che io sono uscito da casa sua verso le 5 e..»
«E?»
«E sono arrivato qui alle 18.17.»
«Ne sei sicuro?»
«A quanto pare il 17 è contagioso.»
«Ma allora quand'è che hai telefonato a mia sorella?»
«È proprio questo, il punto: mai! Eppoi scusa: da dove? Mica ci ho il telefono in
macchina!»
«Magari ti sei fermato in una cabina..»
«Non ci sono telefoni pubblici, nel tratto di strada fra casa mia e quella di Alessandro.»
«Forse hai fatto una deviazione. Hai già controllato il contachilometri?»
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«Sai che non ci avevo pensato? Ti richiamo io fra un minuto.»
Mi precipitai in garage a controllare, ma..
«Pronto!»: evidentemente aveva aspettato davanti al telefono.
«Rieccomi. (pant! pant!) Beh, senti: è pazzesco ma.. (pant! pant!)»
«Segna quel che deve segnare, e non un centimetro in più.»
«Già.», confermai, finendo di riprendere fiato.
«Stranissimo.»
«E lo vieni a dire a me?»
«Beh, senti: io stasera non posso uscire di casa per non dare troppo nell'occhio coi miei.
Facciamo che ci vediamo domattina, okay?»
«Veramente, Angelo, io speravo che tu mi offrissi una scusa plausibile per non esser
costretto a partecipare alla pizzata di stasera con gli ex compagni del Jean Monnet.»
«Vacci, invece: distrarti un po' non può farti che bene.»
«Dici così solo perchè non conosci la prontezza di spirito di un liceale. “Prontezza” si fa
per dire, MOLTO per dire.»
«Meglio ancòra: ti aiuteranno a non pensare. Noi ci vediamo domani: alle 10 va bene?»
«Sicuro, ma.. Perchè tanta fretta? Hai l'FBI alle calcagna?»
«Una specie: mia madre comincia a insospettirsi. Oggi l'ho portata dall'oculista e non sai
quante scuse mi son dovuto inventare sul momento per.. Eccola, è lei: devo chiudere.
Ciao.», al punto che il CLICK sopraggiunse prima che potessi ricambiare il suo
saluto.
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F
ederico non c'era. Alberto era stato male. Rolando ritardava oltre le 23. Disertato
dalle uniche persone che avrei rivisto con piacere, mi ero trincerato in fondo alla
tavolata cinto d'assedio da perfetti sconosciuti e facce note di cui però non ricordavo
più il nome.
Dopo aver tentato una battuta per rompere il ghiaccio, sopravvalutando il senso dello
humour dei miei commensali, trovai più opportuno adeguarmi al mio ruolo di pesce fuor
d'acqua tacendo. Tanto, a parlare già ci pensavano più che bastantemente loro – in una
sorta di gara a chi sciorinava il maggior numero di luoghi comuni.
Inutile dire che, per quanti sforzi facessi, non riuscivo ad appassionarmi ai discorsi
ostentatamente impegnàti previsti dal tacito copione della serata, fatto di botta & risposta
prestabiliti che riducevano il tutto a una sorta di gargarismi del pensiero – riempiendo l'aria
di suoni che in realtà non sottendevano alcun concetto che fosse degno di questo nome.
Unico pensiero confortante: che oramai non mancasse molto all'arrivo delle pizze:
mangiare mi avrebbe offerto se non altro un alibi per non dover dire per forza qualcosa. Mi
sentivo un po' come un padre davanti alla nursery: arriva? ma quando arriva? sarà buona?
e perchè hanno messo in mano la MIA pizza a un aiuto-pizzaiolo? e se me la brucia?
Me ne rendo conto: scleravo. Ma è che mi trovo sempre a disagio, nei luoghi e nelle
situazioni in cui sembra ci si debba divertire per forza, a tutti i costi: i villaggi turistici, dove
chi ti sorride lo fa per contratto.. Per non parlare poi dei parchi-divertimento, che per come
la vedo io cominciano male già dal nome.
Tanto per incominciare, la calca: come pecore in un recinto labirintico, abnormi masse
sudaticce e maleodoranti di persone si trascinano abbrustolite dal sole a picco verso
l'attrazione di turno: quaranta minuti di coda estenuante ripagàti da un paio di minuti,
durante i quali oltretutto sei così fuso per via dell'immane attesa che il godimento (posto che
ve ne fosse effettivamente uno) finisce che quasi non lo noti neppure.
Sarà che io proprio non li capisco, quegli autolesionisti patiti per farsi frullare nei modi
più imbarazzanti: centrifugàti su dischi volanti inclinàti ad angolo retto; oppure a farsi
sbatacchiare il cervello da un orecchio all'altro, su strane specie di pendoli ciclopici; oppure
scodellàti a testa in giù sopra il vuoto da dondoli furibondi alti un palazzo, che ruotano su
sè stessi come un'altalena spinta da Godzilla che per sovrammercato li scrolla a metà della
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discesa..
E poi le montagne russe, specie quelle coi loop “della morte” dove il sangue tira calci alle
vene nelle tempie e lo stomaco finisce quasi con l'inghiottire sè stesso.
Pazzi! Neanche masochisti, ma veri e propri tossicodipendenti che si “fanno” con la
sostanza stupefacente più economica c'è: la propria stessa adrenalina.
«Aaah! MOSTRO!»: lo strillare isterico di una commensale m'informò che era giunta la
mia pizza.
«Dici a me?», domandai senza scompormi minimamente.
«Sì. A te che mangi la pizza col prosciutto, rendendoti complice di quegli assassini che
ammazzano poveri animali innocenti.»
“Tipo quelli accoppàti per cavarne lo strutto usato per friggere le tue patatine? o quelli
scuioàti per fare la tua borsetta e i tuoi stivaloni rossi alla Wonder Woman?”, pensai,
mordendomi la lingua.
«Io sono vegetariana da quasi sei mesi, oramai. Mai pensato di diventarlo anche tu?»
Da come parlava, si sarebbe detto che eran piuttosto sei mesi che soffriva di privazioni
alimentari che s'imponeva controvoglia, ma palesemente avrebbe venduto l'anima al diavolo
pur di potersi strafogare un panino al salame all'insaputa della propria coscienza.
«Veramente, no. Sto gradualmente perdendo interesse per la carne, e di fatto non mangio
più le carni rosse, ma non credo che abbia senso imporsi l'astinenza di alcunchè. Ci hai
presente Oscar Wilde?»
«No.»
«(Non ne dubitavo.) “L'unico modo per resistere alle tentazioni, è di cedervi.”»
«Bravo. E intanto per colpa di quelli come te fanno strage di esseri viventi.»
«Perchè invece dei funghi innocenti non te ne frega niente?»
Tacque, così la incalzai:
«Piuttosto: perchè non te la predi col cameriere, che ha messo in tavola questi fiori? Sono
stati recisi, condannàti a una lunga agonia.. E quando saranno appassiti, verranno gettàti.
Questo sì che è uno spreco! Io perlomeno la carne la uso per nutrirmi.»
«Ah be', allora immagino sarai pure a favore della caccia.», replicò lei acidella.
«Ovviamente no. Sparare ad animali di cui non ci si nutre, non è un'idiozia diversa
rispetto al cogliere i fiori.»
A questo punto intervenne una sua amica, altrettanto incapace di cogliere il nesso:
«No, aspetta, fammi capire: per te ammazzare una povera bestia innocente e portare un
fiore alla tua ragazza, è la stessa cosa?»
«A prescindere dal fatto che personalmente trovo davvero poco romantico, simboleggiare
il mio amore con un fiore che appassisce.. Io intendevo unicamente dire tutti gli esseri
viventi meritano rispetto. Poi va da sè che provo obbrobrio, per quella mostruosa genìa di
idioti che anzichè sparare a piattelli d'argilla preferisce fare tiro al bersaglio mirando a carne
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viva..»
«A-ha!», intervenne la vegetariana. «Lo vedi?»
«Lo vedo.. cosa?»
«Seguendo il tuo ragionamento, forse che è giusto sparare all'argilla?»
Arrossì perfino la sua amica, nel sussurrarle all'orecchio che l'argilla è un materiale inerte
e non un organismo vivente come fiori e animali.
«Sì vabbè.. Rimane il fatto che gli animali soffrono, e le piante no.»
«E tu come lo sai per certo? Solo perchè non guaiscono e non lacrimano? Solo perchè non
hanno una faccia che palesi il loro dolore? Con tutto che esistono numerosi studi scientifici
a riguardo: variazioni elettromagnetiche riscontrate nel momento in cui viene recisa una
foglia; piante che crescono meglio se esposte a un certo tipo di musica, e che invece
deperiscono con altri generi o con suoni cacofonici..»
«Maddai!», e rise di gusto. «C'è davvero gente che perde il suo tempo a studiare queste
robe?»
«Allora mettiamola così: l'uomo è un organismo eterotrofo..»
«Sarebbe?»
«Dovresti averlo studiato: significa che..»
«L'ho studiato, carino, ma è roba di seconda o terza: e chi se la ricorda più?»,
sponsorizzata da un risolino idiota della sua amica.
«Autotrofi: organismi come le piante, in grado di sostentarsi da sè producendo il proprio
nutrimento..»
«Aaah, la sintesi clorofilliana!»
«Centro. Eterotrofi invece sono gli animali, che appunto si cibano di piante (se sono
erbivori) o di altri animali (se sono carnivori) o di entrambe le cose (se sono onnivori).
L'uomo appartiene a quest'ultima categoria: non essendo erbivoro..»
«E tu come lo sai?»
«Facile: altrimenti, al pari degli altri erbivori, sarebbe in grado di digerire la cellulosa.»
«A. Beh, però non significa mica che l'uomo debba mangiare carne.»
«Non solo quella. Trovandosi in cima alla catena alimentare, si ciba di tutto senza essere a
sua volta mangiato da nessun altro. Perlomeno.. che si sappia in giro!»
Ancòra lo dicevo credendo fosse solo una battuta, fatto sta che risero.
«Quizzettino facile-facile: come si stabilisce quale sia il regime alimentare di una specie?»
S'interrogarono l'un l'altra con lo sguardo, ma senza riuscire a venirne a capo.
«Volete un aiutino? Ripensate ai dinosauri.»
Buio totale, pertanto non insistetti oltre:
«Dalla dentatura. La pecora ha i molari ma non i canini: si deduce che è un erbivoro. Lo
squalo invece ne ha addirittura su più file, ergo è un carnivoro.»
«Ho capito, dove vuoi andare a parare.», disse la meno rintronata delle due. «L'uomo ce li
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(62)
ha entrambi..»
«..per cui è fatto per cibarsi sia di carne che di vegetali.»
«Però ha più denti da erbivoro che da carnivoro.»
«Vero. Infatti io mi cibo molto più di vegetali che di carne. Ma, per quanto in misura
nettamente minore, pure quest'ultima rientra nella mia dieta di essere umano.»
«Tu.. a dieta? A vederti non si direbbe.»
Regolare: quando una tipa si sente messa alle strette, raramente sa astenersi dai colpi
bassi. Ma siccome il problema non è chi parla a vanvera, ma chi gli risponde, feci finta di
non aver neanche sentito e replicai con un'ironia raddoppiata dal fatto di non venir neppure
colta:
«Se permetti un suggerimento: argomentazioni migliori contro l'eccessivo consumo di
carne, e poi concludo chè sennò mi si fredda la pizza..», detto con un sorriso che da solo era
valso a riaccattivarmi almeno un po' della loro simpatia, «sono i rischi per la salute (grassi
& colesterolo), lo spreco di cereali (che potrebbero sfamare milioni di persone), ma
sopratutto le orribili condizioni in cui gli animali vengono allevàti C110: murati vivi entro
gabbie anguste, stipati in vasche o recinti sovrappopolàti, imbottiti di antibiotici per non
scatenare pandemie, col becco troncato affinchè non possano azzuffarsi.. e via di questo
passo, un'ignobile barbarie dopo l'altra.»
«Sei forse passato dalla mia parte?»
«In verità non mi sono mosso di un passo dalla mia. Ma ora.. buonappetito. (E, come dice
mia nonna: si mangia e si fa hito.)», accompagnando la citazione in dialetto bergamasco
con un gesto che la rendesse inequivocabile: labbra chiuse con la zip.
Guidando verso casa, una leggera inquetudine mi strisciava a fior di pelle, facendomi
strizzare il volante e spingendomi a chiudere il finestrino. Ma non era il freddo. Infatti,
come avrei scoperto solamente la mattina successiva..
63
T
i hanno attaccàto pure ieri sera?!»: ero davvero sconcertato. «Mi ero convinto che
avrebbero se non altro aspettato che fossimo tutti riuniti..»
«A quanto pare non c'è da fidarsi.»
«A che ora è successo?»
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«Saranno state.. le undici meno un quarto.»
«Non mi dire: le 22.43?»
«Perchè tanta precisione?»
«23 in esadecimale fa 17, così sarebbero state per così dire le 17 meno 17.»
«E cioè l'ora zero.»
«Già. E non solo: proprio verso quell'ora io sono stato invaso da brividi e da
un'improvvisa quanto insipiegabile inquietudine.»
«Ti ho visto: stavi al volante della Panda. Ma non dovevi essere in pizzeria?»
«Non li ho retti per più di due orett.. no, aspetta un attimo: tu mi hai visto?!»
«Stavi sul tratto di strada che comincia di fianco al Parco di Monza e finisce a
Villasanta.»
Incredibile ma vero, ci aveva azzeccato:
«Intendi.. la strada del pullman?»
«Proprio quella. Ma tu eri sul tratto precedente: quello che si imbocca al semaforo
prima.»
«Ieri sera è stata la prima volta, che ho abbandonato la via abitudinaria che avevo
imparato andando al liceo col pullman, per avventurarmi in quella scorciatoia..»
«Piuttosto: ci hai fatto caso a come tutto sembra accadere con intenti ben precisi,
perlomeno a noi due?»
«Cosa intendi?»
«Le tue parole di prima, per esempio: che hai abbandonato un'abitudine per avventurarti
in una scorciatoia. Non ti suona suppergiù come “scoprire che questo mondo è più di quel
che sembra, e che esistono vie privilegiate per..”»
Lo interruppi:
«Stai parlando di robe tipo volare sul mio giardino, schiantarsi da vari metri d'altezza
senza farsi male..»
«..venir teletrasportàti in una specie di bolla di energia, prima al Duomo di Milano e poi a
Fano: proprio così. E nonostante la velocità mostruosa con la quale ci muovevamo, è stato
proprio durante il tragitto verso Milano che ti ho visto dall'alto.»
«Quanto in alto?»
«A occhio e croce, direi un paio di chilometri.»
«Minchia! Che occhio di falco!»
«Cerca di capirmi Alessio: quando dico che ti ho visto, non è precisamente “visto”. Non
con gli occhi. Perlomeno, non solo con quelli fisici.»
Stavo per sommergerlo di domande quando, a sorpresa, trilla il citofono del cancello
d'ingresso:
«Aspettavi qualcuno?»
«No, Angelo.»
363
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«Chi sarà?»
«Non ne ho la più pallida idea.», poi risposi: «Sì?»
«Sono Alessandro. Alessio è in casa?»
Era la prima volta, che veniva a trovarmi senza esser stato io a pregarlo. Stupito e
alquanto perplesso, gli aprii il cancello:
«Sono io. Vieni pure, ma sali da sopra: sono in cucina.»
Angelo mi fece cenno di non dirgli che c'era anche lui. Riattaccai il ricevitore del citofono
e tornai a sedermi:
«Meglio. Così te la spiega lui stesso, la faccenda della cassetta.»
«Ti riferisci al presunto “segno” di Gino?»
«A-ha.», annuii. «E poi, già che ci siamo, tu racconterai ad entrambi cosa diavolo ti è
successo ieri sera là fuori.»
Angelo si rabbuiò, evocando quel ricordo spiacevole, ma poi acconsentì:
«Va bene: ci proverò.»
In quella, inconfondibile, udii il rumore del motorino di Alessandro. Uscii sul terrazzo e mi
sporsi dal davanzale:
«Ehilà! Qual buon vento?»
«Avevo voglia di vederti.»
A rovinare tutta la spontaneità del suo sguardo fu Angelo, che sbucò alle mie spalle.
«Ah, ci sei anche tu.», constatò Alessandro con l'aria delusa.
«Se sono di troppo me ne vado.»
Offerta fasulla, solo per innescare uno dei tanti botta e risposta comandàti dalla cortesiaclichè. Infatti:
«No, che dici? È solo che non mi aspettavo di trovarti qui a quest'ora.»
Alessandro salì le scale. Intanto Angelo se la rideva sotto i baffi che non ha, constatando
come io lo seguissi apprensivo con lo sguardo senza perderlo di vista un solo momento.
«Vieni: entra!»
«Perchè non ci mettiamo qui sul dondolo, piuttosto? Non fa freddo.»
«Hai ragione: buona idea.», approvò Angelo. «E allora? Qual buon vento?»
«Gli hai detto della cassetta?», mi chiese Alessandro supponendo che Angelo stesse
facendo del sarcasmo circa il suo “ritorno all'ovile”.
«Soltanto per sommi capi. Stavo giusto per entrare nel dettaglio quando sei arrivato tu.»
«Di che si tratta?»
Così Alessandro gli raccontò, sinteticamente come si conviene fare quando si fa rapporto
a uno come Angelo, le stesse cose che aveva già esposto a me.
«A chi ti fanno pensare, quelle canzoni?»
Alessandro arrossì: Angelo aveva colpito dritto nel segno al primo tentativo.
«A.. ad Alessio.», ammise, come imbarazzato dalla mia presenza. «E a te.»
364
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Io trasalii, riuscendo però a non farmi sgamare.
«Quali canzoni ti fanno pensare a me, e quali a lui?», domandai.
«“Colpa d'Alfredo” a te..»
«Chiaro.», acconsentì Angelo.
«..e tutte le altre a lui. (Tranne alcune che riguardavano me, e “Asilo republic” che non
c'entra niente – tuttalpiù mi ricorda mia madre.)»
Non ce la facevo più a trattenermi:
«Ma, scusa.. e a Valeria?»
«Le hai ascoltate pure tu?»
Negai, ma mentire in extremis era inutile: ormai il danno era fatto.
«Beh, certo, riascoltandole ho anche pensato a Valeria.»: una bugia grossa il triplo della
mia.
«Però il primo pensiero istintivo è stato per lui e per me, dico giusto?»
Ottima mossa, quella di associarsi a me: così facendo, Angelo spostava il contesto da un
pericolosamente imbarazzante “Alessio che ti ama” al più tranquillizzante “Alessio e
Angelo che sono i tuoi migliori amici”. Dal sentimentale al soprannaturale, insomma.
In questo modo Alessandro non ebbe difficoltà ad ammettere la piena verità: e cioè che,
quel segno di Gino, di Valeria non gli aveva parlato affatto.
«Se non di riflesso nella canzone che riguarda Angelo e lei.», mi spiegò.
Mai stato più felice in vita mia di aver preso una tremenda cantonata: dunque non era
affatto la dimostrazione dell'amore che Alessandro avrebbe segretamente nutrito per
Valeria! Di più: era la conferma di molte delle mie teorie!
Già toccavo il cielo con un dito, al pensiero che un'interpretazione del segno era che alla
fine sarebbe stato Alessandro ad innamorarsi di me, venendomi a cercare per poi vivere
insieme “Happy ever after” tipo la canzone dei Bee Gees, quando..
«Sei sempre dell'idea di sapere cosa è accaduto ieri?», mi domandò Angelo,
richiamandomi all'ordine.
«Sicuro!», sebbene avrei di gran lunga preferito precipitarmi dabbasso per riascoltare
daccapo le canzoni in quell'entusiasmante ottica nuova.
«Posso saperlo pure io?»
«Sei o non sei dei nostri, Alessandro?», gli confermò Angelo. (Ma forse gli stava piuttosto
rinnovando l'offerta, obbligandolo nuovamente a scegliere.)
«Allora non mi avete buttato fuori!», si entusiasmò.
«Veramente a me è parso che tu sia uscito con le tue gambe.», lo provocò Angelo tagliente
come sempre.
«Cia', allora, 'sto racconto?», incalzandolo più che altro per evitare che si finisse col
ricominciare a litigare.
«È presto detto: un bestione alto quattro metri mi si è materializzato davanti – e con
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intenzioni ben poco amichevoli, come potete immaginare. (La questione è: voi siete in grado
di immaginarlo? Mi sa di no.)»
«Che forma aveva? Un altro rospo?»
«No. Questo qui era anto.. ampoformorfo, o come cavolo si dice.»
«Antropomorfo.», lo corressi.
«Insomma, aveva l'aspetto di un uomo: un gigante.»
«Un ciclòpe?»
«Sì, Alessandro: con due occhi iniettàti di fuoco.»
«Allora non era un ciclòpe: i ciclòpi ne hanno uno solo.»
«Ma non mi dire!», ironizzò Angelo.
«Mai sentito parlare, di Ulisse e Polifemo?», suggerii, tanto per rammentargli un ricordo
scolastico che in teoria pure lui doveva avere.
«Cosa vuoi che me ne freghi a me di quanti occhi ci ha un ciclòpe DOC? A me bastava
essermelo trovato davanti sapendo che aveva intenzione di ridurmi a brandelli, e scusatemi
se è poco!», protestò.
«Non era nostra intenzione minimizzare l'accaduto. È che..»
«Comunque non è finita: aveva la pessima abitudine di sdoppiarsi in quattro individui più
piccoli. Alti pressappoco come me, ma di aspetto uguale: un cristone grande e grosso, tutto
nudo tipo lottatore di sumo.. ma con muscoli da bodybuilder anziché ciccia.»
«Nudo, hai detto? Gli vedevi anche.. sì, insomma..», domandò Alessandro con imbarazzo,
ponendogli peraltro l'ultima delle domande a cui io avrei mai pensato.
«Ce l'aveva.», ammise Angelo con sufficienza. «E ben proporzionato, se è per questo.»:
piccola noticina extra, morbosetta quel tanto che bastava al fine di punzecchiarlo.
Io invece preferii appurare una cosa a mio giudizio più rilevante:
«Era di aspetto stabile o mutevole?»
«Stabile durante il combattimento, mutabile a piacer suo durante gli spostamenti. E tu ne
sai qualcosa: il primo che ho distrutto era in tutto e per tutto simile a quello che aveva
assunto la mia forma per ingannarti.»
«E gli altri tre? Li hai dovuti snidare uno per uno?»
«No, Alessandro. Dopo che ho distrutto il primo, i singoli elementi si riunivano per
recuperare energia: era giocoforza annientarlo quand'era tutto intero.»
«Hai.. marmorizzato anche lui?», domandai.
«Non è stato così semplice, ma.. una specie. E di più non vi posso dire.»
«E tutto questo è accaduto qui sotto nel giardino?»
«Soltanto all'inizio, mentre Alessio era via..»
«Pizzata con gli ex del Jean Monnet.», specificai.
«..poi ci siamo trasferiti sopra il cielo di Monza.»
«E come?»
366
(63)
«Col pullman. Anzi no: in taxi.»
«Spiritoso. Intendevo dire: come hai fatto a..?»
«Non l'ho mica deciso io, Alessandro! A un certo punto del combattimento, quando i colpi
diventavano più massacranti da entrambe le parti, siamo stati circondàti da una sfera di
energia tipo bolla di luce violacea.»
«Opera sua?»
«Una buona domanda, Alessio. Ragionando logicamente sarei portato a risponderti di sì,
ma..»
«..questo però non spiega come il tuo avversario abbia potuto investire tanta energia, dal
momento che già era stanco.»
«Davvero acuto, Alessandro. In effetti la cosa mi aveva stupito alquanto.»
«Ritieni possibile che sia stato un terzo?», ipotizzai.
«Cosa intendi dire?»
«Gino, ad esempio. Che, resosi conto che il vostro scontro stava per estendersi in maniera
pericolosa, ha trasferito il.. “ring” altrove.»
«Dici per non devastare il tuo giardino?»
«O la casa. Oppure l'intero paese. L'effettiva portata dei vostri colpi la conoscevate solo tu
e lui. Piuttosto: come mai ti ha portato proprio a Fano?»
«Il bastardo mi ha fatto ripercorrere tutti i luoghi legàti ai miei ricordi più cari con Cleo.»
«Per distrarti?»
«Soprattutto per indebolirmi.»
«E così la bolla la pilotava lui.», osservai un po' perplesso.
«Così si direbbe.»
«Ci hai mai provato, a prenderne tu le redini? Sì insomma: a dirigerla in un luogo di tua
scelta?»
«Mioddio: no.», ammutolì, e sul suo volto si dipinse la medesima ombra di dubbio
dell'infiltrato: il genuino stupore, per non dire sconcerto, di un essere pressochè perfetto che
si accorge di aver trascurato un dettaglio infinitesimale – e che per giunta si vede rivelare la
chiave del problema da un essere mille volte più piccolo ed ignorante di lui.
«Dai retta a me: la prossima volta tu provaci. Se quella bolla contenitiva è una specie di
autobus messovi a disposizione da Gino, è ovvio che il primo che si precipita al volante
stabilisce dove andare. O no?»
Angelo non spiccicava parola, ascoltandomi attentamente come mai aveva fatto prima
d'ora in vita sua, pur di assimilare ogni minima informazione che gli avrei potuto fornire.
«Ritengo insomma verosimile che sia lo scontro fra la tua volontà e quella del tuo
avversario, a stabilire il controllo della sfera.»
«Non finirai mai di stupirmi.»: perchè mai e poi mai si sarebbe aspettato ch'io potessi
conoscere cose a lui ignote.
367
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Intanto Alessandro mi stava fissando. Anzi no: mi contemplava, con occhi sgranàti dallo
stupore, la qual cosa mi faceva sentire terribilmente a disagio:
«Cos.. che c'è?», a salivazione improvvisamente azzerata.
Esitò per qualche istante, poi trasse un sospiro di sollievo e si tranquillizzò:
«Adesso sei ritornato normale.»
«Come sarebbe a dire?»
«Quello sguardo.. quello che avevi prima.. Sembravi lui poco prima di uscire dalla stanza
per combattere gli schìfidi.»
Angelo assentì, con un tocco di meraviglia per l'acutezza dimostrata da Alessandro in
quell'occasione:
«Notevole intùito.», sussurrò non udito.
«In più c'era dell'altro.», aggiunse Alessandro titubante. «Mi hai fatto sentire come l'altra
notte: tipo lo spavento che ho provato per la custodia sotto la luce lunare, ma più forte.
Anzi: di meno, però diverso.»
«Sfòrzati di essere più chiaro..»
«E come faccio?», frustrato come non mai dal non riuscire a trovare le parole.
«Posso fartela io, una domanda?», intervenne Angelo. «Però mi devi rispondere di getto
senza stare a pensarci su: qual è la prima cosa che avresti voluto fare, vedendo quello
sguardo? Scappare?»
«Al contrario: volevo restare a nutrirmene per sempre. Ma era troppo forte, troppo..
potente, per poterlo sostenere. Avrei voluto.. Chennesò! Forse inginocchiarmi, ecco.»
«Hai voglia di scherzare!», mi schernii. «Eppoi sarei stato il primo, a impedirti di
adorarmi..»
«Non te, ma ciò che stava nel tuo sguardo.»
«Dunque.. Lui, finalmente.», aggiunse sornione Angelo che oramai aveva capito tutto.
Poi si alzò con uno slancio che fece oscillare il dondolo e spezzò quell'atmosfera così
densa eppur per altri versi rarefatta che ci si era sprigionata tutt'intorno – così simile a
quella del sogno condiviso: noi tre intorno al tavolo che fluttuava nello spazio aperto.
«È ora che me ne vada, babbo-Alessio, o finisce che mia madre mi tira un solenne
cazziatone.»
«Vengo anch'io con te, così mi apri il cancello.»
«Sei appena arrivato: perchè non resti ancòra un po'?», proposi ad Alessandro.
«Perchè te mi fai paura.»: parole senza mezzi termini che mi fecero male, poichè mi
davano il presentimento di nascondere un presagio di totale disfatta – e in effetti il fulcro di
tutti i problemi fra me e Alessandro stava in nuce tutto lì: in quelle tre, lugubri parole.
«“Mi fai paura”? Ma che dici! Che t'ho fatto? Okay, mi sono un po' infervorato per i miei
ragionamenti, ma è solo perchè trovo esaltante poter dare una mano ad Angelo quelle poche
volte che..»
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«Non è per quello che fai, ma per via di ciò che tu sei.», m'interruppe Angelo –
posandomi pietosamente sulla spalla una mano che pesava quanto quella di Ramirez per
l'Highlander.
«Precisamente.», confessò Alessandro abbassando lo sguardo. «Ma vedrai che dopo un
po' mi passa..»
Angelo colse al volo il momento più opportuno per saltare di palo in frasca:
«Ci vediamo, noi tre soli, questa sera, per una pizzata? Eh? Che ne dite?»
«Dovevamo andare in palestra insieme..», gli sussurrò Alessandro all'orecchio, sottovalutando però il
mio famigerato superudito.
«Tranquillo: possiamo raggiungerlo qui sùbito dopo. Ci cambiamo là e..»
«Dai! Buona idea!», approvò Alessandro entusiasta.
«Per una volta le pizze te le portiamo noi, babbo. Contento?»
«Per che ora siete qui?»
«Il tuo amico mi farebbe provare anche la sauna?», rivolgendosi ad Alessandro ma in
modo da far sentire anche a me.
«Il mio ex-allenatore di basket, prego.»
«Quello che è. Allora?»
«Teoricamente prima dovresti fare la tessera: lì alla Class pretendono il certificato medico
di buona salute, casomai ti venisse simpaticamente un infarto..»
“La Class?!”: trovavo sconcertante il pensiero che Alessandro portasse Angelo alla mia
stessa palestra senza aver mai proposto a me di allenarci insieme. Pudore di condividere il
medesimo spogliatoio con me, oppure ennesimo altarino? “E chi lo sa. Forse ci è pure
iscritto da anni, e non mi ha mai detto niente.”
«Ma tu gliel'hai spiegato che io corro?»
«Sì, ma a lui chi glielo garantisce?»
«Vabbè va', ho capito: se occorre ci penso io, a convincerlo.»
«Non ne dubito. A proposito di irretire il tuo prossimo: non mi hai mai raccontato come eri
riuscito a farti assumere in quel ristorante extralusso..»
«È una storia lunga..»
«..e a tratti epica», tanto per reinserirmi nel discorso. «Vale senz'altro la pena di fartela
raccontare. Sempre se hai lo stomaco per reggere una vera e propria americanata.»
«Accaduta veramente, però!», gongolò Angelo. «Bom, dai: rimaniamo che ci si vede qui
per le sette. O è troppo in anticipo?»
«È la prima volta che pizziamo così presto, ma direi che si può fare.»
«È che alle nove mi vedo con Valeria.», sbattendolo in faccia ad Alessandro con la
massima sfacciataggine.
La cosa strana fu che Alessandro non fece una piega:
«Io invece ho il cinema in Villa alle nove e mezzo.»
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(63)
«Quello d'essais all'aperto, ad Arcore?», m'informai.
«Sì: vado a sfamare un po' di zanzare e pappatacci ingordi, yuk yuk!»
«Posso unirmi anch'io?»
«Se proprio ci tieni. Ci vado con mio zio.»
Angelo gli lesse negli occhi che stava bluffando, ma io come al solito ci cascai come una
pera cotta: Alessandro sa benissimo quanto io detesti sentirmi di peso per qualcuno, e
questo fatto (unito alla istintiva antipatia che ho sempre provato nei confronti di suo zio) gli
forniva la certezza matematica che non gli avrei mai imposto la mia presenza.
«No no, non importa. Eppoi, adesso che ci penso, stasera ci ho giusto del lavoro da
sbrigare.»
«Come faresti a vivere, senza il tuo computer!», sospirò Angelo – e io glielo lasciai
credere.
«Allora vi aspetto per le sette.»
«Col forno già caldo, mi raccomando!», infierì lui.
«O, ma quest'uomo è un fanatico!», protestò Alessandro rivolgendomi uno sguardo
complice. «Come cavolo fai, tu, a sopportarlo?»
Gli rispose Angelo:
«Non lo sa nemmeno lui, Dedo. Non lo sa nemmeno lui.»
64
M
i coricai buonino sul letto, anche per tenere a bada la tentazione di pedinarli.
“Potrei fare una capatina in palestra con una scusa qualsiasi..”, macchinai, per il
gusto di stuzzicarmi un po' l'autocontrollo mettendolo alla prova. “Tipo che ho
dimenticato lì la tessera, o che non trovo il bloc-notes nel cappotto. E intanto approfittarne
per sbirciare i loschi traffici di quei due.”
Tanto per incominciare nutrivo il sospetto che Alessandro avesse domandato ad Angelo di
insegnargli a cuccare – e la palestra è senz'altro un luogo ricco di opportunità di
tacchinaggio. Se invece era stata un'idea di Angelo, ancòra peggio: poteva trattarsi di una
sua iniziativa per svegliarlo-su “insegnandogli” le donne.
«Sta' a vedere che siccome non gli è riuscito di “guarire” me, mo' vuole raddrizzare
Alessandro finchè è ancòra in tempo, prima che s'innamori di me.»
E già mi prefiguravo lubriche scene da film porno tra miasmi di sudore impregnato
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(64)
dell'odore metallico degli attrezzi, e i vapori nebbiosi e appicicaticci delle saune. Senza
neanche riflettere sul fatto che, perlomeno alla Class, le saune stanno negli spogliatoi – e
pertanto non ve n'è di miste. Tuttavia..
“Potrebbero riuscire a imbucare una tipa senza farsi notare.. Forse Angelo gli ha
addirittura noleggiato una prostituta, magari con la complicità del loro amico che fa
l'istruttore lì in palestra.. e che probabilmente ha già una tresca di vecchia data con
Alessandro. E se fosse proprio questo, il loro piano? Un'orgetta bisex che mentre
Alessandro si fa la tipa quello lo prende da dietr..”
A furia di flagellarmi con un pensiero più raccapricciante dell'altro (un bad-trip attraverso
le più abominevoli paranoie, indubbiamente ispiratemi dagli schìfidi) mi ero andato
scorticando il cuore con le mie stesse mani, raggiungendo ben presto l'orlo del collasso
emotivo. Fortuna che al sopraggiungere del limite fisiologico estremo della tensione nervosa
il mio corpo stacca la spina donandomi uno “svenimento” provvidenziale – tale e quale al
salvavita, insomma, che evita sovraccarichi di corrente all'interno di casa.
Caddi addormentato come un macigno, abbandonandomi al sonno rigenerante di cui
avevo disperatamente bisogno in quel frangente.
Il tempo era volato e la stessa pizzata era durata molto meno del previsto.
«Ci sentiamo domani. Ti telefono io in mattinata, OK?», disse Angelo accendendo il
vespino.
«Va bene. Noi invece rimaniamo d'accordo per domani sera»
Alessandro, tanto per cambiare, se n'era già dimenticato:
«Mh.. sì, va bene: direi che va bene.»
«Veramente avevamo già fissato per le nove. Non ti ricordi? Avevi detto che mi volevi far
vedere quel film dal nome impronunciabile.. quello che sembra un documentario..»
«“Koyanisquaatsi”: adesso, mi ricordo! Ma non è un documentario, prego: è..»
«Scusate se m'intrometto», intervenne Angelo, «ma se arrivo in ritardo Valeria mi squoia.»
«Guarda che non è mica un albero: si scrive senza la Q.», lo corressi.
«Proprio: ci va la C, come in “scuola”.», ribadì Alessandro.
«Comunque sia. Vi lascio da soli: fate i bravi, mi raccomando!»
Strizzò l'occhiolino, poi con un colpo secco di mano all'impugnatura del manubrio se ne
andò – come trascinato da quel contraccolpo d'acceleratore.
«Sarà bene che me ne vada anch'io: mio zio è un tipo pignolo, e come tutti i professori è
poco incline a tollerare ritardi.», si giustificò Alessandro sospirando con rassegnazione.
