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Christina Kruml La seduzione dell’INvisibile Considerazioni sull’ABITARE attraverso l’architettura di Josef Frank La seduzione dell’INvisibile Considerazioni sull’ABITARE attraverso l’architettura di Josef Frank “L’oggetto di questo libro non è esattamente il vuoto, sarebbe piuttosto quello che vi è INtorno, dentro. (…) Lo spazio”. (G.Perec, Specie di spazi) UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE Sede Amministrativa del Dottorato di Ricerca Scuola di dottorato di ricerca in scienze dell’uomo, della società, del territorio XXII ciclo - a.a. 2009/2010 Settore scientifico disciplinare Icar 14 progettazione architettonica e urbana dottoranda: arch. Christina Kruml responsabile del dottorato di ricerca: prof. Giovanni Fraziano relatore: prof.Giovanni Fraziano Università degli Studi di Trieste © 2011 Christina Kruml, Trieste 10 Introduzione dalla piaga alla piega: considerazioni sull’ABITARE 26 36 52 64 80 96 Rannichiarsi negli spazi amati Il gioco e l’ornamento Parodia del cadavere screziato Ri-vestimento e seduzione L’intonaco bianco come camicia Sommario Glossario architessile Compendio: Josef Frank (18 85-1967) La seduzione dell’INvisibile. Note a margine nell’opera di Josef Frank 120 La casa e l’opera d’arte 142 L’architettura della sedia 154 La casa dalla cantina alla soffitta 186 Häuser und Gärten 190 How to plan a House 204 Modern Architecture c 010 c 024 c 038 c 044 c 050 c 064 c 072 c 092 c 104 c 117 c 122 c 136 c 138 Formazione a Vienna Berlino Primi incarichi Kunstgewerbeschule Siedlungen o Höfe? Haus & Garten Werkbund e primi CIAM Stoccolma New York Nota ai testi per la NSfSR Ritorno in Svezia 12 domande a Josef Frank 3 affermazioni e conseguenze Spazi amati: 226 Casa Bunzl, Ortmann, 1914 246 Villa Beer, Vienna, 1929-30 282 13 Case per Dagmar Grill, 1947-54 312 D e DD-Häuser, 1953-54 324 Bibliografia c 189 c 144 LETTERE A TRUDE WAEHNER I n t r o d u z i o n e “L’ultima cosa che si scopre scrivendo un libro è come cominciare”. (Blaise Pascal, Pensieri) Questa ricerca porta avanti un percorso avviato già nel 2005 (e forse anche prima) con la tesi di laurea sul rapporto realtà/finzione attraverso lo schermo cinematografico e la luce intesi come materia costruttiva. Quello che mi ha sempre affascinato dell’architettura è infatti la sua capacità di essere ambigua, ma non nel senso di fasulla e ingannevole, bensì in quello di trasparenza fenomenica definito da Colin Rowe, costruita cioè sulla tensione bilanciata di contrari che si attraggono nel momento in cui si respingono, di simboli che al tempo stesso uniscono e separano, sulla stratificazione ritmata di dimensioni spaziali e temporali che si sovrappongono e succedono producendo un fascino misterioso, velato, enigmatico. Passaggi da un luogo ad un altro, spazi ibridi, inbeetween contemporaneamente solidi e fluidi, trasparenti ed opachi, morbidi e duri, organici ed inorganici, leggeri e pesanti, interni ed esterni, concavi e convessi…sono ciò che rende l’architettura così seducente. E’ stata soprattutto la lettura di Atlante delle emozioni di Giuliana Bruno ad introdurmi nell’infinito universo che si cela dietro allo schermo cinematografico inteso semperianamente come una parete-Gewand, leggera mobile flessibile e mutevole, e a chiarirmi le relazioni tra il corpo e-mozionale e lo spazio. Attraverso i sensi e il movimento, l’uomo interagisce attivamente con il suo intorno tracciando delle mappe che definiscono un viaggio, un montaggio di sequenze interrelate di vissuto. Se solitamente lo schermo è inteso come un ostacolo e un limite, o comunque come una dimensione virtuale, irreale e dunque immateriale ed inafferrabile, Giuliana Bruno dimostra invece che è possibile vederlo come membrana osmotica, come una pelle che permette una relazione tra due mondi, entrambi reali e aventi a che fare con i sensi, con l’aptico e dunque con il corporeo, l’organico. Lo schermo è uno spazio soglia che si tende tra pubblico e privato, fra interno ed esterno, tra attore e spettatore, tra intimità e spettacolarità, analogo alla faccia-ta di un edificio: “tra l’assolutamente pesanteopaco e l’assolutamente leggero-trasparente si giocano le mille nuance del diafano, del grigliato, dello sfogliato, del traslucido, del serigrafato e così via”1. Al posto delle teorie architettoniche basate sulla dialettica dell’esclusione dei contrari, della limitazione e del divieto, si vuole qui sostituire quella dell’INclusione, della molti-plica-zione, della ricerca delle intricate relazioni e tensioni tra i vari termini che si oppongono, dove lo stesso termine “complessità” e il suo contrario “semplicità” etimologicamente derivano dal latino plek- (parte, piega, intreccio, nodo) da cui plicare (piegare) e plectere (intrecciare): semplice non è ciò che non è piegato, ma ciò che è piegato una volta sola2, rimanda dunque all’unità, al punto deleuziano, ad un concentrato di densità. La moltiplicazione tuttavia non è da intendersi in senso formale: se le “buone intenzioni” del postmodernismo e del decostruttivismo erano la contestazione all’uniformità e freddezza del funzionalismo, sostituirle con operazioni intellettuali difficili, faticose e talvolta incomprensibili porta all’inevitabile paradosso di trasformarle di nuovo in una questione di moda e stile. 11 Ed anche le simulazioni al computer della cosiddetta blob architecture di oggi, che, attraverso sperimentazioni di morphing-blurring-folding, creano costruzioni dalle forme contorte e appariscenti, adatte a comparire in prima pagina sulle riviste d’architettura (ma altrettanto adeguate per quelle di design), fornite di un’intelligenza artificiale che offre tutti i più moderni comfort della domotica, sono talmente perfette nella loro immagine e apparenza virtuale che l’abitante, reale e corporeo, vi risulta un elemento di disturbo: l’abito-crinolina di Jana Sterback e le scarpe del povero ricco di Loos. L’approccio di Josef Frank rispetto all’architettura e al design (inteso nel suo significato originario di progetto e non come moda) è invece assolutamente diverso: mai rigorosamente formale né astrattoconcettuale, ma sempre umano, responsabile e rispettoso di fronte ai bisogni sia fisici che mentali dell’essere umano. La casa e gli oggetti di cui si circonda l’uomo perché non solo gli sono d’aiuto nelle attività quotidiane ma anche utili per lo spirito, sono progettate da Frank a misura del corpo e mai della tecnologia. Questo tuttavia non significa essere nostalgici nei confronti di un’epoca pre-computerizzata. Il virtuale, così come la technè, è qualcosa che appartiene intrinsicamente all’uomo: pensiamo per esempio alle ombre della caverna platonica o agli affreschi di epoca greca e romana, per non parlare dell’illusionismo prospettico. L’uomo a cui guarda Frank però non è più quello rinascimentale, l’intellettuale fermo in un unico punto al centro dell’universo, bensì molto più vicino a quello che oggi viene chiamato “bodyscape”, unità cioè tra corpo e spazio: “body incorpora scape (lo suffissa) in quanto diventa visibile come componente di discordanti comunicazionalità composte di attraversamenti e incroci. Scape sussume il body (lo prefissa) in quanto palpita come organo oltre-dualista che rende carnale, oculare, pellare l’interstizio”3. L’uomo contemporaneo, mai fermo e continuamente in movimento, è si dotato di innumerevoli estensioni e amplificazioni sensoriali potendo usufruire oggi di mille occhi, innesti tecnologici, numerose gambe come le bambole di Bellmer, di un terzo braccio o 12 di un terzo orecchio alla Stelarc, ma ciò nonostante continua a rimanere sempre un corpo organico, fatto di sangue, pelle, carne, peli, orifizi. L’uomo per Frank non è assolutamente perfetto, il suo volto è asimmetrico, la sua pelle segnata dalle pieghe e dalle piaghe della carne, può ammalarsi e morire; analogamente la casa in cui abita mostra i segni del tempo, l’usura del vivere, la polvere sui mobili, le crepe nei muri. Ciò nonostante, o forse proprio per questo, egli vi si sente al sicuro, geborgen (Geborgenheit significa accogliente, da gebehren partorire, da cui geboren, nato, dunque rannicchiato), perché vi si riconosce, è tutt’uno con lo spazio che lo avvolge e accudisce. Lo spazio è fatto della medesima carne del suo corpo e come esso è libero di decomporsi. L’imprevisto, l’asimmetria, l’irregolarità, la deviazione, il segno, la cicatrice, sono proprietà intrinseche al vissuto, all’umano, e contribuiscono anzi a rendere speciale una persona o un edificio ed evitare la monotonia. La seduzione dell’INvisibile dunque affronta il tema dell’Abitare secondo un approccio antropologicofilosofico per riflettere e definire questioni attorno al rapporto spazio-corpo, individuo-società, intimità domestica-spettacolarità urbana. Struttura della tesi La presente tesi si compone di tre parti suddivise in due volumi: 1. dalla piaga alla piega, considerazioni sull’ABITARE: offre la chiave di lettura per comprendere il senso della ricerca ed è quindi introduttiva alle parti seguenti. Vi viene affrontato il rapporto sinestetico ed inscindibile esistente tra corpo umano e spazio architettonico attraverso il symbolon del tessuto e quindi della parete intea come Ge-wand, sovrapposizione di veli dotati di trasparenza fenomenica che lasciano INtravedere un’intimità domestica uterina altamente seducente. 2. La seduzione dell’INvisibile, note a margine nell’opera di Josef Frank: i temi affrontati nella prima parte trovano un’applicazione pratica nell’architettura di Josef Frank, volendo dimostrare che la casa non è un’opera d’arte, ma un ri-vestimento costruito su misura del corpo che serve a soddisfare i bisogni dell’uomo e a renderlo felice attraverso il vissuto e gli oggetti del quotidiano. 3. Compendio: Josef Frank (1885-1967): 1 Antonino Terranova, Edifici senza forma in architettura, architetture senza forma di edificio. Anatomie ipotetiche sui Corpi architettonici del Moderno-Contemporaneo, in Alessandra Criconia (a cura di), Corpi dell’architettura della città, mutazioni, Groma Volumi 4, Palombi Editori, 2004, p.25 2 Al posto della particella privativa sim, senza, i moderni fanno derivare la parola latina simplex da sa- che indica unità, concezione che sarebbe confermata anche dalla versione greca a-ploos. 3 “Avatar. Dislocazioni tra antropologia e comunicazione”, Vol. 5, Meltemi, Roma 2005, p.25 si tratta di un approfondimento sulla biografia dell’architetto viennese in rapporto al contesto storico-culturale a cavallo tra i due secoli e in relazione agli altri protagonisti della sua generazione, in particolare tra Vienna, la Svezia e l’America. Ciascuna delle tre parti può, volendo, essere consultata singolarmente permettendone anche uno sviluppo ed incremento in futuro. Ogni parte si compone di alcuni capitoli esplicativi e di una sezione conclusiva contenente degli allegati di approfondimento, a cui appartengono anche le schede descrittive di alcuni progetti scelti di Josef Frank. Un ulteriore allegato è costituito dalla selezione di lettere scritte dall’architetto viennese alla sua amica Trude Waehner, che – data la loro consistente entità - vengono inserite come fascicolo in fondo al compendio a costituire così una specie di quarta parte destinata ad essere ampliata in avvenire. In riferimento alla trasparenza fenomenica a cui si accennava sopra, il textus si costruisce sopra ad un intreccio di diversi livelli di lettura che offrono molteplici sguardi e punti di vista interdisciplinari attorno ad uno stesso tema, quello dell’ABITARE. Innanzitutto nel testo sono evidenziate alcune parole chiave che servono sia ad accompagnare l’occhio nella lettura alleggerendola, ma soprattutto a farla soffermare e riflettere su alcuni concetti importanti da tenere a mente fino alla fine per la corretta comprensione dell’insieme. Citazioni ad apertura di ogni capitolo, all’interno del testo stesso e a margine compongono un ulteriore layer, l’ordito di base su cui è stata intessuta la trama. Come avviene in architettura con gli urtypen semperiani, non si tratta però di una mera operazione di “copia-incolla”, bensì di una ricomposizione dopo averne per ciascuna compreso ed interpretato il significato profondo. In specifico le citazioni di apertura costituiscono un breve estratto di ogni capitolo, che ne coglie l’essenza e ne focalizza fin da subito le note di testa. Le note di fondo invece, sono date a fine di ogni capitolo e, assieme ai riquadri di approfondimento e ai promemoria storici, hanno la funzione di incrementare la conoscenza dell’argomento affrontato, intensificandone il carattere e dandogli tenuta, analogamente a come avviene per un profumo; entrano quindi in gioco in una fase avanzata di lettura, e la loro importanza viene riconosciuta solamente da coloro che hanno già respirato ed 13 Perché Josef Frank inteso le note di testa e di cuore. Le immagini servono come accompagnamento al testo e come aiuto per l’immagazzinamento nella memoria delle informazioni ricevute. Se nella prima parte esse evidenziano il rapporto esistente tra corpo umano e spazio, nella seconda e terza parte viene data la parola all’architettura stessa. Gli allegati, il glossario e il quaderno delle lettere (traduzioni in italiano di testi originali, in parte inediti, di Gottfried Semper, Josef Frank e Baillie Scott) costituiscono l’avvolgimento finale che racchiude e rammenda le diverse parti dell’insieme. Ognuno degli elementi sopracitati è rappresentato anche graficamente in modo da essere facilmente individuabile permettendo al lettore la libertà di scegliere il livello di approfondimento in cui intende scendere. Come in La vita. Istruzioni per l’uso di Georges Perec (1978), man mano che si procede nella lettura si aggiungono così sempre più tasselli all’immagine complessiva del puzzle fino a riuscire a comprendere l’intricato e intrigante percorso di ricerca. Nel preambolo del libro, Perec descrive la differenza tra un puzzle commerciale tagliato a macchina e la minuziosa costruzione di uno in legno le cui tessere sono preparate a mano e studiate con furbizia per rendere complicata la ricostruzione dell’immagine finale. Colui che si cimenterà a ricomporre i pezzi del puzzle dovrà ricostruire il pensiero dell’autore, rifare i suoi stessi gesti, i suoi stessi ragionamenti, compiere amorevolmente e con la stessa cura il medesimo rituale. Buon divertimento! 14 La vita, istruzioni per l’uso descrive il giorno 23 giugno 1975, ore otto, della vita dei diversi abitanti di un palazzo parigino, nell’immaginaria rue Simon-Crubellier 11, che ruotano attorno alla figura del personaggio principale Percival Bartlebooth. Ma il protagonista effettivo del romanzo è il condominio stesso, l’architettura, di cui Perec ci mostra una vista in sezione: uno schema di nove piani più le cantine divisi in dieci colonne verticali per un totale di 100 spazi, a ciascuno dei quali viene dedicato un capitolo eccetto uno, la cantina in basso a sinistra. Come in un puzzle, è solo intrecciando tra loro i capitoli e cercando le notizie nascoste nelle diverse storie degli altri inquilini che si può ricostruire l’intera vita di Bartlebooth. Il puzzle tuttavia rimane incompleto perché il segreto non venga s-velato completamente. Le istruzioni allora servono al lettore per capire che deve prendere una parte attiva nella sua vita, analizzare le cose nel loro dettaglio, guardarle più da vicino, con la lente di ingrandimento, e riflettere in profondità su ciò che gli si presenta apparentemente e superficialmente davanti agli occhi. (illustrazione di aul Steinberg dalla copertina del libro ) In un mondo incentrato sulla grande dimensione e sulla monumentalità, sull’immagine di effetto e sulla rapida trasformazione della moda, a una prima vista l’architettura umile e modesta di Frank non colpisce. Alcuni dei suoi progetti rappresentati nei suoi acquerelli può risultare addirittura un po’ kitsch. Eppure c’è qualcosa che ci incuriosisce, che ci fa pensare che dietro all’apparenza, al visibile, si nasconda un significato più profondo, un INvisibile che fa parte dell’intimità domestica, del valore simbolico dell’abitare. La sua architettura ci invita alla riflessione. Josef Frank (Baden 1885 - Stoccolma 1967) apparteneva a quella generazione di architetti come Walter Gropius, Ludwig Mies van der Rohe, Le Corbusier, nata a cavallo tra Otto e Novecento e costretta a subire l’esperienza di ben due guerre mondiali, vissuta dunque in un periodo di grossi cambiamenti sociali, politici, economici, un’epoca di grandi contraddizioni in cui stava avvenendo un accelerato passaggio da una società ancora artigianale ad una industriale regolata sempre più dalla macchina, e che vedeva da una parte l’arricchirsi di una limitata borghesia capitalista e dall’altra un’enorme massa di popolazione senza nemmeno un adeguato alloggio in cui abitare. Usando una definizione dell’architetto Gottfried Semper (1803-1879), si potrebbe paragonare quest’epoca alla “misteriosa nascita dell’araba fenice (die geheimnisvolle Phönixgeburt)”, un Analogon che ben si addice “a quegli stadi di transizione in cui un intero mondo affonda nel caos lasciando tuttavia intravedere nuove forme che stanno venendo alla luce”1. Frank stesso nel suo libro Architettura come simbolo pubblicato nel 1931 scriverà “la guerra ci ha portato nella condizione da lungo tempo sperata di poter ricominciare da capo e noi ora stiamo cercando una via”2. A Vienna in particolare questi anni coincidono con la fine dell’Impero di Franz Joseph e la contemporanea ascesa del movimento moderno: nel 1896 Otto Wagner pubblica Moderne Architektur; l’anno dopo viene fondata la Wiener Secession; nel 1899 Freud dà alle stampe l’Interpretazione dei sogni, due anni dopo La psicopatologia della vita quotidiana, e nel 1905 Tre saggi sulla teoria sessuale; nel 1903 viene fondata la Wiener Werkstätte, il sociologo Georg Simmel scrive il saggio Le metropoli e la vita dello spirito e Adolf Loos pubblica la rivista “Das Andere, Ein blatt zur einfühlung abendländischer kultur in österreich”. In questo contesto di agitazione culturale, Josef Frank aveva assunto un ruolo di primo piano negli anni prima della seconda guerra mondiale: membro del Deutscher Werkbund, del Wiener Kreis e del gruppo attorno a Ernst Mach; professore alla Kunstgewerbeschule di Vienna dal 1919 al 1926; attivo in prima persona nel movimento delle Wiener Siedlungen e collaboratore di Otto Neurath nell’ideazione del Gesellschafts- und Wirtschaftsmuseum di Vienna; unico rappresentante austriaco invitato a partecipare assieme ai maggiori architetti dell’epoca all’esperienza della Weissenhofsiedlung di Stoccarda nel 1927 e tra il 1928-29 ai primi due congressi del CIAM; vicepresidente dell’Österreichischen Werkbund dal 1928 al 1934 e direttore e progettista della Werkbundsiedlung a Vienna nel 1932. Autore inoltre di numerosi articoli nelle maggiori riviste di lingua tedesca “Innendekoration”, “Der Aufbau”, “Deutscher Werkbund, Bau und Wohnung”, “Die Form”, “Moderne Bauformen”, “Wirtschaftshefte der Frankfurter Zeitung”, “Deutsche Kunst und Dekoration”, “Der Baumeister”. Nel 1934 tuttavia, a causa dell’avvento del nazismo, fu costretto ad emigrare in Svezia. Da allora il suo ruolo all’interno del movimento moderno venne gradualmente dimenticato e considerato semmai più 15 come un arredatore che come architetto, cosa che gli procurerò grande sconforto e frustrazione. Lo spiega lui stesso nella lettera a Trude Waehner il 15 aprile 1946, quando è appena rientrato a Stoccolma dopo aver vissuto quattro anni e mezzo a New York: “a questo punto arrivo a dire perché ho così poca voglia di fare architettura. Secondo il mio punto di vista (attraverso una Self Analysis) il motivo è dovuto al fatto che vorrei fare qualcosa di diverso rispetto a quello che ho fatto fino ad adesso. Non ho certo mai operato con ciò che viene chiamato Modern Architecture, ma ciò che ho fatto non è quello che vorrei volentieri fare; ma ciò che mi piacerebbe fare non lo so e non posso neanche saperlo dato che ora mi manca ogni esperienza. Ho dimenticato la maggior parte delle cose, da più di dieci anni non ho più costruito una casa, non ho più avuto un committente, e questo perché a) non costruisco in modo storico, b) non costruisco in modo moderno, entrambe le cose sono abominevoli, ma cosa ci posso fare? Non lo so”3. Le cause sono da ricercare soprattutto nell’emergere, dopo la seconda guerra mondiale, dell’architettura funzionalista e dell’International Style contro cui Frank era invece profondamente e dichiaratamente contrario. Usando una definizione di Friedrich Kiesler si può infatti affermare che “il funzionalismo è la standardizzazione delle attività di routine. Per esempio un piede che cammina ma non danza; un occhio che vede ma non immagina; una mano che afferra ma non crea. Il funzionalismo solleva l’architetto da ogni responsabilità di fronte al progetto”4, cosa assolutamente impensabile per Frank. Nel quinto capitolo del volume mai pubblicato Contemporary Art and Architecture che avrebbe dovuto raccogliere le lezioni tenute presso la New School of Social Research di New York e che può essere considerato come una rielaborazione matura del suo pensiero già anticipato in Architettura come Simbolo del 1931, Frank sottolinea con precisione che 16 cosa intende con il termine “moderno” in architettura, distinguendolo nettamente dai significati attribuitogli da un lato dagli stili storici passati e dall’altro dalla tendenza “puritano-moralista” che andava di moda all’epoca. Se infatti gli stili storicisti, facendo ancora uso dei simboli della statica necessari affinchè l’uomo si sentisse sicuro della stabilità di un edificio, avevano causato il fraintendimento del “moderno” come imitazione passiva e irragionevole del passato, all’opposto la tendenza contemporanea al purismo si era dibattuta per abolire tali simboli in nome di una presunta verità e onestà della costruzione e per questo predicava uno stile geometrico uniforme da poter essere applicato ad ogni cosa, “dal cucchiaio alla città”. Tuttavia secondo Frank entrambi i modi di pensare in realtà erano analoghi ai regimi totalitari perché costringevano a seguire regole rigide e fisse non permettendo alcuna libertà, né tanto meno flessibilità al progettista, ma solo ed esclusivamente uno stereotipato monumentalismo. Frank al contrario era fautore di un’architettura al servizio dell’uomo e dei suoi bisogni, di ogni uomo, inteso come individuo con le sue proprie esigenze, che lasciasse spazio quindi alle infinite possibilità di variazione e pluralismo di ciascuno, indispensabili per un profondo ed intenso senso dell’abitare. Per questo era interessato prima di tutto all’aspetto domestico dell’architettura. Se i simboli della statica non erano più necessari dato che le nuove tecnologie costruttive permettevano agli edifici una stabilità impensabile in passato, tuttavia questo non doveva significare a suo avviso una abolizione assoluta dall’ornamento e dalla scultura. Gli ornamenti anzi erano indispensabili all’uomo quando appartenevano al suo vissuto e al rituale quotidiano. Lo liberavano dalle costrizioni di schemi rigidi evitando così la monotonia di una vita standardizzata nelle sue attività di routine, permetteva al piede di danzare, all’occhio di immaginare, alla mano di creare. In questo modo “costituiscono la nostra tradizione, che perciò possiamo chiamare eterna dato che le loro leggi non saranno mai distrutte, perché a quanto pare appoggiano su sentimenti legati al nostro corpo umano”. Frank inoltre riteneva che l’architetto, nonostante anche la scultura non fosse più necessaria all’architettura moderna, dovesse continuare a pensare analogamente allo scultore, cioè in modo tridimensionale: “l’architetto che costruisce né dall’esterno verso l’interno, come si afferma degli antichi, né viceversa, come si afferma dei moderni, bensì considerando tutti e due i modi assieme, è l’unico ad essere in grado di progettare la sua casa in modo che soddisfi gli scopi sia interni che esterni, pratici ed estetici. Per poterlo comprendere, egli dovrà impiegare la sua nuova libertà, ma al tempo stesso seguire le regole naturali che risiedono alla base di ogni architettura, vecchia o nuova che sia”. “Il desiderio di “elevare” ogni cosa, l’appartamento a un’opera d’arte e la casa a un monumento, è una manifestazione simile al voler “salvare” gli uomini, che richiede l’abolizione dei desideri e bisogni naturali”. Frank invece non ha assolutamente la presunzione né l’intenzione di “salvare” il mondo, non detta leggi o schemi già pronti mediante i quali realizzare un’architettura cosiddetta “moderna”. Egli si propone semplicemente di essere vicino al quotidiano, alla vita delle persone e di aprire loro gli occhi in modo da renderli capaci di guardare le cose con la propria testa e pensare in modo autonomo. Da qui il suo profondo intento democratico-sociale. Il pensiero di Frank dunque è ancora profondamente attuale e i suoi principi (non regole!) valgono ancora oggi. Nel 1965, grazie all’interesse di un gruppo di giovani architetti e storici (l’Arbeitsgruppe 45), Frank riceve il premio per l’architettura austriaco (Grosse Österreichische Staatspreis) e viene allestita una mostra monografica delle sue opere presso l’allora appena fondata Österreichische Gesellschaft für Architektur (Associazione austriaca di architettura). Due anni dopo a Stoccolma viene organizzata una mostra in memoria della sua morte presso il Nationalmuseum (Josef-Frank-Minnesutställning). Dopodiché se ne è parlato soltanto sporadicamente, fino a quando nel 1981, presso la Hochschule für Angewandte Kunst di Vienna (oggi Universität), viene organizzata una mostra monografica (con la pubblicazione di due cataloghi, uno sui progetti e uno sui mobili) a cura dei professori Johannes Spalt e Hermann Czech, al quale si deve anche la pubblicazione, nello stesso anno, della traduzione italiana di Architettura come simbolo (ed. orig. 1931). E’ sempre in quell’anno che in Italia la rivista “Ottagono” pubblica un numero speciale e “Lotus International” due articoli dedicati all’architetto austriaco6. Nell’introduzione alla rivista “Ottagono” si legge: “gli autori del presente testo [Daniele Baroni e Antonio D’Auria], da questo numero daranno vita a brevi interventi su alcuni architetti di livello internazionale, che pur senza assurgere ai massimi traguardi della notorietà, con la loro opera, hanno contribuito in modo fondamentale a formulare quel intricato tessuto di cui si compone il Movimento moderno”7. Il mio avvicinamento all’architetto viennese è avvenuto grazie al mio relatore Giovanni Fraziano, il quale a sua volta lo ha incontrato negli anni Ottanta quando venne incaricato dal professor Luciano Semerani ad assistere il professore Johannes Spalt nella curatela di una piccola mostra da tenersi presso l’Istituto Universitario Architettura di Venezia. Prima del 1981 in Italia Frank era stato reso noto solamente negli anni Trenta attraverso Alberto Sartoris che nel 1932 mostra alcuni suoi progetti in Gli elementi dell’architettura funzionale, ma soprattutto Giò Ponti e la sua rivista “Domus”, nella quale Carmela Haerdlt pubblica una serie di articoli: Una nuova casa 17 Archivi e lasciti di Josef Frank, luglio 1931 (villa Beer); Una casa privata a Vienna, agosto 1931; Josef Frank, Quale sarà la nostra casa, domani. Strade e piazze nella casa, febbraio 1932, pp.68-69; Espressione e carattere nell’opera di Frank e Wlach, n.99, marzo 1936 (immagini di interni e sedie)8. In seguito in lingua italiana escono solamente due articoli: nell’aprile 1967 C.Haerdtl, Un ricordo di Josef Frank (“Domus” n.449) e nel febbraio 1975 Max Eisler, Una casa d’abitazione di Josef Frank e Oskar Wlach (“Casabella” n.345). Un articolo sulla Villa Beer (La casa sensibile) è stato scritto nel 1888 da Guido Beltramini in La casa isolata... (a cura di G.Fraziano, Cluva 1989). L’interesse nei confronti dell’architettura di Josef Frank si è tuttavia risvegliato negli anni Novanta quando diversi ricercatori lo hanno scelto come tema di analisi per le loro ricerche di dottorato: nel 1994 Hermann Fillitz e Peter Haiko hanno scritto una dissertazione sulle case unifamiliari di Frank, che poi Maria Welzig ha ripreso nel suo volume del 1998; nel 1993 Christopher Long aveva discusso la sua tesi all’Università del Texas in Austin pubblicandola riveduta nel 2002; Iris Meder nel 2004 analizza la tipologia della casa unifamiliare a Vienna negli anni tra il 1910 e il 1938 all’Università di Stoccarda e nel 2008 cura la pubblicazione di Josef Frank. Eine Moderne der Unordnung (Pustet, 2008). Assieme a Tano Bojankin inoltre sta preparando un volume che dovrebbe raccogliere tutti gli scritti di Josef Frank. In Italia, recentemente, Caterina Cardamone ha discusso una tesi di dottorato presso il Dipartimento di Storia dell’Architettura e Restauro delle Strutture Architettoniche dell’Università di Firenze (La tradizione classica negli scritti di architettura di Josef Frank, relatore Ciro Luigi Anzivino, XIV ciclo 19982001) di cui però ho potuto consultare solamente una piccola parte relativa agli scritti inediti dell’architetto viennese. 18 Note 1 L’architetto Gottfried Semper (Amburgo 1803- Roma 1879) nei Prolegomena a Der Stil aveva definito così l’epoca in cui viveva, paragonandola ad un cielo notturno in cui convivono sia stelle luminose che aree nebulose. Vedi Gottfried Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen Kunsten, oder praktische Aesthetik, Erster Band, Textile Kunst, Verlag für Kunst und Wissenschaft, Frankfurt a.M. 1860, p. V. Trad.it. in Lo Stile nelle ati tecniche e tettoniche o estetica pratica, a cura di A.R. Burelli, C.Cresti, B. Gravagnuolo, F.Tentori, Laterza, Roma-Bari 1992, p. 5 2 Josef Frank, Architettura come simbolo, a cura di Hermann Czech, Zanichelli, Bologna 1986 (ed. orig. Verlag Anton Schroll & Co, Wien 1931) 3 Lettera di Frank a Trude Waehner, 15 aprile 1946 (LÖNW) 4 F.Kiesler, Pseudo-Functionalism in Modern Architecture, in “Partisan Review”, luglio 1949 5 Wilhelm Holzbauer, Friedrich Kurrent, Johannes Spalt e Otto Leitner, che però ne esce già nel 1953; in seguito vi si aggiungono Friedrich Achleitner, Georg Gsteu, Josef Lackner, Hermann Czech 6 H.Czech, Josef Frank: The Thirteen Designs in Letters to Dagmar Grill, e J.Spalt, The form of dwelling drawings of Josef Frank before 1934, n.29, 1981 7 “Ottagono” n.62, settembre 1981 8 Strizler-Levine annovera anche due libri di arredamento degli anni trenta che riportano arredi Haus & Garten: Giancarlo Palanti, Mobili Tipici Moderni (Ed. Domus, Milano 1933) e Oberto Aloi, L’arredamento Moderno (Hoepli, Milano 1934 e 1939) Date le scarse pubblicazioni in lingua italiana, per approfondire la mia ricerca è stato necessario intraprendere un viaggio di studio di alcune settimane a Vienna (dicembre 2009) per poter consultare gli archivi e i documenti originali in lingua tedesca che ho poi tradotto in italiano; cosa che se da un lato ha rallentato la ricerca, dall’altra mi ha permesso di analizzare il pensiero originale e puro di Josef Frank. La Graphische Sammlung Albertina di Vienna che possiede gran parte del lascito comprato nel 1972 dall’Arkitekturmuseet di Stoccolma, a cui lo aveva donato, dopo la morte di Frank nel 1967, la sua compagna Dagmar Grill. Purtroppo non ho potuto consultare di persona questo materiale dato che l’archivio è attualmente chiuso per danni dovuti ad una infiltrazione d’acqua, ma sono disponibili via web documenti, disegni e alcune fotografie (www.albertina.at), riprodotte peraltro anche in numerose pubblicazioni recenti sull’architetto viennese. Altro materiale venne donato dalla pittrice Trude Waehner all’archivio della Hochschule (oggi Universität) für angewandte Kunst, Sammlung Oskar Kokoschka, dove si trovano disegni originali, fotografie, e numerosi testi, tutti a disposizione della consultazione previo appuntamento (http://www.uniak.ac.at/sammlung/pages/architektur.html). Nell’archivio letterario della Biblioteca Nazionale (Österreichisches Literaturarchiv, Österreichische Nationalbibliothek: http: //www2.onb.ac.at/sammlungen/litarchiv/index.htm) si trovano invece le lettere di corrispondenza tra la Waehner e Josef Frank. Le numerose lettere riguardano gli anni dal 1938 al 1966, e sono consultabili previo appuntamento e fotocopiabili (su richiesta, a pagamento). La tesi di dottorato di Josef Frank sul L’aspetto originale delle chiese di Leone Battista Alberti si trova alla Technische Universität Wien (http: //www.ub.tuwien.ac.at/) dove è consultabile liberamente e anche fotocopiabile. Tuttavia le tavole allegate sono solo una riproduzione fotografica di quelle originali, che invece si trovano nell’archivio dell’Università (http://www.tuwien.ac.at/ dienstleister/service/universitaetsarchiv/) e consultabili previo appuntamento. Non ho potuto invece visitare il lascito di Johannes Spalt all’Architektur Zentrum Wien (www.azw.at) poiché attualmente è in fase di catalogazione e quindi non consultabile. Qui molto probabilmente si trovano anche le 13 lettere che Josef Frank ha scritto a Dagmar Grill negli anni 1947-1956 (fotocopie delle stesse sono in possesso anche del prof. Hermann Czech che ho potuto incontrare a Vienna, però le custodisce attentamente con l’intenzione in futuro di pubblicarle). Di difficile consultazione è anche l’archivio tecnico della città di Vienna (Planarchiv der Stadt Wien), dove si trovano i disegni originali di alcuni progetti di Frank, dato che è accessibile solamente ai tecnici previo permesso dei proprietari delle abitazioni. Per quanto riguarda le pubblicazioni e gli articoli su e di Josef Frank, ho trovato molto materiale anche nelle biblioteche del MAK (www.mak.at), della Universität für angewandte Kunst, della Tecnische Universität, e all’Architektur Zentrum Wien. Un’ultima nota riguardo ai mobili progettati da Frank: alcuni sono visibili presso il museo del MAK, 19 Nota sulle traduzioni in italiano altri al Hofmobiliendepot di Vienna (www.hof mobiliendepot.at), dove nel dicembre 2009 era in corso una mostra sulle case di abitazione tra le due guerre (Wohnen zwischen den Kriegen. Wiener Möbel 1914-1941, 14 ottobre-febbraio 2009) curata da Eva Ottillinger. Il viaggio inoltre mi ha permesso di poter visitare di persona alcuni dei progetti realizzati da Frank a Vienna, come villa Beer e le case sulla Wilbrandtgasse, la Werkbundsiedlung, ma anche il quartiere progettato ad Ortmann presso Pernitz (a circa 70 Km a sud di Vienna) assieme a Casa Bunzl. Ho potuto inoltre confrontare direttamente sul posto queste opere con gli edifici progettati da Adolf Loos e consultare la documentazione in possesso dell’archivio privato di Friedrich e Lillian Kiesler sulla Mariahilfestrasse a Vienna (www.kiesler.org). In futuro sarebbe utile poter andare in Svezia per esaminare il lascito in possesso dell’Arkitekturmuseet di Stoccolma e l’archivio dei progetti di mobili e stoffe elaborati da Frank per la ditta di arredamento Svenskt Tenn, oltre che visitare le ville costruite a Falsterbo. A suo tempo avevo contattato anche Dr. Carmen Hendershott dell’Archival Reference della New School for Social Research Library, la quale mi aveva 20 informato che del materiale riguardo a Josef Frank si dovrebbe trovare anche presso le seguenti istituzioni: il Museum of Modern Art di New York ; il Canadian Centre for Architecture in Quebec, Canada (1920, rue Baile/Montreal, Quebec H3H 2S6 Canada); e il Columbia University in New York City of the Felix Augenfeld Architectural Records and Papers, 19101972. Non mi è stato però possibile approfondire la ricerca di tale materiale. Dove non diversamente specificato, gli scritti di Josef Frank sono stati qui tradotti in italiano dalla sottoscritta sulla base dei testi contenuti in Spalt/ Czech 1981 e in parte in fase di pubblicazione nel libro a cura di Giovanni Fraziano, Percorsi accidentali. Scritti e progetti di Josef Frank, Lint, Trieste 2011. In particolare la tesi di dottorato su Leon Battista Alberti non è mai stata pubblicata integralmente neanche in lingua tedesca (alcuni frammenti sono contenuti in Spalt/Czech 1981). Inediti mi risultano anche i testi Modern Architecture e la versione di How to plan a House facente parte del ciclo di lezioni Contemporary Art and Architecture per la New School for Social Research redatta dopo il 1946. Una prima versione invece è comparsa in lingua tedesca in Johannes Spalt, Josef Frank 1885-1967. Möbel & Geräte & Theoretisches, Hochschule für angewandte Kunst, Wien, pp.156-167. Non sono state mai pubblicate neanche le lettere che Josef Frank scrive a Trude Waehner tra il 1938 e il 1966 e che si trovano ora presso il LÖNW. L’intervista di Viktor Matejka a Josef Frank, 12 domande a Josef Frank (Stoccolma, Rindögatan 52, 1965) venne pubblicata in tedesco in “Bauwelt”, n.26 (luglio 1985, pp.1064-1065); mentre l’allegato 3 affermazioni e loro conseguenze in “Die Form”, n. 9, (settembre 1927, pp.289-291). Per quanto riguarda il glossario semperiano sulla tessitura, all’inizio della ricerca avevo intrapreso un lavoro di traduzione del primo volume dedicato al rapporto architettura e tessitura di Der Stil in den technischen und tektonischen Künsten (1860) che esiste come traduzione italiana solamente in versione parziale a cura di A.R. Burelli, C.Cresti, B. Gravagnuolo, F.Tentori (Lo Stile nelle arti tecniche e tettoniche, Laterza, Roma Bari 1992). L’analisi del testo originale in tedesco mi ha permesso di cogliere le sfumature della lingua e le profonde analogie di significato fra alcuni termini tessili utilizzati anche in architettura. 21 Ringraziamenti Oltre alle istituzioni e biblioteche sopracitate, colgo qui l’occasione per ringraziare tutte quelle persone che hanno reso possibile questa ricerca: il mio relatore prof. Giovanni Fraziano per avermi fatto scoprire questo “piccolo mondo in miniatura” che avvolge il pensiero di Josef Frank, e per la sua disponibilità e cura con cui mi ha accompagnato in questo percorso accidentale; Iris Meder e Tano Bojankin, che ho incontrato di persona a Vienna, per il loro prezioso aiuto nella ricerca dei documenti presso i vari archivi e per le piacevoli conversazioni attorno alla figura dell’architetto viennese. In particolare Iris Meder è stata inoltre così gentile da donarmi alcune sue fotografie di Casa Bunzl; prof.Hermann Czech con il quale ho potuto direttamente discorrere a Vienna attorno al mio tema di ricerca e che mi ha fatto conoscere l’articolo di Stephen Atkinson sulla casa di Josephine Baker progettata da Adolf Loos; Ralf Bock, autore del libro Adolf Loos, opere e progetti (Skira 2007) che mi ha informata sullo stato attuale di Casa Moller e Casa Rufer di Loos e mi ha fornito i recapiti di Oliver Schreiber del Bundesdenkmalamt, il quale a sua volta mi ha messo gentilmente in contatto con i proprietaria di Villa Beer, che qui ringrazio in modo particolare. E’ stata infatti Susanne Stromayer a permettermi di poter visitare di persona per un’intera mattinata la casa sulla Wenzgasse che attualmente si trova in fase di restauro; prof.Christopher Long, direttore dell’Architectural History Program presso la School of Architecture dell’Università di Austin, Texas e autore del volume Josef Frank (University of Chicago Press, Chicago 2002). Oltre a rispondere ad alcune mie domande, mi ha fornito i recapiti di Iris Meder e si è offerto di introdurmi nei confronti di Kristina WängbergEriksson la quale a sua volta mi ha generosamente 22 spedito copia dei capitoli How to plan a House e Modern Architecture facenti parte di Contemporary Art and Architecture redatti dopo il 1946 e ora conservati presso l’Arkitekturmuseet di Stoccolma. Per quanto riguarda i mobili e gli arredi di Adolf Loos e Josef Frank, ho ricevuto preziose informazioni da parte di Dr.Eva B. Ottilinger e l’Hofmobiliendepot; e Dr. Sebastian Hackenschmidt della sezione Möbel und Holzarbeiten del MAK. Ringrazio inoltre Silvia Herkt che mi ha permesso di consultare i numerosi documenti e pubblicazioni conservati presso la Sammlung Oskar-Kokoschka della Universität für angewandte Kunst Wien; Dr. Markus Kristan, curatore dell’Architektursammlung presso l’Albertina di Vienna, per avermi informato riguardo ai documenti in esso contenuti; Dr. Hans Hrusa e Robert Würzl della Technische Universität Wien per avermi guidato nelle ricerche presso la biblioteca dell’Università; Mag. Martin Wedl dell’Österreichisches Literaturarchiv der Österreichischen Nationalbibliothek di Vienna che mi ha messo a disposizione le lettere di Josef Frank a Trude Waehner; Monica Platzer dell’Architektur Zentrum Wien; Torun Warne dell’Arkitekturmuseet di Stoccolma. Un grazie speciale ai miei genitori, ma anche ai familiari e amici che mi hanno appoggiato ed incoraggiato in tutti questi anni. alle persone care Louise Bourgeois, Pregnant woman, 2007, Xavier Hufkens, Bruxelles dalla piaga . alla piega : considerazioni sull’ABITARE dalla piaga alla piega Rannicchiarsi negli spazi a m a t i “A MO IL LEGNO LACCATO SOPRATTUTTO QUANDO TENGO IN MANO UNA CIOTOLA DI BRODO CALDO. NE AMO IL PESO; NE AMO IL TEPORE. COSÌ TENERA È LA SENSAZIONE, CHE MI SEMBRA DI SOSTENERE IL CORPICINO DI UN NEONATO. NON È UN CASO CHE LA MINESTRA SI SERVA ANCORA NELLE CIOTOLE DI LEGNO LACCATO: ESSE HANNO VIRTÙ CHE MANCANO A QUELLE DI CERAMICA O PORCELLANA. TROPPO PRESTO IL BRODO SERVITO IN UNA TAZZA DI PORCELLANA BIANCA SVELA I SUOI SEGRETI. SOLLEVATO IL COPERCHIETTO, SI SA SUBITO CHE COLORE HA IL LIQUIDO E CHE COSA CONTIENE. È COSA STRAORDINARIAMENTE BELLA, INVECE, SOLLEVARE IL COPERCHIO DI UNA CIOTOLA IN LEGNO LACCATO; MENTRE CI ACCINGIAMO AD ACCOSTARLA ALLA BOCCA, CONTEMPLIAMO PER UN ISTANTE IL BRODO, CHE HA UNA SFUMATURA NON MOLTO DIVERSA DA QUELLA DEL RECIPIENTE, STAGNARE NELL’OSCURITÀ IMPENETRABILE DEL FONDO. DIFFICILE CAPIRE COSA SI TROVI LAGGIÙ. LE MANI CHE TENGONO LA CIOTOLA SENTONO L’AGITARSI QUASI IMPERCETTIBILE DEL LIQUIDO. GOCCIOLE MINUTISSIME IMPERLANO L’ORLO DEL RECIPIENTE. ATTRAVERSO IL VAPORE, ABBIAMO UN VAGO PRESENTIMENTO DEL CIBO: ESSO SI ANNUNZIA A NOI, PRIMA DI TOCCARE IL PALATO. UNA EMOZIONE COSÌ PROFONDA, E INTIMA, CERTO NON PUÒ ESSERE PARAGONATA A CIÒ CHE SI PROVA DAVANTI A UN BRODO SERVITO IN UN PIATTO DI BIANCA PORCELLANA OCCIDENTALE. V’È QUALCOSA DI MISTICO E, FORSE, UN ZINZINO DI ZEN. […] OGNI VOLTA MI SENTO COLMO DI UNA GIOIA ESTATICA.1 Friedrich Kiesler dentro al Bucephalus, 1964-65 “ La ciotola di legno descritta da Tanizaki nel suo Libro d’ombra non è fisicamente un oggetto architettonico eppure concettualmente fa parte dell’abitare, è un’abitazione, poiché “porta con sé quella domesticazione dello spazio che colleghiamo alla capacità dell’architettura di creare spazi”2, spazi che sono sempre dei pieni, anche quando sono vuoti. La ciotola, come ha detto Pallasmaa a proposito dell’Architettura, “porta il mondo a un contatto col corpo estremamente intimo”3. Essa – ruvida e calda al tatto a differenza di quelle in porcellana lisce e fredde - ha il potere di amplificare certe sensazioni del nostro corpo elevandole a quel “qualcosa di mistico” che caratterizza l’atto della scoperta del brodo: è attraverso il con-tatto con la ciotola che sentiamo tra le mani il suo peso e il suo tepore; che intravediamo “l’oscurità impenetrabile” al suo interno; che percepiamo “le minutissime goccioline” di vapore sulla pelle; che gustiamo e odoriamo il profumo del brodo. Tuttavia si tratta di sensazioni che non vengono mai svelate del tutto, che rimangono nascoste dal coperchietto nell’ ”oscurità impenetrabile del fondo”, vagamente presentite, “annunziate”, che mantengono quindi il fascino del mistero, del segreto mai completamente confessato, del magico, del straordinario. E l’architettura si presenta con la stessa pienezza esperienziale della ciotola di minestra: ci porta nella dimensione del sacro, intendendo con sacro non la sfera religiosa, ma - come ha detto James Turrell - “qualcosa che nessun prete ti potrà mai spiegare perché è un sentimento più primitivo legato a quello che si prova quando si percepisce qualcosa per la prima volta”4. La ciotola di legno, come tutte le cose wabi-sabi5, “evoca forze primordiali Hon’ami, ciotola per il tè Seppò, inizio XVII secolo 27 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega […] sensazioni trascendentali”, “ci costringe a meditare sulla nostra stessa mortalità”6. Infatti Il wabi-sabi rappresenta l’opposto dell’ideale occidentale di bellezza intesa come qualcosa di monumentale, di spettacolare, di duraturo. Le cose wabi-sabi sono palesemente vulnerabili, interessano gli aspetti minori e nascosti, temporanei ed effimeri, sfumati ed evanescenti, mostrano i segni del tempo, raccontano l’usura e le imperfezioni di cui sono stati oggetto. Sono pieni dei dettagli della vita quotidiana, del vissuto. Per sperimentarne l’essenza “bisogna [quindi] rallentare il ritmo, essere pazienti e guardare molto da vicino”7 come fa “l’uomo con la lente” dato che “tutte le cose piccole richiedono lentezza”8. La ciotola e le cose wabi-sabi potrebbero allora essere aggiunte all’elenco di quegli “spazi amati” di cui parla Gaston Bachelard (1884-1962) in La poetica dello spazio, in cui si sofferma a riflettere su quelli che chiama “immagini molto semplici, immagini dello spazio felice9”: la casa, la camera, il nido e il guscio, l’angolo, la cassapanca, il cassetto e l’armadio, la miniatura, il rotondo. Luoghi piccoli e raccolti, che ci fanno cenno di avvicinarci, di toccarli, di entrare in relazione con loro perché sono i contenitori in cui riponiamo i nostri ricordi, gli oggetti che hanno per noi un valore affettivo e per questo così preziosi, così familiari, “amati”, perché “bisogna amare lo spazio per descriverlo tanto minuziosamente”10. “Nella miniatura – scrive infatti Bachelard – i valori si condensano e si arricchiscono. Non è sufficiente una dialettica del grande e del piccolo per conoscere le virtù dinamiche della miniatura […]. Essa attiva valori profondi”11. “Ogni poeta dei mobili […] sa d’istinto che lo spazio all’interno del vecchio armadio[/cassetto/cassapanca] è profondo. Lo spazio interno dell’armadio è uno spazio di intimità, uno spazio che non si apre davanti a chiunque. […] Nell’armadio vive un centro di ordine che protegge tutta la casa contro un disordine senza limite. Lì regna l’ordine, o, Wolfango, Il cassetto, 1976-77. Acrilico su tela. Adolf Loos, disegno del 1898 che mostra un progetto per una chiesa da costruirsi presso la Reichsbücke a Vienna e un baule: entrambi contengono qualcosa di prezioso, di sacro. Adolf Loos Archiv, GSA, Vienna Inv.2309, Kat.5 28 Vincent Van Gogh, Il casolare, 1885, Eijksmuseum Vincent Van Gogh, Amsterdam piuttosto, lì l’ordine è un regno. Esso non è poi semplicemente geometrico, ma si richiama spesso alla storia della famiglia”12. “Quando [l’armadio o] il cofanetto si chiude, viene restituito alla comunità degli oggetti e prende il suo posto nello spazio esterno. […] ma, nel momento in cui il cofanetto si apre, la dialettica [dentro-fuori] cessa. Il fuori è cancellato d’un tratto e tutto è preda della novità, della sorpresa, dello sconosciuto. […] si è appena aperta una dimensione: la dimensione dell’intimità. […] Si apre il mobile e lo si scopre come dimora. Una casa è nascosta in un cofanetto”13. “Il grande [infatti] viene fuori dal piccolo, non per la legge logica di una dialettica degli opposti, ma grazie alla liberazione da ogni obbligo di dimensioni, liberazione che è la caratteristica stessa dell’attività di immaginazione. […] L’uomo con la lente non è qui il vecchio che vuole ancora leggere il suo giornale, sebbene i suoi occhi siano stanchi di vedere. L’uomo con la lente prende il Mondo come una novità. […] La lente di ingrandimento del botanico è l’infanzia ritrovata, infanzia che ridona al botanico lo sguardo ampliante del bambino. Così il minuscolo, porta stretta per eccellenza, apre un mondo. Il dettaglio di una cosa può essere il segno di un mondo nuovo, di un mondo che, come tutti i mondi, contiene gli attributi della grandezza. La miniatura è una delle abitazioni della grandezza”14 o, per meglio dire, del grandioso. L’architetto tedesco Gottfried Semper spiega infatti così la distinzione tra grandioso e grande: “nel tempio antico l’uomo diventa piccolo perché il tempio è destinato a qualcosa di più grandioso dell’uomo. Nella cattedrale il tempio sembra grande perché l’uomo è piccolo”. Mentre il grande è un’entità geometrica, “il grandioso non ha parametro”15, esso evoca il “sentimento del rifugio”. Nei Fragments d’un journal intime di Rilke ci imbattiamo in una scena simile: il poeta e due suoi amici scorgono nella notte profonda “la finestra illuminata di una lontana capanna, l’ultima capanna, quella tutta sola 29 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega all’orizzonte davanti ai campi ed alle paludi”. L’immagine di quella piccola luce in lontananza che simboleggia il focolare domestico, il cuore di una casa, scuote l’animo dei tre uomini che improvvisamente si rendono conto di far parte di un qualcosa di più grandioso di loro: “rimanevano tre solitari che guardavano la notte per la prima volta”16. Intorno agli spazi amati si “raduna l’universo. […] Ricchezze cosmiche [sono raccolte] in un minuscolo cofanetto. […] In esso si trovano le cose indimenticabili […] II passato, il presente, un avvenire sono condensati lì”17. COSÌ DESCRIVE PEREC IL QUADRO “SAN GIROLAMO NEL SUO STUDIO” DI ANTONELLO DA MESSINA: “LO SPAZIO “L’essere che riceve il sentimento del rifugio, si stringe su se stesso, si ritira, si rannicchia, si nasconde, si cela”18. Negli spazi amati allora “diventiamo tutti piccoli”, essi ricevono la loro “verità dall’intensità della [loro] essenza, l’essenza del verbo abitare”, in questi luoghi “si rumina INTERO S’ORGANIZZA INTORNO A QUESTO MOBILE E IL MOBILE INTERO S’ORGANIZZA INTORNO AL LIBRO: L’ARCHITETTURA GLACIALE DELLA CHIESA LA NUDITÀ DELLE PIASTRELLE, L’OSTILITÀ DEI PILASTRI primitività”19, una sacralità cosmica: qui, pur restando “soli (ALLein)”, non E DEL LEONE SI ANNULLA …: AL ci sentiamo mai “isolati (EINsam)” poiché siamo “legati (verBUNDEN)”20 con il mondo che ci raccoglie e protegge. CENTRO DELL’INABITABILE, IL MOBILE DEFINISCE UNO SPAZIO ADDOMESTICATO “Felice [allora] il bambino che ha posseduto, veramente posseduto, le CHE I GATTI, I LIBRI, E GLI UOMINI ABITANO sue solitudini!”21 perché “solo chi ha saputo rannicchiarsi sa abitare con intensità”22. “Chiunque possieda un gatto vi dirà a ragione che i gatti abitano le case molto meglio degli uomini. Persino negli spazi più terribilmente quadrati sanno trovare dei cantucci propizi”23. “Ogni angolo in una casa, ogni cantone in una camera, ogni spazio ridotto in cui piace andare a rannicchiarsi, a raccogliersi su se stessi, è per l’immaginazione, una solitudine, vale a dire […] il germe di una casa”24. Secondo Bachelard, persino “l’ombra è un’abitazione”25 . “Negli angolini ritroviamo il riposo, la pace, il ritorno all’infanzia: tutti i luoghi del riposo [, tutti gli spazi amati] sono materni”26. Tornando allora alla ciotola di legno descritta da Tanizaki, il brodo nell’oscurità impenetrabile del fondo è un riferimento al liquido amniotico e all’embrione che si “agita quasi impercettibilmente” al suo interno, quindi alla vita. Al tempo stesso però la ciotola è a sua volta delicata e preziosa come il “corpicino di un neonato” sorretto dalle mani di una madre che ne preserva il calore vitale. Il riferimento alle mani e alla bocca ci riportano alla mente il gesto affettuoso e il “prendersi cura” – come direbbe Heidegger27 – della madre che accarezza e bacia il proprio bambino: “amo il legno laccato […] ne amo il peso; ne amo il tepore”. Ci troviamo dunque di fronte ad un oggetto – o per meglio dire ad un corpo - che contiene un altro corpo, e che a sua volta è incluso in un altro G.Perec, Specie di spazi, 1989, pp.105-106 “Se ci si sottomette alla forza ipnotica di queste espressioni, ecco che ci si colloca completamente nella rotondità dell’essere, che si vive nella rotondità dell’essere come la noce che si arrotonda nel suo guscio. […] Diremo allora, das Dasein ist rund, l’essere è rotondo. Ma questo non significa che necessariamente [la nostra casa] debba essere di forma geometrica rotonda: la sfera del geometra [infatti] è una sfera vuota”29, mentre “per i grandi sognatori di angoli, di buchi, niente è vuoto”. Così come per il piccolo e il grande, “la dialettica del pieno e del vuoto non corrisponde che a due irrealtà geometriche. La funzione di abitare congiunge il pieno ed il vuoto: un essere vivente riempie un rifugio vuoto e le immagini abitano, tutti gli angoli sono affollati”30, così come “tutti gli armadi sono pieni”31. La casa archetipa è concettualmente rotonda, un grembo materno, fondo “anche il nostro [stesso] corpo è un nascondiglio”32. macrocosmi. Per questo Bachelard include anche l’immagine del rotondo tra gli “spazi ritiene ben nascosto quando ci rifugiamo in un angolo. […] l’angolo è la amati”: “Il grido rotondo dell’essere rotondo arrotonda a cupola il cielo. casa dell’essere”33 e a sua volta la casa è “il nostro angolo del mondo, e, E, nel paesaggio arrotondato, tutto sembra riposare. L’essere rotondo come è stato spesso ripetuto, il nostro primo universo. Essa è davvero un propaga la sua rotondità, propaga la calma di ogni rotondità” . cosmo”34, “la casa è una grande culla”35. 28 Niki de Sainte Phalle, Hon/Elle, Moderna Museet di Stoccolma, 1966 potenzialmente sempre pieno, che ci accoglie e protegge mettendoci al tempo stesso in relazione con il cosmo attraverso il cordone ombelicale. In Ci rendiamo allora conto che tra il corpo, la casa e il cosmo esiste un profondo ed intimo legame, un’inscindibile unità. “Una camera immaginaria si costruisce intorno al nostro corpo che si corpo ancora: contenitore che si fa contenuto, microcosmi entro 30 SERENAMENTE. 