L'accompagnai alla macchina, che aveva parcheggiato giù dalla discesa di casa mia,
accostandola alla siepe:
«Così, proprio sotto il salice.. Sembra la batmobile che esce dalla batcaverna!»
«Grazie per il paragone.»
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«Con Batman o con la Batcaverna?», precisai.
«Ha-ha-ha: davvero comico. Un triplo “ha” per te.»
E chi scherzava? Io ero serissimo: tanto da aver dedicato la mia intera esistenza a scoprire
cosa lui nascondesse nell'antro buio in cui si era auto-recluso.
Nascosi un sospiro nello sbattere della portiera e, dopo averlo seguito con lo sguardo fino
in fondo al viale, volsi brutalmente gli occhi al cielo reclamando delle risposte:
«Che ci posso fare, io?», protestai alle stelle – così fastidiosamente omertose, nel loro
sempiterno tacere.
«Per lui, nulla di più di ciò che stai già facendo. Per il mondo invece tantissimo. Entriamo
in casa.»
«Angelo!», esclamai voltandomi. «Ma.. Non te n'eri già andato?»
«Difatti io sono Gino.»
«E tu da dove sbuchi fuori, si può sapere?»
«Indovina.», sorrise sornione, riesumando l'antico gesto per “magia!”.
Tornammo in camera mia.
«Angelo non si doveva mica vedere con Valeria?»
«C'è poco tempo, infatti.»
«Sì, ma se arriva in ritardo..»
«Nessuno si accorgerà di nulla. E il suo appuntamento era per le 21.30.»
«Quindi sei stato tu, a.. ricondizionargli la memoria.»
«Ovvio.»
Gino si sedette sul letto, io davanti al computer. Non avevo ancòra stampato il file con le
domande: tanto valeva leggergliele dallo schermo stesso.
«Quelle, un'altra volta. Ora il momento è grave: domani Angelo subirà un pesante
attacco.»
«Cosa intendi per “pesante”?»
«Centinaia di opponenti. Non più decine.»
«Decine? Io avevo capito che al massimo erano stati in 4: quelli che si unificav..»
«Angelo non ti vuole spaventare, ma nell'ultimo scontro erano già 23. E non avevano il
rassicurante aspetto umano col quale ve li ha descritti: si trattava di giganteschi vermi con
lunghe fauci accuminate.»
«Hai fatto bene ad avvisarmi dell'escalation: così potrò metterlo in guardia.»
«No! Al contrario: tu non gli devi dire nulla. Altrimenti lui, pur di garantire l'incolumità di
Alessandro, finirebbe con l'esporsi inutilmente al pericolo.»
«Alessandro?? Ehiehiehi, frena: cosa c'entra adesso Alessandro? Che cos'è questa novità?
Gli schìfidi a quanto mi risulta dovrebbero essere interessàti solamente ad Angelo. O no?»
«Infatti Alessandro non corre rischio alcuno, ma Angelo potrebbe eccedere in prudenza.»
«Spiègati meglio e fammi capire.»
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«Domani, più precisamente alle 19.17, Angelo verrà attaccato mentre starà facendo la
sauna in palestra. Alessandro uscirà un attimo prima, e non si accorgerà di nulla.»
«Stai parlando davvero della Class?»
«Non mi fare domande di cui conosci già la risposta. Piuttosto: sappi che quello è il
terreno di battaglia concordato, e che..»
«“Terreno di battaglia”, ho capito bene?»
«Tu lo definiresti così.»
«Concordato?? Quando? E da chi?»
«Troppo difficile a spiegarsi, e tu comunque non capiresti. Diciamo allora “prestabilito”.»
«E non è possibile.. discuterne?»
«Forse che gli schìfidi ti appaiono inclini alla diplomazia?»
«E se Angelo non si presentasse?»
«Verrebbero a prenderlo, e in forze assolutamente maggiori. In questo caso non avrebbe
possibilità alcuna di cavarsela. In quell'altro, invece, può ancòra darsi che non
soccomberà.»
«Cosa significa “può darsi”?!»
«Tu lo sai.»
«Adesso sei tu, che mi fai sprecare parole inutilmente: volevo sapere qual è la ragione di
tanto pessimismo.»
«Devi abituarti a formulare le domande esatte.»
«“Per quale ragione Angelo rischia di soccombere?”»
«Spende energie che non rimpiazza: assai presto finirà con l'esaurirsi.»
«Non le recupera riposando?»
«Solo in minima parte, e le incursioni si fanno sempre più frequenti e ardue: non gli
rimane più molto tempo da vivere, così.»
«Tu quanti anni prevedi?»
«Anni?»
«Mesi.»
«Mesi?»
«Settimane.»
«Settimane?»
«Mio Dio.», poi rimasi senza parole.
«Quattro o cinque giorni al massimo, nelle sue attuali condizioni.»
«Angelo lo sa?»
«Naturalmente.»
«Cosa si può fare?»
«Infondergli nuova fiducia.»
«In che modo posso/devo agire?»
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«Tu non ci puoi fare nulla. Nessuno ci può fare nulla, tranne..»
«Cleo.»
«Proprio lei.»
«L'avrei contattata questa sera stessa, ti giuro.»
«Non devi scusarti con me: so benissimo che l'avresti fatto. Proprio per questo, sono
venuto a visitarti: per rinfrancare la tua motivazione.»
«Certo che se ci avesse perlomeno presentàti come si deve.. Di lei non conosco neppure il
cognome!»
«Quanto a questo, non preoccuparti: ti detterò io il suo telefono. Prefisso: zero, uno, sei.
Numero: dodicimilioniduecentotrentasettemilasettecentonovantadue.»
(Fortuna che avevo il computer acceso!)
«Perdona l'apparente dabbenaggine..»
«Non lo è.»
«Apparente?»
«Dabbenaggine.»
«Ah, meno male. E allora?»
«Non hai formulato la domanda.»
«Ma se hai appena detto che non è dabbenaggine!»
«Proprio per questo sono disposto a rispondere. Prima però formula la domanda.»
«Ma tu già la conosci!»
«Infatti. E tu stai sprecando del tempo prezioso.»
«Questa, poi! Sarei io a sprecare tempo eh?»
«La domanda.»
«“Se Cleo torna ad Amare Angelo, lui ritroverà le energie per vincere?”»
«Cavalcherà l'onda e la schiaccerà. A quel punto dovrà fare i conti con me.»
«Eh?? Mi stai davvero dicendo che persino tu gli sei ostile?»
«Inutile parlarne: perchè quel giorno arrivi, deve prima riuscire a sopravvivere adesso.
Però nulla ti vieta di andarti a rileggere con più attenzione e perspicacia il dodicesimo
capitolo di “Technophobia”. C005»
«C'è sotto il tuo zampino, dunque! Sei stato tu a farmelo ristampare?»
«Chi altri, sennò?»
«Chennesò? Gli schìfidi, ad esempio: non sarebbe la prima volta che s'intromettono
indebitamente.»
«Mai per portare chiarezza: solo scompiglio. Quindi è logico che in questo caso non
possono esser stati loro.»
«Lapalissiano. (Perchè non ci ho pensato prima?)»
«Perchè hai altro per la testa.»
«Hai ragione: vado immediatamente a telefonare a Cleo. Tu che fai? Mi aspetti qui?»
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«Non posso: Angelo si deve vedere regolarmente con Valeria. Prima che tu vada, però,
voglio svelarti una cosa: stamattina, poco prima di venire a farti visita, Angelo ha ascoltato
“Theme”.»
Gino si alzò, e io l'accompagnai alla porta.
«E.. allora?»
«In quello stesso preciso istante, tu eri caduto in trance – e l'ascoltavi pure tu, all'unisono
con lui. Pochi minuti più tardi, nel momento esatto in cui Angelo ha varcato la soglia di
casa sua per venire da te, tu sei rientrato in trance ed hai ascoltato “Chronologie II”.»
«E questo cosa significa?»
«Questo lo scoprirai da te.», e senza altro aggiungere mi chiuse la porta in faccia.
«Gino! Ma ti sei impazz..?!»
Quando riaprii la porta, dietro non c'era più nessuno. Mi precipitai fuori al suo
inseguimento, ma non un'ombra nella notte, non un suono nel silenzio. Si era dileguato
svanendo nel nulla.
«Un'uscita spettacolare, non c'è che dire.»
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S
uonava libero.
«Pronto?»: una voce femminile. Non potevo esser stato così fortunato al primo
tentativo: forse era sua sorella, o aveva una madre particolarmente giovanile.
«Sono Alessio, un amico di Angelo. Potrei parlare con Cleo?»
«Oh, CIAO! Che sorpresa!», poi rise. «Come stai?»
«Io bene. E tu?»
Avevo naturalmente optato per una risposta di circostanza, ma lei fu più onesta:
«E! Insomma.. Quanto tempo, che non ci si vede!»
Forse non aveva ben capito chi io fossi. Meglio rammentarglielo:
«A dire il vero, dalla prima e unica volta che ci siamo incrociàti: il primo giorno dell'esame
di maturità.»
«Caspita! Allora fanno.. luglioagostosettembreottobre.. quattro mesi, giusto?»
«Immagino di sì.»
Il tono della voce le si fece subitaneamente più serio, quasi dimesso:
«Come sta Angelo?»
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«Tipo cane bastonato, direi.», stupito di me stesso per aver dato fiato a quel pensiero così
com'era nato.
«Chissà adesso cosa starai pensando di me, tu..»
«Angelo non mi ha detto nulla che mi consentisse di farmi un'idea precisa sull'accaduto.
Proprio per questo mi piacerebbe poterne parlare con te.»
«Eppure a me risulta che quando eravate in montagna lui ti abbia raccontato ogni cosa.»
Poi, dopo una breve pausa inquisitoria tipo tenente Colombo, tornò alla carica:
«O no?»
Valeria mi aveva abituato fin troppo bene: era la prima volta che qualcuno, oltre ad
Angelo, riusciva a inchiodarmi in un angolo con poche fulminanti battute. Detesto dovermi
difendere, e ancor più sforzarmi di riuscire simpatico a qualcuno a tutti i costi, ma dovevo
farlo: era questione di vita o di morte, e disgraziatamente in senso stretto.
«Difatti io sono rimasto a settembre, quando sembrava che vi foste riappacificàti.»
«Ah, quindi Angelo non ti ha raccontato che..»
«Immagino che sia una faccenda un po' lunga, da spiegare. Che ne diresti piuttosto di
parlarne vis a vis?»
Ecco, bravo: gran bel modo, per rovinare tutto! E questa me la chiami delicatezza? Non
solo la interrompi bruscamente, ma pure tagli cort..
«Ottima idea! Anch'io mi trovo un po' a disagio, a parlare di certe cose per telefono. Poi
sai, con quei gran ficcanaso dei miei famigliari..!»
Pazzesco. La buona stella di Angelo, presumo, o la classica fortuna dei principianti.
«Tu quando saresti libera?»
«Pensa che coincidenza: una mia amica mi ha dato buca proprio stasera, così.. ti
andrebbe bene adesso?»
«Perfetto!», dicendolo più che altro a me stesso col gesto per “tutto quadra”. «Dove ci
incontriamo?»
«Qui. Angelo ti ha mai spiegato dove abito?»
«Veramente mi ci avete accompagnato voi insieme, proprio quel giorno. Non ricordi?
Avevi dimenticato la carta d'identità e..»
«Ah già, è vero! Tu hai una panda rossa, giusto?»
«Infatti.»
«Allora ti aspetto. Ah: quando arrivi, citofona Locatelli-Isacchi. Di Locatelli ce n'è due nel
mio palazzo, e così..»
«No problem. Un'ultima cosa..», non nascondendole il mio imbarazzo.
«Dimmi.»
«Se Angelo sapesse che mi sono permesso di interpellarti senza dirgli nulla, minimominimo mi strangolerebbe con le sue stesse mani. Questo incontro deve rimanergli segreto,
okay?»
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«Capisco. Come vuoi: per me non c'è problema.»
«Il tempo di cambiarmi e sono lì.»
Detto fatto. E fu uno Alessio tutto in ghingheri, quello che attendeva sua maestà la regina
Cleo fuori dal cancello del suo condominio: specie di moderno maniero arroccato sopra una
collina, in fondo a una sperduta stradina a senso unico che avrei giurato di aver già visto da
qualche parte in un contesto medievaleggiante.
«Ecco dove! Il sentiero in terra battuta che conduceva al monastero de “Il nome della
rosa”!», esclamai. (E un corvo nottambulo diretto verso il proprio nido gracchiò:
“Quest'uomo è uscito di senno.”)
La mia sfrenata immaginazione proiettava su quel tozzo blocco di cemento ocra una
cortina fumogena sopra la quale sbizzarrire la fantasia: ed ecco i balconi farsi torri; ed ecco
le grondaie tramutarsi in merlate; ed ecco la cancellata marrone dalle scrostature
ferruginose diventare un fossato brulicante di coccodrilli; ed ecco il misero giardino interno
cambiarsi in intrico lussureggiante di sottobosco, attraversàto non più da una volgare
striscia di asfalto bensì da una stradicciola decorata da blocchetti di porfido disposti
mirabilmente a mosaico; ed ecco.. Cleo: una regina in borghese.
«Scusa del ritardo: non riuscivo proprio a decidere cosa mettermi.»
Non potei che apprezzare il fatto che anche lei come me (e diversamente da Valeria)
rispettasse l'etichetta di rigore per un simile incontro al vertice: io ero Lancillotto in alta
uniforme, e lei..
«Andiamo?»
Lei era senz'altro più pragmatica di me, e coi piedi ben piantàti per terra. Pure troppo,
forse.
Quando fece per aprire la portiera, l'anticipai:
«Prego.»
«Che galante!»
«Dovere.», rintuzzai – notando che portava ancòra il braccialetto che Angelo le aveva
regalato per s.Valentino.
Salendo in macchina, pregai che il vecchio motore spompato della Panda non rovinasse la
perfezione di quella serata un po' fiabesca. Dopotutto i cavalli della carrozza di Cenerentola
non avevano l'asma, giusto?
Tutto andò a meraviglia.
«Dove ti porto?»
Io stavo già per proporle casa mia – senza nemmeno riflettere che la cosa, almeno dal suo
punto di vista, poteva risultare poco appropriata se non addirittura equivoca.
«Conosci un posticino tranquillo, dove possiamo bere una cosa e parlare senza doverci
urlare in faccia?»
Inutile dirlo, non avevo la benchè minima esperienza con le ragazze. A parte Paola,
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s'intende, ma con Paola la faccenda era diversa: eravamo amici.
Tanto valeva confessarglielo dal principio:
«Non sono un tipo che gira molto. Però, adesso che mi ci fai pensare, tempo fa una mia
amica mi aveva portato in una specie di pub in quel di Usmate-Velate.»
«C'è molto fumo?»
Facile arguire che neppure lei apprezzasse particolarmente i pub, per via della nomea di
bettole ad alto tasso etilico che per dirla tutta spesso si meritano. Quanto al fumo, me la
cavai con una domanda esplorativa neutra che mi avrebbe evitato gaffes in futuro:
«Tu fumi?»
«Lo detesto, il fumo. Tu non sarai mica schiavo di quelle porcherie, vero?»
«Alludi alle sigarette?»
Mi guardò come io avrei guardato chiunque mi avesse posto la medesima domanda futile.
Inutile negarlo: le sue quotazioni continuavano a salire.
«Mio “padre” fuma, e mi ha abbondantemente vaccinato. Per cui no: non fumo.»
«Bacco, tabacco e Venere..»
«..riducono l'uomo in cenere.», risposi automaticamente.
«Mi sono sempre domandata: e per le donne?»
«Chi lo sa? Forse è “Bacco, tabacco e Giove riducono la donna in..”»
«Marte.»
«Marte?»
«Non Giove: Marte. Se non sbaglio è suo, il simbolo del gamete maschile – così come di
quello femminile lo è lo specchio di Venere.»
“Io questa donna me la sposo!”, pensai spinto dall'entusiasmo – salvo poi rettificare
immediatamente quella boutade, rendendomi conto che era un doppio sproposito: “Be' ..
naturalmente, si fa per dire.”
Detto-fatto, eravamo arrivàti.
«La chiudo più che altro per essere in regola con l'assicurazione.»: la vecchia battuta della
macchina sgangherata, tanto per saggiare il senso dello humour di Cleo.
«Io invece ho anche smesso di sperare che me la rubino, la mia!»
Un sorrisone di compiacimento mi si spalancò in volto: che donna! che donna!
Affrettai il passo, immaginando di dover essere io a farle strada entrando. Invece le cose
andarono esattamente al contrario: fu lei a farmi varco attraverso i soliti imbecilli che
stazionano all'ingresso.
“Ah, queste donne liberate!”, pensai, mentre la seguivo all'interno sentendomi una specie
di timido barboncino rosa da passeggio.
«Ordiniamo da bere?», proposi impacciato.
«Lasciamo che siano loro ad accorgersi di noi.», suggerì lei con un cipiglio regale che per
molti versi mi ricordava..
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«Allora: hai più visto Angelo?»: lupus in fabula.
«Ieri, l'ultima volta.»
«Mi accennavi per telefono che è un po' abbacchiato..»
La squadrai con lo sguardo: c'era qualcosa in lei che non mi convinceva. Come se quel
suo modo di fare distaccato e le sue parole così apparentemente ciniche fossero in qualche
modo recitate ad arte. Ma per quale ragione?
«Non se la passa granchè bene, da quando tu l'hai.. da quando vi siete..»
«Ops. Scusate!»: il classico cameriere impiccione che s'intromette sempre sul più bello
annientando tutto il pathos, e per cosa poi? Per portarci soltanto il menù.
«Certe volte sembra quasi che facciano apposta.», protestò lei.
«Già.», tamburellando le dita sul tavolo, seccato all'idea di dover ripartire daccapo.
Invece a creare nuovamente l'atmosfera giusta ci pensò lei:
«Le mie amiche non fanno altro che dirmelo, che sono una pazza. Forse tu e loro avete
ragione, però..»
«Io non ti considero una pazza.»
«Una stronza?»
«Che, scherzi? Non mi permetterei mai di giudicare qualcuno che non conosco. Sì,
insomma: non è che Angelo si sia esattamente prodigato in tue descrizioni, con me.»
«Vuoi dire che..»
«..che lui ti rispetta troppo: ti sacralizza. A tal punto che anche il solo descriverti a parole
rappresenta per lui una forzatura, un che di riduttivo.. di irrispettoso, ecco: una specie di
bestemmia.»
«Non stai esagerando? Giusto un pochino, eh?», scherzò sorridendo.
«Stiamo parlando dei sentimenti di Angelo.», rimproverandola con la serietà del mio tono
di voce.
«Hai ragione: ti chiedo scusa.»
Era quello il momento di essere audace, o mai più:
«Posso chiederti perchè fra voi è finita?»
«Lui cosa ti ha detto?»
«Che gli rimproveri di averti fatta sentire oppressa. E non sarò certo io a darti torto, dopo
l'idea balzana che ha avuto di venirti a snidare durante le tue vacanze di riflessione al mare.
Tuttavi..»
«Ah. Lo vedi allora, che di qualcosa ti parla!», convinta di avermi sbugiardato.
«Solo quando glielo estorco ricattandolo: questo, nella fattispecie, era il prezzo che mi son
fatto pagare per scarrozzarlo fino a Milano a prendere l'ultimo treno.»
«Ce l'hai portato tuuu?»
«Ehi: ambasciator non porta pena. E comunque non avevo più cuore di vederlo così:
appassire poco a poco, lacrima dopo lacrima, un giorno dopo l'altro..»
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Il volto di Cleo stava irreparabilmente franando: la maschera di argilla si sgretolava, e non
c'era più pudore che contasse. Non più savoir-faire, non più “etichetta”, non più contegno
che potesse imporsi, tra lei e i suoi sentimenti contrastàti.
«Tu credi che per me sia stato tutto facile.»
«Non lo credo affatto.»
La testa m'incominciava a ronzare.
«Se tu solo t'immaginassi quanti casini, nella mia vita..»
«Sono qui per questo: parlamene, se vuoi.»
Sì, però.. cosa mi stava accadendo?
«So che tu non mi capisci, ma io dovevo comportarmi così! Sto vivendo un periodo
troppo difficile e complicato, sono indecisa e insicura, e per nulla al mondo potrei
permettere che Angelo venga travolto dai miei problemi.»
Paralizzato da un impossibile mal d'aria, tutto mi vorticava intorno, le voci si
confondevano, mi fischiavano pure le orecchie.. Un tremendo capogiro mi devastava la
mente. Com'era venuto, “chissà”.
«Non sarebbe giusto: è un ragazzo meraviglioso ed io l'ho già fatto soffrire abbastanza.
Sono troppo immatura per essere degna di lui. Si merita molto di più: ha bisogno di una
ragazza fantastica come lui.»
Io intanto mi barcamenavo come meglio potevo su e giù per cavalloni di pensieri agitàti e
perigliosi, e formulare anche la più semplice delle frasi rappresentava un'impresa titanica:
«Se lui ti ha scelta tra mille, è perchè per lui tu sei fantastica così come sei.»
Ma quanta fatica mi era costato, assemblare quella risposta! Trovare le parole, legarle
opportunamente secondo una sintassi, trasferirle alla bocca, fonetizzare col tono giusto,
accompagnare il tutto con le espressioni facciali appropriate.. Ogni più infima componente
del parlare mi costava ora un impegno mastodontico, e Cleo era una schiacciasassi:
«Sì, però lui ha bisogno di una ragazza che gli sappia dare sicurezza e forza. Io invece
sono debole, priva di certezze, non ho ancòra capito quali mete voglio realmente
raggiungere..»
Cercavo con tutto me stesso di ribellarmi, ma ero invischiato in uno stato semi-catatonico
come se avessi ricevuto una botta in testa, o fossi stato narcotizzato da una siringa-proiettile
caricàta a sonnifero per rinoceronti. Sapevo soltanto che dovevo assolutamente replicare in
qualche modo:
“Io.. Lui.. Angelo..”: scartabellavo l'elenco dei soggetti, spolverizzandoli uno ad uno sopra
al mio pensiero per vedere quale ci sarebbe rimasto appiccicato. Alla fine lo trovai: la
corrispondenza esatta era
«Tu..», ma la frase era appena incominciata.
Tirai un bel respiro e mi feci forza:
«Potreste cercarle in due.»
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Sì, ma.. che cosa? Ah già:
«Le tue mete, potresti raggiungerle con lui. Questi anni insieme..»
Non ce la facevo più: il tornado mentale era al suo apice, e la pretesa di comunicare in
quelle condizioni era assurda come voler vedere l'orizzonte nel bel mezzo di una tempesta di
sabbia in pieno deserto. Per fortuna, quel poco che avevo proferito era stato sufficiente ad
imprimere in lei la spinta per continuare il discorso:
«Con Angelo ho vissuto una storia d'amore straordinaria e probabilmente non incontrerò
mai più una persona capace di rendermi così felice.. Non mi capiterà più di avere
l'impressione che il cuore possa scoppiare per la gioia, non potrò provare emozioni tanto
intense da farmi lacrimare gli occhi..»
Cosa mi stava dicendo? Intuivo che era qualcosa di assolutamente importante, di
assolutamente verace, sentito, profondo.. Ma non mi riusciva più di sintonizzarmi sulle
frequenze del mondo: captavo soltanto interferenze.
«Potrei descriverti milioni di attimi indimenticabili, ma a quale scopo? Ora tutto ciò non
ha più alcuna importanza.»
L'unica cosa che mi risultava chiara era che aveva finito di parlare. E mi rendevo ben
conto che era il mio turno, ma..
«Ti ho lasciato senza parole, eh?»
Non rispondevo.
«Lo so: ti ho deluso. Tu chissà cosa ti aspettavi, da questo incontro..»
Era implicitamente una domanda, ma io (che a quel punto non capivo più neanche le
singole parole) non riuscivo a riconoscerci altro che un lamento: sincero, ma indecifrabile.
Percepivo il suo Cuore, quello sì, e quantomai distintamente: come se aver fatto tilt col
cervello mi avesse dischiuso una chiaroveggenza che prima di allora mi era sconosciuta. Ad
aver potuto replicare con un moto del Cuore, le avrei risposto e dio solo sa con quanto
affetto, empatia e comprensione..
In quella, rispuntò come un fungo sul bordo del tavolo il cameriere impiccione di prima.
Come per incanto, il suo «Cosa vi porto?» mi ricondusse istantaneamente alla realtà.
«Per me una coca.», risposi, lasciandomi guidare da un automatismo.
«Io, una Seven-up.»
«Va bene anche una Sprite?»
«Solo se non avete una Seven-up.», replicò Cleo piccata.
Io neppure ci feci caso, che condividevamo gli stessi gusti in fatto di gazzosa: ogni cosa
intorno a me era ancòra così.. confusa. Vedevo il mondo a tinte forti: dettagli impressionisti,
ruvide e grasse pennellate sopra una tela psichedelica a colori fluorescenti..
«Vedrai che Angelo ce la farà, a superarmi. Con tutte le ragazze che gli girano attorno, mi
stupisce che non si sia già trovato un rimpiazzo.»
«Infatti adesso sta con Valeria..», cominciai a dire – senza stare a sottilizzare troppo sulle
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parole che finalmente mi riusciva di raccattare.
Cleo, inutile dirlo, montò su tutte le furie: inspirò, inspirò, inspirò ed inspirò ancòra. Poi,
quando fu sul punto di esplodere, espirò beatamente lasciandomi di stucco.
«Ah. Ma beeene!», ironizzò pericolosamente, anzichè dare in escandescenze.
Io incominciavo appena, a rendermi conto della frittata che avevo combinato, ma
immediatamente mi cimentai a costruire il resto della frase che avevo cominciata:
«Non hai capito: lasciami finire. Intendevo dire che per vincere la malinconia e la
solitudine Angelo si vede con Valeria, quando in realtà ama ancòra te.»
«Fammi capire una cosa: sono o non sono insieme?»
«Lei gli ha fatto una corte spietata già dai tempi della scuola, e non ha mai smesso di
sognare ch..»
«Questo lo so anch'io. Ma adesso si vedono da amici o..?»
«Ma Valeria per lui non rappresenta nulla!»
«Però abbastanza da mettercisi insieme.»
«Sì ma..»
«A-haaa! Stavolta ti ho sentito bene: ci si è messo insieme!»
«Non lui con lei, ma lei con lui: è stata un'idea di Valeria.»
«Se c'è una cosa che non sopporto è che mi si prenda per scema: sono o non sono
insieme? Lascia stare se l'ha deciso lui, se l'ha deciso lei, o se l'ha deciso Marco Polo.. Sono
insieme, dico giusto?»
Tacqui – colpevolmente, ai suoi occhi. Fatto sta che non sapevo più cosa replicare.
Dopotutto, come avrei potuto? Tanto per incominciare, questa scelta di mettersi con Valeria
non l'avevo capita neppure io: figuriamoci se potevo spiegare a lei ciò che neppure io ero in
grado di concepire.
«Io so solo che Angelo ti ama, come e più di prima.»
«Lo vedo: e si porta a letto qualcun'altra.»
«Senti: io certe cose certo non gliele vado certo a chiedere, ma per quello che conosco io di
Angelo.. credimi: non è il tipo.»
«Allora si vede che non lo conosci abbastanza bene: non sarebbe la prima volta.»
«Alludi a Valentina?»
«Ma allora.. tu sai!»
«C'ero io, a consolarlo, ma anche a rimproverarlo, dopo quello stupido capodanno. Aveva
fatto una fesseria, certo, ma ti dico quanto ho visto: era distrutto e disperato. Un errore che
non avrebbe ripetuto.»
«Povero Alessio. Allora non sai, tutto. Eppure nonostante questo lo difendi a spada tratta:
per questo ti ammiro. Darei una gamba, per avere un amico come lo sei tu per Angelo!»
«Io..»
L'arrivo del cameriere con le nostre bibite mi zittì, ma non avevo comunque più nulla da
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dire: una forte emicrania aveva rimpiazzato il gran caos che mi aveva condotto a quello
sfacelo, e la consapevolezza di aver aggiunto danno al danno era una macchia corrosiva
sull'anima.
«L'ho combinata grossa.», mi rimproverai, e le parole mi sfuggirono di bocca sopra un
mesto sospiro.
Cleo suggeva nervosamente dalla cannuccia, ancorandosi con le unghie smaltate al calice
di cristallo appannato, perlato di goccioline di condensa che si confondevano con le
bollicine gelide all'interno del bicchiere.
«Tu non c'entri. Casomai è qualcun altro, che dovrebbe sentirsi in colpa.»
«Valeria?»
«Certo che tu lo difendi proprio fino in fondo, eh? Sicuro: anche lei. Ma se è per questo
neppure Angelo è quel santarellino che vuole farti credere.»
«Ma non eri tu stessa, fino ad un attimo fa, a cantarmene le lodi?»
«Non lo facevo così farfallone.»
«E allora non c'è null'altro da aggiungere a quanto ora ti dico: è tutta colpa mia. Ho fallito,
inutile negarlo. Ce l'ho messa tutta, per cercare di spiegarti il suo cuore, ma ho scelto le
parole sbagliate, gli esempi più stupidi.. E adesso è tutta colpa mia.»
«Su, dai, non fare così. Sei stato anche fin troppo buono: non lo so davvero, se Angelo al
tuo posto..»
Infatti. Ma quel giorno ero ancòra ingenuamente convinto del contrario:
«Lui farebbe altrettanto, per me.», protestai, con una sicurezza tale da spingerla a cambiar
discorso.
«Eppoi guardala così, Alessio: questo risolve tutto.»
Tolse la cannuccia e in un colpo solo tracannò la Sprite rimanente come fosse stata wodka
– roba che uno s'aspettava che poi schiantasse il bicchiere in un caminetto.
«Anzi, sai cosa ti dico? Che son felice per lui.»
Si alzò, mise la borsetta a tracolla, scostò i capelli, e poi disse un semplice quanto
inappellabile:
«Andiamo?»
Diedi fondo al mio amaro calice dal gusto dolciastro di cola, e la rincorsi alla cassa:
«Lascia: offro io. È veramente il minimo che possa fare.»
«Sono io ad essere in debito con te, semmai, Alessio.», e pagò per tutti e due.
Inutile insistere: non restava che arrossire.
«Vabbè, allora.. grazie.»
«Non c'è di che.»: strappò lo scontrino di mano alla cassiera, e ci dirigemmo verso la
macchina.
Lei, con tanta fretta di sprangarsi in camera sua prima che la maschera di porcellana di
Pierrot le si sciogliesse – sotto il peso di lacrime che palesemente non sarebbe riuscita a
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trattenere ancòra per molto.
Io, accompagnato dalla lugubre e rancida sensazione che la mia automobile laggiù, in
agguato nella penombra sotto un lampione spento, fosse il carro funebre col quale avrei
condotto il mio migliore amico nella fossa che io stesso gli avevo appena scavato.
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L
a diafana fiamma blu del gas alitava sinistra come un fuoco fatuo da cimitero, e
fluorescenze ectoplasmatiche avvolgevano le cifre color verde-digitale dell'orologio sul
forno: stava scoccando la mezzanotte senza neppure uno straccio di rintocco dal
campanile, o anche solo un miserrimo ticchettìo, che dessero un senso a quell'insulso
silenzio che s'era adagiato sopra ogni cosa – inclusa la mia afflizione.
In mancanza di fiele avrei tracannato il mio stesso..
“Sangue di Giuda!”, bestemmiandomi addosso quell'eco rabbiosa che risuonava dentro
alla mia mente a mo' di campana a morto per Angelo.
Possibile mai? Avevo tradito il mio migliore amico! Beh, non proprio tradito, ma
comunque l'avevo consegnato al nemico. Cioè: neanche, ma non ero stato in grado di
strapparlo dalle grinfie di quei maledetti.
Giuda o non Giuda, una cosa era innegabile: con Cleo avevo miseramente fallito.
Serrai la manopolina del gas, e in quel preciso istante il bolliacqua accennò a fischiare –
lasciando però immediatamente sfiorire quel sibilo che altrimenti avrebbe potuto disturbare
il sonno dei miei.
“Appena in tempo.”, rallegrandomi della tempestività del mio intervento, ma soprattutto
non capacitandomi di aver previsto l'istante esatto – azzeccandolo al milionesimo di
secondo pur trovandomi al buio, sovrappensiero, e tutt'altro che attento all'orologio o agli
sbuffi di vapore.
Il tempo di sorbire il karkadè a piccoli sorsi (bollente così come mi piace, così come
dev'essere) e me ne tornai dabbasso, reggendo gli zoccoli in mano per non far rumore sulle
cigolanti assi di legno della scala.
Misi mano al walkman e srotolai sul letto le mie povere ossa rotte: chissà che riascoltare
la cassetta di Vasco non mi avrebbe potuto fornire, se non ulteriori elementi a riguardo del
caso-Alessandro, perlomeno motivo di distrazione dai miei foschi pensieri contingenti.
«“Chiodo scaccia chiodo”.», o così dicono.
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Sfuggire a quel modo i miei sensi di colpa mi pareva quasi un ulteriore mezzo tradimento
perpetrato ai danni di Angelo, ma oggettivamente parlando nessun senso di colpa avrebbe
potuto rimediare al danno fatto – e così pigiai PLAY.
«Mh.. curioso: “Non l'hai mica capito” è palesemente al femminile. Perchè riferirla a me
anziché ai suoi tentativi di dichiararsi a Valeria? Forse per via di quel “tra i vari interessi
che hai dimmi che posto mi dai”..»
..frase che, pur non conoscendo ancora Vasco, gli avevo ripetuto migliaia di volte: perchè
a me sarebbe bastato che dicesse chiaro & tondo che non gliene fregava nulla di me, per
lasciarlo al destino che aveva scelto per sé stesso, invece i suoi contraddittori andirivieni
non facevano altro che incasinarmi sempre di più le idee:
«Un giorno sembra che per lui sono un peso, il giorno dopo che sono l'unico vero amico
che ha. Prima sparisce, poi “meno male che ti sei fatto vivo tu” e “ti ho pensato ogni
giorno”.. Bah!»
Trattandosi di un segno a lui predestinato, il testo doveva necessariamente essere specifico
nel descrivere la sua situazione: non una frase a caso, non una virgola fuori posto. E del
resto era stato lui, il primo ad ammettere che quella canzone aderiva alla sua vita come la
pelle al corpo. Ora: così come una scarpa avvolta nel domopak mantiene pursempre la
forma di scarpa..
«Ehiehiehi: aspetta un attimo: com'è che faceva, qua?»
Tipico: non c'è come imporsi una forte concentrazione per finire puntualmente col
distrarsi. Avevo cominciato con un ascolto attento e minuzioso, e dov'ero finito? Nel mio
solito marasma di divagazioni cervellotiche e vagamente filologicheggianti.
Riavvolsi un pezzetto, riascoltai la frase che mi aveva colpito, e ci rimasi di sasso:
«Ma..?! Possibile che dica proprio quel che mi è parso di aver capito?»
In un'epoca di frequenti allucinazioni indotte, il minimo era ricontrollare – e per sicurezza
lo feci due volte, ma il risultato era sempre inconfutabilmente: “Non mi devi trattare come
tutti quei maschietti che ogni tanto ti fai.”
Mica è un'inezia da poco. (Specie quando balza all'occhio quanto bene essa si sposi a
caterve di elementi contenuti nel file top-secret su Alessandro: Mauro, il cugino, lo zio..)
Cominciava seriamente a sorgermi il dubbio che, più che un messaggio per lui, si trattasse
di un astuto modo di Gino per barare un po' – dando implicita conferma alle mie teorie pur
senza infrangere il divieto di fare rivelazioni.
Pigiai sull'avanti-veloce per saltare “Colpa d'Alfredo” (chè tanto era ovvio riguardasse
solo lui, Valeria ed Angelo) e m'imbattei in un verso della canzone successiva, cui al primo
ascolto non avevo dato alcun peso: “E guarda già i maschietti con aria misteriosa, ma
quando torna a casa la sera è tutta un'altra cosa.”
Richiamava spudoratamente il “tutti quei maschietti che ogni tanto ti fai” della prima
canzone, e la seconda parte della frase collimava perfettamente con le succitate parole della
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prof. di lettere – così la riascoltai tutta, decifrandone anche altri passaggi.
Poi fu il turno di “Anima fragile”, “che mi ascoltavi immobile, ma senza ridere”. Non mi
capacitavo di come Alessandro potesse averla riferita a me, quando invece a me pareva
evidente che si parlasse di lui – che pazientemente sottostava ai miei sproloqui logorroici
senza battere ciglio. Col senno di poi la tradurrei così: “Alessio, tu che ascoltavi le mie
speranze di essermi innamorato di Valeria, ma non mi prendevi in giro”..
“Alibi” era forse la più criptica – a meno di non volersi concentrare sulle emozioni che
suscitava (specie nella lunga coda strumentale) anzichè sul testo, che pure non era avaro di
stoccatine tipo: “nessuno fuori si accorse di niente”, come nella maggior parte dei casi di
abusi sessuali in seno alla famiglia, e altre..
La traccia successiva invece era fin troppo esplicita, e faticai moltissimo ad ascoltarla
perchè non avrei mai potuto accettare che ad Alessandro potesse piacere condurre quel tipo
di esistenza dissoluta: avevo un disperato bisogno di credere che, se proprio fosse
immischiato in un simile luridume, lo fosse poichè costretto.
Nonappena attaccò la settima, mi fu immediatamente chiaro che era dedicata
precisamente a me: cominciai a lacrimare come una miracolosa (?) statua della Madonna.
Dapprima senza rendermene conto (quando il mio alterego nella canzone, amareggiato e
deluso, lascia tutti quanti e se ne va in una simbolica terra di pace e libertà), poi a dirotto –
scoppiando a piangere quando l'alterego di Alessandro veniva a cercarmi per poi rimanere
per sempre con me.
L'ultima la saltai proprio, visto che non diceva nulla di importante neppure a lui,
preferendo riascoltare l'ultima parte de “Il tropico del Cancro” – quando “Alessandro”
lascia dietro di sé “Valeria” che rimane da sola ad additare me e lui come esempio per il
mondo intero, e ad ammaestrare le folle dicendo di intraprendere un Esodo seguendo
l'esempio di noialtri audaci esploratori dell'ignoto.
«È forse questo, il mio destino? Devo abbandonarmi Alessandro alle spalle, esplorare
nuove dimensioni, e fare da apripista per l'intera Umanità?», m'interrogai, considerandola
un'eventualità tutt'altro che appetibile o anche solo lusinghiera.
No: sarebbe stato molto di più. Come Angelo mi avrebbe rivelato qualche anno più tardi..
«..per una cosa tanto semplice, non avrebbero inviato noi due.»
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M
ai avuta nessuna simpatia, per gli specchi: quel.. coso lì.. sarei io??
Fin da quand'ero bambino ci gareggio a chi resiste di più. Esso persiste a
ritornarmi un'immagine di me assolutamente non plausibile, e io dal canto mio
gliel'ho giurata di ignorarlo fino a quando non cesserà di fare il deformante. Per ora siamo
pari, ma che io abbia e non sia un corpo mi risultava ben chiaro da molto prima che
arrivasse Gino – figuriamoci dopo.
Purtroppo però questa consapevolezza non basta a risparmiarmi sempre più frequenti
crisi di rigetto per quest'ingombrante mezzo di trasporto che mi tocca portarmi appresso
ovunque io sia. O per meglio dire: ovunque io vada, dal momento che va trascinato da un
luogo all'altro come una palla al piede. Cioè, ti rendi conto? Non basta “essere nel posto
X”: bisogna prima raggiungerlo muovendo 'sta specie di golem di carne! Pazzesco.
Il narcisismo, per come la vedo io, è una forma della sindrome di Stoccolma: si può voler
bene al proprio corpo nella misura in cui si può voler bene alle mura della propria prigione.
(Quando oltretutto sono davvero in pochi, a conoscere le ragioni per le quali vi sono stati
reclusi, dunque non mi spiego come mai nessuno gridi all'errore giudiziario per quello che
ha tutta l'aria di essere solo un clamoroso sopruso.)
E non finisce qui: oltre al danno, la beffa – perchè 'sta gran scocciatura dotata di tutti i
comfort in fatto di rovinarti l'esistenza, pretende una manutenzione a dir poco vergognosa.
Sarebbe come se nella suite di un costosissimo albergo a 5 stelle vi obbligassero a rifare il
letto ogni mattina, e poi le pulizie, e prepararvi da mangiare da soli, andare a fare la spesa..
Via di questo passo tanto valeva restarsene a Casa propria, o no?
Mi sta anche bene pagare al mio corpo il pizzo di 1/3 della mia vita, dal momento che
mentre lui dorme io senonaltro posso prendermi una piccola vacanza dall'isteria del mondo.
Passi pure per la faccenda del doverlo alimentare, pratica divertente e godereccia, volta
alla scoperta di nuovi sapori e buffi titillamenti del palato.
Già le docce cominciano un po' ad urtarmi, chè sarebbe come se il mio computer
pretendesse che gli passassi l'aspirapolvere nelle intercapedini fra i tasti giorno sì giorno no.
Ma la faccenda di lavarsi i denti dopo ogni pasto, sul serio: quella non l'ho mai mandata
giù. Spazzolinodentifriciodoccettafilointerdentale per almeno tre volte al giorno?? A
proporzioni fatte, sarebbe come lavare la macchina 84 volte in un mese: a dir poco
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maniacale!
Se almeno queste disinfestazioni quotidiane ti togliessero il dentista di torno! Invece no: la
carie prima o poi ti azzanna lo stesso, che non si capisce perché quando tu sei sempre stato
diligente ai comandamenti odontoiatrici. (A meno che, dico io, a indebolire le difese naturali
del tuo organismo non sia stata proprio la tua fissazione di mantenere rigorosamente
asettico il tuo cavo orale.
E 'sta faccenda della carie ci riallaccia a quella del dolore fisico: che senso ha?
Il tuo corpo è stato incapace di badare ai suoi fottutissimi denti, e quando il dentista
interviene a rimuovere il problema.. ti tocca pure soffrire! Che cosa cretina: tu stai aiutando
il corpo a guarire, e lui ti ricambia torturandoti; anzichè chiederti umilmente scusa per aver
fallito, si permette addirittura di ostacolare il percorso di guarigione che tu gli offri con le
migliori delle intenzioni.
E poi che accidenti di bisogno c'era, di innervarli?
“Per evitare infezioni da carie”, mi si dice. “Così anche l'uomo primitivo, quando oramai
il dente era compromesso, provvedeva a sbarazzarsene strappandolo.”
Diciamocela tutta: solamente quando ci riusciva.
• Punto primo: il dolore rende l'autoestrazione alquanto problematica, se non del tutto
impraticabile.
• Punto secondo: vorrei proprio vedere come avrebbero fatto i nostri antenati a cavarsi i
denti senza disporre degli strumenti necessari.
• Punto terzo: in molti casi la corona del dente è troppo debole per reggere la trazione, e
se ci provi finisce che si frantuma e son ben altri dolori – e a quel punto bisogna ricorrere
ad una vera e propria operazione chirurgica: incidere la gengiva per rimuovere la radice,
ricucire con punti di sutura..
Roba da pazzi. Specie considerato che il meccanismo per formare un dente è già stato
implementato da madre natura, e sarebbe bastato far sì che il dente malato cadesse da sé
per poi ricrescere: così come i decidui vengono sostituiti da denti nuovi, perchè non gli
estirpàti?
Fine della digressione, tanto per dimostrare come possedere un corpo comporti davvero
un sacco di stupide complicazioni inutili. Certe volte non viene anche a te, la voglia di
piantarlo in asso con un “Oh insomma, a quel paese te e i tuoi casini: mo' arràngiati!”?
(Poco ma sicuro, se abbandonare definitivamente il proprio corpo non implicasse la morte,
le persone ragionevoli non ci penserebbero su due volte.)
E poi tutti quanti a chiedermi perchè mi faccio crescere la barba. Oh che palle: è lei, che
cresce, mica io che spingo affinchè essa prolifichi. (Per tacere delle unghie.)
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Ma non finisce mica qui, nossignore!
Il corpo dev'essere inoltre abbigliato, inquantochè pure in fatto di termoregolazione se la
cava così-così: tipo una vecchia automobile senza l'impianto di condizionamento dell'aria.
Manco il riscaldamento per l'inverno: che razza di bagnarola..
Per sovrammercato ci si mette l'ingegno masochista degli uomini: ogni epoca ha il suo tipo
di vestiario, e all'interno di ogni epoca vi sono abiti diversi per circostanze diverse:
Al casinò ad esempio sono richieste giacca e cravatta: immagino per non dare l'idea di
essere dei pezzenti che si sono giocàti il proprio avvenire e quello della propria famiglia
sperperando soldi dissennatamente.
In chiesa non ci si va in mutande e canottiera: per non imbarazzare Dio, che a sentir loro
si sarebbe dimenticato che Adamo l'ha creato nudo. Eppoi il prete, soggetto a una castità
contronatura, potrebbe avrebbe turbamenti sessuali che comprometterebbero l'esercizio
delle sue funzioni liturgiche: non sia mai!
Ma le mie preferite (si fa per dire) sono le tipe che in spiaggia persistono ad esibirsi in
topless anche coi primi freddi di fine-Settembre, ma guai a circolare in maniche corte in
città: molto meglio soffocare nell'afa di Agosto. C'è persino chi si impone giacca &
cravatta, salvo poi spander tanfo di caprone nei metrò.
Insomma: un delirio. Un'alienazione collettiva che giustifica un controsenso dietro l'altro.
Quanto a me, con buona pace dei pirla che si complicano ulteriormente la vita rendendosi
soggetti ai capricci demenziali della cosiddetta moda, mi preoccupo solo di provvedere
all'equilibro termico del mio corpo e di non destare scandalo quando esco di casa: per il
resto, il minimo-massimo che richiedo a un vestito è che sia comodo e pratico – cioè scarpe
con le quali possa camminare su un prato, pantaloni che all'occorrenza mi ci possa sedere
su un marciapiede, e via discorrendo.
E il glorioso giorno in cui la Scienza si deciderà a compiere il balzo evolutivo volto ad
abolire una volta per tutte le stringhe (roba da guerre puniche, e non solo per modo di dire),
approderemo finalmente a una più comoda banda elastica e io non dovrò più farmi
modificare ad hoc le scarpe dal mio calzolaio di fiducia.
«Oh, insomma! Ne hai ancòra per molto, con questa filippica?»
«Ho giusto-giusto finito: mi son sfogato.»
«Ecco, bravo: era ora!»
«Bastava dirlo. Dovresti saperlo, Alessandro, che io mi perdo spesso nelle mie
divagazioni..»
«A casa mia si chiama logorrea.»
«Questo è il termine scientifico. Io però preferisco definirlo brainstorming..»
«Lo so.»
«..che altro non è se non la forma mentale di ciò che la poesia è a livello emozionale. Fra
parentesi: lo sapevi che “poesia” deriva da un vocabolo greco – poieo o qualcosa del
389
(67)
genere – che significa semplicemente “produrre”?»
«Ricominci daccapo?»
«No no, stai tranquillo. Senti: che ne diresti di fare qualcos'altro?»
«Proponi tu.»
«Ti andrebbe di fare l'amore?»
«MA STAI SCHERZANDO!?»
«Nient'affatto.»
«Ti ha dato per caso di volta il cervello? E me lo dici così?», arrossendo tutto in volto.
«Paro paro. Ma se è troppo sfacciato e preferivi un altro panegirico dei miei..»
«Nononono, per carità!»
«E allora?»
«In effetti sono anni, che aspettavo che tu me lo chiedessi.»
Poi, con voce rassicurante e provocante, contemporaneamente materna e maliarda,
spalancò le braccia e aggiunse semplicemente:
«Vieni qui, dai!»
68
L'ALTRA METÀ
Vorrei intingere le mie labbra nelle tue,
attizzare ancòra una volta in noi il fuoco rubino
ebbro di passione,
scivolare assieme a te
nel gioco maliardo della sensualità innocente:
bere vino ed essere bevuto divinamente,
masticare la vita
e farmi agguantare il cuore da una carezza leggera,
respirare schegge di cielo
e sprizzare dolce, tenera, pura, sorprendente, mite intimità.
Rapìto da uno strano ed irresistibile anelito del tempo,
giaccio ansimando flebili aliti,
ancor vividi e all'erta i sensi miei.
Questa notte è accaduta una cosa strana e meravigliosa:
ho sdoppiato e perso di vista me stesso,
e ora ritrovo in te l'altra metà del mio Sè.
390
(68)
Q
ualcuno bussa, e sono appena le 7.30 di mattina:
«Sì? Chi è?»
«Esco con la macchina: vado a scuola. Ti serve, la macchina?»
Un simile affronto alla più elementare delle sintassi non poteva provenire da altri che da
quel decerebrato di Domenico: il mio “fratello” nato sotto il segno dei piraña.
«Sai bene che il venerdì mattina vado in posta. Però se ti occorr..»
Non mi lasciò neanche finire la frase e diede in escandescenze, coprendomi di insulti che
ho la compiacenza di censurare per non tediare inutilmente il mio affezionato lettore.
Riassumendo:
«Vaffanculo te e la tua posta di merda: io esco lo stesso. Ciao.»
La cosa più buffa è che prima di andarsene aspettò qualche istante, per sentire se e come
io avrei reagito a quel suo sconnesso ultimatum fondato su una contraddizione in termini.
Naturalmente avevo ben altro per la testa, per voler badare alle farneticazioni di uno
scompensato, e così non stetti neppure a rispondergli.
Tuttavia, visto che oramai ero sveglio, aprii il diario e incominciai a scrivere:
Della mia prima volta ricordo la pelle, la lingua, le
espressioni, i contatti, il tepore, la dolce sensualità di
un'unione tra due corpi che si cercano teneramente. Nulla
di volgare, anzi qualcosa di “domestico”. Non “fare
l'amore”: esserlo, assieme a qualcun altro.
A parole è inesprimibile, ma pressappoco è come fare
l'amore con un altro sè stesso – che non suona romantico
solo perchè è radicalmente tutt'un'altra cosa,
infinitamente più Grande. E, sopratutto, senza nulla di
masturbatorio: perchè è sì ricerca del piacere, ma con un
qualcosa di donare/ricevere che travalica l'autogratificazione.
Giuro che in precedenza un sogno così vivido e realistico
non l'avevo fatto mai.
Ammetto che col senno di poi non riesco a fare a meno di domandarmi se invece non
sarebbe stata proprio quella, la strada giusta da seguire per farmi avanti con Alessandro.
Certo non rientra nel mio stile, cominciare una storia d'amore partendo dal sesso, ma
dopotutto è pur vero che l'Amore è abbandonarsi a scoprire in due che l'imperfezione
dell'attimo casuale vale mille volte di più della scala di cristallo che ci eravamo
ostinatamente costruiti noi.
E per giungere dove, poi? Davanti a una porta chiusa e impossibile da sfondare poiché si
sarebbe dovuta spalancare da sé: sulla cresta dell'onda di un sentimento pazzo e
dirompente, abituato a sfuggire ogni artificiosa coreografia così come un cavallo veramente
Libero si ribella alla sella che vorremmo imporgli.
“Come il mare abbracciarti io vorrei..” C043, cantavo, ma senza averlo ancòra Capito al
100%.
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Squillò il telefono.
«Possibile? Sono appena le otto e..»
Possibilissimo, se a telefonare è il più randagio dei miei amici:
«Tommy!? Sei proprio tu?»
«Ueeeelaaaà! Ciao! Come stai, vecchia canaglia?»
«Seduto. E tu?»
Rise:
«Non cambi mai, neanche di mattina presto. E allora, cosa mi racconti?»
«Veramente il desaparecido sei tu. Ma lo sai che mi ha persino telefonato tua madre, per
avere tue notizie, e io non avevo la più pallida idea di cosa risponderle?»
«Per quel che mi riguarda, mia madre può andare a farsi fottere.»
Brutale e cinico come non lo era mai stato. Una vera doccia gelata.
«Ce l'hai anche con Paola & Leo?», lo provocai.
«Perchè?»
«Dicono che non ti sei più fatto vedere nè sentire. La Pelosi è spaventata: teme che tu ti sia
andato a cacciare in un brutto giro.»
«E il Meraviglia? È ancòra incazzato?»
«Per quel che ne ho capito io, è soltanto deluso: si aspettava che dopo che avevate
lavorato assieme così duramente, per preparare l'esame di maturità da esterno, tu
quantomeno ci provassi a darlo.»
«Tanto mi fottevano comunque. Eppoi secondo me del mio esame a lui non gliene frega
un cazzo: semmai gli girano per via dei soldi che gli devo.»
«Quanto a questo non ne sapevo niente.»
«Un prestito. Digli che se mi ricordo un giorno di questi glieli spedisco.»
«Perchè mandargli un vaglia anonimo, quando potresti approfittarne per andarli a
trovar..»
«Ma che vaglia e vaglia!», e rise. «Una busta e via!»
«Mi pare poco prudente.», opinai.
«Trankillo: i soldi non mi mancano. Non più.»
«Hai trovato lavoro?»
«Vuoi dire che la Paoletta non te l'ha spiegato?»
«Si è limitata ad accennarmi qualcosa a riguardo di una vendita al dettaglio.»
«Vendo profumi. E faccio un pacco di quattrini!», sghignazzando colmo
d'autocompiacimento come un bambino che si bea di una marachella ben riuscita.
«Sarebbe?»
«Sarebbe che ho provato a bruciar via tre milioni così, in una sola serata!»
«Starai scherzando!», allibii.
«No. Però tanto sono bravo a vendere, e me li rifaccio quando voglio.»
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Roba da non crederci. Ma era ancòra lo stesso Tommy che conoscevo io?
«L'hai più sentita, Barbara?» : il suo primo amore, dopo un'oramai leggendaria serie di
avventure “una botta e via”.
«Chi?»
«Immagino dunque di no.»
«Aah: quella Barbara!»
Non solo non l'aveva affatto dimenticata, ma aveva capito al volo di chi stessi parlando.
Era una finta amnesia perchè voleva giocare a fare il prezioso.
«Poveraccia: lei insiste ancòra nel pensare a me come a un cucciolo, l'illusa. (Ma in fondo
la colpa è stata anche un po' mia che gliel'ho lasciato fare.) L'avrò rivista per l'ultima volta..
uh, fammi pensare.. Cristo: sto perdendo la memoria!»
«Forse dormi poco.», e lo dicevo per scherzo, invece..
«No: è che proprio non dormo. Quando va bene, un paio d'ore per notte.»
Qui venne colto da improvvisa quanto apparentemente immotivata ridarella.
«Cosa c'è di buffo?», protestai.
Non riusciva più a smettere di sghignazzare: tratteneva il respiro per farsela passare, ma
poi ri-esplodeva; si sforzava di riprendere il discorso, ma quando iniziava la frase
scoppiava a ridere come e peggio di prima.
«Tommy! Ti sei impazzito?»
«Non ci sto più con la testa: tiro di coca ogni sera, nei weekend mi faccio d'acido.. Forse
esagero? Nah!»
Ero allibito.
«O! Stai ancòra lì? Sei tu che non parli, o sono io che sono diventato sordo?»
«È che mi hai lasciato senza parole. Io ero rimasto a quando i tuoi studi sugli allucinogeni
erano a un livello puramente teorico..»
«Dio, che caaaaro!», scheccando con la voce. «Si preoccupa per me!»
«Sono o non sono tuo amico?»
«Stai pure tranquillo: io non ci casco. La droga a me non mi frega: posso smettere quando
voglio, io.»
«La tipica frase da tossico e da alcolista.»
«Io ti ho chiamato per sentirti, ma se mi devi fare la predica posso anche riattaccare.»
«Ah sì? Dunque rientro anch'io, nel novero di quelli che per te possono anche andare a
farsi fottere. Possibile, che non ti sia rimasto più un briciolo di rispetto per niente e
nessuno?»
«No, dai, non dire così. Scusami: hai ragione. È che sono un po' sconvolto. Sai, ieri sera
mi sono calato di brutto e..»
«Ma ti senti come parli? Sembri il ritratto del mafiosetto che s'è fatto rubare l'anima dalla
grande città. Che fine ha fatto, il poeta con la mania di bruciare le sue opere d'arte? In quale
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(68)
bidone dell'immondizia l'hai gettato via, il Tommy amico mio?»
Silenzio. Avrei giurato che riattaccasse, e che non l'avrei sentito mai più. Invece:
«Frequento certa gente, tu sapessi. Toh: parli del diavolo..»
Coprì il ricevitore e scambiò un paio di battute con un uomo dall'accento pugliese,
dopodichè tornò a rivolgersi a me:
«Sacra Corona del sacramento!»
«Ben strano epiteto. Sarebbe a dire?»
«Niente, niente, non badarci.»
«È uno di quelli con cui lavori?»
«Complimenti: che intùito!», ironizzò.
«Capirai..»
«Era il mio capo: “the big boss” in carne ed ossa. Mi ha appena comunicato stasera
lavoro, ma mi lascia il pomeriggio libero. Che ne dici di vederci?»
«Dipende da dove ti trovi.»
«Non te l'ho detto? A Milano.»
Roba da prenderlo a sberle! Fosse stato a Roma, o anche solo a Torino, avrei anche
potuto capire. Ma.. Dico: per andare a tranquillizzare Paola & Leo gli sarebbe bastato
prendere un metrò! Anche solo per lasciar loro un bigliettino nella buca delle lettere..
Diplomazia. Quel che mi ci voleva era una forte iniezione di diplomazia:
«Perchè non vieni tu qui? Col treno delle 18.41 da Arcore sarai nuovamente a Milano per
tempo.»
..il che oltretutto dava modo a me di raggiungere la palestra in tempo per le 19.
«Troppo tardi: comincio alle sei.»
«Beh, allora vieni adesso e pranziamo insieme!»
«Non posso: tra cinque minuti ci ho il turno, e non stacco prima delle due. Prenditela
comoda e troviamoci davanti al duomo alle 2.14, ti va? Sennò facciamo un altro giorno.»
Non si trattava solo di battere il ferro finchè era caldo, ma di rendersi conto che se non
avessi colto quell'occasione molto probabilmente ci saremmo persi di vista per un altro paio
d'anni almeno.
«Andata per le 14 e 14! Tu però cominci a somigliare ad Angelo in maniera preoccupante,
lasciatelo dire.»
«Io, a un borghesuccio con l'orologio d'oro e il braccialetto del suo caro paparino?»
Non gli è mai stato simpatico, nei due anni di scuola che Tommy ha fatto con noi, e
Angelo ricambiava ignorandolo. (E domandando a me perchè mai mi ostinassi a
frequentare certi disadattàti. “Proprio perchè c'è gente come te che li emargina
ingiustamente”, rispondevo io.)
«Sorvoliamo su 'sta vecchia diatriba, che sennò ti faccio esaurire la scheda telefonica.»
«Di questo non preoccuparti: ho cioppato la cabina col vecchio trucco della doppia
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(68)
scheda. Lo conosci?»
«No, e non lo voglio conoscere – fraudolento d'uno che non sei altro!»
«Allora ci vediamo.», e riagganciò.
Oppure qualcun altro aveva interrotto la comunicazione al suo posto.
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C
i congedammo anche prima di quanto avessi previsto: io diretto alla stazione, e
Tommy al suo turno di lavoro. Con la promessa che ci saremmo sentiti, e magari
pure visti, al più presto.
«Nel frattempo mi sa che ti spedirò qualche lettera.», gli promisi, semprechè l'indirizzo
che mi aveva dato fosse un alloggio stabile e non un covo temporaneo dove tempo un mese
non l'avrei trovato più.
Di cosa mi stupivo? Era rimasto il Boccadoro scavezzacollo di sempre: questa volta
materialista per scelta e abbruttito un po' da quel giro di vendite truffaldino, ma se è per
questo neppure il suo precedente posto di lavoro era quel che di dice “un onesto impiego”:
spezzarsi la schiena dall'età di 15 anni trasportando a spalla prosciutti, pagato poche lire
(pure quelle in nero) in una fabbrica che produce salumi con scarti di macelleria trituràti
assieme ad eventuali ratti di passaggio.. Quelli sì, ai suoi occhi erano veri criminali!
«È molto semplice: ne ho avuto abbastanza e da ora in avanti ho deciso di essere sincero
al 100%. Tanto che a volte posso magari sembrare sfacciato, ma mi sono rotto il cazzo di
indossare maschere solo per far contenti gli altri! Per mia madre, quella del figlio ribelle.
Per Barbara, quella del tenero cucciolo spaurito. Per te, quella del poeta bohemienne
maledetto. Per Paola e Leo, quella del figlio che non hanno avuto..»
E se questo tuffo nella melma del denaro facile non rappresentasse altro che un'ennesima
tappa, in un certo senso obbligata, verso la “redenzione” – o quantomeno alla ricerca di un
più stabile equilibrio interiore?
«Oggi se qualcuno mi vuol far recitare, paga. E io metto la maschera, quella che
preferisce lui, ma sto solo facendo l'attore: recito ancòra, è vero, ma lo faccio per i soldi – e
non più per gratificare le aspettative che la gente nutre per me. Io non sono un loro
personaggio: sepproprio, sono un personaggio mio. E quando faccio la puttana, costo caro.
Cosa dico “caro”? Il giusto prezzo, eccheccazzo!»
Egoismo applicato alla libertà: tale e quale al personaggio di Hesse cui più somigliava.
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«Agli sconosciuti mostro solamente un mio profilo: di volta in volta quello più adatto a
coltivare i miei interessi, e a tenermeli buoni casomai un giorno mi dovessi servire di loro. Il
mio volto completo, solo-a-chi: chi ne è degno, chi è in grado di capire, chi non ha
l'etichettatrice pronta per me. In una parola: solo a chi se lo merita. Anche se per adesso ti
confesso di aver trovato solamente te.»
Di fronte a un tale complimento non potei far altro che arrossire nel modo in cui sarebbe
arrossito Narciso. Ed arrossii nuovamente, ripensando a quelle parole così vere e sentite,
mentre scendevo le scale che collegavano la linea rossa con quella verde.
«Scusa.. Ce l'hai mille lire?»
La voce stentorea e impastata che mi aveva strattonato nuovamente giù verso la truce
realtà contingente, apparteneva ad un uomo dall'età pressochè indefinibile. Si trascinava
lungo la banchina strisciando i passi per terra, ricurvo sulle spalle come un vecchio e
decrepito mendicante di qualche città santa – tuttavia, dietro a una cortina fumogena che
non mi riusciva bene di sondare, il suo sguardo conservava tracce ancor visibili della
freschezza caratteristica di un adolescente. A quel punto ci arrivai: era un tossico.
«Ma cooosa hai capìto?»
Incominciò a biascicare, con accento americano, e lo faceva a intervalli alterni: come se gli
risultasse impossibile riuscire ad impostare il volume della voce, come se la porcheria che
aveva in circolo stesse giocando con la sua rotellina per sintonizzare la radio dei pensieri.
«Io NON mi devo mica faRE: i bucks sono per SIStemarmi l'appetiTO.»
Era una pena, vederlo mentire così spudoratamente: un essere umano costretto a svendere
la sua dignità a causa di un' ingorda crisi d'astinenza che gli parassitava il cervello
serrandogli il corpo nella morsa inesorabile del dolore fisico.
Mai stato capace, di infischiarmene della gente bisognosa. Nè tantomeno di sdegnarmi
della loro stessa presenza, come invece ogni “rispettabile cittadino” sa fare con autentica
maestria. (Ma in loro difesa va ammesso che il proposito di mantenere aperto il Cuore nella
grande città equivarrebbe ad attraversare nudi una palude infestata da sciami di zanzare: un
vero e proprio stillicidio suicida.)
“E adesso che faccio? Fingo di credergli e gli do dei soldi, sperando che ci compri
effettivamente del cibo, oppure glieli nego per non diventare complice della sua rovina?”
Optai per una soluzione più impegnativa rispetto a un sì o un no, ma decisamente
salomonica:
«Sei fortunato», gli dissi amichevolmente. «Io posso anche prendere il treno dopo. Vieni
con me: ti porto a mangiare qualcosa.»
Mi era rimasto giusto un ticket, e c'era un Burghy proprio davanti all'uscita del metrò: se
non si aspettava un'abbuffata luculliana cucinata da un grande chef, con tredicimila e rotte
lire di buono-pasto potevo offrirgli di che sfamarsi.
La sua risposta mi deluse:
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«No, grazie. Fa lo stesso, amico.»
In fondo me l'aspettavo, ma avevo voluto sperare fino all'ultimo di sbagliarmi. Invece
gl'interessava soltanto il denaro, per traforarsi quelle vene da portaspilli umano: roba, roba,
roba, e altra roba ancòra.
Tornai a mischiarmi alla folla e mi allontanai, ma come avendoci ripensato mi raggiunse
nuovamente:
«Però se mi dai i soldi dopo ci vado, a mangiare.»
«Sì certo, come no?», replicai tagliente, appena un attimo prima di rendermi conto che la
viscida insolenza di quella parlata sibilante e tentatrice mi era permeata dentro per osmosi
empatica.
Quel che è peggio, senza trovare resistenza alcuna – dal momento che non mi ero ancora
preso la briga di sviluppare difese contro quel fenomeno per me assolutamente nuovo (e a
cui, per dirla tutta, non ero neppure sicuro di voler credere). Ne rimasi inzaccherato a tal
punto che un voltastomaco violento mi stringeva il petto senza però riuscire a generare il
conato che avrebbe dovuto sfogare quella nausea sconvolgente.
Si era trattato senza dubbio di un “prendi & porta a casa” degli schìfidi:
“Tanto peggio per loro: il colpo l'ho incassato bene, ed entro breve svilupperò robusti
anticorpi. Poi vediamo chi riderà per ultimo..”, mi rassicurai.
Era evidente che quel poveretto non c'entrava nulla: era semplicemente stato il mezzo, il
canale su frequenze abbastanza basse da costituire il tramite perfetto fra questo mondo e
l'inferno da cui erano stati attinti gl'infetti liquami emotivi vomitatimi addosso.
Resosi conto che da me non avrebbe più spremuto nulla, abbassò lo sguardo – come a
voler cercare tracce dell'antico sè stesso sparse sul pavimento del metrò. Poi girò sui tacchi,
per dirigersi verso un altro volto misericordioso fra la folla. O anche solo con la speranza di
trovare qualcuno disposto a posare gli occhi sopra di lui, a confermargli di esistere ancòra.
Inaspettatamente, mentre ancòra lo stavo seguendo con lo sguardo, si voltò di nuovo e
notai che stava piangendo. Scagliò una frase attraverso la folla disgustata di lui, e fu una
delle più terribili che mi è stato dato di udire in questa mia vita:
«Almeno tu non mi hai chiamato bastardo.», poi disparve tra la gente, stringendo a sé
come un caldo orsacchiotto quella nuvoletta di disperata felicità che a mia insaputa gli
avevo donato.
Da lontano continuava a giungere alle mie orecchie il borbottìo attutito della sua voce:
«(Qui tutti mi chiamano bastardo d'un tossico. E mi prendono a calci. Che ne sanno loro?)
Che ne sapete voi, di me?», ringhiandolo in faccia a un passante schifato. «(Io avevo una
famiglia, io avevo una vita..)», fino a che quel soliloquio sfumò nello sferragliare del metrò
che stava arrivando per portarmi via da lì.
Forse avevo incontrato un santo. O forse, semplicemente un povero diavolo: una delle
tante anime che vagolano sperdute e sconsolate attraverso l'universo come moltitudini di
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(70)
farfalle notturne – attratte dalla luce, ed inesorabilmente arse dalla fiamma come fossero
solo foglie secche.
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G
ino mi aveva espressamente vietato di interferire, o anche solo di avvisare Angelo, ma
certo non potevo restarmene in panciolle in casa mia limitandomi a sperare che tutto
andasse per il meglio. Così alle 19 in punto mi nascosi nel parcheggio vicino alla
palestra, ad attendere il loro arrivo – o la mia prima “chiamata alle armi” sovrannaturale,
casomai ci fosse stato bisogno di dargli man forte e/o di proteggere Alessandro.
17 atroci minuti gocciolano implacabili: troppo lenti e
pur troppo veloci.
Inizio a capire, inizio a sentire, ma altri 17 minuti
potrebbero voler dire BASTA.
Perchè non c'è un Dio da pregare? Perchè non posso far
altro che sperare che l'impossibile accada ancòra e ancòra
e ancòra e ancòra e ancòra..?
13 minuti, e stavolta è il mio stesso sangue – che
gocciola.
Sapere che accade, e sapere che l'unica cosa che si può
fare è evitare di restarne coinvolti. Mi sento così
impotente e vigliacco! (Solo il primo è vero, ma come non
attribuirmi a ruota pure l'ignobile infamia del secondo?)
12 minuti: un ineluttabile conto alla rovescia più veloce
della mia penna e dei miei pensieri.
Tifare contro ogni logica, forse anche contro il pensar
grande.. Ecco cosa posso fare. Ma mi chiedo se questo
bicchiere d'acqua verrà anche solo notato, nel divampare
dell' dell'incendio immane e colossale.
11 minuti e mezzo, ora. E non ho idea di quanto durerà.
Non ho visto Alessandro, ma a occhio e croce dev'essere
già entrato.
10 minuti e il tempo crolla, si sgretola, si sbriciola, si
polverizza e si annienta. E mi annienta.
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La mia mano forsennata verga autentiche lettere di paura e
sconfitta, di fiducia e orrore. Non io, ma il mondo intero
dovrebbe tremare. Perdere il respiro in un attimo, al solo
vagheggiare cosa rischia di perdere.
Io solo, ora, so. E su 6 miliardi virgola 7 e rotti di
esseri umani, gli unici che lo sapranno siamo noi quattro.
9 minuti, e il tempo scorre. Bastasse fermare tutti gli
orologi del mondo per arrestare l'ineluttabile, potrei
perlomeno tentare. Ma ora, posso ancòra di meno che solo
piangere. Piangerò poi, ma non vorrò mai.
7 fottutissimi minuti. Sa Dio quanto rimpianto sento già
ora, quanti rimorsi mi dolgono nel profondo del petto,
quanti “avrei potuto”.. e oramai è TARDI.
6 minuti: la luce del cielo plumbeo grida a squarciagola
dentro ai miei occhi.
Alzo lo sguardo: tutto tace, tutto continua come se niente
fosse. In lontananza, esseri del tutto insignificanti
continuano a far girare la baracca del mondo.. Quando
l'unico in millenni di Storia sta per rischiare tutto
ancòra una volta.
5 minuti, e Cleo si sta facendo i cazzi suoi. L'unica che
potrebbe, nella sua limitatezza, l'impossibile.. non lo
compie. E non perchè non voglia ma perchè non sa e non
deve sapere. E io (tanto per cambiare) ho le mani legate.
3 minuti. Io non posso e non devo farci niente. Ma
perchè? PERCHÈ?
Perchè lui, perchè non se ne può
parlare, perchè non c'è santo..
2 minuti, e mi piomba addosso come il franare di una
montagna la consapevolezza di QUANTO SONO MINUSCOLI 120
secondi. 94 secondi. 84 secondi. Countdown perverso,
countdown di merda.
60 secondi, 59, 58, 57, 56.. Non faccio nemmeno in tempo a
scriverlo.
Chissà se il bip dell'orologio mi paralizzerà il cuore o
mi torturerà con la solita lucidità dell'ineluttabile?
13 secondi, e il tempo 8 7 6 5 4 3 2 1 corre via opaco.
0. E sono ancòra qui. L'allarme dell'orologio ha smesso di
suonare, il disastro potrebbe essere in atto. E Alessandro
nulla sa. Uno schifosissimo biscioide (che dico, uno? Se
da 1 a 4 poi 23.. 516!!!)