31 dalla piaga alla piega Dal portone del Duomo di Palermo (fotografia: Christina Kruml) 32 dalla piaga alla piega Lo dice anche Joseph Rykwert quando descrive così la prima casa dell’uomo, la “Casa di Adamo in Paradiso”: “non era intesa come un semplice riparo contro il maltempo o […] per provvedere alla delimitazione dello spazio fisico. [...] per la coppia che vi si riparava, era insieme un’immagine dei loro corpi congiunti e un pegno del consenso del mondo alla loro unione. [...] Forniva loro la mediazione tra le intime sensazioni dei loro corpi e il senso del grande mondo inesplorato tutto intorno. […] Era pertanto, insieme, un’immagine del corpo degli occupanti e una guida, un modello del significato del mondo”36. E Mircea Eliade scrive: “La casa è allo stesso tempo imago mundi e l’immagine del corpo umano”. Nella casa il corpo “si cosmicizza”, riproduce cioè “su scala umana, il sistema dei condizionamenti reciproci e dei ritmi che caratterizza e costituisce un “mondo” e in definitiva determina tutto l’universo”. E più avanti aggiunge “si abita un corpo come si abita una casa o il Cosmo”37. “Un’immensa casa cosmica si trova in potenza in ogni sogno di casa. Dal suo canto si irradiano i venti, dalle sue finestre volano via i gabbiani. Una casa a tal punto dinamica permette al poeta di abitare l’universo, o, per dirla in altro modo, l’universo viene ad abitare la sua casa”38, dove la casa e l’universo non sono semplicemente due spazi giustapposti, ma si animano reciprocamente a tal punto da diventare umani: “la casa lottava coraggiosamente. Improvvisamente si lamentò: poderosissimi soffi la attaccarono da ogni lato con odio distinto e con tali ululati rabbiosi che, a tratti, rabbrividivo di paura. Ma essa tenne duro. Fin dall’inizio della tempesta, venti ringhiosi se l’erano presa col tetto, tentando di strapparlo, di rompergli la schiena, di farlo a pezzi, di aspirarlo. Esso invece incurvò la schiena e si aggrappò alla vecchia ossatura. Allora sopraggiunsero altri venti, e, avventandosi rasente il suolo, piombarono contro i muri. Sotto l’urto impetuoso tutto sembrò cedere, ma la casa flessibile, dopo essersi piegata, riuscì a resistere alla belva. Essa era certamente collegata al suolo dell’isola con radici infrangibili, donde proveniva una forza soprannaturale alle sue sottili pareti di canne arricciate e di tavole. Fu inutile insultare gli scuri e le porte, pronunciare inaudite minacce, strepitare nel camino: l’essere già umano in cui riparavo il mio corpo non cedette in nulla alla tempesta. La casa si strinse a me, come una lupa, ed a tratti io sentivo il suo odore scendermi maternamente fino al cuore. Essa fu davvero mia madre, quella notte. […] Una tale casa chiama l’uomo ad un eroismo cosmico, è strumento per affrontare il cosmo”39. Viene alla mente l’immagine bachelardiana della chiesa di Notre Dame de Paris che viene a stringersi attorno al suo abitante Quasimodo a tal punto da costituire con esso un’unità: “Per Quasimodo la cattedrale era stata successivamente l’uovo, il nido, la casa, la patria, l’universo. Si potrebbe quasi dire che ne avesse assunta la forma come la chiocciola prende la forma del suo guscio. Era la sua dimora, il suo buco, il suo involucro. […] Egli vi aderiva in qualche modo come la tartaruga alle sue scaglie. La rugosa cattedrale era il suo carapace”40. Analogamente “lo strumento che impone al nido la forma circolare altro non è se non il corpo dell’uccello: girandosi costantemente e comprimendo il muro da ogni parte, l’uccello arriva a formare quel cerchio”. La sua casa è “costruita dal corpo, per il corpo, suscettibile di prendere dall’interno la propria forma, come un guscio, in una intimità che lavora fisicamente. […] La casa è la persona stessa, la sua forma ed il suo sforzo più immediato, quasi la sua sofferenza”41. “Se l’abitazione [allora] venisse lavorata alla maniera in cui Michelet pensa al suo nido, non si indosserebbe un vestito fatto in serie […], ma si avrebbe la casa personale, il nido del nostro corpo rivestito a nostra misura”42. Per questo il vestito può essere considerato “una casa-contenitore del corpo o un guscio che l’avvolge e protegge, per cui a sua volta la casa è pensabile come vestito del corpo, facendo emergere la stretta relazione che intercorre tra [ornamento del] corpo e [ornamento in] architettura”43. William Dieterle, The Hunchback of Notre Dame, film del 1939 “PERCHÉ ESISTONO COSÌ TANTE PERSONE CHE SI LASCIANO REALIZZARE IL NIDO “DIVENTA IN UN ISTANTE IL CENTRO DI UN UNIVERSO, IL DATO DI I LORO ABITI SU MISURA, MA NON LE LORO CASE? … INDOSSANO UNA UNA SITUAZIONE COSMICA. SE SOLLEVO CAUTAMENTE UN RAMO, ECCO CASAABITO HAUSKLEID CHE SIGNIFICA LETTERALMENTE ‘ABITO DA CASA’ CHE SCORGO UN UCCELLO CHE STA COVANDO LE UOVA: È UN UCCELLO CHE GIÀ PRONTO INVECE DI FARSELO ADATTARE AL PROPRIO CORPO! E NON SI NON VOLA VIA, FREME SOLTANTO UN PO’ ED IO TREMO DI FARLO TREMARE VERGOGNANO?” …, TORNERÒ DOMANI, OGGI IN ME È UNA GIOIA”. (M.H. Baillie Scott, Häuser und Gärten, 1912) (G.Bachelard, Poetica dello spazio, 1999, pp. 118-120) 33 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega “POSAI UNA GIARA NEL TENNESSEE, F. Kiesler, Shrine of the Book, Gerusalemme 195765: “il santuario sarà come un’anfora. Una vecchia anfora per il vino a doppia curva parabolica. La parabola inferiore, sporgente dallo scavo nella terra – il contenitore, “il recipiente”. La parte superiore della parabola, la parte per versare, il collo aperto, la bocca che esala e inala spazio. Si pensi ad una giara” (F.Kiesler, Inside the Endless House, p.325). Ma il riferimento è anche al seno materno con il suo latte bianco. ED ERA TONDA, SOPRA UN COLLE Note OBBLIGÒ LA SCIATTA SELVA A CIRCONDARE IL COLLE. LA SELVA SORSE ALLA SUA ALTEZZA, ATTORNO ADAGIATA, NON PIÙ SELVAGGIA. LA GIARA ERA TONDA SULLA TERRA E ALTA E BEN PORTANTE IN ARIA. PRESE A DOMINARE TUTTO. (pag. a fianco poesia di W.Stevens, Aneddoto della giara, pubblicato in Harmonium. Poesie 1915-1955, Einaudi, Torino 1994, p. 99, cit. in R. Pogue Harrison, Il dominio dei morti, 2004, p. 22) LA GIARA ERA GRIGIA E SPOGLIA. NON SAPEVA DI CESPO O UCCELLO, COME NIENT’ALTRO IN TENNESSEE”. “L’UTILITÀ DI UNA BROCCA CONSISTE NEL VUOTO NEL QUALE L’ACQUA PUÒ ESSERE VERSATA, E NON NELLA FORMA O NEL MATERIALE DI CUI È FATTA. IL VUOTO È ONNIPOTENTE PERCHÉ CONTIENE OGNI COSA. SOLO NEL VUOTO IL MOVIMENTO È POSSIBILE”. (K. Okakura, Lo zen e la cerimonia del tè, 1997, p. 35) 1 Junichiro Tanizaki, Libro d’ombra, Bompiani, Bologna 2005 (ed.orig. In’ei raisan, 1935), pp. 32-35 2 Robert Pogue Harrison, Il dominio dei morti, Fazi Editore, Roma 2004, p. 22 orig. La poétique de l’espace, Presses Universitaires de France, 19 G. Bachelard, Poetica..., op. cit., p. 60 1957), cap. 7 La miniatura, p.182 20 9 Florentine Sack, Das offene Haus. Für eine neue Architektur, Jovis Verlag, Berlin 2006, p. 21: “wer mit sich allein sein kann Ivi, cap. 1, La casa. Dalla cantina alla soffitta. Significato della capanna, p. 25 und sich eins mit seiner Umgebung fühlt, für den gibt es keinen 10 Ivi, cap. 7 La miniatura, p. 182 11 Grund, sich einsam zu fühlen, wil er nicht isoliert, sondern immer Ivi, p.174 12 verbunden sein wird” (per colui che ha la capacità di stare da solo Ivi, cap. 3, Il cassetto, le cassapanche e gli armadi, p.105 13 e sentirsi tutt’uno con il suo intorno, non c’è ragione di sentirsi Ivi, p.110. 14 perso dato che non sarà mai isolato, ma sempre legato). Si noti Ivi, cap. 7 La miniatura, p.178 15 la differenza tra i due termini tedeschi all-ein, che contiene in sé Venezia il 1 ottobre 2007. Ms 254, foglio 16, in Wolfgang Hermann, Gottfried Semper. il rapporto tra il tutto (all) e l’unità (ein), e ein-sam che invece si 5 Originariamente nella lingua giapponese le parole “wabi” e Architettura e teoria, Electa, Milano 1990 (ed. orig. Basel 1978), riferisce all’essere singolo; mentre la parola ver-bunden deriva “sabi” avevano significati negativi e distinti, l’uno indicante p. 109. Già in Theorie des Formell-Schönen aveva scritto “Una da binden che significa legare e dunque richiama alla mente la i disagi di una vita solitaria lontano dalla società, l’altro differenza fondamentale fra i due canoni, quello greco e quello tessitura, ma anche la corda, e in senso più ampio il cordone riferito a qualcosa di freddo, scarno o avvizzito. Verso il XIV gotico, sta nel fatto che l’uno individua nelle proporzioni ombelicale. secolo il significato dei due termini cominciò ad assumere della figura umana il proprio modello, l’altro il proprio metro 21 una connotazione positiva e l’isolamento dell’eremita venne di misura”. Ms 175, foglio 15, in W.Hermann, op. cit., nota 82 a soffitta. Significato della capanna, pp. 41-44 considerato un’opportunità di arricchimento spirituale con p.110 22 Ivi, p. 29 inclinazioni poetiche. Oggi “wabi” fa riferimento a un cammino 16 23 Georges Perec, Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino 1989 spirituale, all’interiorità, ad eventi spaziali; “sabi” invece a Bachelard, Poetica..., op.cit., cap. 1, La casa. Dalla cantina alla (ed. orig. 1974), p.34 oggetti materiale, all’esteriorità, ad eventi temporali. È tuttavia soffitta. Significato della capanna, p. 64 24 G. Bachelard, Poetica..., op. cit., cap. 6 Gli angoli, pp. 160-161 impossibile darne una definizione chiara ed esplicita poiché 17 25 Ivi, cap. 5 Il guscio, p.156 le sue caratteristiche peculiari sono proprio quelle di essere cassapanche e gli armadi, p.109. 26 G.Bachelard, La terra e il riposo. Le immagini dell’intimità, Red, misterioso, sfuggente, ineffabile. Vedi Leonard Koren, Wabi-Sabi La raduna è un termine che compare anche in Martin Heidegger, Como 1994, pp. 91-115, cit. in Stefano Malpangotti, Gaston per artisti, designer, poeti e filosofi, Ponte delle Grazie, Milano quando in Lettera sull’umanesimo (1946, in Segnavia, Adelphi, Bachelard. Sull’architettura, Testo & Immagine, Roma 2004, p. 51 2002 Milano 1987) parla di una Lichtung che l’uomo incontra nel suo 27 6 L. Koren, op. cit., p.57 “cammino verso il linguaggio”. Vedi G.Vattimo, Introduzione a per una conferenza sull’uomo e lo spazio tenutasi presso la 7 Ivi, p.50 Martin Heidegger, Laterza, Roma-Bari 1981 Facoltà di Architettura dell’Università di Darmstadt nel 1951 e 8 Gaston Bachelard, Poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1999 (tit. 18 Ivi, cap. 4, Il nido, p.116 pubblicato in Saggi e discorsi, Mursia Editore, Milano 1991 3 Juhani Pallasmaa, Gli occhi della pelle, Jaka Book, Milano 2007 (ed. orig. 2005), p. 77 4 Citazione sentita da James Turrell in occasione del suo conferimento della Laurea honoris causa in Architettura del Paesaggio tenutasi presso la Facoltà di Architettura IUAV di 34 R.M. Rilke, Choix de Lettres, ed. Stock, 1934, p.15, cit. in Gaston G. Bachelard, Poetica..., op. cit., cap. 3, Il cassetto, le G.Bachelard, Poetica..., op. cit., cap. 1, La casa. Dalla cantina alla Martin Heidegger, Costruire, abitare, pensare, saggio scritto 28 G. Bachelard, Poetica..., op. cit., cap. 10 la fenomenologia del rotondo, p.255-58 29 Ivi, cap. 10 La fenomenologia del rotondo, p.258 30 Ivi, cap. 6 Gli angoli, p.166 31 Ivi, Introduzione, p. 27 32 G.Bachelard, La terra e il riposo, op. cit., pp. 91-115, in S. Malpangotti, Gaston Bachelard, op. cit., p. 58 33 G. Bachelard, Poetica..., op. cit., cap. 6 Gli angoli, pp. 160-161 34 Ivi, cap. 1, La casa. Dalla cantina alla soffitta. Significato della capanna, p.32 35 Ivi, p.35 36 Joseph Rykwert, La Casa di Adamo in Paradiso, Mondadori, Milano 1977 (ed. orig. 1972), p. 217 37 Mircea Eliade, Sacro e Profano, Bollati Boringhieri, Torino 1984, p. 112 38 Henri Bosco, Malicroix, p.105 e segg., cit. in G. Bachelard, Poetica..., op. cit., cap. 2, La casa e l’universo, p. 77 39 Bachelard qui si rifà al racconto della casa nella tempesta chiamata La Redousse in Henri Bosco, Malacroix. Vedi G. Bachelard, Poetica..., op. cit., cap. 3, La casa e l’universo, pp. 70-75 40 Victor Hugo, Notre Dame de Paris, 1831, cit. in G. Bachelard, Poetica..., op. cit., Capitolo 4 Il nido, p.115 41 J.Michelet, L’oiseau, IV ed, 1858, p.208, cit. in G. Bachelard, Poetica..., op. cit., Capitolo 4 Il nido, p.125. 42 G. Bachelard, Poetica..., op. cit., cap. 4 Il nido, p.126 43 Eleonora. Fiorani, Abitare il corpo: la moda, Lupetti, Milano 2004, p. 16 35 dalla piaga alla piega “O GNI FORMA DI ORNAMENTO È UN’ESPRESSIONE DI GIOCO, CHE PER ESSERE PRODOTTO E GODUTO ABBISOGNA DI TEMPO E QUINDI DI TRANQUILLITÀ. PER QUESTO TUTTI GLI ORNAMENTI DEL PASSATO HANNO UN ECCEZIONALE EFFETTO CALMANTE (SI PENSI AI TAPPETI ORIENTALI PER ESEMPIO), MENTRE TUTTI GLI OGGETTI PRODOTTI INDUSTRIALMENTE FANNO PERCEPIRE IMMEDIATAMENTE E CI TRASMETTONO IL SENSO DELLA FRENETICITÀ CON LA QUALE SONO STATI REALIZZATI”1. MA - SI CHIEDE BACHELARD - “SI HA IL TEMPO, IN QUESTO MONDO, PER AMARE LE COSE, PER VEDERLE DA VICINO, QUANDO GODONO DELLA LORO PICCOLEZZA?”2. FRANK RISPONDEREBBE: “NOI ABBIAMO MOLTO TEMPO E MOLTA POCA CALMA3. “ “CI SONO COSE CHE TI SEGUONO SEMPRE, DOVUNQUE TU VADA PICCOLE COSE, NINNOLI, AMULETI O SEMPLICI SOPRAMMOBILI, OGGETTI UTILI, MATITE, PENNE, GOMME, CHE DIVENTANO, COL PASSARE DEL TEMPO, VERE E PROPRIE PRESENZE, INDISPENSABILI COMPAGNI DI SOSTA”. (M.Belpoliti, Tavolo di notte, in A. Borsari, Georges Perec, 1993, pp.18-19). Sopra Frederic Marès, Museo sentimentale, Barcellona, da G.Bruno, Atlante..., 2002, p.116 Mutazioni transumane che fanno saltare le tradizionali distinzioni dualiste tra organico e inorganico, pelle e intonaco, corpo e architettura. (M.Canevacci Ribeiro, Una stupita fatticità..., 2007, p.53) Il gioco e l’ornamento Che cosa significa esattamente la parola “abitare”? “Siamo alle prese con un fenomeno che ci appartiene troppo intimamente perché sia possibile spiegarlo fino in fondo”4. “Abitare è, in un modo o nell’altro, penetrare nel cuore dell’abitazione, scandagliarne i confini estremi, individuarne i recessi, costruire una laboriosa stratificazione di cose, risorse, certezze, memorie. Prima la cavità architettonica, poi quella dei mobili: l’abitante scava, fruga, colma, ripone o espone, nasconde o porta alla luce, in un incessante andirivieni tra il fondo e la superficie”5. Secondo Galimberti abitare “è sentirsi a casa, ospitati da uno spazio che non ci ignora, tra cose che dicono il nostro vissuto, tra volti che non c’è bisogno di riconoscere perché nel loro sguardo ci sono le tracce dell’ultimo congedo. Abitare è sapere dove deporre l’abito, dove sedere alla mensa, dove incontrare l’altro, dove dire è u-dire, rispondere è cor-rispondere. Abitare è trasfigurare6 le cose, è caricarle di sensi che trascendono la loro pura oggettività, è sottrarle all’anonimia che le trattiene nella loro “insietà”, per restituirle ai nostri gesti “abituali” che consentono al nostro corpo di sentirsi tra le “sue cose, presso di sé”.7 A proposito Remotti8 ci ricorda come nel termine abitare, derivante dal latino habito che a sua volta è un frequentativo di habeo-avere, si inscrive anche l’idea dell’abitudine, della consuetudine, del gesto quotidiano, a sua volta collegato al latino habitus che significa aspetto, forma del corpo, atteggiamento ma anche abito, maniera di vestire. Ma questa “quotidianità fatta di gesti minuti e irriflessi, eppure densi di memorie”, non sono semplicemente frutto della “meccanicità della reiterazione”: l’abitudine ci impone cerimonie e rappresentazioni, innumerevoli mitologie quotidiane, che “si costruisc[ono] in realtà giorno per giorno”9. “Strofinando un vecchio mobile, sentiamo nascere, al di sotto della dolce abitudine domestica, impressioni nuove. La coscienza ringiovanisce tutto. Essa conferisce agli atti più familiari un valore di inizio, domina la memoria. […] crea un nuovo oggetto, accresce la dignità umana di un oggetto, inserisce l’oggetto nello stato civile della casa umana. […] Gli Sophie Calle, The Hotel Room 28, 1981, Tate Gallery, London 37 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega oggetti così accarezzati nascono davvero da una luce intima e si portano ad un livello di realtà più elevato degli oggetti indifferenti, degli oggetti definiti dalla realtà geometrica. [...] Da un oggetto all’altro, nella camera, le cure domestiche tessono legami che uniscono un antichissimo passato al giorno nuovo. La donna di casa risveglia i mobili addormentati. […] Attraverso le cure del ménage, viene resa alla casa non tanto la sua originalità, quanto la sua origine”10. Quando compiamo i nostri gesti abituali non facciamo altro che riproporre in piccolo quella domesticazione dello spazio che l’uomo primitivo cercava trovandosi di fronte al kaos del mondo, prendendo coscienza del suo posto nell’universo e dando un senso al ciclo inevitabile della vita e della morte. Nel Prolegomenon a Der Stil l’architetto tedesco Gottfried Semper parla di un “istinto cosmogonico” che spinge l’uomo, “circondato da un mondo pieno di meraviglie e di forze, la cui legge […] non potrà mai decifrare” a crearsi un piccolo “mondo in miniatura”, in modo “che egli crede di percepire nel singolo (im Einzelnen) l’armonia del tutto (des Ganzes)”11. Essendo “un essere carente (Mangelwesen)” perché mortale, l’uomo è “destinato ad essere un Prometeo che compensa il proprio disadattamento naturale alla natura creando una ‘seconda natura’, la cultura”12. E’ spinto cioè a lasciare un segno a testimonianza della sua presenza nel mondo Antonio Averlino Filarete, Adamo che si ripara il capo dalla pioggia, dal Trattato di architettura, 1461-64. e per questo incide, segna, marchia, separa, scava, non solo sulla terra su cui abita, ma anche sulla propria pelle. Tanto è vero che in greco ordinare, organizzare, adornare si indicano con il termine kosmeso, da cui poi deriva la parola cosmo ma anche cosmetica, mentre in latino si traducono con il termine ord(i)no da cui orno e ornatus e dunque ornamento13. E lo stesso termine cultura deriva dal verbo latino colere che ha il duplice significato di coltivare un campo, da cui poi abitare un luogo, ma anche ornare il corpo: “il corpo viene ornato [con la stessa “cura”14 di] come si coltiva un campo”15. Non a caso Semper fa rientrare tutti gli ornamenti, anche quelli architettonici, nelle tre categorie del pendente, dell’anello e dell’ornamento direzionale, a cui fa corrispondere rispettivamente il principio della simmetria, della proporzione e della direzione16. “L’architettura si è [infatti] sempre servita di una serie di elementi decorativi, sia per mettere in risalto il rapporto armonico tra le varie parti dell’opera, accentuandone 38 modellava sulle possibilità del corpo, e il corpo si orientava nel mondo tramite quella rete di simboli con cui aveva distribuito lo spazio, il tempo e l’ordine del senso. Mai quindi il corpo nella sua isolata singolarità Leni Riefenstahl, People of Kau, 1970 Scarnification da scar, cicatrice. In M.Canevacci, Stupita fatticità, 2007, p.45 [einsam], ma sempre un corpo comunitario, per non dire cosmico, dove avveniva la circolazione dei simboli e dove ogni singolo corpo [allein] trovava, proprio in questa circolazione, non tanto la sua identità, quanto il suo luogo”19, la sua abitazione. Gli amuleti, i gioielli20, i tatuaggi, le cicatrici, le maschere, ecc., erano simboli sociali “mediante i quali i corpi dei primitivi traducevano simbolicamente gli eventi della natura (come la nascita, la morte, la malattia, i fenomeni metereologici,...) in significati culturali”21 segnando e testimoniando i vari passaggi subiti dall’iniziato nei vari riti di iniziazione e dunque la metamorfosi che l’individuo subiva per raggiungere la maturità22. Il loro corpo a procedura ultimata non poteva più essere quello che era in origine, ma doveva subire un profondo cambiamento, morire e rinascere. “La divinità metteva a disposizione il proprio corpo che veniva smembrato, spezzato, sbranato, in modo tale che dai suoi frammenti potessero rinascere i vari elementi dell’universo”23. L’ornamento dunque “trasforma[va] la pelle in tessuto e decorando, la separazione e insieme la reciproca implicazione; sia per esprimere il nesso tra l’opera e l’ambiente circostante, l’universo in cui essa si inserisce; sia infine per illustrare la funzione, lo scopo dell’opera nel suo complesso o nelle singole parti”17. Un tempo infatti l’ornamento faceva parte di una ritualità cosmologica per la quale non esisteva quella distinzione tra anima e corpo, spirito e materia, quale è venuta a crearsi a partire da Platone (mondo delle idee/ mondo della materia) e più ancora con il Cristianesimo (Dio/uomo)18. modifica[va] il corpo nella sua interezza e non solo in superficie”24. Lo stesso termine “tatuaggio” deriva dal vocabolo tahitiano “Tau” che significa sia “disegno battuto” in riferimento al suono prodotto dai primitivi strumenti a percussione durante il rito, ma anche “ferita”25 ed è analogo alla traccia lasciata nel terreno dall’aratro: essi delimitano uno spazio togliendolo dal nulla, dall’infinito, gli attribuiscono una dimensione definendo un recinto. Per l’uomo primitivo, come ci informa Galiberti, “il corpo era il centro primigenio, quello che fondava lo spazio cittadino, che disegnava di quell’irradiazione simbolica per cui il mondo naturale e sociale si l’orizzonte della città; è anche la linea che separa la città dalla campagna, “Per il mondo latino la traccia del vomere è il solco originario, 39 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega “E’ sempre come tomba che si elabora la cultura. La tomba non è altro che il primo monumento umano”31. “Se troviamo un tumulo nella foresta, lungo sei piedi e largo tre, a cui con la vanga è stata data la forma di una piramide, allora diventiamo solenni, e qualcosa ci dice: qui è seppellito qualcuno. Questa è architettura!”32. Gli ornamenti sarebbero perciò in realtà “trópoi di un evento violento che essi ricordano e al tempo stesso nascondono”33, sono “segni primordiali della mortalità umana”34, luoghi privilegiati di manifestazione del simbolico. Attraverso essi l’uomo addomestica lo spazio illimitato e il tempo infinito dando loro una misura umana affinché li possa comprendere e abitare. La stessa operazione viene compiuta dal bambino quando gioca. Egli è ancora capace di vedere le cose come se fosse la prima volta. l’interno dall’esterno. Disegnare con l’aratro il confine significa suggellare il rapporto tra la terra e il cielo. […] La separazione che così si crea non è più solo tra differenti porzioni spaziali, tra luoghi differenti. La frattura che questo primo solco stabilisce per l’uomo investe, partendo dallo spazio, tutti i suoi differenti universi: quello religioso, separando un luogo sacro da un luogo profano; quello temporale, individuando un prima e un dopo; soprattutto introduce una distinzione di carattere morale tra ciò che è “retto” e ciò che è “storto”. E così facendo, indica in maniera decisa una direzione da seguire per rimanere dentro i limiti di una comunità e sotto la sua protezione. […] Vi è in questa prima incisione nella terra il carattere del sacrificio, il germe di una violenza originaria che sembra essere inevitabile e da allora si ripete nel tempo. […] Il vomere che traccia il solco rompe la terra, strappa le radici, sradica tutto ciò che incontra. Roma nasce dal sacrificio, per mano di Romolo, di Remo che per scherno aveva osato varcare, negandolo, il sacro confine appena tracciato”26. George Hersey in Significato nascosto dell’architettura classica, sostiene che in origine anche il tempio, la casa degli dei, era considerato “un assemblaggio di pezzi di corpi, di oggetti e materiali eterogenei, inclusi cibi, accomunati dal legame con la pratica sacrificale. Di tutto ciò, non soltanto l’ornamentazione ma gli stessi elementi tettonici dell’architettura templare rappresentavano un tropo (dal gr. tropé, il rivolgersi verso un’altra direzione), un traslato, una metafora o, più precisamente, un sostituto”27, dove lo stesso tropo per eccellenza, il trofeo in origine serviva a sostituire, e in una certa misura a ricostruire, il corpo dei nemici uccisi e sconfitti, rappresentati attraverso i loro attributi: “l’accrescimento della G.Asplund, S.Lewerentz, The Woodland Cemetery, Enskede, Stoccolma, 1917-40 Gina Pane, Azione sentimentale, 1973 Doris Salcedo, Shibboleth, Tate Gallery, Londra 2007 Gordon Matta-Clark, Splitting House, 1974 40 forza connesso all’atto della incorporazione era fondato sulla credenza magica che in tal modo la forza vitale dell’animale ucciso o del nemico si trasmettesse al vincitore”28. Secondo Johan Huizinga “la cultura sorge in forma ludica, la cultura è dapprima giocata”35. “Tra i primi bisogni della giovane umanità – sostiene Semper - ci sono infatti il gioco e l’ornamento”36, dove l’ornamento “è in effetti un importantissimo fenomeno storico-culturale. Esso è uno dei privilegi dell’uomo, forse il più antico di cui egli abbia fatto uso. Nessun animale si adorna […]. L’ornamento è il primo, fondamentale passo in direzione dell’arte”37. Infatti “le sensazioni che di solito definiamo senso della bellezza, piacere del bello38, godimento estetico, impulso artistico39 ecc. sono, sia pure in una sfera più elevata, analoghe a quegli istinti, piaceri e soddisfacimenti che condizionano il mantenimento della normale vita terrena e che, esattamente considerati, si possono tutti ricondurre ad una pausa temporanea dal dolore, al sollievo, o all’oblio. […] Da questi e altri bisogni, l’uomo è spinto ad aguzzare l’ingegno per soddisfarli”40 e per fare ciò egli prende come riferimento, pur non imitandola, “la legge creativa della natura” in cui egli scopre “la regolarità di periodiche sequenze “L’UOMO PRIMORDIALE TRASCESE LA PROPRIA CONDIZIONE DI BRUTO OFFRENDO LA PRIMA GHIRLANDA ALLA SUA FANCIULLA. ELEVANDOSI AL DI SOPRA DEI BISOGNI NATURALI PRIMITIVI, EGLI SI FECE UMANO”. (K.Okakuro, Lo zen e la cerimonia del tè, 1997, p.67) spazio-temporali”, che ritrova nella ghirlanda, nella collana di perle, negli arabeschi, nella danza eseguita in cerchio, nei suoni ritmici che accompagnano la danza, nel colpo di remo ecc. Così sono nate la musica e l’architettura, le due maggiori arti puramente cosmiche, non imitative, al cui sostegno legislativo nessun’altra arte può rinunciare”41. Già in I principi formali dell’ornamento e il suo significato come simbolo artistico, Semper aveva sostenuto: “la tettonica come arte cosmica forma un’unica triade assieme a musica e danza, le quali, ognuna nel proprio ambito, non sono arti d’imitazione; pur con diversi strumenti di rappresentazione, tutte e tre procedono tuttavia in parallelo; simile è il modo cosmico di concepire il proprio compito, che è quello di dare espressione ideale alla materia. […] L’ideale della tettonica è il cosmo statico, l’ideale della musica invece Non a caso, come ci ricorda Harrison, la parola greca per dire segno – sema quello dinamico. Così come dietro alla statica si nasconde la dinamica, – indica anche tomba29, mentre seppellire in senso più ampio significa immagazzinare, preservare, conservare30. altrettanto in architettura il movimento è latente e fa valere le proprie leggi”. Dall’intimo legame tra queste due arti “derivano quei termini come 41 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega armonia, simmetria, analogia, euritmia e ritmo, che designano certi caratteri della bellezza e che ricorrono identici nelle due arti”42. “Nella distinzione fra ordine e disordine che si chiama ritmo e armonia. […] viene dunque stabilito, con la massima evidenza, il rapporto immediato fra gioco e musica”43. Non a caso spielen in tedesco significa sia giocare che suonare uno strumento. Come pausa temporanea dal dolore, il gioco e l’ornamento “allentano la pressione della realtà, decomprimono e alleggeriscono le cose, producono un atteggiamento svincolato e la possibilità di muoversi”44, di danzare. Gli ornamenti infatti, così come gli abiti, costituiscono delle estensioni del corpo attraverso le quali “le nostre percezioni visive e tattili, vengono prolungate fuori di noi ottenendone così un accrescimento”45. Henri Matisse, La danse, Museum of Modern Art, New York, 1909 “LA REALTÀ SOSPESA DAL GIOCO, SOLLEVATA GRAZIE A QUELLA SPECIE DI FERMAGLI CHE SONO LE VIRGOLETTE, STESA AD ASCIUGARE SI DIREBBE COME SI FA COL BUCATO, È ANCORA VICINA MA È STATA ALLONTANATA, E QUESTA CURIOSA SOSPENSIONE PUÒ DIVENTARE LO SPAZIO DI CUI ABBIAMO BISOGNO PER MUOVERCI”. (P.A.Rovatti, D. Zoletto, La scuola dei giochi, 2005 p.36) 42 Tuttavia “nessuno che si occupi seriamente di gioco, e sappia davvero giocare, si sognerebbe di considerare il gioco qualcosa di poco serio”46. “Il gioco in sé non è comico […]. Il comico è strettamente legato alla follia. Il gioco però non è folle”47. “Il gioco oltrepassa i limiti dell’attività puramente biologica; è una funzione che contiene un senso […], che significa qualcosa”48. Come una musica o una danza, il gioco “permane nel ricordo come una creazione o un tesoro dello spirito, è tramandato, e può essere ripetuto in qualunque momento”49. Ha dunque – come l’ornamento - il carattere del rito, del racconto e a sua volta ogni cosa che viene tramandata è sempre poesia: “ il mito sorge unitamente alla poesia nella sfera del gioco, e la fede dell’uomo selvaggio, come la sua vita tutta, è situata in quella sfera più che per metà”50. “Si suol esprimere in poesia [infatti] quel che è sacro o solenne”51, la poesia “è un gioco consacrato”52. “Non appena il mito diventa letteratura, non appena viene retto cioè in uno schema tradizionale fissato da elementi culturali” rigidi e fissi, il racconto perde il suo carattere ludico-poetico, e quindi il suo carattere sacro, quella “sfera immaginativa” 53 propria dell’uomo selvaggio e del bambino. “Mentre religione, scienza, diritto, guerra e politica, in forme più finemente organizzate di vita sociale, sembrano [così] perdere via via i loro contatti col gioco che furono così vivi e pieni in stadi primitivi di cultura, il poetare invece, nato nella sfera ludica, non se ne allontanerà mai definitivamente. Poiesis è una funzione ludica”54. Per questo Bachelard per descrivere gli spazi amati in cui viene voglia di rannicchiarsi, parla di Poetica dello spazio e usa il termine réverie e non metafora: mentre la metafora infatti è “un’espressione effimera priva di radici profonde” in cui immagine e significato sono due cose separate, nella réverie queste sono una cosa sola. Nella metafora l’immagine rischia col tempo di perdere il proprio significato originario per diventare una vuota raffigurazione, “indifferente: segno fra segni”55; nella poesia invece la parola è eternamente valida, è sempre simbolo, sempre archetipo: “l’immagine poetica ci riporta all’origine dell’essere parlante”56. Analogamente Bachelard parla di retissement e non di semplice risonanza: il linguaggio del poeta non viene solo imitato passivamente, ma compreso ed interpretato: “l’essere del poeta diventa nostro. […] L’immagine [poetica] ha toccato la profondità prima di smuovere la superficie”57. Così come l’ornamento “modifica il corpo nella sua interezza”, il gioco, essendo poetico, provoca un cambiamento d’essere. Giocando il bambino crea un piccolo mondo in miniatura, trasfigura le cose caricandole di senso e sottraendole all’anonimia, attribuisce loro una misura umana, la propria misura. Egli perciò non imita la realtà, ma la reinterpreta e così facendo ne crea una nuova. Non finge, ma è. Riprendendo una citazione da un romanzo di Hughes, Bachelard scrive: “Emily aveva giocato a farsi una casa in un angolino proprio della parte anteriore dell’imbarcazione. […] Stanca di quel gioco, camminava senza meta all’indietro quando le si presentò d’un tratto il folgorante pensiero che lei era lei”. La scoperta di essere sé stessa viene trovata uscendo da casa propria, esplorato il vasto universo rappresentato dal battello in mezzo al mare, e rientrando nel suo piccolo mondo in miniatura: “rientrare in casa, vale a dire rientrare in se stessa […] qui la favola dell’essere è solidale con un gioco della spazialità”58. “Infatti il giocare – secondo Rovatti - non è un semplice star dentro al gioco, ma un modo assolutamente peculiare, di entrare e di uscire. […] Giocare è essenzialmente questa esperienza dell’essere [contemporaneamente] dentro e fuori”. “E’ il libero apprendimento della capacità di saltare da una cornice all’altra […] di creare una distanza dalla realtà”59. Tuttavia “questo saltellare avanti e indietro, che sembra un gioco da ragazzi, in realtà è un gioco rischioso. Richiede agilità”60. E’ “un esercizio di equilibrio, l’abilità di stare sulla linea o di trattenersi su quella soglia, a volte sottilissima, che separa il gioco dalla realtà comunemente intesa”61. Il gioco e l’ornamento hanno dunque a che fare propriamente con questa “capacità di lasciar spazio”62, sono “produttori di spazio”: in essi “viene incuneandosi a mano a mano il senso di un atto sacro”63 analogo all’incidere un solco sul terreno con l’aratro o lasciare un segno sulla propria pelle: “entro gli spazi destinati al gioco, [al rito, alla danza], domina “COLUI CHE AVEVA CONOSCIUTO IL MARE PROFONDO NON POTEVA PIÙ RIDIVENTARE UN UOMO COME GLI ALTRI. E’ IN MOMENTI COME QUESTI IN MEZZO AL DESERTO CHE NE HO LA PROVA, PERCHÉ MI SONO ACCORTO CHE MENTALMENTE, CAMMINANDO, RIEMPIVO DI ACQUA LA BELLEZZA DEL DESERTO! … VIVEVO IN UNA IMMERSIONE INVENTATA. MI SPOSTAVO AL CENTRO DI UNA MATERIA FLUIDA, LUMINOSA, SOCCORREVOLE, DENSA”. (Ph.Diolé, Le plus beau désert du monde, cit. in G.Bachelard, Poetica dello spazio, ed. 1999 p.222) 43 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega un ordine proprio e assoluto. […] esso crea un ordine, è ordine. Realizza nel mondo imperfetto e nella vita confusa una perfezione temporanea, limitata”64. La scacchiera, il campo, il tabellone, il cerchio magico, rimandono allora all’archetipo del recinto, all’idea di essere compresi in un’ordine cosmico. Lucchino Gargano, Il novo et piacevole gioco dell’ocha, British Museum, 1598 44 D’altra parte “non è forse [anche] un tessuto, anzitutto, una costellazione di segni, e non è un tappeto una originaria delimitazione dello spazio?”65. Come infatti ci fa notare Sergio Bettini in Poetica [!] del tappeto orientale, anche se solitamente consideriamo e adoperiamo il tappeto come un semplice oggetto di arredamento, in realtà in origine esso “è insieme casa e tempio, luogo di rifugio e luogo di preghiera”. Nel tappeto lo spazio “è il tappeto stesso, nel quale, infatti, come in una casa, si entra”66. “Un uso qual è quello che noi occidentali facciamo nelle nostre case dei tappeti, sarebbe oltraggioso per i persiani di vecchio stampo: i quali per esempio non entrano in un tappeto, senza togliersi le scarpe, non per non consumare il tessuto, che è resistentissimo; ma per dignità e rispetto verso ciò che il tappeto significa”67. “A casa mia ho un vecchio tappeto persiano […] ad una sola delle estremità, che è poi asimmetrica rispetto all’altra, c’è un curioso gruppo di piccole figure […] quell’estremità era per così dire la porta d’entrata del tappeto, e quei curiosi disegni che si trovavano lì sulla soglia, e soltanto lì, intendevano difendere dai pericoli del mondo esterno la vita e la felicità di chi superasse quella soglia ed entrasse nel tappeto”68. “Il bordo, quella sorta di cornice, semplice o molteplice, che lo limita tutto intorno, indica appunto la recinzione di questo spazio, la sua chiusura”, la delimitazione dello spazio sacro-intimo da quello profano-pubblico. “Entro questo limite, la trama di fondo precisa ed articola la forma dello spazio; mentre il disegno, che viene intrecciato in essa, dà forma al tempo. Il rapporto tra le due fasi, per così dire: campo e disegno, non è rapporto tra due elementi autonomi, giustapposti o sovrapposti; ma rapporto di reciproca, indissolubile compenetrazione”69. Intrecciare i fili di un tappeto persiano antico significava compire un rituale, raccontare una storia, ad ogni colore corrispondeva un significato simbolico: “la porpora significa potere, il bianco purezza e pace, il rosso felicità e sincerità, il nero distruzione e rivolta, il verde resurrezione e rinascita, il giallo grandezza e ricchezza, l’arancio devozione e fedeltà, l’azzurro meditazione e silenzio, spesso anche lutto. […] Ma questa simbologia, ancora generica, dei colori, si accentua poi, si precisa nei singoli disegni […]: essi non sono affatto rappresentativi e nemmeno decorativi: raccolgono il senso delle vicende della natura e della vita umana, delle opere e dei giorni: ognun d’essi ha così il suo significato Tappeto susandschird di Graf (Karabacek tav.2), da A.Riegl, Antichi tappeti orientali, 1999, XXVII nell’ordine dell’esistenza. Quei segni che a noi sembrano soltanto motivi geometrici, [in realtà] sono insieme figura e simbolo”70, Non a caso Gottfried Semper ritiene il nodo - “la misura più piccola del tappeto”71 - come “il simbolo tettonico più antico […] l’espressione per la prima idea cosmogonica che nacque presso i popoli primitivi”72. Lo stesso verbo syn-ballein, secondo la sua etimologia greca, significa mettere insieme, ri-unire elementi precedentemente separati, ed è un atto che si contrappone perciò all’azione diabolica il cui fine è invece quello di separare, dis-unire. Il symbolon “incolla la frattura. E tale frattura è percepita come originaria. Per questo al simbolo si affida la grazia di essere autentico: esso ha la sua legittimazione in un passato antichissimo che potrebbe addirittura configurarsi come archetipo. […] Per questo il simbolo è intrinsecamente re-ligioso”73 (non nel senso istituzionale, ma in quello etimologico di legare). “Scoprire, attraverso il risalimento verso un passato immemoriale, forme archetipe di produzione, riporta allo stupore originario che attiva la mitopoiesi, apre al culto e conferisce alla creazione un carattere re-ligioso. […] In origine tutto è simbolo” 74. “CI ERAVAMO FERMATI DAVANTI AD UNA BOTTEGA, UNA SPECIE DI ANTRO, DOVE SI SENTIVA CANTARE. … E TRA UN MARE DI TAPPETI STESI L’UNO SULL’ALTRO, A BLOCCHI, A PIRAMIDI, A PILE CHE RAGGIUNGEVANO QUASI IL SOFFITTO, VIDI UNA VENTINA DI DONNE … DAVANTI A UN ENORME TELAIO DI LEGNO DOVE ERA TESSUTA UNA TRAMA FITTISSIMA E MINUZIOSA .... LE MANI DELLE DONNE PRENDEVANO DALLA MATASSA ORA UN FILO DI LANA ROSSA, ORA UN FILO DI LANA NERA, ORA UN FILO DI LANA VERDE, LO PASSAVANO, UNA, DUE, TRE VOLTE CON UN AGO DI OSSO TRA LE MAGLIE DELLA TRAMA E POI LEGAVANO LE ESTREMITÀ DI OGNI FILO SUL ROVESCIO CON UN NODO RAPIDISSIMO E FERMO … C’ERA UNA VOCE MASCHILE CHE DAVA IL TEMA. … QUELLO ERA IL CONDUTTORE, IL MAESTRO”. (S.Bettini, Poetica del tappeto orientale, in A.Riegl, Antichi tappeti orientali, 1999, pp. 236-237). 45 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega Note 1 Josef Frank, Architettura come simbolo, a cura di Hermann Czech, Zanichelli, Bologna 1986 (ed. orig. Architektur als Symbol. Elemente deutschen neuen Bauens, Verlag Anton Schroll & Co, DELL’ABBIGLIAMENTO, SPESSO NON PRESA IN CONSIDERAZIONE, È QUELLA RELATIVA ALLE SENSAZIONI TATTILI PIACEVOLI E SPIACEVOLI CHE ESSI DETERMINANO. OLTRE CHE ESSERE INVOLUCRO ESTERNO DEL CORPO LA PELLE È LA ZONA EROGENA PER ECCELLENZA, NONCHÉ LA SEDE DEL TATTO, IL PIÙ DIFFUSO E FONDAMENTALE DEI NOSTRI SENSI. PER ESPERIENZA DIRETTA SI SA CHE CERTE REGIONI DELLA SUPERFICIE CORPOREA SONO PIÙ SENSIBILI AL TATTO DI ALTRE. LA BOCCA, I CAPEZZOLI, LE ASCELLE E, A UN DIVERSO LIVELLO SENSORIALE LE PUNTA DELLE DITA, LE GINOCCHIA E I GOMITI, NONCHÉ I PALMI DELLE MANI, E LE PIANTE DEI PIEDI, SONO AREE LA CUI STIMOLAZIONE PROVOCA, DIRETTAMENTE O INDIRETTAMENTE, SENSAZIONI VOLUTTUOSE”. (N.Suicciarino, Il vestito parla..., 1992, p. 76) Giusy Barbagiovanni, Le identità del corpo. Viaggio nell’antropologia della danza, Ananke, Torino 2006, p.9. 14 2 Gaston Bachelard, Poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1999 (ed. 1951) descrive così la “Quadruplice Cura” con cui il contadino orig. 1957), cap. 1, La casa. Dalla cantina alla soffitta. Il significato coltiva il proprio campo: egli “salva la terra” (la coltiva senza della capanna, p.55 sfruttarla), “accoglie il cielo come cielo” (lascia essere la natura 3 nella sua essenza), “attende i divini come divini” (non forza le J.Frank, Architettura come simbolo, op. cit., Irrequietezza, p. 91 Maurizio Vitta, Dell’abitare. Corpi spazi oggetti immagini, M.Heidegger in Costruire, Abitare, Pensare (Darmstadt, leggi della natura) e, soprattutto, lo fa con rispetto per le cose Einaudi, Torino 2008, p.3. perché è consapevole della propria finitezza, di essere mortale: 5 Ivi, pp.207-208 solo così infatti l’uomo è in grado di produrre un significato e 6 Il termine “trasfigurazione” è un termine che ha a che fare quell’attenzione per le cose del mondo che non avrebbe se con il sacro, e viene usato anche da Gottfried Semper quando avesse la convinzione di goderne in eterno. parla del Mysterium der Trasfiguration, del misterioso potere 15 F.Remotti, Luoghi e corpi, op. cit., p. 38 che hanno certi elementi architettonici di cambiare aspetto 16 G.Semper, Über die formelle Gesetzmässigkeit des Schmuckes nel corso della loro evoluzione senza per questo perdere il loro und dessen Bedeutung als Kunstsymbol, Meyer und Zeller, Zürich significato simbolico. 1856. Vedi il glossario semperiano sulla tessitura. 7 17 Umberto Galimberti, Il corpo. Antropologia, psicoanalisi, G.Semper, Über Baustile, conferenza tenuta a Zurigo il 4 fenomenologia, Feltrinelli, Milano 1984, p. 69 marzo 1869, cit. in Benedetto Gravagnuolo, Gottfried Semper. 8 Architettura arte e scienza : scritti scelti, 1834-1869, CLEAN, Napoli Francesco Remotti, Luoghi e corpi. Antropologia dello spazio del tempo e del potere, Bollati Boringhieri, Torino 1993, p. 33 1987, p. 100 9 18 M. Vitta, op. cit., p.83. 10 46 13 Wien 1931), Irrequietezza, p. 90 4 PRATICA SESSUALE GIAPPONESE DEL BONDAGE SHIBARI O KINBAKU: “UN’IMPORTANTE FUNZIONE DEI VARI ELEMENTI Armando Editore, 1992, p.35 G. Bachelard, Poetica dello spazio, op. cit., cap. 2, La casa e Così descrive Galimberti questa separazione tra anima e corpo avvenuta a partire da Platone (Atene fra il V e il IV secolo l’universo, pp. 92-95 a.C.) e poi accentuata dalla religione cristiana: “L’universo si 11 Gottfried Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen spezza metafisicamente tra il cielo e la terra, tra lo spirito e la Kuensten, oder Praktische Aesthetik. Ein Handbuch für Techniker, materia, l’anima e il corpo, dove il valore sta tutto da una parte e Kuenstler und Kunstfreunde, Erster Band: Textile Kunst, Verlag für il disvalore dall’altra. […] All’ambivalenza simbolica [tra corpo e Kunst und Wissenschaft, Frankfurt a.M., 1860, p. XXI, traduz. it. anima], che non conosce valori e disvalori, subentra l’equivalente (G. Hach e M. P. Arena) in G.Semper, Lo Stile nelle arti tecniche generale che tutti li misura. […] Private del loro corpo, le cose e tettoniche, a cura di A.R. Burelli, C.Cresti, B. Gravagnuolo, non si rispecchiano più l’una nell’altra, non si scambiano tra F.Tentori, Laterza, Roma Bari 1992, p.19 loro, ma tutte si “speculano” in quello schermo trascendente 12 Arnold Gehlen, L’uomo. La sua natura ed il suo posto nel che è l’equivalente generale che tutte le esprime [la psyche per mondo, Feltrinelli, Milano 1983, cit. in Nicola Suicciarino, Il Platone, Dio per il Cristianesimo], perché lì è il loro Valore e la vestito parla. Considerazioni psicosociologiche sul’abbigliamento, loro trascendente Verità”. La scienza poi, a partire da Cartesio 47 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega pagina precedente: Musubi (da musubu, legare): simboli in erba annodata che servivano a delimitare e segnare il terreno durante i numerosi riti legati all’agricoltura nel periodo arcaico giapponese. (K.Frampton, Tettonica e architettura..., 1995, pp. 34-36) Corda appesa sopra alle porte di ingresso ai templi shintoisti (F.Sack. Offene Haus..., 2006, p.20) (filosofo francese vissuto tra il 1596 e il 1650), non ha fatto altro che sostituire la trascendenza di Dio con la trascendenza Meoto-Iwa, marito e moglie, due scogli uniti da una corda sacra (shimenawa) che nella religione shintoista rappresentano la coppia di dei Izanagi e Izanami che hanno dato origine al Giappone. Preghiere scritte su fogli annodati agli alberi sacri (omikuji) presso i santuari giapponesi. (F.Maraini, Giappone Mandala, 2006, p.188) meno estesa e più semplice. Popolazioni primitive africane decorare e dipingere. Presso la loro cultura sono le donne importata dall’antico Egitto dove tale pratica era diffusa già da e polinesiane si facevano tatuare segni simboleggianti il a dover scegliere i maschi con i quali vogliono accoppiarsi tempo, come dimostrano i numerosi reperti ritrovati, come la molecolare, e in questo modo ha esasperato questa separazione numero dei nemici uccisi o di ferite riportate in guerra, una e non viceversa. Questo porta gli uomini ad un quotidiano mummia della sacerdotessa della dea Hator, tatuata sul ventre tra anima (res cogitans) e corpo (res extensa) arrivando a sorta di medaglia di valore. Sul corpo di alcuni popoli primitivi rituale che dura ore ed ore mediante il quale essi dipingono con tatuaggi simbolo di fertilità, o le statue femminile del 1200 considerare quest’ultimo come un oggetto, una macchina, venivano incisi non solo gli atti eroici, ma anche le malefatte la propria pelle, persino su fronte e testa, con segni grafici a.C aventi semplici tatuaggi al collo, esposte nel museo egizio un cadavere da sezionare. “Ma il cadavere sezionato, svuotato, di ladri, adulteri, debitori i cui relativi tatuaggi intendevano spesso asimmetrici mettendo in risalto la verticalità del corpo del Cairo. disgregato non è il corpo, ma un modello di simulazione che evidenziarne per sempre la colpa e mettere in guardia gli e controbilanciandone le parti non equilibrate in modo da 26 solo un sapere che si misura sull’equivalente generale della altri componenti del gruppo. […] In molti casi il tatuaggio essere scelti dalle femmine durante le cosiddette danze mentali, Mondadori, Milano 1997, pp. 6-8 morte può far passare per vera realtà del corpo”. La scienza mirava a trasmettere un messaggio di tipo sessuale, legato dell’amore. I Nuba infatti sono un’etnia di persone molto alte 27 dunque “recide il legame originario del corpo col mondo in alla capacità procreativa, alltraverso il quale l’uomo poneva in che raggiungono spesso i 2 m di altezza. Per questo - secondo Speculazioni sull’ornato architettonico da Vitruvio a Venturi, Bruno cui si raccoglie tutta la nostra vita, per sostituirvi l’idea chiara e risalto la propria virilità e la donna segnalava la raggiunta età quanto raccontava Stefano Anselmo, truccatore di professione, Mondadori, Milano 2001 (ed. orig. 1988), p. XI distinta dell’oggetto in sé e del soggetto come pura coscienza, della fecondità, oppure l’appartenenza ad un uomo”. “Frequenti ad una conferenza sull’ “Aspetto interculturale del trucco del 28 N. Suicciarino, Il vestito parla, op. cit., p.72 in cui nessuno può ritrovarsi se non astraendosi dal mondo della sono [inoltre] gli esempi di mutilazioni fra i popoli primitivi corpo” tenuta presso la Facoltà di Interpreti e Traduttori in via 29 Robert Pogue Harrison, Il dominio dei morti, Fazi Editore, 2004, vita. […] Ma allora ciò che la scienza ci descrive non è la realtà legate spesso a riti di iniziazione ai quali si sottoponevano Filzi a Trieste il 18 marzo 2008 - le donne dei Nuba iniziano p. 23 ma l’ipperealtà delle sue “finzioni” adeguatamente mascherate gli adolescenti di ambo i sessi. L’asportazione delle falangi e a massaggiare il corpo e soprattutto il naso dei bambini fin 30 dal simulacro dell’oggettività”. U. Galimberti, Il corpo, op. cit., pp. dei denti, i buchi nelle labbra, nelle guance e nelle orecchie, dalla nascita perché pensano in questo modo di plasmare 31 47-48 e 23-26. così come la circoncisione o la subconcisione designavano e affusolare il corpo. Le donne invece generalmente non si mondo, Adelphi, 1996 (ed. orig.1983), pp.108-109 19 Ivi, pp. 18-19 il raggiungimento dell’età adulta, l’inserimento nel gruppo truccano, ma il loro corpo viene segnato da profondi tatuaggi 32 20 Occorre distinguere tra bijoux e gioiello: mentre infatti il primo d’appartenenza e perciò venivano esibite con orgoglio quali che testimoniano importanti trasformazioni della loro vita: le 1972, p.255 è legato alla temporalità della moda e delle stagioni, come mero elementi decorativi. Anche il taglio delle unghie, la depilazione, prime decorazioni le ricevono sotto il seno verso i dodici anni 33 G. Hersey, op. cit., p. XIX accessorio facilmente sostituibile da un altro, il gioiello - da ed il taglio e l’acconciatura dei capelli, in quanto eliminazione quando inizia il periodo adolescenziale, poi in concomitanza 34 E. Fiorani, op. cit., p. 7 sempre parte integrante dei riti di passaggio e delle pratiche forzata e modificiazione artificiale di certe caratteristiche del con il primo ciclo mestruale, ed infine dopo la nascita del loro 35 Johan Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino 2002, (ed. orig. del dono a sottolineare la sfida contro il tempo e la morte - è corpo, sono forme di mutilazione e deformazione, ma non primo figlio. Quest’ultima fase è la più dolorosa poiché avviene 1973), p.55 strutturato dalla continuità e dalla permanenza, la permanenza vengono percepiti come tali dall’uomo perché ormai da tempo su tutto il corpo e dura perciò due giorni interi. Oggi - a causa 36 delle forme nella ripetizione e nella reinterpretazione, che ne fa sono assimilabili alle pratiche igieniche e cure estetiche”. dei mutamenti antropologici, religiosi ed economici avvenuti Architectur und Sculptur bei den Alten, Johann Friedrich un oggetto intramontabile con un valore che si arricchisce con Vedi N.Squicciarino, Il vestito parla, op. cit., cap. 2, Forme e negli ultimi 35 anni, fra cui la guerra durata più di 25 anni nella Hammerich, Altona 1834, p. 3 il passare del tempo, dell’usura, l’accumularsi della memoria, funzioni della decorazione, pp. 45-59 regione del Sudan conosciuta come Kordofan - i Nuba di Kau 37 G.Semper, Lo Stile, op. cit., p.100 proprio come l’Architettura. Vedi a proposito Eleonora Fiorani, Un esempio è costituito dai Nuba di Kau, uno degli oltre non si pitturano più il corpo né girano nudi. 38 Sostituisco il termine “Freude am Schönen”, che nella edizione Abitare il corpo: la moda, Lupetti, Milano 2004, p. 212-219 cinquanta gruppi etnici appartenente alla popolazione dei 23 italiana di Der Stil (Laterza, 1992) è stato tradotto come gusto 21 U. Galimberti, Il corpo, op. cit., p. 20 Nuba–Masakin, che vive nel Sudan. Erano noti già a Erodoto p. 21 del bello, con piacere del bello che mi sembra più vicina “Così presso alcune popolazioni della Nuova Zelanda il Elefantina, ma sono stati conosciuti grazie al libro People of 24 E.Fiorani, op. cit., p. 16 all’intenzione dell’autore. tatuaggio sul viso e sul corpo era praticato dagli individui con Kau (1970) di Leni Riefensthal, fotografa tedesca e regista di 25 Fu l’esploratore James Cook che al rientro da viaggi nei mari 39 maggior influenza nell’ambito della comunità, come segno di film muti. I Nuba di Kau sono noti soprattutto per il loro grande del Sud nel luglio del 1769 introdusse tale termine in Europa, nella edizione italiana come intenzione artistica, con impulso distinzione dagli altri i cui corpi presentavano una decorazione culto del corpo ritenuto una vera e propria opera d’arte da dove l’usanza di incidere la pelle con pigmenti colorati era stata artistico. 22 48 Marco Bussagli, L’uomo nello spazio, Medusa, Milano 2005, Piero Zanini, Significati del confine. I limiti naturali, storici, George Hersey, Il significato nascosto dell’architettura classica. Ivi, p. VII René Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del Adolf Loos, Parole nel vuoto, (ed. orig. 1962), Adelphi, Milano Gottfried Semper, Vorläufige Bemerkungen über Vielfarbige Come sopra, sostituisco il termine “Kunsttireb”, tradotto 49 dalla piaga alla piega 40 G. Semper, Der Stil, op. cit, p. XXI, trad. it. in Lo Stile, op. cit, p.18 41 G. Semper, Der Stil, op. cit, p. XXI, tradotto in Lo Stile, op. cit, p.19. Il rapporto tra musica e architettura lo si ritrova anche in Goethe e Schelling e verrà ripreso anche da Frank Lloyd Wright. Vedi Kevin Nute, Frank Lloyd Wright and Japan: the role of traditional Japanese art and architecture in the work of Frank Lloyd Wright, E & FN Spon, London 1993, p.78 42 Introduzione a Theorie des Formell-Schönen, in Wolfgang Hermann, Gottfried Semper : architettura e teoria, Electa, Milano 1990, pp. 248-249 43 J. Huizinga, op. cit., p.188 44 P.Aldo Rovatti, Davide Zoletto, La scuola dei giochi, Bompiani 2005, p.27 45 “La più frequente forma di estensione tramite l’abbigliamento è quella relativa all’altezza […], crea un’impressione di imponenza e di superiorità, e suscita negli altri sentimenti di riverente timore e rispetto. Questo spiega l’uso di molti simboli di potere (corona, tiara, mitra, ecc.) come anche le lunghe talari e toghe dei dignitari. [… Ma] l’estensione non si limita solo all’altezza, ma può esprimere anche una pretesa di spazio e distanza” come per esempio la crinolina o lo strascico. “I simboli di dominio come lo scettro regale, il pastorale vescovile, la bacchetta magica, assumono, dal punto di vista della estensione corporea, il significato di prolungamento del braccio del potere”. “Vestiti e veli ampi e sciolti, capelli che ondeggiano al vento, catenelle e braccialetti che penzolano e oscillano riflettono il loro ritmo sul movimento del corpo e dall’intreccio tra movimento del corpo e movimento degli elementi ornamentali ne può risultare una armonia di notevole fascino estetico ed efficacia comunicativa come nel caso della ballerina, i cui abiti fluenti sembrano enfatizzare e prolungare i gesti del corpo” nello spazio. N.Squicciarino, Il vestito parla, op. cit., pp. 87-89. dalla piaga alla piega G. Bachelard, Poetica dello spazio, op. cit., cap. 6 Gli angoli, pp. 161-162 59 P.A. Rovatti, D. Zoletto, op. cit., p.27-28 60 Ibidem 61 Ivi, p.37 62 Ivi, p.21 63 J. Huizinga, op. cit., p.23 64 Ivi, pp.13-14 65 N. Squicciarino, Arte e ornamento, op. cit., p. 8 66 Sergio Bettini, Poetica del tappeto orientale, in Alois Riegl, Antichi tappeti orientali, Quodlibet, Macerata 1999 (ed. orig. 1891), pp. 158-176. Fa parte di un ciclo di lezioni di Estetica tenute all’Università di Padova negli anni Sessanta e poi ripubblicato in Andrea Cavalletti (a cura di), Tempo e forma. Scritti 1935-1977, Quodlibet, Macerata 1996 Ivi, p. 235 ANATOMICA, CHE RESPINGE E ATTRAE INSIEME, 68 Ivi, p. 241 IL FASCINO DI CERTI EDIFICI IN ROVINA, LA CUI 69 Ivi, p. 236 FACCIATA È SCOMPARSA NELLA DEMOLIZIONE 70 Per quanto riguarda i segni v’è il nodo che indica il destino, O IN UN CROLLO E CHE SPALANCANO PERCIÒ il triangolo che significa la forza vitale maschile se ha l’apice in ALLA VISTA GLI INTERNI ANCORA SEGNATI basso, la forza vitale femminile se ha l’apice in alto; e vi sono gli DALL’ESISTENZA DEGLI ABITANTI”. MA SPOGLIARE emblemi animali: la potenza dell’aquila, l’industria dell’ape, la IL CORPO ARCHITETTONICO ESPONENDO IL SUO vanità della farfalla, la pazienza fortunata del cammello, la difesa INTERNO, IL SUO VISSUTO, NON SIGNIFICA FORSE del cane, la forza del leone, la crudeltà del leopardo. Il pipistrello CONSIDERARLO “COME UN CADAVERE SUL TAVOLO è simbolo di felicità, il pavone attira la protezione degli dei ANATOMICO?”. (pavone, gallo e colomba); il gallo è annunciatore di gloria, il di un amore dolce e fedele. E poi vi sono i segni tratti dal mondo vegetale: i simboli delle stagioni; il susino per la primavera, il loro per l’estate, il crisantemo per l’autunno e il narciso per l’inverno; “NON SONO RIUSCITO A PENSARE IL NULLA. COME PENSARE IL NULLA? COME PENSARE IL NULLA altri sono di buon auspicio, come il melograno e il girasole che SENZA METTERE AUTOMATICAMENTE QUALCOSA INTORNO A QUESTO NULLA, SENZA FARNE UN BUCO portano abbondanza, il garofano (che è il più diffuso tra cotesti NEL QUALE CI SI AFFRETTA A METTERE QUALCOSA, UNA PRATICA, UNA FUNZIONE, UN DESTINO, UNO segni persiani, perché è il simbolo della felicità) la capsula piena SGUARDO, UN BISOGNO, UNA MANCANZA, UN SOVRAPPIÙ…?”. di semi maturi (detta comunemente cashmir), che promette perpetua ricchezza. E vi sono gli alberi sacri: l’antichissimo P.Aldo Rovatti, Davide Zoletto, op.cit., p.23 47 Ivi,p.9 48 Ivi,p.3 49 Ivi, p.13 50 Ivi, p.140 51 cit., p. 238 Ivi, p.149 71 52 Ivi, p.143 53 Josef Frank 1885-1967, Hochschule für angewandte Kunst, Wien Ivi, p.152 54 1981, p.97, trad. it. Spazio e arredamento, in G.Fraziano (a cura Ivi, p.140 55 di), Percorsi accidentali. Scritti e progetti di Josef Frank, Lint, Christopher Alexander, Pattern Language, Oxford University Trieste tempi significava la sopravvivenza, ed è il simbolo della vita futura e della speranza: segno dunque dell’ultima scadenza del tempo umano proiettato oltre la morte. Vedi S.Bettini, op. Josef Frank, Raum und Einrichtung, 1934, in J.Spalt, H.Czech, 72 G.Semper, Der Stil, op. cit., pp. 180-183 56 G. Hersey, op. cit., p. XXXI 73 M.Canevacci Ribeiro, Una stupida fatticità. Feticismi visuali tra 57 G. Bachelard, Poetica dello spazio,op. cit., Introduzione, pp.11- corpi e metropoli, 2007, p.56 74 50 Huges, Un cyclone à la Jamaique, Plon, 1931, p.133, cit. in (G.Perec, Specie di spazi, ed. 1989, p.43) hazmà o albero della vita; e il cipresso che fin dai più remoti Press, 1977, p. XLI 58 (M.Vitta, Dell’abitare...., 2008, pp.131-132) G.Matta-Cark, Conical Intersect, 1975 pappagallo di successi galanti, mentre la colomba è messaggera 46 12 FORSE NASCE PROPRIO DA UNA VISIONE 67 Nicola Squicciarino, Arte e ornamento in Gottfried Semper, Il Cardo, Venezia 1994, p. 8 51 dalla piaga alla piega “G LI EGIZI “TENDEVANO A RIFIUTARE TUTTO CIÒ CHE ERA TERRENO […] TENTARONO DI SCALFIRLO, DI SUPERARLO PER TROVARE LA FORMA ETERNA. […] L’ABITO DIVENNE UN BLOCCO SQUADRATO, IL MURO UN VALLO, IL CORNICIONE UNA SEMPLICE MODANATURA: TUTTE FORME INDICIBILMENTE VUOTE CHE NON PERMETTONO NESSUN SVILUPPO VERSO UNA SENSIBILITÀ MODERNA, POICHÉ TUTTO L’UMANO È STATO SACRIFICATO ALLA FORMA ETERNA”. IL CRISTIANESIMO “RICHIEDEVA LA RINUNCIA ALLA FELICITÀ TERRENA ED ALLA GIOIA DEI SENSI. […] CIÒ CHE NE RESTA ASSOMIGLIA AD UN CADAVERE SEZIONATO. AI CAPITELLI, AI CORNICIONI ED ALLE ALTRE PARTI VENNE TOLTO TUTTO CIÒ CHE NE COSTITUIVA IL FASCINO SENSUALE.1 “ La “Moda femminile! - Tu atroce capitolo della storia della civiltà!”2ha ridotto il ri-vestimento e l’ornamento, carichi in origine di significati simbolici, a mera merce, legata al regno delle novità e al suo valore commerciale, a un oggetto di durata effimera, da possedere e collezionare, da mostrare e intercambiare, ma non da vivere e abitare. “La moda accentua l’instabile, l’inafferrabile, l’oblio: derisione del vissuto condotto a segni risibili, agli artifici della patina e della finta pelle, alla grossolanità delle false apparenze. Derisione di un vero esso stesso risibile, ridotto al proprio scheletro falsamente autenticato: l’aria vecchiotta ostentatamente nuova, la pseudo imitazione del falso orpello imitato. […] Parodia del cadavere screziato Il contrario della moda, ovviamente, non è il demodé, il fuori moda; è Louise Bourgeois (1911-2010) A fianco: Hans Bellmer, La poupée, 1934 invece il presente: ciò che è, ancorato, permanente, resistente, abitato: l’oggetto e il suo ricordo, l’essere e la sua storia”3. L’abito per la moda non è vissuto, non reca i segni dell’usura e del vivere, esso si dissolve in pura immagine. Quando si smette di portare un vestito, di riempire il cassetto e i cofanetti con i nostri ricordi, di strofinare i nostri mobili, di utilizzare gli oggetti del quotidiano, quando si smette cioè di abitare una casa, “essi diventa[no] in indirizzo vuoto, una bara. […] Gli abiti appesi a una gruccia hanno solo un senso funerario, animati dalla cinestesia viaggiano con noi come contenitori della nostra storia”4. “La moda è certamente ciò che neutralizza più efficacemente la sessualità. […] Un tempo santuario rimosso, ma indecifrabile nella sua rimozione, il corpo è ormai investito esso stesso. Il gioco dell’indumento si cancella davanti al gioco del corpo, e questo si cancella davanti al gioco dei modelli. […] Eroso dai significati del corpo, da questa trasparenza del corpo come sessualità e come natura, il vestito perde quell’esuberanza fantastica che aveva presso le società primitive. Perde la sua forza di pura maschera, è neutralizzato da questa necessità di dover significare il corpo, si rassegna. Ma anche il corpo è neutralizzato in questa operazione. Anch’esso perde la forza di maschera, che aveva nel tatuaggio 53 dalla piaga alla piega Marionette del teatro giapponese bunraku: il corpo è un unico bastone nascosto dal kimono sotto al quale lavorano le dita del burattinaio. Tanizaki le paragona al corpo magrissimo delle donne dell’antica tradizione giapponese e noi oggi alle modelle delle sfilate di moda: “erano donne senza quasi esistenza corporea. Di mia madre ricordo il volto, le mani, i piedi, ma niente del resto del corpo. […] come i bastoncini delle marionette, imbottiti d’ovatta e imprigionati in una sfoglia di tessuti, anche il corpo di queste donne è soltanto una gruccia a cui appendere abiti. (J. Tanizaki, Libro d’ombra, 2005, pp. 62-63) dalla piaga alla piega e nell’ornamento. […] per l’indigeno, tutto il corpo è volto, cioè promessa e prodezza simbolica, al contrario della nostra nudità, che è solo strumentalità sessuale”5. “Liberato dai segni il corpo è sessualmente disincantato, diventa mannequin, termine la cui indistinzione sessuale dice bene ciò che vuol dire. La/il mannequin è tutto sesso, ma sesso senza qualità. […] Nella moda niente è più sessuato, ma tutto è sessualizzato”6. Non a caso Walter Benjamin sostiene che la moda trasforma il corpo in cadavere, in feticcio7, in oggetto inorganico: “la moda non è mai stata nient’altro che la parodia del cadavere screziato, la provocazione della morte attraverso la donna e un amaro dialogo sottovoce con la putrefazione”8. “Ogni moda è in conflitto con l’organico. Ogni moda accoppia il corpo vivente al mondo inorganico. Nei confronti del vivente la moda fa valere i diritti del cadavere. Il feticismo, che soggiace al sex-appeal dell’inorganico, è il suo nervo vitale”9, da un lato perché trasforma il corpo in feticcio, in una somma di tanti pezzi, inorganici, ciascuno dei quali è singolarmente oggetto di culto feticistico10, e dall’altro perché l’oggetto di adorazione non è più tanto il corpo organico, quanto piuttosto i prodotti della moda, le merci. Come la moda inoltre, la morte stessa rappresenta la novità. Essa è lo sconosciuto, ciò che improvvisamente va a destabilizzare l’ordine mettendo in pericolo la stabilità e l’equilibrio della società. Tuttavia tutto ciò che appare imprecisato, caotico, informe, disordinato, senza margini e confini precisi, al tempo stesso spaventa e seduce, possedendo il fascino del mistero, del sacro, “perché il sacro smuove ed emerge ogni volta che accade qualcosa che non è spiegabile dalla logica positiva” delle religioni”11. La carne marcia infatti, in decomposizione, che torna a nuova vita a causa del brulicare di insetti, suscita nell’uomo sensazioni ambigue di curiosità e disgusto, fascino ed orrore, attrazione e repulsione, come l’abito Flesh Dress dell’artista Jana Sterbak, da sempre interessata a esplorare i limiti, le contraddizioni e le metamorfosi del corpo umano: Flesh Dress è un vestito mutante, realizzato interamente con carne di manzo e filo di ferro; un corpo labile ed effimero che si altera, degenera, varia di colore e di odore, dove pelle e tessuto, corpo e vestito si fondono e sono accomunati dallo stesso destino, quello della morte che, ci ricorda, è immanente alla vita. Tanto è vero che le molecole di putrescina (C4 H12 N2) e di cadaverina (C5 H14 N2), responsabili dell’odore che accompagna la decomposizione di una materia organica, sono le stesse che producono l’odore dello sperma12. Jana Sterbak, Vanitas: Flesh Dress for an Albino Anoretic, 1987, 30 Kg di carne di manzo, grasso, muscolo, filo di ferro Orlan, 4th Surgery-Performance, Successful Operation, 8 dicembre 1991, Paris La scienza invece oggi, ha la pretesa di voler sconfiggere la malattia e la morte, tentando quindi di valicare le fondamentali limitazioni del corpo che – secondo F.A. Miglietti - distinguono proprio il concetto di umano: “definisco come umana la specie caratterizzata dalla carne, dalla malattia, dalla morte”13. “Oggi [infatti] a nessuno viene più in mente che l’uomo non muore per il fatto di essersi ammalato, ma gli capita di ammalarsi perché 54 55 dalla piaga alla piega Andres Serrano: The Morgue Cardiac Arrest Rat Poison Suicide II Pneumonia Due to Drowning II 56 dalla piaga alla piega fondamentalmente deve morire”14. Recludendo il cadavere in laboratorio o in ospedale, la scienza ha ridotto il corpo a mero oggetto, un “cadavere sezionato, svuotato, disgregato”, disinfettato, sterile, congelato nei processi di decomposizione, e dunque “recide il legame originario del corpo col mondo in cui si raccoglie tutta la nostra vita ”15. Quello che ci mostra l’artista Andres Serrano nelle sue fotografie sono dettagli in primissimo piano di cadaveri ripresi in tre mesi di lavoro in un obitorio americano dopo essere stati sottoposti ad autopsia: una mano, un profilo, un torso, un occhio. Nessun riferimento all’ambiente circostante: l’obitorio non viene mai mostrato, i fondi sono neutri, i dettagli ben curati, i colori puri. “Ho il desiderio di monumentalizzare ciò che fotografo”16 dice Serrano, e riduce così la morte a dettagli neutri ed impersonali, spoglia i cadaveri della loro identità. Rimangono solo la carne, la pelle, i peli, le vene, l’immobilità della morte, la solitudine di un corpo vuoto, o meglio svuotato. “Baudrillard osserva che [anche] nella funzione di ‘seconda pelle’ degli indumenti aderenti, della biancheria intima, delle guaine, delle calze di seta, dei collants, ecc. è individuabile una tendenza alla ‘vetrificazione del corpo’. La pelle, in quanto zona erogena, porosa, forata, orifiziale viene negata a vantaggio di questa seconda pelle non porosa, senza essudorazione ed escrezione, climatizzata, vellutata, trasparente, liscia, che ‘come un rivestimento di cellofan’ mira alla chiusura, alla neutralizzazione in una imperitura giovinezza di simulazione. Questa vetrificazione della nudità viene significativamente accostata alla ‘funzione ossessiva’ di rivestimento protettivo degli oggetti: cerati, plastificati, ecc., e del lavoro di spazzolatura, di ripulitura, che mira a rimetterli perpetuamente in stato di purezza, d’astrazione impeccabile – e quindi a sbarrare la loro secrezione (patina, ossidazione, polvere), a impedire loro di crollare e a mantenerli in una specie di immortalità astratta”17. Corpi perfetti, muscolosi, alti, snelli, superaccessoriati con tutti gli optional di serie, ma privati di occhi, bocche, sesso, privati della sfera emozionale, sensoriale e riproduttiva, sono quelli che gli artisti Anthony Aziz e Sammy Cucher rappresentano nelle loro opere. Superfici corporee lisce, rasate, tratti distintivi completamente cancellati, la carne è sparita portandosi Anthony Aziz, Sammy Cucher, Faith, Honor and Beauty (Man with Laptop), 1992 via liquidi, odori, orifizi, e tutte le possibilità di interscambio e di contatto corporeo: gli unici rapporti permessi sono quelli via internet, virtuali, decorporati18. Ci stiamo cioè sempre più allontanando e dimenticando dello “spazio del vivere”, per dirigerci verso uno spazio geometrico e incorporeo, il quale si è ulteriormente artificializzato trasformandosi nello cyberspazio virtuale. I mezzi di comunicazione tendono a separare sempre più l’uomo dal suo intorno spaziale, immobilizzandolo su immagini e suoni che altri hanno raccolto e selezionato per lui precludendogli così l’esperienza del vivere in prima persona. George Steiner addirittura prevede che “in una società la cui sete di violenza estrema e di assassinii sullo schermo e nei fumetti è inestinguibile [...] presto la morte stessa sarà soltanto una realtà virtuale”19. Il problema però non è la tecnologia in sé, perché l’uomo è sempre stato un “homo technologicus”20: “siamo una specie che si è evoluta dagli ominidi, che ha trasformato due arti dalla funzione di locomozione a quella di manipolazione, due arti con i quali abbiamo costruito strumenti, macchine, computer. […] la tecnologia è sempre stata connessa con il corpo umano, è sempre stata un’appendice del corpo, e la tecnologia è tutto quel che definiamo umanità: non una cosa da alieni. […] Tecnologia deriva dal greco téchne, che significa abilità […] è un linguaggio, è cultura”21. Infatti, che lo si voglia o no, la tecnologia è entrata nella nostra vita, 57 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega nelle nostre case, e addirittura nel nostro corpo nella doppia direzione dell’innesto tecnologico sul corpo organico (cellulari e altri sistemi elettrici portatili, lenti a contatto, dentiere, protesi auricolari, occhi bionici, sistemi per il recupero delle funzioni motorie, etc.) e delle disseminazioni del corpo nelle reti telematiche. “La comunicazione si è incollata ai corpi che a loro volta le hanno dato la possibilità di dislocarsi, muoversi, fluttuare”22. Il problema nasce quando la tecnologia, invece di rimanere uno strumento, un’estensione del corpo, pretende di liberarsi da esso per diventare corpo essa stessa. E ce lo dimostra l’abito Télécommande realizzato dall’artista Jana Sterbak nel 1989: il vestito di carne è ora sostituito da una macchina tecnologica, inorganica, una sorta di crinolina di foggia ottocentesca in alluminio nella quale è sospeso un corpo femminile. Per spostarsi la donna deve azionare un telecomando collegato a due motorini applicati alla struttura metallica: sembrerebbe un meccanismo perfetto di integrazione tra uomo e macchina liberando il corpo dalla fatica fisica, ma nel momento che il telecomando viene azionato dall’esterno e la donna perde il proprio controllo sulla macchina si vede quanto l’abito da tessuto che avvolge e protegge il corpo accrescendolo sia diventato una veste estranea, una prigione. Allo stesso modo anche la nostra casa-abito ci è diventata ostile, inospitale, case inabitabili Jana Sterbak, Télécommande 1989, alluminio Robert Gober, X Playpen,1987 Rachel Whiteread, House, 1993 58 proprio a causa “della pretesa di abitare un mondo che è corporeo e terreno, con un pensiero puro [e tecnologico] dimentico del corpo”23. STELARC “IL CORPO COSÌ COM’È NON È PIÙ IN GRADO DI VIVERE ADEGUATAMENTE Involuntary Body/Third Hand: vestito elettronico che “serve ad amplificare le onde cerebrali, i UNA REALTÀ CHE SI STA EVOLVENDO muscoli, il battito cardiaco, le pulsazioni e la circolazione sanguigna. Opportuni macchinari A VELOCITÀ INCONTROLLABILI”. rilevano i dati relativi a queste amplificazioni, mentre altri indicano il movimento degli arti e la postura del corpo. Contemporaneamente una terza mano artificiale è fissata al braccio destro, come elemento aggiuntivo e si muove indipendente, attivata dai movimenti dei muscoli (F. Alfano Miglietti, Identità mutanti..., 1997, p. 136) addominali e della gamba. Il braccio sinistro vero è invece comandato a distanza da stimolatori muscolari ovvero elettrodi posizionati sui muscoli flessori e sul bicipite che fanno piegare le dita verso l’interno, fanno muovere il polso e spingono il braccio verso l’alto. La coreografia che costituisce la performance è data dalla combinazione di movimenti volontari e non, corporei e meccanici, segnali luminosi, sonori e scariche elettriche come manifestazioni dei ritmi del corpo. Body Suspensions, 1976-88: serie di 27 azioni in cui il corpo viene appeso con dei ganci metallici penetrati nella pelle e lasciato fluttuare all’interno di spazi e gallerie, accompagnato dal rumore prodotto dall’amplificazione dei suoni del suo corpo. Stomach-Sculpture, realizzata nel 1993 con un chirurgo di Londra, Charles Akle, è una capsula di 5 cm x 5 mm, munita di una telecamera, un segnalatore acustico piezoelettrico e una luce lampeggiante (luce e suono sono sincronizzati), in grado di aprirsi e chiudersi in tre sezioni e di estendersi nello stomaco tramite un congegno collegato a un servomotore e controllato da un circuito logico. Lo stomaco viene svuotato dei liquidi in eccesso e con un endoscopio a fibre ottiche e una sonda la capsula viene inserita e guidata all’interno dal cavo flessibile. Una volta all’interno, si apre liberando dei componenti magnetizzati che si dispongono in un ordine voluto, formando una scultura in oro, argento, titanio e acciaio. 59 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega Ma il corpo non è un “ostacolo da superare”, una “prigione per l’anima” come riteneva Platone, bensì “il mio corpo, lungi dall’essere un oggetto in sé, è pro-tensione verso il mondo, e il mondo è punto d’appoggio del mio corpo” e dunque solo “conoscendo le cose del mondo il corpo si conosce, si conosce come quell’insieme di possibilità che le cose del mondo costantemente verificano”24. Merleau-Ponty parla di “ontologia della carne” per la quale “il mio corpo è fatto della medesima carne del mondo […] di questa carne del mio corpo è partecipe il mondo, esso la riflette […] essa è pregnanza di possibili, Weltmöglichkeit”; “la relazione tra corpi e spazio è tale che “il nostro corpo non è nello spazio come le cose; esso lo abita o vi si aggira […]. È attraverso di esso che abbiamo accesso allo spazio”25. “Lo spazio corporeo [infatti] non è posizionale, non è cioè l’ambito reale o logico in cui le cose si dispongono in base ad un sistema astratto di coordinate presupposte da uno spirito geometrico che prescinde da qualsiasi punto di vista, ma è situazionale, perché si misura partendo dalla situazione in cui viene a trovarsi il corpo di fronte ai compiti che si propone e alle possibilità di cui dispone. Il corpo, infatti, è l’unico sfondo da cui può nascere uno spazio esterno, è il “rispetto a cui” un oggetto può apparire, è la frontiera che non solo le ordinarie relazioni di spazio non oltrepassano, ma da cui queste stesse relazioni si dipartono. Lo spazio omogeneo e oggettivo della geometria acquista senso solo partendo dallo spazio orientato del corpo da cui, per astrazione, è stato costruito, per cui il mio corpo non è un semplice frammento nello spazio, ma per me non ci sarebbe spazio se non avessi corpo”26. “Non ha senso [perciò] parlare di un oggetto [isolato] in se stesso, bensì di un oggetto in situazione, ovvero di un oggetto più il campo di forze che esso genera in rapporto a ciò che lo circonda, in rapporto all’ambiente”27. Riprendendo una metafora cara all’architetto Friedrich Kiesler possiamo dire che le relazioni fra il corpo e le cose sono come un campo gravitazionale cosmico dove le orbite dei pianeti sono in rapporto con le rispettive masse. In quanto parte di un sistema più vasto il frammento è un elemento incompleto, una forma aperta che trova il suo equilibrio soltanto in rapporto ad altri frammenti. Il rapporto di distanza, di intervallo fra le diverse parti di una galassia è un parametro fondamentale per il raggiungimento dell’equilibrio del sistema. Questo è il principio compositivo che determina anche l’architettura. Lo spazio non è mai vuoto, “quasi sempre è dotato di poteri di attrazione”28. “IL DISTANZIAMENTO FRA UN’UNITÀ E L’ALTRA NON RIGUARDA SOLO LA SUPERFICIE DEL MURO CUI SONO APPESE LE DIVERSE UNITÀ, MA ANCHE LA DISTANZA DI QUESTE DAL MURO STESSO POICHÉ ALCUNE SONO PIÙ SPORGENTI DI ALTRE. IN QUESTO MODO IL CAMPO DI COINVOLGIMENTO GALATTICO DIVENTA TRIDIMENSIONALE”. (F.Kiesler, Inside the Endless House, p.21) Sopra Galaxy H, 1961, John Shore, Cincinnati, da D.Bogner, Friedrich Kiesler..., 1988, p.171 “MANTENERE IL SENSO DELLE PROPORZIONI FRA LE COSE E LASCIARE SPAZIO AGLI ALTRI SENZA PERDERE IL PROPRIO; È QUESTO IL SEGRETO DEL SUCCESSO NEL DRAMMA TERRENO. PER BEN RECITARE LA PROPRIA PARTE BISOGNA CONOSCERE L’INTERA OPERA; IL SENSO DELLA TOTALITÀ NON DEVE MAI PERDERSI IN QUELLO DELL’INDIVIDUO”. (K. Okakura, Lo zen e la cerimonia del tè, 1997, p. 35) A fianco Hans Bellmer 60 61 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega “ Note 1 Josef Frank, Architettura come simbolo, a cura di Hermann Czech, Zanichelli, Bologna 1986 (ed. orig. Wien 1931), Egitto, pp. 21-22 2 Adolf Loos, Moda femminile, in Parole nel vuoto, (ed. orig. WienMünchen, 1962), Adelphi, Milano 1999, p.109 onirico del genitale femminile. Vedi J.C. Flügel, Psicologia dell’abbigliamento, Angeli, Milano 1982, p. 38, cit. in N. Suicciarino, Il vestito parla, op. cit., pp. 72-74 11 M.Canevacci Ribeiro, op. cit., p.187 12 Anna Barbara, Anthony Perliss, Architetture invisibili. 3 L’esperienza dei luoghi attraverso gli odori, Skira, Milano 2006, p.28 13 Francesca Alfano Miglietti, Identità Mutanti. Dalla piega alla piaga: esseri delle contaminazioni contemporanee, Bruno Mondadori, Milano 2004, p. 18 14 Umberto Galimberti, Il corpo. Antropologia, psicoanalisi, fenomenologia, Feltrinelli, Milano 1984, p. 57 15 Ivi, pp. 47-48 16 F. Alfano Miglietti, Identità Mutanti, op. cit., pp.39-41 17 J.Baudrillard, Lo scambio …, op. cit., pp. 118-119 cit. in N.Squicciardino, Il vestito parla, op. cit., p. 78 18 F.A.Miglietti, Identità Mutanti, op. cit., pp.101-102 19 George Steiner, Grammatiche della Creazione. Una serrata indagine sul mistero della creatività, un’eloquente e drammatica diagnosi del nostro presente, Garzanti, 2001, p. 297 20 Homo technologicus è il titolo di un saggio scritto da Giuseppe O.Longo e pubblicato da Meltemi, Roma 2001 21 Intervista a Stelarc in F. Alfano Miglietti, Identità Mutanti, op. cit., p. 191. Per un approfondimento su Stelarc vedi anche Teresa Macrì, Il corpo postorganico, Costa & Nolan, Milano 2006, pp. 148-152 22 Eleonora Fiorani, Abitare il corpo: la moda, Lupetti, 2004, p.238 23 U. Galimberti, Il corpo, op. cit., p. 68 24 Ivi, pp. 66-67 25 Merleau Ponty, appunto del maggio 1960, in Il visibile e l’invisibile, Bompiani, Milano 1969, pp. 260-62 26 U. Galimberti, Il corpo, op. cit., p. 74-75 27 Maria Bottero, Frederick Kiesler. Arte Architettura Ambiente, Electa, Milano 1995, p. 12 28 Gaston Bachelard, Poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1999 (ed. orig. 1957), Introduzione, p.25 G. Perec, Pensare/Classificare, 1989, in Joseph Rykwert, Mark Wigley, Giannino Malossi, Ri-vestimenti, “Rassegna”, n. 73, Compositori, 1998, pp.28-29 4 Giuliana Bruno, Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema, Mondadori, Milano 2002, p. 290 5 Jean Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinell, Milano 1979, in Ri-vestimenti, op. cit., pp. 30-31 6 Ivi, p. 110, cit. in Nicola Squicciarino, Il vestito parla. Considerazioni psicosociologiche sul’abbigliamento, Armando Editore, 1992, pp. 113-114 7 L’origine del termine “feticcio” (feitiço) si deve al modo in cui gli esploratori portoghesi tentarono di tradurre un processo relazionale di tipo sacrale diffuso in molte popolazioni africane, a loro avviso definito “pagano”, “idolatra”, “magico”, e deriva dal latino facticius che definisce qualcosa di fabbricato, di “fatto”. In senso più generale poi, secondo un’interpretazione derivata da Freud, il feticismo consiste nell’assegnare a un oggetto un valore enorme, totemico, sacro. C’è poi un’accezione più economico-politica e filosofica della parola feticismo: quella che richiama, sulla scia dell’analisi della merce fatta da Marx, il potere che le merci hanno di assumere un carattere mistico, poiché sono il risultato della trasformazione in cosa, in oggetto, del prodotto di un’attività umana. Vedi Massimo Canevacci Ribeiro, Una stupita fatticità. Feticismi visuali tra corpi e metropoli, Costa e Nolan, 2007, pp.185-193 8 Walter Benjamin, Passagenwerk Parigi capitale del XIX secolo, Einaudi, Torino, 1986, p. 105 [B 1, 4] 9 Ivi, p. 124 [B 9, I] 10 Flügel scrive che “i vestiti servono non soltanto a creare un interesse sessuale ma forse, in se stessi, intendono rappresentare gli organi sessuali”. Egli afferma che vari elementi dell’abbigliamento come la scarpa, la cravatta, il cappello, il VERSO LE NINFEE SI LASCIÒ CADERE ASSUMENDO DI COLPO L’ANDATURA DI UNA FOGLIA AUTUNNALE […] NON ERA FACILE SMETTERE DI GUARDARLA - NON SI RIUSCIVA A GUARDARE ALTROVE - C’ERANO UN SACCO DI PERSONE, C’ERO IO, A UN CERTO PUNTO CI FU SOLAMENTE LEI. ARRIVÒ FINO A SFIORARE LE NINFEE, POI PRESE A SCIVOLARGLI ACCANTO, REPLICANDO LA CURVATURA DELLA PARETE, MA ARRICCHITA DI VOCALIZZI CINETICI, ACCARTOCCIATA LA LINEA CURVA IN UNO SCARABOCCHIO A OGNI SCOSSA PIÙ AFFATICATO, RIAGGIORNATA A OGNI ISTANTE LA DISTANZA, NON MENO INDEFINITA DELLE NINFEE, PERCHÉ DISSEMINATA IN QUEL MOVIMENTO DALLE MILLE DIREZIONI, ESPLOSA IN QUEL CORPO SENZA CENTRO. […] E IO, CHE PER ANNI AVEVO CERCATO DI GUARDARE QUELLE NINFEE, MAI RIUSCENDO A VEDERE ALTRO CHE NINFEE, [...] IMPROVVISAMENTE CAPII, […] CON ASSOLUTA CHIAREZZA CAPII CHE LEI STAVA VEDENDO - LEI ERA LO SGUARDO CHE QUELLE NINFEE RACCONTAVANO - LO SGUARDO CHE DA SEMPRE LE AVEVA VISTE - LEI ERA L’ANGOLAZIONE ESATTA, IL PUNTO DI VISTA PRECISO, L’OCCHIO IMPOSSIBILI. “ Alessandro Baricco, City, Rizzoli, Milano 1999, p. 104. Il testo si riferisce al quadro Le Nymphéas di Monet, 8 grandi quadri accostati che insieme formano una composizione lunga 90 metri e alta 2, disposta in una sala circolare nell’Orangerie di Parigi. Qui sotto Martha Graham (1984-1991) colletto ed anche capi di vestiario più grandi e voluminosi come il cappotto, i pantaloni ed il mantello, possono essere simboli fallici, mentre la scarpa, la cintura, la giarrettiera e la maggior parte dei gioielli possono essere considerati simboli vaginali. Per Sigmund Freud lo scrigno stesso, il cofanetto, è un simbolo 62 63 dalla piaga alla piega “L A MIA CASA, DICE GEORGES SPYRIDAKI, È DIAFANA, MA NON DI VETRO. […] I SUOI MURI SI CONDENSANO E SI ALLENTANO SECONDO IL MIO DESIDERIO. TALVOLTA, LI STRINGO ATTORNO A ME, COME UN’ARMATURA ISOLANTE... MA, TALVOLTA, LASCIO ALLARGARSI I MURI DELLA MIA CASA NEL LORO SPAZIO PROPRIO, QUELLO DELLA INFINITA ESTENSIBILITÀ. LA CASA DI SPYRIDAKI RESPIRA, ESSA È UN ABITO FATTO DA UN’ARMATURA E SI ESTENDE ALL’INFINITO […] ESSA È CELLULA E MONDO. LA GEOMETRIA È TRASCESA”1. Ri-vestimento e seduzione “L’UOMO HA UNO SCHELETRO GOTICO ED UNA PELLE CLASSICA, MA LO SCHELETRO NON È AFFATTO PIÙ VERO DELLA PELLE.2 “ Abbiamo visto come il gioco e l’ornamento, in quanto luoghi privilegiati di manifestazione del simbolico, definiscono una cucitura, una giunzione, un momento conflittuale che al tempo stesso separa ed unisce, uno spazio-soglia. Essi ristabiliscono il legame originario con il nostro involucro, con l’avvolgimento della placenta da cui siamo stati strappati con violenza al momento della nascita e con il quale secondo Levi-Strauss per istinto naturale non possiamo fare a meno di ricongiungerci. “Nell’arte figurativa e principalmente nell’arte cosmica per eccellenza, l’architettura”, sostiene Semper, l’ornamento “appare ovunque come essenziale elemento del rivestimento formale (Be-kleidung)”3, dove “il [ri-]vestire è una forma di progettazione, di simulazione del mondo, valida per la società e per l’individuo, che si realizza in segni e oggetti attraverso cui il corpo si situa temporalmente e spazialmente nel suo ambiente circostante”4. L’abito in cui ci avvolgiamo, i segni che ci incidono o ci decorano, i ricordi che riponiamo con cura nel nostro cassetto, gli oggetti che utilizziamo e consumiamo quotidianamente, raccontano la nostra storia, mostrano “l’usura del vivere […] porta[no] i segni della vita. In quanto abitazioni, recano le nostre impronte”5, sono mappe – come direbbe Giuliana Bruno - di una “geografia e-mozionale”. Sono forme attraverso cui i nostri corpi entrano in relazione con il mondo e tra loro, al tempo stesso quindi modi di abitare il corpo e modalità in cui il corpo abita lo spazio. “Il linguaggio del corpo infatti è una forma di comunicazione non verbale che si serve principalmente dell’espressione del volto, dello sguardo, dei gesti, dei movimenti, della postura e dell’abbigliamento”6. “Il corpo è una struttura linguistica, ‘parla’, rivela un’infinità di informazioni anche se il soggetto tace”7. “Già Honoré de Balzac, anticipando i semiologi, nel 1830 affermava che l’abbigliamento è “il più eloquente fra tutti gli stili… [è] realmente l’uomo… il testo della sua esistenza, la sua cifra geroglifica”8. “La filosofia del vestito è la filosofia dell’uomo. Nel vestito si nasconde Renè Magritte, Hommage à Mack Sennet, 1934, Musée Communal, La Louvière 65 dalla piaga alla piega Gottfried Semper, la capanna caraibica, da Der Stil..., vol. II, 1863, p. 276 66 dalla piaga alla piega l’intera antropologia”9. segnare il loro legame con la terra. Questa contrapposizione tra effimero Uno dei primi ad occuparsi sistematicamente e scientificamente dell’arte della tessitura e a riconoscere così un parallelismo tra ornamento del corpo e ornamento architettonico fu Alois Riegl10, direttore del reparto tessuti dello l’Österreichischen Museum für Kunst und Industrie (Museo austriaco per l’Arte e l’Industria) di Vienna dal 1886 al 1897. L’importanza del suo libro Antichi tappeti orientali (Altorientalische Teppiche), pubblicato nel 1891 in concomitanza con la prima grande esposizione internazionale dedicata al tappeto orientale, consistette nel rivalutare un’abilità tecnica fino ad allora considerata minore, come degna di essere indagata, carica di valori simbolici e frutto dell’azione del volere artistico, il Kunstwollen11, e dunque a ragione rientrante nella storia dell’arte universale: “nei moderni tappeti orientali a nodi è possibile riconoscere i discendenti […] di un’arte tessile antichissima: non solo la tecnica è primordiale, ma presenta un tratto di estrema antichità anche il tipico contenuto ornamentale, prodotto dalla combinazione di pochi elementi di base”12, quelli che poi l’architetto tedesco Gottfried Semper chiamerà Urtypen, archetipi. Fu infatti proprio Semper ad individuare in Der Stil in den technischen und tektonischen Künsten due modalità originarie del gesto della costruzione architettonica, il connettere e il coprire: “L’uomo pensò di organizzare un sistema di materiali i cui requisiti dovevano essere la flessibilità, l’elasticità e la solidità, per i seguenti motivi: innanzitutto, per allineare e legare; in secondo luogo, per coprire, proteggere, chiudere. Tutte le forme che scaturiscono da questi obiettivi si avvicinano ad una forma base lineare oppure planimetrica. Le prime si adattano meglio a realizzare l’allineamento (Reihung) e la connessione (Binden) […]; le altre, al contrario, sono necessarie quando si vuole coprire, proteggere e chiudere. […] Tutto ciò che è chiuso, protetto, circondato, avvolto, coperto, si presenta come qualcosa di unitario, come insieme; al contrario, tutto ciò che è legato si esprime come qualcosa di articolato, come pluralità. Se la forma base di ciò che è legato è lineare, in tutto ciò che deve coprire, proteggere e chiudere, l’elemento formale di riferimento è la superficie”. Da una parte dunque abbiamo il legare, l’intrecciare, il congiungere (Zusammenfügen) elementi lineari come le aste che, una volta sciolto il nodo della giunzione (Fügung), tornano ad essere separate; dall’altra l’avvolgere con una superficie, il coprire, il drappeggiare. Il primo gruppo rimanda alla linea, al contorno, al limite, all’archetipo del recinto; il secondo all’insieme, alla massa, alla macchia, al rapporto convessità/concavità, alla piega, all’archetipo del ventre materno13. Secondo questa distinzione Semper suddivide l’arte del costruire secondo due procedimenti fondamentali: la tettonica dell’intelaiatura del tetto e del recinto, e la stereotomia del basamento, l’una composta di materiali leggeri e lineari, ma anche deperibili e quindi effimeri, sottoposti a tensione e più vicini al cielo; l’altra fatta di materiali sollecitati a compressione, pesanti e volumetrici, che permangono nel tempo a e permanente, permeabile e impermeabile, trasparente e opaco, spinge Semper a distinguere tra Wand (parete) e Mauer (muro) per cui la prima, di radice etimologica comune con Gewand (tessuto/abito, hanno radice comune derivante da weben e wirken che significano tessere, intrecciare e da winden, ricamare), indica un materiale intrecciato come per esempio un tessuto adoperato come divisorio spaziale, mentre il secondo la struttura portante che invece viene nascosta da tale superficie intrecciata. “Spesso è stata trascurata l’importanza che ebbe il tappeto nella sua caratteristica di parete, di protezione verticale, sullo sviluppo di certe forme architettoniche . […] In tutti i popoli primitivi ricorre la staccionata in Tomba di Midia, da G.Semper, Der Stil..., I vol., 1860, p.429 rami intrecciati come primissima forma di recinzione o divisione dello spazio e la più primitiva opera di intrecciatura. Solamente l’arte del vasellame ha forse alcuni diritti a confrontarsi con la tessitura dei tappeti. […] Gli ornamenti più antichi sono quelli che o si formano attraverso intrecci e annodamenti, oppure quelli realizzati modellando con le dita la creta sul tornio. L’utilizzo di manufatti in aste intrecciate come delimitazione delle proprietà, di stuoie e tappeti come coperte per i piedi, come protezione dai raggi solari e dal freddo, come divisione degli spazi interni, fu nella maggior parte dei casi precedente […] alle pareti in muratura. […] E anche in seguito, quando le pareti di stuoie si trasformarono in resistenti muri di mattoni crudi o cotti o di blocchi di pietra […] mantennero in realtà l’essenza della parete intessuta (Wand)”14. Questo legame tra architettura e tessitura Semper lo ritrova anche nella parola tedesca Decke15 che sta a indicare tanto la copertura quanto la coperta, mentre gli scritti di Albert Höfer, discepolo di Wilhelm von Humboldt, gli dimostrano come ci sia uno stretto rapporto anche tra i termini tedeschi per dire nodo (Knote), bisogno (Not), e cucire, cucitura (Naht), e ancora tra Zaun, recinto e Saum, orlo o bordo. Giuliana Bruno poi ci fa notare come ci sia una corrispondenza tra abitare una casa e abitare un Mediante l’utilizzo di un tessuto, uno spazio può apparire fluidamente infinito, aleggiante nel vento, mentre i diversi gradi di trasparenza permettono di leggere la profondità e le ombre. Shigeru Ban, Curtain Wall House Tokyo, Giappone 1995 corpo anche nei termini inglesi address (indirizzo) e dress (vestito) e come anche in italiano abito significhi al tempo stesso vestito e prima persona singolare dell’indicativo presente del verbo abitare16. “Il rivestimento (Be-kleidung) dei muri è quindi l’elemento originario, essenziale per la sua valenza spaziale ed architettonica; il muro in sé è un elemento secondario. Il rivestimento parietale manterrà questa valenza anche quando, considerazioni legate alla maggiore durata, economicità, pulizia o amore del lusso, introdurranno materiali diversi: al posto dei tappeti, compariranno strati di intonaco, tavolati di legno, lastre di alabastro o di metallo”17. È ciò che riprenderà anche Adolf Loos quando nell’articolo Il Principio del Rivestimento scrive: “L’architetto, mettiamo, ha il compito di creare uno spazio caldo, accogliente. […] Egli decide di conseguenza di stendere un 67 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega tappeto sul pavimento e di appenderne quattro alle pareti. Ma non si può costruire una casa con i tappeti. I tappeti […] richiedono una struttura che li mantenga nella giusta posizione. Inventare questa struttura è il secondo compito dell’architetto”18. Già Karl Bötticher19, in Die Tektonik der Hellenen (La Tettonica degli La potenzialità di una piega e di un avvolgimento può cambiare radicalmente la lettura dei confini spaziali di qualsiasi struttura data. Quando Christo e Jeanne-Claude avvolsero il Reichstag a Berlino nel 1995 con un telo, trasformarono completamente l’apparenza dell’edificio, quasi fosse un castello. I loro lavori si prefiggono sempre di creare un senso di dislocamento per permettere di vedere il mondo in un modo diverso da come siamo sempre abituati, pur nonostante non eliminando quello che c’era prima: il telo permette di intravedere la sagoma di ciò che sta sotto. Quello che emerge è la sua essenze, mentre rimangono nascosti i suoi dettagli e la sua materia. Elleni)20, distingueva tra involucro esterno (Kunstform) e nucleo interno (Kernform), considerando il primo la rappresentazione concettuale (begrifflich) della funzione statica svolta dal secondo, e lo dimostra con l’esempio del tempio greco: le decorazioni del capitello, i triglifi posti uno sopra ogni colonna e le metà-opaion che Bötticher colloca al posto delle metope e che riempie con vari oggetti come vasi e candelabri tutti organizzati come base-fusto-capitello, evidenziano la direzione verticale dei pesi che la trabeazione e il fregio impongono alla colonna e dunque come la loro funzione strutturale sia già dichiaratamente manifestata nella loro forma. Tuttavia nel tempo vi fu un progressivo spogliarsi della Kernform, un processo di metamorfosi che Semper, riprendendo le considerazioni fatte da Quatremere de Quincy nel suo Jupiter Olympien (1814) sulla tereutica21 frame dal film Nove settimane e mezzo della statuaria greca, chiama mistero della trasfigurazione (Mysterium der Transfiguration o Stoffwechsel, cambio di materiale): dalle colonne e dalle porte monumentali in legno dell’architettura antica si era passati a quelle rivestite con lamine metalliche (Empaistik o placcatura), per poi arrivare alla saldatura di lamine in bronzo lavorate a sbalzo con chiodi ed infine a elementi in bronzo fuso a sezione cava (Hohlkörpertektonik, tettonica del corpo cavo o Röhrentektonik, tettonica tubolare). Sulla base di queste osservazioni, Semper rileva come vi siano tre modi diversi di affrontare il rapporto tra rivestimento e ciò che viene rivestito: gli assiri, con le loro costruzioni a corpo cavo (das metallene Kleid, il vestito metallico), identificarono gradualmente il nucleo con il rivestimento (“il nucleo ligneo trasferisce le proprie funzioni all’involucro che lo avvolge e scompare; quest’ultimo congiunge in sé ambedue, la componente struttiva e quella formale”); nell’arte egizia invece vi è la tendenza a separare nettamente la Kernform dalla Kunstform, nascondendo la prima o rivelandola solo in modo allusivo; l’arte greca infine riunisce in una sintesi il principio del rivestimento assiro e quello egizio conciliando in “una profondissima fusione” la funzione ornamentale e costruttiva della proteggere il dono avvolgendolo nel sacro e dunque il tempo e la cura che vengono dedicati alla preparazione del pacchetto denotano un dono ben più importante del regalo in esso contenuto. Prima di strappare via tutti i vari strati di carta e nastri per vedere ciò che sta dentro, c’è anzitutto la seduzione del pacchetto stesso: “geometrico, rigorosamente disegnato, eppure da qualche parte segnato sempre da una piega, da un nodo, asimmetrico, con tutta la cura e la tecnica stessa della confezione, l’assortimento di cartone, di legno, di carta, di nastri, esso non è più l’accessorio passeggero dell’oggetto trasportato, ma diventa oggetto lui stesso: l’involucro in sé è consacrato come una cosa preziosa, sebbene gratuita: il pacchetto è un pensiero. […] Di viluppo in viluppo il significato fugge e quando infine lo si raggiunge […] esso appare insignificante, derisorio, vile: il piacere, campo del significante, è stato afferrato: il pacchetto non è vuoto, ma svuotato: trovare l’oggetto che sta nel pacchetto, ovvero il significato che sta nel segno, significa gettarlo via”25. Per questo secondo Semper “una capriata lignea, anche se eseguita con perfezione, è solo buon artigianato; essa diventa arte monumentale [solo] Come direbbe Walter Benjamin infatti, “né l’involucro, né l’oggetto velato è il bello, ma l’oggetto nel suo involucro”22. A proposito della distinzione tra involucro formale (Kunstform) e nucleo interno (Kernform), Bötticher aveva scritto: “la forma del corpo è lo specchio nel momento in cui viene rivestita e incrostata con materiali e motivi formali derivanti da altre tecniche quali la metallotecnica o la textrin, la tessitura”26. Le costruzioni in stile gotico, le strutture metalliche delle stazioni o dei mercati e persino la copertura della biblioteca di Sainte Geneviève a Parigi progettata da Henry Labrouste, non le considerava opere di architettura: “una costruzione gotica vista da lontano è troppo traforata, le masse spariscono, e così pure i particolari. Sembra un’opera in fase di costruzione della sua essenza, se la penetri si dissolve il sigillo del suo mistero”23. avvolta ancora dalle impalcature”27. “L’esterno di una chiesa gotica Kunstform, in modo che gli elementi decorativi, tanto nel corpo umano che nella architettura, non hanno la funzione di occultare l’organismo né di rivelarlo, ma di interpretarlo. 68 Nell’arte dell’impacchettamento giapponese il senso del tsutsumi24 è “OGNI OGGETTO CHE CI INTERESSA … DEVE RAPPRESENTARE IN QUALCHE MODO PER NOI UN MISTERO, DEVE NASCONDERE UN SEGRETO CHE NON POSSIAMO SCOPRIRE. … SE POTESSIMO FACILMENTE PENETRARE NEI RAGIONAMENTI E NELLE TENSIONI ALLA BASE DI UNA PRODUZIONE, SAREBBE PIÙ INTERESSANTE, CI TROVIAMO INVECE SEMPRE DINANZI ALL’OGGETTO FINITO, CHE COSÌ, SPESSO, RISULTA INSIGNIFICANTE”. J. Frank, Raum und Einrichtung, 1934, in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank..., 1981, p.99 69 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega dà sempre l’impressione di essere incompiuto o di dover ancora venir rivestito”28. Del Crystal Palace, il palazzo di ferro e vetro progettato da Paxton per la Great Exhibition del 1851, scrive in tono critico “questo vuoto coperto di vetro che si adatta a qualsiasi cosa ci si voglia infilare”29. Data l’esilità della struttura al limite dell’incorporeità e la sua freddezza venendo a mancare il rivestimento, queste costruzioni secondo Semper sono grandi, ma non grandiose. Esse non sono capaci di creare quel senso di intimità e di raccoglimento (il sentimento del rifugio) che rende uno spazio così seducente. Aubade Paris, campagna pubblicitaria French art of loving “DATO CHE LA PRATICITÀ DA SOLA NON RIESCE A SODDISFARE DEL TUTTO IL SENSO DI ‘INTIMITÀ’ ALLA CASA NELL’UOMO, ACCANTO ALLE CONDIZIONI DI PRATICITÀ, UNA CASA HEIM DOVREBBE RACCHIUDERE LA MAGIA DEL NASCOSTO”. (M.H. Baillie Scott, Häuser und Gärten, 1912, cap. I, p.20) 70 “Etnologi ed antropologhi convengono nell’ammettere che la nudità dei ‘selvaggi’, a differenza dei vestiti ‘civilizzati’, non esercita alcuna azione erotica. L’assuefazione alla vista dei corpi nudi comporta una minore eccitabilità sessuale”30. “Nudo il corpo si muove male: pura superficie di figurazione, tace, mentre l’abito [abbiamo visto] dilata il corpo nello spazio, amplia lo spazio dell’io: apre al corpo invisibile dei sensi. Hegel dice che il nudo non significa, il corpo parla solo se è velato: svelandosi per apparire”31. Barthes parla del “l’evidenza del sotto”: gli abiti sarebbero “animati da una sorta di forza centrifuga: l’interno è incessantemente spinto verso l’esterno”32 e viceversa. “Secondo il Flügel, il pudore ‘è una reazione contro la tendenza più primitiva all’esibizionismo e quindi sembra implicare l’esistenza di quest’ultimo, senza il quale non può avere ragione di essere’. Nella situazione di ambivalenza creata dal conflitto tra esibizionismo, che spinge a mettere in mostra il corpo e renderlo più attraente, e pudore, che induce invece a nasconderlo in tutto io in parte, egli individua ‘il fatto fondamentale dell’intera psicologia del vestire’33. “Con l’occultazione del corpo l’abbigliamento soddisfa […] l’esigenza di evidenziare e valorizzare le caratteristiche estetiche e sessuali dell’individuo”. Questo corrisponde al principio freudiano per cui “dove c’è un tabù c’è desiderio”. “La donna nuda è senza attrattiva. Può sì accendere l’amore dell’uomo, ma non può conservarlo. […] la donna, coprendosi, divenne per l’uomo un enigma, per insinuargli nel cuore il desiderio del disvelamento”34. L’abito dunque “a motivo del carattere ‘allusivo’, della funzione cioè di indicare la nudità nel momento stesso in cui la nasconde, diviene sessualmente più seducente e provocante dello stesso nudo esibito”35, l’in-visibile è più seducente del visibile. “Gli attori porno non hanno volto. […] Per effetto dello zoom anatomico, la dimensione del reale è abolita”, sostituita da un iperreale virtuale asettico ed incorporeo, “la distanza dello sguardo lascia il posto a una rappresentazione istantanea ed esasperata […] fine dello spazio prospettico, che è anche quello dell’immaginario e del fantasma. [Dove] la pornografia dice, la seduzione racconta”, ha la forma di un enigma “NASCONDERE QUALCOSA PER METÀ LASCIANDOLO INTRAVEDERE PER L’ALTRA METÀ, GIOCA UN RUOLO MOLTO IMPORTANTE NELL’ARTE DELL’ARREDAMENTO; COME IN TUTTE LE ARTI RAPPRESENTATIVE, QUESTA QUALITÀ SUGGESTIVA È MOLTO PIÙ INTRIGANTE CHE IL COMPLETO DISVELAMENTO DI UNO SPAZIO”. (M.H. Baillie Scott, Gärten,1912, p.40) Häuser und Réne Magritte, Lo stupro, 1934 71 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega da risolvere […] senza che il segreto venga [mai] svelato”. “E’ lasciarsi Può un Uomo, quando la sua Vita non è che pura Pena adescare dalla lusinga illusionistica e muoversi in un mondo incantato”36. “Non appartiene mai alla sfera della natura, ma a quella dell’artificio, […] del segno, del rituale”37. La seduzione è “un gioco”, un rapporto duale in cui il femminile non è ciò che si oppone al maschile, non vi è chi vince o chi perde, ma uno scambio rituale ininterrotto. Al contrario della sessualità, che “cancella tutto nella sola spettacolarità del sesso” e si esaurisce quindi nel godimento, la sensualità non ha mai fine. “Il giocatore entra liberamente nel gioco, questa è la condizione del gioco [… e] con altrettanta libertà accetta le regole del gioco”38, dove la regola è “un patto altamente convenzionale, altamente ritualizzato […] e scandito secondo un ritmo a lui proprio. Contrariamente alla legge che è sempre inscritta, […] questa regola fondamentale non ha mai bisogno di enunciarsi, [anzi] non deve mai enunciarsi” perché altrimenti andrebbe violata la regola del segreto”39, del sacro. A una regola non si crede, la si osserva come un rito. Guardare al cielo e dire: così Meraviglia di lontano o sogno Io portai al lembo estremo della mia terra E attesi fino a che la grigia noma Il nome trovò nella sua fonte – Meraviglia o sogno potei allora afferrare consistente e forte Ed ora fiorisce e splende per tutta la marca… Un giorno giunsi colà dopo viaggio felice Con un gioiello ricco e fine Ella cerco a lungo e [alfine] mi annunciò: “Qui nulla d’eguale dorme sul fondo” Al che esso sfuggì alla mia mano E mai più la mia terra ebbe il tesoro… Così io appresi triste la rinuncia: Nessuna cosa sia dove la parola manca. “L’ORNAMENTO È IL SEGRETO CHE LA BAUKUNST ASSUME PER CONSENTIRE AL TEKTON DI DISPIEGARE I VALORI DI CUI EGLI È CUSTODE “. (F. Dal Co, Figures of Architecture and Thought, 1990, in K.Frampton, Tettonica e architettura..., 2007, p. 52) 72 Il filosofo tedesco Martin Heidegger spiega così la poesia di Stefan George, Das Wort, la parola40: dopo lungo cammino il poeta giunge alla “grigia noma”, la dea custode della sorgente del linguaggio, al lembo estremo della terra. Le chiede di trovare la parola adatta per il gioiello che reca in mano, lei cerca a lungo ma non trova nulla. La verità del gioiello, la parola stessa, rimane velata. L’immagine è analoga a quella dell’oscurità impenetrabile della ciotola di minestra. Come infatti fa presente Christopher Alexander41, anche se prosa e poesia usano le stesse parole, nella prima esse hanno solo un significato, nella poesia invece esse sono dense di significati. Solo così il poeta capisce (rattristandosi per questo) di aver sbagliato fino ad allora a voler a tutti i costi scoprire il segreto e rinuncia al suo precedente rapporto con la parola. Per Heidegger poetare significa custodire la verità della parola. Il linguaggio è la casa dell’essere (ricordiamo la differenza tra réverie e metafora). Anch’io voglio essere? Si Non fa male l’uomo a misurarsi Con la divinità. Dio è sconosciuto? E’ egli manifesto e aperto come il cielo? Questo Piuttosto io credo. Questa è la misura dell’uomo. Pieno di merito, ma poeticamente abita L’uomo su questa terra. Ma più pura Non è l’ombra della notte con le stelle, Se così posso osar di parlare, rispetto All’uomo, che si chiama immagine della divinità. C’è sulla terra una misura? C’è n’è Nessuna Fino a che la gentilezza [Freundlichkeit], la Gentilezza schietta ancora dura nel cuore. “Pieno di merito, ma poeticamente abita / L’uomo su questa terra”. L’uomo può anche impegnarsi molto coltivando, costruendo, prendendosi cura su questa terra, tuttavia (“ma”) questo non basta per abitare: occorre il “poeticamente”. E questo poetare significa prendere atto del kaos del mondo, la “pura pena”, e quindi prendere le misure con la divinità, con il sacro che però non si manifesta mai completamente: si mostra nel cielo, nei lampi, nei tuoni, ma al tempo stesso rimane nascosto, “sconosciuto”. “Questa è la misura d’uomo”, questa e la misura che l’uomo attribuisce al mondo per abitarlo, la misura del suo corpo. L’abitare è possibile solo finchè “la Gentilezza schietta dura ancora nel cuore”, nell’essenza dell’uomo che abita, e allora l’atto violento originario non solo sarà sopportabile, ma anche necessario. E’ il poetare che rende possibile l’abitare42. Nella Poetica dello spazio Bachelard sostiene che per individuare quell’ “essenza intima e concreta” che raccoglie “tutte le nostre immagini di intimità protetta, […] bisogna superare i problemi della descrizione […] cogliere le virtù prime, quelle in cui si rivela una adesione in qualche modo nativa alla funzione prima dell’abitare”43. “Le vere case del ricordo [infatti], le case cui ci conducono i nostri sogni, le case ricche di un fedele onirismo, ripugnano ad ogni descrizione. […] La casa originaria ed oniricamente definitiva deve conservare la sua penombra [ricordiamo “l’oscurità impenetrabile del fondo” della ciotola di minestra]. Essa é vicina alla letteratura che scruta nel profondo, vale a dire alla poesia. […] Per evocare i valori di intimità, è necessario, paradossalmente, indurre il lettore in uno stato di lettura sospesa […] fin dalla prime parole, alla prima apertura poetica, il lettore che ‘legge una camera’ sospende la sua lettura e incomincia a pensare a qualche antica dimora”44. “La spoglia eleganza delle stanze giapponesi è fondata, per intero, sulle infinite gradazioni del buio. […] Stanze, già di per sé poco chiare, noi IN GENERALE NON COMPRENDIAMO PIÙ L’ARCHITETTURA... UNA ATMOSFERA DI INESAURIBILE PIENEZZA DI SIGNIFICATO AVVOLGEVA UN EDIFICIO COME UN VELO MAGICO. LA BELLEZZA ENTRAVA NEL SISTEMA SOLO SECONDARIAMENTE, SENZA INDEBOLIRE LA SENSAZIONE FONDAMENTALE DI MISTERIOSA SUBLIMITÀ, DI SANTIFICAZIONE, PER MAGIA O PER VICINANZA DEGLI DEI. AL MASSIMO LA BELLEZZA TEMPERAVA IL TIMORE MA QUESTO TIMORE NE ERA OVUNQUE IL PREREQUISITO. (F.Nietzsche, Umano, troppo umano, in G.Hersey, Il significato nascosto..., 2001, p.XXXIII 73 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega Casa del tè giapponese, Kyoto, XVII secolo, da F.Sack, Offene Haus, p.135 “SOLO UOMINI DELL’ESTREMO ORIENTE POSSONO AMARE VERAMENTE UNA PIETRA COSÌ; IL SUO FONDO, DALLA LUMINESCENZA TORBIDA E NEGHITTOSA, SEMBRA CONTENERE L’ARIA CRISTALLIZZATA DEI SECOLI. NON HA, LA GIADA, NÉ I COLORI PURI DEL RUBINO O DELLO SMERALDO, NÉ LA FULGIDEZZA DEL DIAMANTE. CHE COSA VI TROVIAMO, ALLORA, DI TANTO ATTRAENTE? È DIFFICILE SPIEGARLO, MA, QUANDO LA OSSERVO, SENTO CHE LA GIADA È INCONFONDIBILMENTE CINESE, E MI SEMBRA DI VEDERE TUTTO IL LUNGO PASSATO DI UNA CIVILTÀ, ISPESSITO E COAGULATO IN QUEL SUO INTERNO OPACO E NUVOLOSO”. (J.Tanizaki, Libro d’ombra, p. 25) 74 cerchiamo di renderle ancora più fosche, dilatando lo spazio sotto le gronde, o frapponendo talvolta, fra il buio interno e le naturali chiarità atmosferiche, lo schermo di una veranda. Del sole fulgente che brilla sul nostro giardino non ci raggiunge che uno spento riflesso, filtrato attraverso la carta opalescente dello shóji. Questa luce mitigata e indiretta è l’elemento estetico più importante della casa giapponese. Perché quietamente e silenziosamente penetri, lei così debole, ed estenuata, e melanconica, nella nostra casa, rivestiamo i muri con intonaci di colore neutro. […] Spesso le sfumature sono infinitamente sottili: si tratta di tinte sfuggenti, che sembrano cangiare, secondo lo stato d’animo di chi le guarda. Le loro gradazioni conferiscono, a ogni locale, una differente qualità di buio. V’è, nella stanza principale delle case giapponesi, una nicchia (il toko no ma) in cui, volta per volta, si usa esporre un quadro, o qualche fiore. Tali oggetti non mirano tanto a ravvivare l’ambiente, quanto ad aggiungere, al buio, una dimensione cava”45. Tuttavia questo non significa che bisogna far prevalere la Kunstform sulla Kernform: anche “mascherarsi non aiuta se quel che c’è dietro la maschera è sbagliato o se la maschera non vale nulla; perché il dato materiale, indispensabile, venga annullato completamente nella creazione artistica, è necessario che prima lo si padroneggi con maestria”46. La seduzione infatti non implica la dimensione del far credere, non è falsità: colui che bara, “toglie al gioco l’illusione, l’inlusio”, cioè l’essere nel gioco, “espressione pregna di significato”47. A differenza della legge, “non ha alcun senso ‘trasgredire’ una regola del gioco” poiché i giocatori hanno stretto un patto simbolico senza il quale non vi sarebbe alcun gioco. “Profanando il rituale attraverso l’atto del barare significa distrugge il fascino duale del gioco attraverso l’irruzione di una determinazione individuale, di un plusvalore ottenuto il quale il gioco si interrompe e con lui la seduzione”48. Quando i Greci e in parte gli stessi Romani - i quali “vedevano nel muro non l’elemento portante, ma piuttosto quello divisorio” - rivestivano le pareti prima con “teli veri o dipinti” e in seguito con “decorazioni che imitassero queste stoffe [stucco, rivestimenti metallici, lastre di marmo, tavole in legno,…]”49, non fingevano mai ad una funzione portante del muro, ma si richiamavano invece, attraverso le decorazioni, ai motivi dei tappeti. Riprendendo questo “principio” semperiano, Loos formula la “legge” del rivestimento: “Ogni materiale possiede un linguaggio formale che gli appartiene e nessun materiale può avocare a sé le forme che corrispondono ad un altro materiale. […] Nessun materiale consente una intromissione nel proprio repertorio di forme. Chi osa, ciononostante, una tale intromissione, viene bollato dal mondo come falsario. L’arte non ha nulla a che fare con la falsificazione, con la menzogna. […] Ma forse che il soggiorno tutto rivestito di tappeti non è anch’esso un’imitazione? Le pareti non sono certo costruite con i tappeti! Non c’è dubbio. Ma questi tappeti devono essere solo tappeti e non mattoni, non devono essere scambiati per tali non ne imitano né il colore né la forma, esprimono invece il loro vero significato come rivestimento delle superfici in muratura. Assolvono il loro compito secondo il principio del rivestimento”. E più avanti aggiunge: “Il principio del rivestimento, che Semper enunciò per primo, è applicabile anche alla natura. L’uomo è rivestito di pelle, l’albero di corteccia. Partendo da questo principio […] io formulo […] la legge del rivestimento: […] bisogna operare in modo da escludere ogni possibile confusione fra materiale rivestito e rivestimento. Vale a dire: il legno si può dipingere di tutti i colori tranne uno: il color legno. […] in generale tutti i materiali che servono al rivestimento delle pareti, e cioè tappezzerie, tele incerate stoffe o tappeti, non devono cercare di imitare i mattoni o la pietra”50. Nicole Tran Ba Vang, dalla collezione primavera/estate 2001 (M.Canevacci Ribeiro, Una stupita fatticità..., 2007, p.47) 75 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega Note 1 Georges Spyridaki, Mort lucide, ed. Seghers, p.35, cit. in Gaston il Können, cioè il saper fare, che secondo lui caratterizzava i (cubica), non ancora come libero spazio infinito”. Ogni stile va che tali ciocche di lana, partendo perpendicolarmente dalla perciò analizzato in funzione del Kunstwollen di ciascuna epoca catena, si protendessero con entrambe le punte verso l’alto e e non in base a parametri fissi ed eterni derivanti dall’estetica formassero nel loro moltiplicarsi un vello felpato. Ma poiché classica. In questo modo egli rivaluta epoche considerate con queste ciocche di lana da sole non erano in grado di tenere accezione negativa “non classiche”, come quella tardo romana unito l’insieme, si fu costretti a inserire di tanto in tanto uno o dei popoli barbarici, il medioevo, il gotico, il barocco. più fili di trama per tutta la lunghezza della catena, secondo la 12 tecnica dell’armatura-lino […] in maniera che, grazie alla stretta Alois Riegl, Antichi tappeti orientali, Quodlibet, Macerata 1998 (ed. orig. Altorientalische Teppiche, 1891), p. 97. compressione esercitata da questo filo sulla riga delle ciocche, Scritto sulla scia di Disegni di tappeti orientali antichi di Julius si impedisse un allentamento dei nodi. La superficie tessile così Lessing pubblicato nel 1877 e di Il ricamo artistico persiano ottenuta mostrava un vello peloso (felpa) formato da ciocche di susandschird dell’orientalista J.Karabacek apparso nel 1882, lana erte verso l’alto, attraverso le quali era impossibile vedere Riegl aveva preso in considerazione principalmente due tanto i fili di trama che quelli di catena. Il rovescio, invece, era liscio e manteneva in vista sia i fili di trama che le giravolte dei Bachelard, Poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1999 (ed. orig. materialisti seguaci di Semper. 