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È dentro da 2 minuti: già sta lottando, soffrendo,
rischiando tutto senza nemmeno sapere per cosa, in nome di
che. Senza nemmeno l'aiuto di nessuno, nè la presenza, nè
nulla. Forse l'hanno già portato in capo al mondo, così
nemmeno un luogo caro gli arriderà al cuore.
Quattro minuti, e io sto bene. Illuminato dal calare della
sera come da miliardi e miliardi e miliardi di riflettori
allucinanti e perversi nella solitudine che mi mitraglia
crivella spaventa terrorizza agonizza..
Impazzendo agli occhi ciechi della signora che mi guarda
di lontano: c'è lì per strada un cretino che scrive alla
rinfusa,gli occhi sbarràti dalla follia. E non ho la
voglia né il tempo di dedicarle una risposta. Ma perchè,
mi chiedo poi? Dopotutto a cosa lo sto dedicando, questo
tempo?
Esce qualcuno, ma sono passati solo 6 minuti. Non credo
sia Alessandro.
E se fosse? Mi noterebbe?
Potrei dirgli, senza fargli del male?
Riuscirei a tacergli, pur non sgravando me?
Ma di cosa mi sgraverei, poi?
Mal comune, doppio male: eccola qui, l'amara verità.
7 minuti e mezzo, e precipito a capofitto nel silenzio.
Luce grigiastra, cadaverica, stroboscopica, rende (per me
solo) tutto il fantasma di tutto. Tranne me stesso, unico
corpo che infesta un mondo di ectoplasmi.
Quasi nove minuti, e potremmo essere a casa a frigger
patate. E invece no: lui combatte, al limite della
sopportazione.
Angelo, ci sei ancòra? Ci devi essere! Tutto si può
migliorare, ma se non resti con noi allora sì che tutto è
perduto. “Solo se non cambierà nulla in tutta la tua vita,
solo allora potrai lasciarti andare sconfitto.”: me lo
dicesti tu.
(Si è acceso un lampione: luce ancòra più spaventosa e
allucinante e flashante.)
Non prima. NON ORA.
No, noi non sopravviveremmo al ricordo. Mai intatti.
Tuttalpiù, fantasmi di noi stessi, tetri simulacri che o
si trascineranno qua e là nella vita oppure.. Porranno
essi stessi fine ai loro tormenti.
Ma a quel punto non resterà che il NULLA, e saremo
spazzati via insieme al resto dell'Esistente: le nostre
stesse esistenze, vaporizzate. Senza nemmeno un perchè.
Occorre una svolta epocale. Qualcuno non vuole. Punto.
400
(71)
72
E
ccoli!»
Zompai in piedi come se una molla mi avesse spinto giù dal “panettone”
spartitraffico di cemento dov'ero seduto, e mi precipitai verso di loro.
«Sì lo so, non avrei dovuto, ehilà Alessandro, Angelo? come stai? com'è andata? e tu
Alessandro? che cos'hai? Insomma: vi decidete a parlare, una buona volta?! Perché non
parl..»
«Io sto bene. Abbastanza.», mi rassicurò Angelo
Alessandro invece, apparentemente tutt'altro che sorpreso della mia presenza lì,
continuava a borbottare a mo' di litania:
«Non è possibile. Non è possibile. Non è possibile.», eccetera.
«Cosa, non è possibile, Alessandro?», scuotendolo per le braccia coi nervi a fior di pelle.
«Io l'ho visto. Capisci? Con questi occhi!», puntandoli con entrambi gli indici. «Ma non ci
credo. Ho anche toccato l'acqua: con questa mano.», e me la sbattè quasi in faccia per
farmela vedere bene da vicino. «Me la sono scorticata, però non ha senso. Ti rendi conto?»
Detto questo si divincolò dalla mia presa e s'allontananò da noi, prendendo a vagolare
senza meta precisa. Alessandro, il mio Alessandro, pareva uscito di senno come la
leggiadra Ofelia nell'“Amleto” di Shakespeare. E Angelo se ne stava lì come se nulla fosse!
«Cosa gli hanno fatto?», lo aggredii.
«Chi?»
«Indovina! Gli schìfidi, no?»
«Ssst. Abbassa la voce! Hai già dimenticato? Lui non deve sapere nulla, di oggi.», mi
rimproverò.
«A vederlo invece si direbbe che sappia più cose di me.», sussurrando come si fa in
chiesa.
«Non è come sembra. Lui del combattimento non se n'è manco accorto.»
«Ah no? E allora che cos'è che l'ha sconvolto?»
«Te lo spiego un'altra volta: adesso tòrnatene a casa. Ci vediamo là per le..»
«No: spiegamelo adesso, invece!»
In nome della determinazione che strabordava dal mio sguardo acconsentì a fare quel
piccolo ulteriore sforzo pur di tranquillizarmi:
401
(72)
«Stavamo uscendo dalla sauna.. Lui era già fuori, io mi ero fermato per pigliare l'altro
asciugamano. (Che, fra parentesi, ero convinto di aver già preso.) Ad ogni modo, in quella
la porta si richiude e si blocca..»
«E arrivano gli schìfidi.»
«Già. Solo che il tempo, per Alessandro, era come se si fosse fermato.»
«Oppure, e mi sembra anche più verosimile, è stato il tuo a concentrarsi.»
«Quello che è. Sta di fatto che alla fine del combattimento la porta si sblocca, e per
Alessandro sono trascorsi appena una manciata di secondi.»
«Dopodichè sei uscito e..»
«..siamo andati a fare la doccia. Teoricamente dopo la sauna si dovrebbe fare una doccia
ghiacciata, ma siccome non siamo dei fanatici..»
«Perlomeno non Alessandro..»
«Però ho sbagliato a regolare il miscelatore.»
«Sarebbe a dire?»
«L'vevo lasciato tutto sul rosso, e veniva giù acqua a sessanta gradi.»
«Esagera!»
«Il termometro incorporato io non ce l'ho, ma Alessandro si è ustionato una mano. Mi fa:
“Ma sei pazzo?”, e mi riaggiusta al volo il rubinetto – bruciandosi lui.»
«E tu?»
«Per me l'acqua era normale. Capisci adesso perchè c'è rimasto?»
Ero esterrefatto, ma non per via dell'accaduto – quanto piuttosto di come tutto ciò mi
risultasse del tutto comprensibile, accettabile, perfinanco ovvio.
«Una conseguenza del tuo potenziamento-da-combattimento, presumo.»
«È chiaro. Ma adesso, se non ti spiace, io sarei un po' stanco.»
Ci aveva ragione: fino ad un istante prima, ero lì a commiserarlo per gli sforzi disumani
che la sua Natura di Predestinato gli imponeva, e adesso anzichè gioire del fatto che era
riuscito a sopravvivere ancòra una volta e nonostante tutto.. Eccomi a importunarlo
indelicatamente con le mie domande petulanti.
«Con Alessandro, che si fa?», domandai – angustiato all'idea che quella kapo' nazista di
sua madre me lo vedesse rincasare ridotto in quello stato.
«A lui ci penso io, non ti preoccupare. Tu piuttosto bada di non farti notare quando si
riprende. Dove ce l'hai la macchina?»
«Laggiù.»
«Torna a casa e aspettami.. diciamo tra un'ora, indicativamente. Io sveglio Alessandro, mi
faccio riaccompagnare a casa, mi cambio, e sono da te.»
«Ma.. come farai a..?»
«Adesso non c'è tempo per le spiegazioni, però stai tranquillo: è una cosa facile e
soprattutto indolore, pressappoco come svegliare qualcuno dalla trance schioccando le dita.
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(72)
Non ti devi preoccupare per lui.»
Povero Alessandro! Ma non era quella la prima volta che la resistenza fisica di Angelo lo
sorprendeva: il 25 Agosto, mentre erano insieme in piscina, Angelo era caduto male giù dal
trampolino più alto – cavandosela con un giorno di ospedale anzichè rompersi l'osso del
collo. Sicuro: avrebbe anche potuto trattarsi di un caso di fortuna sfacciata, di un corpo
dalla fibra resistente.. Tuttavia oggi sappiamo che quell'impatto (che, per inciso, sarebbe
risultato letale per chiunque altro) era avvenuto proprio per preparare il fisico di Angelo a
reggere le sollecitazioni cui sarebbe stato sottoposto di lì a un paio di mesi.
Alzo gli occhi verso la finestra e mi perdo oltre le ombre nere
dei pini. Il cielo lentamente sbiadisce, come una lampada ad
incandescenza appena spenta. Lo spirito mormora inquieto:
odo i suoi passi scalpitanti risuonare, mentre si aggira come
un leone in gabbia entro i labirintici corridoi nel mio petto; lo
sento picchiare pugni esasperati dalla snervante prigionìa
contro le pareti del cuore, che rimbombano, riverberando in
ogni fibra della mia anima.
E in tutto ciò.. Ti penso. C044 (Hah! Faccio mai altro?)
Ti vorrei avere qui, accoccolato col capo sul mio petto, e invece
mi sorprendo a non saper neppure visualizzare la situazione:
ancòra mi imbarazza, la tenerezza con te. Dovrei perlomeno
saper immaginare di baciarti, ma.. neppure una carezza.
Oh, sì, ti ho carezzato - in sogno. E ti ho baciato - in sogno. E ho
fatto l'amore con te - in sogno.
Ma lì non c'era di mezzo l'ingombro dei corpi: solamente i
nostri sguardi.
Lo sai? Mi basta abbassare un attimo le palpebre per rivedere
il riflesso dei tuoi occhi che spaziavano nell'immensità oltre il
finestrino di quel treno. È un'immagine di te che ho voluto
imprimere dentro me per sempre: marchiata a fuoco. E il fuoco
in questione era la prima scintilla d'Amore.
Amarti: mi sembra impossibile. Amare te. Amare un ragazzo.
E che vita sarebbe? Cosa, a parte una parodia della famiglia
normale? Cosa, a parte una convivenza senza il frac del
matrimonio e il velo bianco della sposa? Cosa, a parte quella
che tutti additerebbero come una barzelletta?
Sarebbe tutto. Perchè nessuna di queste paure potrebbe mai
sopravvivere nel mio animo, dopo un solo accenno di sorriso
sulle tue labbra.
È notte, Alessandro. Ti penso. E stringo un cuscino aspettando
che sia tu.
«Angelo!?»
«Ciao.», appoggiato alla porta con una spalla come in “Technophobia”. C005
403
(72)
«Non ti ho neanche sentito arrivare. Da quanto sei lì?»
«E tu?»
«Il tempo è relativo..», sospirai, poi mi alzai dal letto cercando di nascondere (in maniera
puerile, l'ammetto) il foglio fresco di stampa che stringevo al petto.
«Che cos'è?»
«Oh, nulla: una cosa che ho scritto.», ma alla fine lo dovetti ammettere: «Per Alessandro.»
«Se vuoi che gliela porto: stasera usciamo.»
«Uscite? Tu e lui da soli?»
«Me l'ha chiesto lui: non prendertela.»
«Ti invidio.»
«Lo so.»
«A me non l'avrebbe chiesto mai.»
«Perchè l'hai abituato a sentirselo chiedere da te. Dai qua.»
«Nossignore!», allontanando il foglio dalle sue grinfie. «Si tratta di una cosa.. personale,
ecco. E comunque non intendo fargliela leggere.»
«Allora perchè l'hai scritta?»
«Uffaaa: te e il tuo pragmatismo dell'accidente! Diciamo che era uno sfogo: ti va bene
questa, come giustificazione?»
«Non me ne devi nessuna.»
«È un complimento?»
«Ti dispiace se mi sdraio un po' io, adesso? Sai com'è..»
Non era il caso di insistere: chi tace acconsente, dopotutto.
«E allora? Alessandro?», l'incalzai.
«Si è ripreso.»
«La fai facile, tu.»
«Lo è stato.»
«E che mi dici di te?»
«A che proposito?»
«Su, non fare lo gnorri. Lo sai: a proposito di quanto è avvenuto.. diciamo “nella sauna”.»
«Preferirei non parlarne: ricordo spiacevole. Non ti basta sapere che ce l'ho fatta?»
«Conosci la mia proverbiale curiosità, ma sai anche che non le permetto mai di diventare
morbosa.»
«Meno male. Aaaah!», espirò soddisfatto sprimaccicandosi il mio cuscino sotto il collo.
«Che letto comodo, che hai!»
«Fai pure.»
Accesi il computer.
«Posso chiederti cosa stai facendo, babbo Alessio?»
«Ne approfitto per rivolgerti un paio di domande rimaste in sospeso.»
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(72)
«E per farlo devi accendere il computer? Noo! Non mi dirai che..?»
«E invece sì: la mia memoria è fallace, ma per fortuna la Modernità..»
«Tu sei pazzo.»
«Tu pure sei sulla strada buona.», ribattei, scorrendo rapidamente le domande sullo
schermo.
«Fèrmati pure qui.»
«No. Le tue sono più avanti: queste sono quelle per Gino.»
«Appunto.»
Mi voltai e non potei far altro che constatare l'ovvio:
«Rapido come sei, ad effettuare lo scambio..»
«L'avvicendamento.», mi corresse.
«..andrà a finire che non riuscirò più a capire chi è Angelo e chi è Gino.»
«La cosa ti dispiacerebbe?»
Ci pensai su un attimo: effettivamente no. Tuttavia:
«Dispiacerebbe ad Angelo.»
«Le tue domande.», senza assentire o dissentire dalla mia ultima affermazione. «Abbiamo
poco tempo.»
«Tanto per cambiare. Altro attacco in arrivo?»
«Non nell'immediato, ma dispongo solo della tua energia – e tu faresti meglio a
risparmiarla per stasera.»
«Perchè? Cosa mi accadrà stasera?», mi allarmai.
«Rasserènati: essi ti considerano un non-nemico. L'unico a correre rischi di quel tipo è
Angelo – o tu stesso, ma soltanto se interferisci.»
«Un.. “non-nemico”? Non mi vorrai mica dire che mi vedono come un loro complice!»
«Non nel senso che hai immaginato tu adesso. È però vero che essi non esiterebbero, e
non hanno esitato, a sfruttare te per ottenere un vantaggio su di lui.»
«Stai scherzando!?»
Gino mi guardò in tralice: lui, tale e quale ad Angelo, era semplicemente incapace di
scherzare – se non a modo suo, e non era certo quello il caso.
«Intendevo dire che io non mi sono mai prestato al loro sordido gioco.»
«Non consciamente.»
«Mi stai dicendo che..»
«Non te ne affliggere: non eri in te, quindi non può in alcun modo essere colpa tua.»
«Cosa ho.. Cosa avrei fatto?»
«Nulla di irreparabile: tu hai fatto del tuo meglio.»
«Cleo.»
«Perchè ti dai per vinto? Non intendi più aiutare Angelo?»
«Ma come ti permetti?! Sicuro, che faccio e farò il possibile per aiutarlo! Tenterò
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(72)
perfinanco l'impossibi.. Ehi, aspetta un attimo: tu non dovresti essere in grado di leggermi
nel pensiero?»
«Certamente.»
«E allora perchè hai capito Roma per toma?»
«Io ho capito tutto perfettamente.»
«Questo non è vero: praticamente mi hai accusato di battere la fiacca.»
«Volevo solamente scuoterti. Essi stanno facendo di tutto per spegnere in te la fiamma
della motivazione ad agire.»
Risposta accettabile, anche se non del tutto convincente.
«Passiamo alle tue domande per me. Quelle per Angelo, gliele rivolgerai una volta che io
me ne sarò andato: lui avrà l'impressione di aver parlato a lungo con te, e non si accorgerà
del lapsus temporale. È importante che non sospetti il mio intervento: deve pensare che il
tempo è volato via chiacchierando con te.»
«Condivido. Oggi di tempo, alla sua vita normale, gliene hanno già rubato abbastanza.»
«Le domande.», m'incalzò.
Presi il foglio: effettivamente erano parecchie.
«Quanto tempo abbiamo?»
«4 secondi di meno, adesso.»
«Tu, Gino, "sei" solo adesso o anche "eri" e/o "sarai"
(foss'anche solo finchè Angelo non ti scavalca)?»
«Sono trascendente e immanente rispetto al tempo, perlomeno dal tuo punto di vista.»
«E dal tuo?»
«Non avrebbe senso tentare di comunicartelo a parole.»
«Non potresti farlo neanche con Angelo?»
«Non con le parole. Al limite, se proprio dovessi esprimermi a parole con lui, userei un
paio di concetti-chiave per comunicargli l'inesprimibile.»
«Inferenza? Salire i gradini del ragionamento a due a due saltando passaggi che..?»
«Più precisamente, intùito: eventuali parole sarebbero solo un pretesto, il dito che indica
informazioni già presenti nella sua “memoria”.»
«Tu manipoli e trasporti la materia solo tra presente e
presente?»
«Finisci sempre di leggere, o non fai che sprecare tempo prezioso. (Questa è l'ultima volta
che te lo dico: dalla prossima, ignorerò la domanda.)»
«È che sono abituato al fatto che tra uomini non si elencano tutte le possibilità in una botta
sola, tipo Steve Martin con la padrona di casa..»
«Disabìtuati.»
«Nel caso del cartello della gatta, no. Se Gino è
"telecinetico"
rispetto
alla
scacchiera
del
mondo
(vedi
"Scacco mortale"), si colloca fuori dal tempo e quindi
406
(72)
scavalca i limiti fisici/logici "noti" (si fa per dire) alla
scienza.»
«Anche “scienza”, si fa per dire. Comunque davvero niente male, per uno che non Pensa.
Mi fa piacere constatare che ogni tanto alcuni miei messaggi ti arrivano.»
Tale e quale ad Angelo: anche quando ti fa un complimento, sembra un insulto.
«Jarre allude alla “giara dei venti” delle emozioni che ho
deciso di liberare? E Vangelis, al “superare il Vangelo” della
verità inconfutabile, ossia lo scavalcare la Logica?»
«Tutto significa qualcosa.»
«Tutta qui, la tua risposta?»
«Sì, però tu ci puoi riflettere sopra. La prossima.»
«Quando sono andato a Milano, ho
"messo"? Il nonno di Alessandro?
musicisti con la barba?»
Il
incontrato qualche
nonno di Bobby? I
tuo
due
«Angelo era sullo stesso treno.»
«Non è possibile!»
«Il contrario, semmai, non sarebbe stato possibile: alcuni fenomeni accadono solamente
quando tu e lui siete sincroni – nel cuore, come quando pensavi ad Angelo mentre lui si
recava a Fano, oppure nel luogo.»
«Per via di una sorta di sinenergia?»
«Intuizione esatta, ma non sforzarti troppo.»
«Sempre a sfottere, tu..»
«Anzi: ero serissimo. Quante volte, per una intuizione esatta, hai finito col trarre cento
deduzioni dissennate?»
«Angelo non avrebbe mai detto “dissennate”.»
«Lo so. E neppure “si recava”, se è per questo. Domanda.»
«Sceso dal treno, quel cartello (c'era scritto circa “JJIIKJ..”) era rivolto a me? Se sì, mi ha
fatto pensare a una tastiera: quale? Quella del computer? O una tastiera musicale?»
«Ti risponderò il 18 Giugno prossimo, o il 22 Febbraio 1997.»
«Perchè non adesso?»
«Perchè adesso tu mi devi porre un'altra domanda.»
Rimandai la successiva, saltando a:
«Io ieri ho avvertito l'istinto di andare al Burghy, e non
era solo fame o golosità: c'era come un richiamo. È così?»
Esitai per un istante aspettando la risposta, poi però un che di rimprovero nel suo sguardo
mi spinse a completare la lettura:
«Dovevo incontrare qualcuno? Quel ragazzetto che mi fissava?»
«Dunque l'hai notato. Ti sembrava umano?»
«A dire il vero, no. Cioè: inizialmente credevo si trattasse di uno zingaro, vestito di stracci
407
(72)
com'era. Poi ho addirittura pensato a un nano scappato da qualche circo, per via di quella
faccia senza età che non corrispondeva alla corporatura. Ma la cosa che più mi spiazzava
era.. Maah, che cosa vado a pensare!»
«Tu.. dici?», invitandomi a dar voce al pensiero che avevo respinto.
«Avevo la netta sensazione che mi volesse.. sedurre. Tipo Alcibiade che insidia Socrate.»
«E secondo te, perchè mai Socrate in quell'occasione aveva respinto Alcibiade?»
«Io veramente credevo poiché era troppo giovane.»
«Non per l'epoca. E comunque credi forse che Socrate non abbia mai ceduto alle avances
di un ragazzo?»
«Beh, in effetti.. dopo quel che si legge nel “Convivio”.. Ma allora perchè Alcibiade no?»
«E tu? Tu perchè quello zingaro no?»
«Primo, perchè avrà avuto sì e no 15 anni appena..»
«No: questo è “secondo”. “Primo” è..»
«Perchè mi repelleva, ecco!», mi toccò ammettere controvoglia, sentendomi un po'
razzista.
«Puzzava di sporcizia, o di sudore?»
«No. Cioè: sì, puzzava, in un certo senso, ma.. non di sudiciume: puzzava
“intrinsecamente”.»
«Era uno schìfido. Ti si offriva così come una zanzara si offre alla preda: per succhiarle
sangue, per darle il prurito, ed inocularvi la malattia del sonno.»
«Davvero mi avrebbe fatto questo? Coi dovuti termini di paragone, s'intende: la malattia
del sonno dello spirito, succhiare energie..»
«Anche peggio.»
«E quel tanfo nauseabondo, che roba era?»
«È il tuo modo personale di riconoscerli: per Angelo è una sensazione più tattile..»
«Bava.»
«Per l'appunto.»
«Dovevo conservare lo scontrino del Burghy al fine di
rifletterci su? Se sì, dovevo guardare la partita-IVA? Se sì,
è giusta la mia interpretazione?»
192-116-365 era decisamente di ottimo auspicio.
«Hai interpretato correttamente.»
«Fammi capire: intendi davvero affermare che la ragion d'essere di quello scontrino era di
comunicarmi che al più tardi entro il mio prossimo compleanno noi saremo uniti per
sempre?»
«Non rispondo due volte alla stessa domanda.»
Certo era plausibile, che dopo aver condiviso una simile esperienza “ai confini della
realtà” il nostro rapporto non sarebbe mai più stato quello di prima, epperò la cosa mi
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(72)
puzzava: con Gino non si poteva mai dire, per cui prima di esplodere di gioia era meglio
riformulare la domanda in maniera disambigua:
«A puro titolo di verifica: è cosa certa che Alessandro si innamorerà di me entro il 15
maggio 1994 incluso?»
«No.»: e te pareva.
«Come sarebbe a dire, “no”?!», protestai.
«Sarebbe a dire che se anche lo sapessi, e così non è, non potrei dirtelo. Te l'ho già
spiegato e ripetuto mille volte: nulla che possa compromettere il vostro libero arbitrio.»
«Però fino a un attimo fa mi dicevi che le cose stavano così.»
«Questo non l'ho mai detto: è solo l'interpretazione che tu hai dato alle mie parole “non
rispondo due volte alla stessa domanda”.»
«Ah, capisco: vuoi fare il bis.», insinuai mestamente. «Ti diverte tantissimo giocare coi
miei sentimenti, vero? Invece presumo che fosse solo un tuo “simpatico” modo per
insegnarmi a non cercare ad ogni costo dei segni anche dietro le cose più insignificanti.»
«Al contrario: che tu impari a riconoscere i segni è di capitale importanza, per il tuo
avvenire. E lo scontrino era precisamente un segno per te.»
«Se hai deciso di farmi impazzire, vedi di sbrigarti in fretta: un colpo secco e via,
preferisco. Grazie.»
«Al contrario: non ti voglio fare impazzire, bensì rinsavire.»
«Ma lo sai che a furia di ripetere “al contrario”..»
«..ti sto contrariando, lo so.»
Questa battuta inaspettata mi colse impreparato. Dal mazzetto di ?!? che mi era
fiorito sopra la testa afferrai un punto di domanda a caso e mi ci feci il solletico sotto i
piedi, fino a cavarmi a forza una risata che altrimenti non ne avrebbe voluto sapere di
uscire.
«Mi sono permesso di attingere al tuo senso dello humour.», spiegò.
«Ma preeeego! Facci pure! Intanto sai che ridere, 'sta manfrina dei finti segni!»
«Non era finto: era un segno autentico. Così come autentici sono i segni che hai riportato
sul diario, incluso il pugno dato da Alessandro ad Angelo.»
«Ma li ho interpretàti male.»
«No: li hai interpretàti bene.»
«Tuttavia..? Perchè, se a questo punto non c'è un “tuttavia”, allora non ci capisco più una
cippa.»
«Tuttavia, devi considerare sempre che potrebbero essere stratagemmi degli schìfidi per
indebolirti: prima t'illudono confezionandoti ad arte un segno fasullo, dopodichè fanno
crollare i tuoi castelli di carte – usando questo come arma per destabilizzarti. A volte basta
un unico istante di insicurezza di sé e si è spacciàti.»
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«Ricapitolando: lo scontrino ce l'hanno messo loro per fregarmi?»
«Essi sapevano che tu l'avresti interpretato in quel modo, poichè quella è di fatto la giusta
interpretazione. Ed io a tua domanda ho risposto: hai interpretato correttamente il
messaggio – ma un messaggio falso, marcio ed ingannevole.»
«E non me lo potevi dire prima?»
«Così hai imparato tre cose: primo, a rivolgere le giuste domande; secondo, a stare in
guardia contro un nemico più subdolo di quanto la tua Natura ti porterebbe a ritenere;
terzo, che nessun essere con un minimo di consapevolezza si permetterebbe di interferire
con il flusso delle cose rivelando a qualcuno il futuro che lo aspetta – a meno che il farlo
non possa in alcun modo interferire con i Piani che tu chiameresti Divini.»
«Se ne deduce che cartomanti e vaticinatori vari sono tutti degli imbroglioni, così come ho
sempre ritenuto.»
«Nella maggior parte dei casi sì. Però spesso sono anche peggio: salvo rarissime
eccezioni, puoi stare sicuro che quelli che ci azzeccano sono emissari al servizio degli
schìfidi.»
«E gli schìfidi cosa ne ricavano?»
«Energie. E goccia a goccia ne mettono assieme l'enorme quantità che occorre loro per
varcare la Soglia che separa il loro mondo da quello degli esseri umani.»
Allora capivo sì e no il 2% dell'intera faccenda. Oggi, che mi barcameno come posso
attorno al 50%, posso aggiungere che così come io ho dovuto cedere energie per scendere,
altrettanto loro debbono aggiungersene per salire. Perlomeno fino al punto critico: da lì in
poi, il Meccanismo non fa più differenza tra uno spirito che si trova al Livello giusto per
incarnarsi in un uomo, e uno spirito “mascherato” che ha temporaneamente raggiunto il
Livello energetico consono ammantandosi di energie rubate ad altri.
Ripensa al mio sogno dell'ascensore: dopo esser stato sospinto fino a un certo punto da
Antares, fu proprio il suddetto Meccanismo a prendermi in consegna tirandomi giù verso di
sé. È un automatismo del tutto analogo a un macchinario industriale: senza dubbio molto
efficiente, però al tempo stesso idiota quel tanto che basta da accogliere sia una pecora, sia
un lupo mascherato da pecora. (O, nel mio caso, un pastore travestito da pecora.)
Anche a questo deficit son venuto a porre rimedio, onde consolidare definitivamente il
rattoppo d'emergenza operato da Gesù durante la sua breve esistenza intermedia.
Aperta parentesi – che sennò va a finire che non ci capisci più una bega.
Dopo esser stato deposto dalla croce e prima di mostrarsi “risorto” ai
suoi discepoli, Gesù scese negl'inferi allo scopo di liberare chi era
pronto a ricevere la redenzione ma sopratutto per “incatenare il
diavolo” – cioè impedire agli schìfidi di sconfinare nel mondo degli
uomini. Per farlo occorreva ricucire lo “strappo dimensionale”
410
(72)
causato dal lento ma inesorabile logorìo di quattro millenni di
effrazioni perpetrate col summenzionato trucco: ingannare il
Meccanismo di controllo ammantandosi di energie di livello di
potenziale tipicamente umano. (Virus e batteri in fondo non operano
granchè diversamente: per ingannare il sistema immunitario, plasmano
i propri recettori in una forma analoga a quella dei microrganismi
biocompatibili con l'organismo che intendono invadere.)
Energie ottenute come? Con l'inganno più antico del mondo:
barattandole con servigi “soprannaturali”. Poco importa che la
maggior parte fossero del tutto superflui poiché si sarebbe potuto
ottenere la stessa cosa con metodi umani, se non addirittura dannosi –
come quando le larve astrali si spacciano per deceduti eccellenti, e
rispondono a vanvera mentre vampirizzano le energie del credulone
che s'è incautamente dato loro in pasto.
Precisamente per la ragione di astenersi dal foraggiare gli schìfidi,
nell'antico Egitto era rigorosamente vietata non solo la pratica della
magia nera (riti para-demoniaci tipo il vodoo) ma pure la divinazione.
Oggi invece ci si fa beffa di queste cose con la scusa che non siano
scientificamente provate, col risultato che un sempre maggior numero
di persone ci gioca impudentemente illudendosi che siano del tutto
innocue. Invece non fanno che contribuire a peggiorare una situazione
già gravissima, con la medesima stupida incoscienza di chi inquina
raccontandosi che i catastrofismi sono inutili perchè “tanto le cose in
qualche modo si sistemeranno da sé”, e se anche non lo faranno “tanto
io sarò già morto e sepolto da un bel pezzo”.
Magari, si rischiasse soltanto una banale apocalisse! La fine di un
mondo sarebbe la morte di una cellula: l'organismo le
sopravviverebbe. Ma l'annientamento-di-fatto di tutto ciò che di
senziente vi è nel cosmo condurrebbe al sopravvento totale e definitivo
della materia sullo spirito: la solidificazione dell'Energia Senziente
(nota anche come Logos divino) – una melmificazione, più che una
cristallizzazione.
In altre parole lo scenario risultante sarebbe nè più nè meno che
quello dipinto a toni cruenti nel noto videogioco “Doom”: un mondo di
tenebra, a partire dal quale l'entropia spirituale avanza sino a
contagiare l'intero universo.
Tu neanche te l'immagini, vero? Un purulento tumore maligno che si
propaga a macchia d'olio sovvertendo ogni ordine nel Creato,
411
(72)
trasformando l'Evoluzione in Involuzione: uomini che diventano
demoni (anzichè crescere e divenire angeli), angeli che decadono
nuovamente a livello umano (perdendo millenni di sforzi compiuti per
progredire), e via di questo passo fino a che Dio stesso (il Supremo
dei Supremi) fosse marcito poco a poco fino a ridursi a un semplice
angelo, poi uomo, poi schìfido – precipitando a picco giù dall'Infinito
sino ad annientarsi nel Nulla.
Quel che è infinitamente peggio è che una volta spenta l'ultima
Scintilla Divina non rimarrebbe più nessuno a riaccendere il Fuoco:
perchè l'Onnipotente dopo il diluvio ha potuto ripensarci, e se anche
avesse distrutto il pianeta avrebbe potuto generare interi nuovi
universi.. Ma la materia inerte, qualora non rimanesse più alcuno
spirito a vivificarla, non potrebbe mai più uscire dalla muta stasi del
più assoluto permanente non-essere.
È questa la fondamentale ragione per cui occorre preservare ad ogni
costo il sottile e fragilissimo equilibrio tra lo spirito e la materia – che
da esso è guidata ad evolversi così come il cavallo è spronato dal
cavaliere e il corpo è animato dalla mente.
Il prezzo pagato da Gesù fu una morte atroce, che (fatto poco noto)
aveva il preciso scopo di spingerlo ad abbandonare la vostra
dimensione nonappena distaccatosi dal corpo – e in ogni caso a
garantire agli schìfidi, i veri mandanti del suo omicidio, che dopo
avergli inferto un simile supplizio gli sarebbero rimaste ben poche
energie per adempiere al suo compito più importante.
La membrana della Barriera Dimensionale posta fra il tuo mondo e
quello degli schìfidi era oramai ridotta a un colabrodo: certo mai
quanto lo è oggi, crivellata sotto gli occhi di tutti con consenso
unanime, ma occorreva porvi urgentemente un rimedio.
Nelle condizioni in cui riversava, Gesù si sarebbe dovuto
accontentare di rattopparne una minima parte – col solo risultato che
gli schìfidi sarebbero passàti attraverso gli altri squarci, e nel giro di
un paio d'anni avrebbero lacerato nuovamente ciò sopra cui lui aveva
investito la sua vita intera.
Pertanto gli venne concordata una dose supplementare di energie
ausiliarie. Poche, in verità, dal momento che prostrato dall'agonia di
quel trapasso infame era talmente ridotto allo stremo da non essere in
grado di reggerne una quantità superiore senza venirne annientato:
caricarsi uno zaino in spalla e fare un'escursione non è cosa, per chi
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(72)
ha le gambe fratturate; e se in condizioni normali prendere un po' di
sole è una carezza piacevole e vivificante, esporti alla medesima
quantità di luce da ustionato ti scarnifica.
È chiaro che unicamente il Creatore, avrebbe potuto ripristinare
integralmente la Barriera. Gesù fece del suo meglio per far percorrere
alla vecchia carretta qualche miglio in più: un intervento d'emergenza
alla mc Gyver, efficace quel tanto che bastava per raggiungere il
meccanico più vicino.. duemila e rotti anni dopo.
Chiusa parentesi. Fu così che non ebbe il tempo di aiutare gli uomini ad evolvere, e
sommo malgrado gli toccò lasciare il suo insegnamento a metà (e per giunta in mani
impreparàte, se non addirittura indegne) pur di impedire un'invasione dimensionale che
avrebbe finito con lo spazzare via ogni cosa così come noi la conosciamo.
«Ti rimangono meno di 4 minuti, poi torna Angelo.»
Io intanto mi ero smarrito in visioni apocalittiche inconsapevoli: il mio modo
personalissimo di approcciarmi a ciò che solo un domani sarei stato in grado di
Comprendere.
Gino strattonò nuovamente la corda dell'aquilone ch'io ero – ancòra una volta lì-lì per
cedere al fascinoso richiamo dei venti del Pensiero Sconfinato:
«Rifletti dopo: adesso domanda.»
«Il nostro gruppo diventerà una “corte”? Un tribunale perfetto è impossibile, però unendo
le nostre capacità – Angelo, la Legge; io, l'analisi ai raggi X del soggetto; Alessandro
l'intùito; Valeria, la comprensione.. Sarebbe il miglior manipolo giudicante al mondo.»
«Vai avanti.»
«Ci occuperemmo solo di cose umane, tipo i tribunali del giorno d'oggi? E a che livello?
Potremmo ad esempio costituire una specie di tribunale interplanetario, per appianare
eventuali divergenze con alieni?»
«E perchè non il Gran Giurì del Giorno del Giudizio, già che ci siamo? Ti dico solo che
nella vita nulla accade per caso, specie nella tua. Un'ultima domanda? Stupiscimi!»
«Che cos'è la patata? Qualcosa che piace a tutti, oppure la radice di una pianta?»
Troppo tardi: il tempo di un sorriso enigmatico, e se n'era andato.
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A
ngelo sbadigliò.
«Sei stanco, Angelo?», per verificare che fosse effettivamente lui.
«Quante altre domande ti restano?»
Tutto procedeva come previsto, e Gino l'aveva risvegliato dandomi pure l'imbeccata
giusta. Contai i trattini-rimasti sul video:
«(1, 2, 3, 4..) Quattro.»
«E immagino che se non ti rispondo oggi..»
«..tornerei a porti le domande rimanenti domani o nei giorni successivi.»
«Ma tu non hai pietà, babbo!»
«Diciamo piuttosto che il mio wordprocessor ha una memoria inesorabile.»
«Già, perchè – quanto alla tua – sappiamo bene che..»
«Sappiamo bene che cosa?»
«Niente, niente. Allora: dimmi.»