1957), cap. 2, La casa e l’universo, p. 77 “La volontà dell’uomo è tesa a conformare in modo 2 Josef Frank, Architettura come simbolo, a cura di Hermann soddisfacente le sue relazioni col mondo. […] La volontà artistica Czech, Zanichelli, Bologna 1986 (ed. orig. 1931), Il Cristianesimo ne regola le relazioni coll’aspetto delle cose percepibile ai sensi: tecniche di lavorazione del tappeto: per i tappeti da parete si attua, insomma, esprimendo le cose come l’uomo le vuole la tessitura ad arazzo (Wirkerei), per i tappeti da pavimento fili di catena”. vedere, in forma e colore (e nella poesia, esprimendole come l’annodatura. Riguardo alla prima scrive che “è la tecnica più Per quanto riguarda l’annodatura (detta anche tecnica di Smirne) l’uomo le vuol sentire espresse). Ma l’uomo non solo percepisce primitiva, anzi con ogni probabilità la più antica forma in “si prendono due fili di catena che pendono l’uno accanto coi sensi (cioè passivamente), ma anche (attivamente) vuole; e assoluto di tessitura (Weberei)”. all’altro, vi si pone sopra di traverso un corto filo (in genere perciò aspira a conformare il mondo così come egli lo desidera”. “I più antichi manufatti tessili furono senza dubbio prodotti di lana) di circa cinque centimetri di lunghezza e si passano i Alois Riegl, Arte tardoromana, Einaudi, Torino 1959, p. 272 per che, due capi di quest’ultimo prima dietro i due fili di catena, poi Occorre “liberarsi da quella storia, che ordinariamente vien con l’incrociarsi regolarmente alternato di due serie di fili in mezzo ad essi verso la superficie anteriore. I due capi del messa in relazione col nome di Gottfried Semper, secondo la perpendicolari, è vicinissima al semplice intreccio. […] E filo corto sporgono così verso l’alto come una doppia ciocca, quale l’opera d’arte non sarebbe nient’altro che il prodotto certamente fu dapprima la sola mano umana che senza l’aiuto saldamente legata ai due fili di catena tramite una semplice meccanico di tre fattori: l’uso cui è destinata, la sua materia e la di alcuno strumento intrecciò i fili l’uno con l’altro. […] La mano circonduzione. […] quando si è annodata in questo modo tecnica adoperata. […] In contrapposizione a questa concezione aveva la possibilità di avvolgere il filo di trama attorno a ogni un’intera riga di ciocche diventa necessario, per ottenere un meccanica della natura dell’arte, io ho – per primo a quanto mi filo di catena a piacere e addirittura di mutare la direzione del tessuto compatto, serrare, con l’inserimento di un filo di trama risulta – sostituito una ipotesi teleologica, in quanto ho visto movimento. […] Un simile procedimento divenne addirittura (in genere doppio) secondo la tecnica dell’armatura-lino, i fili di nell’opera d’arte il risultati di una determinata e consapevole necessario non appena si giunse a introdurre […] ricami catena, che dalle ciocche comuni sono strette assieme soltanto volontà artistica, che si sostituisce, con dura lotta, al fine, alla variopinti su un fondo tessuto già pronto” (vedi capitolo I, Il a due a due. Il filo di trama viene a questo punto pressato con materia e alla tecnica. Questi tre fattori […] rappresentano un tappeto tessuto ad arazzo, pp. 21-42). forza sulla riga di ciocche precedentemente annodate e in carattere repressivo, negativo: essi sono i coefficienti d’attrito Tuttavia “la primitiva tessitura ad arazzo poteva di sua natura questo modo non solo si ottiene una struttura ben resistente, nel prodotto complessivo”. Ivi, pp. 9-10 fornire soltanto ornamenti delimitati da linee rette. Una ma anche si previene l’allentamento delle singole annodature”. Tuttavia “bisogna fare una netta distinzione tra Semper e i peculiarità della tecnica della tessitura ad arazzo [infatti] è data “Il procedimento descritto non risulta minimamente mutato nei semperiani. Se il Semper asseriva che nello svolgersi d’una dal fatto che […] quando esse vengono condotte parallele suoi tratti essenziali se invece del filo corto di cui si è parlato forma artistica vanno prese in considerazione pure la materia alla catena, si producono nel tessuto delle fessure, poiché se ne sceglie per l’annodatura uno di lunghezza doppia, ma e la tecnica, ecco i semperiani semplicisticamente asserire le due superfici colorate a contatto non hanno connessione piegato in due. […] in tal modo i capi del filo non sporgono che ogni forma artistica è il prodotto di materia e tecnica. La nella trama”. Dunque per limitare l’ampiezza di tali fessure soltanto come una doppia ciocca, ma a questa si aggiunge un ‘tecnica’ è così diventata in breve la parola d’ordine preferita, che indebolivano la consistenza del tessuto si prediligevano piccolo cappio”. Capitolo II, il tappeto a nodi, pp. 43-79 che nel parlare fu tosto equivalente a ‘arte’ e che alla fine si udì figurazioni ornamentali romboidali, linee radianti parallele, 13 addirittura più sovente che la parola arte”. A.Riegl, Problemi di zigzag. Kuensten, oder Praktische Aesthetik. Ein Handbuch für Techniker, stile, 1963, pp. 1-12. Nel secondo capitolo tratta invece della tecnica dell’annodatura Kuenstler und Kunstfreunde, Erster Band: Textile Kunst, Verlag Secondo Riegl il processo storico dell’arte è un fluire continuo sostenendo che “il tappeto da pavimento calpestato dai piedi für Kunst und Wissenschaft, Frankfurt a.M., 1860, tradotto da anche alla riorganizzazione della tutela dei monumenti dell’attività artistica, le cui fasi, sviluppate l’una nell’altra, è soggetto a un’usura ben maggiore rispetto al tappeto da G. Hach e M. P. Arena in G.Semper, Lo Stile nelle arti tecniche (Denkmalspflege). Muore a Vienna il 17 giugno 1905. ma insieme dotate di autonomia, non sono mai decadenza. parete; deve anche, allo stesso tempo, riparare dalla naturale e tettoniche, a cura di A.R. Burelli, C.Cresti, B. Gravagnuolo, Soprattutto in Stilfragen, 1893, tradotto in italiano col Ciascuna epoca è caratterizzata da un proprio Kunstwollen a freddezza del suolo. […] Ma poiché all’ispessimento di un F.Tentori, Laterza, Roma Bari 1992, p.51 e 64. titolo Problemi di stile (Feltrinelli, Milano 1963), e in Industria cui corrisponde una diversa concezione di spazio: “l’arte antica tessuto per mezzo dell’aumento dei fili di trama sono posti A queste due categorie del connettere e del coprire si possono artistica tardoromana (Firenze 1953, ed. orig. Spätrömische conobbe unità e profondità solo nel piano, l’arte moderna al dei limiti ben precisi dall’esigenza di ottenere le auspicabili far corrispondere quelle di lineare e pittorico indicate da Wölfflin Kunstindustrie nach den Funden in Österreich, due volumi, Hof- contrario li cerca entrambi nella profondità dello spazio; l’arte elasticità, mobilità e leggerezza, fu fin dal principio necessario (1864-1945) in Concetti fondamentali della Storia dell’arte (1915), und Staatsdruckerei, Wien 1901 e 1923), Alois Riegl espone tardo-romana sta nel mezzo fra i due perché ha liberato le tentare di ottenere un rafforzamento che si sviluppasse in l’uno concentrato soprattutto sul contorno, sui limiti di un il principio del Kunstwollen (volontà artistica), ovvero dello singole figure dal piano e perciò ha superato la finzione di un direzione perpendicolare alla superficie tessuta. Ciò avvenne oggetto, sugli orli; l’altro sulle masse, sentite essenzialmente specifico impulso artistico ed estetico, irriducibile a fattori piano di fondo da cui tutto nasce, ma riconosce lo spazio - e in ciò nella maniera più semplice mediante l’annodamento di come macchie: “Vedere linearmente vuol dire che il significato esterni, di una determinata epoca, in contrapposizione contro segue ancora l’arte antica - solo come una singola forma chiusa ciocche di lana su singoli fili di una catena ben tesa, in modo e la bellezza delle cose si cercano prima di tutto nel contorno e gli artisti, p. 40 3 G. Semper, Über die formelle Gesetzmässigkeit des Schmuckes und dessen Bedeutung als Kunstsymbol, Meyer und Zeller, Zürich 1856, p. 103 4 Patrizia Calefato, Moda, corpo, mito. Storia, mitologia e ossessione del corpo vestito, Castelvecchi 1999, p. 11 5 Giuliana Bruno, Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema, Mondadori, Milano 2002, p. 290 6 Nicola Squicciarino, Il vestito parla. Considerazioni psicosociologiche sul’abbigliamento, Armando Editore, 1992, p.10 7 Ivi, p.14 8 H. de Balzac, Trattato della vita elegante, Longanesi, Milano 1982, p.121, cit. in Ivi, p.17 9 G. van der Leeuw, Der Mensch und die Religion, Hans z. Falken, Basel 1941, p.23, cit. in Ivi, p.160 10 Nato a Linz il 14 gennaio 1858, dopo due anni di corsi di diritto, già a diciotto anni iniziò a studiare filosofia e storia e nel 1881 entrò nell’Istituto per le ricerche storiche di Vienna (Institut für Geschichtsforschung) diretto da Theodor von Sickel, di cui apprezza il cui metodo storico filologico e l’interesse per l’autenticità delle fonti. Nel 1886 successe al F.Wickhoff nel reparto tessuti dello l’Österreichischen Museum für Kunst und Industrie (Museo austriaco per l’Arte e l’Industria), e vi rimase fino al 1897. Dal 1889 iniziò la carriera accademica come libero docente e nel 1897 divenne ordinario presso l’Università di Vienna. Nonostante fosse colpito da forte sordità, si dedicò 11 76 mezzo dell’armatura tela (Leinwandbindung) Gottfried Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen 77 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega […]; vuol dire che l’occhio viene guidato lungo i limiti di un della pittura, ma può voler dire anche cippo, monumento, oggetto e quasi condotto a palparne gli orli, mentre il vedere neo, ed anche volta in senso temporale: “La differenza prima per masse [nel pittorico] significa distogliere l’attenzione e fondamentale è che lo Zeichen viene impresso, mentre il dai margini, mentre il contorno, come guida dell’occhio, è Mal emerge, viene in luce. […] Mentre lo Zeichen assoluto non diventato più o meno indifferente e gli oggetti si presentano e appare prevalentemente negli esseri animati, ma è impreso vengono sentiti essenzialmente come macchie, non importa se anche su edifici senza vita, su alberi, ecc., il Mal compare di colori oppure soltanto di masse contrastando in chiaroscuro”. soprattutto negli esseri viventi”. E ancora: “La visione che s’affida al contorno, isola le cose; per Cfr. Andrea Pinotti, Il corpo dello stile. Storia dell’arte come storia l’occhio che invece vede pittoricamente, esse si raggruppano dell’estetica a partire da Semper, Riegl, Wölfflin, Mimesis, 2001, pp. insieme. Nel primo caso, l’interesse è rivolto piuttosto alla 148-176. comprensione dei singoli oggetti come valori precisi, tangibili, 14 nell’altro nel cogliere l’aspetto visibile delle cose nel loro Vergleichenden Baukunde, Friedrich Vieweg und Sohn Verlag, complesso, come un’apparenza ondeggiante. […] Tuttavia Braunschweig 1851,p. 57 anche nel pittorico “la sensibilità ottica sembra alimentata 15 da un altro senso tattile, da quello che saggia la qualità della rivestimento) in G.Semper, op. cit. superficie, la diversa epidermide, per così dire, delle cose. Kevin Nute in Frank Lloyd Wright and Japan: the role of traditional E la sensibilità, superando l’elemento obiettivo e palpabile, Japanese art and architecture in the work of Frank Lloyd Wright (E penetra ora anche nel regno dell’inafferrabile: soltanto lo stile & FN Spon, London 1993, nota 30 a pp.45-46) rileva come nella pittorico [infatti] scopre la bellezza di quel che è incorporeo. lingua giapponese il termine per dire “tetto”, yane, voglia dire […] L’accento cade là [nel lineare] sui limiti delle cose; qui [nel anche “origine”. pittorico] la rappresentazione sbocca nell’indefinito”. A queste 16 due categorie Wölfflin farà poi corrispondere, in Rinascimento e 17 Barocco. Ricerche intorno all’essenza e all’origine dello stile barocco Hermann, Gottfried Semper : architettura e teoria, Electa, Milano in Italia (1888), rispettivamente cinque coppie concettuali 1990, p. 243 oppositive (Begriffspaare) che in seguito avrebbe sviluppato 18 in Problemi di Stile (Das Problem des Stils in der bildenden 1898 sulla rivista “Neue Freie Presse”, ora in Adolf Loos, Parole Kunst, in «Sitzungsberichte der Preußischen Akademie der nel vuoto, (Ins Leere gesprochen, Verlag Herold, Wien-München, Wissenschaften», n. 31, 1912) lineare/pittorico, superficie/ 1962), Adelphi, Milano 1999, p. 79 profondità, forma chiusa/forma aperta; unità molteplice/unità 19 unitaria; chiarezza assoluta/chiarezza relativa. Wölfflin, allievo di 20 Jakob Burckhardt, come Riegl, era fautore del Kunstwollen. von Ferdinand Riegel, 1844-1852. Si tratta di un saggio in due Già Robert Visher nel 1872, con la sua tesi di Dottorato volumi in cui Bötticher cercava di trovare una riconciliazione sul Sentimento ottico della forma, aveva individuato due tra lo stile ellenistico e quello germanico del suo tempo. Con atteggiamenti di fronte alla percezione visiva, l’una grafica tettonica egli intendeva “l’attività formatrice in architettura (zeichnerisch), l’altra plastico-pittorica (plastisch-malerisch): la e nella produzione di oggetti d’uso quando la stessa riesce a prima consiste nel “tracciare delle linee, in cui con la massima permeare eticamente i loro compiti ponendosi l’obiettivo di precisione io mi assicuro dei contorni, per così dire con le punte innalzare i bisogni dell’uomo a un valore artistico” delle dita”, l’altra nel “puntare alle masse, per cui ripercorro in 21 certo qual modo con la mano aperta le superfici, le convessità e colori e tecniche diversi che opera per via di porre piuttosto che concavità di un oggetto”. Secondo Visher dunque il senso tattile di levare (Zusammenfügen). e quello ottico sono intimamente legati l’un l’altro, dove toccare 22 è un guardare grossolanamente molto da vicino (derberes Saggi e frammenti, Torino, Einaudi, 1962, p. 225 Schauen in die unmittelbare Nähe), e guardare è un toccare 23 Frontespizio al primo volume di Karl Bötticher, op. cit. preciso nella lontananza (feineres Tasten in die Ferne). Questa 24 “tsutsumi”, letteralmente significa pacco, regalo, dono, e che suddivisione in zeichnerisch e malerisch verrà poi ripresa da deriva da verbi col significato di avvolgere, coprire, ma anche Walter Benjamin in Pittura e grafica (1917) in cui egli sottolinea nascondere, tener segreto. come i due termini Zeichen e Mal, significanti entrambi segno, 25 simbolo, sono solo parzialmente sovrapponibili: mentre Zeichen (ed.orig. 1967), p. 156 in N.Squiccairino, Il vestito parla, op. cit., rimanda alla grafica, al disegno, al rapporto dialettico tra linea pp. 53-55 e superficie; il Mal invece deriva dall’antico tedesco meil che 26 significa macchia e anche peccato, e rinvia dunque alla sfera architettura solo in lamiere”, facendo rientrare in questa 78 G.Semper, Die vier Elemente der Baukunst. Beitrag zur Vedi il capitolo Das Prinzip der Bekleidung (il principio del G.Bruno, op. cit., p. 289 Capitolo X della Vergleichende Baulehre, in Wolfgang L’articolo Das Prinzip der Bekleidung è apparso il 4 settembre Allievo di Schinkel e poi docente alla Bauakademie. Karl Bötticher, Die Tektonik der Hellenen, Potsdam, Verlag La toreutica consiste in un montaggio policromo di materiali, Walter Benjamin, Le affinità elettive, in Id., Angelus Novus. Roland Barthes, Il sistema della moda, Einaudi, Torino 1991 Il metallo a suo avviso perciò è utilizzabile “per una ‘bella’ categoria anche le colonne cave ottenute per fusione. Nel progetto per il Waschschiffs di Zurigo egli riveste in legno la struttura in ferro e decora le pareti esterne con pitture, pilastri, modanature, cariatidi. 27 Ms 13, foglio 5, in W.Hermann, op. cit., p. 106 28 Ms 25, foglio 212, in Ivi, p. 105 29 G.Semper, Wissenschaft, Industrie und Kunst. Vorschläge zur Anregung Nationalen Kunstgefühles bei dem Schlusse der Londoner Industrie-Ausstellung, Friedrich Vieweg und Sohn Verlag, Baunschweig 1852, p. 137 30 J.C.Flügel, Psicologia dell’abbigliamento, Angeli, Milano 1982, p.31, cit. in N.Squicciarino, Il vestito parla, op. cit., p. 95 31 Eleonora Fiorani, Abitare il corpo: la moda, Lupetti, 2004, pp. 18-19 32 R.Barthes, Il sistema della moda, op. cit., p. 156 in N.Squiccairino, Il vestito parla, op. cit., p. 97 33 J.C.Flügel, op. cit., p.31, cit. in N.Squicciarino, Il vestito parla, op. cit., p. 95 34 Adolf Loos, Moda femminile, in Parole nel vuoto, op. cit., p.110 35 Squicciarino, Il vestito parla, op. cit., pp. 96-97 36 Jean Baudrillard, Della seduzione, SE, Milano 1997 (ed.orig. 1979), p.43 37 Ivi, p.11 38 P.Aldo Rovatti, Davide Zoletto, La scuola dei giochi, Bompiani 2005, p.23 39 J. Baudrillard, op. cit., p. 87 40 Stefan George, Das Wort, 1919, in Martin Heidegger, L’Essenza del Linguaggio, 1957-58 in Cammino verso il Linguaggio, Mursia, Milano 41 Christopher Alexander, Pattern Language, Oxford University Press, 1977, p. XLI 42 M.Heidegger, Poeticamente abita l’uomo, in Saggi e discorsi, 1951. 43 G. Bachelard, Poetica dello spazio, op. cit., cap. 1, La casa. Dalla cantina alla soffitta. Significato della capanna, p.32 44 Ivi, pp. 41-44 45 J.Tanizaki, Libro d’ombra, Bompiani, Milano 2005 (tit.orig. In’ei raisan, 1935), pp.39-42 46 Marco Pogacnik, Gottfried Semper. Il governo dello stile, in “Ottagono”, n.94, L’ornamento, marzo 1990, p.13. 47 Johan Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino 2002, (ed. orig. 1973), p.15 48 J.Baudrillard, op. cit., p. 137 49 G.Semper, Textile Kunst, testo preparatorio a Der Stil e pubblicato per la prima volta in Kleine Schriften, a cura dei figli Manfred e Hans Semper, Verlag W.Spemann, Berlin Suttgart 1884, e cit. in Benedetto Gravagnuolo, Gottfried Semper. Architettura arte e scienza, Clean, Napoli 1987, p. 191 50 A.Loos, Il Principio del Rivestimento, Parole nel vuoto, op. cit., pp. 79-85 Otto Mueller, Danzatrice con velo, 1903 circa Detroit Collaborative Design Centre, University of Detroit, Mercy School of Architecture, da R. Klante – L. Feireiss, Space Craft..., 2007, p.236 79 dalla piaga alla piega L’intonaco bianco “L A CELLULA MIA SI RIEMPIE DI STUPORE/IL MURO DIPINTO A CALCE DEL MIO SEGRETO. QUESTA IMMAGINE NON TRASPONE UNA REALTÀ. SOGNATORE LE DIMENSIONI. È SAREBBE [...] RIDICOLO DOMANDARNE AL REFRATTARIA ALL’INTUIZIONE GEOMETRICA, MA INQUADRA BENE L’ESSERE SEGRETO. QUESTI SI SENTE PROTETTO DALLA BIANCHEZZA DI UN LATTE DI CALCE PIÙ CHE DA FORTI MURA: LA CELLULA DEL SEGRETO È BIANCA. […] LA BIANCHEZZA DEI MURI, DA SOLA, PROTEGGE LA CELLULA DEL SOGNATORE ED È PIÙ FORTE DI OGNI GEOMETRIA. AD ISCRIVERSI NELLA CELLULA DELL’INTIMITÀ. ESSA PERVIENE 1 I PALAZZI A VIENNA SONO STRACARICHI DI ORNAMENTI RIVESTITI DI STUCCO E INTONACO. QUESTO INTONACO, LE SPESSE MURA SOTTOSTANTI E IL RICCO STRATO DI MATERIALE APPLICATOVI, FECERO SÌ CHE NON ERANO NECESSARI UNA BUONA QUALITÀ E UN BUON LAVORO. IN QUESTO MODO LE NOSTRE CASE EBBERO I MURI PIÙ SPESSI, I SOFFITTI E TETTI PIÙ PESANTI, ED ERANO LE PIÙ CARE. SE LE CONFRONTIAMO CON LE COSTRUZIONI IN MURATURA A VISTA CHE SI USANO COSTRUIRE IN CAMPAGNA, VEDIAMO COME QUI IL BUON LAVORO DELL’ARTIGIANO SOSTITUÌ OGNI LUSSO: SI ERESSERO PARETI ATTRAVERSO LE QUALI QUASI SI POTEVA VEDERE ALL’INTERNO DELLA CASA. […] OGNI CASA ED ANCHE OGNI COSA DEVE ESSERE PRODOTTA NELLA FORMA PIÙ SEMPLICE, ESSENZIALE E CHIARA!.2 come camicia “QUESTO RAPPORTO TRA INTERNO ED ESTERNO SI ESALTA NATURALMENTE NELLE ORE PIÙ BUIE ... LASCIANDONE TRAPELARE LA VITALITÀ INTERIORE. ... L’AFFIORARE DELL’INVISIBILE INTERIORITÀ ATTRAVERSO LA LUMINOSITÀ CHE FILTRA DALLE APERTURE, DALLE TRASPARENZE STESSE DELL’ARCHITETTURA”. (M.Vitta 2008, p.156) “ “L’ornamento è un fenomeno che si deve eliminare: il Papua e il delinquente decorano la loro pelle. L’indio ricopre i suoi remi e la sua barca di fitti ornamenti. Ma il biciclo e la macchina a vapore ne sono privi. Il progredire della civiltà elimina gradualmente la decorazione dagli oggetti”3. “Il Papua uccide i suoi nemici e se li mangia. Non è un delinquente. Se però l’uomo moderno uccide e divora qualcuno, è un delinquente o un degenerato. Il Papua copre di tatuaggi la propria pelle, la sua barca, il suo remo, in breve ogni cosa che trovi a portata di mano. Non è un delinquente. Ma l’uomo moderno che si tatua è un delinquente o un degenerato. […]L’impulso a decorare il proprio volto e tutto quanto sia a portata di mano è la prima origine dell’arte figurativa. E’ il balbettio della pittura. Ogni arte è erotica. Il primo ornamento che sia stato ideato, la croce, era di origine erotica. Esso fu la prima opera d’arte, la prima manifestazione d’arte che il primo artista scarabocchia su una parete, per liberarsi di una sua esuberanza. Un tratto orizzontale: la donna che giace. Un tratto verticale: il maschio che la penetra. […] Ma l’uomo del nostro tempo, che per un suo intimo impulso imbratta i muri con simboli erotici, è un delinquente o un degenerato. […] Nel bambino è una manifestazione naturale: scarabocchiare le pareti con simboli erotici è la sua prima espressione artistica. Ma ciò che è naturale nel Papua e nel bambino è una manifestazione degenerata nell’uomo moderno. Io ho scoperto e donato al mondo la seguente nozione: l’evoluzione della civiltà è sinonimo dell’eliminazione dell’ornamento dall’oggetto d’uso. […] Noi abbiamo Incisioni rupestri, Piani di Cappia in Piemonte 81 dalla piaga alla piega Manifesto Ripolin, Eugene Vavasseur, 1898, da M.Wigley, White Walls..., 2001, p.6 Mll. Mistinguette, da Le Corbusier, L’art décoratif d’aujourd’hui p. 162 e pubblicità di Goldman & Salatsch, committenti di Loos, sulla copertina di Adolf Loos, “Das Andere”, n.2, ottobre 1903, da “73 Rassegna”, p.20. La prima rappresenta l’ornamento come delitto, il secondo la modernità. 82 dalla piaga alla piega superato l’ornamento, con fatica ci siamo liberati dall’ornamento. Guardate, il momento si approssima, il compimento ci attende. Presto le vie delle città risplenderanno come bianche muraglie!”4. Nel 1950 Le Corbusier ripubblica su “L’Esprit Nouveau” l’articolo Ornamento è delitto di Loos, e nel 1959, aggiungendo una prefazione a L’art décoratif d’aujourd’hui del 1925, introduce la sua teoria sulla “La legge di Ripolin” che propugna la sostituzione dell’ornamento con uno strato di intonaco, che ha anche scopi igienici: “immagina il risultato della Legge di Ripolin. Ad ogni cittadino è richiesto di sostituire le tende, i damaschi, le tappezzerie, gli stencils, con uno strato di bianco intonaco”5. Se tuttavia l’esigenza di Loos e Le Corbusier di eliminare l’ornamento e di purificare l’elemento sensuale in nome dell’intonaco bianco può apparire come un rifiuto della principio del rivestimento, essa è in realtà la condizione estrema, il caso limite, della teoria di Semper. Come ci fa notare Mark Wigley infatti “l’architettura moderna non è nuda. Fin dall’inizio, essa è dipinta di bianco. […] Non importa quando sottile sia lo strato di pittura, essa rimane comunque una pelle/giacca (coat). Non è che sia stato semplicemente inserito nello spazio lasciato libero dal ri-vestimento, è esso stesso una particolare forma di ri-vestimento”6. Gli stessi principi della facciata libera e della pianta libera, sostenuti nei “5 punti sull’architettura” di Le Corbusier, liberano l’architettura dalla costrizione del muro come Mauer e la indirizzano invece verso la concezione della parete come Ge-Wand, come tessuto. “L’intonaco a calce è una pelle” scrive Loos. “Nonostante la composizione chimica simile [alla pietra], esiste una grande differenza nell’impiego dei due materiali. L’intonaco a calce ha una parentela più stretta con il cuoio, con la tappezzeria, con i materiali per rivestimento e con le vernici”7. E a sua volta “l’abito, scriveva Honoré de Balzac, è come una vernice che dà risalto a tutto”8. Lo stesso Gottfried Semper – che tra il 1830 e il 1833 aveva intrapreso un viaggio in Italia e Grecia9 proprio con lo scopo di studiare e dimostrare l’esistenza della colorazione sugli edifici antichi10 - considerava il colore “come il rivestimento più sottile e più incorporeo. Questo è il mezzo più perfetto per rimuovere la realtà, poiché, pur coprendo la materia, è esso stesso immateriale”11. “Fin dall’inizio la semplicità delle forme fondamentali (Grundformen) nell’architettura era ricca di ornamenti e splendente […] dettati dai bisogni dei popoli e portatori di significati religiosi. […] Alla fantasia dell’uomo primitivo (kindlich) piacevano i colori accesi, le composizioni policrome così come le ritrovava in natura, e al tempo stesso notava come i materiali rivestiti durassero di più e quindi come il rivestimento fosse anche funzionale. Contemporaneamente si svilupparono anche le prime concezioni religiose e vennero create divinità con sembianze umane alle quali erano riservate le decorazioni più ricche, più belle, più nobili. L’intonaco grezzo colorato non bastò più e lasciò il posto a incisioni o superfici in rilievo con altri materiali colorati e iniziò così la pittura e la scultura”12. “Oggi non si può più negare la policromia dei monumenti antichi, nonostante ci sia ancora chi ritiene che risalgano ai tempi barbarici. Nei paesi mediterranei la policromia serviva anche come effetto calmante per l’occhio alla luce accecante e non erano mai mescolati, bensì accostati in modo tale da risultare all’occhio come un’unità. Il duomo di Milano per esempio, nudo e privo di decorazione, è accecante d’estate e gelido d’inverno. Ciò che il sole non colora necessita ancora di più di essere colorato. Il fatto che ad un certo punto i greci utilizzarono il marmo al posto del rivestimento in stucco colorato è perché è più resistente, ma sullo stesso marmo era applicato uno strato di colore”13. Con il tempo però le decorazioni policrome dei monumenti sono scomparsi e a partire dal Rinascimento14, a causa delle ormai deboli tracce dei colori sulle costruzioni, abbiamo creduto che le nude rovine ridotte a “edifici scheletrici privi di anima”15 fossero sempre stati privi di decorazioni. “Questo ha causato la condizione magra, asciutta, rigida e senza carattere dell’architettura attuale”16. Tuttavia anche “la parete bianca è tutt’altro che neutrale o silenziosa. Per l’architetto moderno essa parla, rivela i volumi. Certamente nulla urla in maniera più forte. […] Analizzare la parete bianca corrisponde ad analizzare la superficie stessa, ma la superficie è tutt’altro che superficiale: dettagli la compongono, texture la raccontano”17. Al pari dell’ornamento dunque, l’intonaco non è qualcosa che si “Sono tornato pochi giorni fa da un viaggio attraverso il territorio classico (Italia, Sicilia e Grecia) dove crescono le delicate piante dell’arte autoctona. […] Per capire le costruzioni occorreva imparare a pensare e sentire (denken und fühlen) come uno del luogo e ascoltare i collegamenti con il contesto (auf den Zusammenhang lauschen), poiché lì la Natura e l’Arte, il vecchio e il nuovo, costituiscono un tutto organico e naturale (naturnotwendig)”. G.Semper, Vorläufige Bemerkungen..., 1834, p.1 e 17., p. 377 83 dalla piaga alla piega Diogene, da G.Semper, Der Stil..., 1860 84 dalla piaga alla piega applica successivamente alla forma, ma un elemento artisticamente costitutivo. Le Corbusier riprende la storia di Diogene, già ritratta da Semper, che abbandona tutti i suoi averi e si spoglia dei suoi vestiti per andare a vivere in una botte che costituirà la sua casa, “la primordiale cellula della casa”18, dove cell significa al tempo stesso capanna, tomba, cantina, cellula (tutti spazi amati). Diogene rappresenta quindi la fondamentale identità tra corpo e rivestimento, tra abito e abitazione. Bachelard inoltre afferma che “l’essere che esce dal suo guscio ci suggerisce le réveries dell’essere misto”19: ad esso sono associate la dialettica del piccolo e del grande, dell’essere libero e dell’essere incatenato, dell’essere metà pietra e metà carne, dunque metà morto e metà vivo, del fuori e del dentro, del nascosto e del manifesto. L’intonaco è “uno strato fra struttura e ornamento”20, uno spazio soglia, e “questo rapporto tra interno ed esterno presuppone uno scambio, un filtro, una possibilità che l’interno traspaia all’esterno e si lasci cogliere. Il problema è trovare un equilibrio tra questa visibile esteriorità e l’invisibile interiorità”21. “Ciò che distingue [allora] il tessuto bianco dalle altre forme di rivestimento che sostituisce è il modo in cui solleva la questione del corpo che esso nasconde, rimanendo sospeso da qualche parte tra il rivelare e il nascondere. […] Il sottile velo bianco produce l’immagine del corpo fisico dietro ad esso, ma si tratta di un corpo che non esisteva in tale misura prima. […] La camicia bianca apre una distanza tra corpo e suo ri-vestimento […] definisce un nuovo tipo di spazio”22, uno spazio assolutamente seducente. Ora l’architettura è costituita da “molteplici layers di schermi sospesi nell’aria”23, sospesi tra struttura e decorazione. La faccia-ta di una casa diventa così contemporaneamente velo simbolico e maschera; viene vista, ma al tempo stesso vede e lo fa attraverso le aperture, i balconi, gli affacci. La maschera infatti, per il corpo così come per l’architettura, non è semplicemente qualcosa che ricopre, ma è “ciò che crea il volto”, che gli “conferisce il suo essere sociale, la sua dignità umana, il suo significato spirituale”24. “Nell’ornamento – scrive Semper - cerca di esprimersi quella ispirazione all’individualità, quella tendenza a distinguersi, che è insita nell’uomo e che rappresenta uno dei momenti fondamentali dello sviluppo umano; nell’atto di abbellire una cosa - si tratti di un essere animato o inanimato, di una parte o di un tutto – io le attribuisco uno speciale diritto ad esistere […] la elevo al rango di persona”25. “Chi perde il suo abito perde il suo volto, la sua dignità, se stesso. […] Non è un caso che la parola ‘persona’, nel suo significato originale, volesse dire [proprio] maschera”26. Alla domanda perché viva nudo postagli dall’uomo civilizzato, l’indigeno rispose in me tutto è volto. “Il corpo in una cultura non feticista (che non feticizza la nudità come verità oggettiva) non si oppone, come per noi, al “SIAMO DEGLI ESSERI PROFONDI, CI NASCONDIAMO SOTTO SUPERFICI, APPARENZE, MASCHERE”. (G.Bachelard, La terra e il riposo, 1994, pp. 91-115, in S.Malpangotti, Gaston Bachelard…, 2004, p. 59 Kiki de Montparnasse fotografata da Man Ray, Noire et Blanche, 1936, in M.Canevacci, Una stupita fatticità..., 2007, p.30 volto il solo ricco di espressione, il solo dotato di sguardo: è esso stesso volto, e vi guarda. Non è dunque osceno, ossia fatto per essere visto nudo. Non può essere visto nudo, proprio come per noi il volto, perché è velo simbolico”27. “Il volto è lo spazio degli scontri, il luogo dove le emozioni, nel momento stesso della loro manifestazione, vengono manipolate, enfatizzate, negate”28. “Giocando sulla trasparenza ed allusività, i vestiti femminili acquistano quel tocco di mistero che valorizza il corpo ed agisce più efficacemente sul desiderio e sulla curiosità dell’uomo”29, dove la trasparenza non significa nudita svelata: anche “la trasparenza è [infatti] un effetto di mascheramento”30. Essa è qualcosa che va oltre la sfera fisica e materiale - quella che Colin Rowe chiama trasparenza letterale -, implica una sovrapposizione di due o più figure, una stratificazione, uno spessore. Gyorgy Kepes nel suo The Language of Vision, scrive: “quando si vedono due o più figure che si sovrappongono rivendicando ciascuna la sua parte nascosta, ci si trova di fronte ad una contraddizione delle dimensioni spaziali. Per risolvere questo contrasto occorre assumere la presenza di una nuova qualità ottica. Alle figure viene conferita trasparenza (Durchsichtigkeit), ciò significa che sono capaci di imbrigliarsi (durchdringen) l’una nell’altra senza annullarsi otticamente. Tuttavia la trasparenza è più che solo una caratteristica ottica, essa implica un ordine di spazio avvolgente (eine umfassrendere räumliche Ordnung). Trasparenza significa una contemporanea presa di coscienza di diverse posizioni spaziali. Lo spazio (Raum) non solo si espande (dehnt sich), ma fluttua anche in continua attività. La posizione delle figure trasparenti ha un doppio significato, se si 85 dalla piaga alla piega Lucio Fontana , Concetto spaziale, Attesa, 1964 I tagli che Fontana traccia nelle sue tele costituiscono la soglia tra questi due mondi, tra interno ed esterno, ordine e disordine, grandioso e minuscolo, e trasformano la superficie piatta e bidimensionale del quadro in un spazio profondo da esplorare. E’ proprio l’incisione che crea lo spazio. Le Corbusier, Nature morte, e schema compositivo della sovrapposizione dei piani da C.Rowe, Trasparenz..., 1968, p.48 dalla piaga alla piega guarda una figura come più lontana o come più vicina”31. Secondo questa definizione, quella che Rowe chiama con trasparenza fenomenica allora “non è ciò che è perfettamente chiaro, bensì ciò che è chiaramente ambiguo”32. E a seconda che la sovrapposizione tra le figure sia più o meno fitta, anche cambiando punti di vista da frontale ad angolare o da vicino e da lontano, si ha più o meno trasparenza e uno spessore più o meno denso. E la densità è sempre qualcosa che contiene, uno spazio uterino. Alois Riegl sosteneva che “la simmetria è connessa alle dimensioni del piano, mentre la profondità la pregiudica”33: l’asimmetria dunque indica profondità, indica che vi è uno spazio al di là del piano bidimensionale della parete, un interno da scoprire e di cui le aperture sono solo degli accenni, dei tagli come nei quadri di Fontana. Lo “Spazio va inteso sempre come profondità spaziale”34 e la profondità è percepibile solamente attraverso il movimento, che a sua volta “richiede l’abbandono del piano”35. “La costrizione ad una regolarità della facciata attraverso i simboli della statica impedisce la libertà che noi oggi possediamo e possiamo sfruttare proprio grazie alla cancellazione di questa imposizione; questa è l’Architettura moderna”36. Essa infatti ha la capacità di essere contemporaneamente trasparente e opaca, sottile e spessa, pesante e leggera, lontana e vicina, etc. Una simmetria perfetta porta ad una trasparenza letterale perché nulla si sovrappone a niente, mentre quando vi è una traslazione o una rotazione anche minime, ottengo una trasparenza fenomenica. La stessa parola se-ducere etimologicamente significa far deviare dalla propria strada, ed implica dunque uno spostamento, una traslazione. “L’ANTICHITÀ CONOSCEVA UNITÀ E INFINITO SOLO IN SUPERFICIE: L’ARTE MODERNA LI CERCA INVECE NELLA PROFONDITÀ”. (Alois Riegl, Arte tardoromana, 1959, p. 14) Dan Graham, Half Square/Half Crazy, padiglione presso la Casa del Fascio di Terragni a Como, 2004 Egli considera lo specchio non tanto una superficie di riflessione, quanto di assorbimento, uno spazio in cui immergersi (tanto che Narciso vi si annega). Si dimostra invece critico nei confronti del curtain-wall che permette una e una sola direzione allo sguardo. “RIFLESSIONE. CHE STRANA PAROLA. PUÒ ESSERE ADOPERATA COME SINONIMO DELL’ATTO DEL PENSARE … MA PUÒ ANCHE ALLUDERE ALL’IMMAGINE CHE SI VEDE ATTRAVERSO UNO SPECCHIO, A UNA REALTÀ VIRTUALE …. IN AMBEDUE I CASI, RICHIEDE UNA RAPPRESENTAZIONE. UNA TEATRALIZZAZIONE. UNA PERFORMANCE CON UNO SPETTATORE E UN ATTORE. SEPARATI DA UN LIMITE CHE SEGNA DUE SPAZI DIVERSI: DELLA SCENA, DELLA CAVEA. … IL MIO IO E L’IMMAGINE CHE PERCEPISCO DEL MIO IO NON COINCIDONO. E NON È LECITO CONFONDERLI. PENA: MORIRE ANNEGATI COME NARCISO CHE CONFONDE LA SUA IMMAGINE PER SE STESSO”. (L.Prestinenza Puglisi, Riflettersi in Architettura e cultura digitale, 2003, pp.75-96) 86 87 dalla piaga alla piega Windows pattern: per ovviare al senso di monotonia causato dall’assenza di linee serpeggianti o di un intricato schema di ripetizione, Josef Frank coglie l’attenzione dell’osservatore ponendo le figure in dei contorni chiusi e dalle linee arrotondate per cui l’occhio tende a passare da una finestra all’altra e quindi lo sfondo può rimanere monocromatico e privo di decorazioni. Una composizione questa che caratterizza anche le aperture di una faccia-ta intonacata di bianco. Adolf Loos, Rufer House, prospetti, Vienna, 1922. L’intonaco è un velo idealmente tanto sottile da far intravedere ciò che gli sta dietro. 88 dalla piaga alla piega Perciò la finestra non è da intendersi come una semplice bucatura nella parete, né il vetro come un materiale letteralmente trasparente. È una superficie assorbente e riflettente al tempo stesso, insieme concavo e convesso, che contemporaneamente mostra e nasconde, un affaccio attraverso il quale – o meglio, nel quale - si è contemporaneamente attori e spettatori. “Il fascino dello specchio”, sostiene infatti Baudrillard, “non è tanto il fatto di potervisi riconoscere – coincidenza che anzi risulterebbe piuttosto angosciante – quanto piuttosto l’arguzia misteriosa e ironica del raddoppiamento”37, dell’ambiguità, della sovrapposizione. In questo gioco di sguardi “perdiamo ogni volta qualcosa della nostra faccia esponendoci e facendoci giocare dal gioco stesso, ma […] in realtà guadagniamo la capacità di avere molte facce e di esprimere noi stessi in molti modi”38. “Appena varcata la soglia della casa, l’abitante, passando di stanza in stanza, si spoglia progressivamente di tutte le protesi sociali, di tutte le maschere culturali che gli hanno assicurato la continuità delle relazioni con il mondo, fino a toccare il punto estremo della propria soggettività, quello della solitudine assoluta, dell’individualità non condivisibile, della reductio ad minimum dell’io. Questa propaggine ultima dell’abitare è però anche quella dalla quale occorre ogni volta ripartire per rientrare nel mondo, compiendo a ritroso il medesimo percorso: uscire di casa vuol dire dirigersi verso la soglia recuperando man mano, lungo il cammino, tutti gli artifici, i trucchi, gli apparati rappresentativi con i quali torniamo in rapporto con la dimensione sociale dell’esistenza”39. Spielen in tedesco, oltre che suonare e giocare, significa anche recitare. Così la faccia-ta di un edificio prende spessore e si scinde in due facce, una pubblica, l’altra privata, come due veli che si sormontano. Quindi, riprendendo quanto detto da Loos sull’abolizione dell’ornamento, verso l’esterno l’edificio dovrebbe evitare la confusione di stili storicisti, dunque “restare muto [una semplice camicia bianca] e rivelare la sua ricchezza soltanto all’interno”40. L’affermazione di Loos “ornamento è delitto” non significa allora abolizione in assoluto dell’ornamento: “sono disposto a sopportare gli ornamenti persino sul mio corpo, se fanno la gioia dei miei simili. In questo caso essi fanno anche la mia gioia. Sopporto gli ornamenti dei Cafri, dei Persiani, della contadina slovacca, gli ornamenti del mio calzolaio, poiché essi non possiedono alcun altro mezzo per esprimere se stessi nel modo più elevato”41. Analogamente Frank sostiene “Ogni uomo possiede un certo grado di sentimentalismo che ha necessità di soddisfare”. L’intellettuale e l’artista, dato che sul lavoro già soddisfano il loro bisogno di sentimentalismo, a casa loro non hanno bisogno di ornamenti, mentre l’operaio viceversa si: “desidera riposarsi dagli affanni del suo mestiere e nutrire la consapevolezza che [almeno] lì qualcuno abbia cura di lui; consapevolezza che inizia con lo spolverare e finisce nel ricco ornamento”. In questo caso l’ornamento è accettato poiché è utile per lo spirito, diventa invece un problema quando “intervenne il movimento moderno e disse: “il nostro ambiente, stranamente, non si è evoluto allo stesso modo organico dei nostri vestiti, imbarcazioni, pipe. Questo divario va recuperato. […] questo ha distrutto completamente il senso degli oggetti inclusi nell’arte applicata, li ha resi patetici e perciò inservibili, mentre un tempo una piacevole aura emanava proprio grazie alla loro natura priva di problemi, che aveva addirittura valore di eternità”. A questo punto infatti l’ornamento divenne una questione di moda. Dunque l’ornamento in sé non è un problema, ma lo è il suo uso scorretto, quando diventa pura immagine, qualcosa legato all’imitazione di forme e stili ormai passati, privi di significato e di ogni riferimento con il presente. Quando è falsificazione. “Certo la colonna, l’arco, il tetto sono oggi forme morte, non più riesumabili […]. Chi le modernizza è un decoratore di stampo antico che contribuisce a tenere in vita una forma morta ed anche a prolungarne l’esistenza. Si tratta di un’occupazione problematica con cose non problematiche”42. Similmente Loos: “quando l’intonaco a calce si mostra onestamente come rivestimento di un muro di mattoni ha così poco da vergognarsi della sua semplice origine quanto un tirolese con i suoi pantaloni di cuoio nella Hofburg. Se però entrambi indossano il frac e la cravatta bianca, avverrà che l’uomo si sentirà a disagio in quel luogo e l’intonaco a calce si renderà conto all’improvviso di essere un imbroglione”43. “La forma esterna delle case a cui noi oggi aspiriamo, deve [perciò] ritrovare Nicole Tran Ba Vang, Sans titre 06, Collection Printemps/été 2001, da R. Klante – L. Feireiss, Space Craft..., 2007, p.125 89 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega unitarietà su una base più semplice e più sobria. [Tuttavia] una simile unitarietà all’interno non è nemmeno auspicabile, e ancor meno in base ad una presunta sintonia con l’esterno che sarebbe doppiamente insensata. Solo un esempio: in passato si ornavano gli armadi con colonne e cornici per armonizzarli con le facciate del palazzo; chi oggi costruisce una sedia con sedile quadrato e schienale diritto per porla in sintonia con la forma cubica della casa, lavora con lo stesso spirito del falegname di quegli armadi, anzi, in modo ancora più antiquato, dato che comunque egli vive in un’epoca che ha da tempo superato simili norme”44. “Le condizioni per la facciata e per l’interno sono completamente diverse e non hanno nulla a che fare l’una con l’altra. All’interno della casa cade ogni necessità di uniformarsi alle case dei vicini”45. “L’abitazione deve offrire la possibilità di accogliere tutti i punti di vista, le esperienze e gli oggetti che si raccolgono nel corso di una vita e pertanto [all’interno] ogni uniformità, ogni armonia di colori, ogni stile, anche quello moderno, deve essere evitato. L’abitazione non è un’opera d’arte e pertanto non è suo compito suscitare emozioni, perché sarebbe il contrario del suo scopo. Uniformità e assenza di ornamenti rendono inquieti, mentre ornamenti e varietà tranquillizzano allontanando quel senso patetico che emanano le forme finalizzate”46. “Ciò che intendo per architettura moderna sorge moltiplicazione delle piegature e sovrapposizioni produce un effetto di trasparenza fenomenica. Come la cucitura e il symbolon, la piega unisce nello stesso momento in cui separa. “La piega leibniziana è in continuo movimento, ingloba pieghe precedenti e ne crea di nuove […] Qui la natura dello spazio leibniziano è cruciale; spesso e pieno, contenitore e contenuto, non riconosce distinzione tra solido e vuoto, e dunque nemmeno divisioni fra l’interno di una piega e il suo esterno; dopotutto, la materia di cui è costituita una piaga è la stessa che forma lo spazio nella piega, sotto la piega e tra le pieghe”52. All’interno della casa “il corpo si scopre [così] immerso in una sorta di liquido amniotico che l’avvolge, lo modella nella plasticità dello spazio arredato, lo dilata e lo restringe a seconda dei percorsi, delle cavità, delle convessità, degli spigoli, dei piani orizzontali, delle emergenze verticali”53. La faccia-ta esterna allora, il visibile, la camicia bianca, simbolo dell’intonaco a calce dell’architettura del Novecento, apparentemente sempre identica (liscia e priva di ornamenti), può essere piegata in molti modi diversi producendo uno spazio interno morbido e sensuale, giocoso e poetico, libero di infinite possibilità e variazioni. L’asimmetria ha dato vita all’intimità di una casa, lo spazio amato, la seduzione dell’INvisibile. LA CASA PRIMORDIALE PER L’UOMO “EQUIVALE ALLA SUA CAMICIA”: ESSA PRESERVA IL CALORE VITALE DEL CORPO, “È TANTO CONNATURATA AL CORPO QUANTO LA CORTECCIA LIBER LO È ALL’ALBERO” . (H.D.Thoreau, Walden ovvero Vita nei Boschi, 1845, cit. in R.P.Harrison, pp. 44-45) Diller e Scofidio, Bad Press: Dissident Housework Series, 1993-1998 contemporaneamente all’interno e all’esterno nella visione del progettista. Nessun vantaggio all’interno può scusare una cattiva Il termine deriva dal latino plicāre, da cui anche s-piegare, cioè svelare dove invece la piega nasconde, e molti-plicare (duplicare, triplicare, complicare…), ma anche dal greco plékō che significa intrecciare, tessere, attorcigliare. Nelle lingue germaniche si usa falten (tedesco) e to fold (inglese), entrambi derivanti da falthan o faldan, da cui rimane ancora l’italiano falda. Ricordiamo il termine Decke che in tedesco significa sia tetto che coperta. (F.Rigotti, Il pensiero delle cose, Apogeo, Milano 2007, p.62-65) 90 facciata dato che l’esterno di una casa esiste per molte più persone che l’interno. L’architetto è un modellatore che forma allo stesso tempo le parti concave e quelle convesse. […] la logica dello spazio deve andare d’accordo con quella della facciata. La forma della casa non è costituita dalla decorazione della sua facciata; l’architetto deve poter pensare in modo tridimensionale”47. Da qui l’importanza di quello che Loos chiama Raumplan e Frank Haus als Weg und Platz, cioè della composizione spaziale secondo tutte le dimensioni, anche quella temporale, contemporaneamente in pianta e in sezione, secondo un percorso aptico48 che va esperito con il proprio corpo e progettato in modo da permettere libertà di movimento e di percezione dello spazio49. “Un interno [progettato in questo modo] non è definito da una perimetro chiuso di pareti, ma dalle sue pieghe, torsioni, e si trasforma in una superficie ornamentale spesso discontinua”50, dove la piega stessa rimanda all’organico, alla carne, all’utero materno. La piegatura definisce sempre un voler mettere dentro, un mettere “IN”: dall’inflessione si passa all’inclusione51. In La piega, Leibniz e il barocco Deleuze immagina di voler mettere un foglio di carta in una busta piccola all’infinito: si dovrebbe piegarlo talmente tanto fino a farlo diventare un punto e questo punto non è assolutamente immateriale e vuoto, ma è anzi un concentrato di spazio, quindi densissimo, un contenitore pieno di contenuto. Contemporaneamente la 91 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega Note alcune tombe etrusche e della colonna traiana. pubblicato nel 1835 dallo storico dell’arte Franz Theodor corpo rivestito, Meltemi, Roma 2007, p. 80 Poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1999 (ed. orig. 1957), cap. 9 La Per conoscere in dettaglio l’itinerario del viaggo vedi Kugler (1808-1858) in cui sosteneva che solamente elementi 25 dialettica del fuori e del dentro, pp. 248-249 W.Nerdinger, Gottfried Semper 1803-1879. architettonici secondari come tympana, metope e mutuli erano Burelli, C.Cresti, B. Gravagnuolo, F.Tentori, Laterza, Roma Bari 2 Architektur und Wissenschaft, Prestel Verlag, gta Verlag Zürich, colorati, mentre le colonne e le pareti della cella erano bianchi - 1992, p.100 2003, pp.9-51 tentò una ricostruzione dei colori dei monumenti del Partenone, 26 rivista “Der Aufbau” nell’estate 1926, ora in J.Spalt, H.Czech, Josef 10 Semper rifiutava infatti il pensiero sorto soprattutto dopo la dove gli elementi strutturali erano in rosso, i triglifi e gli sfondi in Gesammelte Schriften, VII, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1982, p. 413, Frank 1885-1967, Hochschule für angewandte Kunst, Wien 1981, pubblicazione nel 1764 di Geschichte der Kunst des Altertums blu e le figure delle metope in rosso, ma ammise che si trattava cit. in N.Squicciarino, Il vestito parla, op. cit., p. 157 pp.141-143, trad. it. Christina Kruml da parte di Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), secondo di una ricostruzione basata sulle testimonianze di Vitruvio e di 27 3 cui l’architettura classica era nata priva di colore e priva di Hittorff sui templi in Sicilia e non su reali dati scientifici. Infatti p. 42 Adelphi, Milano 1999, p. 114 ornamenti, di una bellezza pura e ideale, in quanto “solo il mentre Hittorff e Kugler cercavano prove scientifiche della 28 N.Squicciarino, Il vestito parla, op. cit., pp.18-19 4 A.Loos, Ornamento e delitto, in Ivi, pp.217-219 bianco, in quanto astrazione del colore, ha il massimo valore”. policromia antica, a Semper interessava soprattutto cercare una 29 Ivi, pp. 96-97 5 Le Corbusier, L’art décoratif d’aujourd’hui, Éditions G.Grès et Cie, Questa tesi era stata poi confermata nel 1814 da Quatremére continuità storico-culturale con il passato. Aveva in previsione 30 M.Wigley, Untiled, in B.Colomina, Sexuality & Space, op. cit., Paris 1925, trad. it. Arte decorativa e design, Laterza, Bari 1972. de Quincy nel saggio Le Jupiter Olympien, in cui, affrontando la pubblicazione di un testo in tre volumi accompagnato da 1992, p. 377 6 la questione attorno al rivestimento originale policromo dei litografie a colori in cui raccogliere gli studi sulla policromia e in 31 of Modern Architecture, The Mit Press, London 2001, p. XVIII templi greci e in particolare della statua dello Zeus olimpico particolare il dorico e il Partenone nel primo, l’architettura ionica Robert Slutzky, Bernard Hoesli, Transparenz, Le Corbusier 7 1 Pierre-Jean Jouve, Le Noces, p. 50, cit. in Gaston Bachelard, Josef Frank, Der Volkswohnungspalast. Eine Rede anlässlich der Grundsteinlegung, die nicht gehalten wurde, comparso nella A.Loos, Moda femminile, in Parole nel vuoto, (ed. orig. 1962), In Mark Wigley, White walls,Ddesigner Dresses. The Fashioning W. Oechslin, G.Semper, Lo Stile nelle arti tecniche e tettoniche, a cura di A.R. Helmut Plessner, Zur Anthropologie des Schauspielers, in J.Baudrillard, Della seduzione, SE, Milano 1997 (ed.orig. 1979), Gyorgy Kepes, The Language of Vision, cit. in Colin Rowe, di Fidia, rifiutava l’idea della policromia in architettura, ad e corinzia con esempi come il monumento coragico a Lisicrate e Studien1, Birkhäuser, Basel 1968, pp. 10-11. in Parole nel vuoto, op. cit., pp. 236-37 eccezione di quando essa derivava dal colore naturale dei le porte dell’Eretteo nel secondo, i monumenti romani come la Concepito tra il 1955 e il 56 quando sia l’architetto Rowe che il 8 materiali stessi. colonna traiana e medioevali nel terzo. pittore Slutzky si trovavano a insegnare alla scuola di architettura Milano 1982, p.132, cit. in Nicola Squicciarino, Il vestito parla. In opposizione a queste teorie l’architetto e archeologo Jaques- 11 Gottfried Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen dell’Università del Texas ad Austin, venne però pubblicato solo Considerazioni psicosociologiche sul’abbigliamento, Armando Ignace Hittorff aveva pubblicato contemporaneamente in Kuensten, oder Praktische Aesthetik. Ein Handbuch für Techniker, nel 1964 in “Perspecta 8”, The Jale Architectural Journal, in forma Editore, 1992, p. 97 Francia e Italia una Mémorie su l’architecture polychrome chez les Kuenstler und Kunstfreunde, Erster Band: Textile Kunst, Verlag für leggermente abbreviata dal titolo “Trasparency: Literal and 9 Il suo itinerario inizia in compagnia dell’amico Goury a metà Grecs nel 1830 in cui aveva tentato di sfatare il mito delle bianche Kunst und Wissenschaft, Frankfurt a.M., 1860, p.445 Phenomenal”. settembre 1830 dai monumenti romani nella Provenza nel sud rovine del mondo antico, argomentando anche attraverso 12 G.Semper, Vorläufige Bemerkungen, op. cit., pp. 5-8 32 C.Rowe, Transparenz, op.cit., p.12 della Francia e si concluderà nel dicembre 1933. Da Marsiglia si numerose rilevazioni archeologiche compiute in Sicilia e alla 13 Ivi, p. 20 33 Alois Riegl, Arte tardoromana, Einaudi, Torino 1959 (ed. orig. imbarca per Genova, dove rimane due settimane per proseguire ricostruzione a colori dovuta a Leo von Klenze del tempio di 14 poi verso la Toscana. Si trasferisce quindi a Roma, Napoli (a Egina nel 1827, seguiti l’anno dopo dalla ricostruzione dei un’architettura nuda e senza colore, solo Bramante cerca ancora 34 Ibidem Pompei si convince per la prima volta della policromia dei templi greci di Paestum proposta da Henry Labrouste. di relazionarsi alla policromia antica. Ivi, p. 16 35 Ivi, p. 47 monumenti antichi) e quindi in Sicilia (rimane particolarmente Semper, che aveva conosciuto di persona Hittorff nel 1826 15 Ivi, p. 11 36 Josef Frank, How to plan a House, in Johannes Spalt, Josef impressionato dal Tempio della Concordia ad Agrigento, dai a Parigi grazie alla mediazione dell’amico architetto Franz 16 Ivi, p. 21 Frank 1885-1967. Möbel & Geräte & Theoretisches, Hochschule für resti del tempio dorico di Atena a Siracusa e dall’architettura Christian Gau, al ritorno dal suo viaggio in Italia, nel 1834 17 M.Wigley, White walls, op. cit., p.XIV-XV angewandte Kunst, Wien, 1981, pp.156-167 normanno-bizantina della Cappella Palatina e del Duomo di pubblica Osservazioni provvisorie sull’architettura e la scultura 18 Ivi, p.19 37 J.Baudrillard, Della seduzione, op. cit., p. 107 S.Maria la Nuova a Monreale). Nell’agosto 1831 procede verso dipinte degli antichi, che contengono già i temi fondamentali 19 38 P.Aldo Rovatti, Davide Zoletto, La scuola dei giochi, Bompiani la Grecia e ad Atene, assieme all’archeologo Friedrich Thiersch che verranno poi sviluppati negli anni successivi e che lo p.131 2005, p.30-31 e l’architetto di Monaco Eduard Metzger, ricerca per due porteranno al Prinzip der Bekleidung e al rifiuto del Classicismo 20 M.Wigley, Untiled: The Housing of Gender, in B.Colomina, 39 mesi interi tracce di policromia antica sul Theseion e poi, nel del suo tempo, che predicava “edifici scheletrici senza anima” Sexuality & Space, Princeton Architectural Press, New York 1996 40 A.Loos, Arte nazionale, in Parole nel vuoto, op. cit., p.281 gennaio 1832 sull’acropoli e sull’Eretteo. Lo colpiscono anche il che non fanno altro che “imitare senza senso un’epoca morta da (ed.orig. 1992) 41 A.Loos, Ornamento e delitto, in Parole nel vuoto, op. cit., pp. 217- monumento coragico a Lisicrate e il basamento dell’Olympeion. tempo fatta di ossa di Mammuth” (Gottfried Semper, Vorläufige 21 228. Loos si sarebbe basato sul saggio del 1892 di Louis Sullivan Dopo la separazione da Goury che va a collaborare con Owen Bemerkungen über bemalte Architektur und Plastik bei den Alten, Einaudi, Torino 2008, pp. 156-157 “Ornamento in Architettura” in cui elogiava le costruzioni “nude”: Jones, Semper torna in Italia soffermandosi in particolare Johann Friedrich Hammerich in Altona, 1834). 22 M.Wigley, White walls, op. cit., p.7 “farebbe molto bene al nostro gusto estetico se per un periodo a Roma dove, assieme all’allievo di Schinkel, Karl Friedrich In particolare Semper - anche sulla base di Über die Polychromie 23 Ivi, p. 22 facessimo completamente a meno dell’uso dell’ornamento, Schepping, e all’epigrafo Olaf Kelermann, effettua dei rilievi a di der griechiscehn Architektur und Skulptur und ihre Grenzen 24 Patrizia Calefato, Mass Moda. Linguaggio e immaginario del così che i nostri pensieri si potrebbero concentrare in modo A.Loos, Due articoli e una lettera sulla casa della Michaelerplatz, Honoré de Balzac, Trattato della vita elegante, Longanesi, 92 Secondo Semper Brunelleschi e Michelangelo mostrano G.Bachelard, Poetica dello spazio, op. cit., cap. 5 Il guscio, Maurizio Vitta, Dell’abitare. Corpi spazi oggetti immagini, 1901), p. 32 M.Vitta, Dell’abitare, op. cit., pp. 156-157 93 dalla piaga alla piega dalla piaga alla piega acuto attorno alla produzione degli edifici ben formati e “Gedanken beim Entwurf eines Grundrisses”, Strnad sostiene piacevolmente nella nudità”. Tuttavia anche per Sullivan che l’architettura non implica solamente il senso della vista, ma questo non significava l’eliminazione totale dell’ornamento è costituita da una serie di fattori che chiama “imponderabili” tra dall’architettura, in quanto a differenza della moda l’ornamento cui il movimento (das Sichbewegen), la percezione dello spazio è parte integrante della struttura di un edificio e non qualcosa (das Raumgefühl), la traslazione (Verschiebungsbewegung), da applicare o rimuovere a piacere. Già Giedion aveva fatto la discontinuità (Verschneidungen), indispensabili per il vero presente che la maggior parte delle arti hanno origine da abitare che attiva tutti i cinque sensi del corpo. simboli della procreazione (vedi The Beginnings of Art, 1962) Queste teorie riguardanti la sensazione della profondità e che l’imitazione del passato come moda e “pura ricerca di attraverso il movimento erano state già affrontate da autori forme” tralasciando il suo “significato intimo” è “un’architettura come Robert Vischer e Theodor Lipps per quanto riguarda la da play-boy” (Spazio Tempo Architettura, Hoepli, Milano 1984, teoria dell’empatia (Einfühlung), Adolf Hildebrand (Das Problem p.XXXVIII, ed. orig. 1941). der Form in der bildenden Künste, 1893: il toccare con mano Vedi anche Louis Sullivan: The Public Papers, Robert Twombly gli oggetti porta alla graduale rappresentazione nell’occhio ed., University of Chicago, Chicago, 1988, pp.79-84, 80, cit. nella come somma di singole impressioni. Quindi anche il tempo nota 4 di M.Wigley, White walls, op. cit.,p.373 ha la sua importanza) e August Schmarsow (1893 lezione Das 42 Josef Frank, Gschnas fürs G’mut und der Gschnas als Problem, Wesen der architektonischen Schöpfung e Unser Verhältnis zu 1927, in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank..., op. cit., p.188-190, trad. den Bildenden Künsten: sechs Vorträge über Kunst und Erziehung, it. Ornamenti per lo spirito e ornamenti come problema, in 1903) per quanto riguarda la percezione cinetica-sinestetica. G.Fraziano (a cura di), Percorsi accidentali. Scritti e progetti di Secondo Schmarsow in particolare non è solo una questione Josef Frank, Lint, Trieste di come percepiamo lo spazio, ma anche come le esperienze 43 del nostro corpo influenzano il modo in cui noi organizziamo A.Loos, Due articoli e una lettera sulla casa della Michaelerplatz, in Parole nel vuoto, op. cit., pp. 236-37 e incorniciamo il nostro spazio. Vi è dunque un rapporto 44 J.Frank, Die moderne Einrichtung des Wohnhauses, 1927, biunivoco tra corpo e spazio. Nonostante né Frank né Strnad in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank..., op. cit., pp.84-87, trad. it. citino mai direttamente il nome di Schmarsow, è certo che L’arredamento moderno dell’abitazione, in G.Fraziano, Percorsi le sue teorie erano note negli ambienti culturali viennesi accidentali, op. cit. dell’epoca, anche grazie agli scritti di Alois Riegl. Infatti già 45 Riegl in Arte tardoromana aveva distinto l’evoluzione dell’arte J.Frank, Fassade und Interieur, 1928, in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank..., op. cit., pp.25-27, trad. it. Facciata e interno, in figurativa nell’antichità secondo tre fasi: G.Fraziano, Percorsi accidentali, op. cit. Visione da vicino (Naehsicht) tattile o aptica (haptisch) dell’arte 46 egizia arcaica: avvicinamento massimo alla superficie tangibile J.Frank, Die moderne Einrichtung.., op. cit., in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank..., op. cit., pp.84-87 di un oggetto al punto che tutti i contorni e le ombre vengono 47 annullate. Il contorno è il più possibile simmetrico e le finestre Josef Frank, How to plan a House, in J. Spalt, Josef Frank..., op. cit., pp.156-167 tendono a mancare per evitare qualsiasi indicazione di 48 Uno dei primi ad introdurre il termine “aptico” fu Alois Riegl, profondità. È rappresentata dalla piramide rispetto alla quale che, se nella prima versione di Spätroemische Kunstindustrie “da qualsiasi dei quattro lati si ponga l’osservatore, il suo occhio (1901) impiegava ancora il termine taktil, in un intervento scopre continuamente solo il piano unitario del triangolo pubblicato sull’ “Allgemeine Zeitung” (Beilage 92-93, Vienna equilatero i cui lati tagliati netti non si richiamano in nessuna 1902), riconosce l’opportunità di sostituirlo con haptisch parte alla chiusura in profondità che sta dietro” . sottolineando l’importanza non solamente il senso del tatto, ma Visione normale (Normalsicht) ottico-tattile dell’arte classica della sinergia tra tutti i sensi. dei Greci: “la visione del tempio greco si ottiene da quella 49 L’idea del percorso architettonico percettivo era stato già lontananza moderata che corrisponde alla visione normale, affrontato nei suoi progetti anche da Strnad, in particolare in cui la chiarezza tattile del dettaglio e il colpo d’occhio nella Casa Hock sulla Cobenzlgasse a Vienna (progettato in ottico sull’insieme riescono a valorizzarsi in ugual misura”. Alla collaborazione con Wlach, 1912-13) e nella Casa per Jakob superficie sono consentite delle variazioni in profondità ed Wassermann (1914). Anche qui gli ambienti principali sono ombre, e la simmetria subisce un rilassamento pur non venendo collegati da un percorso ascensionale che guida il visitatore mai eliminata. Tuttavia compito principale dell’architettura facendogli cambiare continuamente direzione, accompagnando greca rimaneva pur sempre la delimitazione piuttosto che la il passo più o meno accelerato in base agli intervalli dei gradini e formazione dello spazio e per questo subito dietro alle colonne facendogli fare delle soste a diversi livelli e sui pianerottoli. dei porticati del tempio greco si trova il muro pieno della cella, In una conferenza tenuta il 17 gennaio 1913 al Österreichischer privo di aperture, che si presenta dunque ancora come una Ingenieur- und Architektenverein a Vienna e in una successiva superficie piana su cui le colonne sembrano in rilievo. 94 Visione da lontano (Fernsicht) ottico-coloristica della tarda età imperiale romana: oltre al recinto, si viene a riconoscere anche lo spazio in quanto cubicamente misurabile, anche se non ancora come infinita profondità fra i singoli oggetti. Le singole entità infatti perdono il loro legame tangibile con il piano di fondo e si isolano dalla superficie, divenendo macchie di colore che si dissolvono con il loro contorno e intervallate da ombre profonde che hanno la funzione di dividere, separare. Con l’appiattimento in superficie, l’osservanza della simmetria ridiventa ancora una volta più rigida. Questa fase è rappresentata dalla basilica cristiana e dalle costruzioni a pianta centrale. Del pantheon Riegl dice che “al posto della superficie assolutamente calma dell’ideale artistico egiziano subentra la curva inquieta che cerca profondità”. Il Pantheon rappresenterebbe il primo esempio di spazio interno concepito come contenitore, come un pieno: ovunque guardi il visitatore, alle pareti laterali e alla cupola, dovunque scorge variazioni in profondità e una volta alzato lo sguardo al cielo l’oculo in sommità della cupola ci protende verso un aldilà, ci connette con il cosmo. Nicchie laterali e cassettonato della cupola ci preparano gradualmente all’evento, anche se il punto di vista è pur sempre centrale. Il fatto che altezza e larghezza siano uguali e la planimetria circolare risvegliano da subito una sensazione tangibile di unità per la quale il visitatore non sente il bisogno di avvicinarsi alle nicchie per saggiarne tattilmente la profondità. Il bisogno di movimento lo ritroviamo invece nel tempio di Minerva Medica, dove dal nucleo centrale si liberano delle nicchie che vanno incontro allo spettatore, sia all’interno che all’esterno in un gioco di convessità e concavità che preannunciano le pieghe dell’architettura barocca. L’apertura di finestre nel tamburo e nella volta della cupola da un lato animavano coloristicamente le superfici parietali e contemporaneamente attiravano lo sguardo dall’involucro materiale, fuori, nello spazio infinito. Vedi Alois Riegl, Arte tardoromana, Einaudi, Torino 1959 (ed. orig. 1901), p. 39 50 M.Wigley, White walls, op. cit., p. 11 e M.Wigley, Untiled, op. cit., p.367 51 P.A.Rovatti, op. cit., p.37 52 Anthony Vidler, La deformazione dello spazio. Arte, architettura e disagio nella cultura moderna, Postmedia Book, Milano 2009 (ed. orig. 2000), p.181 53 M.Vitta, Dell’abitare, op. cit., pp.98-99 “ DISTANZA LA LUNA: TRA UNA LA TERRA CARTINA E DA SIGARETTA TALMENTE FINE CHE 1000 PER OTTENERE UN MILLIMETRO, PIEGATA IN DUE PER 49 VOLTE DI SEGUITO; DISTANZA TRA LA TERRA E IL SOLE: LA STESSA, PIEGATA IN DUE PER 58 VOLTE DI SEGUITO. NE OCCORREREBBERO “ (G.Perec, Specie di spazi, 1989, p.102) 95 Glossario architessile Toyo Ito, Suites Avenue, Barcellona, 2009 e progetto per il Forum per la musica, la danca e le arti visive di Gehnt, Belgio, 2004 . Sotto abito di Elena Manfredini, da B. Hodge, P. Mears, S. Sidlauskas, Skin & Bones..., 2007, p.183 e 146 98 G l o s s a r i o architessile Come ci ricorda Adrian Forty nel suo saggio Of Cars, Clothes and Carpets, molti storici dell’architettura si sono serviti di metafore tratte da altre discipline come strumento critico per riflettere sull’architettura, ma Gottfried Semper si spinge più in là arrivando addirittura a sostenere che l’architettura nasce proprio dalla tessitura e non viceversa. Al rapporto tra queste due discipline è dedicato l’intero primo volume di circa 480 pagine di Der Stil. Il suo interesse per quest’arte si era dimostrato fin dai tempi della sua formazione a Parigi quando al Louvre era rimasto particolarmente colpito dai tessuti assiri, incrementato dal fatto che suo padre era un industriale della lana. Alla Great Exhibition di Londra del 1851 aveva quindi potuto confrontarsi direttamente con i diversi tipi di tessuto allestendo il padiglione della Turchia e in seguito la Mixed Fabric Courts1. Qui di seguito alcune parole chiave tratte dal vocabolario semperiano che dimostrano il parallelismo tra architettura e tessitura, due discipline apparentemente così diverse tra loro, l’una associata alla massa, al pesante, alla durezza, al permanente, al fisso, al stabile; l’altra invece alla leggerezza, al fragile, alla morbidezza, al flessibile, al temporaneo, al mobile, all’instabile. Ma se, come consiglia Anni Albers in The Pliable Plane, pensiamo invece al procedimento costruttivo e lo compariamo a quello della tessitura possiamo osservare come queste due discipline abbiano molti punti in comune, essendo entrambe frutto di una congiunzione di parti ciascuna delle quali mantiene la propria identità pur facendo parte di un tutto unico (da qui l’importanza delle giunture, cuciture, e il disegno dei vari componenti). Entrambe, architettura e tessitura, partono da un’idea che viene rappresentata mediante lo schizzo su una superficie bidimensionale che mano a mano viene trasformata in uno spazio complesso tridimensionale fatto di un intreccio di trama ed ordito attorno al corpo umano, che rimane quindi l’unità di misura e il fulcro centrale, il loro punto d’origine. Al tempo stesso sono espressione di identità e portatrici di significati antropologici ed economici molto importanti, e quindi influenzabili ed influenzate dal mercato e dalla moda. Recentemente poi le nuove tecnologie e la computer grafica hanno dimostrato come la differenza tra architettura e tessitura sia oggi molto ambigua essendo diventata la prima leggera, flessibile e mobile, mentre la seconda estremamente resistente e stabile. Oggi dunque l’idea che la parete (Wand) derivi dall’abito (Gewand), come sosteneva Semper, è più che mai vera e proprio la capacità del tessuto di piegarsi, curvarsi, incresparsi, avvolgersi, essere cucito, intrecciato e strecciato permette all’architettura di ribaltare i limiti tra interno ed esterno, tra dentro e fuori, tra sopra e sotto. Per la stesura del glossario si è fatto riferimento a: G.Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen Kuensten, oder Praktische Aesthetik. Ein Handbuch für Techniker, Kuenstler und Kunstfreunde, Erster Band: Textile Kunst, Verlag für Kunst und Wissenschaft, Frankfurt a.M., 1860; e alla corrispettiva traduzione parziale italiana Lo Stile nelle arti tecniche e tettoniche o estetica pratica, a cura di A.R. Burelli, C.Cresti, B. Gravagnuolo, F.Tentori, Laterza, Roma-Bari 1992. Per il termine “trama e ordito” invece il testo di riferimento è Roberto Frassine, Maria Grazia Soldati, Manuela Rubertelli, Textile design. Materiali e tecnologie, Franco Angeli Editore, Milano 1 Non avendo tuttavia una grande esperienza sull’argomento, è probabile che all’inizio della stesura del primo volume di Der Stil si sia fatto aiutare da Hudson, direttore del corso di tessitura al Department of Practical Art di Londra. Vedi W.Hermann, Gottfried Semper. Architettura e teoria, Electa, Milano 1990 (ed. orig. 1978), pp.78-79 Office da, progetto non realizzato per la Zahedi House a Weston, Massachussets, 1998 (Skin & Bones..., p.136) Miralles e Tagliabue, Mercato di Santa Caterina a Barcellona, 1997-2005. La copertura è composta come pezzi di stoffa cuciti assieme. Qui sopra il “cartamodello”. 99 simmetria Symmetrie proporzione Proportionalität direzione Richtung euritmia (die Eutythmie) DEFINIZIONE 1860 p.21; 1992 p.103-110 Esistono tre principi formativi (Gestaltungsprinzipien) necessari affinché vi sia bellezza formale (nothwendige Bedingungen des Formal-schönen): la simmetria (Symmetrie), la proporzione (Proportionalität) e la direzione (Richtung). A ciascuno corrisponde una categoria di ornamento in cui rientrano sia la decorazione del corpo che quella architettonica: 1) simmetria - il pendente: gli orecchini, i ciondoli, i pendenti dal naso, ma anche le gocce della trabeazione dorica e le campane delle pagode cinesi e tutti quegli elementi caratterizzati formalmente da simmetria. Essi “pendono liberamente ad ogni movimento”, ma hanno la tendenza a predisporsi continuamente in uno stato di quiete grazie alla forza di gravità controbilanciata dalla forza alla quale il pendente è appeso. Questo sistema di forze tende verso l’esterno dell’oggetto che per questo rimanda al suo rapporto con il generale e dunque è chiamato anche “ornamento macrocosmico”. La simmetria rigorosa si distingue da quella lineare che è definita come “equilibrio armonico di elementi attorno ad un asse perpendicolare alla direttrice dinamica, senza che necessariamente vi sia simmetria”; 2) proporzione - l’anello: definito “ornamento microcosmico” poiché ha la capacità di concentrare al suo interno le forze esterne disposte in modo radiale attorno all’oggetto e per questo richiama l’attenzione sul particolare piuttosto che sul generale. Fanno parte di questa categoria la corona, la collana, la cintura, il braccialetto, l’orlo del vestito, ma anche la cimasa, gli astragali, le volute, i nastri, le tenie, il fregio articolato delle metope, il diazoma e tutti quegli elementi che servono “ad evidenziare la proporzionalità della figura [e a] correggere le sue imperfezioni”. Anche il vestito fa parte di questa categoria quando è nel suo stato di quiete; DEFINIZIONE 1860 pp.XXIV-XXIX e XXXIII-XXXVII; 1992 pp.21-25 L’euritmia è definita come una simmetria chiusa, “una concatenata sequenza di intervalli spaziali analogamente conformati (in einer geschlossenen Aneinanderreihung gleichgeformter Raumabschnitte)” secondo una disposizione regolare e concentrica di elementi formali che creano intorno all’oggetto incorniciato una figura chiusa (regelmässig koncentrische Gliederung und Ordnung der formalen Elemente die um das eingerahmte Obiect herum eine geschlossene Figur bilden)”. La sua essenza dunque è l’inclusione (Geschlossenheit, Einschlusses), e perciò è ben rappresentata dalla cornice, considerata “una delle forme fondamentali (Grundformen) dell’arte: senza di essa non esiste immagine chiusa (abgeschlossenes Bild), non esiste misura di grandezza (Massstab der Grösse)”. Nelle figure ottiche sono possibili tre varianti euritmiche: 1) sequenza semplice (die einfache Reihungen): presenta elementi e intervalli tutti uguali (per esempio il profilo a dentelli o scanalato (Zahnschnitte oder Kanenlüren), la ghirlanda di foglie tutte uguali (Blattkränze), le file di perle (einfachsten Perlenstäbe ohne Disken); 2) serie alternata (die alternierende Reihungen): consiste nell’intercalare un elemento diverso in una 100 3) direzione - l’ornamento direzionale: “la cui funzione è di porre in risalto la direzione e il movimento sequenza semplice (file di due perle e un disco, motivo a ovoli e lancette, triglifi e metope); del corpo” e comprende dunque il vestito quando comincia a muoversi, il mitra del sovrano, i copricapi militari, il serpentone ureo posto sulla fronte della divinità egizia, nastri, lacci, nappe e simili, i capelli, ma anche le palmette che ornano il frontone così come “le tegole di colmo decorate a mo’ di cresta”. 3) intersecanza (Intersekanz) consistente nell’interrompere una delle due serie precedenti con periodiche Questi tre principi a loro volta sono destinate a ricomporsi in una unità “di ordine superiore”, definita come autorità di contenuto (Zweckeinheit oder Inhaltseinheit). Essa è l’idea di cui parlava Semper già in I principi formali dell’ornamento: “affinchè vi sia Bellezza occorre che questi tre principi – simmetria, proporzione e direzione – agiscano assieme in maniera equilibrata disponendosi attorno ad un quarto parametro fondamentale “di ordine superiore [che] è il punto cardinale della figura, […] l’idea, la sua stessa quintessenza”. A loro volta le unità possono presentarsi come corpi neutrali (per es. perle e dati), oppure essere rivolte verso l’alto o verso il basso, come nel motivo a ovuli (Eierstab) oppure alternativamente in entrambi i modi. cesure (file di perle con due o più dischi, le teste di leone e le maschere della trabeazione greca, le balaustre del Rinascimento, nell’ornato dell’architettura barbara, indù, araba e gotica)”. 101 nastro (das Band) DEFINIZIONE 1860 pp.18-22; 1992 pp.56-59 DEFINIZIONE 1860 pp. 180-183 Mentre l’allineamento connette assieme delle unità tutte uguali, il nastro lega assieme elementi diversi tra loro o li collega incorniciandoli (knüpf Theile, die nicht zu ihm gehören, aneinander, oder verbindet sie, indem es sie umrahmt). Serve a mettere in risalto al tempo stesso l’unità (die einheitliche Wesen der Theile) e il suo rapporto con la totalità (und zugleich deren Beziehungen zu dem Ganzen), nonché a sottolinearne l’articolazione (die Gliederung). Infatti “tutto ciò che è legato (das Gebundene) si esprime come qualcosa di articolato (Gegliedertes), come pluralità (Pluralität), […] e la sua forma base è lineare (linearisch)”. “Il nodo è forse il simbolo tecnico più antico e […] l’espressione (Ausdruck) per la prima idea cosmogonica che nacque presso i popoli primitivi”. In tutti i sistemi teogonici e cosmogonici, è simbolo della concatenazione primordiale delle cose (Unverkettung der Dinge), della necessità (Nothwendigkeit), che è più antica del mondo e di Dio, che tutto congiunge e di tutto dispone (die Alles fügt und über Alles verfügt). Dal simbolo del nodo scaturiscono dunque tutte le forme ornamentali. In primo luogo serve come mezzo per unire assieme (Verknüpfungsmittel) due fili e la sua robustezza (Festigkeit) si basa soprattutto sulla loro forza di attrito (Widerstand der Reibung). Il sistema più forte è determinato quando i due fili vengono tirati in direzione opposta nel senso della loro lunghezza, come avviene nel nodo del tessitore (der Weberknoten). Esiste tuttavia anche quel nodo che si fa tra due fili nel senso di una tensione verticale (vertikal auf deren Ausdehnung). Il nastro più semplice è il filo (der Faden), poi viene quello rinforzato (più fili allineati o attorcigliati) (das verstärkte Band aus neben einander gereihte oder in Drehungen umeinander gewundenen Fäden) ed infine l’intreccio (das Geflecht). Un insieme di nodi forma la rete (das Netz, Neztgeflecht) che è caratterizzato dal fatto che quando si rompe un nodo, esso non implica la distruzione dell’intera rete e quindi può essere riparato con facilità. Il nastro può essere fisso (fest) oppure svolazzante (flatternd). Nella prima categoria rientrano la cintura (der Gurt), la fascia (die Zone, die Stirnbinde), la bordatura (der Saum), l’orlo (die Einfassung), la cucitura (die Nath) ma anche il tessuto (das Gewebe). Essi esprimono al tempo stesso flessibilità (Schmiegsamkeit) e saldezza (Festigkeit), il cui grado si manifesta in due modi separatamente: o attraverso il rapporto tra ciò che connette (Bindende) e ciò che è connesso (Gebundene) in relazione alla dimensione spaziale (in Beziehung auf raeumliches Mass), oppure nella Textur e nella resistenza ostensibile del materiale legante (ostensiblen Resistenz des bindenden Stoffes). Nella seconda categoria rientrano la nappa (das Troddelwerk), i fiocchi (das Schleifenwerk), le bandiere e vessilli (Flaggen und Wimpeln), gli acroteri del tetto (Akroterien) e tutti quei simboli tessili che esprimono scioltezza, leggerezza e flessibilità (Ungebundenheit, Leichtigkeit und Geschmeidigkeit) e che servono ad accentuare la direzione e il movimento di una figura (die Richtung und die Bewegung einer Gestalt). È opportuno che il nastro svolazzante rechi ornamentazioni che evidenzino che esso si srotola nel movimento (sich mit der Bewegung abrollend) e che sia adattato alla caratteristica della figura che deve mettere in risalto: così ad una giovane fanciulla sono adatti nastri e fiocchi leggeri, fluttuanti, colorati o chiari, mentre lo stesso ornamento, con un altro motivo (Muster), forma (Form), colore (Farben), e soprattutto con un altro modo di portarlo (in der Art dasselbe zu tragen), può viceversa sottolineare il severo pathos di un sacerdote o sovrano. 102 nodo (der Knote) Nella maglia (die Masche) invece, [essendo composta da un unico filo che si intreccia su se stesso attraverso lo strumento dell’uncinetto], basta che un nodo si sciolga che l’intero sistema si rompe; però con essa – grazie alla sua elasticità (Elasticität) ed estendibilità (Dehnbarkeit) - si ottengono prodotti che altrimenti non sarebbero pensabili, come le calze, i lavori a maglia e all’uncinetto, (Strumpfwirkerei, Strickund Häckelarbeiten), adatti per aderire alle forme (enganschliessenden die Form umspannenden) e privi di piegature (faltenlos). 103 cucitura (die Naht) bordatura o orlo (der Saum) bordura (die Bordüre) DEFINIZIONE 1860 p.83; 1992 pp. 104-105 “La cucitura (die Nath) è un espediente (ein Nothbehelf), inventato per collegare pezzi di tipo omogeneo ovvero superfici, in un insieme (um Stücke homogener Art, und zwar Flächen, zu einem Ganzen zu verbinden)”. Infatti, come confermano gli studi di linguistica del dottor Albert Höfer, esiste un’analogia tra le parole Noth necessità, Nath cucitura, Knoten nodo, in quanto hanno radice comune noc, lat. neo = nec-o? nexus, necessitas ovvero il nesso, la conseguenza, la costrizione. “Con la cucitura compare un primo ed importante assioma della prassi artistica, la legge di fare di necessità virtù (aus der Noth eine Tugend zu machen). Essa ci insegna a non voler fare sembrare diverso ciò che è, e deve restare, naturalmente un’opera frammentaria (Stückwerk), evidenziando esplicitamente e deliberatamente la sua connessione (Verknüpfung) e intreccio (Verschlingung) finalizzati a uno scopo comune, ossia per essere non unità indivisa (als Eines und Ungetheiltes) ma, molto più eloquentemente, unitarietà scaturita dal collegamento delle parti (zu Einem Verbundenes, Zusammenfügung)”. Considerando il valore e il significato primordiale e universale del legare e del connettere, la cucitura acquista anche una valenza mistico-religiosa legata a tutti quei simboli che rimandano al nodo mistico (der mystische Knoten, das heilige Fitz), come il cappio (die Schleife), il labirinto (das Labyrinth), la maglia (die Masche), il groviglio di serpenti intricati. Cucitura e nastro sono quasi sempre in contrasto tra loro nella misura in cui i nastri agiscono secondo la loro lunghezza e intersecano l’asse dello sviluppo proporzionale ad angolo retto (sono proporzionali e non simmetrici), mentre le cuciture di norma agiscono secondo l’ampiezza della loro estensione (nach der Breite ihrer Ausdehnung) e corrono parallelamente all’asse proporzionale di una figura e perciò sono indifferenti alla proporzione della figura, mentre sono soggette alle leggi della simmetria. Perciò sono da evitarsi le cuciture orizzontali intorno al corpo, mentre sono concessi il nastro e le decorazioni ad anello come la cintura (der Gürtel). 104 DEFINIZIONE 1860 pp.21, 33-35 e 77-79; 1992 pp.58, 67-69 e 100-101 Il momento di conciliazione tra cucitura e nastro avviene nel bordo (der Saum), il quale può agire sia nella direzione della sua ampiezza come cucitura, sia nel senso della lunghezza come nastro. Come cornice (Rahmen) poi adempie alla legge della regolarità planimetrica (planimetrische Regelmässigkeit), mentre gli elementi di cui è costituito si dispongono euritmicamente intorno a ciò che è incorniciato come unico centro di riferimento. La bordatura (der Saum) in particolare ha una duplice funzione: 1) statica o meccanica in quanto si rapporta al racchiudere, delimitare e tenere insieme (das Eingefasste, Umschränkte, Zusammengehaltene), 2) definisce e concretizza l’inizio o la fine dello spazio rivestito (der Anfang und das Ende des bedeckten Raumes). Affinché queste due funzioni appaiano separatamente, occorre introdurre una bordura aggiuntiva (eine besondere Bordüre) parallela alla prima in modo che la bordatura vera, come nastro di delimitazione (umfassendes Band) privo di direzione, incarni l’idea del racchiudere (Einfassens), mentre la bordura con le sue frange (Franzen) definisca la direzione in cui lo spazio si conclude o inizia (Endigen oder Beginnen), dove la frangia è “la parte terminale (Endigungen) dei fili dell’ordito (Zettelfäden) che sporgono dal tessuto (Gewebe) e vengono attorcigliati (zusammengedreht) o legati con nodi (mit Knoten verbunden) per evitare che si sfilaccino (um das Auszetteln zu verhindern)”. L’elemento di mediazione (Zwischenglied, Wechselwirkung) è una cucitura (die Naht) e spesso ha un motivo a zigzag. Il chiodo (die Niete) è affine sia linguisticamente che concettualmente alla cucitura (die Naht) e compare spesso come rosetta, nata forse in origine come bottone (Knopf) o laccio (Nestel) oppure trasferito più tardi dalla metallotecnica al rivestimento tessile (Bekleidungswesen). 105 filo (der Faden) filato (das Gespinnst) refe (das Gezwirn) Zopf o Tresse) DEFINIZIONE 1860 pp.177-180 DEFINIZIONE 1860 pp. 21 e 183-190; 1992 p.58 Il filo, il filato e il refe “derivano la loro origine dai procedimenti più semplici ritrovabili in natura, come la torcitura (Drehung) riscontrabile nei fili d’erba, nei rami degli alberi, nei tendini e intestini degli animali, mediante la quale il prodotto mantiene la forma circolare della sua sezione trasversale (kreisrunde Durchschnittsform) e soddisfa al meglio la robustezza (Haltbarkeit) ed elasticità (Elasticität)”. È costituito da almeno tre corde che si sovrappongono l’un l’altro alternandosi (abwechselnd übereinander greifen). Rispetto al refe, l’intreccio costituisce una matassa (Strangwerk) più solida poiché le singole corde (Stränge) lavorano secondo la loro direzione naturale e quindi non è facilmente scioglibile (nicht so leicht abrebbeln). Può essere o piatto [come tenia (als Tänie), cintura (der Gurt), fascia (die Zone, Stirnbinde), bordatura (Saum), bordo (Einfassung), ma anche come tessuto (Gewebe)] oppure a sezione semicircolare [come toro (Torus o Wulst), cordoncino per la decorazione di selle o stoffe, e soprattutto per legare assieme materiali rigidi (ungeschmeidige Stoffe) come per esempio fili metallici (Metaldrähte). Il filato (das Gespinnst) è un filo artificiale costituito da più fili naturali trattati secondo i procedimenti del pettinare (Kämmen), dello sfilacciare (Zupfen), dello schiacciare (Quetschen), dell’incollare (Leimen) e del ruotare (Drehen), mediante l’aiuto della mano umida (der feuchten Hand) e del fuso rotante (der drehenden Spindel). La pettinatura, che serve a disporre i fili parallelamente e liberarlo dalle impurità, a volte viene sostituita dalla raschiatura (Kratzen) mediante la quale il filo diventa simile al feltro. Il refe (das Gezwirn) è un filo artificiale più resistente del filato, costituito da due o più fili artificiali che necessita solamente della torcitura (Drehung). E’ possibile anche utilizzare fili di diversi tessuti, diverse dimensioni e colori a formare un cavo più grosso (ein dickeres Tau). 106 intreccio (das Geflecht, Serve per legare (Gebinde), ma anche per rivestire (Tegumenten). Al tempo stesso l’intreccio può servire anche come cucitura (Naht) trasversale di due tessuti (Gewandflächen) e costituisce un ricco motivo ornamentale sia nelle arti minori che nell’architettura. Come cucitura comprende anche il pizzo (Spitzenwerk (lace, point, dentelle, pizzi, merletti)), distinto in due classi: 1) Nadelspitzen (guipure) fatto a mano libera con l’ago (die Nadel) [fig.1 riempimento (Füllung) e fig. 2 sfondo (Grund) 2) Klöppelspitze o Bobinet, fatto su un cuscino con l’aiuto di tomboli. Questo procedimento consiste di una combinazione di tessitura, cucitura a filo refe e intreccio (Weberei, Zwirnerei und Flechtung). Il disegno (das Dessin) si ottiene per lo più afferrando assieme i fili (Zusammengreifen der Fäden) come avviene per la tessitura delle tele di lino (Leinwand) [fig.3]; lo sfondo invece viene creato mediante l’intreccio (Flechtung) dei fili oppure attraverso la semplice cucitura a filo refe (Zwirnen) [fig.4 e 5] 107 stuoia (die Matte, trama e ordito Matten- o Rohrgeflecht) (Schuss- und Kettfaden) DEFINIZIONE 1860 pp. 21 e 183-190; 1992 p.58 Alla categoria dell’intreccio appartiene anche la stuoia, la coperta intrecciata (die geflochtene Decke), che si distingue da quella intessuta (gewoben) per il fatto che i fili di cui è composta non necessariamente devono incrociarsi perpendicolarmente, bensì all’interno della tessitura (Textur) possono essere intrecciati (eingeflochten) fili diagonali secondo tutte le direzioni in modo da costituire un disegno geometrico che può variare a seconda dei colori e dimensioni dei fili. È un motivo largamente utilizzato già dagli egiziani e assiri che lo presero come riferimento poi anche per le pareti in mattoni smaltati (glasierte Ziegelwände), come pure presso lo stile costruttivo (Baustil) asiatico bizantino, arabo, spagnolo. Questo motivo arabo venne ripreso in seguito in epoca romanica (11 e 12 secolo, vedi il palazzo del doge a Venezia o le chiese normanne in Sicilia e Normandia per esempio) e poi di nuovo nel rinascimento. A proposito, in nota, Semper consiglia di confrontare il testo di Owen Jones sull’Alhambra. DEFINIZIONE 2008, pp. 111-124 Un tessuto (Gewebe) è dato da un intreccio di fili di ordito (o catena, Kettfaden) e di trame ortogonali fra loro (Schussfaden), che prende il nome di armatura (Patrone). Tessuti orditi con una sola catena e una sola serie di trama si dicono semplici, altrimenti complessi. Inoltre l’intreccio può essere continuo oppure parziale nel caso che le serie siano interrotti, disposti cioè secondo predeterminati intervalli. La messa in carta è la rappresentazione grafica dell’armatura di un tessuto mediante uno schema con quadrati bianchi e neri: quelli bianchi indicano che il filo d’ordito passa davanti a quello di trama, quelli neri viceversa. Si inizia partendo dal basso a sinistra per arrivare in alto a destra. Esistono tre tipi di armature di base: 1) l’armatura tela o piana (Leinwandbindung), detta taffetas per la seta: l’ordito e la trama si alternano 1 2 3 uno sopra l’altro e viceversa, scambiandosi la posizione ad ogni battuta del telaio (rigo). Presenta il maggior numero di intersezioni (Bindungspunkten) possibili. Fronte e retro sono uguali. 2) l’armatura a saia (Körperbindung), detta twill per la seta: si ottiene facendo passare l’ordito sotto un filo di trama e poi sopra due. Nel rigo successivo avviene lo stesso intreccio ma scalato di un posto, cosicché l’effetto risultante è di righe diagonali. Di conseguenza il rapporto di armatura minimo è costituito da almeno tre fili di ordito e tre di trama. Il tessuto presenta due facce diverse, sul diritto sono più evidenti i fili di ordito, sul rovescio quelli di trama. Quando si dispongono due armature saie in direzione opposta si ottiene l’effetto a spina di pesce o spigato. 3) l’armatura tipo raso (Atlasbindung), detta satin per la seta: un filo dell’ordito, dopo essere passato sotto ad un filo di trama, vi ripassa dopo 4 o più fili. Nella battuta successiva si ripete lo stesso intreccio, ma scalato di due posti. Si ottengono così tessuti rasati e lucidi su un lato, opachi e ruvidi sull’altro, ma molto meno resistenti rispetto a quelli ottenuti con le altre armature poiché i punti di intersezione tra trama e ordito sono ridotti al minimo. 108 109 coperta e superficie parete (die Wand) tenda (das Vorhang) cortina (das Überhang) (die Decke, die Fläche) DEFINIZIONE 1860 pp.28-31; 1992 pp.64-66 DEFINIZIONE 1860 pp.37-38; 1992 pp.71-72 “Il bisogno di protezione (des Schutzes), di coprire (der Deckung), e di racchiudere uno spazio (der Raumschliessung) è stata uno dei più antichi incentivi all’invenzione industriale (industriellem Erfindung)” e per questo probabilmente la coperta (die Decke) rappresenta l’elemento più importante del simbolismo architettonico. “L’uomo ha imparato a riconoscere l’essenza (Wesen) e il fine (Bestimmung) delle coperture naturali, come la pelliccia arruffata degli animali (das zottige Fell der Tiere) o la corteccia protettiva degli alberi (die schützende Rinde der Bäume)” per poi riprodurle artificialmente. Al contrario di tutto ciò che è legato che si presenta come pluralità, “tutto ciò che è chiuso (Abgeschlossene), protetto (Geschützte), circondato (Umfasste), avvolto (Umhüllte), coperto (Gedeckte), si presenta come qualcosa di unitario (einheitlich), come insieme (Collectivität)” e la sua forma base è la superficie (die Fläche)”. Una superficie verticale, quella cioè di cui l’altezza è maggiore rispetto alla larghezza, può o stare in posizione eretta come parete (aufrecht stehen als stehende Wand) e dunque svilupparsi verso l’alto (entwickeln); oppure pendere come tenda (hängen als Vorhang) e svolgersi verso il basso (abrollen). La cortina (Überhang) rappresenta una mediazione (Vermittlung) tra i due. In una superficie i concetti di alto e basso, destra e sinistra possono o rimanere neutrali (vedi il tappeto e il soffitto) oppure emergere chiaramente, e in questo caso contemporaneamente alle leggi di simmetria e proporzione, sotto un duplice aspetto: 1) in relazione al rapporto tra larghezza e altezza come pure alla generale delimitazione lineare (vedi la parete verticale); 2) in considerazione di ciò che sulla superficie viene rappresentato. In ogni caso lo sviluppo proporzionale deve attuarsi sempre naturalmente, in modo che la testa resti in alto come coronamento (Krönung) e ciò che conclude verso il basso come festone (Behang). Nel caso di un quadrato, neutrale, si raggiunge lo sviluppo proporzionale - o mediante suddivisioni (Unterabtheilungen, Compartimente) e motivi (Muster) “in modo che ogni sezione che si crea sulla sua superficie e l’intero sistema di queste sezioni, considerato nel suo insieme, soddisfino le condizioni di proporzionalità e simmetria”, - oppure attraverso riempimenti (Füllungen) e campi (Felder) i quali, se presi singolarmente, sono più alti che larghi. 110 In relazione a ciò che viene rappresentato sulla superficie, la parete e la tenda hanno in comune tre leggi stilistiche proporzionali (proportionale Stilgesetze): 1) ciò che è racchiuso (Umfassten) viene innalzato e sostenuto da ciò che racchiude (Umfassenden) analogamente allo sfondo (Hintergrund) in pittura che serve a sostenere e far spiccare le figure principali (Hauptsujet). Dunque la decorazione di una parete, come sfondo, deve presentarsi con tonalità sfumate (in gedämpftem Tone) preferibilmente monocromatiche, evitare i contrasti di luce ed ombra (die Contraste in Licht- und Schattenparthieen vermeiden) e tendere ad una rappresentazione che non distolga l’attenzione dal soggetto; 2) il motivo deve svilupparsi nel senso della proporzionalità, e non contrastare il drappeggio (Faltenwurf); 3) in basso alla parete va collocata la forma più pesante (die schwerere Form) e il colore più scuro o serio (dunklere oder ernstere Farbe), mentre la forma più leggera (die leichtere Form) e il colore più luminoso (glänzendere Farbe) in l’alto. Viceversa per la tenda. La superficie eretta e tesa verticalmente come parete (augerichtete oder gespannte Teppichwand) e il drappeggio pendente (herabfallende Draperie) invece differiscono tra loro per: - in primo luogo la simmetria, la quale, contrastando con le piegature, nel caso delle tende va preferibilmente sostituita con la simmetria plastica (plastische Symmetrie) cioè con un semplice equilibrio delle masse (Massengleichgewicht); - in secondo luogo il tipo di chiusura (Abschliessung) che nel caso delle pareti si trova in alto e coincide con la dominante della triade proporzionale, mentre nel drappeggio si trova in basso e coincide con la base. 111 tappeti e pavimenti soffitto (die Decke) (Fussboden-bekleidung oder decke) DEFINIZIONE 1860 pp.21, 42-47 e 52-56; 1992 pp.58, 74-78 e 81-86 DEFINIZIONE 1860 pp.66-77; 1992 pp.92-99 Nei rivestimenti a pavimento così come in quelli a soffitto, i concetti di alto e basso, destra e sinistra restano neutrali, e tale assenza di direzione (“all and over” treatment) si caratterizza attraverso un centro (Mittelpunkt) che viene messo in risalto e un bordo (Saume) che lo circonda secondo una disposizione concentrica, radiale o mista. Lo spazio tra la cornice (Umrahmung) e il centro costituisce lo sfondo e perciò deve rimanere subordinato. Il soffitto, analogamente al tappeto, è una superficie orizzontale priva di direzione concentrata nel centro, il quale costituisce l’origine e la conclusione di tutte le relazioni che possono prodursi mediante suddivisioni, partizioni geometriche e motivi (durch Unterabtheilungen, Lineamente und Muster). Siccome non deve essere calpestato (begangen) le sue decorazioni non dipendono dal materiale, ma dalla tecnica impiegata per l’esecuzione, di cui la tessitura (Technik des Webers) rappresenta la tecnica originaria (Urtechnik). Analogamente al pavimento, il soffitto segue il principio per cui ogni rivestimento deve mantenersi sempre come sfondo (Hintergrund) senza diventare l’oggetto principale, e dunque gli sono appropriati “colori ariosi, luminosi e insieme pacati, e un’ornamentazione leggera” per evitare sensazioni di oppressione (Gefühl des Drückenden): “la volta celeste stellata (das Sternenzelt des Himmels), con il suo colore azzurro, fin dai tempi remoti, da quando l’uomo ricama (stickt), tesse (webt), dipinge (malt) e costruisce (baut), fungeva da modello di riferimento (Vorbild) per coloro che si occupavano della realizzazione delle chiusure spaziali superiori orizzontali”. Tuttavia, mentre lo sguardo (der Blick) diretto verso il pavimento è spinto a cadere prima su ciò che è più vicino, lo sguardo rivolto verso l’altro vede prima la parte più lontana del soffitto. Nei soffitti i soggetti si dovrebbero quindi vedere con una prospettiva a volo d’uccello rovesciata (umgekehrten Vogelperspektive): stelle, uccelli, angeli, soli alati, labirinti, fronde degli alberi con fiori e frutti pendenti, intrecci tratti dalla tessitura e che rimandano all’idea della capanna archetipa (der dem Websthul entnommenen und an die Idee eines Urzeltes geknüpften Zopfgeflechten). Sono possibili anche i fiori d’acanto e le cosiddette rosette realizzati a rilievo o anelli con coppie d’ali, in quanto sono rivolti in tutte le direzioni (nach allen Seiten gerichtet). Nonostante in natura esista il prato fiorito come tappeto (der natürliche Teppich, der blumendurchwirkte Rasen), in generale sono da evitarsi per i pavimenti (Fussboden) tutte quelle decorazioni che conferiscono un sentimento di paura di cadere a chi le calpesta: contrasti stridenti di chiaroscuro (schneidende Kontraste von hell und dunkel), ornamentazioni a rilievo (architektonische Reliefornamente), fori (Brunnenlöcher), modanature (erhabenes Leistenwerk), imitazioni plastiche accuratamente fedeli alla natura (plastische Nachahmungen), discontinuità materiche (Störungen der Flächencontinuität). Sono invece consentiti dove non vengono calpestati oppure nei campi intermedi (Zwischenfelder) laddove l’ambiente conduca unidirezionalmente (einseitig hinführt) ad un altro ambiente o verso un centro d’effetto architettonico (Mittelpunkte architektonischer Wirkung). La decorazione del campo mediano (Mittelfeld), che serve a concatenare (verketten) le varie parti della composizione, è orientata in funzione dell’ambiente in cui il rivestimento a pavimento si inserisce: se è chiuso sui quattro lati i motivi vanno direzionati dal centro verso i bordi (Rande); se è aperto viceversa. I motivi vanno disposti regolarmente (gleichmässig vertheilt) visti dall’alto (auf den Kopf sehen) in modo da seguire tutte le direzioni possibili senza che una predomini sull’altra, secondo un disegno geometrico oppure organico (per esempio rosoncini, corone, candelabri, vasi, tralci). 112 Immaginandosi il soffitto “come una lastra di vetro trasparente (durchsichtige Glastafel), dietro la quale restano visibili i muri (Mauern), […] ciò che è dipinto su questa superficie parietale, idealmente verticale (idealen senkrechten Wandfläche) […], viene rappresentato in proiezione sul soffitto”. Dunque ogni soggetto che abbia testa e piedi deve essere raffigurato con i piedi radicati sulla cornice del muro (auf dem Gesims der Maurer wurzeln) e la testa rivolta verso il centro del soffitto; oppure, negli ambienti dove la direzione è esplicita come nelle chiese a navata centrale, i piedi sono diretti verso l’altare, mentre le teste verso la porta. Siccome solitamente l’occhio umano è talmente abituato alla visione comoda (Bequemsehen) che percepisce colori e forme in modo velato (wie hinter einem Schleier), le decorazioni a soffitto sono invece tanto più apprezzabili in quanto, quando osserviamo qualcosa alla rovescia o comunque in una posizione fuori dalla norma, i soggetti acquistano incredibilmente nettezza dei contorni e risalto dei colori (eine Schärfe der Umrisse, eine Farbenglorie). In ogni caso è necessario “fissare una misura normativa per l’altezza del soffitto, la quale tenga conto della costituzione fisica dell’uomo (die physische Beschaffenheit des Menschen) in modo che il punto di vista non sia troppo scomodo”. 113 Urtypen e Urformen DEFINIZIONE G.Semper, Der Stil, p.VI, trad. it. Lo Stile, p.5; G.Semper,Vergleichende Baulehre, in W.Hermann, p. 238; B.Gravagnuolo, pp. 111-12 Pattern K.Wängberg-Eriksson 1994 Ripetizione di poche unità base che vengono combinate tra loro dando luogo a infinite possibilità di variazione. L’obiettivo che Semper si era proposto con la sua “lezione di stile” (Stillehre), pur specificando di non pretendere “di essere né il fondatore né il salvatore dell’arte futura”, era “tentare di scoprire nello specifico le leggi e le norme che regolano la genesi e il divenire dei fenomeni artistici, e dal risultato di questa ricerca ricavare alcuni principi generali che saranno le direttrici di una nuova teoria empirica dell’arte (empirische Kunstlehre)”. “Maturerà così il convincimento che la natura, pur nella sua abbondanza, è parca di motivi; pur nella varietà, in essa vi è una continua ripetizione, legata a poche forme fondamentali che appaiono mille volte modificate secondo il grado di formazione degli esseri e le loro diverse condizioni esistenziali […]. Analogamente, io dico, alla base dell’architettura vi sono delle precise forme che fungono da norma, le quali, vincolate ad un’idea originaria, nelle loro continue manifestazioni consentono tuttavia infinite variazioni legate a funzioni particolari e a situazioni specifiche”. Attraverso questi pochi motivi fondamentali, eternamente validi perché scaturiscono da una tradizione antichissima, e per questo chiamati da Semper Urtypen, il nuovo può essere riallacciato al vecchio senza esserne la copia e si affranca altresì dai vari influssi della moda. “E’ certamente importante seguire le tracce di queste forme normative e dell’idea che vi alberga. Non solo sarà così facilitata la comprensione e l’intelligenza dell’esistente, ma diverrà anche possibile gettare le fondamenta di una teoria dell’intuizione artistica che indichi un cammino non-artificioso e tenga parimenti lontano il rischio della monotonia e dell’arbitrio. Di fronte ad una forma fondamentale, la più semplice espressione di un’idea, l’architettura riceverà vita modificata secondo le peculiarità del luogo, l’epoca e le sue consuetudini, secondo il clima, il materiale di realizzazione, secondo le caratteristiche sia del committente che dell’artista e secondo altre circostanze casuali. Il grande segreto dell’architettura è far trasparire nella molteplicità delle creazioni l’idea fondamentale, rappresentando un tutto individualizzato ma contemporaneamente in sintonia con se stesso e il mondo esterno”. J.Frank, pattern Frühling Haus & Garten e i blocchi per la stampa 114 115 1) RIFLESSIONE Es.:W.Morris, Acanthus 4) ROTAZIONE 2) ALLINEAMENTO Es.: J.Frank, Sweet 5) TRASLAZIONE + ROTAZIONE Es.: J.Frank, Seegras oppure Mirakel Es.: J.Frank, Kitzbühel 6) COMBINAZIONi, Es.: J.Frank, Tang Può avvenire sia in verticale, che in orizzontale, o come combinazione fra le due ANCHE DI 2 O PIU’ UNITA’ Es.: J.Frank, Fioretti può però risultare monotono se l’unità non presenta una tensione interna al disegno, tipo il pattern Labyrinth 3) TRASLAZIONE 116 117 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile La casa e l’opera d’arte “N ON ABBIAMO PIÙ BISOGNO DELLA GRANDEZZA ASSOLUTA, POICHÉ ORA SAPPIAMO CHE LA MISURA DI TUTTE LE COSE DEVE ESSERE L’UOMO […]. PER QUESTO LA COSTRUZIONE PIÙ ESSENZIALE E PIÙ FINE A SE STESSA DEL NOSTRO TEMPO È LA CASA IN CUI ABITANO “UN PAIO DI SCARPE DA CONTADINO E NULL’ALTRO. MA TUTTAVIA… NELL’ORIFICIO OSCURO DELL’INTERNO LOGORO SI PALESA LA FATICA DEL CAMMINO PERCORSO LAVORANDO … QUESTO MEZZO APPARTIENE ALLA TERRA E IL MONDO DELLA CONTADINA LO CUSTODISCE. DA QUESTO APPARTENERE CUSTODITO, IL MEZZO SI IMMEDESIMA NEL SUO RIPOSARE IN SE STESSO … LA BANALE ABITUDINARIETÀ DEL MEZZO SI FA ALLORA INNANZI COME IL MODO DI ESSERE UNICO ED ESCLUSIVO DEL MEZZO. DI VISIBILE NON RESTA CHE LA PIATTA USABILITÀ. ESSA PORTA CON SÉ L’ILLUSIONE CHE L’ORIGINE DEL MEZZO CONSISTA NELLA SEMPLICE FABBRICAZIONE CHE IMPONE UNA FORMA A UNA MATERIA. INVECE IL MEZZO, NEL SUO ESSERE TALE, RISALE BEN OLTRE. … IL RIPOSO DEL MEZZO RIPOSANTE IN SE STESSO CONSISTE NELLA FIDATEZZA. … IN VIRTÙ DELL’OPERA, UN ENTE, UN PAIO DI SCARPE, VIENE A STARE NELLA LUCE DEL SUO ESSERE”, DOVE “L’ILLUMINAZIONE IN CUI L’ENTE SI MANTIENE È PARIMENTI UN NASCONDIMENTO. … POSSIAMO ALLORA CARATTERIZZARE IL FARE ARTISTICO COME UN LASCIARVENIRFUORI QUALCOSA COME PRODOTTO Hervorgebrachtes” E IN QUESTO SENSO È CIÒ CHE I GRECI CHIAMAVANO technè, DOVE ESSA “NON SIGNIFICA NÉ IL LAVORO MANUALE NÉ L’ARTE, E MENO ANCORA CIÒ CHE È TECNICO NEL SENSO ODIERNO … STA A DESIGNARE UNA MODALITÀ DEL SAPERE. … PER IL PENSIERO GRECO L’ESSENZA DEL SAPERE CONSISTE NELL’άληφεια, CIOÈ NEL DISVELAMENTO DELL’ENTE. … LA VERITÀ È PRESENTE SOLO COME LOTTA FRA ILLUMINAZIONE E NASCONDIMENTO”. L’ “ESSERFATTO” DI UN’OPERA SI DIFFERENZIA DAL “ESSERFABBRICATO DEL MEZZO” PERCHÈ PRESUPPONE CHE CI SIA QUALCUNO CHE LA SALVAGUARDI, CIOÈ CHE LASCI CHE L’OPERA SIA. “LA STESSA DIMENTICANZA IN CUI UN’OPERA PUÒ CADERE … È ANCORA UNA SALVAGUARDIA”: LA CONTADINA SI DIMENTICA DELLE SCARPE PERCHÉ “VI SI AFFIDA”, IL RITUALE QUOTIDIANO, L’ABITUDINE, LA “FIDATEZZA” È IL SUO PRENDERSI CURA. “OGNI ARTE, IN QUANTO LASCIA CHE SI STORICIZZI L’AVVENTO DELLA VERITÀ DELL’ENTE COME TALE, È NELLA SUA ESSENZA POESIA”. IN QUESTO SENSO, E SOLO IN QUESTO, VOGLIAMO CHE LA CASA SIA UN’OPERA D’ARTE. (M.Heidegger, L’origine dell’opera d’arte, 1935 in Sentieri interroti, La Nuova Italia, Firenze) GLI UOMINI.1 Q UANDO SI PUÒ DEFINIRE COMODA, UN’ABITAZIONE? QUANDO HA BUONE MISURE E LE MISURE IN CUI CI SI SENTE A PROPRIO AGIO, SONO QUELLE IN STRETTO RAPPORTO CON LE MISURE DELL’UOMO E CON I SUOI MOVIMENTI. [...] ANCHE SE AD UNO SPAZIO SI È DATA LA GIUSTA MISURA IN METRI CUBI, CIÒ NON È SUFFICIENTE A RENDERLO COMODO. LO SPAZIO DEVE ESSERE ARMONICO, CIÒ SIGNIFICA CHE LE DIVERSE MISURE, NELLO SPAZIO, DEVONO STARE TRA LORO NEL GIUSTO RAPPORTO. QUAND’È, CHE UN RAPPORTO È GIUSTO? QUANDO ESSO È SEMPLICE2. PROPORZIONI. L A CASA NON È UNA MACCHINA […] LA CASA È UN ORGANISMO VIVENTE E NON SOLO UN […]. LA CASA È UN’EPIDERMIDE DEL CORPO UMANO. ASSEMBLAGGIO DI MATERIALI MORTI IL DESIDERIO DI SEMPLICITÀ NON DEVE SFOCIARE NELL’IMPOVERIMENTO DELLA CASA (CASE MINIME) […]. L’ABITAZIONE DEVE AIUTARE LO SVILUPPO DELLE FORZE VITALI E NON SERVIRE DI PRETESTO ALLE SCIMMIOTTATURE ARTISTICHE O ALL’ORGOGLIOSO SPIRITO DI POSSESSO. ESSA DEVE CONTRIBUIRE AI BISOGNI INTERIORI DELL’UOMO […]. ABITARE È UN BISOGNO ETERNAMENTE IMMEDIATO E PRESSANTE.3 “ “Ogni lavoro di indagine – scrive Semper - deve prendere avvio da ciò che è semplice ed originario per seguire poi con gradualità gli sviluppi del suo oggetto, illuminandone le eccezioni e variazioni tramite confronti con l’archetipo; ci pare perciò superflua qualsiasi giustificazione se […] scegliamo come prodotto più semplice e originario nel campo dell’architettura l’edificio d’abitazione o la costruzione privata”. Infatti anche se la “pietà artistica […] celebra la propria pienezza nel sacro edificio del tempio, essa è tuttavia fin dall’inizio viva e presente nell’uomo e trova espressione nella prima corona di fiori, nei primi tentativi di un’arte della decorazione”. In fondo “anche il tempio va considerato come una versione nobilitata ed idealizzata dei motivi base delle abitazioni umane”4 e lo stesso monumento (dal latino monumentum, “ricordo”, e monère, “ricordare”) per eccellenza, la tomba, non è altro che la casa dei morti. Tuttavia “nemmeno la casa più grande può essere un monumento”5: “non deve essere un’opera d’arte, non deve essere né una cosa vistosa né una cosa d’effetto né tantomeno eccitante. Deve essere comoda senza che si sappia spiegare perché, anzi meno lo si può spiegare meglio è”6. “La casa deve piacere a tutti, a differenza dell’opera d’arte che non deve piacere a nessuno. L’opera d’arte è una questione privata per gli artisti. La casa no. L’opera d’arte viene messa al mondo senza che ve ne sia la necessità. La casa invece soddisfa un bisogno. L’opera d’arte non è Vincent Van Gogh, Un paio di scarpe, 1887, The Baltimore Museum of Art, Baltimora 121 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile responsabile di fronte a nessuno, la casa di fronte a tutti. L’opera d’arte Bernard Rudofsky, come dovrebbero essere deformati i piedi per adattarsi alla forma delle scarpe, da Are Clothes modern?, mostra al Moma di New York, 1947 122 vuole strappare l’uomo dalla sua comodità. La casa invece deve servire alla comodità. L’opera d’arte è rivoluzionaria, la casa conservativa. […] solamente una piccola parte dell’architettura appartiene all’arte: la tomba e il monumento. Tutto il resto, tutto ciò che serve uno scopo, va escluso dal regno dell’arte”7. Non il monumento quindi, ma la casa d’abitazione “deve essere la base per ogni architettura moderna, dato che è l’unico edificio che serve per i bisogni degli uomini e non delle divinità o del commercio. […] Gli altri edifici servono ad uno scopo preciso come la produzione oppure la conservazione di qualcosa […] la casa d’abitazione invece esiste solamente per gli uomini, e cioè per il vivere; questo è un concetto indefinibile che ha per le diverse persone significati differenti e perciò esistono così tante possibilità di variazione. […] ciò che io voglio chiamare il “vivere” va di gran lunga oltre al mero soddisfacimento dei bisogni primari”8. “Il suo scopo è autonomo e consiste nel rendere felici gli uomini […]. E dato che questo bisogno vale per una vita intera, per ogni cambiamento di umore, per ogni evento casuale per il quale non esiste alcuna preparazione, per noi questo concetto dipende da tutti quegli elementi architettonici vitali, che costruiscono la nostra vita reale e non solamente quella degli utopisti”9. La Casa infatti “è l’ultimo rifugio per l’uomo come uomo”10. Molte volte Frank si era apertamente dichiarato contrario alle case popolari costruite all’epoca, da lui definite “Volkswohnungpalast”, che si limitavano a riutilizzare il vocabolario formale un tempo appartenuto all’aristocrazia trasformando il vecchio palazzo nobile in appartamenti per le classi operaie, senza tener conto invece che le nuovi classi lavorative avevano esigenze del tutto diverse: la borghesia “ha sempre cercato di cancellare, nella