«Qual è secondo te la ragione, se una ne esiste, del parallelismo operato da Gino nella
scelta delle canzoni che abbiamo ascoltato in contemporanea? Perchè proprio “Love theme
from Bladerunner” (che è la tua preferita) e “Chronologie II” (la mia)? E per quale ragione
io le ho ascoltate entrambe?»
«Ehiehiehi: calma! Una domanda alla volta, eccheccavolo! Mi hai preso per un
computer?»
No: l'avevo preso per Gino.
«Vuoi che ripeta passo-passo?»
«Per stavolta non serve. La risposta che ti posso dare è che, secondo me, noi due
suoneremo insieme.»
«Intendi dire.. in senso metaforico?»
«No, voglio proprio dire in senso pratico: serate, concerti, dischi.. e una paccata di soldi.»
«Prosaico come al solito.»
«Semmai ottimista: all'inizio sarà un casino convincerti (specie per i concerti dal vivo, chè
tu farai mille difficoltà), ma io conto di riuscirci lo stesso.»
«Anche se non sai cosa significa “prosaico”?»
«Per fare i miliardi, non mi serve saperlo.»
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«Tu ne hai avuto sentore, di questa simultaneità?»
«Cominci a parlare come me.», osservò lui perplesso, per tutta risposta.
«Me ne rendo conto. Dici che è una cosa grave?»
«Ho sempre ritenuto di bastare a me stesso: preoccupante no, interessante sì.»
«Che tempo farà domani?»
«Pioverà nel pomeriggio. Perchè me lo chiedi?»
«Prima tu dimmi come fai a sapere che pioverà.»
«Chennesò? Ho sparato a caso.»
«Quindi non lo sai.»
«Invece lo so.»
«Ma se appena detto che hai sparato a caso!»
«Infatti. Solo che adesso so che sarà così. Tu perchè me l'hai chiesto?»
«Spiacente di deluderti, ma era solo una battuta. O meglio: un tentativo di.»
«Tipico. E.. sarebbe stata?»
«La battuta? Oh be', visto che tu mi avevi risposto tipo oracolo di Delfi..»
«Lasciamo perdere. Ne rimangono due, giusto?»
«Ne rimarranno due dopo che avrai risposto a quella che ti ho formulato.»
«Ripeti.»
«Hai avuto la percezione di questa simultaneità? Cioè, che mentre tu stavi ascoltando
“Theme”, io stavo contemporaneamente ascoltan..»
«No.», asserì sbrigativo. «Ne rimangono due, adesso, giusto?»
«Scusami se esisto.»
«Fa niente. Ci ho fatto il callo, oramai.», replicò, come se fosse la cosa più normale del
mondo da dire. Che nervi, lui e la sua faccia da sberle! «Piuttosto: sai mica che ore sono?»
«Quasi le nove.», lessi sul mio orologio da polso perennemente appoggiato sopra il C64.
«Le nove??», zompò in piedi. «Valeria mi ammazza: a quest'ora dovevo già essere da lei!
Uno viene qua per riposare approfittando del tuo letto..», e soprattutto della corrente
energetizzante che lo attraversa..
«..e io ti offro l'occasione di ricambiare il favore, rispondendo alle mie domande. Se tu non
l'avessi giudicato uno scambio vantaggioso avresti evitato di venire, dico giusto?»
«Sei perspicace, oggi. Ma non ti montare troppo la testa, okay? Ci vediamo.»
Avevo una telefonata importante da fare, così non persi tempo a cercare di seguirlo per
scoprire come facesse a sparire quasi istantaneamente.
«Cleo?», e io non azzardo mai il nome se non sono assolutamente certo di aver
riconosciuto la voce.
«Oh ciao, Alessio.»
E adesso? Cosa avrei potuto dirle, per evitare di aggiungere danno al danno? Optai per un
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esplorativo:
«Ti sei ripresa da ieri sera?»
«Sì certo, anzi devo proprio chiederti scusa: mi son sfogata su di te che non c'entri nulla.»
«Senti, io non so bene come dirtelo ma..»
«Se riguarda Valeria non lo voglio sapere.»
«No: riguarda il cuore di Angelo, che ancòra ti appartiene. E riguarda il mio, che non
riesce a vedere Angelo soffrire senza piagarsi a sua volta.»
L'avevo lasciata senza parole: ogni suo legittimo risentimento per Valeria, ogni sua gelosia
per Angelo, avevano ceduto il posto in un solo istante al Rispetto per quel valore Sacro che
le avevo proclamato – e non in vano, non mi sarei mai permesso, bensì a pieno titolo. Era
ben consapevole che non stesse parlando un qualsivoglia amico di Angelo, ma l'Amicizia
stessa per mia voce: e quando l'assoluto ti parla, non puoi far altro che inchinarti ed
ascoltare prestando la massima e più incondizionata attenzione.
«Mi vedo però costretto a rivelarti un mio segreto: io ho scritto delle.. uhm.. cose. Delle
“poesie”, diciamo, anche se esito a definirle tali.»
«Forse proprio poichè lo sono autenticamente.»: non era un complimento, e non era
banale.
«Riguardano me, la parte più profonda ed intima di me stesso: quella più vera, autentica,
ma anche vulnerabile, e che non sarei mai disposto a esporre – in circostanze normali.
Purtroppo queste non lo sono.»
Tacqui, temendo una risposta che avrebbe infranto l'idillio. Non arrivò, e anche di quel
suo aver trattenuto il respiro io rendo merito a Cleo.
«Alcune esprimono ciò che difficilmente Angelo saprebbe (o anche solo accetterebbe) di
dirti. Consideralo una specie di miracolo d'amicizia se vuoi, ma ti posso garantire con
assoluta sicurezza che quelle parole, così come io le ho scritte, Angelo le rivolgerebbe a te
senza esitazioni. A parte forse il suo stupido orgoglio.»
Dopo una breve pausa, tirai i remi in barca:
«Io sono disposto a vincere il mio, di orgoglio, e sono pronto a condividerle con te – se tu
sei capace di vincere il tuo, ed accettare di leggerle. Che ne dici?»
«Io..», esitò. «Sì insomma: non sono sicura di esserne degna.»
«Angelo non sceglie mai una persona a casaccio: se lui ti ha ritenuta degna del suo amore,
sono sicuro tu lo sarai delle mie..»
«E Valeria, allora?»
Me lo sentivo, che a furia di esagerare (inventandomi di sana pianta il principe azzurro
immacolato che Angelo, detto per inciso, non era) avrei finito con l'incartarmi nuovamente.
Ma un'intuizione mi salvò:
«Per caso sei gelosa anche di Roki?»: il cane di Angelo, un bòtolo agguerrìto che faceva
degli zompi alti così manco fosse fatto di gomma.
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«Non starai dando della cagna a Valeria!», ribattè lei sorpresa.
«No. Ma lei come Roki, per Angelo, non rappresentano altro che una piacevole
compagnia.»
«Voglio ben sperare che con Roki non ci faccia l'amore.»
«Per quel che ne so io, neppure con Valeria.»
Me ne avvedo: ero veramente ingenuo, a coltivare la fervida speranza che non si fosse
gettato via come un animale con la prima femmina in estro che gli scodinzola davanti.
Cleo infranse quell'illusione con un'amara risata:
«Sì, già.. figuriamoci!»
Dovevo arrampicarmi sugli specchi, e in fretta.
«Intendevo dire che al massimo può averci fatto del sesso. Per quanto a me non ne abbia
mai parlato.»
«Ma del resto, mi pare, non ti ha parlato di parecchie altre cose.»: tagliente come sempre,
e con un inciso-killer che più caustico non si poteva.
Come si faccia a difendere a spada-tratta una persona inscusabile rappresentava un
mistero affascinante quanto ostico, e in quanto tale doppiamente degno del mio impegno:
“Non m'importa un fico secco di quante boiate abbia fatto Angelo in passato”, mi spronai.
“Io sento che per lui, ora, Cleo è tutto. Non sta a me giudicarlo, meno che mai adesso che
non dispongo del tempo materiale per farlo.”
E così, vai col secondo round:
«Se è per questo lui non mi ha mai parlato neanche di quanto ti ama, però un vero amico
certe cose le sa capire anche dai silenzi. Non ti sto chiedendo di rimettervi assieme, Cleo,
anche se la cosa mi renderebbe immensamente felice – ben più di quanto tu immagini. Ti
sto unicamente domandando se sei disposta a prendere in considerazione il fatto che là fuori
c'è un cuore che sta soffrendo per te.»
«Io sono qui con una persona.»
«Una tua amica?»
«Un.. amico.»
Mi si raggelò il sangue nelle vene alla sola idea.
«Ah. Capisco.»
«Non lo so più neanche io! Forse lo sto facendo solo per vendetta. Forse mi sto
costringendo ad amare qualcuno..»
Osai il tutto e per tutto:
«Dimmi che per te Angelo non significa più assolutamente niente, e io riaggancio sùbito.
Non ti disturberò più e ti lascerò in pace, sola con la tua bugia.»
Tacque, di un silenzio che non faceva altro che accrescere a dismisura la suspance di
quella scommessa.
Per fortuna poi..
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«Hai ragione.», ammise, come una bambina colta in flagrante a rubare la marmellata. «Io
lo so, che hai ragione.», senza che le riuscisse più di celare la disperazione dietro quella
spolveratina di apparente sicurezza di sè. «Ma cosa posso fare?», mi supplicò.
«Leggi con gli occhi dell'anima le parole di Angelo che io ho trascritto per lui, e fallo
questa sera stessa.»
«Ma sono senza macchina! Eppoi mica posso piantare in ass..»
«Non nascondere te stessa dietro a scuse puerili: la macchina ce l'ho io, e posso passare
all'ora che vuoi. Tu devi soltanto dirmi di sì.»
Brevi istanti stroboscopici, come una lacrima che cade al rallentatore fino ad infrangersi in
mille gocce addosso ai sospiri di una lettera d'amore. E il muro d'orgoglio cementificato
dalla paura finalmente franò:
«Sì.»
L'incanto di quel momento magico fu rotto da una voce maschile sacrilega che la
chiamava, cantilenante e stridula: “Cleoo! Tutto bbbééénééé?”
«Devo scappare! Tu puoi passare verso le undici e mezza, o è troppo tardi? Perchè prima
davvero non mi riesce, di mandarlo via: gli ho promesso che stasera sarei andata al cinema
con lui, e ogni promessa è debito.»
«Non mi devi nessuna giustificazione, ci mancherebbe!»
«Se è troppo tardi, possiamo vederci domani alle..»
«Non posso disporre del tempo di Angelo, e rimandare vorrebbe solamente dire
prolungare la sua agonia. Sarò puntuale: undici e trenta.»
«Okay, ci vediamo. Scusa ancòra. Ciao.», e riagganciò.
Mi sovvenne di quell'altra regina..
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Q
uale insolito battesimo, avrebbe avuto, la mia prima raccolta di poesie! Rinchiuse in
un cassetto, già “fotocomposte” per il giorno in cui mi fossi deciso ad andare a
fotocopiarle in bella, ora s'apprestavano quantomai inaspettatamente a finire in
mani estranee – e per giunta di donna.
PENOMBRA NOTTURNA
Il tuo fantasma evanescente mi sorride,
seduto sul letto, e scompare..
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Sorrisi una dolce malinconia al ricordo di quel giorno. Era il 21 settembre del 1992: a
malapena un mese, dalle splendide vacanze romane con Alessandro, e cinque dacchè avevo
deciso di avventurarmi nella parte più misteriosa di me: il mio Cuore, che “mr.Spock”
aveva tenuto segregato per venti lunghi anni.
Ero partito con l'intenzione di scrivere il mio solito diario, ma ne era uscito qualcosa di
insolito: più pregnante dell'abituale resoconto della giornata, più intenso di un
brainstorming, ma d'altro canto non altrettanto analitico.. insomma, che cos'accidenti era?
La mia prima poesia: senza rima nè metrica né titolo (quelli ce li metto solo in un secondo
momento), cui avevo preferito dar nome di “cosa” per non schiacciarla sotto il peso di un
appellativo così ingombrante.
Mi munii di matite colorate, e cominciai a tracciare un percorso che le parlasse di lui.
LOVE IS JUST A WORD (13/3/1993)
Nei tuoi occhi vedo spumeggiare il mare;
nei tuoi respiri, odo lo stormire estivo delle fronde del bosco;
coi tuoi capelli, carezzare un campo d'orzo;
con le tue carezze, solleticare e solcare l'anima
ELISIR D'ETERNO AMORE (28/3/1993)
Vorrei fare di te
la giustificazione di ogni respiro che rubo al vento;
il mio alibi, per ogni raggio di sole che i miei occhi
socchiusi
sottraggono a un fiore.
Vorrei privare lo Zefiro dei suoi profumi primaverili,
strappare all'aurora quei deliziosi colori,
e da cento muschi e cento licheni distillare lacrime di tremula
rugiada.
Vorrei destare l'antico alchimista
dal suo millenario eremitaggio
e affidargli il bottino di cotanto ricercare.
Affinchè la sua recondita magia li mesca in una pozione
portentosa,
che tu ed io si possa centellinare lungo la vita intera:
rinnovando giorno per giorno i sentimenti,
insegnando giorno per giorno cosa significa
e quanto è dolce
Amare.
I CONFINI DELL'AMORE (19/5/1993)
Io appartengo a te.
Tu appartieni a me.
E non dirmi quali sono i confini dell'amore:
non prima di avermi indicato
fra le mille sfumature dell'alba
quale separa la notte dal giorno.
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«Io esco.»
Mia madre stava stirando:
«A quest'ora? Ma sono le undici di sera! Dove vai?»
«A farmi un giro: ho bisogno di una boccata d'aria, sennò scoppio.»
«Vai a piedi?»
«No: prendo la macchina. Lo sai che mi piace, guidare a quest'ora che non c'è traffico.»
«Stai attento.»
«Non ti preoccupare: tornerò presto. Tra una mezz'oretta dovrei già essere di ritorno. Tu
comunque non restare alzata per aspettarmi.»
C'era sempre stato un dialogo invidiabile tra di noi, e non aveva mai avuto bisogno di
farmi il terzo grado su niente dal momento che le raccontavo ogni cosa – o glielo scrivevo
per lettera.
Tuttavia da un paio di settimane il mio comportamento era mutato drasticamente: mi ero
fatto più silenzioso – di un silenzio che per quanto facessi finta che fosse tutto okay, mi
pesava parecchio.
Non potevo certo parlarle di Gino. Ed era troppo presto per parlarle anche solo di
Alessandro. Ciò di cui aveva bisogno era solo di venir rassicurata sul fatto che non stessi
frequentando le classiche “cattive compagnie” cui lei senza dubbio alcuno imputava quel
mio cambiamento.
La capacità di immergermi negli altrui pensieri e stati d'animo è sempre stata la mia
specialità fin da bambino (in verità, dacchè ho memoria di me-stesso) e ben difficilmente mi
sento raccontare da qualcuno cose che già non so sul suo conto: “I am the eye in the sky,
looking at you I can read your mind.”, citando la mia canzone preferita di Alan Parsons.
È l'occhio di Horus “che tutto vede e tutto sa, leggendo nei cuori in trasparenza”, in virtù
del quale riesco a penetrare l'animo altrui dribblando qualsiasi autodifesa e a scandagliarlo
tipo fusione mentale vulcaniana. Anzi, peggio: perchè vedo la persona per ciò che è, aldilà
di ciò che pensa di essere – o che si obbliga, ad essere. Col risultato che nessuno ha mai il
coraggio di guardare la sua vera faccia, che da molti anni ha smarrito intenzionalmente
sotto spessi strati di cerone e di trucco.
Ero giunto da Cleo con un quarto d'ora buono di anticipo, ed avevo parcheggiato
all'esterno del condominio, seminascosto da una campana di plastica gialla per la raccolta
della carta:
«Ottima cosa.», osservai. «Da queste parti sono proprio all'avanguardia..»
Per ingannare il tempo mi ero messo a passeggiare avanti e indietro chè sembravo una
guardia di ronda all'ingresso di Buckingam Palace, e intanto osservavo ogni cosa – ad
esempio che davanti al numero civico 23 stava il 16, e la casa di fianco era il 20: manco li
avessero disposti a casaccio.
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Già che c'ero cercai i “Locatelli” sopra l'elenco interminabile delle targhette retroilluminate
del citofono, individuandoli entrambi ma senza che mi riuscisse più di ricordarmi se Cleo
fosse una Locatelli-Zardoni oppure se era piuttosto tipo da Locatelli-Isacchi.
«Vabbe', di che mi preoccupo? Tanto alle 23.30 in punto verrà giù lei.», almeno così
supponevo.
In quella arrivò una macchina bianca. Forse una vecchia FIAT127, ma non saprei dire
con sicurezza: evitavo di guardarla direttamente per non dare nell'occhio, casomai si fosse
trattato di Cleo che tornava dal cinema accompagnata dal misterioso spasimante.
Mi ero imposto di tenere lo sguardo basso, finendo col fissare l'idrante color vinaccia
accanto alla siepe manco fossi un cane randagio incerto se pisciarci sopra oppure no.
Però l'unica macchina passata di lì in mezz'ora non poteva essere una semplice
coincidenza, così estrassi dalla tasca il mio fido block-notes e mi appuntai il numero di
targa – interpretandolo così: “Alessandro GLL di Valeria, Angelo e Alessio”.. qualunque
cosa mi dovesse significare quel GLL.
Mi ci arrovellai su un po', vagolando davanti all'ingresso nell'attesa di scorgere Cleo. D'un
tratto, come se una misteriosa stretta invisibile mi avesse serrato il polso, mi cadde la busta
di plastica trasparente che conteneva le cose da consegnarle. Nel chinarmi per raccoglierla,
mi avvedetti delle mie..
«Gambe! LL sembra un pittogramma per indicare le gambe C048, e la G che lo precede è
una riconferma. Dunque GLL va letto come “Alessandro è (associato a) le gambe”..»
Abbandonai quel pensiero ozioso a metà dopo aver dato un'occhiata all'orologio: s'erano
già fatte le 23.43.
«Cleo è una che ci tiene, alla puntualità, per cui a questo punto è logico desumere che non
intendesse raggiungermi lei: si aspettava che fossi io a citofonare. E mo' quale scelgo?»
Azzardai un Locatelli-Isacchi, tenendo il fiato sospeso per via del rischio di tirar giù dal
letto un perfetto sconosciuto, ma per fortuna l'intùito mi aveva guidato bene e rispose Cleo
stessa:
«Ti raggiungo sùbito.»
Nel mentre, scarabocchiai frettolosamente accanto al numero di targa “Alessandro è il
sostegno di Valeria, Angelo e Alessio”. Ci avrei riflettuto poi, anche perchè non era davvero
il caso di incuriosire Cleo facendomi sgamare a prendere appunti sotto a casa sua.
«È da molto che aspetti?», indovinò lei, notando le mie guance e la punta del naso
arrossate dal freddo.
«Ero convinto che saresti scesa tu, e temevo di disturbare a citofonarti in casa a
quest'ora.»
«Quindi sei rimasto venti minuti qua fuori al freddo e al gelo ad aspettarmi?!»
Più del doppio, in verità, ma preferii minimizzare:
«Beh, no: si era detto alle undici e mezza, per cui non fa neanche un quarto d'ora.»
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Cleo scosse la testa, tale e quale a come avrebbe fatto Angelo – ma con l'apprezzabile
differenza che lei lo faceva senza sarcasmo, anzi ammirando la mia rispettosa
determinazione.
«Scusa se non ti invito ad entrare, ma.. sai: i miei.»
«Nessun problema, dico davvero. Tieni: queste sono per te. Scusa la.. provvisorietà, ma
non ho ancòra finito di impaginarle come si deve. Quelle di cui ti parlavo, te le ho segnate a
matita.»
«Posso leggere anche le altre?»
Apprezzai molto che me ne avesse domandato il permesso.
«Hai tutto il tempo che vuoi. Poi dammi un colpo di telefono, chè passo io a ritirarle. Così
magari mi fai pure sapere che effetto ti fanno..»
«Chissà cosa pensi di me: prima mi incazzo per Valeria, e poi faccio la stessa cosa che ha
fatto lei.»
«Non è affar mio, Cleo.»
«Sì, ma è.. Semplicemente pazzesco!», quasi mi aggredì. «Vuoi saperlo com'è andata a
finire, stasera? Che lui mi ha portato fuori, e sono anni che mi fa il filo, e io non facevo che
sentirmi a disagio: non vedevo l'ora che arrivasse la fine del primo tempo, e poi quella del
secondo..»
«Presumo non fosse per via del film.»
«Mi sentivo fuori posto: come a recitare la scena giusta ma con l'attore sbagliato. Pensavo
continuamente ad Angelo, te ne rendi conto?»
Lei lo diceva vergognandosene, ma il mio cuore esultava.
«Io non posso andare avanti così.», si lamentò.
«Su questo mi trovi perfettamente d'accordo.»
«Devo riuscire a superare questa ossessione per Angelo.»
«Su questo invece no. Perlomeno non nel senso di darci un taglio netto.»
«Non so più cosa fare! So solo che se vado avanti così impazzisco.»
«Perchè non provi a parlargli?», osai.
«Parlare ad Angelo?!»
«Lo so, ti può anche sembrare assurdo..»
«Anzi! Ci avevo già pensato e stavo appunto per dirtelo. Ma tu come facevi a..?»
«Semplice coincidenza. Dopotutto è la cosa migliore da fare per entrambi: avete troppe
cose in sospeso, da chiarirvi a vicenda. Chiamalo! Lui non aspetta altro, dal giorno di Fano
ad oggi.»
«A dire il vero ci siamo già sentiti altre volte.», obiettò lei insospettendosi, ergendo
subitaneamente le proprie difese come un'alta marea. «Strano, che non te ne abbia parlato.»
Per l'ennesima volta non solo scoprivo un'altra falla che Angelo mi aveva taciuto, ma
dovevo pure inventarmi il modo per tapparla in maniera convincente – e, quel che era più
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difficile, istantanea:
«Mi ha chiesto di non fargli domande su di voi.»
Bufala inverosimile, però coerente col copione da soapopera che mi toccava inventarmi
mano a mano per tenere aperto quell'unico (e ultimo) canale di comunicazione con lei.
«E perchè?»
«Perchè ci sta troppo male, al pensiero di te separata da lui.»
Almeno, questo sapevo che era vero. Visibilmente vero.
«Ci penserò su.», concluse lei.
«Ti chiedo solo di non fargli trovare le mie poesie. Sopratutto, non dirgli che mi sono
permesso di intromettermi tra il tuo silenzio e lui.»
«E tu non gli dirai niente di stasera?»
«Soltanto tu potresti decidere di parlargliene.»
«Pensa che quel poveretto c'è rimasto.. proprio di merda, quando gli ho detto che avevo
fatto uno sbaglio e non me la sentivo ancòra di uscire con lui nè con nessun altro. Lui non
ha colpe: mi ama per davvero..»
«Angelo di più. Non gettare una rosa alle ortiche, Cleo: parlatevi. Da amico, di entrambi –
anche se per me è stranissimo sentirmi anche amico tuo dopo solamente due giorni che ci
conosciamo – non vi chiedo che questo: di parlarne insieme, anzichè macerarvi ciascuno nel
proprio dolore. Voi che potete, fatelo. Voi che avete qualcosa, non buttatelo via così.»
Perchè ovviamente avevo finito col pensare ai miei travagli per Alessandro, ed oramai ero
lì-lì per commuovermi. (Ma cosa mi stava accadendo? Già piangere era per me un evento
ai limiti dell'impossibile, ma.. farlo davanti ad un'estranea?!)
«Gli telefonerò.», promise solenne congedandosi.
Stavo per chiudere la portiera della macchina quando Cleo tornò indietro correndo a
perdifiato, come se avesse scordato di dirmi una cosa della massima importanza.
Aggrappata con forza alle sbarre del cancello, serrate come quelle della prigione dove lei
stessa aveva recluso il propri sentimenti, mi chiamò:
«Grazie di tutto, Alessio. Grazie di cuore.»
Forse era perché piangeva. Forse semplicemente perché aveva corso. Ma l'affanno nella
sua voce me lo confermava a chiare lettere: questa volta ce l'avevo fatta.
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S
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te s s a l atit ud i ne, d iver s o conti nente. Un a gr a n d e c it t à. (Per or a n on m olto p op olat a, m a
si a m o s olo a gl i i ni zi.) Ca s e i n piet r a, n on più m at toni d i fa n go e pa gl i a. D ue pi r a m id i
a gr ad oni tip o zi g gu r ath: u n a m i nore, d a cu i si d ip a r te l a lu n g a vi a d'acqu a a l i m entat a
d a u n a fonte s ot ter r a n ea ch e co stitu i s ce l 'a s s e u rb a ni stico, e ac c a nto ad e s s a quel l a d ove m i
t rovo or a: l a più gr a n d e e più a lt a, l 'u nic a a d o m i na re l 'i nter a c it t à e stend en d o lo s gu a rd o
su o gni d ove, p er si n o a ld i l à d el l a fore st a e vi a vi a fi no a l l 'or i z zonte.
Un o sp et t acolo i n c a ntevole d a sp ez z a r ti i l fi ato. Sp e c ie a que st'or a d el l a s er a i n cu i i l
t r a m onto i n on d a d i luce d or at a l'i nter a va l le, sp a nd en d o ov u nque u n a p ace ch e ti r ie mpie i l
cuore e fa app a r i re co sì lonta ni i conv u l si gior ni d el l a ta nto i nuti l m ente te mut a “Fi ne d el
Mond o” ..
Per vi a d el le cond i zioni c l i m atich e n on p oteva m o cer to via ggi a re p er m a r e, co sì abbi a m o
a ffid ato a l le a l i d el vento le n o str e b a rch e s ol a r i c a r ich e d i p er s on e ed a ni m a l i – sp ed end o
tutto i l re sto t r a m ite l a rete d i telet r a sp or tator i (ch e p er for t u n a d op o qu a si 50 m i l lenni
fu n z ionava a ncòr a a d overe) .
I n s è l a pro cedu r a è a lqu a nto s e mpl ice: s'i mb o c c a no i giu sti t u n nel s ot ter r a nei, quel l i ch e
con ducon o a l l a s a l a d egl i s m ole col a r i z z ator i d el no d o più vici n o, e l ì si s ele z iona l a
st a z ion e d'a r rivo d el l a m et a d e sid er at a . I l re sto lo fa nn o le m ac chi n e, d efor m a n d o lo sp a zio
cu r vo i n m a nier a t a le d a s ov r app or re due pu nti d el l a sup er fic ie ter r e str e: i n que sto m o d o,
tutto c iò ch e va rc a u n o d i quei c i l i n d r i d i luce-l iqu id a a z z u r r i na viene i sta nta n ea m ente
t r a sl ato i n u n qu a l sivo gl i a a lt ro pu nto d el glob o.
Tut to t r a n ne i cor pi s ot ti l i, ch e s on o co stitu iti d a energie t ropp o r a refat te p er le m ac chi ne
– col r i su ltato che p er qu a lch e i st a nte r i m a n gon o d ov'er a n o, c au s a nd o p er co sì d i re u n
te mp or a neo d i st ac co d el l 'a n i m a d a l cor p o. Ad o gni m o d o p er via g gi co sì brevi c i situ i a m o
nel l 'ord i n e d egl i yo cto s e con d i: s e non fo s s e p er i l c ap o gi ro, c au s ato d a l cont r ac colp o d el
rep enti no d i st ac co e r icon giu n gi m ento d ei cor pi s ot ti l i, non c i si ac corgerebb e d i nu l l a.
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(75)
A s s o m i gl i a a fa re bu n gee ju mpi n g, s olo m olto più sicu ro. ( Co m e te sti m on i ato
d a l l'a nd i r ivieni d ei g at ti, che vi sibi l m ente t rovava no l 'e sp er ien z a a lqu a nto s ol l a z z evole e l a
r ip eteva no fi n o a l l a n au s ea .)
L'u nico ri s c hio p otrebb ero cor rerlo p er s one a n zi a ne o m a l ate, i l cu i “c avo d i a n cor a ggio”
fr a cor p o fi sico e cor pi s ot ti l i p otr ebb e sp ez z a r si co m e u n ela stico lo gor ato. Non ch e si a
i mp o s sibi le r ip a r a rlo, m a s on o d av vero i n p o chi ad e s s er e su ffic iente m ente evoluti e p otenti
p er con fronta r si con l a d el ic ati s si m a pratic a d el l a “chi r u rgi a d el l 'a ni m a” . M a s opr at tutto,
co m 'è fac i le co mprend ere, non s a r ebb e st ato fat tibi le ri n cor rere centi na i a d i cor pi a st r a l i
a l l a d er iva co m e p a l lon c i ni nel vento.
A l l a fi ne, p er r i sp a r m i a re u n o sho c k a chi n on aveva m a i via g gi ato a quel m o d o, si prefer ì
non i mp or re u n'e sp er ien z a co sì st r aord i na r i a a p er s on e i nc ap ac i d i m et ab ol i z z a rl a:
st a bi l i m m o che gl i u nic i a s egu i r m i p er l a vi a breve s a rebb ero stati i s acerd oti add e st r àti a l
via g gio a st r a le, e tut ti gl i a lt r i c i av rebb ero r a g giu nti i n volo.
Fu co sì ch e r iu s c i m m o a t r a r re i n s a lvo u n nu m ero su ffic iente d i p er s one (e, co s a n on
m en o i mp or t a nte, d i l ibr i e m ater i a l i) p er fa r s opr av vivere l a c ivi ltà che d a quel m o m ento i n
p oi s a r ebb e stat a giu sta m ente d efi nit a a ntid i luvi a na – m entr e i l re sto d el m on d o er a
r ipio mb ato a l l'et à d el l a piet r a.
O g gi, a m en o d i 5 a nni d a l gr a n d e e s o d o, l a c it t à è qu a si pronta – e a te mp o d i record. Coi
m e z zi ch e s on o r iu s c ito a recup er a re d a l l a b a s e, e con le con o s cen ze a m i a d i sp o si z ione, sto
get t a n d o le fon d a m enta d i u n e sp er i m ento u nico nel suo genere: u n a l i n ea evolutiva p a r a l lel a
p er l a r a z z a u m a n a.
Que st a pr i m a fa s e è l a più c r itic a, p erchè fi n o a qu a nd o n on s a r a n no i n gr a d o d i c api re i n
che m o d o fu n z ion a n o le m ac chi n e d ov rò l i m ita r m i a m o st r a r loro co m e u s a rle – e l a
tec nolo gi a n on supp or tata d a l (con)s ap ere s c ienti fico fa pre sto a s c a d ere i n “m a gi a” . Ta nt'è
che va gi à d i ffon d en d o si l a p e s si m a abit ud i ne d i vener a r m i: l a ste s s a at titud i ne ch e aveva
pre s o i l S om m o S acerd ote d op o aver vi sto l a m i a g a mb a m et a l l ic a, p erò p er icolo s a m ente
m oltipl ic ata p er i t a nti “m i r acol i” che h o d ov uto m o st r a r e, ed e ste s a a centi na i a d i m i gl i a i a
d i p er s one – ch e va nn o t r a sfor m a n d o i n id olat r i a l a gr atitud i ne ch e prova n o p er m e.
Non i ntend o e s s ere u s ato co m e fetic c io d i qu a lco s a ch e n on s on o. Ho du nque st abi l ito ch e,
s e co m e te m o l a situ a z ion e non c a mbier à, u lti m at a l a c it t à ed i str u it a l a c l a s s e s acerd ot a le
m e n e a n d rò con l a s cu s a d i co ord i na re i l contro-e s o d o.
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D op otut to, fr a app en a u n a m a n c i ata d i m i l lenni d ov rò gi à fa re r itor n o.
Rumore di serratura. Due giri di chiave. Cigolìo di cardini. SBAM! della porta
che si richiude. Squittire di gomma bagnata sopra le piastrelle. La radiosveglia segnava la
mezzanotte: l'ora delle streghe, e di mio “fratello” Domenico che stava giusto-giusto
rincasando.
Feci mente locale per un attimo, e conclusi che la radiosveglia si sbagliava:
“Mancava un quarto d'ora a mezzanotte quando Cleo è scesa, poi abbiamo parlato, quindi
vanno aggiunti minimo 10 minuti tra viaggio di ritorno e metter via la macchina in
garage..”
Se si fosse trattato di una specie di amnesia, ripercorrere i passaggi uno ad uno era l'unico
modo che avevo di ricordare. Invece tutto ciò mi dava la fastidiosa sensazione che mi stessi
soltanto inventando delle scuse per razionalizzare quella mezz'ora (minimo) che mancava
all'appello.
«Dev'essere appena saltata la corrente.», conclusi frettolosamente. Salvo poi correggermi,
osservando che lo “0:00” sul display era fisso – mentre quando un calo di tensione resetta
la sveglia, esso lampeggia per richiamare l'attenzione fino a che non si regola nuovamente
l'orario.
“La cosa non mi quadra affatto.”, riflettei.
Possibile mai, che mi fossi appisolato sognandomi tutto? Ricordavo di esser rincasato
sotto la pioggia, pertanto muovendomi a tastoni nel buio uscii in anticamera per controllare
il cappotto:
“Asciutto.”, constatai palpandolo. “Senza neppure una minima traccia residua di
umidità.”
Uscii di casa pur di sincerarmente: stava effettivamente piovendo, e oltretutto aveva l'aria
di aver cominciato già da un bel po'.
Come tornai in camera la lampa snodabile sopra la scrivania era accesa, ma non ero stato
io. O forse sì e mi ero dimenticato pure di questo?
Matite colorate sparse sulla scrivania, per il resto insolitamente ordinata – così come mi
riesce di tenerla per la durata di appena un giorno o due all'anno, dopo aver deciso di far
piazza pulita di appunti e scartoffie.
“Ma certo: le poesie! Nel dopo-cena avevo in programma di farne una cernita per Cleo. Si
vede che sovrappensiero avrò fatto un po' di spazio per lavorarci più agevolmente.”
Nessuna traccia delle poesie. Controllai nel cassetto: nisba.
«Questo significa che gliele ho consegnate.», dissi, lieto di poter fissare quantomeno un
punto fermo.
Quindi me ne tornai a letto rassicurato dal pensiero di aver assolto al mio compito –
magra consolazione, visto che quanto a tutto il resto non avevo la benchè minima idea di
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(75)
cosa fosse effettivamente accaduto.
Ciò che m'innervosiva maggiormente era la netta sensazione che in qualche modo a me
sconosciuto fosse crollato il fattore-tempo, proprio quello che solitamente è il più solido di
tutti: bene o male, c'è sempre un prima e un poi cui fare riferimento.
Invece la successione degli eventi recenti si ostinava a sfuggire ogni logica collocazione.
Tanto per incominciare: perchè del viaggio di andata da qui a casa di Cleo non mi era
rimasto impresso ricordo alcuno? Per quanto mi sforzassi, non ero in grado di colmare la
lacuna fra l'istante in cui avevo avviato la Panda (nel garage di casa mia) e quello in cui
l'avevo spenta (una volta giunto a destinazione).
“È come se nell'istante in cui ho deciso di andare da lei, io mi sia trovato semplicemente là
– catapultato in un solo battere di ciglia nel parcheggio davanti a casa sua.”
La grande confusione che avevo per la testa m'impediva di riaddormentarmi, chè
risaputamente è impossibile chiamare il sonno prendendolo a sberle. Come un insetto
intrappolato nella tela del ragno, più mi dimenavo nei miei pensieri e più ne rimanevo
invischiato.
E sì che la spiegazione era semplicissima. Tuttavia, per quanto già la intuissi, mi rifiutavo
di crederci – pressapoco come farai tu adesso, leggendo a seguire la ricostruzione dei fatti.
Dopo aver telefonato a Cleo per avvisarla della mia visita, sono
rientrato nella mia stanza in stato di semi-trance – “adombrato” dal
me stesso del futuro analogamente a come fa Gino con Angelo. Qui,
agendo in una condizione mentale ibrida, ho/abbiamo riordinato
istantaneamente la scrivania semplicemente pensandolo, dopodichè
ho/abbiamo riletto ma soprattutto rivissuto tutte quante le poesie per
selezionare quelle idonee per Cleo C129, infinte mi sono / mi ha rimesso
a letto ad aspettare l'ora convenuta per il rendez-vous.