coscienza del proprio tempo, lo sviluppo conseguito fino ad allora, ripartendo da zero; da questa situazione è derivato quell’incredibile miscuglio di stili che non si è ancora estinto. Col passare del tempo i drappeggi di velluto ricamato in oro sono diventati drappeggi in iuta: fu così sancito il diritto dei poveri, ma intellettuali, a far uso di elementi principeschi”11. Proprio pochi anni prima si era conclusa l’edificazione dei sontuosi palazzi lungo la Ringstrasse, il grande anello stradale che circondava la Innere Stadt di Vienna12, che erano serviti alla nuova classe liberale dominante per pubblicizzare il loro potere, concependo la casa per essere di rappresentanza piuttosto che comoda: se all’esterno questi palazzi, presentavano una sontuosa facciata, con scaloni monumentali ed ampi vestiboli al piano terra, in realtà all’interno gli alloggi soffrivano di carenza di spazio, luce ed aria, poiché la speculazione edilizia pretendeva di collocare il maggior numero possibile di appartamenti perpendicolarmente alla strada, in modo che ciascuna fosse dotata di una finestra e poter aumentare così il valore redditizio: “la differenziazione in senso verticale della facciata, affidata alla diversa altezza delle finestre, alla varia profluvie di lesene, pilastri ed elementi decorativi in genere, rifletteva in certa misura la maggiore o minore ampiezza e opulenza degli appartamenti retrostanti: quanto più alto era il soffitto, tanto più piccole e numerose erano le singole unità abitative”13. Un’operazione simile era assurda a giudizio di Frank: “è una contraddizione voler unire le parole abitazione popolare (Volkswohnung) e palazzo (Palast) in un unico termine, poiché esse non hanno nulla a che fare l’una con l’altra e attraverso la loro unione verrebbe necessariamente a risentirne una delle due (cosa che sarebbe meno grave se accadesse al palazzo). Con questa parola ‘Volkswohnungspalast’ si pensa involontariamente a quei palazzi italiani di nobili decaduti, il cui piano terra è stato trasformato in alloggi popolari […]. Ma se oggi sentiamo la parola ‘Volkswohnung’ […] noi ci immaginiamo una casa accogliente (Heim14), luce, aria, di facile gestione, colori chiari, sole, fiori; vediamo un arredo essenziale, frutto della nostra industria e del nostro artigianato, ordinato in svariati modi secondo il gusto dell’abitante. E ora pensiamo al palazzo! Ci immaginiamo le enormi masse cubiche in pietra a Firenze, metà villa metà fortezza, in cui il padrone poteva riunire i suoi fedeli in tempo di crisi; pensiamo ai palazzi principeschi di Vienna, che oggi sono stati trasformati in ministeri per molti impiegati […]. Oggi viene chiamato palazzo qualsiasi cosa. Nel dizionario Brockhaus è scritto: «Il palazzo è una costruzione che serve come sede abitativa del principe e del nobile in tempo di pace. – All’epoca della modesta borghesia (ad Atene, nella Roma repubblicana, nelle città tedesche del Medioevo) non vennero costruiti palazzi. – A Vienna si usa il termine palazzo persino per quelle grandi abitazioni d’affitto in cui solo un piano per il proprietario viene arredato artisticamente». […] Quando l’inglese dice “My House is my Castel” egli intende che a casa sua è libero di fare ciò che vuole. […] Il Palazzo del futuro non dovrà corrispondere formalmente al palazzo antico, bensì equivalergli nella sua essenza come A.Loos, Manifesto per la lezione “La mia Casa sulla Michaelerplatz” a Vienna, 11.12.1911 (da Oechslin 2004 p.147). La casa mostra una differenziazione del tipo di finestrature a seconda della stratificazione dello spazio interno: al piano terra vetrine pubbliche; al piano ammezzato i bowwindow per i camerini e lo spazio di lavoro, concavi da un lato e convessi dall’altro ad indicare che contengono qualcosa; ai piani superiori lo spazio domestico privato con la finestra tradizionale, ma priva di cornice e arretrata come se fosse intagliata nella superficie. “Villa ideale agli occhi di un osservatore cinico” dalle pagine di Acceptera (G.Asplund, Gahn, Markelius, Paulsson, Sundhal, Åhrén 1931), da Creagh/Käberg/Miller Lane, Modern Swedish Design… 2009 p.166 123 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile “abitazione pacifica”. […] In tal senso speriamo che Vienna diventi una città fatta di palazzi!”15. Anche Loos, come Frank, era interessato a soddisfare i bisogni dell’uomo inteso come individuo e non come standard, a intervenire sui problemi del quotidiano e sulla concretezza della città esistente, presente e non su una ipotetica città ideale o falsa. Il fatto per esempio che Loos trasformi il piano nobile della Casa sulla Michaelerplatz in un piano con finestre tutte uguali dimostra apertamente il suo intento democratico sociale. Nel suo articolo dell’ottobre 1898 Die potemkinsche stadt, aveva paragonato gli edifici monumentali costruiti lungo la Ringstrasse ai villaggi di tela e cartone, che il favorito di Caterina aveva costruito in Ucraina per far credere a Sua Maestà Imperiale che si trattasse di una città fiorente. Allo stesso modo la città prospettata dalla Wiener Secession sarebbe stato, ai suoi occhi, solamente un tentativo di nascondere dietro ad una “falsa maschera”16 di ornamenti posticci il volto inumano della realtà, che vedeva la gran parte della popolazione ancora senza un alloggio: “quando passeggio lungo il Ring ho sempre la sensazione che un Potemkin moderno abbia voluto realizzare l’impresa di indurre chi giunge a Vienna a credere di trovarsi in una città abitata soltanto da nobili”17. Oggi “l’architetto è capace di fare tutto, in tutti gli stili. È in grado di ideare qualsiasi oggetto d’uso di tutti i tempi e di tutti i popoli. Il segreto della sua inquietante produzione sta tutto in un pezzo di carta lucida, munito della quale […] è già diligentemente seduto davanti alla sua tavola da disegno e ricopia la camera da letto barocca o la sputacchiera cinese”18. Già Gottfried Semper aveva criticato fortemente quegli architetti, come Durand, che per progettare utilizzano “la carta millimetrata”- sulla quale gli edifici vengono disegnati meccanicamente dividendoli in quadrati come una scacchiera19 - oppure “le carte oleate trasparenti” per copiare indifferentemente progetti già pronti di ogni epoca e stile privando così l’artista di ogni iniziativa. E si era dichiarato contrario anche di fronte a coloro che inventano nuove forme basandosi sulle variazioni della moda, poiché essa, invece di scaturire dal bisogno come dovrebbe essere normale, lo crea artificialmente per trovare sempre nuovi clienti e amatori, snobbando la tradizione e il passato, ed eliminando in questo modo un oggetto appena introdotto sul mercato prima ancora “che sia stato utilizzato in pieno sul piano pratico o apprezzato dal punto di vista artistico”20. Composizione e bellezza sono risultato di un processo vivo, in divenire: “la natura non lavora mediante mascherine copiative; le sue forme sono fondamentalmente prodotti dinamici”21. Alla Great Exhibition of Industry of all Nations del 185122, Semper - che in quel periodo si trovava esiliato a Londra ed era stato incaricato di allestire i padiglioni di Canada, Turchia ed Egitto, Svezia, Norvegia e Danimarca23si era trovato per la prima volta a contatto con gli utensili e gli arredi delle popolazioni indigene dell’India, della Nuova Zelanda, dell’Africa, 124 dell’America, delle quali aveva apprezzato la grande capacità artistica, l’uso dei materiali, i disegni dei tessuti e la modellazione della ceramica, ritenendoli di gran lunga superiori alla produzione nei paesi civilizzati europei. In confronto infatti, i prodotti industrializzati, soprattutto di Inghilterra e Germania, presentavano un sovraccarico di decorazioni e una grande confusione di stili (un “guazzabuglio di forme” e “un baloccamento infantile”24 - il Crystal Palace venne paragonato ad una torre di Babele), cosa che a suo giudizio si traduceva anche in ambito architettonico: “siamo oppressi dall’enorme quantità di conoscenza storica, che ogni giorno si moltiplica. Conosciamo ogni tendenza del gusto, da quello assiro ed egiziano fino all’epoca di Luigi XVI e oltre. Tutto sappiamo, tutto conosciamo, tranne noi stessi”25. L’osservazione diretta di questi oggetti semplici e genuini permise a Semper di rivalutare epoche e popoli solitamente trascurati dalla storiografia perché non classici e per questo considerati “barbari”26- come i pre-ellenici e pre-romani, i medioevali, e persino popolazioni extra-europee – e di capire che “una gran parte delle forme ricorrenti in architettura derivano da opere dell’industria artistica e le regole e le leggi della bellezza e dello stile […] furono definite ed applicate [qui] molto prima dell’esistenza di qualsiasi arte monumentale. Le opere dell’arte industriale offrono così spesso il fondamento e la chiave di comprensione delle forme e dei principi dell’architettura”27. Soprattutto Semper aveva notato gli oggetti dell’artigianato americano, così descritti da Lothar Bucher: “orologi del nonno con i loro eccellenti meccanismi e le semplici casse di noce; sulle seggiole, dalle semplici panche in legno alle poltrone, libere dall’intaglio di paccottiglia in cui si impigliano tanto le mani che i vestiti; e sull’assenza dei rigidi angoli delle sedie gotiche, incomodi a tutte le schiene. Tutto quanto vediamo dell’arredamento domestico americano respira spirito di comfort ed adattamento allo scopo”28. “Gli americani hanno colto meglio di tanti altri il significato dell’esposizione, figurando solo con prodotti che la loro terra produce spontaneamente, G.Semper, padiglioni del Canada e della Turchia alla Great Exhibition di Londra nel 1851, da Nerdinger/Oechslin 2003, pp.276-77 125 La seduzione dell’INvisibile 126 La seduzione dell’INvisibile senza bisogno di serre”29. Qui “vi nascerà prima che altrove un’arte il mondo e che vi si correla”37. veramente nazionale”30. A conclusione della mostra Semper venne incaricato di scrivere una relazione pubblicata nel 1852 col titolo Scienza, Industria e arte (Wissenschaft, Industrie und Kunst)31. Egli rileva come nelle civiltà primordiali vi sarebbe stato un naturale equilibrio tra arte e tecnica, tra forme, materiali, tipi, tecniche e le condizioni ambientali dell’habitat in cui si inserivano. Con la rivoluzione industriale questo equilibrio venne spezzato dall’irrompere di una esuberante mistura di potenzialità tecniche, interessi privatistici ed esibizioni narcisistiche, con la conseguente produzione di oggetti e di edifici irrispettosi dei principi della cultura collettiva. In generale se da un lato “l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” era diventata qualcosa di accessibile a tutti, popolare, dall’altro era stato capovolto l’ordine nel rapporto tra invenzione e bisogno: “le invenzioni non hanno più, come una volta, la funzione di soddisfare i bisogni primari; al contrario, il soddisfacimento dei bisogni primari è diventato una possibilità di mercato per le invenzioni”32. “Oggi tutto ciò che serve per la casa e nella casa si può avere ad ottimo prezzo e subito. Tutto viene calcolato e realizzato a misura del mercato. Un articolo deve consentire un impiego il più generale possibile. […] Non è dato il luogo a cui esso è destinato, e nemmeno si conoscono le caratteristiche della persona che ne entrerà in possesso. Tale oggetto deve quindi fare a meno di ogni carattere particolare e di ogni colore locale (in senso lato), e deve anzi possedere la qualità di armonizzarsi con qualsiasi ambiente. […] manca in essi l’espressione individuale, il linguaggio, la superiore bellezza fonetica, l’anima”33. “Si è troppo ricercati nella scelta del soggetto e si pensa di far colpo con delle novità; nell’impostazione dell’opera si è talvolta impacciati, talvolta eccessivamente audaci o entrambe le cose insieme; persino nell’esecuzione tecnica manca quella libertà che scaturisce solo dal completo dominio della materia”34. Inoltre spesso, non appena gli incarichi cominciano ad accumularsi, l’artista delega ad altre mani l’esecuzione dell’ornamento che smette così di essere parte integrante dell’opera divenendo applicazione posticcia. L’eccessiva disponibilità di mezzi, l’influenza del capitale e della speculazione, il gran numero di materiali nuovi e di invenzioni, ma soprattutto la loro erronea applicazione, costituiscono per l’arte una grande fonte di pericolo quindi, per cui l’unico rimedio possibile era a suo avviso una nuova scienza del gusto (Kunstlehre), una “estetica pratica” che innalzasse il livello della cultura estetica popolare35: “l’architettura deve scendere dal suo piedistallo e andare nei mercati, dove potrà insegnare…. E imparare”36. “Non è [dunque] nel gesto della grande personalità geniale che va ricercato il senso dello stile”, scrive Semper, “quanto piuttosto sul terreno anonimo della Kunstindustrie, della originaria manipolazione quotidiana degli oggetti, nell’inconsapevole operatività anonima del corpo che abita Da qui l’importanza data agli oggetti di uso quotidiano, come le suppellettili domestiche, i tessuti, le ceramiche, le carrozze, le armi, gli strumenti musicali, le canoe, e così via”38, perché sono quelli che più risentono della “mentalità e dei bisogni del presente”. Le cose umili dell’esistenza quotidiana, per il loro alto grado di diffusione nell’esistenza collettiva, sono infatti indici materiali e tangibili di una civiltà epocale: “L’esame dei vasi che un popolo ha prodotto generalmente ci permette di individuare quale tipo di popolo era e in quale stadio culturale si trovava. È in questi oggetti di uso pratico che per primo si manifestò l’istinto decorativo per l’ornamento, un’attività dunque che non è solo prettamente manuale e basta, ma che dimostra una sensibilità artistica innata, un impulso artistico (Kunsttriebes)”39. In essi l’uomo applica istintivamente ordine, ritmo, pattern e proporzione. “Lo stile [infatti era] lo strumento di cui gli antichi si servivano per scrivere e disegnare: una parola, che esprime in modo efficace il rapporto esistente tra la forma e la storia del suo farsi. Di uno strumento fanno parte in primo luogo la mano che lo muove e la volontà da cui la mano è guidata […] in secondo luogo la materia da trattare, l’amorfo da convertire in forma […] ma per materia si intende anche qualcosa di più elevato, cioè l’assunto, il tema di una realizzazione artistica”40. Infatti, precisa che, pur richiedendo “la funzionalità di un prodotto l’impiego di materiali (Stoffen, che vuol dire anche stoffe) che meglio si prestano alla sua realizzazione e l’uso di determinati procedimenti tecnici”41, tale relazione “non ha niente in comune con la rozza visione materialistica per cui l’architettura sarebbe […] una statica e una meccanica illustrate e illuminate, una mera scienza dei materiali”42. Mentre i materiali e i modi per trattarli cambiano fondamentalmente nel corso del tempo e secondo diversi fattori, sono i bisogni universali dell’uomo e le leggi naturali a rimanere sempre identici, e sono perciò questi ultimi ad aspirare a trovare una propria espressione formale. Lo stile “è il risultato, scaturito da una genesi e da uno sviluppo a partire da un’origine”43, non qualcosa di assoluto, “non traduzione più o meno mimetica di un mondo già costituito, ma è anzi costituzione di un mondo”44 e “si può formare solo nell’uso millenario del popolo”45. La forma storicamente determinata di un oggetto è quindi il risultato di un processo di intima adesione ai bisogni umani. “Buttatevi nella vita per scoprire di che cosa l’uomo ha bisogno”46, scrive Loos nell’articolo Glas und Ton in cui cita proprio Semper, “l’architetto è un muratore che ha imparato il latino”. Da qui il profondo disprezzo per in narcisismo inventivo, per il mito del genio originale, e il suo distacco dalla Secessione viennese e dal Deutscher Werkbund, poiché a suo giudizio non aderivano ai bisogni autentici della collettività. Al posto dell’oggetto irripetibile e raffinato, l’oggetto di design firmato dall’artista, Loos sostituisce l’oggetto di uso quotidiano la cui forma è dettata dal modo di utilizzarlo e dalle trasformazioni storiche indotte 127 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile dall’evoluzione della civiltà stessa. Nell’articolo I superflui - scritto in occasione di una delle prime mostre organizzate dal Deutscher Werkbund, quella tenutasi a Monaco nel 1908, in cui si imposero all’attenzione della critica i Typenmöbel per l’arredamento di massa proposti da Bruno Paul – Loos scrive: “tutte le industrie che sono riuscite finora a tenere lontano dai propri laboratori questo superfluo fenomeno [l’arte], hanno raggiunto il loro più alto livello. Soltanto i prodotti di queste industrie rappresentano lo stile del nostro tempo. Essi esprimono a tal punto lo stile del nostro tempo che noi non notiamo affatto di avere uno stile. Essi sono cresciuti insieme al nostro modo di pensare e di sentire. La nostra produzione di carrozze, le nostre industrie del vetro, i nostri strumenti ottici, i nostri ombrelli e i bastioni, le nostre valigie e le selle, i nostri portasigarette e gli oggetti d’argento, i nostri gioielli e i vestiti sono moderni. E lo sono perché non si è presentato ancora alcun indesiderato tutore a spadroneggiare in questi laboratori. Senza dubbio i prodotti della nostra civiltà non hanno alcun rapporto con l’arte”47. Analogamente Frank: “L’oggetto di uso domestico, già da lungo tempo non ha assolutamente avuto la necessità di cambiare la sua forma […]. L’opera d’arte infatti ha bisogno di personalità, inventiva, del colpo di genio. L’artigianato invece non ha bisogno di tutto ciò. Gli serve solamente un sistema costruito sul buongusto e su quelle abilità, che sono possedute da quasi tutti gli uomini”48. E ancora: “I termini ‘arte applicata’ [Kunstgewerbe] e ‘artigianato’ [Kunsthandwerk] sono oggi molto contestati; [...] si ritiene che non vi sia alcuna differenza. […] Tuttavia, l’artigianato non ha nulla in comune con l’arte […] Il valore di un’opera d’arte, non dipende dal fatto di essere Copertina e pagine “Everyday things - our servants” da Acceptera (G.Asplund, Gahn, Markelius, Paulsson, Sundhal, Åhrén 1931), da Creagh/Käberg/Miller Lane, Modern Swedish Design… 2009 p.258-59 128 espressa su carta buona o scadente, realizzata in argilla o bronzo. Un tappeto, invece, tessuto con materiale scadente o inadatto, sarà un oggetto scadente o privo di pregio, e nemmeno il miglior disegno potrà costituire una valida attenuante per l’ideatore che non avrà tenuto conto del valore essenziale, costituito dalla materia con cui il tappeto viene realizzato […] qualunque materiale può essere ‘mostrato’ in tutta la sua bellezza ed in tutte le sue potenzialità [...] perciò un Cinese può portare il frammento di un vecchio coccio d’argilla come un prezioso gioiello. Per contro è facile immaginare cosa accadrebbe volendo usare, con lo stesso intento, il frammento di un vaso greco o di Urbino!”49. Al suo ritorno dal viaggio di tre anni in America tra il 1893-96, anche Loos, come già Semper, sottolinea la profonda distanza che intercorre tra l’estetica industriale del nuovo mondo e l’arretrato continente europeo fermo su una storicistica arte applicata: “a Chicago passeggiavo con una sensazione di orgoglio attraverso la sezione tedesca e austriaca e sorridevo con commiserazione guardando gli impulsi dell’artigianato americano. Ma come è poi cambiato questo sentimento in me! La permanenza di alcuni anni in quel continente me lo ha fatto capire ed ora mi assale la vergogna quando penso alla figuraccia che l’artigianato tedesco ha fatto a Chicago. Le orgogliose manifestazioni di sontuosità, i pezzi di lusso in stile, non erano niente altro che ignorante falsità (banausische verlogenheit)”50. Nei due numeri della rivista “Das Andere. Ein blatt zur einfühlung abendländischer kultur in Österreich” (L’Altro. Un foglio per l’introduzione della cultura occidentale in Austria), da lui pubblicata nel 1903 – anno in cui Josef Hoffmann fonda le Wiener Werkstätte - questa differenza tra l’occidente americano e inglese civilizzato e la monarchia asburgica ancora legata a stili antiquati, Loos la ritrova già nelle piccole azioni del quotidiano, nella biancheria intima, nel taglio dei capelli, nel tipo di musica, nel cinema e teatro, nel modo di camminare, di scrivere, cucinare… di tutte quelle questioni cioè che appartengono non tanto alla sfera del costruire quanto dell’abitare51. Rileva per esempio come in Austria si usasse leccare il coltello e poi con lo stesso prendere il sale dal contenitore di uso comune; in America invece ci si serviva di un cucchiaio apposito o della saliera52. O ancora, mentre a Vienna si usava far colazione velocemente in piedi, o addirittura correndo giù per le scale e per strada mentre si andava al lavoro (cosa che verso le 10 di mattina faceva venire fame di gulash ed, essendo questo piccante, anche di una birra); in America la colazione era considerato il pasto più importante della giornata e la si consumava quindi con calma: “la stanza è accogliente, appena arieggiata e calda. Tutto il tavolo è apparecchiato con cibo. Dapprima ognuno mangia una mela, poi la madre distribuisce il oatmeal, questo pasto meraviglioso a cui l’americano deve la sua energia, la sua forza e il suo benessere. I viennesi si stupiranno quando svelerò loro che oat significa avena e meal pasto”53. Anche l’abbigliamento secondo Loos è un indice del differente grado di civilizzazione di un paese, per cui “l’inglese e l’americano pretendono da ogni uomo che sia vestito bene, mentre i tedeschi vogliono anche che il 129 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile vestito sia bello”54, o ancora il fatto di possedere un bagno in casa, “senza plumber non ci sarebbe il diciannovesimo secolo”55. “L’Altro” ai suoi occhi erano proprio gli Stati Uniti e Londra, altro cioè rispetto all’Austria e la Germania. Analogamente Frank - nonostante l’ideale americano lo avesse deluso una volta emigrato negli Stati Uniti – ancora nel 1946 in una lettera a Trude Wahner, sostiene che quando si torna nei paesi di lingua tedesca da un viaggio in America o Inghilterra, “è come se si fosse stati via non quattro ma quarant’anni, tutto è così antiquato […] soprattutto la moderna architettura costruita secondo modelli Bauhaus […] è tutto ordinato e accurato in ogni piccolo dettaglio”56. In America “almeno, esistono molte cose nuove e non questo eterno rincorrere i fantasmi come qui nel nostro continente che diventa sempre più orribilmente antiquato”57. “Ci si deve chiedere: perché qui [in Europa] le strade e le case etc. sono così noiose? Tutto è certamente e assolutamente ordinato, ricco e curato, persino organizzato secondo principi estetici, che tuttavia non sono i miei […]. Non ci deve essere forse anche dell’altro, come per esempio da altre parti la rappresentazioni della povertà? e perché generalmente gli slums sono luoghi di attrazioni per gli stranieri? Non si tratta solo di curiosità, ma sicuramente anche di interessi estetici”58. Tuttavia “mentre la Germania con le sue mode che si susseguono repentinamente e nella sua continua ricerca di un qualcosa di nuovo, di rivestimenti inutili, di uno sviluppo non esistente, vive nella confusione, a Vienna si ha addirittura la sensazione che non si pensi neanche. […] la totale mancanza di valori ha un effetto tranquillizzante per l’occhio […] e una gioiosa stupidità sorride da tutte le finestre. […] Mentre il tedesco si impegna, anche in modo sbagliato, ad adottare con efficacia qualche vecchio effetto, il viennese non sa nemmeno che cosa siano. Quello che egli chiama “la sua arte” è una composizione di motivi a piacere che riprende da un catalogo compilato da uno come lui. […] Il viennese si è scelto una raccolta di forme indefinibili, che per un motivo oscuro chiama “arte nazionale” (Heimatkunst); ma deve essere la nazione di uno che abita nel carrozzone di un circo”59. Adolf Loos racconta l’aneddoto di un povero ricco che si era fatto arredare la casa da un architetto, il quale “aveva pensato a tutto. Anche per la più minuta scatoletta vi era un luogo previsto appositamente. […] durante le prime settimane, sorvegliava l’appartamento affinché nessun errore venisse commesso. […] È facile immaginare che tutti questi miglioramenti resero il nostro uomo ancora più felice. Non dobbiamo però tralasciare di dire che egli preferiva trattenersi in casa il meno possibile. Ebbene si, dopo tutta quell’arte ogni tanto si sente anche il bisogno di riposarsi un poco. […] I suoi occhi si inumidirono. Ricordava tante vecchie cose che gli erano care e che spesso rimpiangeva. La grande sedia a dondolo! Suo padre vi aveva sempre fatto un pisolino dopo colazione. Il vecchio orologio! E i quadri! […] A un certo punto arrivò l’architetto per 130 vedere se tutto era a posto. […] «Che razza di pantofole si è messo» [gli chiese] «Ma signor architetto! Se ne è già dimenticato? Queste scarpe le ha disegnate lei stesso!». «Certo,» tuonò l’architetto «ma per la camera da letto […] Non le ho forse disegnato tutto io? Lei non ha più bisogno di nulla. Lei è completo!». […] L’uomo felice si sentì all’improvviso profondamente, infinitamente infelice. […] era escluso per il futuro dalla vita, dai desideri e da ogni aspirazione. Egli intuì: ora avrebbe dovuto imparare ad andarsene in giro con il proprio cadavere”60. Indirettamente si trattava di una critica alla Wiener Werkstätte e Joseph Hoffmann che prediligeva l’idea di un unico pattern che ricoprisse un intero appartamento, persino il vestito del suo abitante. Ad un casa del genere manca “l’affinità spirituale con l’abitante, manca quel qualcosa che i pittori trovavano [invece] nelle stanze del contadino, dell’operaio, della vecchia zitella: l’intimità. […] Qui ogni mobile, ogni cosa, ogni oggetto racconta una storia, la storia della famiglia. L’appartamento non era mai finito; cresceva con noi e noi con lui. […] Ma uno stile l’appartamento lo aveva, lo stile di chi vi abitava, lo stile della famiglia”61. Anche Frank sostiene che “Il soggiorno, […] non è un’opera d’arte e nemmeno armonie sintonizzate al meglio in colore e forma, i cui singoli componenti (carta da parati, tappeti, mobili, quadri) sono talmente legati tra loro a formare un tutt’uno mai più scioglibile. Qualunque oggetto aggiunto verrebbe percepito come elemento di disturbo e verrebbe a rovinare l’armonia dell’insieme. I salotti al contrario dovrebbero essere degli spazi che non solo fossero in grado di servire come sfondo ai propri abitanti con le loro esigenze sempre cangianti e in continua evoluzione, ma anche di accogliere come componente organica tutti quegli oggetti che l’abitante vuole avere attorno a sé, senza per questo perdere il proprio carattere”62. “Rispetto all’abitante che vive quotidianamente con tali oggetti, l’architetto [infatti] non può pretendere che attraverso la sua breve visita nella casa possa essere già in grado di appendervi un quadro o collocare un vaso in modo che sembrino vivi. L’abitazione di un uomo insensibile, in cui l’architetto, con gusto e simmetria, ha ordinato, collocato, allestito e appeso gli oggetti più belli, rimarrà sempre insensibile”63. “La progettazione di tali disposizioni – soprattutto in Inghilterra, alla quale dobbiamo la forma moderna della casa - un tempo era consueta all’uomo sia per quanto riguarda la città che la casa, ma oggi questa tradizione è andata in gran parte perduta”64. E con il termine “tradizione”, precisa Frank in Architettura come simbolo, “non intendo riferirmi alle colonne, ai cornicioni e a tutte le altre forme caduche di quel periodo, [...] intendo invece riferirmi allo sforzo di disporre in maniera organica la materia priva di vita; questa tradizione dominerà nella nostra cultura, sino a quando per noi l’uomo sarà la misura di tutte le cose”65. Le case americane e inglesi infatti “non hanno concentrato la propria identità in teorie rigide. Sembra che abbiano il beneficio di ricordare qualcosa di Il negozio Wiener Werkstätte nella Kärtnerstrasse a Vienna, 1916. Il pattern Mekka disegnato da Arthur Berger copre ogni superficie. Si noti la differenza con il negozio Haus & Garten, da K.WängbergEriksson 1994 p.49. Sotto abito disegnato da J.Hoffmann nel 1911. Da M.Wigley 2001 p.74 131 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile ‘umano’ nella loro apparenza”66: “le regole che governano l’organizzazione del lavoro in cucina, come pure quelle del suo arredamento, sono note da tempo e sono state definite senza l’ausilio di alcun architetto. […Qui] l’abitare nel senso originario della parola è rimasto invariato [Frank utilizza il termine primitiv] nel tempo. […] Vi sono delle regole riguardo alla collocazione delle porte e sul tipo di apertura che debbono avere affinché lo spazio non venga sprecato, sul tipo di illuminazione e sul modo in cui essa possa risultare accogliente per il visitatore, su come collocare i letti vicino alle finestre, sul posizionamento della scala all’interno della casa. […] prima deve esserci unicità nel modo di abitare e dopo si può pensare alla forma dell’abitare, forma che, secondo le esigenze lascia un’ampia gamma di possibilità e di variazioni. […] È del tutto inutile inventarsi soluzioni che risulterebbero primitive in quanto tali [qui invece primitivo in senso di antiquate], se queste già esistono in forme compiute o sufficientemente evolute, possono però essere rielaborate. L’America a questo proposito ci indica la strada da seguire”67, “ ha dimostrato che ogni casa, anche la più comoda, può essere costruita in ogni tipo di stile, senza per questo dover rinunciare minimamente alla comodità. Le loro case, grazie al modo di vita preciso e chiaro dei suoi abitanti, sono molto migliori delle nostre elaborate forme. Moderna è la casa che può accogliere tutto quanto è vivo nel nostro tempo e che contemporaneamente rimane un prodotto formatosi organicamente. La moderna architettura tedesca può essere realistica, pratica, giusta nei suoi principi, spesso anche stimolante, ma resta priva di vita”68. “Le nostre case necessitano di una grande flessibilità e ricchezza di colori, forme, cose e materiali, in modo tale che possano accogliere oggetti di entrambi i due mondi [artigianale e industriale] senza che questi vengano percepiti come corpi estranei”69. Tutti questi concetti erano già stati espressi dall’architetto inglese Mackay Hugh Baillie Scott (1865-1945)70 che proprio in quegli anni iniziava ad essere pubblicato nelle riviste di lingua tedesca71: “spesso l’uomo che si trova in una stanza moderna risulta un elemento di disturbo, una nota stridente nell’armonia dell’insieme, che è già completo e perfetto così com’è, e quindi non sopporta nessuna aggiunta!”72. “Lo stile è la caratteristica del fiore, che sboccia solo attraverso la cura delle sue radici. Colui che brama allo stile è come quello che vorrebbe colorare il giglio invece di innaffiarlo. Le nuove idee si basano sullo studio del passato, non sulla cura di una nuova arte bizzarra che pretende di essere originale”73. Paradossalmente “oggi la casa che risulta più singolare, che risalta agli occhi perché diversa dalla casa che si è soliti vedere in giro, è quella più semplice”74. Nel suo libro Houses and Garden del 1906 (e non è un caso che Frank chiamerà la sua ditta d’arredamento fondata con Wlach proprio Haus und Garten) Baillie Scott sosteneva che la casa prima di tutto doveva soddisfare 132 le esigenze della famiglia e non quelle degli ospiti, e che dunque la casa borghese non doveva essere una riproposizione in miniatura del palazzo aristocratico (ricordiamo la polemica contro il Volkswohnungpalast). Fondamentale attenzione era da dedicare agli spazi privati prima che a quelli pubblici e al posto delle numerose stanze solitamente presenti in un palazzo, che in un appartamento di piccole dimensioni sarebbero diventate troppo strette, proponeva un unico grande ambiente di soggiorno nel quale la famiglia poteva riunirsi attorno al camino. L’uomo veramente moderno “non desidera superare il suo vicino di casa in lusso. Egli è profondamente convinto che l’abitare semplice ed essenziale sia quello più valido e più intelligente. […] Nell’ampia superficie della sua spaziosa casa (Heim) ordina i suoi pochi mobili, in modo razionale. Non mira ad una rinascita della sontuosità di stili passati […] e non si cura nemmeno di rivestire ogni pollice quadrato della parete e del pavimento. La laboriosità del “decoratore” lo lascia indifferente. […] Questo lo ritrova nelle case dei suoi conoscenti, nei clubs, negli alberghi. A casa sua [invece] vuole tranquillità”75. E’ quanto afferma anche Frank rispetto agli “Ornamenti inutili per lo spirito e ornamenti inutili come problema”, cioè che l’operaio tornando a casa dal lavoro cerca riposo e sollievo che ritrova negli oggetti, nei mobili, nei gesti e negli ornamenti quotidiani, in tutte quelle cose che portano le tracce e i ricordi del suo vissuto e non nelle decorazioni posticce e artistiche che seguono le oscillazioni della moda. “Il tempo che passa (la mia Storia) deposita residui che si accumulano: foto, disegni, feltri di pennarello da tempo asciugati, cartelline, vuoti a perdere e vuoti a rendere, imballaggi di sigari, scatole, gomme, cartoline, libri, polvere e soprammobili: ed è quel che io chiamo la mia fortuna”76. Si tratta infatti “di un casuale accostamento di pezzi singoli con i quali l’abitante ha stabilito, nel corso degli anni, un rapporto intimo, e che sono perciò diventati per lui preziosi. Lo scopo, la meta ambita di un arredamento non consiste nel rendere il più ricco o il più semplice possibile un luogo, bensì il più piacevole possibile: uno scopo che si trova esattamente nel mezzo e che per questo è difficile da cogliere per coloro che non hanno un istinto naturale. […] La nostra battaglia perciò non è indirizzata contro le forme, bensì contro un modo di pensare o meglio, contro la mancanza di una ideologia, cosa che purtroppo molto spesso è legata all’attaccarsi alle forme. […] Gli arredamenti più piacevoli sono stati sempre quelli che l’abitante si è creato da solo nel corso degli anni ed ai quali non è da riconoscere alcuna intenzionalità. Nulla infatti ha un effetto più sgradevole di un arredamento che decanta immediatamente, come un manifesto, le buone qualità dell’abitante”77. Per questo “né l’archeologo, né il decoratore, né l’architetto, né il pittore o lo scultore devono arredarci il nostro appartamento. E chi mai allora? Ebbene, è molto semplice: ognuno dev’essere l’arredatore di se stesso”78. “Non importa se si mescolano cose nuove e vecchie, differenti stili d’arredo, 133 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile colori e pattern, gli oggetti che uno preferisce in ogni caso si fonderanno in una unità. Una casa (Home) non necessariamente deve essere artificiale e progettata in ogni dettaglio, bensì piuttosto composta di pezzi con cui gli abitanti convivono felici e contenti”79. “Si può anche appendere il quadro più brutto; è sufficiente che abbia un valore affettivo, e che sia appeso in modo comodo e bello, tale che possa contribuire ad una formazione personale dello spazio”80. “Per questo la nuova architettura nascerà dal cattivo gusto del nostro tempo, dalla sua confusione, dalla sua varietà e dal suo sentimentalismo, da tutto ciò che è vivo e sentito. […] Questa nuova unità potrà sorgere solo da una volontà comune che oggi non esiste ancora. […] Non tutti possono essere dittatori, ma tutti possono essere umani. […] Tutti gli uomini scrivono con le stesse lettere, ma le loro scritture sono così diverse che se ne può derivare il loro carattere ed è proibito imitare la scrittura di un altro. […] Perché dunque questa mania di inventare ogni volta una scrittura nuova, se quella vecchia conserva ancora tante possibilità?”81. Vincent Van Gogh, dall’alto a sinistra: Un paio di scarpe 1886, Van Gogh Museum Amsterdam; Un paio di scarpe 1888; Zoccoli in legno, 1888, Van Gogh Museum Amsterdam; Un paio di scarpe, 1888, Metropolitan Museum of Art, New York City; Tre paia di scarpe, 1888, Fogg Art Museum, Cambridge (Mass.) 134 135 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile Note decorazioni eccessive ed inutili, e tali da distruggere il senso l’importante dibattito sulle conseguenze dell’industrializzazione Czech, Zanichelli, Bologna 1986 (ed. orig. 1931), Gusto maggio/giugno 1966 della topografia urbana. In risposta a questa polemica, nel e della meccanizzazione ed enfatizzare le conquiste tecnologiche sistematizzato, p. 106 11 1917 il Comune di Stoccolma commissionerà ad Asplund un delle costruzioni in ferro, da una parte accorciò le distanze tra le della borghesia, p. 11 programma di housing da realizzare nel quartiere industriale diverse etnie e i diversi modi di produzione facendo conoscere 12 di Södermalm, nella parte sud della città. Vedi Peter Blundell le arti delle popolazioni fino ad allora ritenute primitive, e Jones, Gunnar Asplund, Phaidon, London 2006, p.81 dall’altra elesse il mercato ad osservatorio privilegiato delle (la Innere Stadt), fu voluta nel 1857 dall’imperatore Francesco 16 oscillazioni del gusto esaltando i nuovi rituali del consumo di Giuseppe in conseguenza ai moti del 1848 allo scopo di pongono ad elemento simbolico all’ingresso della Casa della massa, della moda e del feticismo degli oggetti. facilitare gli spostamenti di soldati e materiale bellico in vista di Secessione e compare in molte delle raffigurazioni sulla rivista Menti ideative della mostra furono il principe Alberto di una eventuale nuova insurrezione da parte della classe operaia. “Ver Sacrum”. Sassonia Coburgo Gotha e Sir Henri Cole, presidente della Royal A.Loos, Die potemkinsche stadt, in “Ver Sacrum”, ottobre 1898, Society of Arts e riformatore dell’arte applicata in Inghilterra. 1 2 Josef Frank, Architettura come simbolo, a cura di Hermann J.Frank, Raum und Einrichtung, 1934, in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank 1885-1967, Hochschule für angewandte Kunst, Wien 1981, p.95, trad. it. Spazio e arredamento, in Giovanni Fraziano (a cura di), Percorsi accidentali. Scritti e progetti di Josef Frank, Lint, Trieste 3 Friedrich Kiesler, Manifeste du Correalisme, in “Architecture dAujourdhui”, giugno 1949, cit. in Maria Bottero, Frederick 10 F.Kiesler, Notes on Architectures as Sculpture, in “Art in America”, Josef Frank, Architettura come simbolo, op. cit., Espressione La Ringstrasse, grande anello di scorrimento costruito sull’area un tempo occupata dalle mura difensive del nucleo storico La maschera era il tema più caro ai Secessionisti, che la Kiesler. Arte, architettura, ambiente, 19/a Triennale, Electa Lungo questo anello a partire dal 1857 vennero costruiti degli 17 Mondadori, Milano 1996, p. 72 edifici monumentali di grande lusso (Prachtbauten), ognuno ora in Parole nel vuoto, (ed. orig. 1962), Adelphi, Milano 1972, I loro obiettivi erano “l’unione della razza umana” (Sir Henry 4 La Vergleichende Baulehre (teoria costruttiva comparata) costruito secondo un proprio stile come figura indipendente e p.103-104. Cole, Fifty Years of Public Service, Londra, 1884) da cui dunque il raccoglie i disegni, lezioni tenute a Dresda e manoscritti che isolata dal contesto, prodotti da una nazione, quella di lingua 18 Ivi, capitolo Interni. Un preludio, p. 19 volere un’esposizione che fosse internazionale e non solamente Semper aveva prodotto fino al suo esilio a Parigi e avrebbe tedesca, ossessionata dalla mancanza di uno stile proprio e 19 Di Durand Semper sostiene che “tutto preso dal compito nazionale, e l’insistere sulla collaborazione tra artigianato e dovuto comprendere 11 suddivisioni di tipi edilizi a iniziare dalle quindi dalla ricerca di uno che la caratterizzasse: l’Università affidatogli, di addestrare in breve tempo gli alunni del industria. Dopo due anni di preparazione, la Great Exhibition case d’abitazione, per poi passare ai templi, chiese, moschee, in stile rinascimentale (Heinrich Ferstel, 1873-84), il Municipio Politecnico e farne degli architetti, privo di pratica, si perde venne inaugurata ufficialmente il 1 maggio 1851 alla presenza sinagoghe; scuole, biblioteche, musei; ospedali, orfanotrofi, in stile neogotico (Friedrich Schmidt, 1872-73), il Parlamento spesso nel terreno dell’arido schematismo, spinto anche dalle della regina Vittoria d’Inghilterra, per concludersi l’11 ottobre. alberghi, edifici postali, mercati coperti, borsa; municipi, in stile neoclassico (Theophil Hansen, 1874-83), il Palazzo di tendenze dell’epoca” (Prefazione alla Vergleichende Baulehre, 25000 furono gli invitati e 14000 gli espositori provenienti da parlamenti, archivi; tribunali, sedi della polizia, prigioni; teatri, Giustizia (Alexander Wielemans, 1875-1881). in W.Hermann, op. cit., p.236). Bisogna tuttavia precisare che ogni parte del mondo con più di centomila esemplari esposti sale da concerto; città e nuovi quartieri. Il manoscritto però Rispetto a questi “strani e sterili arzigogoli” (Semper, I quattro Semper non rifiuta la scacchiera quando serve a conferire e con oltre sei milioni di visitatori. La mostra ebbe luogo nel si conclude a metà del terzo paragrafo, quello riguardante la elementi dell’architettura, 1851) Semper fu l’unico a progettare ordine geometrico alla costruzione, ma la intende sempre Crystal Palace progettato dall’architetto Joseph Paxton, redatto Häuserbau bei den Babyloniern, Assyren, Medern und Persern. degli edifici, i Musei di Storia e Arte (1872-91), posti uno di come uno strumento di aiuto e mai come risultato. I quadrati in un sistema di piccole unità prefabbricate, partendo dalla più Vedi Introduzione alla Vergleichende Baulehre, in Wolfgang fronte all’altro con la stessa identica facciata, che tenessero per esempio, alla base della sezione aurea, non vengono grande lastra di vetro allora conosciuta che aveva la lunghezza Hermann, Gottfried Semper : architettura e teoria, Electa, Milano conto del contesto in cui si inserivano. addizionati meccanicamente, ma sempre intrecciati e composti di soli quattro piedi. Tali unità prefabbricate erano costituite 1990, p.239 Vedi Carl E. Schorske, Vienna fin de Siècle, op. cit., Bompiani, secondo relazioni geometriche in modo da ottenere una dalle cornici in legno per il vetro, le travi a traliccio di ferro su cui 5 Bologna 2004 (ed.orig. 1961), cap. II La Ringstrasse, i suoi critici proporzione così come era in uso nell’antichità e non uno posavano le lastre e i pilastri di sostegno in ghisa imbullonati op.cit., pp.6-7, trad. it. Il mio metodo di lavoro, in G.Fraziano, e la nascita del modernismo urbano. schema da applicare identico ovunque. assieme piano per piano. Gli elementi costruttivi furono eseguiti Percorsi accidentali, op. cit. 13 Ivi, p.45 20 Gottfried Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen in vari laboratori di Birmingham e montati a Londra sul posto 6 14 Heim è analogo all’inglese home, invece di Haus, house Kuensten, oder Praktische Aesthetik. Ein Handbuch für Techniker, in modo che l’interno edificio, di superficie di circa 800 piedi 15 Josef Frank, Der Volkswohnungspalast. Eine Rede anlässlich Kuenstler und Kunstfreunde, Erster Band: Textile Kunst, Verlag quadrati (la lunghezza di 1851 piedi corrispondeva alla data Innsbruck 1931, p.101 der Grundsteinlegung, die nicht gehalten wurde, (Il palazzo für Kunst und Wissenschaft, Frankfurt a.M., 1860, p. XI, tradotto della sua costruzione), sorse entro sei mesi. Ciò nonostante, 8 Josef Frank, How to plan a House, in J.Spalt, Josef Frank di abitazioni popolari. Discorso non tenuto riguardo alla da G. Hach e M. P. Arena in G.Semper, Lo Stile nelle arti tecniche la copertura non portò ad alcun apporto innovativo poiché la 1885-1967. Möbel & Geräte & Theoretisches, Hochschule für fondazione) comparso nella rivista “Der Aufbau” nell’estate e tettoniche, a cura di A.R. Burelli, C.Cresti, B. Gravagnuolo, volta a botte della galleria aveva un’intelaiatura in legno e la sua angewandte Kunst, Wien, 1981 pp.156-167. 1926, in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank 1885-1967, op. cit., pp.141- F.Tentori, Laterza, Roma Bari 1992, p.10 luce di circa 22 metri era inferiore a quella di molte costruzioni 143, trad. it. Christina Kruml 21 medioevali. testo scritto per la mostra tenutasi in occasione del 80° Anche Erik Gunnar Asplund nel 1916, pubblicando su sulla dinamicità continua gli studi sulla “Entstheung gewisser Vedi Sigfried Giedion, Spazio, Tempo, Architettura, Hoepli, compleanno di Frank dal 18 dicembre 1965 al 29 gennaio 1966 “Arkitektur” - rivista di cui in seguito divenne direttore - l’articolo Formen in der Natur und in der Kunst” (L’origine di certe forme Milano 1984, (ed. orig. 1941), pp.240-331 all’Österreichischen Gesellschaft für Architektur a Vienna, ora Current Architectural Dangers for Stockholm: Blocks of Flats, aveva nella natura e nelle arti) che aveva iniziato a Londra studiando 23 in Josef Frank zum 100 Geburtstag am 15 Juli 1885, Ausstellung criticato i grandi blocchi per appartamenti nati nel dopoguerra le antiche catapulte (Schleidergeschosse) per dimostrare che già Danimarca – di cui Semper disegnò i piedistalli in legno - poiché vom 15 Juli bis 2 August 1985, Fakultät für Architektur der in Svezia, secondo lui troppo alti e larghi, collocati nel territorio i Greci conoscevano le forme aerodinamiche. all’interno di uno spazio espositivo di 7,34 x 7,34 m erano stati Technischen Universität München, p.7 in modo inappropriato, senza tener conto del contesto, con 22 presentati soltanto 40 oggetti. 7 9 J.Frank, Wie ich arbeite, 1933, in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank, J.Frank, Raum und Einrichtung, 1934, in Ivi, p.97 Adolf Loos, Architektur, 1909, in Trotzdem, Brenner Verlag, Friedrich Kurrent, Johannes Spalt, in “Die Furche”, 29/1965, 136 G.Semper, Vorläufige Bemerkungen …, op. cit.. Questa teoria Fu un evento molto importante perché oltre ad avviare Poca attenzione ricevettero i padiglioni della Svezia e della 137 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile Per il padiglione del Canada invece, di dimensioni maggiori, studiati accuratamente secondo età, l’occupazione e la sottolineare la necessità dell’uomo all’ornamento, il ritenere la dalla pittura murale, agli zoo per elefanti, allo sviluppo della Semper sfruttò la corte a tutta altezza per disporvi i pezzi più conformazione anatomica degli allievi, frutto di una ricerca ceramica – il künstlich aufgeworfenen Erdhügel (Klemm 1855 tecnica fotografica, all’analisi del Grande Vetro di Duchamp, ai grandi come una canoa che fece sospendere al centro e alcuni iniziata nel 1830 dall’American Institute of Instruction sul (Anm. 85), p.57//28) - come Urform dell’architettura e l’insistere requisiti acustici e visivi degli spettacoli di massa. carri. All’ingresso fece erigere una particolare scultura di cui miglioramento dell’attrezzatura scolastica. sul significato archetipo della piramide e delle Pristerhallen, Analogamente Asplund nel manifesto Acceptera, scritto esistono numerosi schizzi, il trofeo canadese. Inizialmente Kulturhistorische Skizzen aus der Industrieausstellung aller Völker, hanno profondamente inciso sulle teorie di Semper. nel 1931 (anno in cui diventa professore allIstituto Reale di erano previste anche tutt’intorno delle pareti costituite da Francoforte 1851, pp. 146 sgg., in S.Giedion, op. cit., p. 325 39 Tecnologia di Stoccolma KTH dove si era formato) assieme a vetrine con frontone sopra le quali sarebbero stati dei riquadri Nel 1841 era stato pubblicato dopo molti ostacoli il saggio p.7 Sven Markelius, Uno Ahrén, Wolter Gahn, Eskil Sundahl, Gregor con dei trofei. School Architecture, or Contribution to the Improvement of 40 G.Semper, Lo Stile, op. cit., p.99. E’ significativo che Semper Paulsson, in risposta a Vers une architecture di Le Corbusier, Nel padiglione di Turchia ed Egitto, data la grande quantità Schoolhouses in the United States di Henry Barnard in cui l’autore concepisca e loda l’evoluzione della manualità umana proprio parla di carrozze con o senza cavalli, abbigliamento, cinema, il di oggetti esposti ancora più numerosa di quella del Canada, descriveva le caratteristiche che avrebbero dovuto avere i in un’epoca in cui stava prendendo piede la rivoluzione rapporto tra individuo e la massa, vecchio e nuovo. Semper disegnò pareti attrezzate interamente costituite da sedili e i banchi. G.Fanelli, R.Gargiani, Storia dell’architettura industriale che l’avrebbe soppiantata. In questo modo egli 52 Lothar Bucher, G. Semper, Der Stil, op. cit., p. VII, tradotto in Lo Stile, op. cit., A.Loos, “Das Andere”, 1903, in Trotzdem, op. cit., p.38 vetrine mentre i soffitti erano coperti da drappeggi rossi a contemporanea. Spazio, struttura, involucro, Laterza, Roma Bari assicura alla mano dell’uomo un suo linguaggio indipendente 53 formare delle specie di tende e al centro un velarium di organza 2005 (ed.orig. 1999) da quello verbale e dunque una sua propria dignità. Adolf Loos. Wohnkonzepte und Möbelentwürfe, Residenz Verlag, bianca partiva da una sorta di cupola in bande oro e rosso 29 G.Semper, Wissenschaft, Industrie und Kunst…, op. cit., p. 139 41 Salzbung 1994, p.8 decorata con una mezzaluna a ricordare una moschea. 30 Ivi, pp.73 sgg. e S.Giedion, op. cit., p.326 p.46 54 24 31 Pubblicato nel 1852, il primo degli scritti raccolti è del 1834, 42 p.55 G.Semper, Wissenschaft, Industrie und Kunst. Vorschläge G.Semper, Der Stil, op. cit., p. 8, tradotto in Lo Stile, op. cit., G.Semper, Der Stil, op. cit., p. 7, tradotto in Lo Stile, op. cit., p.45. A.Loos, Wohnen lernen, 1924, II, p.162, in Eva Ottillinger, A.Loos, Parole nel vuoto, op. cit., cap. Die Herrenmode, 1898, zur Anregung Nationalen Kunstgefühles bei dem Schlusse der l’ultimo del 1869, del volume rimangono pochissimi esemplari. Questo dimostra che, nonostante Semper venne accusato di 55 Ivi, cap. Die Plumber, 1898, p.150 Londoner Industrie-Ausstellung, Friedrich Vieweg und Sohn 32 G.Semper, Wissenschaft, Industrie und Kunst…, op. cit., materialismo tecnicistico in particolare da Riegl e Wölfflin, in 56 Frank a Trude Waehner, 9 febbraio 1946. Cit. in Maria Welzig, Verlag, Baunschweig 1852, p. 110. Unica eccezione costituiva a p.9. Semper ribadisce questo concetto più volte, anche nei realtà egli ha sempre sottolineato come le forma architettoniche Entwurzelt. Sobotka, Wlach und Frank in Pittsburgh und New York, suo giudizio la Francia, grazie al suo essere “in molte cose ancora Prolegamena a Der Stil e nella prefazione a Theorie des Formell- dipende si dal materiale, ma ancora di più dall’Idea e assume in Matthias Boeckl, Visionäre und Vertriebene. Österreichische tenacemente ancorata alla tradizione” e all’ “eccellente metodo Schönen. significato solamente quando ha a che fare col simbolo. Spuren in der modernen amerikanischen Architektur, Ernst & di insegnamento” delle accademie e scuole d’arte francesi (p. 33 G.Semper, Wissenschaft, Industrie und Kunst…, op. cit., p. 116 43 Sohn, Wien 1995, p.235. 124). 34 Ivi, p. 130 dell’estetica a partire da Semper, Riegl, Wölfflin, Mimesis, 2001, 57 Lettere di Frank a Trude Waehner (LÖNW), 5 marzo 1939 25 35 Wilhelm Mrazek, Gottfried Semper e il rinnovamento della p. 26 58 M.Welzig, Entwurzelt, op. cit., p.223 J.Frank, Architettura come simbolo, op. cit., Heimatkunst (Arte 26 Ms 88, foglio 34, W.Hermann, op. ct., p. 123 Andrea Pinotti, Il corpo dello stile. Storia dell’arte come storia Per tutto il Settecento e fino ad allora l’attenzione era museografia ottocentesca, in Benedetto Gravagnuolo, Gottfried 44 Ivi, p.10 59 stata posta solamente su quelle produzioni dell’arte classica Semper. Architettura arte e scienza, Clean, Napoli 1987, pp. 47- 45 G. Semper, Der Stil, op. cit., p.XII, tradotto in Lo Stile, op.cit., nazionale), p. 85 greco-romana del periodo aureo (e poi la sua rinascita nel 51. p.11 60 Rinascimento italiano) rivelandosi incapace di comprendere Nel maggio 1834 Semper viene chiamato a insegnare presso 46 ricco, pp. 151-155 intere epoche artistiche non-classiche che per questa non l’Accademia delle Schönen Künste a Dresda. Pochi giorni prima 47 corrispondenza erano state definite come ‘barbare’. Secondo era stata data avvio alla riforma delle accademie d’arte per Semper invece non vi era contrapposizione tra arte ellenica e A.Loos, Parole nel vuoto, op. cit., cap. Glas und ton, p.45 A.Loos, Parole nel vuoto, op. cit., cap. A proposito di un povero 61 Ivi, cap. Gli interni della Rotonda, pp. 25-27 überflüssigen), 1908, p.207-208. 62 J.Frank, Die Einrichtung des Wohnzimmers, 1919, in J.Spalt, opera di Bernhard August von Lindenaus che negli anni venti 48 H.Czech, Josef Frank 1885-1967, Hochschule für angewandte arte barbarica, in quanto “anche l’arte ellenica è barbarica nei erano decadute a semplici scuole di disegno. 1927, in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank, op. cit., p.188-190, trad. Kunst, Wien 1981, trad. it. Christina Kruml propri elementi: […] il principio ellenico doveva naturalmente 36 G.Semper, Wissenschaft, Industrie und Kunst…, op. cit., p. 121 it. Ornamenti per lo spirito e ornamenti come problema, in 63 Ivi, p.56 affondare, per l’aspetto formale, innanzitutto nelle tradizioni 37 Marco Pogacnik, Il governo dello Stile, in “Ottagono”, n. 94, G.Fraziano, Percorsi accidentali, op. cit. 64 J.Frank, Das Haus als Weg und Platz, 1931, in J.Spalt, H.Czech, […] senza queste tradizioni, per pura speculazione non avrebbe L’Ornamento, marzo 1990, pp. 7-15 49 Josef Frank, op. cit., p.36, trad. it. La casa come strada e come mai potuto sorgere, e tali tradizioni erano asiatiche!” (vedi nota 38 H.Czech, Josef Frank, op.cit., p.65, trad. it. Arte, artigianato e la piazza, in G.Fraziano, Percorsi accidentali, op. cit. 95, W.Hermann, op. ct., p.116). 110. Questo pensiero gli deriva anche in parte dalle influenze macchina, in G.Fraziano, Percorsi accidentali..., op. cit. 65 Conferenza del 1853 Entwurf zu den vorlesungen über die esercitate dallo storico Gustav Klemm, oggi considerato il 50 europea, p. 13 Beziehungen der verschiedenen Zweige der industriellen Kunst fondatore delle scienze culturali (Kulturwissenschaft), il quale Nachbarschaft, 1898, p.51 66 possedeva a Dresda una grande collezione di strumenti, vestiti, 51 Review”, n. 73, giugno 1933, p. 268 Schriften, p.349, in W.Hermann, op. ct., p.58 vasellame, e oggetti domestici da tutte le parti del mondo. La “Architectural Record” nel 1939, parlerà solo indirettamente di 67 28 sua convinzione che il lavoro fosse alla base della cultura, il architettura per discutere invece di progettazione in senso lato, H.Czech, Josef Frank, op. cit., p.32, trad. it. L’abitazione nella 27 zueinander und zur Architektur. Erste Vorlesung, in Kleine Tra i prodotti americani inoltre vi erano banchi di scuola 138 G.Semper, Wissenschaft, Industrie und Kunst…, op. cit., p. A.Loos, Parole nel vuoto, op. cit., cap. I superflui (Die Josef Frank, Gschnas fürs G’mut und der Gschnas als Problem, J.Frank, Kunst, Kunsthandwerk und Maschine, 1931, in J.Spalt, A.Loos, Parole nel vuoto, op. cit., Das Silberhof und seine Anche Kiesler nella serie di articoli che scriverà per J.Frank, Architettura come simbolo, op. cit., La tradizione An Austrian Architect Looks ar England, in “Architectural J.Frank, Die Grosstadtwohnung unserer Zeit, 1927, in J.Spalt, 139 La seduzione dell’INvisibile metropoli dei nostri tempi, in G.Fraziano, Percorsi accidentali, op. cit. 68 J.Frank, Architettura come simbolo, op. cit., Cosè moderno?, p. 81 69 J.Frank, Die Einrichtung des Wohnzimmers, op.cit., p.56 70 Baillie Scott nasce nel 1865 a Ramsgate, Kent, Inghilterra. Frequenta il Royal Agricultural College maturandosi nel 1885. Collabora quindi per tre anni presso lo studio dell’architetto Charles E.Davis a Bath e nel 1889 si trasferisce a Douglas, Isle of Man, per lavorare presso lo studio di Fred Saunderson. Nel 1891 pubblica Design for a Bungalow nella rivista “Building News” e tra il 1892-93 progetta e costruisce la propria Red House. Nel 1901 vince un concorso a Darmstadt per una casa per un amante dell’arte (Haus eines Kunstfreundes, in particolare la hall a doppia altezza viene giudicata come innovativa) e apre un proprio studio a Bedford, quindi a Fenlake e dopo la prima guerra mondiale a Londra. Assieme a Charles Rennie Mackintosh disegnò anche una serie di mobili e oggetti per la ditta d’arredamento Karl Schmidt-Hellerau e i loro lavori vennero mostrati tra il 1903 e il 1904 nella mostra “Heirat und Hausrat (Matrimonio e lavoro domestico)” a Dresda, ma anche a Berlino, Mannheim e Vienna. Soprattutto i primi progetti sono caratterizzati da un disegno complessivo dell’insieme, ciò nonostante egli tende sempre più ad una semplificazione. Nel 1906 pubblica Houses and Gardens, e i suoi lavori vengono largamente pubblicati anche nelle riviste di lingua tedesca, tanto che fino al 1914 ricevette alcune commissioni anche in Austria, Germania e Svizzera. Muore nel 1945. Per un approfondimento vedi Diane Haigh, Baillie Scott. The Artistic House, Academy Editions, London 1995 e capitolo La seduzione dell’INvisibile moderna casa di campagna) che presenta l’architettura anonima abitativa inglese e americana tra cui Baillie Scott, William Richard Lethaby, Ernest Newton, Charles Francis Annesley Voysey (18571941), Edgar Wood, Mackintosh, e Herbert McNair. Anche Strnad nella sua conferenza del gennaio 1913 su “L’appartamento e la casa” (Wohnung und Haus) tenuta nel Neuen Wiener Frauenclub riprende citazioni da Häuser und Gärten, senza però mai nominarlo. Ernst Anton Plischke, studente di Strnad alla Kunsgewerbeschule e collaboratore di Frank negli anni Venti, si ricorda che quando era studente andava spesso in biblioteca a studiare i progetti di Baillie-Scott. Vedi E.A.Plischke, Ein Leben mit Architektur, Wien 1989, citato in M.Welzig, Josef Frank 1885–1967. Das architektonische Werk, Böhlau Verlag, Vienna, 1998, p.69 72 Mackay Hugh Baillie Scott, Häuser und Garten, E.Wasmuth, Berlino 1912 (ed. orig. George Newnes, Londra 1906), p.39 73 Ivi, p.9 74 Ivi, p.49 75 Ivi, p.6 76 G.Perec, Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino 1989 (ed. orig. 1974), p.34 77 J.Frank, Fassade und Interieur, 1928, in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank, op. cit., pp.25-27, trad. it. Facciata e interno, in G.Fraziano, Percorsi accidentali, op. cit. 78 A.Loos, Parole nel vuoto, op. cit.,cap. Gli interni della Rotonda, pp. 25-27 79 J. Frank, Akzidentismus, op. cit. 80 J.Frank, Raum und Einrichtung, op. cit., p.100 81 J.Frank, Architettura come simbolo, op. cit.,Uno sguardo, p. 115 “ In ogni abitazione risiede qualcosa di personale – alcune presentano un carattere talmente infimo che [...] passare davanti a case del genere significa farsi il segno della croce dallo spavento [...] Altre, specialmente case vecchie, testimoni di grandi epoche costruttive, colpiscono alla prima occhiata attraverso la loro fascino speciale. Quando vi si entra e si passa da una camera all’altra sembra che il loro profondo silenzio comunichi con segni e simboli. [...] Non si commetta lo sbaglio di considerare la casa moderna come un contenitore di tubi dell’acqua calda e cucine economiche brevettate! Nella costruzione vi è qualcosa di più grande che non deve essere tralasciato. Non piatta, pretenziosa, appariscente come la maggior parte delle moderne ville; [bensì] piena di tutta quella delicata e silenziosa serietà che avvinghia lo spirito e consola con promesse di pace. Una casa simile è l’opera d’arte più grandiosa di cui è capace l’uomo[...]. Tali azioni danno la benedizione. Che esse emanino specialmente dalle case vecchie, porta all’errore, eccetto per quanto riguarda la passione archeologica, di vedere il passato attraverso occhiali rosa, idealizzarlo in confronto con la rozzezza e l’infamia del presente. Come la morte di un amico fa scomparire tutti i più piccoli difetti e vediamo il vero nocciolo del suo essere nella giusta prospettiva, scoperto dalle nubi, così avviene per gli edifici che non dicono nulla della futilità spicciola del loro tempo, ma nella loro costruzione e nella loro poesia spaziale interna conservano come pietrificata la profonda musica dello spirito. (Baillie Scott, Häuser und Gärten, cap.1, p.22, trad.it. C.Kruml) “ seguente. 71 L’importanza di Baillie-Scott è l’aver posto l’attenzione su un tema, la costruzione della casa unifamiliare, fino ad allora considerato come secondario in architettura rispetto agli edifici monumentali. I suoi scritti lasciarono una profonda impronta tra gli architetti dell’epoca: tra il 1903 e il 1906 vengono pubblicati a Berlino i 3 volumi di Das englische Haus: Entwicklung, Bedingungen, Anlage, Aufbau, Einrichtung und Innenraum (La casa inglese: sviluppo, condizioni, impianto, costruzione, arredamento e spazio interno; Ernst Wasmuth, Berlin) di Hermann Muthesieus, fondatore del Deutscher Werkbund. Nel 1903 a Vienna Josef Lux pubblica Das moderne Landhaus (La 140 141 La seduzione dell’INvisibile L’ a r c h i t e t t u r a de l l a s e d i a “C ’ERA UNA VOLTA UN MASTRO SELLAIO. ERA UN BUON ARTIGIANO, MOLTO ABILE. FABBRICAVA SELLE CHE […] ERANO MODERNE. LUI PERÒ NON LO SAPEVA. SAPEVA SOLTANTO CHE FACEVA SELLE. MEGLIO CHE POTEVA. […] PRESE CON SÉ LA SUA SELLA MIGLIORE E SI RECÒ DAL CAPO DELLA SECESSION. E GLI DISSE “[…] ANCH’IO VORREI LAVORARE IN MODO MODERNO. MI DICA: QUESTA SELLA È MODERNA?” IL PROFESSORE ESAMINÒ LA SELLA […] “CARO ARTIGIANO, LEI NON HA FANTASIA” […] IL GIORNO DOPO IL MASTRO SELLAIO RITORNÒ. IL PROFESSORE POTÈ PRESENTARGLI QUARANTANOVE PROGETTI DI SELLE. […] “SIGNOR PROFESSORE! SE IO MI INTENDESSI COSÌ POCO DI EQUITAZIONE, DI CAVALLI, DI CUOIO E DI LAVORAZIONE, AVREI ANCH’IO LA SUA FANTASIA1. “ “La parte più importante in una casa è il luogo dove si sta seduti”, sostiene Frank. “Ormai standardizzato ovunque, da noi però in modo sbagliato, poiché è ancora essenzialmente costituito dal tavolo da pranzo, attorno al quale vengono poi raggruppati un divano e due o tre sedie uguali tra loro: in tal modo […] ci si viene a trovare troppo in alto o troppo in basso, è impossibile stare comodi, ed il tavolo risulta comunque d’intralcio a chi sta seduto. […] Volere inventare la sedia in un unico modello per tipizzarla, è una sciocchezza, poiché essa ha molteplici funzioni da assolvere Vincent Van Gogh, La sedia, 1888, National Gallery, Londra che variano secondo le esigenze che si presentano nell’arco di una giornata”2. Infatti “secondo il principio per cui i diversi gradi di stanchezza richiedono varie sedute”, anche Loos aveva già notato che “la casa inglese non mostra mai un unico stesso tipo di sedia. Tutte le diverse tipologie sono rappresentate in una stanza in modo che ciascuno possa scegliere quella più adatta a lui”3. Solamente quegli ambienti come la sala da pranzo o da ballo, un bar, in cui tutti svolgono la stessa funzione sono ammessi tipi di sedie tutte uguali. La sala da pranzo “riunisce tutti i partecipanti per un breve periodo ad una stessa attività. […] Perciò questa stanza ha la possibilità di venir arredata da un unico artigiano artistico (Kunsthandwerker), sia esso un architetto, tappezziere o falegname”4. Per questo nei Cafè progettati da Loos troviamo per lo più solo la sedia in legno piegato Thonet e nelle sale da pranzo copie della sedia inglese del Settecento, mentre invece nei salotti domestici vi sono sempre numerosi tipi di sedute e sgabelli diversi. Sia Loos che Frank erano contrari all’invenzione di forme e soluzioni nuove se queste già esistevano come perfette nella tradizione artigianale. Come Semper, credevano nella varietà delle Urformen e quindi riutilizzavano tipi di sedie già esistenti migliorandole in base alle nuove esigenze della contemporaneità. 143 La seduzione dell’INvisibile Elementi che compongono il modello n.14 della sedia Thonet (1859, da “Ottagono” 84) Josef Frank, Modello A63F Thonet, anni Venti 144 La seduzione dell’INvisibile “Sono dell’opinione che se bisogna cambiare le forme ci debba essere un motivo […] tutte le cose che servono all’utilizzo necessitano in realtà di un cambiamento solo se questo può migliorare il soddisfacimento del loro scopo”5. Le sedie Windsor per esempio sono già perfette così come sono: leggere, pratiche, “hanno gli angoli arrotondati cosicché non ci si può battere e comprimere da nessuna parte, e non necessitano di imbottiture perché sono modellati rigorosamente sulle anatomie del corpo umano, in modo che ci si siede come se ci si fosse cresciuti”6. “La progettazione di una nuova sedia per la sala da pranzo mi sembra una follia, una follia del tutto inutile, insieme a perdita di tempo e fatica”, scrive Loos nel 1929 alla morte del suo fidato produttore di sedie Josef Veillich. “La sedia da pranzo del tempo di [Thomas] Chippendale [metà del settecento] era assolutamente perfetta. […] Tuttavia, può essere prodotta solo dall’artigiano di sedie, non dal falegname. Mentre le nuove sedie sono prodotte dal falegname. L’artigiano delle sedie e il falegname creano cose in legno. Il produttore di valigie e il mastro sellaio producono entrambi cose in cuoio, eppure un cavaliere respingerebbe una sella fabbricata da un produttore di borse. Perché? Perché il cavaliere ci capisce qualcosa del cavalcare. Chi è capace di comprendere le sedie che risalgono ai tempi in cui si comprendeva ancora lo stare seduti al tavolo da pranzo, respingerà le sedie di oggi, spettrali. […] Siccome l’artigianato di sedie è una professione in via di estinzione dato che non ci sono più apprendisti, mi viene spesso chiesto: “Che cosa farà quando il vecchio Veillich morirà”? Ieri è stato sepolto. Veillich ha realizzato tutte le mie sedie da pranzo. Per trent’anni è stato mio fedele collaboratore […] Era sordo come me, per questo ci capivamo bene […]. Al posto della sedia in legno verrà la sedia Thonet che io già trent’anni fa ho indicato come l’unica sedia moderna”7.“Ad un certo punto nell’anno 1895 [infatti] quando mi trovavo in America mi resi conto che la sedia Thonet era la sedia migliore”8.“Guarda la sedia Thonet! Non è frutto dello stesso spirito, dal quale proviene la sedia greca con le gambe piegate e lo schienale, che senza ornamenti incarna lo stare seduti di un epoca?”9 Anche Frank alla fine degli anni Venti disegna alcune sedie per la ditta Thonet mantenendone il concept originale (legno curvato e giunzione di pochi elementi prodotti facilmente in serie) che viene esaltato attraverso l’uso del colore: il modello A 63F per esempio lo propone in 14 tonalità diverse. Tuttavia questo non significa voler riproporre mobili in stile: “Se un inglese mette nella sua camera una sedia Windsor o Adam nessuno lo noterà. Se invece metterà un mobile della stessa epoca, esso apparirà antiquato. […] Nessuno può assumere le esperienze e i risultati già pronti di un altro e non può saltare tutta la sua evoluzione senza batter ciglio. […] I tipi non possono venir inventati, essi nascono da soli - ma non lo possono fare se si continua a voler creare mobili nello spirito del 18° secolo per raggiungere il livello inglese e sostituirne i mobili. Essi infatti si sono conservati anche in Inghilterra solamente grazie ad una tradizione forte, cosa che a noi manca […]. Il ‘mobile-tipo’ della nostra ‘epoca della macchina’, lontano da qualunque tentativo di voler essere ‘decorativo’, avrà come unico scopo il rappresentare il minimo di materiale, spazio, forma e peso e di necessitare di un minimo di cura e manutenzione”10[si noti che viene utilizzato “minimo” e non “nessuna” cura e manutenzione! Strofinare un mobile fa parte del rituale quotidiano utile e necessario per lo spirito]. “A tal fine per esempio una finestra ad arco è una forma non moderna, poiché sappiamo che possiamo realizzare la più grande apertura anche con una trave diritta”11. Sia Frank che Loos erano infatti consapevoli che l’artigianato era diventato ormai troppo costoso e dai tempi di lavorazione troppo lunghi, e per questo non rifiutavano l’industria ritenendola un fattore indispensabile per le esigenze della modernità. Analogamente non rifiutavano l’utilizzo di materiali e tecniche di produzione innovativi. “Noi oggi cerchiamo spesso di sostituire materiali naturali con quelli artificiali, dal momento che la materia naturale soddisfa tutti i bisogni solo occasionalmente e casualmente, anche se costituisce la base e la tradizione dei nostri desideri. Il ‘materiale sostitutivo’ non è qualcosa di peggiore, come siamo abituati a pensare dal tempo della guerra, ma qualcosa di migliore, che possiede, in gran parte, tutte le qualità del materiale naturale, come durata, isolamento, resistenza, etc. […] Materiali artificiali, come mattoni, carta, vetro, che sono da tempo conosciuti, ci sono oggi così familiari che non li riteniamo più tali, cioè artificiali”12. Quello su cui entrambi insistevano era la necessità di trovare un equilibrio tra industria ed artigianato in modo che la macchina rimanesse un aiuto per l’uomo e non lo sostituisse. Per questo, come aveva già sostenuto anche Semper, era necessario conoscere bene le proprietà dei vari materiali e le tecniche di lavorazione più adatte, per evitare così ornamenti posticci e rivestimenti falsi: ricordiamo la legge del rivestimento secondo cui si può dipingere il legno di tutti i colori tranne il color legno. Rispetto alle sedie moderne, sia Loos che Frank criticavano quindi da una parte il voler utilizzare un unico stesso tipo di sedia dappertutto (“con il Cafè Museum (1899) mi hanno frainteso. Dalla sua inaugurazione gli appartamenti sono freddi e nudi come un bar”13) e dall’altra la mancanza di una relazione con il corpo umano. L’attuale forma moderna della sedia “è rettilinea, cubica e composta da aste, tuttavia non risponde allo scopo essenziale di una sedia che deve, in tutte le sue parti, adattarsi al corpo umano e perciò deve avere una forma ad esso adeguata. […] Oggi si tende a dare agli oggetti una forma semplice e disadorna […] Ma semplicità non significa in nessun modo linearità, nè uso di una qualche forma geometrica. Ciò che noi intendiamo per forma più semplice è la forma migliore ed essenziale. Questa forma sarà sempre una forma organica, mentre quella geometrica, di norma lineare, è manierata e senza vita, visto che è artificiosa e, per ragioni formali, troppo estranea alla casa e alle sue pareti dar poterne risultare parte integrante: Josef Frank, modello di sedia Windsor progettato attorno al 1930 145 La seduzione dell’INvisibile Marcel Breuer con Wassily Kandinsky, Modello B3, 1925 La seduzione dell’INvisibile l’equivoco è dovuto al fatto che la forma cubica della casa è la sua forma più scontata”14. Ma una sedia “deve essere adattata alla forma del corpo umano di cui è il negativo, e resistere a qualsiasi geometria. La poltrona, consta di due superfici (la base è solo portante): sedile e schienale. Il sedile è più largo verso il davanti che verso il dietro. Lo schienale è più stretto verso il basso che verso l’alto, esso è curvato seguendo la forma della schiena. Queste forme si sono conservate da tempi molto remoti, perché il corpo non è cambiato, solo i bisogni della comunità, ne hanno modificato le misure”15. Infatti “noi non ci sediamo così perché il falegname ha fatto la sedia in questo o in quel modo, ma poiché noi vogliamo sederci in questo modo, il falegname ha fatto così la sedia”16. Da qui la critica accesa contro la sedia tubolare in acciaio progettata da Marcel Breuer, presa come esempio per rappresentare i cosiddetti Menschenfresser, mangiatori di uomini, cioè i funzionalisti e RadikalModernen: “Siamo un paese povero. Uno dei simboli di questa povertà è la sedia in tubo d’acciaio. […] La comodità di una sedia non dipende in alcun modo dal materiale impiegato ma unicamente dalle sue proporzioni. […] Mentre tutto il mondo sa che una sedia non è un cubo e che, poiché in fondo serve per sedersi e si adatta al corpo umano, è il suo contrario, cioè rotonda, si tende continuamente a farla assomigliare ad un cubo, così come ogni suppellettile della casa, e ciò per raggiungere di nuovo quell’unità che un tempo si chiamava arredamento in stile. […] L’acciaio non è un metallo, ma una visione del mondo”17. “Un materiale nuovo non esige forme nuove, le rende possibili”18. Contraltare della sedia tubolare era invece lo sgabello egizio, di cui già Semper aveva parlato in Der Stil come dell’oggetto più perfetto nella sua semplicità, essenziale, mobile, leggero e allo stesso tempo resistente, privo di direzione e quindi adattabile in qualsiasi ambiente e a una moltitudine di funzioni diverse. Semper aveva potuto osservare lo sgabello che si trovava nel British Museum di Londra (di cui non è chiara la provenienza né l’epoca), che faceva parte di quei pezzi archeologici strappati dal territorio egiziano da Napoleone Bonaparte nel maggio 1798 per portarli in Francia e trasferiti poi in Inghilterra dopo la sconfitta dello stesso da parte dell’ammiraglio Horatio Nelson. Agli inizi del Novecento ne erano stati poi scoperti altri esemplari: nel 1906 da un archeologo italiano nella tomba dell’architetto Kha risalente al 1400 a.C. circa (ora nel museo egizio a Torino), mentre alcune varianti di questo modello vennero trovati nel 1922 da Howard Carter nella tomba di Tutanchamen (1347-1337 a.C., oggi al museo del Cairo)19. Nell’ottava parte di Der Stil, intitolata “Tettonica”, capitolo “Le costruzioni ad aste di legno “(Die Stabkonstruktion aus Holz), Semper riproduce il disegno di questo sgabello così come si trovava allo stato presente 146 nel British Museum, quindi composto da una seduta curva parziale sostenuta da quattro gambe attraverso una struttura di sottili aste rigide: orizzontali di collegamento tra le gambe, verticali e diagonali tra seduta e aste orizzontali. Rispetto allo sgabello ritrovato nelle tombe di Kha e di Tutanchamen, esso si distingueva per la ricca ornamentazione di pitture ed intarsi, ma anche per la forma a balaustra delle gambe (più grosse al centro e alla base) e per la particolare messa in evidenza delle giunzioni fra le parti. Venne perciò interpretato da Semper come esempio essenziale di tettonica, intesa come “l’arte di congiungere elementi che possiedono la forma di aste rigide”20, è dunque come un principio costruttivo, archetipo eternamente valido e senza tempo21. Le fotografie di questo sgabello del British Museum vennero riprodotte a Londra a partire dal 1884, e da allora esso venne più volte riproposto e interpretato. Nel 1855 per esempio il pittore preraffaellita Holman Hunt (1827-1910) trasformò lo sgabello in una sedia dotandolo di schienale, di una seduta in paglia intrecciata e alzando le gambe ad altezza europea. Inoltre il motivo di aste diagonali e verticali venne riproposto solamente sul fronte e non su tutti e quattro i lati: in questo modo tuttavia la sedia assunse un’unica direzione perdendo la propria flessibilità e il principio costruttivo semperiano divenne un mero elemento ornamentale, tanto che venne ripreso anche nella decorazione dello schienale. In una seconda versione di questa sedia dovuta a Ford Madox Brown nel 1861 per la ditta Morris, Marshall, Faulkner & Co, la struttura diagonale venne addirittura a mancare. Il concetto semperiano di tettonica fu capito piuttosto dall’architetto Edward William Godwin (1833-1886) il quale nel 1867 realizzò un tavolino richiamandosi alla struttura ad aste diagonali dello sgabello egizio, ma privo di decorazioni e rettificando le gambe. Sgabello egizio ritrovato nella tomba di Kha (1400 a.C.), e disegno di G.Semper (Der Stil, vol II, p.257) da quello che si trova al British Museum di Londra, fotografato sotto (vedi E.Ottilinger 1989 p.76 e 84) 147 La seduzione dell’INvisibile W.Holman Hunt, sgabello egizio (1857-58, Sammlung del Birmingham City Museum) L.F.Wyburd, Thebes Chair, per Liberty, 1884. Vedi E.Ottilinger 1994, pp.83-87 e 1989 p.83 148 La seduzione dell’INvisibile Nel 1884 Leonard F.Wybury, direttore della sezione “Furnishing and Decoration Department” della ditta Chesham House fondata da Sir Arthur Liberty a Londra, realizza una variante dello sgabello egizio che semplifica e astrae le forme del modello che si trova al British Museum: la seduta è in pelle, le gambe sono lisce e diritte, prive di ornamenti, pur mantenendo la forma a balaustra. Questo sgabello a quattro gambe, assieme ad uno con tre, venne brevettato nel marzo 1884 come “Thebes Stool” e rimase nel catalogo di Liberty fino a dopo il 1900, offerto anche in una versione con schienale simile a quella di Hunt (in pelle e con il motivo delle aste come decorazione)22. A questo modello di sgabello Liberty si rifarà anche Adolf Loos quando lo ripropone nello studio dell’appartamento per Hugo Haberfeld (1898-99), in quello del suo amico poeta Otto Stoessl (1900), e persino nella propria abitazione del 1903, e in seguito molti altri progetti (Villa Karma, Casa Steiner, Casa Duschnitz, Casa Mandl, Casa Strasser, Casa Rufer, ecc.). Loos tuttavia sceglierà la versione priva di schienale, riappropriandosi così del principio semperiano di tettonica che intendeva la struttura con funzione portante e non meramente decorativa e sottolineava l’importanza delle giunzioni. Inoltre l’assenza di direzione permetteva una maggiore flessibilità, leggerezza e trasportabilità. E.W.Godwin, coffee table (1867ca) e A.Loos, Appartamento Haberfeld, da Das Interieur 1903 149 La seduzione dell’INvisibile Anche gli sgabelli che disegna Frank – alcuni a quattro gambe, altri a tre – sono privi di schienale e rispetto a quelli di Loos si caratterizzano per la riduzione all’essenziale delle parti, più vicino alla semplificazione attuata nel tavolino di Godwin, pur senza rinunciare alle qualità aptiche dei materiali. Nel modello che si richiama all’esemplare ritrovato nella tomba di Kha per esempio la struttura viene semplificata e assottigliata, le gambe sono dritte, le giunzioni lineari, le sottili aste verticali e diagonali vengono estese in altezza e la seduta curva, intrecciata dell’originale, viene sostituita da una in pelle, più resistente. Un altro modello presenta gambe lisce che si allargano alla base per sostenere al meglio il peso del corpo, tutti i bordi vengono arrotondati come anche le aste orizzontali, mentre scompaiono quelle verticali e diagonali perché non servono più, le giunzioni sono evidenziate e la seduta è rivestita di una morbida pelle di zebra che riunisce insieme l’aspetto estetico e sensoriale. “Quanto più si entra in contatto ravvicinato con un mobile, quando per esempio lo si tocca con la mano, tanto più esso deve essere di forma irregolare e organica in modo da adattarsi a quella della mano”23. Un terzo modello ancora mostra delle gambe a sezione rettangolare inserite diagonalmente nella seduta in modo da non necessitare né di aste orizzontali né di quelle verticali. La seduta è incurvata per adattarsi meglio alle forme del corpo. La seduzione dell’INvisibile Confronto fra gli sbabelli a tre gambe di L.F.Wyburd per Liberty (1884), di A.Loos e di J.Frank, esposti al Hofmolibieldepot di Vienna (fotografia: Christina Kruml) e sotto J.Frank, Disegno per tre sgabelli “Nil, Cyrus e Hektor, 1920-25ca, Sammlung Oskar Kokoschka UfaK, Vienna, inv. 372 Esistono anche delle versioni di sgabello a tre gambe, con piedi che si allargano o incurvano per permettere una maggiore stabilità, che si richiamano chiaramente a quelli realizzati da Josef Veillich per Adolf Loos, a loro volta ripresi dal modello proposto da Liberty. Il richiamarsi a modelli storici come lo sgabello egiziano, la sedia Windsor o quella Thonet, serviva a richiamare un immediato senso di familiarità e quindi di “sentirsi a casa”. 150 151 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile Note 1 Adolf Loos, Il mastro sellaio, in Parole nel vuoto, (ed. orig. 1962), Josef Frank 1885-1967, Hochschule für angewandte Kunst, Wien Adelphi, Milano 1972, pp.164-166 1981, p.100, trad. it. Spazio e arredamento, in G.Fraziano, Percorsi 2 accidentali, op. cit. Josef Frank, Die Grosstadtwohnung unserer Zeit, 1927, in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank 1885-1967, Hochschule für angewandte Kunst, Wien 1981, pp.32-33, trad. it. L’abitazione nella metropoli dei nostri tempi, in Giovanni Fraziano (a cura di), Percorsi accidentali. Scritti e progetti di Josef Frank, Lint, Trieste 3 A.Loos, Das Sitzmöbel, in Parole nel vuoto, op. cit., pp.84-85. 3 A.Loos, Wanderung durch die Wienterausstellung des Österreichischen Museums, 1898, cit. in Eva Ottillinger, Adolf Loos. Wohnkonzepte und Möbelentwürfe, Residenz Verlag, Salzbung 1994. p.113 4 Josef Frank, How to plan a House, in Johannes Spalt, Josef Frank 1885-1967. Möbel & Geräte & Theoretisches, Hochschule für angewandte Kunst, Wien, pp.156-167 5 Ludwig Hevesi, Stonehedge, 1891, in E.Ottillinger, Adolf Loos, op. cit., p.132 6 in “Frankfurter Zeitung” 21 März 1929, ripubblicato in Adolf Loos, Trotzdem. 1900-1930, Innsbruck 1931 7 A.Loos, Über die Sparsamkeit, 1924, in Die Potemkinsche Stadt. Verschollene Schriften 1897-1933, A.Opel, Wien 1983, p.215, cit. in E.Ottillinger, Adolf Loos, op. cit., p.15 8 A.Loos, Kunstgewerbbliche Rundschau I, 1898, in E.Ottillinger, Adolf Loos, op. cit., p.127 9 J.Frank, Handwerks- und Maschinen-Erzeugnis. Die Abgrenzung beider Gebiete, in “Innendekoration”, XI.3, 1923, pp.241-243/336-343 cit. in J.Spalt, Josef Frank, op. cit., pp.910 ripubblicato come Einzelmöbel und Kunsthandwerk in Iris Meder (a cura di), Josef Frank. Eine Moderne der Unordnung, Verlag Anton Pustet, Salzburg Wien München 2008, pp.128-129 15 A.Loos, capitolo Kulturentartung, in Parole nel vuoto, op. cit., p.212 16 J.Frank, Architettura come simbolo, a cura di Hermann Czech, Zanichelli, Bologna 1986 (ed. orig. 1931), Siamo un paese povero, p. 79 17 J.Frank, Architettura come simbolo, op. cit., L’uomo come misura di tutte le cose, pp. 28-29 18 Vedi Eva Ottillinger, Variationen eines altägyptischen Hockers. Eine Rezeptionsgeschichte, in “Kunst & Antiquitäten. Zeitschrift für Kunstfreunde, Sammler, Museen”, Heft III/1989, pp.76-84 19 Gottfried Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen Künsten, oder Praktische Aesthetik. Ein Handbuch für Techniker, Künstler und Kunstfreunde, Zweiter Band: Keramik, Tektonik, Stereotomie, Metallotechnik, Friedrich Bruckmann’s Verlag, München, 1863, p.209, traduzione italiana (G. Hach e M. P. Arena) in G.Semper, Lo Stile nelle arti tecniche e tettoniche, a cura di A.R. Burelli, C.Cresti, B. Gravagnuolo, F.Tentori, Laterza, Roma Bari 1992, p. 199. 20 Camillo Sitte nel 1888, durante una conferenza sulle “Forme base nella costruzione dei mobili e i loro sviluppi” (Die Grundformen des Möbelbaus und deren Entwicklung), aveva sostenuto che la “Urform” dei sedili egiziani era la sedia in canne di bambù, in cui le varie parti erano collegate tra loro attraverso un irrigidimento diagonale a formare dei triangoli che ne impedissero la rotazione. E.Ottillinger, Variationen, op. cit. 21 Altre interpretazioni dello sgabello egizio furono quelle del catalogo del 1881 della “Art Furniture Alliance”, la ditta londinese di mobili e oggetti fondata l’anno prima da Christopher Dresser, 10 J.Frank, How to plan a House, op. cit. 11 Josef Frank, Zum Formproblem, 1931, in J.Spalt, H.Czech, antico-egiziane, cioè dotato di un cuscino appoggiato sulla Josef Frank, op. cit., pp.212-213, trad. it. Il problema della forma, seduta; e quella proposta nel 1898-99 dalla ditta di mobili in G.Fraziano, Percorsi accidentali, op. cit. americana Heywood Brothers & Wakefield Company, lo sgabello 12 A.Loos, Wohnungswanderung, Privatdruck, Wien 1907, in E.Ottillinger, Adolf Loos, op. cit., p.15 13 J.Frank, Zum Formproblem, 1931, in J.Spalt, H.Czech, Josef in cui lo sgabello è presentato come nelle originarie immagini “Ottoman nr.6535”, in cui le gambe in legno fingevano delle aste in bambù avvolte da un nastro, la seduta era intrecciata e la struttura verticale e diagonale trasformata in mera decorazione Frank, op. cit., pp.212-213, trad. it. Il problema della forma, in di elementi spiraliformi. E.Ottillinger, Variationen, op. cit. G.Fraziano (a cura di), Percorsi accidentali. Scritti e progetti di 22 Josef Frank, Lint, Trieste 2009, pp. Frank, op. cit., p.97, trad. it. Spazio e arredamento, in G.Fraziano, 14 Percorsi accidentali, op. cit. Josef Frank, Raum und Einrichtung, 1934, in J.Spalt, H.Czech, 152 J.Frank, sgabelli, disegni da Spalt 1981, pp.54-56 J.Frank, Raum und Einrichtung, 1934, in J.Spalt, H.Czech, Josef 153 La seduzione dell’INvisibile “A BITARE UNA CAMERA, CHE COS’È? La CASA ABITARE UN LUOGO, VUOL DIRE IMPOSSESSARSENE? CHE SIGNIFICA IMPOSSESSARSI DI UN LUOGO? A PARTIRE DA QUANDO UN LUOGO DIVENTA VERAMENTE VOSTRO? [QUANDO SI SONO MESSE IN AMMOLLO TRE PAIA DI CALZINI IN UN CATINO DI PLASTICA ROSA? QUANDO SI FANNO RISCALDARE DEGLI SPAGHETTI SU UN CAMPINGGAS? QUANDO SONO STATE UTILIZZATE TUTTE LE GRUCCE SPAIATE DEL GUARDAROBA? QUANDO SI È FISSATA ALLA PARETE CON DELLE PUNTINE UNA VECCHIA CARTOLINA CHE RAFFIGURA IL SOGNO DI SANT ’ORSOLA DEL CARPACCIO? QUANDO VI SI SONO PROVATI I TORMENTI DELL’ATTESA, O LE ESALTAZIONI DELLA PASSIONE, O I SUPPLIZI DEL MAL DI DENTI? QUANDO SI SONO APPESE ALLE FINESTRE LE TENDE DI PROPRIO GUSTO, E TAPPEZZATI I MURI, E LEVIGATI I PARQUET?]2. “ERA SOLO UN BUGIGATTOLO, MA LÀ DORMIVO IN SOLITUDINE. […] LAGGIÙ MI RANNICCHIAVO. […] PROVAVO QUASI UN BRIVIDO SENTENDO IL MIO RESPIRO. È LÀ CHE CONOBBI IL MIO VERO SAPORE; È LÀ CHE FU IL ME STESSO, CHE NON HO MAI SVELATO”1. dalla cantina alla soffitta UNA LENTA UMILTÀ PENETRA NELLA CAMERA/CHE ABITA IN ME NEL PALMO DEL RIPOSO3. “Ogni immagine di riposo, di tranquillità, si associa immediatamente all’immagine della casa semplice. […] Van Gogh, “ Vincent Van Gogh, sua camera da letto ad Arles, 1888-89, Rijksmuseum Vincent Van Gogh Amsterdam pittore di molti nidi e capanne, scrive a suo fratello: «La capanna dal letto di canne mi ha fatto pensare al nido di uno scricciolo» […]. Le capanne di Van Gogh sono sovraccariche di stoppia. Una paglia spessa, grossolanamente intrecciata, sottolinea la volontà di riparare oltrepassando i muri. Il tetto è qui il testimone dominante di tutte le virtù di riparo. Sotto la copertura del tetto, i muri sono terra fabbricata, le aperture sono basse, la capanna è posta sulla terra come un nido sui campi. Il nido dello scricciolo è certo una capanna, perché è un nido coperto, un nido rotondo”4. La capanna “è la pianta umana più semplice, quella che non ha bisogno di ramificazioni per vivere. E’ tanto semplice da non appartenere più ai ricordi, talvolta troppo immaginati. Appartiene alle leggende, è un centro di leggende. […] La capanna dell’eremita è un tema che non ha bisogno di variazioni [se intese come moda]. Fin dalla più semplice evocazione, il retentissement fenomenologico cancella le mediocri risonanze [le imitazioni]. La capanna dell’eremita è una incisione che soffrirebbe di un eccesso di pittoresco, essa deve ricevere la sua verità dall’intensità della sua essenza, l’essenza del verbo abitare. […] Intorno ad una simile solitudine concentrata, si irradia un universo che medita e che prega, […] essa gode di una felice intensità di povertà”5. “Il concetto di intimità domestica nasce e si sviluppa [proprio] in queste capanne, in contrapposizione alla libera vita in mezzo alla natura, segnata dalla fatica e dalla lotta. Le capanne divengono così piccoli mondi chiusi in se stessi, di cui fanno parte la famiglia e gli animali domestici; un unico tetto ripara tutti”6. L’interiorità infatti è un concetto che si sviluppa a partire dalla presa di coscienza dell’uomo di non essere da solo, ma di far parte di 155 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile una comunità. Nella capanna archetipa7 (Urhütte), esposta nel padiglione del Canada alla Great Exhibition di Londra nel 18518, Semper ritrova perfettamente sintetizzati i Quattro Elementi dell’Architettura: “in questi pochi, elementari motivi presi in prestito dalla prima coppia umana è già contenuto tutto ciò che l’architettura avrebbe poi inventato”9. “Il focolare (das Herd), simbolo primordiale (der urältesten Sinnbildes) della società e dell’umanità in genere”10, il centro sacro (heiligen Brennpunkt) “attorno al quale si raccolsero i primi gruppi, si strinsero le prime alleanze, si formularono le prime espressioni religiose e culturali, […] è il primo e il principale, l’elemento morale dell’architettura11. “Gli uomini si riunivano attorno al fuoco vivificatore, che li scaldava, li asciugava e consentiva la preparazione del cibo. Il focolare è dunque il nucleo, l’embrione di tutta la struttura sociale […]. Esso è il simbolo di quell’elemento morale che induce fin dall’antichità gli uomini ad unirsi in famiglie, tribù e popoli, favorendone la socializzazione con la stessa efficacia della necessità e dei bisogni più elementari”12. Attraverso il focolare dunque, la casa “è immaginata come un essere concentrato, ci richiama ad una coscienza di centralità”13: è qui che si concentra lo spazio ed è proprio da qui che contemporaneamente esso prende avvio. Attorno ad esso si concentrano [gli] altri tre elementi, in un certo qual modo le negazioni difensive, i protettori dei tre elementi naturali ostili al fuoco del focolare: il tetto (das Dach) che non solo protegge ma anche unifica tutti sotto un’unica superficie orizzontale; il recinto (die Umfriedigung) inteso come involucro permeabile e trasparente (nel senso fenomenico); il basamento (der Erdaufwurf)”14 che radica la capanna alla terra imprimendovi un segno. “QUESTA MELA È UN PICCOLO UNIVERSO IN SÉ, NEL QUALE IL SEME, PIÙ CALDO DELLE ALTRE PARTI, SPANDE INTORNO A SÉ IL Carl Larsson, La mamma e le sue bambine, 1897 Attraverso gli elementi del tetto e del basamento, la casa presenta così al tempo stesso un asse di collegamento verticale tra cantina e soffitta, tra terra e cielo, dove cantina e soffitto sono spazi umanizzati, amati, in cui ci viene voglia di rannicchiarci, luoghi speciali abitati dai ricordi della famiglia e degli antenati, quindi spazi che hanno la dimensione del sacro. Rimbaud scrive: “in una soffitta dove fui rinchiuso a dodici anni ho conosciuto il mondo, ho illustrato la commedia umana. In una cantina ho imparato la storia”15. “Il tetto dichiara immediatamente la propria ragione d’essere: esso mette al coperto l’uomo che teme la pioggia ed il sole. […] Nella soffitta è piacevolmente messa a nudo la forte ossatura della carpenteria, si partecipa alla solida geometria del carpentiere”. “In soffitta ci si traveste con gli abiti dei nostri nonni, con scialli e nastri. Non esiste, per le réveries, un museo migliore di una soffitta ingombra! Lassù le vecchie cose si CALORE CONSERVATIVO DEL SUO GLOBO legano per la vita all’anima del bambino”16. … TALE CALORE CONDENSATO, TALE “Nella soffitta, topi e ratti possono imperversare: se ritorna il padrone, CALDO BENESSERE AMATO DAGLI UOMINI, rientreranno nel silenzio del loro buco. Nella cantina [invece] si muovono FA PASSARE L’IMMAGINE DALL’ORDINE DI esseri più lenti, meno trotterellanti, più misteriosi. […] Nella soffitta, l’esperienza del giorno può sempre cancellare le paure della notte, nella cantina le tenebre dimorano giorno e notte. Anche col candeliere in mano, IMMAGINE CHE SI VEDE ALL’ORDINE DI IMMAGINE CHE SI VIVE. … IL SEME NON NASCE SOLTANTO IN UNA TENERA CULLA, SOTTO LA PROTEZIONE DELLA MASSA l’uomo nella cantina vede danzare le ombre sul nero muro”17. La cantina DEL FRUTTO, ESSO È IL PRODUTTORE DEL “è innanzitutto l’essere oscuro della casa, l’essere che partecipa alle potenze CALORE VITALE” COSÌ COME IL BRODO sotterranee. Sognando, ci si accorda con l’irrazionalità del profondo” NELLA CIOTOLA DI MINESTRA. (ricordiamo che secondo Bachelard anche l’ombra è un’abitazione). (Cyrano de Bergerac, Le theme de Gulliver et le postulat de Laplace, in Bachelard p.175) G.Asplund, Casa Asplund a Stennäs, 1937-40 156 “Talvolta [bastano] pochi gradini per approfondire oniricamente una dimora, per dare a una stanza la sua profondità. […] Alexandre Dumas, narrando i suoi ricordi riguardo alla topografia del castello di Fossés nel quale trascorse l’infanzia, scrive in I miei ricordi: «non ho più rivisto questo 157 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile castello dal 1805 e tuttavia posso dire che si scendeva in cucina con un gradino”, e poi aggiunge “al di là del camino, c’era la sala da pranzo, alla quale si accedeva salendo tre gradini”18. E riprendendo il racconto di Michel Leiris Aurora scrive: “«Passo dopo passo, scendevo i gradini della scala. […] Ero molto vecchio e tutti gli avvenimenti di cui mi ricordavo percorrevano dal basso in alto l’interno dei miei muscoli, come un maschio che si fa strada nel legno di un mobile». Tutto si anima quando la discesa si accentua: «i gradini gemevano sotto i miei piedi e mi sembrava di calpestare degli animali feriti con il sangue rosso intenso e gli intestini che formavano la trama del soffice tappeto». Il sognatore stesso scende ora come un animale nei condotti della casa, poi come un sangue vitale: «Se ora non sono in grado di scendere in altro modo che a quattro zampe, è perché all’interno delle mie vene circola il fiume rosso, ancestrale, che animava la massa di tutte le bestie braccate». L’autore sogna di essere «un millepiedi, un verme, un ragno». Ogni grande sognatore dell’inconscio animalista ritrova la vita invertebrata [ricordiamo l’essere metà carne e metà pietra dell’essere che abita nel guscio]. «Queste scale non sono [solo] il passaggio verticale a gradini disposti a spirale, che permettono di accedere alle diverse parti del locale che contiene la tua soffitta, ma sono le tue viscere stesse, il tubo digerente che fa comunicare la bocca, del quale vai fiero, con l’ano, del quale ti vergogni, scavando attraverso tutto il tuo corpo una scanalatura sinuosa e viscosa»”19. Scendere o salire le scale non è allora un movimento meccanico che serve unicamente per superare un dislivello, ma un’esperienza aptica durante la quale corpo dell’abitante e architettura si scoprono tutt’uno. Importante specificare però che la scala, così come la cantina e la soffitta, non devono essere necessariamente presenti fisicamente e formalmente: nella casa tradizionale giapponese per esempio non esiste né la cantina né la soffitta, eppure vi troviamo il genkan, l’atrio d’ingresso posto ad un livello qualche gradino più in basso rispetto al resto della casa, uno spazio soglia dove lasciare le scarpe ed entrare con rispetto nel privato lasciandosi alle spalle il pubblico. Analogamente pur mancando effettivamente un corpo scale, per accedervi occorre percorrere un sentiero irregolare fatto di tappe in sequenza da percorrere con attenzione, quasi fosse un rito che prepara al sacro, una salita simbolica. Oggi “non si pensa abbastanza alle scale. Niente era più bello, nelle vecchie case, delle scale. Niente è più brutto, più freddo, più ostile, più meschino, nei palazzi d’oggi. Si dovrebbe imparare a vivere di più nelle scale”20. “A Parigi non esistono case, gli abitanti della gran città vivono in scatole sovrapposte”, scrive Paul Claudel21 “i grattacieli non hanno cantine. Dal selciato fino al tetto, gli appartamenti si accumulano e la tenda di un cielo senza orizzonti chiude l’intera città. Gli edifici non hanno in città che una altezza esteriore: gli ascensori distruggono gli eroismi della scala, non c’è più merito ad abitare vicino al cielo. Lo stare in casa è soltanto una semplice orizzontalità. 158 G.Asplund, Casa a Stennäs, 1937-40 la prima versione mostra chiaramente il concept del progetto: la scala è l’edificio stesso e i suoi pianerottoli diventano veri e propri ambienti, spazi amati. Si noti il sottile strato di intonaco bianco che lascia ancora leggere la tessitura delle travi di legno sottostante, i grandi camini in muratura di cui uno esterno, i disallineamenti del percorso dal soggiorno alla cucina, la parete-Gewand che dà riparo alla zona lavabo, l’engawa di ingresso, il considerare lo spazio esterno come parte integrante della casa, la misura d’uomo e gli oggetti del vissuto che la abitano, tutti elementi che si ritrovano anche in Casa Bunzl di Josef Frank. Immagini da Blundell Jones pp.190-201 159 La seduzione dell’INvisibile “UNA LINEA RETTA, IL CAMMINO CHE I VERI CRISTIANI DEVONO SEGUIRE, DICONO I PADRI DELLA CHIESA. IL SIMBOLO DELLA RETTITUDINE MORALE, DICEVA CICERONE. LA LINEA MIGLIORE! DICONO I PIANTATORI DI CAVOLI. LA LINEA PIÙ BREVE, COME DICE ARCHIMEDE, CHE POSSA ESSERE TRACCIATA DA UN DATO PUNTO A UN ALTRO. MA UN AUTORE COME ME, E COME MOLTI ALTRI, NON È UN GEOMETRA; E HO ABBANDONATO LA LINEA RETTA”. (G.Perec, Specie di spazi, p.98) 160 La seduzione dell’INvisibile Ai diversi appartamenti di un palazzo dislocati al piano manca uno dei principi fondamentali per distinguere e classificare i valori di intimità. Alla mancanza dei valori intimi di verticalità, occorre aggiungere la mancanza di cosmicità della casa delle grandi città. Le case non vi si trovano più nella natura, i rapporti della dimora e dello spazio vi diventano fittizi, tutto è meccanico e la vita vi sfugge da ogni parte. […] La casa non conosce inoltre più i drammi cosmici. Talvolta il vento spezza una tegola del tetto per uccidere un passante nella via: tale delitto riguarda, però, soltanto il passante attardato. Il lampo, per un istante, fa balenare il fuoco nei vetri della finestra, ma la casa non trema sotto i colpi del tuono. Essa non trema con noi e attraverso noi”22. “Una casa senza soffitta è una casa in cui ci si sublima con difficoltà; una casa senza cantina è una dimora senza archetipi”. Per questo, secondo Frank, l’architettura deve trovare un modello non dall’appartamento borghese del XIX° secolo, non dal palazzo aristocratico, non dal grattacielo, “bensì dall’atelier dell’artista che si trova nella soffitta, l’appartamento bohemien. Qual è la differenza? L’abitazione normalmente era un allineamento di stanze. L’atelier però era uno spazio irregolare più alto nel sottotetto, con finestre collocate in modo casuale, che in genere erano state tagliate così non tanto per ragioni di illuminazione quanto per via di una complicata architettura della soffitta. E in questo spazio, che non venne mai pianificato, ma sorto casualmente come spazio di risulta, economico e primitivo, dato che non è considerato abitabile dalle autorità, venne inventata l’abitazione moderna. In questo spazio senza forma l’abitante creava le pareti spesso per mezzo di armadi e tende, lo suddivise attraverso soppalchi in due livelli e formò alla fine un complesso abitativo irregolare e tutto questo casualmente”23. “Questo luogo tabù pieno di accidentalità, possiede tutto ciò che noi inutilmente cerchiamo negli appartamenti arredati con sistema e metodo che vi stanno sotto: la vita. Ambienti ampi, finestre grandi, molti angoli, pareti curve, gradini e differenze di quota, colonne e travi, in breve, c’è tutta la varietà che cerchiamo nella casa nuova, per sfuggire alla sconsolante monotonia della stanza rettangolare. […] Il compito dell’architetto consiste ora nell’ordinare tutti questi elementi della soffitta per farne una casa”24. In un articolo del 1958 specifica che cosa intende con il termine “Accidentismo”: la graduale erosione della tradizione aveva costretto i modernisti ad inventare le proprie regole artistiche in cui “molto era vietato e poco permesso”, un’arte lontana dalla vita. Questo però portò all’effetto opposto e “la gente iniziò a richiedere di nuovo spazi che lasciassero spazio alla fantasia” e strade “che fossero qualcosa di più che mere soluzioni a problemi di traffico”. “Quello di cui abbiamo bisogno è una maggiore elasticità, non regole rigide e formali. […] Quello che ci serve è varietà e non una monumentalità stereotipata. […] Liberiamoci dagli stili universali, dalla equazione arte uguale industria, da tutto quel sistema che divenne famoso con il nome di funzionalismo. […] Dovremmo progettare il nostro contesto come se fosse nato per caso”25. Il termine gli era stato proposto dalla sua amica Trude Waehner alla quale in una lettera del 1946 precisa: “Accetto la tua proposta del termine “Accidentismo”, anche se non è proprio del tutto corretto poiché anche quando ci si inventa una pittura in modo naturale, in ogni caso alla fine sembra come se fin dall’inizio la si fosse voluta così, anche se involontariamente, appunto una involontaria volontà, involontaria ma reale. Questo è ciò che io vorrei avvenisse in architettura, l’accidentismo nell’architettura”26. Riprendendo quanto aveva scritto Dr.Wolfgang Born nel 1926 riguardo agli arredi Haus & Garten, nell’atelier che si trova in soffitta regna “una piacevole ovvietà”27. Anche Semper aveva sostenuto che l’architettura non è riassumibile in “una dozzina di regolette” come volevano i puristi e che “le infinite variazioni formali dell’architettura si concretizzano proprio nell’eccezione alla regola o meglio ancora allo schema dato, acquistando così dei tratti particolari ed una bellezza tutta speciale”28. La casa dunque deve venir composta non secondo una rigida griglia, quanto piuttosto come se fosse sorta naturalmente, come nelle città antiche. Questo è un insegnamento che gli viene dalle tesi avanzate da Camillo Sitte (1843-1903) – di cui Bruno Möhring era un grande sostenitore29 - riguardo alla poetica della costruzione delle città medioevali, sorte quasi per caso, formate da strade e percorsi irregolari che si aprivano a sorpresa in piazze pensate come punti di socializzazione e vita all’aria aperta, in contrapposizione invece all’uniformità delle scacchiere delle metropoli industrializzate: “strade irregolari e piazze che non venivano programmate sul tavolo da disegno, ma sbocciavano ‘in natura’. […] un’organizzazione spaziale pittoresca e appagante”. La piazza era intesa come “uno spazio delimitato da pareti, una specie di stanza all’aperto che fungesse da palcoscenico dell’esistenza quotidiana”. Ai suoi occhi le strade troppo larghe come la Ringstrasse per esempio e le piazze immense “condannavano all’isolamento sia gli uomini che gli stessi edifici”, determinando una nuova forma di nevrosi, l’agorafobia (Platzscheu)30: “l’agorafobia è una nuova patologia moderna. Ci si sente naturalmente a proprio agio nelle piazze piccole e antiche, che solo nella memoria si profilano gigantesche, perché nella nostra immaginazione la grandezza dell’effetto artistico prende il posto delle dimensioni reali. Nelle piazze moderne e gigantesche, con la loro stanca desolazione e la loro noia opprimente, anche gli abitanti delle vecchi centri storici soffrono di attacchi di questa malattia moderna qual è l’agorafobia. Viceversa nella memoria si riducono sempre più finché non ci resta che solo una piccolissima immagine di esse, ma comunque troppo grande in confronto con la nullità del loro effetto artistico”31. Riprendendo queste considerazioni, Frank concepisce la casa come una specie di città in miniatura, “come strada e come piazza” (Das Haus als Weg und Platz32): “Vorrei spiegare l’organizzazione della casa moderna come una strada (Weg), intendo cioè dire che l’essenza di una buona 161 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile abitazione consiste nel modo in cui si entra e ci si muove nella casa. La pianta è analoga ad una città cresciuta in modo organico: è “LO PSICOLOGO FRANCOISE MINKOWSKA HA STUDIATO I DISEGNI DI CASE FATTI DAI BAMBINI: SE È FELICE “C’È CALDO ALL’INTERNO, C’È IL FUOCO, UN FUOCO TANTO VIVO CHE LO SI VEDE SFUGGIRE DAL CAMINO. ... SE IL BAMBINO È INFELICE, DISEGNA CASE STRETTE, FREDDE, CHIUSE, CASE IMMOBILI: LA RIGIDEZZA E LA IMMOBILITÀ SI RITROVANO TANTO NEL FUMO CHE NELLE TENDE DELLE FINESTRE.... UNA CASA VIVENTE NON È DAVVERO ‘IMMOBILE’, IN QUANTO ESSA INTEGRA IN PARTICOLARE I MOVIMENTI ATTRAVERSO I costituita da strade principali, secondarie e piazze, che dovrebbero tutti essere caratterizzati in modo che non si abbia mai la sensazione di potersi perdere”33. In particolare le piazze all’interno della casa dovrebbero sembrare come sorte naturalmente, come in una città “quelle che sono cresciute assieme alle costruzioni che la circondano senza che la loro forma fosse stabilita a priori. Esse si sono sviluppate nel corso del tempo secondo esigenze pratiche ed estetiche e perciò poterono trasformarsi continuamente senza che venisse distrutta la loro impressione d’insieme. […] Qui, edifici appartenenti ad epoche e stili diversi (come in piazza S.Marco a Venezia per esempio) stanno in rapporto armonico e unitario con il tutto”. Non dovrebbero invece appartenere al secondo tipo di piazza, quella cioè “progettata da un unico architetto e in modo uniforme. L’unitarietà di simili piazze è tale che non vi si può modificare nulla senza in questo modo distruggere l’immagine d’insieme. Esse vennero pensate fin dall’inizio come ‘opere d’arte’”34 e porterebbero ad una casa come quella del “povero ricco” descritta da Loos. Nella lezione How to plan a House che aveva tenuto alla New School of Social Research negli anni Quaranta come rivisitazione di Das Haus als Weg und Platz, Frank intraprende un ipotetico percorso verso e dentro la casa spiegandone in questo modo la composizione spaziale. Paradossalmente è attraverso un attento controllo di questi percorsi e di queste piazze che Frank riesce ad ottenere un effetto di massima libertà di movimento e di scelta per l’abitante. QUALI SI ACCEDE ALLA PORTA. IL SENTIERO CHE CONDUCE ALLA CASA È SPESSO UNA SALITA, TALVOLTA INVITA; VI SONO SEMPRE ELEMENTI CINESTETICI”. (F.Minkowska, cit. in G.Bachelard, Poetica dello spazio, ed. 1999, pp. 95-97) Qui di seguito, dove non espressamente indicato, le citazioni si riferiscono a How to plan a house. In verde vengono messe a confronto alcune citazioni da Häuser und Gärten di M.H. Baillie Scott35. Anche quest’ultimo infatti, negli articoli pubblicati nella rivista “The Studio” durante gli anni novanta dell’Ottocento, aveva guidato il lettore nel percorso attraverso ipotetiche case ideali facendogli percepire l’esperienza dei diversi punti di vista e del movimento del corpo nello spazio36. “Il successo di un costruttore dipenderà certamente anche dal fatto se terrà conto del genius loci. Nella costruzione deve portare ad espressione lo spirito dell’intorno. Non deve essere un pugno nell’occhio, come spesso oggi le case di campagna, bensì innalzare la bellezza di se stessa e ancora di più del luogo in cui si inserisce. La costruzione dovrebbe aggiungere un tocco di umanità, senza il quale l’immagine risulterebbe meno intima”. Invece oggi “vediamo sulle colline desolate la ‘villa’ moderna, ‘pittoresca’, decorata a reticolo e realizzata con precisione meccanica, che rimane lì fuori sotto la pioggia come un enorme giocattolo abbandonato! La città divora la campagna come una malattia devastante”. In città, dove ”tutto sta diventando nero e fuligginoso”, l’intimità e il calore va concentrato soprattutto all’interno della casa. Riguardo alla collocazione dell’edificio rispetto al lotto, sostiene che mentre un tempo si dava più importanza alla protezione della casa, ora si punta più sulla vista e quindi si tende a collocare l’edificio sulla cima di una collina. Tuttavia secondo lui sarebbe preferibile posizionarla al centro in modo da proteggerla da un lato e creare dei terrazzamenti 162 sull’altro. In questo modo inoltre, arrivando al lotto da sopra, si creerebbe un effetto come se la casa fosse incastrata nella collina e quindi più intimo ed accogliente, mentre all’opposto un edificio posto in cima ad una collina ha un effetto più monumentale e imponente. Riguardo al giardino Baillie Scott critica la tendenza a separare l’orto dal “giardino del piacere”, convinti che “ciò che è utile non possa essere anche bello!”. Consiglia quindi di mescolare i due, in modo che ogni stagione vi sia qualcosa che fiorisca, ma facendo attenzione a mantenere un equilibrio tra bellezza e praticità che permetta anche di economizzare l’impegno di manutenzione e di adattarsi alle specie dell’intorno. Per questo anche le aree a prato sono da limitare se non si ha il tempo per tagliare l’erba, così come sono da preferire piante perenni piuttosto che quelle che devono essere ripiantate ogni anno. Una fontana può fungere al tempo stesso da irrigazione per il giardino e decorazione. In punti panoramici è bene collocare delle sedute ombreggiati da padiglioni e pergolati. Per quanto riguarda i percorsi, come Camillo Sitte che osservava le impronte lasciate sulla neve dai passanti nelle piazze, così Baillie Scott sostiene che “se si pensasse ad un giardino senza alcun sentiero, in breve tempo essi sorgerebbero spontaneamente attraverso l’usura del passaggio delle persone. Questi costituirebbero le linee giuda per come sistemare i percorsi del giardino”. Innanzitutto il percorso inizia già dal giardino, che va inteso come parte integrante dell’abitazione. “Se [tuttavia] a questo aggiungo che la casa debba costituire un’armonia con la natura, non intendo dire che essa vi si debba adattare; non esiste nessuna natura che pretende una determinata forma della casa in modo da combaciare con essa. L’architetto crea forme diverse dalla natura [questo distingue Frank da Hugo Häring37]; possiamo addirittura definire l’Architettura come un ordine della natura e questo attraverso forme sue proprie; più differenti sono le forme architettoniche da quelle della natura, migliori esse saranno, questa è il grande insegnamento dell’arte classica”. Man mano che ci si avvicina alla casa la natura va perciò “trasferita all’interno gradualmente e in modo discreto. A tal fine servono spesso poche trasformazioni: il pavimento e la piantumazione diventano sempre più regolari, e la porta è collocata in una nicchia che prepara all’ingresso mentre ci si trova ancora all’esterno”. Riguardo alla veranda scrive che “il giardino è il prolungamento della casa all’esterno, all’aria e al sole. Tuttavia nel nostro clima volubile il giardino non è sempre utilizzabile. Durante una pioggia o a protezione dei mobili da giardino ci viene in aiuto la ‘serra’, la veranda di vetro chiusa”, in cui si può bere il caffè nelle mattine di primavera oppure la sera godere del tramonto. Essa dovrebbe perciò essere una vera e propria stanza, preferibilmente collocata a sud, che se riscaldata può trasformarsi anche in una piccola serra. “La casa dovrebbe essere [inoltre] collocata a terra e non vi dovrebbero essere dei gradini che portino alla porta di ingresso; questa è una regola fondamentale per ogni abitazione in cui hanno da entrare gli uomini; l’unico edificio in cui erano da sempre consentiti i gradini [all’ingresso] era il tempio greco, la casa della divinità, in cui gli uomini non potevano entrare e per questo venne separato dal suolo per mezzo di scale. Questo tempio, che per la sua perfezione divenne modello di riferimento per tutta l’Architettura, ha perciò causato grandi guai perché il significato di questi gradini non venne capito”. 