Siccome non sarebbe stato prudente espormi fisicamente agli schìfidi
all'apice della loro forza, nella funesta notte a cavallo fra Ottobre e
Novembre, anziché allontanarmi dal mio rifugio ho fatto tutto il resto
in telepresenza – vivendolo come una specie di sogno molto
realistico..
E, tanto per intenderci, la Panda non si è mai mossa di un solo
centimetro dal garage: nei viaggi astrali le grandi distanze si coprono
a velocità prossime a quella del pensiero, ma soprattutto senza
bisogno di alcun veicolo fisico. Immaginare intorno a me la presenza
rassicurante dell'abitacolo dell'automobile è stata solo una gentilezza,
una forma di riguardo, da parte del me futuro. (Che sapeva bene che
in caso contrario mi sarei potuto spaventare, trovandomi a volare
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(75)
sopra la strada senza altro punto di riferimento che il mio corpo
sospeso a mezz'aria.)
76
M
anco a dirlo: nonappena infilàte le due fette di pan carrè nel tostapane, alè che
squilla il telefono.
“Chissà chi è che scoccia, a quest'ora.”, protestai tra me e me. “Telefonare in casa
d'altri prima delle 10 di mattina, ma si può?”, autocorreggendomi immediatamente con un
“Evidentemente sì.”
«Ciao, Alessio. Ti ho svegliato?»
Stentavo a credere alle mie orecchie:
«Alessandro? Sei proprio tu?»
«Sì, perchè?», rise, non riuscendo a capire la ragione di tanto sconcerto.
«Che sorpresa! Non prenderlo come un rimprovero, neh?, ma telefoni così raramente
che..»
«Avevo voglia di sentirti. Meglio: ho davvero il bisogno di parlare con te.»
«Ti dispiace, se ti richiamo io tra un dieci minuti? Ci ho le fette di pane in fase di tostatura,
e non vorrei che mi si bruciassero.»
«“Bisogna tirarle fuori nonappena indorano, e spalmarci il burro salato e/o la marmellata
di arance amare (con scorzette) prima che si raffreddino.”»
«Vedo che te la ricordi bne, la mia tecnica ninja per una prima colazione perfetta. Beh
allora ti richiamo io tra un po', va bene?»
Annusai l'effluvio fragrante frutto delle minuscole particelle di orzo che si accoppiano
lubriche con il latte, godendomi un paradossale Bacchanalia da astemio: la celebrazione di
un vetusto rito misterico dedicato alla dea Cerere.
E di colpo rinsavii, rendendomi conto di quel che avevo appena fatto. Tolta la spina onde
evitare che le fette di pane si carbonizzassero, riempiendo la cucina di fumo e mia madre di
paranoie da incendio, mi precipitai giù per le scale fino allo studio del babbo dove è situato
l'unico telefono sicuro della casa: l'unico che non può essere intercettato, dal momento che
quando se ne alza il ricevitore tutti gli altri vengono esclusi.
«Ciao, Alessandro. Sono io. Scusami, per prima: non so cosa m'è preso. Dicevi che mi
dovevi parlare di qualcosa..»
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(76)
«Sì, anche. Ma non è solo per questo, che ti ho telefonato.»
«E per cosa, allora?»
«Il punto è proprio che non lo so nemmeno io! Dici che sto impazzendo?»
«Forse è il contrario: forse stai rinsavendo.»
«È come se non potessi più fare a meno di pensare a te.»
Cosa si può rispondere, a una frase così? Niente. Così aspettai che proseguisse:
«È assurdo. As-sur-do.», scandendo le sillabe tra la precisione e la rabbia.
«Molte cose non hanno senso, di questi tempi, ma vedrai che passeranno. L'unica cosa
importante, per dirla con una canzone dei Queen, è una soltanto: non perdere la testa.»
«Ecco! Lo vedi? LO VEDI, cosa intendo dire? Questa mattina non facevo che sentirla,
alla radio. Ti rendi conto? Cambiavo stazione, e trac: sempre i Queen, sempre “Don't lose
your head”. O: su tutte le frequenze! Che cos'è? L'anniversario del film?»
«Non credo: mi pare sia uscito nell'86, e la canzone non è certo fra le più rappresentative
– tipo “A kind of magic” o “Who wants to live forever”..»
«E non è finita: sembrava che tutte le radio si fossero sincronizzate. L'ho sentita 7 volte, a
partire dalle 8 e 17.. E tutte le 7 volte incominciava con un 7 nel numero dei minuti: 8 e 27,
8 e 37, 8 e 47, 8 e 57, 9 e 7 e poi, l'ultima, alle 9 e 17. Poi basta: sparite di colpo per più di
mezz'ora, così ti ho telefonato.»
«7 volte ad intervalli di 10 minuti. 7 + 10 = 17. Dalle 8.17 alle 9.17. Cosa mi combini,
Alessandruccio? Stai cercando di scippar via il 17 ad Angelo?»
«Pensa che io non ci avevo fatto caso, a questo. A me ha colpito più che altro il 7 volte 7:
sta da qualche parte nella Bibbia. E poi scusa: tutte quelle volte, sempre a intervalli
regolari, e su radio diverse..!!»
«Su una cosa hai senz'altro ragione: non può trattarsi di un caso.»
Così come non è un caso che il numero di serie del CD che contiene il brano suddetto
cominci con 0777 7, e finisca con un messaggio tutto da interpretare. (A partire dal fatto
che la copia in mio possesso ha il retro ribaltato a testa in giù – e qui, chi vuol capire
capisca.)
«Tu non sai che paura ho avuto.»
«Me l'immagino, invece. Purtroppo non so cosa dire o fare per tranquillizzarti.»
«Anche questo, non me lo spiego: com'è che mi è bastato sentire la tua voce per telefono
per calmarmi?»
«Sarà uno dei miei nuovi superpoteri.», scherzai. «Piuttosto: quell'altra cosa che mi dovevi
dire?»
«Ah già: il pigiama.»
«Il pigiama??»
«Stamattina dopo essermi alzato mi sono levato la parte sopra del pigiama e poi sono
andato in bagno, ma quando son tornato non c'era più. Non restavano che le gambe.
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Proprio questo ho pensato: che non restavano altro che le gambe.»
«Come l'hai interpretato, questo.. “segno”? (Sempre che di segno si tratti..)»
«Ma è chiaro, no? Come una evidente minaccia fisica.»
Tutti quei 7, e il riferimento alle gambe, non facevano che riconfermare quanto diceva la
targa dell'automobile che avevo visto da Cleo – ma non sarebbe stato giusto scaricargli
addosso le mie paranoie, tantomeno prima di averne discusso con Gino o perlomeno con
Angelo. Così abbozzai:
«Ordinaria amministrazione: sensazioni assurde condite da episodi all'apparenza isolàti
ma..»
«Tipo?»
«Tipo fare incontri fortuiti, salvo poi scoprire che stando a Gino il dato tizio X che io
avevo notato per caso era vissuto fino a quel momento solo per imbattersi in me in quel
luogo preciso a quella data ora.»
«Addirittura! Ma allora sei una celebrità.», scherzò. «No, però.. Seriamente: non passa
giorno senza che io ti consideri sempre più importante. Dico davvero.»
«Intendi dire.. per te?»: il sogno che carezzava teneramente il mio cuore.
«Sì. E anche per il mondo intero. Senti: devo riattaccare. Ti va di vederci, stasera?»
Non feci in tempo ad entusiasmarmi del fatto che una tantum l'iniziativa fosse partita da
lui, che una voce alle sue spalle gli disse qualcosa che non mi riuscì di decifrare ma aveva
tutta l'aria di essere un divieto.
«A. Come non detto: mio.. fratello mi ha ricordato che stasera saremo a casa del lupo.»
«“Siam tre piccoli porcellin, siamo tre fratellin..”», lo canzonai.
«Dai, scemo: lo sai, che mio cugino lo chiamiamo Wolf.»
«Che ne dici allora di fare per domani?»
«Mi piacerebbe, ma davvero non posso: è il giorno dei morti e mia madre dà la solita
messa a suffragio.»
Evitai di insistere per non toccare un tasto dolente:
«Allora fissiamo direttamente per dopodomani sera.», proposi.
«Sempre che non càpiti ancòra qualcosa ad Angelo.»
«Speriamo di no. Be', allora.. ti saluto. E, a proposito: buon onomastico.»
«Ma non cade a Luglio?»
«Sì, però oggi è Ognissanti e quindi..»
Giusto il tempo di riagganciare, che il telefono squillò di nuovo.
«Sei Alessio?»
Non era una voce conosciuta, ma il tono tremulo era un chiaro segno che chiunque fosse
si trovava a un passo dallo scoppiare in lacrime.
«Sono Paolo di Canzo. È da un po' che non ti scrivo, ma io non mi sono dimenticato di
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te.»
Quando avevo acconsentito di rivelargli il mio numero di telefono l'avevo fatto con una
clausola: che l'avrebbe usato solo in caso di emergenza e di assoluta necessità, ragion per
cui..
«Mi auguravo per il tuo stesso bene che non avresti mai avuto il bisogno di chiamarmi.
Che cosa ti è successo?»
«Ho smesso di scrivere, a tutti. Ho persino disdetto il telefono di casa, tanto chi vuoi che
mi chiami? I miei ho provato a sentirli giusto ieri, immaginandomi che avvicinandosi il
Natale forse erano disposti a perdonarmi, ma..»
Ebbi un moto di disappunto sul “perdonarmi”: perdonarlo di che? Di non trovare attraenti
le femmine? Di non sentirsi in obbligo di perpetuare la specie? Di non sfornare l'ennesimo
nipotino da straviziare affinchè i nonni possano autoassolversi dalle loro trascorse
manchevolezze di genitori?
«Semmai sono i tuoi a dover farsi perdonare da te, dopo il modo in cui ti hanno trattato.»,
gli risposi, ripensando alla lettera in cui mi raccontava del suo ex:
La nostra convivenza è iniziata quando i genitori di Massimo
hanno saputo che lui era gay, a causa della vendetta di un
amico geloso della nostra lovestory appena iniziata. Massimo
è stato costretto ad andare via di casa o accettare di
diventare “normale”: pretendevano si “curasse” da uno
psicanalista.
Dai genitori, nessun aiuto – a meno di non cessare il nostro
rapporto peccaminoso. La mamma di Max, quando lui la va a
trovare, gli tira acqua santa addosso.. Tra l'altro, la
mamma di Massimo è sempre stata contro la chiesa, fino a
quando ha scoperto che Max era culo. Allora ha trovato nella
chiesa valido alleato.
Ecco le reazioni degli altri parenti.. papà: nessuna
risposta. zii vari: “Dio ha creato l'uomo e la donna, non
solo l'uomo: vogliamo convertirti. Comunque mai accetteremo
che tu voglia fare una vita normale con quell'altro.”
fratello: “non sono più tuo fratello, scorda che esisto”: e
comunque ogni lettera rivolta a lui verrebbe censurata
perché si ha paura che venga “contaminato” e diventi
ammalato di frocismo.
«Mio padre mi ha coperto di insulti pesanti ed ha buttato giù la cornetta. Stavo per
riattaccare anch'io quando ha tirato su mia madre, che mi fa “Come stai? Stai bene? Perchè
non ti sposi e poi ritorni a casa?”. A quel punto ho riattaccato io.»
Una goccia nell'oceano di vite spezzate dall'ignoranza, dai cosiddetti “dogmi” di una
cosiddetta “fede” – che era cominciata bene con “Ama il prossimo tuo come te stesso”, ma
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è finita male a furia di aggiungere postille: se e soltanto se è della tua stessa confessione
religiosa (cristiano), dello stesso sotto-gruppo (cattolico ama cattolico, ma cattolico odia
protestante), dello stesso orientamento sessuale (tutto il resto è perversione), delle stesse idee
politiche (un cattolico “non può” non votare democrazia cristiana)..
«E da quando Max mi ha mollato per fare il trophy boy del suo capo..»
Lo interruppi:
«Ho capito giusto? Ragazzo-trofeo?»
«Un giovane di bella presenza che s'accompagna a vecchi cessi danarosi. Il fidanzamento
a scopo d'interesse l'hanno inventato le donne, ma i gay l'hanno trasformato in un business.»
«Ah, tipo la canzone “Rent” dei Pet Shop Boys.», sospirai triste al pensiero che per certa
gente la degradazione di sé è oramai un'abitudine.
«Esatto. (Anche se, a quanto mi dicono gli amici, ha ricevuto più spinte il suo didietro che
la sua carriera.) Cosa ti stavo dicendo?»
«Che da quando sei nuovamente single..»
«..son tornato a frequentare.»
«Hai ripreso con gli studi?»
Sgranò gli occhi e poi scoppiò a ridere:
«Ma dove vivi? A frequentare i luoghi gay: le disco, i pub, le saune.. Solo che oramai non
sono più un ragazzino: gli anni passano anche per me. Però sono così stufo, e deluso, dalla
gente che mi tocca sorbirmi pur di scampare la solita carriera frocia.»
«Sarebbe?»
«Scopare come mandrilli fino ai 40, e poi ritrovarsi soli per il resto della vita – a meno di
non potersi permettere un boyfriend a carico, ma col mio stipendio lo escludo a priori.»
All'epoca non c'era ancora internet, e la scappatoia-clichè del “sono stufo di fare sesso, ora
cerco l'amore vero” non era ancòra stata inventata – o quantomeno era difficilmente
praticabile, in mancanza di chat e siti di annunci personali. Così Paolo, seguendo
pedissequamente il filone dell'omosessuale vecchio stampo, viveva nell'incubo che superata
l'età in cui si è giovani ed attraenti (e si rimedia facilmente compagnia per una notte o poco
più) gli sarebbe toccato il ruolo di vecchio: uno che si “noleggia” un amante più giovane
offrendogli in cambio vitto & alloggio, e mantenendolo nel lusso assecondandone i capricci
fino a che il moroso (tale pure in quell'altro senso) non si troverà di meglio.
«Sennò me ne starei alla larga, dai locali. Dove ci si espone alla stregua di vacche ad una
fiera zootecnica. Ci si guarda, ma mica dritto negli occhi: giusto un paio di ammiccamenti.
Dopo si fa, in dark o nei cessi o ben che vada in macchina, e poi tanti saluti. E con gente
che il più delle volte manco ti chiede come ti chiami. Per non parlare delle saune, che è pure
peggio: ingroppo all'ingrosso, nè più nè meno che carne da monta.»
Ordinaria degradazione di un certo tipo di ambiente omosessuale, auspicabilmente
destinata a sparire ora che il mezzo informatico ha reso possibile dinamiche più umane e
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meno impattanti rispetto al quasi-sempre sbrigativo approccio diretto: per email o
chattando si dispone infatti del tempo di approfondire e conoscersi un minimo, prima di
passare al sodo. (Ma d'altro canto permane un buon numero di soggetti che non vanno mai
aldilà di un “ciao” fatto seguire dal proprio numero di telefono. A loro volta bilanciàti dagli
auto-reclusi nel limbo virtuale: quelli che se anche scoprissero che abitate sullo stesso
pianerottolo, quando gli proponi di vedervi per fare quattro chiacchiere rispondono “con
molto piacere: ci si bekka domani in chat!”. Corpi senza menti, e menti senza corpi – con
buona pace di chi asserisce che il mondo sia bello poichè è vario.)
«Sì, lo so. Non dirmi niente: me l'hai già spiegato, come la pensi tu.»
Alludeva alla mia diffidenza (a dir poco) verso il cosiddetto “mondo gay”, vale a dire
l'autoghettizzazione propugnata come libera scelta: solo amici gay, solo locali gay, solo film
gay, solo cultura gay, solo discoteche gay.. e via di questo passo si finisce tutti quanti belli e
intruppàti in un'allucinazione collettiva che invece è una subdola trappola sociologica ben
congegnata – del tutto analoga a quella che fino agli anni '60 portava gli afroamericani a
intossicarsi spontaneamente di polistyrene pur di avere i capelli lisci come i bianchi, a
lasciarsi chiamare negri, a non poter entrare in locali “whites only”, a frequentarsi
esclusivamente fra di loro, eccetera.
«In un primo momento mi ci ero pure arrabbiato, ti ricordi? Però lettera dopo lettera è
come se tu avessi buttato giù un muro di cartapesta, non so se mi spiego. Hai fatto crollare
la menzogna cui mi ero abituato a credere, e adesso.. Adesso non ci riesco più, a fare
marcia indietro, a fingere che non sia successo niente: sono cambiato.»
Il rimpianto, per la bugia che era più facile da credere, sovrastava la gratitudine per averlo
condotto a intravedere la verità – che tanto non gli offriva alcun conforto e non gli dava
nulla in cambio se non ulteriori tormenti.
«Sì, insomma, per non stare a ricamarci sopra tanti stupidi giri di parole: oggi lo faccio sul
serio e vaffanculo.»
«Grazie: ottimo auspicio!»
«Auspicio? Che cosa?»
«Andare a farmi un culo. Meglio se con un baldo giovine intorno, però!», sforzando una
risata nella pia speranza che aiutasse a sollevargli un poco il morale.
«Mi scuserai se non sono in vena di scherzare, ma oramai l'ho deciso: questa sera stessa
mi ammazzo.»
Tacqui, per appurare se si aspettava che io lo scongiurassi di non farlo. Il fatto che invece
proseguì, mi confermò che non era solo un modo estremo per richiamare attenzione ed
affetto: faceva proprio sul serio.
«Solo non me ne volevo andare prima di averti salutato, e ringraziato per tutto l'aiuto che
mi hai dato. Spero che a te le cose vadano meglio, spero che il tipo a cui vai dietro si decida
alla buon'ora ad avere le palle per accettare la sua condizione..»
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(76)
Perchè “condizione” è un vocabolo che si usa solo per indicare le catastrofi: la condizione
di malato terminale, la condizione di tossicodipendente, la condizione di omosessuale..
Facci caso: non s'è n'è mai sentito parlare, della condizione di miliardario, o della
condizione di eterosessuale.
«Che ne dici di un pranzetto al ristorante cinese?», stabilendo in quattro e quattr'otto che
era giunto il momento di dare un calcio ad ogni residua prudenza. «Ne conosci uno buono,
da quelle parti?»
«Sì, ma..?!»: l'avevo spiazzato, e questo era precisamente quanto era mia intenzione fare.
«Tempo di fare un paio di telefonate, poi prendo il primo pullman e sono lì.. diciamo per
mezzogiorno e mezzo, minuto più minuto meno. Così tra un boccone e l'altro ci facciamo
quattro chiacchiere, ti va?»
«Mi stai prendendo per il culo?»
«Ma se non so neanche se sei il mio tipo! Eppoi come sai, sono già promesso.»
Il treno era deserto. Dai filari di poltrone sbucavano qua e là giusto un paio di berrettini di
lana, qualche zazzera spettinata col paraorecchi.. Manichini stoccàti in vagone-merci: il
senso di solitudine era totale.
Preannunciato dal muoversi disordinato di teste nei sedili davanti, come fili d'erba in un
prato agitàto dal vento, ecco giungere col suo passo inutilmente inesorabile il controllore.
Un clic frutto d'inveterato automatismo e poi se ne va. Un diverso clic,
e il nastro nel walkman comincia a scorrere – con quel suo movimento pulsante che ricorda
tanto il fluire del sangue nelle vene.
Socchiudo gli occhi..
arrendendomi a lasciarmi inondare..
dalle immagini che fuggono via dal finestrino..
Muraglie di cemento,
formicai umani in decadenza,
binari arrugginiti..
TUNNEL!
Fracasso del treno che rimbomba,
aria che sibila lacerata dalla motrice,
cielo plumbeo,
case tutte uguali e ugualmente fatiscenti e marce..
TUNNEL!
Pochi raggi di luce,
troppi vespai della "civiltà"..
TUNNEL!
Una gru che pare lo scheletro di un tirannosauro,
una stazione superata sulle ali del vento,
e questo sferragliare assiduo..
TUNNEL!
Le pareti di 'sta carcassa d'acciaio antidiluviana scricchiolano,
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(76)
nel buio del..
TUNNEL!
Un po' d'aria e poi ancòra..
TUNNEL!
Capannoni,
alberi rinsecchiti,
banchine spoglie e..
TUNNEL!
Prima inghiottito
e poi sputato
da un tunnel dopo l'altro.
Incessantemente.
Sino a rivedere..
«Già _ont_ _ bigl_?»
Era nuovamente il controllore, ma non ero sicuro di aver ben capito che cosa volesse da
me. Liberai un orecchio dall'auricolare, dove ancòra suonava “La folle corsa”:
«Prego?», domandai educatamente.
«Le ho chiesto: già controllato il biglietto?», sussiegoso e detestabile come soltanto un
controllore o un vigile sono capaci di essere.
«Sì. Sono salito ad Arcore.»
«Me lo mostra?»
E te pareva: più sei conciliante, più se ne approfittano. Fermai il walkman sospirando (ma
non troppo forte, per non farmi sgamare dalla “autorità precostituita” che mi si ergeva
innanzi baldanzosa in tutto il suo marzial fulgore), frugai nel cappotto..
«Non si fida della mia parola?», chiesi ironico allorchè mise mano al blocchetto delle
contravvenzioni.
«Non fidarmi è il mio mestiere.»
«Una buona risposta.», ammisi con fairplay, apprezzando come sempre l'arguzie anche
quando ne sono vittima.
O: mai capito come chicchessia possa vantarsi di conoscere un posto bene come le proprie
tasche! Io non sono neanche sicuro di trovarci dentro il fazzoletto, e pure quanto alle altre
cose che ci metto dentro..
«E allora, questo biglietto?»: uomo di poca fede.
Con tutto che niente-niente poteva benissimo trattarsi di uno dei “simpatici” scherzetti da
prete di Gino, tipo quella volta che aveva fatto sparire i PassLunch dalla tasca di Angelo.
Per fortuna invece..
«Ecco qua.», allargandomi in volto un sorrisone alla gatto Garfield mentre gli mostravo il
biglietto a mo' di tessera dell'FBI.
Il controllore l'agguantò, lo esaminò persino in controluce, ma poi dovette arrendersi
all'idea che si trattava di un documento di viaggio valido, regolarmente obliterato. Me lo
restituì, depose a malincuore il suo blocchetto, e se ne andò come sospinto a reazione dal
“Pft!” di stizza che lasciò dietro di sè.
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(76)
Sbarcato a Garibaldi FFSS, come toccai terra l'artiglio invisibile della città mi strizzò lo
stomaco: perchè il freddo, a Milano, non è solo un fatto stagionale. Non restava che
difendermi come potevo col walkman – augurandomi che le batterie ricaricabili non mi
abbandonassero proprio nel momento di massimo bisogno.
“E si cammina bene, col bavero all'insù. Pugni di mani in tasca, nel cuore: sempre tu.”
Cantavo mentalmente, e ridevo di me stesso – alla faccia dell'aria gelida che mi prendeva
a pugni sul naso.
“Vita che mi viene incontro.. Strano non sentirne il vento. Forse ci vorrà un po' di tempo e
chissà? Quanto, per sentirne il canto?”
Du-du-du-dum..
“E si cammina bene, ma non ce la faccio più: mi accorgo che è giorno e Milano ha un
cielo quasi-blu. E se mi do una spinta arrivo fin lassù, da dove il mondo sembra così
piccolo che niente conta più”, uu-uuu..
Beffarda ironia della sorte, che mi accingessi a dissuadere qualcuno dal fare l'unica cosa
che a me per primo sembrava l'unica sensata:
«E se mi do una spinta..», ripetei amletizzando quel verso. «Già: a mere bodkin..»
77
C
ome al solito Piazza Duomo brulicava di “vita che mi viene incontro” – più che
altro per scansarmi e correre da qualche altra parte: deprimente davvero. Paolo mi
riconobbe subito: glielo indovinai nello sguardo tipico di chi non ci sperava più e
stava per andarsene con le pive nel sacco. Tuttavia preferì aspettare che fossi io a farmi
avanti.
«Paolo, presumo.», e buon per me che di giacconi di tela cerata color ecrù, in giro, ci fosse
solo il suo.
«Alessio, suppongo.», e mi strinse la mano reggendomi il gioco del dr.Livingstone che
incontra il suo collega C115 nel bel mezzo di una giungla (nel mio caso metropolitana)
popolata da selvaggi.
Sulla strada verso il ristorante cinese ci fu il tempo di spezzare il ghiaccio e vincere
l'imbarazzo di acclimatarsi alle misere spoglie mortali in cui s'incarna il puro pensiero che
siamo per lettera. Appariva più vecchio di quanto mi aveva scritto, forse perché in ogni suo
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(77)
passo si trascinava appresso un senso opprimente di pena, di “dannazione” pasoliniana, di
predestinazione alla sfiga, di derelitta propensione al sempiterno subire.. e il fatto che stesse
ascoltando “Smalltown boy” di Jimmy Somerville era chiaro indice che tutto ciò se lo
andava a cercare.
«Lo sai che non si direbbe, che sei gay?»
«Dici così solo perchè non ho un'insegna al neon sulla fronte, o un triangolo rosa
appuntato sul bavero del cappotto?»
Dopo una domanda-scema a bruciapelo così, dovevo pur inventarmi qualcosa a tono, no?
«Dai! Lo sai, cosa intendo: tu sei il classico insospettabile. Me ad esempio chiunque mi
riconosce: che ci ho la faccia da culo me l'ha detto persino mio padre!»
«Meglio faccia da culo che testa di cazzo, credi a me.»
«Somiglia alla mia risposta-pronta per freddare certi palla-al-cazzo che m'insultano per
strada.»
«Questa voglio proprio sentirla!»
«“Sì, io sono culo, e tu sei lo stronzo che ho cagato di fresco.”»
«Pesantuccia ma efficace.», ne convenni. «Della serie “Quando ce vo', ce vo'.”»
«Toglimi una curiosità, Alessio: tu non hai ancora fatto coming-out coi tuoi?»
La più scontata delle domande di rito, da porre a un ragazzo della mia età, ma il bello
delle banalità è che quando s'imbattono in una mente fertile possono egualmente far
scaturire riflessioni intelligenti:
«Il giorno in cui formerò una coppia avrà senso tirare in ballo l'argomento, non prima: i
miei gusti, in qualsiasi campo, riguardano solamente me. Tu scenderesti in piazza col
megafono per far sapere a tutti che ti piace il gelato al pistacchio?»
«In effetti no.», rise.
«Infatti nessuno si dichiara etero, e dichiararsi omosessuale è altrettanto insensato – o
sintomatico.»
«Sintomatico di che cosa?»
«Che l'omosessualità la dichiari solo chi se ne vergogna, lo sosteneva già Jean Paul
Sartre.»
«Chi se ne vergogna di solito lo nasconde.»
«Io infatti pratico la terza via: a domanda rispondo. Non sentendomi affatto in dovere di
esibire nè di occultare alcunchè.»
«Beh, però uscire allo scoperto aiuta a fare chiarezza..»
«E se poi piove? Scherzi a parte: a me il coming-out è sempre parso un autogol che crea
soltanto panico. Cioè: già il suono ostico della parola “omosessuale” non aiuta di certo, se
poi lo sussurri in gran segreto a qualcuno dopo averlo preso in disparte manco dovessi
confessargli chissà quale rara malattia tropicale.. Beh, è logico che venga scambiata per
una cosa riprovevole! E questo innesca un circolo vizioso di accuse e discolpamenti che..»
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«Girala come vuoi, ma tanto prima o poi un genitore lo scopre – che suo figlio è un gay.»
«Alt. Io non sono UN gay: per quanto rilevante, si tratta solo uno dei molteplici aspetti di
me. Detto altrimenti: sono sì omosessuale (aggettivo) ma assolutamente non “un”
omosessuale (categoria).»
«Non ho mica capito che cosa cambia.»
«Mettiamola così: fintanto che dico “sono avvocato”, sto parlando di me e del lavoro che
faccio – che senza dubbio rappresenta una parte consistente di me, ma la mia vita è anche e
soprattutto altro. Se invece affermassi “sono UN avvocato” l'accento si sposterebbe da me
al gruppo cui dichiaro di appartenere e nel quale mi identifico – il che autorizza
implicitamente le altre persone a dedurre sommariamente chi sono io in base al mio gruppo
di appartenenza, e cessano di considerarmi un individuo.»
«Una sottigliezza filosofica delle tue, insomma.»
«Tutt'altro: la differenza è abissale. Rifletti: è la medesima che passa fra l'essere e il fare.
Se dici “sono erbivoro”, stai semplicemente affermando che non disdegni l'insalata. Ma se
dici “sono UN erbivoro”, non stupirti se da quel momento in poi verrai trattato da capra.
Quanto a me, ho decisamente POCHINO a che vedere con gente che vive la propria intiera
esistenza in funzione del fatto di essere nato omosessuale: sfilate folcloristiche tipo circo
Barnum, la nazione-gay, il gay-pensiero, la gay-cultura.. e quant'altro.»
«Comodo, dirlo adesso. Però senza il gay pride la comunità gay non avrebbe fatto i passi
avanti che..»
«Ma ti ascolti, mentre parli? La retorica propaganda gay che mi vai sciorinando non è che
uno degl'innumerevoli subdoli stratagemmi ordìti per mantenere i gay al loro posto. Vale a
dire: ai margini della società e ben identificabili, esattamente come un tempo si faceva con
gli appestàti – che notoriamente erano obbligàti a segnalare il loro pericoloso transitare con
un campanellino.»
«Addirittura!», e che ironizzasse dimostrava che non aveva capito il nòcciolo della
questione, per cui mi cimentai a spiegarglielo in altro modo.
«L'orgoglio non serve! Anzi è pernicioso, poichè intrinsecamente polemico e per sua
natura non può creare altro che discordia. Quel che occorre rivendicare non è l'orgoglio di
essere gay (peraltro assurdo al pari dell'orgoglio dei pistacchiofili), bensì la propria dignità
di esseri umani – esattamente come fece a suoi tempo Malcolm X.»
«In tutta onestà e sincerità posso dire di non desiderare altro che la
libertà, la giustizia e l'uguaglianza, il diritto alla vita, alla libertà e alla
ricerca della felicità per tutti. Ciò che mi sta più a cuore, ovviamente,
è il gruppo a cui appartengo, poichè noi, più di chiunque altro, siamo
privati dei nostri diritti inalienabili. [..] Se la gente bianca fosse
vittima dello stesso genere di violenza di cui sono stati vittime i neri
per 400 anni, e se il governo non fosse in grado o non volesse
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intervenire a riguardo, credo che sarebbe intelligente, da parte loro,
difendersi. [..] Noi rivendichiamo il nostro diritto su questa terra di
essere uomini, di essere esseri umani, di godere dei diritti spettanti agli
esseri umani, di essere rispettàti in quanto esseri umani: in questa
società, su questa terra, in quest'epoca. Diritto che noi intendiamo
porre in atto nella nostra esistenza.. by any mean necessary!»
«Capisci? Il punto è che non ha senso, CHIEDERE umilmente il permesso di fare ciò che
già si ha il diritto di fare: i propri diritti, umani e civili, li si ESIGE. Certo coi dovuti modi,
ma ben risolùti ad ottenerli. Il problema dei gay è che non hanno ancòra superato il senso di
colpa millenario che è stato loro inculcato, che però a ben vedere non ha nessunissima
ragione di esistere. Se non si sentissero in colpa, non supplicherebbero pietosi favori con la
coda fra le gambe: ruggirebbero.»
«Niente-niente stai proponendo una rivoluzione civile..»
«Solo nel modo di pensare. E comunque il razzismo “al contrario” di Malcom X che
aizzava le folle contro il “diavolo bianco” rappresentò unicamente la prima iniziale reazione
violenta alla lunga oppressione, dopodichè quest'energia andava opportunamente
convogliata verso un agire ben preciso. Esattamente come per fortuna fece Martin Luther
King, raccogliendone il testimone e mettendola a frutto prima che venisse dispersa – o,
ancòra peggio, diventasse distruttiva sfociando nel caos sociale.»
«Quindi, riassumendo, “mi pare di capire” che non ti si vedrà mai in una parata del gaypride.»
“Qualcosa” mi diceva che di tutto il mio discorso non aveva afferrato una cippa. Urgeva
un'ulteriore (e)semplificazione:
«Mettiamola così: se gli afroamericani, anziché la Marcia per i Diritti Civili oramai
entrata a buon diritto nella leggenda, si fossero limitàti a sfilare per le strade, magari
seminudi, con gonnelle di paglia e mascheroni tribali.. T'illudi forse che avrebbero sfatato i
pregiudizi a loro carico, o anche solo suscitato maggior rispetto per la loro dignità umana?
Il gay pride per un non-gay è precisamente questo: folklore inconcludente, se non
addirittura irritante. Non fa che ribadire il fatto che è sempre una chiassosa minoranza a
gettare il discredito su di una silenziosa maggioranza: dare in pasto alle televisioni e alle
prime pagine dei giornali dragqueen che starnazzano come oche giulive, riesce soltanto a
convincere gli omofobici che hanno ragione.»
«Siamo arrivàti.»
Mi aprì cavallerescamente la porta del ristorante cinese, senza più proferir parola.
«Che c'è? Ti ho spaventato?»
«No, figùrati! Stavo solo riflettendo. Che con la parlantina che ci hai, potresti fare il
politico.»
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«Screanzato!», ruzzandolo un po'. «È questo il modo di insultare un ami..»
Venni interrotto dal cameriere che ci accolse all'ingresso:
«In quanti siete?»
«Soltanto noi due.», risposi.
«Prego: per di qua, faccio strada.»: con R belle decise, in barba allo stupido stereotipo del
cinese tutto L.
«Ehi, l'hai notato?», mi fece osservare Paolo parlando sottovoce dopo avermi assestato
una gomitata.
«Notato che cosa?»
«Come scalpita il bel puledrino.»
L'ho sempre avuto in antipatia, questo modo da bestiario di esprimersi, che oltretutto mi
riportava alla memoria l'uso perverso e vizioso che uno dei filmacci proibiti di Alessandro
fa della parola “serraglio”. Ragion per cui finsi di cadere dalle nuvole per obbligarlo ad
esprimersi in maniera più civile.
«Sarebbe a dire?»
«Il cameriere. Non hai notato, come ti mangiava con gli occhi? Tu gli piaci.»
«Chi? Io?», tutt'altro che disposto a farmi anche solo sfiorare dal sospetto di piacere a
qualcuno. «Ma mi hai visto? Sembro un facocero, e vuoi che un figo così mi si fili?»
«Dammi retta: lui.. (Ops!) Grazie.»
Lupus in fabula era appena tornato il giovane cameriere, che l'aveva sgamato in pieno a
confabulare come una vecchia comare. Trascinò immediatamente a sè il menù che gli era
stato poggiato dinanzi, e un poco arrossito dall'imbarazzo ci si nascose dietro col pretesto di
dover scegliere le portate.
Non mancò tuttavia di osservare che a me il menù era invece stato porto personalmente
brevi-manu, e sottolineò la cosa dandomi un calcio da sotto il tavolo: espediente doloroso
ma efficace per richiamare la mia attenzione su quello che lui riteneva essere
inequivocabilmente un astuto tentativo di sfiorarmi le dita.
«Visto? Cosa ti dicevo, io?»
«Uffa! Ma se avrà sì e no quattordici anni..!»
«Diciassette.»
«E tu come fai a saperlo?»
«Me l'ha detto lui.»
«Gliel'hai chiesto?!», allibii.
«L'ultima volta che son stato qui. Oh, intendiamoci, a me mica piace: troppo verminoso.»
«Prego?!»
«“Pochi peli”. Gli orientali non fanno per me: a me piacciono più.. villosi. Ci hai presente
gli orsi?»
«Vuoi dire.. tipo il grizzly?»: non stavo capendo.
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«Ma no, ma no!», rise divertito. «Si può sapere in che cazzo di mondo vivi, te, eh?»
Come se non me lo fossi già chiesto abbastanza volte per conto mio.
«Per “orsi” s'intendono persone di una certa stazza e soprattutto pelose. È un genere gay,
tipo i “motociclisti”.. Almeno di quelli, avrai già sentito parlare!»
«Indovino che siano quelli che vestono in pelle, con occhiali a specchio stile poliziotto
americano. Tipo Freddie Mercury ai tempi del video di “Another one bites the dust”..»
«Zitto! Eccolo che ritorna.»
«Porto da bere?»: e lo domandò a me.
«Per me una birra cinese.», disse Paolo. E mi chiese se l'avessi mai provata.
«Veramente sono astemio: per me una coca in lattina, grazie.»
«Arriva sùbito.», e s'allontanò per far ritorno di lì a pochi istanti con quanto avevo
richiesto. «La birra, la stanno preparando.»
«Perbacco, quanta solerzia!», ironizzò Paolo, che oramai vedeva sintomatici favoritismi
ovunque. «Permettimi una domanda: ti fa così schifo? Non mi starai mica diventando
dell'altra sponda!»
Ispidi capelli a spazzola, di un nero corvino che più nero non si può. Occhi intensi color
nocciola. Un fisico da statua greca, coi morbidi lineamenti che risaltano sotto la camicia
bianca dell'uniforme da cameriere. L'irresistibile fattore “etnico” congiuntamente allo
sguardo vispo e furbetto di una volpe che ti sfida a catturarla..
«Sarei un bugiardo, a negare che fisicamente è proprio il mio tipo, ma..»
«E allora bùttati! Perchè se vai avanti così a fare il pezzo di ghiaccio di sicuro non lo
incoraggi, anzi rischi che ti prenda per un etero solido e convinto e finisca col lasciar
perdere del tutto.»
«Sì, ma anche ammesso e non concesso che dio-sa-come trovassi il coraggio per
buttarmi..»
«Non c'è bisogno di scomodare Dio: lascia fare al sottoscritto, chè ghe pensi mi!»
«Sei gentile, ma non occorre: non si tratta di una banale questione di timidezza, e dopo
tutte le lettere che ci siamo scritti dovresti averlo capito.»
«Alessandro. Proprio non riesci a lasciartelo alle spalle, eh?»
La risposta me la lesse negli occhi, e nel cupo mutismo in cui mi aveva fatto piombare.
Attaccammo a strafogarci di nuvole di gamberi (da usare come ostriche da cui sorbire a
litri la squisita salsa agrodolce), involtini primavera, pizza cinese, ravioli al vapore (i miei
preferiti), spaghetti di riso (o di soia) alla piastra, i sempre eleganti gnocchi cinesi dalla
caratteristica forma ellittica, riso alla cantonese, pollo con le mandorle oppure fritto (che
rimane così leggero nella pastella da sciogliersi in bocca)..
Il bello di andare al ristorante cinese in due è proprio che si riesce a gustare di tutto un po',
dividendosi in parti uguali le portate – tranne, beninteso, la zuppa di mais (una vera mano
santa, d'inverno) e il gelato fritto flambè che chiuse in gloria il lauto pasto.
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Uscimmo a fare due passi per il centro: la sana abitudine che invidio alla gente del Sud.
Ma va ammesso che certe zone, come Milano, partono geograficamente svantaggiate: una
cosa è smaltire il pranzo sul lungomare, e ben altra è ingolfarsi i polmoni di smog tra un
semaforo e l'altro.
«Ci ho pensato su per tutto il pasto.»
«A cosa?»
«Al tuo.. comizio di prima. Belle parole davvero.»
«Grazie, ma anzichè badare all'eleganza della confezione preferirei che tu comprendessi
appieno il valore del contenuto.»
«Ma tu senti questo!», rise. «Parli sempre così?»
«Ehm.. fa troppo Piero Angela, vero?», mi schernii.
«Magari! A lui mio padre darebbe retta. Invece fino a che non mi sposo, per lui sono e
rimango un diverso, un pervertito.»
«Tanto per incominciare, semmai i diversi sono gli etero: lo dice la parola stessa. Quanto
al matrimonio, in Danimarca ci sono andàti vicini – e per come la vedo io è solo questione
di tempo, poi tornerà un minimo di buonsenso.»
«Spiègati.»
«Il matrimonio, lo dice la parola stessa, è un'istituzione nata per tutelare le madri in tempi
in cui se rimanevano incinte erano solo affari loro. Quindi delle due l'una: o consideriamo
non-sposate tutte le coppie che non hanno avuto figli (o, peggio, non ne hanno voluti),
oppure accettiamo che il significato della parola sia evoluto, assumendo un senso lato di
“pubblica attestazione di un legame stabile fra persone che si amano, comportante reciproci
diritti e doveri fra loro e anche rispetto alla società”.»
«Chiaro. Ma perchè dicevi che non volere figli è peggio?»
«Non intendevo dire questo, seppure la sovrappopolazione è la principale calamità che
affligge questo povero pianeta. Alludevo al fatto incontestabile che soltanto alle coppie etero
fertili, può venir fatta una colpa di non figliare: etero sterili e omosessuali non possono – e il
concetto di colpa si regge su una scelta..»
«..che in questo caso non c'è. Geniale! Un po' come quando mi dicevi che è ridicolo, che ci
sia ancòra qualcuno che definisce l'omosessualità una scelta di vita – visto che nessuno
sceglie di essere etero. E che se anche si potesse, certo nessuno sarebbe così idiota da
condannarsi intenzionalmente a venire odiato da tutti optando per l'omosessualità.»
«“Optando”, Paolo? Poi ero io, quello che parlava difficile, eh?»
«Infatti stavo riportando parole tue.»
«Touchè.»
«Però la chiesa è contraria.»
«Questo ha cessato di essere un fatto rilevante da quando è stato istituito il matrimonio
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civile. A prescindere dal fatto che trovo semplicemente ridicolo che gente che si fa chiamare
“padre” senza avere figli si permetta di dissertare su una cosa di cui oltretutto non ha la
benchè minima esperienza inquantochè votato al celibato. Peraltro sarebbe ora che
qualcuno facesse loro notare che amare qualcuno del proprio sesso è decisamente meno
contronatura che amare solo Dio o chi ne fa le feci.»
«Le.. cosa?»
«Hai capito benissimo. Questione di fairplay: sarebbe poco onesto incolpare l'Onnipotente
di tutte le cagate del clero, non ti pare?»
«Sì però sta scritto pure nella Bibbia.»
«Nella Bibbia sono scritte un sacco di fesserie, imputabili all'ignoranza degli uomini e non
certo alla volontà divina – tipo vendere come schiava la propria sorella o condannare a
morte chi lavora di domenica.. Ora: capisco volersi sbarazzare di una mocciosa frignona
ricavandone pure il giusto guadagno, ma tu pensa a quanti ottimi pizzaioli farebbero una
fine immeritata! Per non parlare dei calciatori..»
«Tu scherzi, ma allora per quale ragione Dio avrebbe distrutto Sodoma e Gomorra?»
«Se tu ti fossi preso la briga di andare a leggere di che cosa si parla in quel famigerato
capitoletto..»
«Di uomini che scopano uomini e così Dio s'incazza.»
«Questo non è affatto scritto: quelle città vennero distrutte unicamente poichè in esse
regnava la brutalità, la dissoluzione, la corruzione morale – al punto che quando Dio inviò
loro i propri angeli, anzichè ascoltarli tentarono di violentarli. Se fossero state angiolesse, e
anzichè sodomizzarle le avessero stuprate dal davanti, credi forse che Dio avrebbe gradito
la cosa?»
«Beh, immagino di no.»
«La fobia della penetrazione (la stessa cosa che oggi consente di lodarsi dicendo “gliel'ho
messa nel culo” anzichè “l'ho abbindolato”, ma al tempo stesso considera un'infamia
“prendere un'inculata”) è solo una becera forma di ignoranza, tipica delle società
maschilistiche che considerano la donna un oggetto. Ma naturalmente che sia l'uomo a
penetrare la donna è unicamente un punto di vista.»
«Hai voglia di scherzare!»
«Niente affatto: già nel '68 le femministe sostenevano che fosse piuttosto la vagina ad
avvolgere il pene. Chi ha ragione? Entrambi e nessuno. La semplice verità è che nel sesso
consensuale non esiste sopraffazione, sennò se ci fosse qualcuno che subisce si parlerebbe
di stupro. Quanto al presunto ruolo passivo, poi, è assolutamente relativo pure quello.»
«Beh, mica tanto!», ridacchiò lui.
«Ah no? Allora prendiamo un maschio, rigorosamente eterosessuale, bendato e legato su
un letto mentre una donna lo cavalca. Più passivo di così! Per non parlare di quelli col
vizietto di farsi frustare dalla lady domina di turno, magari a quattro zampe per essere alla
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sua totale mercè. Questo sì, che è lasciarsi sopraffare, eppure “chissà come mai” quelli
dell'altra sponda non ci trovano niente di cui vergognarsi.»
«Ma non eravamo noi, quelli dell'altra sponda?»
Sospirai di rassegnazione.
«Ogni fiume ha due sponde, pertanto quale sia l'altra sponda dipende unicamente dal lato
in cui si trova l'osservatore.»
«Quindi secondo te è tutto relativo.»
«Non “secondo me”: secondo la scienza. Che peraltro ha già ampiamente osservato come
la fisiologia maschile non sia poi così diversa da quella femminile.»
«Bum!»
«Che ci trovi, di tanto sorprendente? Dopotutto ci sviluppiamo dalla medesima cellulauovo, e buona parte dei caratteri sessuali fa la sua comparsa solo in un secondo momento:
prendi ad esempio la voce, la barba, le tette..»
«..la figa e il cazzo.», illudendosi di avermi preso in contropiede.
«Nella femmina il pene non si sviluppa, anzi si atrofizza e diventa la clitoride. Di contro,
nel maschio le ovaie scendono e diventano i testicoli. (Ne è riprova il fatto che ad alcuni non
scendono e necessitano perciò di un piccolo intervento chirurgico.) Ci sono pure ragazzi che
hanno capezzoli pronunciàti: ne conosco giusto uno.. Siamo tutti adattamenti a partire dal
morphing di un unico corpo androgino.»
«Affascinante, ma non sto più capendo dove vuoi andare a parare.»
«Hai fatto bene a rammentarmelo, che a furia di divagare me lo stavo dimenticando pure
io.», risi. «Ti ho mai parlato del punto L?»
«No.»
«È l'equivalente maschile del famigerato punto G, e “guardacaso” è situato praticamente
nello stesso punto. Che nell'uomo corrisponde pressappoco alla prostata.»
«Mi stai dicendo che..??»
«Precisamente: tutti quanti, maschi e femmine, etero o gay che siano, godono titillando
quel punto. E lo si può fare strizzando le chiappe (come viene istintivo fare al momento
dell'eiaculazione), o facendosi fare un pompino (il vuoto che così si crea lo stimola a
distanza)..»
«..oppure prendendolo.», dedusse giustamente Paolo.
«O entrando col dito. Come peraltro molti machoman istruiscono le loro donne a fare
all'approssimarsi dell'orgasmo, per intensificare il proprio piacere.»
«Mai sentita, 'sta storia. Tu dove l'hai scoperto?»
«Su un libriccino di educazione sessuale, peraltro scritto da un etero, e per etero.»
«E perché di queste cose non ne parla nessuno?»
«Perché se lo insegnassero a scuola, che non solo non fa male ma addirittura si gode di
più, parecchi non ci penserebbero su due volte.»
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«Beh, però c'è del vero che le prime volte faccia un po' male..»
«Non necessariamente: dopotutto non c'è mica un imene da lacerare! Soltanto un muscolo
(lo sfintere appunto) che come tutti i muscoli va allenato gradualmente, e soprattutto va
riscaldato prima dell'uso – sennò è normale che uno si pigli uno strappo muscolare, e “lì” fa
particolarmente male perchè è una zona assai irrorata di capillari e ricca di terminazioni
nervose.»
«Certo poi dipende anche dalla lunghezza del cazzo.»
«Mica vero: la lunghezza media del pene in erezione è di 16 centimetri, quella del retto 25
– e in ogni caso pure ai superdotàti le chiappe impediscono di spingersi fino in fondo.
Tuttalpiù potrebbe essere un problema di diametro, visto che diversamente dalla vagina lo
sfintere non è fatto per dilatarsi oltremisura..»
«Più di quanto un verginello saccente come te s'immagina, comunque. Credi a me: ho
visto cose..»
«OK mi fido: stop. Ci sono certe cose che per il momento preferisco non sapere.»
«Una però te la voglio dire: quelli che ce l'hanno piccolo di solito ce l'hanno di maggior
diametro. Per cui, se hai ragione, sarebbe vero il contrario: un cazzo lungo farebbe MENO
male. Che ne diresti di darmi una mano a verificare la tua teoria? Fallo per la scienza!»
«Spiritosone. Io dico solo che se uno non se la sente di farsi penetrare non dovrebbe
farlo..»
«E chi invece lo desidera?»
«Che abbia prima l'accortezza di lubrificarsi e poi fare le cose per gradi. Comunque sono
pronto a scommettere su una cosa.»
«Sarebbe?»
«Questo falso mito che prenderlo debba per forza fare male è destinàto a fare la stessa
ingloriosa fine delle altre dicerie sessuofobiche – tipo quella molto in voga fino a non troppi
anni fa, e oggi per fortuna ridicolizzata come si merita, che farsi le pippe renda ciechi o
faccia crescere i peli sui palmi delle mani.»
«Me lo diceva anche il mio parroco, quello di cui forse ti ho già scritto..»
«A dire il vero no. Racconta!»
«Bel ragazzo, sui trent'anni. Mi fa entrare nel confessionale. Chiesa deserta. Arrossendo
come un pomodoro gli confesso il peccato della masturbazione (sai com'è: avevo tredici
anni ed ero timorato di Dio), e lui mi chiede di fargli vedere come facevo.»
«Ma dai!»
«E io, cretino, che glielo mimo con la mano – ma lui dice che ha proprio bisogno di vedere
come facevo DAVVERO. Rispondo che non so se mi riusciva, lì per lì, ma se non lo faccio
non mi da l'assoluzione e così mi abbasso i pantaloni e gli slip e.. Oddio che vergogna nel
raccontarlo!»
«Semmai l'unico a doversi vergognare avrebbe dovuto essere lui, per quell'abuso di
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potere.»
«Beh, sì, insomma: sai, l'età.. mi si rizza immeditamente. Lui rimane a guardarlo mentre
me lo tocco, poi a un certo punto mi fa “basta, ho capito” e mi da l'assoluzione. All'epoca
pensavo che forse c'era un modo canonico di farlo e un altro che invece era proibito, per cui
rimasi assai contento di aver avuto l'assoluzione.»
Il candore di quella ingenuità infantile mi strappò un accenno di sorriso.
«Un mese dopo lo trasferirono. Non mi ha messo le mani addosso nel vero senso della
parola, ma alla luce di quanto adesso so e che allora neppure sospettavo esistesse.. mi
sembra che come prete non fosse poi tanto ortodosso, anzi. Però non mi ha lasciato nessun
tipo di trauma: ho realizzato la cosa solo molto dopo. E ci ho riso, pensando che comunque
l'homo è homo anche se prete.»
Ci sganasciammo entrambi dalle pazze risate. Un ottimo segno: quando riesci a far
ritornare il buonumore a un aspirante suicida, significa che ce l'hai davvero fatta.
«Bom. Adesso posso anche tornarmene a casa.», annunciai a sorpresa tutto pimpante.
«Perché, scusa?!», guarendo istantaneamente dall'attacco di ridarella incontenibile che
l'aveva preso.
«Il mio compito qui è finito. Tu non volevi realmente ammazzarti: avevi paura di essere
sbagliato. Ma visto che adesso riesci a riderci su, direi proprio che hai superato
brillantemente la crisi. È così o non è così?»
Si fermò cogitabondo per qualche istante, emergendo alla fine dai suoi pensieri esterrefatto
di quel procedimento interiore maturato a sua insaputa:
«Ma tu come fai a cambiare-dentro la gente a questa maniera?»
«Io?? Guarda che io non ho fatto proprio un bel niente: è tutto merito tuo. Sembri quasi
deluso.»
«No, è che.. sono frastornato. Fino a un attimo fa credevo che stasera mi sarei sparato! E
ti assicuro che ne ero proprio convinto, sai?»
«Altrimenti non sarei venuto fin qui.»
«E adesso, di punto in bianco, ecco che non so più che cosa voglio fare.»
«A-ha: una cosa la sai.»
«E cosa?»
«Sai che cosa non vuoi fare più: suicidarti.»
Ci era rimasto di sasso: dimostrazione inequivocabile che avevo colto nel segno.
«Non preoccuparti: ti passerà anche questo. È un po' come se tu rinascessi in questo
preciso momento, dopotutto, non trovi? Ti eri già dato per morto, ed ora sei ancòra qui con
una vita davanti: è normale che tu ti senta frastornato!»
«Non so che cosa dire.»
«Prova con un “ciao”: di solito funziona bene.», sorrisi. «Adesso hai bisogno di restartene
un po' per conto tuo: per ricostruirti un piano di vita, o anche solo per abituarti all'idea di
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essere ancòra qui nonostante tutto. Io ti sarei soltanto d'ingombro – eppoi ci ho il mio bel
daffare anch'io, chetticredi?»
«Ma mi lasci così? Senza neanche dirmi quando ci rivedremo?»
«Per il tuo bene, mi auguro mai. Se lo desideri scrivimi, ma permettimi la sfacciataggine
di dirti una cosa: non commettere l'errore di scambiare la gratitudine per la mia faccia
amica con un amore che tale non è.»
Questa proprio non se l'aspettava.
«Allora tu sapevi, che..»
«Saperlo, lo so solamente adesso che me l'hai confermato. Diciamo che prima si trattava
di un forte sospetto. Però in ogni caso adesso, anche a costo di sembrarti cinico e
insensibile, ti dico: vai per la tua strada – che per tua fortuna non è la mia.»
«Alessandro, eh?»
«E parecchi altri problemi assortiti: ognuno ha un suo fardello, proporzionato alla sua
forza d'animo. Almeno: io spero tanto che sia così, perchè personalmente incomincio ad
averne abbastanza anch'io, sai?»
«Cioè anche tu hai pensato di..?!»
«L'idea del suicidio prima o poi sfiora tutti: bisogna solo imparare come fare a non
cederle, tutto qui.»
«Come se fosse facile!», protestò lui.
«Non lo è, infatti. Ma se avessi tutte le risposte di questo mondo, a quest'ora l'avrei già
abbandonato da un pezzo, lasciandomelo alle spalle come un pessimo incubo durato una
notte intera – una lunga, lunghissima notte.»
Esitammo entrambi, poi mi congedai dandogli un'amichevole pacca sulla spalla:
«Coraggio! Tiriamo avanti – o, come si usa dire da queste parti, tiremm innanz! Tanto,
arrivàti a questo punto cos'altro abbiamo da perdere? Mi farà piacere ricevere tue notizie
per lettera, se vorrai, ma stai tranquillo che capirò se preferirai dimenticarti di me.»
L'ultimo silenzio è sempre quello più penoso, così m'incaricai io di infrangerlo:
«Non resta che una parolina quantomai appropriata, da dirci. La dici tu o la dico io?»
«Addio?»
«Addio, Paolo. E buona sopravvivenza in questo mondo di pazzi forsennàti.»
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F
aceva proprio un freddo dell'accidente. Spirava un vento gelido, che mi s'insinuava
di sotto il cappotto come un'edera di ghiaccio e poi s'impergolava su per la pelle
attraverso i vestiti. Oppure prendeva bene la mira e serpeggiando giungeva da dove
meno me l'aspettavo a schiaffeggiarmi le gote con inaudita insolenza. Qui aveva nevicato
per tutto il pomeriggio, e io non sapevo neanche quando sarebbe arrivata – se, sarebbe
arrivata. Gino aveva detto di aspettarla davanti al cancello di casa sua a partire dalle 21, e
così avevo fatto: o stavolta aveva sbagliato i calcoli, oppure si era verificato qualche
imprevisto.
«Diario del capitano. Data astrale: ore 22.40 del 1° Novembre 1993 dopo Cristo, secondo
l'antico calendario gregoriano riformato.C050 Missione di pattugliamento ed intercettazione in
corso. Risultati: nessuno, per ora. Temperatura in rapida diminuzione, presumibilmente già
aldisotto dello zero – il che se non altro rende altamente improbabile una seconda nevicata.»
E cosa avrei potuto dirle, poi? “Ehilà! Ti sto aspettando qua fuori da tre ore: ti son
piaciute le poesie?”
Suonava da fuori di cotenna, o peggio da innamoràto – e ci mancava solo che finisse col
fraintendere le mie intenzioni.
Vaglielo a spiegare, che tutta quell'ansia che mi opprimeva il petto e mi sferzava a
camminare avanti e indietro come un'automobilina impazzita; tutta quella sofferenza e
struggimento, che mi si agitavano dentro al cuore come le gigantesche onde di uno
tsunami.. non erano i miei, bensì quelli di Angelo.
Ma facciamo un passo indietro.
Nel dopocena ero stato preso da uno strano rimestamento interiore:
una convulsione emotiva acuta come uno spillo, ed altrettanto
dolorosa. In un primo momento l'avevo imputata all'incontro con
Paolo, eppure se si fosse trattato solamente di uno strascico era logico
presumere che col tempo si sarebbe attenuato – anziché montare a
quel modo, vanificando ogni mio sforzo di contenerla o quantomeno
arginarla.
Inaspettatamente squillò il telefono:
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«Ciao. Sono Valeria.»
Valeria??
«Sono qui con una persona. Sai, il nostro comune conoscente..»,
sussurandone poi il nome in gran segreto: «Gino.»
Gino? Con Valeria?!
«Dove vi trovate?»
«In una cabina telefonica. Poco distanti da casa tua.»
«Passami Gino.», le intimai, risoluto a non perder altro tempo.
«È rimasto in macchina: non può parlare. L'unica cosa che mi ha
detto è stata: “Portami da Alessio.”»
«Non gli hai chiesto perchè?»
«E! Certo!»: una balla stratosferica, pur di non passare per l'oca che
è. «Ma con me si rifiuta di parlare.»
Mi scappò di bocca un «Chissà perchè la cosa non mi stupisce.»
sottovoce, al pensiero di quanto sia incredibile che in certe persone la
fase di ossificazione del cranio non si concluda mai – o quantomeno
non prima di aver trasformato la testa intera in un unico blocco
compatto di osso.
«Hai detto qualcosa?»
«Dev'esser stata un'interferenza. Tu, piuttosto: cosa aspetti?
Conducilo immediatamente qui!»
Quando arrivarono, io stavo oramai piangendo. Non sapevo che cosa
fosse, a scuotermi così. O meglio: un'idea me l'ero fatta, ma mi
tornava una tale assurdità..!
«Ciao, ma..? Cos'è che hai? Stai male?»
«Niente, niente..», mentendo per rassicurarla.
«Perchè piangi?»
«Si vede che ci ho “le mie cose”.», scherzai, con un sorriso amaro
sulle labbra. Ridere delle disgrazie altrui è brutto, ma delle proprie
talvolta è un'àncora di salvezza per non abbandonarsi alla
disperazione.
«Empatia.»
«Gino! Ma.. allora.. Tu parli!»
«Anche tu, Valeria, se è per questo. Ma la cosa non ti ha mai stupito.
Stranamente.»
«Perchè sei qui?», tagliai corto.
«La risposta vive in te: il dolore che provi non ti appartiene, e le
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lacrime che versi piangono un amore non tuo.»
«Sono anni, che non mi riusciva più di piangere a questo modo. Si
può sapere che cosa
cosa mi sta accadendo?»
Per non sentirmi pazzo avevo bisogno di sentirmelo dire:
«Tu stai piangendo col cuore di Angelo.»
Valeria trasalì, e mi carezzò con lo sguardo come se lo spirito del suo
amato Angelo, ceduto temporaneamente il corpo a Gino, si fosse
provvisoriamente trasferito in me. Toccò le mie lacrime come se
fossero state la miracolosa reliquia di una statua piangente, ma non mi
disturbò affatto lasciarla fare.
«È vero.», ammisi con un filo di voce. «Dunque questo è, Angelo,
aldilà della maschera.»
Gino fece cenno di sì col capo:
«Non c'è più tempo: la tua missione si deve concludere entro oggi.»
«Di quale missione state parlando?», reagì Valeria col principio d'ira
di chi ha già mangiato la foglia.
«Mi avevi vincolato al segreto.», rammentai a Gino.
«Ci ho pensato, e sono giunto alla conclusione che è giusto che lei
sappia.»
«Non è mai stata mia intenzione intromettermi.», spiegai a Valeria.
«Ma del resto non potevo lasciare che la storia di Angelo e Cleo
finisse senza che fosse chiaro nè a l'uno nè all'altra quantomeno il
perchè.»
«Che cosa vi siete detti?»
Interrogai Gino con lo sguardo, ed egli mi autorizzò a rivelarle ogni
cosa – e così feci, senza risparmiare neppure i minimi dettagli. La
risposta di Valeria mi sorprese:
«Ti capisco e non ti condanno: hai agito solo a fin di bene.»
«Ora devi essere tu a decidere, Valeria.», la ammonì greve Gino.
«Alessio la sua scelta l'ha già fatta, ed è disposto a battersi per la
sopravvivenza di Angelo. E tu?»
«Io, io, io..! Avete già fatto tutto quanto voi due, e adesso venite a
dirmi che vi dovrei pure dare una mano? Gino! Dov'era Cleo, quando
Angelo ne aveva più bisogno? C'ero IO, accanto a lui! Alessio,
guàrdati un po' intorno e dopo dimmi: vedi forse Cleo, qui?»
«No.», ammisi, e la cosa mi bruciava doppiamente: fin dal principio
dell'intera vicenda paranormale, l'assenza di Cleo nel nostro gruppo
sfidava il mio senso dell'ordine logico delle cose.
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«Stava andando tutto così bene. Non mi aspettavo di certo che la
dimenticasse nel giro di un paio di settimane con me, però..»
Poverina. Mi faceva davvero pena. Ma non nel senso che la
guardassi dall'alto in basso, nè tantomeno in quello di chi gode a
vedere il nemico finalmente piegato sulle ginocchia da una disgrazia.
Valeria mi aveva portato a scoprire un'altra mia dote (o fardello:
ancòra non saprei dire per certo): la Compassione – quella della
madre che soffre per le disgrazie del figlio, per intenderci.
«Io.. Non volevo ferirti.», cercai di dirle, con appena un fioco filo di
voce.
«Tu non c'entri: sono stata io, la scema, ad illudermi. Però.. Non è
giusto che..»
Abbandonò la frase in sospeso, senza riuscire a trovare le parole per
esprimere la masnada di pensieri e ricordi agrodolci che tuonavano in
lei.
Poi, come improvvisamente riaggrappandosi al lume della ragione,
conquistò l'equilibrio altezzoso per quanto temporaneo di una dama di
corte intenzionata se non altro a fare un'uscita di classe, e rispose
epigrafica:
«Fate quello che dovete fare. Dal momento che tanto lo fareste
comunque.»
«Questo è falso: altrimenti non ti avremmo detto nulla.», puntualizzò
Gino. «Con oggi hai la facoltà di scelta: se tu lo vorrai, Alessio
smetterà di intercedere presso Cleo.»
Cercò nei miei occhi una conferma della mia obbedienza: esitai un
poco, ma alla fine non potei che concordare che per come si erano
messe le cose era giusto così.
«In altre parole, se ho capito bene, non mi resta che scegliere se
voglio che l'uomo che amo muoia o che torni dalla donna che l'ha
abbandonato.»
«Non è detto che Angelo ritorni con Cleo.», le fece osservare Gino.
«Ma è assai probabile che, se non troverà il modo di acquisire nuove
forze, finirò col soccombere agli attacch..»
«E questa me la chiami una scelta??», protestò lei vigorosamente.
«Non una scelta facile.»
Ebbi un profondo moto di ribellione contro Gino, così glaciale ed
inumano, al punto che con mia massima sorpresa mi schierai nel
pensiero a favore di Valeria.
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«Angelo lo puoi riportare a casa tu, Alessio?», mi domandò lei
sfinita.
«Non ti preoccupare.»
«Allora io vado. Fate in modo che Angelo viva: vi chiedo solamente
questo.»
“Una grande e commuovente prova d'Amore.”: un pensiero che mi riscaldò il cuore e poi
si diffuse a donare nuovo vigore a tutto il corpo – intirizzito da quel gelo sorprendente, per
essere appena agli inizi di Novembre. “La domanda è: saprà Cleo dimostrasi degna di tanti
sforzi prodigàti in suo onore?”
Strofinai le mani, rimproverandomi di non aver portato con me i guanti. Guardai
l'orologio: pochi secondi alle undici. E se fosse già rincasata? O se non fosse uscita affatto?
«Mi sa che è il caso di citofonarle.», e cominciai a cercare il suo cognome su quel
pannello retroilluminato che mannaggia a lui ogni volta mi appariva diversamente.
«Manco ci fosse uno gnomo che mischia le targhette, tipo il gira-piastrelle di
“Labirynth”..»
Un improvviso colpo di stanchezza mi fece smascellare come un gatto assonnato, ma il
mio sbadiglio venne cesoiato in due da uno SCRAAK: un'automobile bianca
che neppure avevo udito passare si era impastata contro il muretto di cinta della casa
dirimpettaia. A giudicare dal rumore era partita la fanaleria posteriore destra, per via di una
retromarcia.. poco accorta, diciamo.
Per non dare nell'occhio con quanti si sarebbero senz'altro affacciàti per impicciarsi, andai
a rintanarmi davanti all'ingresso fingendo di star parlando al citofono con un inquilino del
palazzo.
Qualcuno scese dalla macchina, constatò che il danno era minimo, e ripartì.
«Diario del capitano: supplemento. Sono le 23 e..», controllai, «..e 17, manco a dirlo, e
tutto va bene. Ho preservato l'incognito contro vicini di casa potenzialmente allarmatili (si
dirà, poi?) per via di quest' “ombra” sospetta che fa la ronda davanti a casa loro.
Passeggiando su e giù per il marciapiede forse riesco pure a non assiderarmi del tutto,
nell'attesa che il lieto evento si compia e arrivi Cle.. Una macchina!»
“Con balzo felino ed agile mossa” mi acquattai dietro al campanone di plastica giallo:
dopotutto non è detto che stesse rincasando da sola, e mi sarebbe dispiaciuto metterla in
imbarazzo con il suo accompagnatore – cui avrebbe dovuto spiegare la mia presenza lì a
quell'ora insolita.
Falso allarme: non era Cleo. Quell'automobile col fanalino maciullato era
inequivocabilmente la stessa di prima. Un fatto alquanto sconcertante, e per due ragioni. La
prima: neanche con una Ferrari Testarossa sarebbe stato possibile fare il giro dell'isolato in
un così breve tempo. Ma soprattutto: come aveva fatto, dove cavolo si era andata a
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cacciare, per coprirsi di neve a quella maniera?
Le sorprese non erano finite..
Il rumore della portiera anteriore destra che si apre: un CROC bello secco, che
tanto per rinfocolare le mie paranoie ricordava quello della DeLorean del film “Ritorno al
futuro”, congelata dopo il primo esperimento di viaggio nel tempo.
Ne esce una figura, a stento riconoscibile come femminile da quant'era imbacuccata fra
cappottosciarpacappello, che mi fa cenno sbracciandosi concitatamente – manco avesse
dovuto dare indicazioni a un elicottero in fase critica di atterraggio.
«Alessio! Salta su!»: era Valeria, oppure un'allucinazione che le somigliava in maniera
impressionante.
Mi avvicinai incredulo e titubante: il parabrezza era ricoperto di neve ghiacciata, e tutti i
finestrini erano completamente appannàti dal vapore. Come si facesse a guidare in simili
condizioni, è un mistero che ancòra mi resta da chiarire.
«Valeria?! Sei veramente tu?»
«Dove accidenti eri finito?», mi incalzò lei per tutta risposta.
«Come sarebbe a dire? Io non mi sono mai allontanato! Tu, semmai: che ci fai qui!?»
Un mano diede una spazzolata a mo' di tergicristallo dall'interno del finestrino sul latoguidatore, e poi bussò sul vetro – un solo colpo secco: TOC!
«Angelo?!»
Ci mancava soltanto questa: la pollastra doveva aver fatto una scenata ad Angelo,
rivelandogli il segreto così a fatica custodito da me e Gino – come se non le avessimo
raccomandato a sufficienza che Angelo di tutta quell'intera faccenda non sarebbe mai
dovuto venire a sapere nulla.
Abbassò fino in fondo il finestrino a colpi di manovella e poi..
«No: Gino. Non c'è tempo da perdere: sali.»
Non ci stavo capendo più un accidenti di niente, così mi feci bastare la prospettiva di un
abitacolo certamente più caldo e accogliente di quel bordostrada così spoglio e inospitale.
Senza contare il fatto che avevo un sacco di domande per entrambi.
Valeria spostò il sedile in avanti e mi fece posto dietro. Gino mise in moto e ripartì a razzo.
Col finestrino aperto, ma il tempo di starnutire e chissàcome era tornato istantaneamente
su.
«Ci tengo, alla tua salute!», ironizzò Gino, strizzando l'occhiolino attraverso lo specchietto
retrovisore che aveva puntato su di me.
«Vi dispiace mettermi al corrente di quello che sta succ..?»
«Dopo.», e una frenata brusca, e una svolta pericolosa a sinistra, e il rombo del motore
che suonava irreale come quello di un vecchio videogioco di simulazione di guida.
«Dove stiamo andando?», domandai a Valeria, che però fece spallucce perchè ne sapeva
quanto me.
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«Al sicuro.», rispose Gino.
Alla faccia della sicurezza: 85 kilometri l'ora su e giù per viuzze di paese scarsamente
illuminate (per non dire completamente buie), e come se non bastasse..
«Il vetro è completamente incrostato di ghiaccio: come caspita fai, a vedere la strada?»
«Infatti non “vedo”.», rispose lui con tutta calma facendoci fare una specie di testacoda.
Poi la macchina si fermò.
«Dove siamo?», domandò Valeria.
«In un posto tranquillo, almeno per il momento.», posandole una mano in grembo.
Io ne approfittai per farmi chiarire almeno un poco la situazione:
«Cos'è questa storia che non mi avevate notato?»
«Siamo passàti e tu non c'eri. E ci siamo pure preoccupàti.»
«Mi ero nascosto, Valeria: poteva essere chiunque. Come potevo immaginarmelo, che
eravate voi?»
«No: è che tu proprio non ti trovavi fisicamente in quel luogo.», rettificò Gino.
«Ma se vi ho pure visti passare! Difficile non notarvi, specie quando avete rotto il fanalino
contro il muretto della casa di fronte..»
«Ci hai visti?!», sbalordì Valeria.
«Interessante.», osservò Gino.
«Dopo lei o tu siete scesi a constatare il danno..»
«Ero io.», annuì Valeria. «Poi mi ha detto che voleva guidare lui e così ci siamo scambiàti
di posto.»
«..e infine siete ripartiti. Una cosa non capisco, però: come avete fatto a ritornare così
rapidamente?»
«Rapidamente? Starai scherzando: siamo rimasti bloccàti in una specie di tormenta di
neve nel paese lì vicino.»
«E che c'eravate andati a fare?»
«Pensavamo che tu ti fossi perso, e Gino sentiva che tu eri da quelle parti.»
Era da un po' che Gino non distoglieva lo sguardo dal grembo di Valeria: quello che
dapprincipio avevo scambiato per un gesto affettuoso e rassicurante, era in realtà un modo
per farle scudo.
«Dobbiamo andarcene di qui, e in fretta: ti stanno massacrando l'addome!», ma la
macchina pareva ingolfata.
«L'addome?»: Valeria si osservava senza notare nulla di strano.
«Non parte più?», domandai a Gino accigliandomi un poco. Per giunta mi pareva pure di
sentire delle specie di scossoni sulle fiancate della macchina, come se qualcuno la volesse
rovesciare – ma forse era solo l'effetto di un forte vento.
«Partirà.», dichiarò Gino. Poi spalancò subitaneamente gli occhi in un modo strano, girò
la chiave d'avviamento.. e così fu.
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“Fortuna che il motore si era solamente raffreddato”, pensai, “e non congelato come
invece temevo.”
«Ti sbagli, ma adesso non importa. Tenetevi forte!»
E via!, nuovamente a rotta di collo, per sfuggire le orde di nemici invisibili che ci
sciamavano contro come vespe inferocite.
«Si può sapere dove sarei stato, io, mentre voi due eravate andati a cercarmi? E che senso
ha, una bufera di neve a poche centinaia di metri da qui, che il cielo era sereno e..»
«Se tu fossi stato lì dove credevi di essere, io ti avrei sicuramente percepito.», rispose Gino
senza distrarsi dalla sua guida “acrobatica”. «Ogni tanto mi perveniva un tuo fioco segnale
dal paese lì vicino, ma non riuscivo a rintracciarti: come se tu ti stessi spostando
continuamente. Apparivi e sparivi dalla faccia della Terra.»
Tanto per complicarci ulteriormente le cose, s'era persino messo a grandinare: chicchi
grossi come prugne selvatiche sferzavano il parabrezza dell'auto e rimbalzavano via radenti
ai finestrini. Cercavo di indovinare qualcosa nella notte aldilà del vapore che appannava i
vetri freddi, perplesso oltre ogni umano dire: era come se fossimo finiti in una puntata di
Star Trek, dove un guasto al teletrasporto aveva generato..
«Un tizio con le orecchie a punta!», indicando un losco figuro appostato nell'oscurità.
«Dove?», mi domandò Valeria, pulendo a sua volta il proprio finestrino.
«Interessante.», si ripetè Gino, sterzando con un colpo di mano per imboccare un vialetto
talmente stretto da sembrare quasi una mulattiera.
«L'hai notato anche tu?», gli domandai.
«Descrivilo.»
«Sembrava un passante qualsiasi, che scendeva giù per la strada stando aderente al muro
per scansarti. Ma quando l'hai abbagliato, lui ha voltato la faccia e.. No, dico: era lui ad
avere le orecchie a punta, o sono io ad avere le traveggole?»
«Non ti sei sbagliato.»
«Ma se qua fuori non c'è nessuno!», protestò Valeria.
Guardai nuovamente, ed in effetti quelle viuzze non presentavano alcun segno di vita. Già,
ma.. dov'eravamo finiti? Avevamo attraversato un dedalo di stradine anguste come calli
medievali e dalla muratura altrettanto spoglia – fatta di un intonaco antico, sgretolato da
rampicanti ed erbacce abbarbicate sui sassi.. Quando, improvvisamente, sbucammo sotto
la presenza rassicurante di un lampione: più luminoso di un faro, per i nostri occhi abituàti
alla cupa oscurità di quella notte che sembrava uscita fuori da un sogno impossibile. Aveva
persino smesso di grandinare.
«Da non crederci!», allibii.
Poi se ne avvide pure Valeria:
«Siamo.. a scuola?!»
«Sulla verticale del parcheggio degli autobus, per l'esattezza.», precisò Gino. «A 223
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virgola 4 metri dal livello del suolo, e se chiudete gli occhi per un attimo ve ne accorgerete.»
Tentare non costava nulla, e così facemmo. Valeria non aveva mai viaggiato prima in
aereo, ma io potei percepire distintamente quella sensazione insieme solida e precaria che si
ha durante un volo: una specie di rollìo indistinto eppur palpabile, che si accompagna alla
netta consapevolezza di ritrovarsi appesi al niente.
«Mica male, eh? Qua non ci possono più raggiungere.», gongolò Gino.
Riuscendo solo a spazientirmi:
«Si può sapere che cos'è, questa? Un'allucinazione, un sogno, un delirio.. cosa?»
«Nulla di cui allarmarti, innanzitutto.»
«Hai ragione, scusa. È che per me è la prima volta che..»
«Lo è solamente per Valeria: tu poco fa hai già vissuto un'esperienza simile.»
«Quando non ci siamo incrociàti?»
«Esattamente. Presumo siano stati loro, sebbene ancòra mi sfugge il perchè.»
Strano, che si limitasse a presumerlo anziché saperlo. Stavo giusto per farmi chiarire la
questione quando quella domanda così cruciale mi venne spazzata via dalla memoria da
un'esplosione emotiva di Valeria:
«“Stati loro”.. chi? E a fare cosa?»
«Gli schìfidi.», spiegai. «A farmi credere di trovarmi davanti a casa di Cleo, quando
invece.. Giust'appunto, Gino: quando invece?»
«Non eri rintracciabile sul pianeta e pertanto ho esteso il raggio di ricerca a tutto il sistema
solare, ma tu non c'eri – fai un po' tu i tuoi conti..»
«No, aspe: stai dicendo sul serio che Alessio è uscito dall'Universo?!»
«Assai probabile, Valeria: era stato traslato quantomeno aldilà del sistema solare. O più
probabilmente in una dimensione parallela creata appositamente per lui, e alimentata nel
luogo dell'innesto con la vostra..»
«..e cioè il punto del paesello dove comparivo e sparivo.», dedussi.
«Esattamente.»
Mi ronzava la testa, e non era solo l'effetto dell'altitudine.
«Non ci posso credere.», stabilì Valeria, inamovibile come un ciuco che ha deciso di non
alzare più il culo da terra. «E poi, a chi vuoi darla a bere? Siamo davanti alla scuola, altro
che! Mica ci stiamo volando sopra: non lo vedi da te, Alessio, che siamo a terra?»
«Così parrebbe. Tuttavia ciò che vedo non concorda con quanto mi proviene dal senso
dell'equilibrio.. È una sensazione paradossale, Valeria, ma non saprei spiegartela.»
«Invece sì.», mi corresse Gino. E la risposta affiorò alla mia mente:
«Hai mai provato la realtà virtuale?», le domandai.
«No. Però Angelo me ne ha parlato: a lui non è che abbia fatto 'sto grande effetto.»
«Ti ha anche detto che, quando s'è tolto il visore e ha commentato semplicemente: “Tutto
qua?”, l'avrei preso a sberle? Ad ogni modo, per tornare al discorso di prima: occhi e
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orecchio interno, la sede del senso dell'equilibrio, sono abituàti a lavorare sinergicamente
per interpretare la realtà che ci circonda..»
«Parli troppo difficile. Fammi un esempio, piuttosto. Uno facile, neh?»
«Quando ti tuffi dal trampolino, il senso dell'equilibrio ti dà la sensazione di star cadendo e
gli occhi ti mostrano concordemente immagini sempre più vicine della superficie della
piscina – non so se mi spiego.»
«Abbastanza.», ma dava l'idea di non esserne granchè convinta.
«Con la realtà virtuale, invece, può capitare che i segnali che il cervello riceve siano
contrastanti: ad esempio, quando il computer ti fa vedere che stai volando ma il tuo
orecchio interno sente che non ti sei affatto spostato dal suolo. Ci sei?»
«E!»
«Questa idiosincrasia genera..»
«Questa che?»
«Questo conflitto, questa discordanza di stimoli sensoriali, genera una specie di vertigine
– dovuta al fatto che il cervello non sa più se credere a ciò che è visto dagli occhi o a ciò che
gli viene riferito dal senso dell'equilibrio.»
«Quindi adesso ti starebbe succedendo una cosa simile?»
«Proprio così.»
«A te, magari. Ma è solo autosuggestione. Adesso ti faccio vedere io: apro la portiera e
scendo, altro che volare a duecentometri!»
«Fossi in te, non lo farei.»
«Non temere.»: sentivo la voce di Gino, ma giurerei sul fatto che non stava affatto
muovendo le labbra. «Credi forse che correrei il rischio di farla sfracellare?»
Valeria armeggiò con la portiera, sollevando e abbassando il pirolino della chiusura di
sicurezza: niente. Poi si aggrappò alla manovella del finestrino: bloccata pure quella.
Sbuffò e risbuffò peggio del lupo dei tre porcellini, ma alla fine dovette arrendersi:
«Si può sapere perchè hai sabotato la portiera della mia macchina?», sbattendo la schiena
contro il sedile.
«Perché dici ciò?», la sfottè Gino. «Forse che non si apre?»
«Spiritoso! Ti dispiacerebbe farmi scendere?»
«“Scendere” no, “precipitare” sì. Se però non avete altre domande da farmi..»
«Io ne ho un sacco.», puntualizzai. «Ad esempio: sono salito qui in macchina alle 23.17,
per cui com'è possibile che adesso sia già quasi l'una di notte?»
«Hai voglia di scherzare!», sbottò Valeria voltandosi di scatto verso di me. «Erano le
undici e un quarto quando siamo passati per la prima volta – lo so con esattezza perchè
avevo letto l'orologio prima di scendere a controllare il fanalino..»
«E infatti siete ripassàti di lì a poco: anch'io ho controllato l'orologio, ed erano..»
«Perlomeno mezzanotte.», borbottò Valeria incredula.
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«Mezzanotte e 17 minuti.», osservò Gino con sufficienza. «Il che significa che hai
sperimentato un lapsus temporale di esattamente un'ora.»
«E io dove sono stato, per tutto questo tempo?»
«Altrove. Credimi, Alessio: non ti sto nascondendo nulla. E quel poco che so te l'ho già
rivelato.»
«Roba da matti!», concluse Valeria. «Quando lo racconteremo al Dedo, chissà che
faccia..»
Gino riavviò la macchina:
«Cessato pericolo.»
Eravamo ripartìti senza un'oncia di attrito: nessun contraccolpo, proprio come se fossimo
già stati lanciàti in corsa. Ma la cosa più strana era ben altra: dopo tanti vicoli in salita, mi
sarei aspettato perlomeno un tratto di strada in discesa – invece stando ai miei occhi
stavamo percorrendo una strada perfettamente piana.
«Ma.. Ma..!? Questa è la provinciale!», esclamai al colmo dello stupore. «Come ci siamo
arrivàti?»
«Forse ti sei distratto, Alessio.», mi compatì Valeria acidella.
«O forse ti sei distratta tu: chi può dirlo?», le sorrise sornione Gino.
Fatto sta che, per quel che ne sapevo e ne so io, prima di imboccare la provinciale
bisognava attraversare il centro. Per tacere del fatto che..
«Non sembra in pendenza anche a te?», chiesi a Valeria per un riscontro.
«E!», constatò lei spazientita. «Lo vedi da te, che questa è una discesa, no?»
«In questo tratto, sì. Però.. e prima? Prima era in piano, eppure mi sembrava di star
scendendo.»
«Se lo dici tu..», replicò Valeria con fare annoiato.
«Eppoi non ti pare troppo inclinata, rispetto alla pendenza visibile?», insistetti.
«Io ci rinuncio.», concluse. «L'importante è che vi capite tra voi.»
Gino sghignazzò, ma avrei detto per un altro motivo.
«Piuttosto: come mai la nostra scuola?», gli domandai.
«Una buona domanda. Cosa rappresenta per voi, quel posto?»
«E! La scuola.»
«Elementare, Valeria.», replicò lui. «E poi? Cos'altro?»
«Per me, è un simbolo di libertà, di speranza, un grande cambiamento per il meglio..»,
risposi. «Ed è il luogo dove ho conosciuto Alessandro. E Angelo.»
Un sobbalzo come una buca o una frenata improvvisa, oppure.. un atterraggio.
«Ehi! Sta' un po' più attento!», strillò Valeria.
«Ora se vuoi puoi abbassare il tuo finestrino.», le disse Gino sorridendole sardonico a 32
denti.
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«Ma sei scemo? Col freddo che fa? »
Tanto per cambiare, Valeria non aveva capito un accidenti di niente.
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Il bimbo non rispondeva: lo fissava tenendogli il broncio con l'aria
incattivita.
«Dimmi qualcosa, te ne prego!», lo scongiurò e ri-scongiurò. Fino a
che:
«Rivoglio i miei sassolini.», gli rispose.
«Ma io non posso ridarteli!»
«E allora va' via: non sei più mio amico.», e gli voltò le spalle.
«Perchè?»
Il bimbo si voltò nuovamente verso di lui: lo scrutò ma non disse
niente.
Poi, andandosene, gli rispose di spalle:
«Non lo sei mai stato: chi mi stava simpatico non eri tu, ma il mio
riflesso.»
Lui, però, lui aveva ancòra una curiosità insoddisfatta: una domanda
cui non osava dare fiato, ma che gli rodeva dentro. Alfine decise di
giocare il tutto per tutto..
P
ermesso.. Disturbo?»
«Angelo! Che sorpresa!»: l'imbarazzo, genuino, è quello che provo sempre per le
visite inaspettate. Specie quando mi si sgama intento a lèggere, tutto spappardellato
come un tricheco sopra il letto. Specie la mattina nell'immediato dopo-colazione, chè sono
ancòra mezzo addormentato.
«Posso?»
«Avanti, avanti!», e gli feci cenno di entrare. «Accòmodati!»
«Veramente preferirei approfittare del tuo letto..»
Così mi alzai cedendogli il posto, e mi lasciai cadere di peso sulla fedele poltroncina rossa
lì accanto.
«Cosa stavi leggendo, se posso chiedere?»
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«“Pietruzze”.»
«Il tuo racconto per Alessandro?»
«Il racconto su Alessandro: proprio quello. Sto preparando una raccolta dei miei racconti
brevi. O meglio: stavo, prima che mi piombasse fra capo e collo tutta 'sta faccenda di Gino
e compagnia bella. (Ahem, volevo dire: brutta.)»
«A chi lo dici..»
«Non che l'abbia fatto apposta, ma va da pagina 13 a pagina 17.»
«Che cosa?»
«“Pietruzze”, che altro?»
«Oooh, ancòra con 'sta storia dei segni!»
«Ho capito: come non detto. Si vede che sarà solo una coincidenza.»
«No, non lo è. Proprio per questo, mi àltero.»
«Pure il 13 ha un significato?»
«Cioè non l'hai ancòra scoperto?»
«Veramente.. No.»
«Allora ho fatto una mezza gaffe: ritiro tutto.»
«Be', non vedo dove stia il problema: dimmelo tu e buonanotte»
«Magari fosse così facile! Ma non posso farlo.»
«Come mai?»
«Mica per me, o per una qualsivoglia “Legge Assoluta”, ma perchè ti rovinerei. Con certe
cose non c'è niente da fare: bisogna arrivarci da sé con le sole proprie forze.»
Io invece non me la sento di lasciare a bocca asciutta il mio buon lettore che mi ha seguito
fedelmente fino a qui – dunque, seppure solo per sommi capi visto che troverai ulteriori
dettagli nel capitolo 89, ti svelo l'arcano: 13 è il numero di Alessandro, così come il 17 è
quello di Angelo e il 15 il mio. (E non solo perchè i nostri nomi hanno quell'esatto numero di
lettere. Qualche indizio: 15 è il prodotto di 3, che significa perfezione, e 5, che significa
spirito.. 22, il numero di Cleo, è lo spirito aggiunto ad Angelo.. quanto al 17, è un caso più
che noto seppure in pochi sappiano che..)
Dopo una breve ma significativa pausa per far lievitare a dismisura il pathos..
«Che palleeeeeee!», e così lamentandosi Angelo si rituffò sul letto.
Io invece rimasi muto.
«Che c'è? Sei pensùndio?», mi domandò.
«Sarebbe?»
«“Intento nel pensare.”»
«Bella parola.», osservai. «Ebbene sì: lo sono. Sono.. pensùndio.», baloccandomi un poco
col nuovo vocabolo acquisito di fresco.
«E a che cosa stai pensando?»
«Al fatto che se mi fai gli stessi discorsi di Gino, un fondo di verità ci dovrà pur essere.»
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«Naturale. Anche se non mi garba affatto venir paragonato a quell'essere.»
«Rimanendo in tema di interpretazioni: a te dice niente il numero di targa..»
Il foglietto era sparito.
«O, eppure era qui sulla scrivania fino a mezzo secondo fa! Dove sarà andato a finire?»
«Sarà mica questo?», domandò lui, raccattandolo dal pavimento.
«Proprio.»
Lesse ed impallidì.
«Qualcosa che non va, Angelo?»
«Se non ti conoscessi bene direi di sì: mi verrebbe quasi da pensare che..»
«Che?»
«No: niente, niente, lascia stare. E tu? Come l'hai interpretato?»
«“Alessandro è il sostegno di Valeria, Angelo e Alessio”.»
Angelo deglutì. Poi ci riprovò, a far finta che nulla fosse, ma ri-fallì.
«No, intendevo dire: con che metodo, l'hai interpretato.»
«Te lo mostro immediatamente.»
Mi spinsi con la sedia fino al bordo della scrivania, presi la calcolatrice, e..
«Guarda: nel 1958», e digitai il numero, «1 ragazza un po' ninfomane», digitaindo 1, «si è
“ripassata” ben 5 ragazzi.. Mi segui?»
«Tu sei pazzo.»
«Non è da escludere, ma intanto tieni d'occhio il display.»
Mostrava 195815.
«Ora: siccome questa ragazza era una vera maiala, se li è fatti per ben sette volte
consecutive..», premendo il tasto della moltiplicazione e poi il numero 7.
«Ne hai ancòra per molto?», protestò Angelo incominciando a spazientirsi.
«Per la morale della storiella, premi tu stesso l'uguale.»
«Fatto: fa 1370705. E allora?»
«È la risposta alla domanda che mi hai fatto. Ora te ne faccio una io: alla fine chi ha
goduto?»
«Ma sei scemo??»
«Gira il display.»
«“Solo lei”.»
«Sbaglio, o mi avevi chiesto qual era il mio metodo interpretativo?», gongolai.
Ovviamente non sarebbe stato da Angelo darmi soddisfazione ammettendo che l'avevo
stupito, per cui sorvolò passando immediatamente al punto successivo:
«Rimane da vedere dove l'hai preso, questo numero di targa.», e mi rese il foglietto
tenendolo pinzato tra il pollice e l'indice manco fosse un sorcio morto. «Ma non voglio
costringerti a mentirmi, così se preferisci non rispondermi non insisterò.»
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«Hai colto nel segno, come al solito. Diciamo che c'entra Gino.»
«Non ne avevo il minimo dubbio. Soltanto non capisco di cosa accidenti s'impiccia, lui!»
«Perchè? Tu che interpretazione dai, a quella targa?»
«Certo nulla di buono. Però se fossi in te d'ora in avanti eviterei di passare davanti alla
pizzeria.»
«La scorciatoia che faccio di solito per venire da te?»
«Sì: è più prudente se fai l'altra strada, almeno fino a quando non te lo dirò io.»
«Oppure Gino.»
«Che c'entra? No, aspetta: non è che è stato qui, vero?»
«Non adesso.»
«E quando?»
«Preferirei non doverti rispondere. Non è stato esplicito sul fatto di non dirti nulla, ma
immagino che..»
«..immagino anch'io: si vede che è meglio così. Come adesso è meglio che io vada, o mia
madre non me la perdona. Ci si vede, stasera?»
«Io come sempre sono a disposizione.»
«Magari una pizza? Una cosina informale, comunque.»
«In che senso, infernale? Voglio ben sperare che sia solo un'allusione alla pizza alla
diavola!»
«“In-for-ma-le”.», scandì. «Voglio dire tra amici: io te Alessandro e Valeria, ma senza
tirare in ballo Gino e tutte le altre storie.. Secondo te ce la facciamo, finalmente, a passare
una serata in santa pace?»
«Sarebbe piacevole: anch'io non chiedo di meglio. Sarebbe bello che potesse esserci anche
Alessandro, ma..»
«Ancòra.. storie?», mi interrogò con occhi dolenti.
«Che cosa vuoi dire?»
Lo sguardo gli si mascherò quasi istantaneamente, facendosi più opaco, quasi cinico:
«Che ne so? I suoi soliti impegni del cavolo che non può mai rimandare.»
«Una specie: oggi è il giorno dei morti..»
«Sai che allegria.»
«Figùrati lui, che ogni anno si deve sorbire il bis del funerale di suo padre.»
«Fammi capire: significa che..»
«..che a sua madre non è bastato aver appeso l'intera famiglia ai ritratti del defunto che ha
sparpagliato in giro per la casa/mausoleo: quest'oggi, come ogni anno, al povero Alessandro
toccherà agitarsi il coltello nella piaga partecipando all'ennesima messa di suffragio.»
«Poveraccio. E se provassimo a dire a sua madre che aveva già preso un impegno con
noi?»
«Dai, lo sai com'è fatta: lo scannerebbe!»
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«Già. Eppoi non avrebbe abboccato: Alessandro non oserebbe mai, prendere un impegno
in un giorno così. Noi però mica siamo costretti per forza a soffrire assieme a lui!»
Feci una smorfia, che Angelo aveva già messo in conto, sapendo quanto poco mi andasse
a genio il suo cinico pragmatismo a tutti i costi. Ma dopotutto..
«Dai, babbo, lo sai anche tu che ci ho ragione.»
«Ciò che non condivido sono i tuoi modi spietàti e sbrigativi.»
«Se preferisci, mettila così: tra una settimana, forse meno, forse anche domani stesso, io
potrei esser stato spiaccicato da una montagna che mi è stata tirata in testa da uno schìfido
– senza che neanche mi sia stato mai spiegato il perchè. Quindi non è forse questa
l'occasione buona per festeggiare? Fin che si può!»
Bisognava se non altro riconoscergli di essere coerente: applicava lo stesso pragmatismo
rivoltante (ai limiti del macabro) a sè stesso medesimo.
«Così facendo credi forse di riuscirmi più simpatico?»
«Sai che mi frega a me di riuscirti simpatico: quel che io voglio è mangiare una pizza in
compagnia. Stasera. Che ne dici? Si fa? Si fa?»
Certe volte Angelo è davvero esasperante.
«Sbaglio o squilla il telefono?»
«Non sbagli, babbo. Vai pure, chè io tanto stavo già per andarmene. Ci si vede stasera.»
«Ciao. Sono Cleo. Angelo è lì con te?»
«No, sta' tranquilla: possiamo parlare liberamente.»
«È strano.», insinuò sospettosa. «A me avevano detto che era lì da te.»
«Se n'è appena andato, infatti. Ma a te chi l'ha..»
«A-ha!», esclamò, quasi mi volesse umiliare per avermi colto in fallo.
«Hai telefonato a casa sua?»
«È ovvio.»
«Non è nient'affatto ovvio, scusa, che tu gli vada a telefonare a casa dopo che vi siete
lasciàti.»
«Sarà. Ma tu perchè volevi tenermi nascosto il fatto che..»
«Nascosto? Ma se sono sempre stato limpido e chiaro come la luce del sole!»
«Tipo quando mi dici che non devo dire ad Angelo che tu mi hai parlato?»
«Senti, Cleo: io non lo so che idea ti sei fatta di me, e sinceramente non capisco per quale
motivo oggi sei così “girata”, ma non mi pare davvero di meritarmi questo tipo di
trattamento da parte tua.»
«Hai ragione. Scusa, è che.. Ma l'avrai notato tu stesso: da un po' di tempo a questa parte,
Angelo si comporta in modo strano.»
«Sicuro che l'ho notato, io. Ma.. Come avresti fatto a notarlo tu?»
«Domanda-trabocchetto: volevo essere sicura che tu mi rispondessi sinceramente.»
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Ed ecco spuntare quel caratteristico tratto femminile che mi sturba maggiormente: il
ricorso alla furbizia, specie quando invece non sarebbe necessario per sopperire alla
mancanza di quel qualcosa-di-meglio che si chiama intelligenza.
«Non ce n'era alcun bisogno, credimi. Per come la vedo io, ti fai troppe paranoie.»
«Mai abbastanza. E, dimmi, Angelo cosa ti ha detto?»
«Mah, abbiamo parlato del più e del meno..» – e che altro potevo dirle?
«Non ti ha parlato di me?»
«Neppure un minimo accenno.»
«Vorresti farmi credere che non ti ha detto che gli ho telefonato, e che abbiamo un
appuntamento questo stesso pomeriggio?»
Ci rimasi di sasso.
«Bell'amico che ci ho!», pensai – solo che l'avevo pensato a voce troppo alta.
«Non te l'ha detto?!»: Cleo era sinceramente sbalordita.
«Cosa importa? Tanto non ci crederesti. Quanto a questo, non ci credo neanche io.»
«Non te l'ha detto.», ripetè con tono affermativo. Magra consolazione, che mi avesse
creduto, tuttavia..
«Ma è magnifico!», esultando nel rendermi conto che si trattava di un ottimo sviluppo.
«Fossi in te non mi farei troppe illusioni: dobbiamo solo parlare, e lui lo sa benissimo.
Forse è per questo, che ha preferito non dirti niente.»
“O forse è genuinamente stronzo!”, pensai, ma questa volta feci in modo di tacere.
«Vabbè, niente.. Gli dovevo solamente dire che sono da mia zia per pranzo, e che forse
ritardo di qualche minuto. Gliel'ho già lasciato detto a casa, comunque, per cui non
importa. Un'ultima cosa..»
«Dimmi.»
«Riguardo alle tue.. poesie..»
«Sì?», lieto che avesse tirato in ballo lei l'argomento perchè io non avrei mai osato correre
il rischio di farla sentire sotto pressione.
«Le ho lette.»
«Fantastico! Ti è.. “arrivato” qualcosa?»
«Mi sono piaciute moltissimo. Ti ho anche buttato giù tre righe, spero che non ti
dispiaccia.»
«Anzi: al contrario!»
«Pensavo di passare a restituirtele questa sera. Sei in casa?»
Ci mancava solo che mi piombasse in casa dal terrazzo, e attraverso la finestra
panoramica vedesse me, Angelo e Valeria pizzare insieme. Meglio mettere le mani avanti:
«Sì, però c'è il cancello esterno che non funziona bene.»: una scusa puerile, la prima che
mi era frullata per la testa. «Se mi fai uno squillo prima di partire, vengo ad aspettarti
fuori.»
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Dopotutto oramai era praticamente diventata un'usanza.
«Va bene. Sai, esco con delle amiche e passo proprio dalle tue parti..»
«Le hai fatte leggere anche a loro?», domandai fintamente possibilista.
«Non mi sarei mai permessa.»
Fiuuuu! Tirai un sospiro di sollievo:
«Meglio così, preferisco.»
«Allora ci vediamo stasera. Verso le sei / sei e mezza è troppo presto?»
Stavo per rispondere istintivamente “Mai abbastanza”, chè ci mancava solo che
incrociasse all'ingresso Angelo e Valeria mentre arrivavano, ma mi corressi:
«Va benissimo: ti aspetto. Ciao.», e riagganciai.
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“Che cosa paradossale”, pensai, “che quei pochi a disporre di un Cuore e non solo di un
banale muscolo pompa-sangue se ne vergognino al punto da chiedere scusa!”.
Rabbrividendo al pensiero che io stesso, fino alla storica decisione di Aprile, avevo fatto
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altrettanto se non peggio.
“Aleee-oo-oooh!”
“Bonk.”
“Ho letto bene?”, allibii.
Non riuscivo a credere ai miei occhi: forse avevo sbagliato a leggere, con tutte quelle
scritture, sovrascritture e scarabocchi. Rilessi attentamente e poi proseguii:
«PERICOLOSA?!», esclamai a voce alta.
Fortuna che ero in camera da solo – e giusto una qualche presenza invisibile avrebbe
potuto udirmi. (“Se poi non scoccia, il guardone, che guardi pure.”, pensai, e gli feci una
boccaccia. Così: per puro spregio.)
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«Qui mi sono tutti quanti usciti di senno! Non bastava che questo pomeriggio Bobby si sia
barricato in camera sua rifiutandosi di rispondere al telefono, e che sua madre mi abbia
detto che non vuole più vedere nessuno da quando giorni fa è rimasto bloccato a letto da un
misterioso mal di schiena, nossignore! E magari provo a ri-chiamarlo domani, tu hai idea di
cosa è successo, assolutamente no sono perplesso io per primo, cosa devo fare con un figlio
così, beh signora non saprei, mi è cambiato da così a così di punto in bianco, è forse
successo qualcosa?, assolutamente nulla..»
Tirai il fiato e scossi la testa.
«Altro che “la tua vita sembra una telenovela”: questo è un piano diabolico esplicitamente
ordito per ridurmi i nervi a brandelli!»
«Ma come cazzo parli! “Considerazioni in merito”? Stai discutendo la tesi di laurea
oppure del futuro quantomai precario della persona che hai amato di più a questo
fottutissimo mondo?»
Quale orrore, mi faceva, pensare che io per primo avevo trascorso anni interi ad
ingabbiare i sentimenti col quello stesso gelido rasoio della razionalità e dell'autocontrollo.
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«Oooh!», esclamai soddisfatto. «È così, che si fa! “Fa' sentire che ci sei dentro ai loro
cuori: batti un colpo!”»
“Porina..”, compatendola sentitamente poiché sapevo bene che cosa significava, e mi
riconoscevo nel suo medesimo Sentire.
«Ettecredo! È un osso duro, oltrechè un furbacchione di tre cotte..»
«Ma perchè? PERCHÈ?»: la imploravo come se fosse stata lì davanti a me.
Il sisma che mi tuonava dentro al petto aveva raggiunto l'apice. Possibile che, come nelle
favole, il bacio del principe azzurro abbia destato la principessa addormentata (o meglio: il
cuore di lei, vittima del sonnifero della fredda razionalità) e sia finito tutto a rose e fiori?
“Possibile”, e dentro di me già esultavo, “che il mio piccolo intervento abbia portato
nuova luce in questo mondo che ha l'hobby perverso di linciare il vero Amore?”
Possibile che il sipario stavolta si chiudesse sopra un lietofine che rimediava ad ogni
dolore subìto coronando gli sforzi immani devoluti con tutta l'anima pur di arrivare fin lì?
“Possibile dunque che l'Amore esista, che Dio esista, e sia un essere benevolo, e che le
fregnacce manzoniane sulla pròvvida sventura siano invece la realtà dei fatti?”
Mi batteva talmente veloce il cuore, e il cervello in testa, che non trovavo il coraggio per
finire di leggere – con tutto che non rimaneva che un'unica frase: quella conclusiva.
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Siccome per una volta la logica andava a braccetto col sentimento, mi cimentai ad
indovinarla: con quali struggenti parole, Cleo avrebbe suggellato la sua ammissione finale?
(E cioè che Angelo era riuscito ad infrangere le artificiose barriere che s'era imposta pur di
tacitare un amore che ancòra le bruciava nel petto.)
Forse si erano già rimessi insieme. Forse lui, con un gesto plateale dei suoi, le aveva
chiesto di sposarlo. Forse era tempo che mi preparassi a partecipare a un matrimonio,
controvoglia come al solito ma per la prima volta con un ruolo ben preciso: Angelo mi
avrebbe voluto come testimone, Cleo avrebbe addirittura insistito per dare il mio nome al
nascituro..
«E forse..», tentennando poiché il solo osare sperarlo era esplosivo al punto da far
vacillare la mente. «Forse, come l'Amore ha trionfato fra loro, l'avrà vinta anche tra me e
Alessandro!»
Mi lasciavo cullare in un solluccheroso trip mentre un senso di gloriosa biblica fratellanza
tra gli esseri umani tutti mi placava l'anima. Sospiravo trasognato, confortato dal pensiero
che con tali splendide premesse.. cos'altro avrebbe mai potuto riservarmi, il futuro?
Il più clamoroso dei non-sequitur, ecco cosa.
«Grazie di tutto.»: il corrispettivo lessicale dello sciacquone del cesso, né più né meno che
l'ipocrita pro-forma con cui ti congedi dal salumiere o chiudi educatamente la porta in
faccia a un venditore ambulante.
Masticavo e rimasticavo quelle parole, ma per quanto le ruminassi non riuscivo a trovare
il modo di digerirle. Nè l'ho trovato oggi a distanza di tanti anni: si vede che mi son proprio
rimaste sullo stomaco.
«Grazie di tutto e tanti saluti. Beh, se non altro mi ha risparmiato lo “Stammi bene.”:
quello mi avrebbe proprio fatto vomitare!»
Scagliai a terra con rabbia quei due fogli prima di cedere alla tentazione di ridurli a
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brandelli per poi appiccarci fuoco e spargerne le ceneri in un porcilaio. Mi trovavo
letteralmente a un passo dal calpestarli per riversarci sopra tutto il mio disprezzo, quando
mi lasciai inibire dal senso del dovere che mi costringeva ad averne cura in quanto possibili
“reperti storici”. Chinandomi a raccoglierli pensai che per una volta non mi sarebbe
dispiaciuto affatto non essere astemio, poichè era uno di quei momenti nella vita in cui un
uomo si ritiene autorizzato ad affogare i propri dispiaceri nell'alcool:
«Whisky on the rocks, ragazzo. Svelto! Fallo doppio, e lasciami la bottiglia.», persino
scimmiottando l'impostazione di voce del mitico Humphrey Bogart – come se servisse a
qualcosa, buttarla in farsa.
«Pilato se non altro l'ha fatto almeno con un briciolo di classe!», rimproverandola nella
mia “sbornia” triste. «Prima una leccatina e poi la supplica.. Ma per chi mi hai preso, Cleo,
eh? Per un francobollo?»
Qualunque cosa pensassi o dicessi, proprio non mi riusciva di ingoiare il rospo. Ero
inequivocabilmente giunto al punto di non ritorno: quello in cui non c'è più null'altro da fare
se non ricorrere al nero fiele del succo di mirtillo. (?!) Così stappai la bottiglietta
d'emergenza, senza neppure stare a scuoterla, e tracannai fiotti e fiotti di quel denso sangue
vegetale persino più cruento dello stesso karkadè.
Purtroppo per me, fece anch'esso cilecca: il groppo in gola non se l'era trascinato giù.
«Ah, Cleo, Cleo!», tuonai, pulendomi la bocca sul polsino della tuta così come avrebbe
fatto un ubriacone vero, «È facile, oh così facile, piantare Angelo nelle sue grane e poi
sciacquarsi la coscienza con un comodo “tanto lo lascio in buone mani”.»
Poggiai la bottiglietta di vetro, che adesso che era vuota assomigliava davvero a una
mignon di doppio-malto scozzese, e pestai un pugno contro il muro. Le lacrime, al solito,
non ne volevano sapere di uscire. In compenso, però, poco a poco si fece strada
serpeggiando dentro di me uno stato d'animo ancor più prepotente, ancor più devastante,
totalizzante..
Una risata pantagruelica. Alla fine ce l'aveva fatta, ad uscir fuori!
«Quanto sono bufo!», piegato in due senza poter smettere di sghignazzare di me stesso e
della tragedia greca che avevo inscenato.
«Ma chi sono? William Shatner? Al Pacino? Hihihihihi!»: roba che quasi mi mancava il
respiro.
Il tempo di tirare un fiato e accorgermi del paradosso, che già rincarai la dose:
«Adesso invece me la rido come Spanciovilla!», e di nuovo giù a sganasciarmi come un
matto per quella battuta cretina improvvisata sul momento.
Dopo qualche esilarato minuto trascorso a ridere di pancia (e, fatto insolito per me, senza
il minimo senso di colpa) alla fine riuscii a controllarmi – approdando a quella fase in cui
incominci ad asciugarti gli occhi, ma se provi ad inspirare a fondo per calmarti ti scappa
ancòra un risolino dissidente.
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Fu sorprendente, constatare come tutto quel ridere fosse riuscito a detergermi l'anima
dall'amarezza molto meglio di qualunque kilometrica espettorazione di tristezza. Mi
riusciva ora di vedere le cose con maggiore nitidezza: non proprio con distacco, certo, ma
senz'altro con un diverso grado di compartecipazione.
Feci caso che la lettera, che prima avevo raccattato dal suolo e messo sulla scrivania,
stava ora al centro del letto assieme alla busta – ad ulteriore riprova che avrei dovuto
tenerla da conto.
«E te pareva.», sbottai: come se il cagnolino avesse fatto per l'ennesima volta pupù sopra
il tappe