163 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile Mentre all’interno della casa le scale sono fondamentali come collegamento verticale tra terra e cielo, l’ingresso va collocato allo stesso livello del percorso esterno in modo da creare da una parte uno spazio soglia di interpolazione tra esterno ed interno (una specie di genkan dove poter lasciare le scarpe ed entrare così con rispetto nello spazio privato dell’abitazione), e dall’altra dimostrare un atteggiamento democratico dell’abitare in cui tutti gli uomini hanno lo stesso valore senza pretendere ostentazioni monumentali di ricchezza e potere. La casa in questo modo è simbolicamente un’umile capanna. Analogamente la porta di ingresso non dovrebbe trovarsi in una posizione simmetrica rispetto alla facciata perché questo creerebbe confusione, “colui che vi entra non sa[prebbe] dove deve andare, quello che la facciata dovrebbe rendere chiaro rende invece la pianta poco chiara”. Inoltre abbiamo visto come l’asimmetria crei profondità spaziale e trasparenza fenomenica, è quindi essa stessa uno spazio soglia. Nel 1909 Baillie Scott tiene una conferenza intitolata “Ideal in Building. False and True (L’ideale in una costruzione. Falsità e verità)” in cui dichiara “dovunque troviamo una leggera deviazione dalla regolarità; sia nei contorni che nelle superfici, ciascuna è caratterizzata da una propria tessitura. Una tale leggera modificazione, singolarmente difficilmente percepibile, ha un grande effetto nell’insieme e crea quella piccola differenza che alla fine fa la grande differenza”. Per questo anche la progettazione delle aperture di una facciata dovrebbe essere preferibilmente asimmetrica: esse devono venir collocate lì dove servono, anche fuori asse. La ripetizione di finestre tutte uguali produce staticità, non stimola il movimento, al contrario della varietà che è dinamica. In questo modo ogni finestra diversificata in forma e dimensione “danza liberamente sulla parete raccontando cosa accade al di là di essa”38 e seduce. La finestra non è infatti semplicemente un dettaglio tecnico che mi permette di far entrare luce ed aria all’interno dell’abitazione o viceversa di isolarla acusticamente e termicamente. È un oggetto complesso con una specificità in più rispetto alla porta: aprire una finestra significa voler creare un rapporto tra interno ed esterno, significa voler guardare verso un determinato punto di vista o voler far vedere all’esterno un determinato punto dell’interno, vuol dire instaurare un rapporto tra attore abitante e spettatore esterno, creare un momento di affaccio da cui poter osservare il teatro del mondo o viceversa essere osservati. Non per niente la finestra è stata da sempre usata come simbolo del passaggio nell’aldilà, in un’altra dimensione, misteriosa e affascinante, spesso chiusa da una tenda che nasconde, ma che al tempo stesso, muovendosi al vento, lascia intravedere. Per Leopardi la finestra era il mezzo attraverso il quale poter liberare l’immaginazione, il luogo della poesia, incontrare l’Infinito39. “Siamo a casa nostra, nascosti, guardiamo fuori. La finestra nella casa di campagna è un occhio aperto, uno sguardo rivolto alla pianura, al cielo lontano, al mondo esterno in senso profondamente filosofico. La casa dà all’uomo che sogna dietro la finestra (e non alla finestra), dietro la piccola 164 finestra, dietro l’abbaino della soffitta, la sensazione di un esterno, tanto più diverso dall’interno quanto maggiore è l’intimità della sua stanza. La dialettica dell’intimità e dell’Universo sembra farsi più precisa grazie alle impressioni dell’essere nascosto che vede un mondo nella cornice della finestra”40. “Attraverso la finestra del poeta, la casa intreccia col mondo un rapporto di immensità: anche essa, come piace dire al metafisico, la casa degli uomini, si apre al mondo”41. “La finestra estende otticamente lo spazio aprendolo verso esterno e modificandone la sua forma. Bisogna perciò porre attenzione su quale parete è collocata e in quale direzione debba essere aperta, se lungo la sua lunghezza o l’ampiezza. La finestra non serve a dare la maggior luce possibile, e nemmeno la luce più uniforme, bensì quella illuminazione che noi vogliamo. Se si tratta di un foro (Loch) con una cornice in muratura, allora la forma della stanza verrà conservata”, ma il paesaggio incorniciato viene otticamente allontanato e diventa quasi un quadro, una miniatura il cui dettaglio si ingrandisce o rimpicciolisce a seconda di quanto l’osservatore si avvicina ad esso. Questo tipo di finestra dunque è selettiva, e seducente, perché mantiene una certa dose di invisibile. Essa disegna “COLUI CHE GUARDA DAL DI FUORI ATTRAVERSO UNA FINESTRA APERTA NON VEDE MAI TANTE COSE COME CHI GUARDA UNA FINESTRA CHIUSA. NON C’È OGGETTO PIÙ PROFONDO, PIÙ MISTERIOSO, PIÙ FECONDO, PIÙ TENEBROSO E PIÙ ABBAGLIANTE DI UNA FINESTRA ILLUMINATA.” (Charles Baudelaire) A fianco Alberto Campo Baeza, schizzo di studio per la Casa de Blas a Sevilla la Nueva, Madrid, 2000 165 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile per terra una luce puntiforme incorniciata che evidenzia la separazione tra interno ed esterno e la perforazione violenta della parete. “Se invece l’apertura si protende fino alle pareti laterali [finestra a nastro] oppure va dal pavimento al soffitto [finestra francese], allora sfonda lo spazio e lo collega con il mondo esterno”: la vetrata permette un’infinità di direzioni e avvicina l’osservatore al paesaggio a tal punto da immergerlo in esso, con il rischio tuttavia che venga addirittura catapultato all’esterno dimenticandosi dell’interno. Per questo Frank si dimostra scettico di fronte alla finestra verticale, che secondo lui non ha “nessun rapporto con l’uomo”, preferendo invece una via di mezzo rappresentata dalla porta-finestra scorrevole giapponese, uno spazio filtrante, dotata di cornice, che al tempo stesso mostra e nasconde a seconda di come la muovo permettendomi così numerose direzioni e variazioni, di immergermi nel paesaggio senza catapultarmi totalmente all’esterno grazie anche alla presenza dell’engawa, il portico di mediazione tra interno e intorno. Una finestra serve a lasciare luce ed aria all’interno dell’abitazione, ma ancora più rappresenta ‘l’occhio’ della casa attraverso cui essa guarda all’esterno, ma al tempo stesso si può guardare all’interno. Nella casa di oggi generalmente le finestre sono troppo grandi, “come vetrine di un negozio”. Questo rovina “la sua accogliente intimità e la sua bellezza silenziosa. […] La pioggia batte contro le grandi vetrate e il sole brucia senza ostacoli nella camera, anche se è velata da una tenda preziosa raccogli-polvere. […] La bellezza del vetro si apprezza nel suo utilizzo in dimensioni piccole, impiegandole in modo che brillino e riflettano al più piccolo spostamento della lastra. La grande vetrata invece, che in realtà dovrebbe ‘rispecchiare’, è quella che riflette di meno; la sua trasparenza vuota e rigida andrebbe evitata”. In questo modo si semplificano di molto anche i tendaggi, eliminando drappeggi, mantovane e tutto ciò che è superfluo. “Il tipo di finestra più adatto, soprattutto per case di campagna o di periferia, è quella piccola a battente che si apre verso l’esterno come una porta”. E’ costruita in modo semplice e ha la capacità di espandersi in altezza o in larghezza a seconda delle necessità. Ha inoltre il vantaggio di poter rimanere priva di tendaggi anche a sud senza far entrare troppa luce all’interno della stanza. La bay-window rende possibile un’espansione della stanza e allo stesso tempo un incremento della luce che può provenire in questo modo da più direzioni, oltre che fungere da luogo di seduta e belvedere. Un muro di un certo spessore “offre spessore per finestre, sporgenze e nicchie, permette davanzali e soglie larghe che non sporgono nella stanza ed infonde a tutto lo spazio interno qualcosa di accogliente e resistente. Entrare in una casa del genere, significa davvero essere protetti all’interno contro le ingiustizie e gli accadimenti esterni”. Inoltre permette una temperatura equilibrata sia in estate che in inverno. Una volta arrivati di fronte alla porta di ingresso troviamo una maniglia: “non si tratta semplicemente di una casa-costruzione, è una casaabitazione. A chi potrebbe obiettare che la maniglia serve tanto a chiudere come ad aprire, Bachelard risponderebbe che «nel regno dei valori, la chiave, più che aprire, chiude. La maniglia, più che chiudere, apre»”42. La porta dotata di maniglia e serratura è una cucitura, una giunzione che al tempo stesso separa e unisce due opposti, pubblico e privato, attore e spettatore. “Non si può andare dall’uno all’altro lasciandosi [semplicemente] scivolare, non si passa dall’uno all’altro, né in un senso, né nell’altro: ci vuole una parola d’ordine, bisogna oltrepassare la soglia, bisogna farsi riconoscere, bisogna comunicare […] Se non ci fossero 166 porte, non ci sarebbero chiavi”43. E dove la serratura e la maniglia vengono a mancare, come nella casa del tè giapponese, sono simboleggiate dall’inchino necessario per sorpassare una porta altrimenti troppo bassa. “Una volta che siamo entrati nella casa e che ci siamo [momentaneamente] separati dalla natura, inizia il percorso progettato attraverso lo spazio abitativo (Wohnraum). […] Se la casa è disposta correttamente, il visitatore che vi entra per la prima volta riuscirà a trovare subito il percorso per raggiungere ogni stanza. A tal fine è necessario che ciascuna di queste venga caratterizzata in modo che attraverso la sua forma e la sua illuminazione si possa comprendere in quale direzione debba essere percorsa oppure se è destinata alla permanenza”. Per esempio “se esistono dei corridoi in cui non ci si dovrebbe soffermare, allora essi dovrebbero essere percorribili nel senso della loro lunghezza e dovrebbero essere illuminati in modo uniforme sui lati lunghi in modo che non vi si crei un centro”. Queste stanze possono anche venir “collocate su differenti livelli ed avere altezze diverse, cosa che può conferire loro una migliore caratteristica e fornirci una sensazione di vivere in uno spazio tridimensionale”. “La via, che congiunge le singole piazze dell’abitazione, deve essere così ricca di variazioni da non consentire mai di percepirne la lunghezza”44. “Una delle regole più importanti perciò vuole che il percorso sia continuo, che la linea retta venga interrotta in punti precisi e che ogni cambiamento di direzione sia motivato. Soprattutto è necessario che non si proceda mai a ritroso e che non si debba fare lo stesso percorso due volte o ancora che si debba salire delle scale e poi di nuovo scendere, cosa che creerebbe confusione”. Anche quando si scende una scala si deve avere la sensazione di percorrerla per la prima volta. Nei progetti di Frank le scale fungono da perno verticale attorno al quale si forma la composizione dello spazio e spesso costituiscono perciò un elemento scultoreo a spirale, dove “il cerchio e la spirale sono due forme geometriche che esprimono in modo diverso il concetto di infinito: il cerchio nell’eterno e ciclico ritorno su se stesso, la spirale nella dinamica e ciclica e infinita intorno all’asse verticale”45. “Ogni giro della scala serve alla continuità del suo svolgersi, e non all’economia di spazio. Non sempre il vano più grande in metri quadrati è il più abitabile, così come non sempre la via più breve è la più gradevole e la scala più diretta è la migliore, anzi direi quasi mai. La statistica delle superfici abitabili di una casa uccide l’architettura”46. “Attraverso l’interruzione delle rampe in più di un pianerottolo possiamo cancellare un effettivo tornare indietro nel percorso, e distruggere ogni orientamento per mezzo di una scala a chiocciola. Tutti questi elementi costruttivi, che alludono simbolicamente ai passi (Durchschreiten) della casa, [al sentiero propiziatorio verso un luogo sacro], debbono essere pensati bene, poiché costituiscono la vera architettura della casa, se questa ha da essere qualcosa di più di un semplice accostamento di stanze”. Le scale progettate da Frank non sono fatte per essere percorse con 167 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile velocità e distrazione, quasi meccanicamente (come invece per esempio le scale di servizio), ma vanno affrontate con cura e attenzione, percependo durante la percorrenza lo spazio attorno attraverso tutto il corpo. “L’occhio ci mostra unicamente il piano: noi possiamo dedurre, infatti, da scorci di contorni e da ombre, le variazioni in profondità soltanto di oggetti a noi noti, per percepire i quali ci sorregge l’esperienza”47. E’ solo attraverso la sinergia fra tutti i sensi che otteniamo la certezza dello spazio: il piede che cammina, la mano che accarezza il passamano, l’occhio che cambia continuamente punto di vista, il naso che fiuta i diversi materiali, l’orecchio che ascolta i passi e le risonanze. E questo “senza mezzi clamorosi o avvisi decorativi; al visitatore, all’abitante, non deve mai sembrare di essere guidato” (a differenza della promenade architectural di Le Corbusier in cui il percorso è obbligato)48. “Al posto di una abitazione che si sviluppa secondo un allineamento di stanze una in fila all’altra, che in case di piccole dimensioni diventerebbero troppo poche per essere comode, la casa progettata razionalmente dovrebbe contenere un grande e spazioso soggiorno come spazio principale; esso dovrebbe essere il più possibile ridotto all’essenziale, dotato solo dei mobili davvero necessari e lasciare ampio spazio al movimento. Le stanze private dei membri della famiglia dovrebbero quindi risultare allegati e organizzati attorno a questo spazio principale, in alcuni casi possono essere visti anche solo come suddivisione o nicchie e alcove di questo grande spazio. Persino lo studio può essere annesso in questo modo, così che la cucina diventi allo stesso tempo soggiorno e sala da pranzo, come un tempo accadeva nella casa del contadino ed ora torna di nuovo ad essere ripreso”. “Riguardo al significato dei gradini e alle differenze di quota in una casa vorrei dire che i gradini conferiscono l’impressione di decoro e importanza. In una chiesa questo effetto viene ottenuto attraverso i gradini verso l’altare, e la facciata di una casa guadagna sempre lo stesso effetto mediante le scale che conducono all’ingresso. Tuttavia in questo modo viene meno una certa quantità di intimità che viene resa piuttosto da gradini che scendono verso la porta d’ingresso” invece che salire, dato che “il guardare all’ingiù verso uno spazio domestico interno incrementa di moltissimo la sensazione di intimità”. In relazione al camino dichiara che è “una caratteristica specifica della tradizione inglese, una trasmissione della vecchia casa del contadino sassone”. La casa migliore sarebbe collocarlo al centro della parete oppure inserirlo in una nicchia dotandolo di un angolo per la seduta ed evitare giri d’aria tra porta d’ingresso alla stanza e il camino stesso. Per quanto riguarda gli animali domestici, consiglia di dedicare loro una piccola cuccia con sportellino attraverso il muro collocata vicino al camino in modo che sia all’esterno ma contemporaneamente calda per la vicinanza col focolare. “Uno dei vantaggi delle stanze basse (che viene riconosciuto così raramente) è che in questo modo l’impianto del corpo scala viene significativamente semplificato”. Per renderlo più comodo e meno pericoloso in caso di caduta, sarebbe bene interrompere il corpo scala mediante uno o più pianerottoli. A differenza di Frank, Baillie Scott tuttavia non consiglia di porre il corpo scala all’interno dello spazio del soggiorno dove occuperebbe solo che spazio. Frank infatti si dimostra apertamente contrario all’accostamento in fila “L’ingresso al soggiorno dovrebbe essere chiaramente visibile”, preferibilmente di fronte all’atrio. “Se questo ingresso è una porta, allora essa è da caratterizzare come la porta di ingresso, va collocata cioè in una nicchia, per la quale spesso basta anche solo lo spessore del muro”. “Spesso [infatti] si sottovaluta l’importanza che ha l’apertura di una porta; vorrei far notare in questa sede che, per esempio, quasi tutte le porte sono fissate in modo sbagliato: avendo il battente verso la parete, colui che entra si trova improvvisamente lì, creando disagio. Se invece la porta si apre verso la stanza, allora quando si entra si forma un anticamera tra porta e parete e lo spazio della stanza non viene disturbato”49. L’ingresso alla camera avviene così in modo graduato. “Il soggiorno è il centro della casa, analogamente come in una città la piazza principale, ma con la differenza che esso non è necessario sia collocato [fisicamente] al centro”. Esso “possiede al suo interno un altro centro che conferisce al salotto il proprio carattere. Solo così tutte le decorazioni, che in fondo non erano nient’altro che tentativi di conferire allo spazio un carattere, divengono inutili. Un tempo il centro era costituito dal camino, che rappresentava nel soggiorno il luogo naturale del riunirsi; oggi non è più necessario e perciò lo spazio deve essere dotato di una forma in cui è subito individuabile in esso un luogo per il riposo (Ruheplatz); esso può essere più illuminato 168 rispetto al resto della stanza, ma anche più scuro, basta che sia diverso e non vi devono essere dubbi quale esso sia: deve essere percepibile”. Questo punto centrale “è il luogo dove ci si siede. […] È anche la mancanza di questo centro formale che rende così invivibile uno spazio rettangolare”50. di stanze rettangolari tutte uguali, impersonali, simili ad “una cella nella prigione”: “gli angoli retti producono una costrizione; le forme rettangolari sono stati imposte per necessità in modo da poter allineare una accanto all’altra le case in città a formare una strada; tuttavia sappiamo anche che il volere le strade diritte divenne esagerato al fine anche qui di rappresentanza. Più le strade sono irregolari, più la città è vivibile”. “Lo spazio rettangolare [quindi] è il più inadatto all’abitare […]. La camera rettangolare induce sempre l’architettura ad aver a che fare con i mobili. A mezzo di costruzioni, colori vistosi o creando forme cubiche, si vorrebbe dividere e ripartire l’ambiente rettangolare assolutamente privo di carattere per dargli un che di caratteristico. Tuttavia, il compito dell’architetto consiste nel costruire ambienti, non nel disegnare mobili o nel dipingere pareti; ciò fa parte del buon gusto, che ognuno dovrebbe possedere. È risaputo che in uno spazio ben concepito, non è importante che tipo di mobili vi siano collocati, a meno che essi non siano talmente grandi da diventare elementi architettonici. […] La camera rettangolare è assai responsabile delle mostruosità della nostra moderna arte decorativa, che spesso deve essere chiamata in aiuto per correggere, in modo relativamente poco costoso, la vuotezza di quei vani parallelepipedi”51. “All’architettura appartiene lo spazio, ma solo questo, i mobili no […]. Si deve fare attenzione a non fare architettura con i mobili, e a non distruggere con questi la forma intelligibile di uno spazio”. Era quello che aveva già sostenuto Loos quando scriveva: “Non esistono mobili moderni! O per essere più precisi: solo i mobili che sono movibili possono essere moderni […] la realizzazione dei mobili movibili la si lasci al 169 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile falegname o al tappezziere. Loro ne fanno di meravigliosi. Mobili che sono moderni come le nostre scarpe, i nostri vestiti, le nostre valigie e le nostre automobili. […Invece] le pareti di una casa appartengono all’architetto. Qui egli è libero di esprimersi. E così come le pareti, anche i mobili che non sono mobili. Essi non devono sembrare dei mobili”52 perché sono parte integrante della parete, mentre per quanto riguarda gli oggetti mobili, quelli che sono prodotti dagli artigiani e non dagli architetti, “a ciascun abitante deve essere lasciata libertà di scelta secondo il suo gusto e bisogno”53. Tuttavia, mentre Loos tendeva a collocare i mobili addossati alle pareti concependo l’armadio a muro come contemporaneamente “l’involucro (Raumhülle) e un contenitore (Behältnismöbel)”54 della stanza in modo che “il centro della camera rimane[sse] libero (Bewegungsraum, spazio del movimento)”55 -“il baricentro [di una stanza] risiede naturalmente nel rivestimento della parete, nel camino e negli armadi a parete, cioè in quegli elementi che non appartengono all’arredo, bensì alla casa, cose che il proprietario dovrà farsi realizzare da una persona su ordinazione”56 -, Frank invece “non rifletteva troppo su come ordinare i mobili in una stanza, fintanto che gli angoli non erano nascosti. Per lui gli angoli di una stanza erano così importanti come le pause in una musica”57. Lo spazio secondo lui “deve essere percepito chiaramente, cioè tutte le sue linee di delimitazione (nella comune stanza prismatica sono in totale 12), [gli 8 angoli] e le superfici che definiscono le dimensioni di una stanza (pavimento e soffitto), devono essere visibili in tutta la loro estensione o almeno senza grosse interruzioni”58. “Per questo i mobili devono poggiare su gambe alte quanto basta, per distinguere (o almeno intuire) le linee di limite tra suolo e parete […]. Il mobile disposto liberamente in mezzo alla stanza, funzionerà come organismo indipendente, la sua forma pertanto dovrà essere il più possibile diversa da quella dello spazio”59, “meno prismatica possibile: la superficie rettangolare, che è espressione comune di un senso d’ordine, pretende sempre una posizione parallela alla parete; la tavola rotonda con le sue tre gambe invece si può mettere ovunque, ed attorno ad essa disporre a piacimento le sedie anch’esse rotonde”60. “Le misure assolute del mobile sono molto meno variabili di quelle dello spazio, perché il mobile, sta in contatto diretto con il corpo umano, per tale motivo definiamo inconsciamente con la nostra misura fisica, tutte le cose”61. La parola “mobile” (Möbel) deriva da “mobile”, che si può muovere. Questo è da intendere nel senso più letterale. Un armadio non è mobile, esso costituisce “uno spazio nello spazio” (Raum im Raum), può stare solo in un’unica posizione e pretende molte considerazioni, ordine, simmetria e simili. Esso distrugge la chiarezza della stanza, se è troppo grande in rapporto alle sue misure. Perciò mobili simili sono da evitare. […] Quello che ci rimane sono i “tavoli” e le “sedie” movibili, che non possono esercitare nessuna influenza dato che essi sono collocati nell’ambiente come a caso e non hanno una collocazione fissa. Anche per questo però ciascun pezzo 170 deve essere indipendente dall’altro, non deve coprire nulla ed avere effetto solo nella composizione come ‘gruppo’. […] Dunque non esistono più per noi gli “arredamenti” [composti cioè da elementi fissi e inseparabili come panca e tavolo uniti, letto con comodini integrati, poltrona imbottita che fa tutt’uno col camino], ma solamente “mobili come pezzi unici” (EinzelMöbel)”62. Essi vanno disposti lì dove serve e per questo devono essere il più possibile leggeri63. A proposito dei mobili Baillie Scott raccomanda di arredare la casa solamente con i pezzi che sono davvero utili in modo da non sovraccaricarla con “ostacoli al movimento” e facilitare le pulizie domestiche. Sconsiglia vivamente di comprare i mobili nei negozi che pretendono di essere artistici e originali. Meglio di tutto “pochi pezzi, costruiti in modo solido e spartano come se appartenessero ad un tutto”, cioè i vecchi mobili delle case di campagna che erano prodotti per servire ad uno scopo. “Tali vecchi mobili hanno qualcosa di umano ed intimo in sé; le diverse direzioni delle venature del legno assieme alla costruzione solida e i segni di un lavoro paziente e lungo hanno qualcosa di accogliente. La maggior parte dei ‘mobili artistici’ invece mostrano che la loro realizzazione è prodotta da una macchina automatica. L’esecuzione liscia della superficie è una illusione. Nessuna mente umana ha pensato con cura un tale ‘trattamento finale’ esterno. Tale arte è solamente un’esca per l’acquirente che deve abbagliarlo dove in realtà pecca di una buona esecuzione artigianale. […] Ma questo non significa che l’arredo moderno per essere buono debba essere costituito da copie di quelli antichi e nemmeno che tutti i nuovi progetti siano necessariamente infami e sciocchi. Un miglioramento tuttavia non può sorgere dalle condizioni lavorative della fabbricazione moderna; necessita di cura (Liebe) ed è il risultato di un disegno ragionato e un intelligente trattamento del materiale”. Baillie Scott tuttavia, a differenza di Frank e più vicino a Loos, permette la realizzazione di arredi inseriti nella parete e armadi a muro: “è sempre preferibile che i nostri mobili siano adattati ad un certo spazio e luogo, come risultato di un pensiero complessivo che inizia dalla pianta e dalla costruzione. Tra casa e mobile non dovrebbero esserci fessure! Dove è possibile, l’arredo dovrebbe presentarsi sotto forma di armadi a muro e adattarsi allo spazio come parte integrante della casa; anche l’arredo movibile non dovrebbe apparire come un ‘elemento estraneo’, ma come parte della casa”. “Oggi si ha spesso il pregiudizio di considerare il modo più semplice di produrre le cose come il peggiore; questo è un grave errore. Nella moderna lavorazione del legno per esempio si considera il chiodo come qualcosa da nascondere. […] nella produzione di mobili molto semplici in cui il legno viene tenuto assieme da chiodi che sono come battuti dal fabbri, a testa larga come quelli per le scarpe, si potrebbero mostrare senza vergogna a ragione della costruzione e contemporaneamente come ornamento. Nei confronti di queste semplici costruzioni a ‘pacchetto’ (Packkisten, scatole impacchettate), per un armadio o una cassettiera per esempio, ragionevolmente non si ha nulla da criticare”. Già Baillie Scott aveva affermato: “L’arte dell’arredo lo hanno capito al meglio i giapponesi che nelle loro case non hanno alcuni mobili”64. “La donna moderna desidera ottenere nel suo appartamento un effetto ‘giapponese’ e si illude che possa ottenerlo attraverso una grande collezione di vasi, cassetti e mobili in bambù. Quanto diverso è invece è in realtà una stanza giapponese, quanto diversa l’intenzione del suo abitante! Qui le pareti e i pavimenti sono liberi e ‘vuoti’. Nulla distoglie l’attenzione da quel singolo fiore o quadro che decora l’ambiente”65. Analogamente secondo Frank “le pareti ed il soffitto devono essere bianchi, perché solo in uno spazio così libero può essere usato qualsiasi colore”66. “La tendenza che si presenta spesso di dipingere le pareti di uno spazio, in vari colori, indica la presenza di uno spirito decorativistico. Nonostante 171 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile tutte le affermazioni contrarie, si tratta di una tendenza che vuol fare dello spazio un’opera d’arte”67. “Per l’uomo primitivo [il gusto personale] è dettato soprattutto dalla scelta del colore preferito che deve essere steso ovunque, partendo dalla convinzione che tutto debba armonizzarsi con quel colore. Un essere umano più sensibile [invece] non ha un colore preferito, ed in nessun modo vorrebbe averne uno costantemente davanti agli occhi. L’abitazione moderna ha pareti bianche; ciò costituisce per l’individuo l’unica possibilità di mantenere la propria libertà, potendo disporre le proprie cose a piacimento senza il disturbo di decorazioni colorate. […] Per noi [esseri umani più sensibili] sono sufficienti una tenda o un tappeto per soddisfare il nostro bisogno cromatico”68, a “saziare la [nostra] fame di moda, lasciando invece in pace gli oggetti pensati per durare a lungo”. “Rivolgiamoci ora al compito della decorazione, ci renderemo conto di superare un confine verso un nuovo ambito dove al posto della realtà pratica regnano il sogno e la fantasia. […] Non esistono regole e nessuna legge ti obbliga a decorare la tua casa. Se non sei spinto dal desiderio di bellezza, allora è meglio che lasci del tutto stare la decorazione. […] nel significato originale la decorazione dovrebbe consistere nel rivestire l’architettura con colore e ornamenti. Senza di essi ogni edificio deve possedere una sua propria bellezza costruttiva, e la decorazione dovrebbe dargli solamente l’ultimo tocco finale. La casa non deve essere fatta per la decorazione, bensì viceversa! […] Se una casa è costruita bene e organizzata spazialmente in modo ragionato, non necessita di decorazione”. L’ornamento può essere dato anche solo dal trattamento del materiale come la lucidatura della pelle, lavori da fabbro o intarsi in legno. Nelle sue architetture Baillie Scott insiste e sperimenta sul trattamento dei materiali mostrando una ricca palette di texture diverse. Egli concepiva una texture come risultato di un processo che serve a esprimere al meglio le caratteristiche stesse di un certo materiale e non un capriccio estetico. Quando necessari tuttavia, tra gli ornamenti egli annovera le tappezzerie (per le quali consiglia motivi floreali), il colore, i quadri e persino la scrittura di citazioni: “in un’epoca come la nostra in cui il conversare è spesso limitato a cose triviali e superficiali, può essere utile l’applicazione di aforismi che contribuiscano a spiegare le tendenze e desideri o il gusto del proprietario e trasmettere il suo mestiere o la sua visione della vita“. Se altrimenti questi aforismi sono riservati solamente agli abitanti della casa, è bene renderli illeggibili o scriverli in una lingua straniera. “La scelta di questi epigrammi è qualcosa di assolutamente personale e ognuno deve sceglierli da solo”. Bisogna però stare attenti a non esagerare perché altrimenti si rischia di “evocare i manifesti pubblicitari delle strade e stazioni e anche se ammiriamo e crediamo molto ad un vecchio motto quando inizia a ripetersi giorno per giorno diventa di una banalità insopportabile”. Per quanto riguarda il colore sostiene: “l’utilizzo decorativo dei colori sviluppa la capacità di pensare come fa il musicista con i suoni e le note. Non è tuttavia sempre necessario prendere come riferimento la natura, ma bastano libere esecuzioni stilizzate”. Come esempio di riferimento consiglia di prendere la combinazione di colori giapponese, quindi tonalità neutre e naturali come sfondo che non rischiano di impallidire col tempo e conferiscono un effetto calmante, mentre per i primi piani possono essere usati anche colori accesi facendo attenzione però a trovare un equilibrio tra colori che tranquillizzano e quelli che conferiscono allo spazio una certa vitalità. A proposito dei quadri si chiede “fino a che punto la pittura ha influito sul decadimento dell’arte nel suo concetto più ampio. Oggi la pittura costituisce l’ultima ‘barricata’ dietro alla cui cornice dorata cerca rifugio il pittore, dopo esser stato cacciato dal servizio della vita! […] Oggi troviamo ‘l’arte’ nei negozi di commercio, schiacciata sotto al tallone di ferro del mercantilismo. Se l’arte vuole tornare ad essere una forza che permea ogni cosa invece di una questione solo per pochi ‘conoscitori’ dilettanteschi, allora deve essere ristabilito il collegamento col suo significato originario. […] La pittura appartiene ad un luogo specifico nel quale essa costituisce parte integrante di un tutto armonico”, per questo Baillie Scott si dimostra critico nei confronti dei quadri trasportabili perché sono realizzati come oggetti isolati e indipendentemente 172 dalla casa. Per questo motivo bisogna far sì che “i quadri si fondino con la superficie delle pareti e sembrino parte di loro. La cornice allora costituirà l’elemento di unione tra quadro e parete”, una cucitura. Inoltre devono essere collocati “in modo da sottolineare certi punti specifici, magari all’interno di un rivestimento sopra al camino, ad un divano ad angolo oppure sopra ad un mobile importante. […] Se sono pochi pezzi selezionati e con un effetto decorativo allora contribuiranno davvero a mettere in evidenza dei punti attrattivi dello spazio”. Per le tappezzerie consiglia il lino che si sposa bene con le cornici dorate dei quadri. Come motivi cita quelli di Morris, Vosey e Walter Crane. In ogni caso “nella scelta di una tappezzeria ed altri mezzi decorativi non bisogna mai dimenticare che il loro valore ed effetto dipende dal loro intorno e che questa relatività è più importante rispetto all’assoluta bellezza della tappezzeria. L’armonia è tutto!”. Frank infatti non si dimostra contrario al fenomeno della moda: essa “modifica le necessarie ed economicamente motivate interruzioni della monotonia dell’industrializzazione che altrimenti diventerebbero insopportabili. Dobbiamo perciò tenerne conto poiché, così come avviene per l’industrializzazione, non ci si può opporre”69. Anzi, “chi mette su casa oggi farà bene a non acquistare cose di lunga durata, ma solo quelle necessarie ed economiche che sono di facile consumo per avere così la possibilità di cambiare spesso ambiente, procurarsi nuove emozioni che la stabilità rende impossibili. Questo modo di vivere è ciò che mantiene giovane l’uomo che, cambiando spesso ambiente, si rinnova”70. “In un’epoca [infatti] in cui i mobili e gli oggetti domestici vengono sempre più standardizzati, si cercano altre possibilità per conferire uno specifico carattere e una nota individuale alla casa (usa Heim, non Haus). I migliori mezzi che ci vengono in aiuto in questo caso sono quegli oggetti e dettagli dell’arredamento che più o meno sono di natura accidentale, come per esempio le stoffe e le tappezzerie. Questi elementi decorativi ci permettono di rendere uno spazio più chiaro o più scuro, più tranquillo o vivo, e così via. […] Inoltre con il loro aiuto abbiamo la possibilità di cambiare otticamente le proporzioni di una stanza. […] Una tappezzeria colorata conferisce allo spazio sempre un certo carattere di chiusura e può dunque, se scelta e usata con buon gusto, contribuire all’effetto accogliente di una stanza. Essa caratterizza l’immagine di un ambiente molto più rispetto ai mobili, siccome questi sono movibili mentre la tappezzeria rimane sempre parte dello spazio”71. Tuttavia “una carta da parati non può far rinunciare ad un quadro o ad una stoffa, per il fatto che questi non si accompagnano alla parete. […] Il pittore sceglie la cornice dorata, appunto perché essa non entra in concorrenza con il suo quadro”72. Già Semper aveva affermato che “la tappezzeria non è un quadro, né deve esserlo. Grandezza, forma e colore del disegno o della fantasia sono strettamente legati all’ambiente in cui essa si inserisce. [… occorre] considerarlo sempre uno sfondo rispetto agli oggetti e alle persone che si trovano nella stanza: esso deve essere pertanto poco pretenzioso e, soprattutto, tranquillo”73. Importante è allora mantenere con la moda un rapporto di equilibrio: “Il buon gusto non ha niente a che vedere con l’arte, anzi spesso si presenta opposto ad essa perché collegato al senso di misura”74. Infatti, consiglia 173 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile Frank, “anche se spesso è utile influenzare la forma di una stanza secondo una certa direzione, non è tuttavia necessario tappezzare tutta la stanza”, a volte basta una parete sola. In generale poi è meglio se le carte da parati abbiano “colori chiari naturali e pattern per lo più neutri”75, mentre sono permessi colori accesi in quegli ambienti in cui ci si sofferma poco tempo o di passaggio come corridoi, scale, cucina, atri, ma anche stanze d’albergo, camere per gli ospiti, sale da pranzo. A proposito delle pareti sostiene: “nelle camere semplici è meglio uno sfondo scuro perché gli oggetti sfumano nello sfondo scuro, invece di risaltare in modo netto. Contro una parete bianca o rivestita con un legno molto chiaro per esempio un arredo in mogano scuro richiederebbe una disposizione piuttosto formale e precisa ed ogni più piccolo spostamento risalterebbe subito all’occhio. Se invece collochiamo gli stessi mobili contro una pannellatura in mogano allora i contorni scompaiono e la loro esatta posizione non è più così importante. Dato però che ovviamente soltanto le parti inferiori della parete costituiscono lo sfondo per mobili e persone, la parte superiore può essere decorata in modo libero. Un trattamento troppo scuro dello sfondo può però causare un’atmosfera troppo tetra; in questo caso si scelga per la parte superiore della parete una tonalità più chiara di un ottavo! La vecchia soluzione con la pannellatura in quercia scura con sopra intonaco bianco o stucco è quella più ragionevole per risolvere il difficile problema della parete”. Il camino, le porte e le finestre andrebbero incorniciati con mattoni o pietra, mentre la parte bassa delle pareti andrebbero rivestite con un materiale che non sia troppo freddo né eccessivamente ruvido, senza che le fughe siano troppo regolari perché altrimenti l’effetto risulta monotono. Baillie Scott dunque è favorevole al rivestimento delle pareti, come Loos, mentre Frank va un passo oltre insistendo sulla liberazione totale del muro lasciandolo bianco e facendo vedere tutti gli angoli dello spazio. Il pavimento gioca un ruolo importante per Baillie Scott. Soggetto ad un’usura continua, deve essere realizzato con un materiale che al tempo stesso sia resistente, facile da pulire, non scivoloso e non troppo freddo. In questo modo si riescono a ridurre i tappeti che catturano la polvere. Per questi ultimi insiste su colori unici e chiari che stimolano ad essere lavati regolarmente perché altrimenti si vedrebbe lo sporco accumularsi. “Un bisogno simile si manifesta nel piacere con cui si appendono i quadri alle pareti, una divisione geometrica del muro è troppo evidente, per essere presa in considerazione. A ciò deve relazionarsi il benessere che si prova in uno spazio con il soffitto a travi”79. I soffitti servono a riflettere la luce e quindi dovrebbero essere dipinti di bianco o colori molto chiari. Quando vi è un controsoffitto o uno stucco, esso non deve fingere una funzione costruttiva, ma mostrare, secondo il principio semperiano, la sua qualità di rivestimento. “Che una stanza debba essere alta, questa è un errore ampiamente diffuso tra il popolo! Questa esigenza è una ‘bugia igienica’ come la chiama giustamente l’architetto Voysey80. […] Buone condizioni di ventilazione non dipendono assolutamente dai metri cubi di uno spazio. […] la questione non è se i metri cubi devono essere molti o pochi, bensì come debba presentarsi un certo spazio per essere organizzato nel modo più opportuno sia in senso verticale e in quello orizzontale”. Stanze basse hanno un effetto più intimo, conservano meglio il calore e permettono di avere una scala più comoda. “I PAVIMENTI DELLE CASE GIAPPONESI SONO TUTTI FATTI PER ESSERE ABITATI PER DORMIRCI, PER INGINOCCHIARCISI E MANGIARCI, PER INGINOCCHIARSI SOPRA A DEI SOFFICI CUSCINI E MEDITARCI SOPRA. PER SUONARCI IL FLAUTO O PER FARCI L’AMORE”. Analogamente sconsiglia di porre dei tappeti persiani in ambienti come i corridoi in cui si è di passaggio: “La superficie monocromatica si presenta inquietante; la superficie disegnata si presenta, invece, rassicurante, perché l’osservatore viene involontariamente influenzato dalla sua costruzione lenta e calma, mentre non può penetrare subito nella ricchezza degli ornamenti. […] Stando seduti su dei tappeti persiani, si proverà una sensazione di calma, mentre passando attraverso una stanza con tappeti persiani disposti sul pavimento, si avrà una sensazione di insicurezza: come di aver smarrito qualcosa, che non ha potuto afferrare. Un tappeto monocolore indurrà invece, sensazioni contrarie”76, perché “manca una scala di riferimento assoluta. Con l’aiuto della ‘scala’, l’occhio può invece misurare lo spazio”77. “La grandezza di uno spazio si legge più facilmente a quota del pavimento, sulla superficie di calpestio. Ogni elemento ripartito su tale superficie viene immediatamente percepito come unità e consapevolmente moltiplicato. Per questo motivo il pavimento monocolore e non diviso, si presenta come superficie non soddisfacente; la persona che per motivi pratici dovrà sceglierlo, sentirà subito il bisogno di stendervi sopra dei tappeti, cioè di dividerlo per ottenere un rapporto di misura”78. 174 (F.L.Wright, An Autobiography, 1938, cit. in K.Nute 1993, p.37) 175 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile Baillie Scott passa poi a descrivere in dettaglio le stanze della casa: L’atrio o Halle: “rivolgiamoci per un attimo alla forma originaria della casa, alla pianta primitiva, quando la casa era costituita solo dalla Halle. Qui si cucinava, si mangiava, si discuteva e, quando veniva notte, ci si distendeva su tubi di giunco per riposare sempre nella stessa stanza. Pian piano, con il progredire della civilizzazione, si svilupparono delle suddivisioni da questo sistema originario ad unica cellula, ognuna con uno scopo specifico. In questo modo il semplice organismo si complicò e dato che ogni cellula speciale ricevette la sua funzione vitale, la Halle perse pezzo per pezzo le sua funzioni. Ci furono sale riunione per discutere, camere da letto per dormire, sale da pranzo dove mangiare; in questo modo alla Halle venne spogliata del suo significato, derubata del suo scopo. […] Attualmente rinata, [la Halle] non dovrebbe più essere uno spazio ‘per tutto’, ma un luogo di riunione in cui la famiglia si ritrova, con un caminetto ed abbondanti spazi per lo stare e il camminare”. Per evitare una separazione troppo netta del salone con gli altri ambienti, questi potrebbero essere mantenuti in comunicazione “attraverso porte scorrevoli oppure solo mediante tende in modo che contribuiscano al tempo stesso alla spazialità del salone o appaino come nicchie e angoli e alcove, non come stanze isolate. [… La Halle] sta in relazione con gli altri ambienti in modo simile a come la piazza del mercato con gli abitanti della città che vi si ritrovano”. Baillie Scott, Una casa urbana (Strassenhaus), la Halle. Si noti l’ingresso alla camera nella nicchia sotto alla galleria, con il pilastro isolato e l’inizio della scala che ricorda molto Villa Beer di J.Frank Qui Baillie Scott critica anche l’abituale usanza di mangiare solamente carne paragonandola al cannibalismo, e si augura che in futuro l’uomo scoprirà il sapore della frutta e verdura. “Le leggi della risonanza, le condizioni per una buona acustica sono ancora troppo poche note affinchè sia possibile dare indicazioni certe per la grandezza e l’organizzazione della sala della musica”. Solitamente essa si trova nello spazio del soggiorno dove drappeggi e mobili rovinano il suono soffocandolo. Sarebbero quindi da evitare, analogamente ai tappeti, tende e cuscini. “Il legno costituisce il miglior rivestimento delle pareti e la posizione sopra ad una cantina dovrebbe essere vantaggiosa”. Per conferire alla musica un certo mistero si potrebbe collocare questa sala in una galleria nella Halle, che in questo modo potrebbe al tempo stesso fungere come sala da ballo. Il tavolo da biliardo può essere collocato in una nicchia del soggiorno oppure in cantina (in questo caso si gioca la sera) o in soffitta (c’è più luce, ma è isolato), quando non costituisce il mestiere dell’abitante che in quel caso ne farà uno spazio principale della casa. “Nell’arredamento il meno è meglio del troppo, quindi è consigliabile qualcosa di leggero, di libero in questo spazio nel quale ci si muove molto. La stoffa verde del tavolo può costituire il punto di partenza per la combinazione dei colori della camera”. La sala da pranzo può essere contenuta nello spazio di soggiorno per non dover riscaldare un ambiente nel quale ci si trova solamente per pranzo o per cena. Tuttavia bisogna evitare che “il tavolo da pranzo sia inutilmente grande e come spazio utile rimanga solo una sottile striscia attorno al grande tavolo. In questa condizione si trova spesso a trascorrere le sue sere lo sfortunato abitante della piccola casa di periferia, schiacciato tra il tavolo da pranzo e la brace del camino”. Per questo è preferibile utilizzare tavoli ribaltabili “che quando non servono possono venir rimossi o messi contro la parete. Anche se la soluzione migliore sembra essere porre il tavolo per il pranzo in una nicchia nel soggiorno”, magari rialzata di un gradino, separata mediante una tenda e collegata ad un’anticamera di accesso per i domestici in modo che non debbano necessariamente passare per il soggiorno. Questa disposizione inoltre permette all’evenienza di allungare il tavolo aggiungendone un secondo nel salone. Baillie Scott, Sala per la musica Anche la camera della signora può essere inserita all’interno di una nicchia del soggiorno, dato che altrimenti la Halle costituirebbe uno spazio poco utilizzato siccome sia il marito che i figli sono spesso fuori casa, al lavoro o a scuola. “Qui è dato libero sfogo al proprio gusto personale”. Invece non è necessario che in una casa piccola vi sia la camera del signore, lo studio-biblioteca, dato che spesso non è in casa. Basta “una soffitta. Ma nel caso che la camera del signore confina con il salone, si abbia cura di isolarlo contro i rumori”. Baillie Scott, Una casa a terrazze (Terrassenhaus), la zona giorno con la nicchia per il pranzo (Wohndiele). Anche qui viene utilizzata una tenda come divisorio spaziale 176 Nel capitolo dedicato agli spazi per i figli, Baillie Scott polemizza contro il disequilibrio che esiste tra i grandi palazzi dei ricchi e le piccole e affollate abitazioni dei poveri: “Le strade delle nostre città mostrano l’anormalità di avere grandi case abitate da piccole famiglie e piccoli appartamenti abitati da famiglie numerose! In un’unica notte d’inverno londinese si può osservare come siano affollati i quartieri 177 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile più poveri e i senza tetto si stringono lungo strade, mentre nelle case più grandi centinaia di camere restano vuote”. Aggiunge poi che lo spazio per il gioco può trovarsi benissimo in soffitta dove i bambini possono fare confusione senza disturbare e dove “si possono sfruttare gli elementi costruttivi del tetto per creare un’altalena o altri attrezzi ginnici. Nel caso che lo spazio per i figli si trovi al piano terra, dovrebbe essere messo in collegamento con il giardino attraverso una veranda soleggiata in modo che i bambini siano il più possibile all’aria aperta. […] Un grande ambiente è perciò preferibile per una sana libertà di movimento di mente e corpo dei bambini”. La cucina dovrebbe essere “collocata al piano terra e nel caso questo non sia possibile, il piano interrato deve essere meglio illuminato e dotato di un ascensore per le vivande”. Inoltre dovrebbe essere grande quanto basta, perché più grande è, più impegnativi diventano i lavori di pulizia. “Come modello di riferimento può essere presa l’attrezzatura di una barca a vela di prima categoria, per poter imparare ciò che è possibile fare in condizioni minime di spazio! Ovviamente nella casa si avrà a disposizione uno spazio più grande, ma è utile capire i meccanismi che fanno risparmiare spazio e impegno, come nella barca a vela”. Inoltre dovrebbe essere isolata dagli odori e rumori, e collocata vicino alla dispensa posta a nord. Come materiali consiglia di rivestire le pareti alla base con piastrelle bianche (igieniche, “con il loro morbido splendore irregolare, intimo e accogliente”) e sopra intonaco bianco, anche sul soffitto. “Nel caso che la cucina valga anche come soggiorno il pavimento è preferibile sia in legno, ma posto su una base in cemento in modo da evitare l’annidamento di insetti! Altrimenti sono più opportuni i mattoni rossi o la pietra, con alcuni tappeti caldi”. Gli impianti è meglio che siano liberi e non inseriti nelle murature per facilitarne la pulizia e la manutenzione. camera è dotata di due finestre, “è bene collocarne una lunga e bassa con un davanzale e facilmente accessibile. L’altra posta ad un’altezza tale per cui la luce cada direttamente sul tavolo da toilette. Nel caso che entrambe le finestre siano inserite in un’unica parete si può collocare il tavolo da toilette tra le due in modo da lasciarle entrambe libere e accessibili”. Il guardaroba può stare all’interno della camera oppure nel bagno. Le camere da letto dei domestici trovano posto nel piano della soffitta. “Pulizia senza macchia e comodità pratica sono le qualità principali di un’abitazione della nuova epoca”. Il pavimento e la parte inferiore delle pareti del bagno andrebbero perciò rivestite con piastrelle e i sanitari dovrebbero essere in ceramica bianca e i tubi dell’acqua a vista per facilitarne la manutenzione. Nei casi più poveri è concesso il linoleum per il pavimento e intonaco bianco alle pareti. Un piccolo armadio per la biancheria può nascondere al tempo stesso il tubo della caldaia in modo da riscaldare al tempo stesso i tessuti e la stanza. Dove le condizioni economiche lo permettono, sarebbe meglio dotare di un bagno ogni gruppo di camere da letto. “MA IL SOLO GABINETTO GIAPPONESE È INTERAMENTE CONCEPITO PER IL RIPOSO DELLO SPIRITO. DISCOSTI DALL’EDIFICIO PRINCIPALE, I GABINETTI STANNO ACCUCCIATI SOTTO MINUSCOLI CESPI SELVOSI, DA CUI VIENE ODORE DI VERDE DI FOGLIE, E DI BORRACCINA. E’ BELLO, LÀ, ACCOVACCIARSI NEL LUCORE CHE FILTRA DALLO SHOJI, E FANTASTICARE, …, FRA LISCE PARETI DI LEGNO DALLE SOTTILI VENATURE, MIRANDO L’AZZURRO DEL CIELO E IL VERDE DELLA VEGETAZIONE. …SONO NECESSARI UNA LIEVE PENOMBRA, NESSUNA FULGIDEZZA, LA PULIZIA PIÙ ACCURATA, E UN SILENZIO COSÌ PROFONDO CHE SIA POSSIBILE UDIRE LONTANO UN VOLO DI ZANZARE. …, È CONSUETUDINE Le camere da letto sono collocate generalmente al primo piano (ma anche al piano terra vanno bene) e la loro dimensione è dipendente dalla pianta del piano terra. Il letto andrebbe collocato preferibilmente in una nicchia in modo da poter trasformare la camera da letto al tempo stesso in uno spazio di soggiorno, secondo le necessità. Se questo non è possibile, il letto comunque non dovrebbe essere collocato di fronte alla porta per non essere esposto ai giri d’aria. Se la PRATICARE RASOTERRA LUNGHE APERTURE ORIZZONTALI. CONSENTONO, QUESTI SPIRAGLI, DI PERCEPIRE VICINISSIMO IL RUMORE DELLA PIOGGIA, COSÌ ACQUIETANTE, DELLE GOCCIOLE CHE LENTE SI STACCANO DALL’ORLO DELLA GRONDAIA O DALLE FOGLIE, RIMBALZANDO SUL BASAMENTO IN PIETRA DI UN LAMPIONE, SPRUZZANDO IL MUSCHIO CHE CRESCE FRA I CIOTTOLI DEL SENTIERO, SONO BEVUTE DALLA TERRA. QUI CONVIENE, PIÙ CHE ALTROVE, TENDERE L’ORECCHIO A STRIDII DI INSETTI O A CANTI DI UCCELLI, E GODERE DEL CHIARO DI LUNA; QUI È DELIZIOSO GUSTARE MELANCONICAMENTE I SEGNI FUGGITIVI DELLE QUATTRO STAGIONI”. (J.Tanizaku, Libro d’ombra, ed.2005, pp.9-10) Baillie Scott, camera da letto di na casa in Polonia 178 179 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile Note 1 J.Romains, Odes et Prières, Gallimard, Paris 1936, cit. in G.Bachelard, La terra e il riposo. Le immagini dell’intimità, Red, cantina alla soffitta. Significato della capanna, p. 45 arti, non esclusa la ceramica, hanno derivato dall’arte tessile della Doppia D-Haus 6 e una prospettiva di un progetto non 14 tipologie e simboli, mentre quest’ultima appare autonoma, realizzato per un hotel del 1958. G. Semper, Die vier Elemente der Baukunst, op. cit., p. 55, trad. Como 1994, pp. 91-115, tratto da Stefano Malpangotti, Gaston it. Christina Kruml. sotto tale aspetto, avendo creato da sé le sue tipologie o Il testo venne ripubblicato in tedesco nella rivista “Baukunst Bachelard. Sull’architettura, Testo & Immagine, Roma 2004, p.34 A ciascuno di questi elementi Semper associa una delle avendole desunte dalla natura”. und Werkform” nel 1961, ma non ottenne molta attenzione. 2 primarie tecniche manuali con le quali l’uomo dà forma al suo La capanna originaria dunque, secondo Semper, non è frutto Nello stesso anno Frank tenne una conferenza a Londra sulla (ed. orig. 1974), pp.29-34 ambiente: al basamento in blocchi pesanti di pietra sovrapposti di una semplice imitazione della natura come voleva la “Fight against Art” (Battaglia contro l’arte). Alcuni di questi temi 3 T.Tzara, Où boivent les loups, p.24, cit. in G.Bachelard, Poetica la stereotomia (da stereos, solido e tomia, taglio) e l’idraulica; concezione dell’abate Laugier, ma un prodotto assolutamente vennero poi ripresi da Venturi in Complessità e contraddizione dello spazio, Dedalo, Bari 1999 (ed. orig. 1957), cap. 9 La al focolare l’arte ceramica e la metallotecnica; all’intelaiatura artificiale, voluto e realizzato dalla mano dell’uomo. in Architettura nel 1966, ma Frank morì poco dopo (8 gennaio dialettica del fuori e del dentro, pp. 246-247 del tetto la carpenteria; all’involucro di rivestimento in rami Vedi G.Semper, Der Stil, op. cit., pp.10-3, tradotto in Lo Stile, op. 1967). 4 Ivi, cap. 4 Il nido, pp. 122-123 intrecciati e stuoie appese che recinge lo spazio interno, l’arte cit., pp.48-51. Vedi Hedvig Hedquist, Rechteckige Sitze – Totalitäre Gedanken, in 5 H.Bachelin, Le serviteur, cit. in Ivi, cap. 1, La casa. Dalla cantina della tessitura. “Molto importanti [poi] sono le implicazioni 15 Iris Meder (a cura di), Josef Frank. Eine Moderne der Unordnung, alla soffitta. Significato della capanna, pp. 57-63 reciproche, i punti di passaggio fra l’una e l’altra tecnica. Per G.Bachelard, La terra e il riposo, op. cit., p.36 Verlag Anton Pustet, Salzburg Wien München 2008, p.28. 6 Introduzione alla Vergleichende Baulehre, in Wolfgang esempio l’arte tessile si combina con la ceramica nel rivestimento 16 Ivi, p.38 26 Herrmann, Gottfried Semper : architettura e teoria, Electa, Milano di pareti e pavimenti, e con la carpenteria nella ricopertura delle 17 G.Bachelard, Poetica dello spazio, op. cit., cap. 1, La casa. Dalla Spalt, Moderne Weltauffassung und moderne Architektur, in 1990 (ed. orig. 1978), p.239 travi”, mentre la metallotecnica riassume in sé tutte le altre e il cantina alla soffitta. Significato della capanna, pp. 45-47 “Bauwelt”, 76 Jg, Heft 26, 1985, p.1067 7 metallo il materiale che riunisce tutte le proprietà materiche 18 27 Adamo in paradiso, Mondadori, Milano 1977 (ed. orig. 1972) sopracitate. “Così la ceramica nella sua accezione più generale e il riposo, op. cit., p.36 in “Innen-dekoration”, Jg. XXXVII, Darmstadt, Oktober 1926, 8 G.Semper, I Quattro Elementi dell’Architettura (Die vier Elemente non si limita ai vasi di terracotta, ma comprende tutti i tipi di 19 Michel Leiris, Aurora, cit. Ivi, pp. 52-55 traduz. it. Christina Kruml der Baukunst. Beitrag zur Vergleichende Baukunde, Friedrich recipienti”, compresi quelli in vetro, pietra, metallo, legno e 20 Perec, Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino 1989, p. 49 28 Vieweg und Sohn Verlag, Braunschweig 1851). persino “i lavori tessili come i cesti stanno in stretto rapporto 21 9 G.Semper, Über Baustile, conferenza tenuta a Zurigo il 4 stilistico con la ceramica”. “Per converso, oggetti che da un G.Bachelard, Poetica dello spazio, op. cit., cap. 1, La casa. Dalla 29 marzo 1869, cit. in Benedetto Gravagnuolo, Gottfried Semper. punto di vista materiale appartengono alla ceramica – come i cantina alla soffitta. Significato della capanna, p. 55 Städtebau”, titolo anche dell’opera principale dell’architetto e Architettura arte e scienza, Clean, Napoli 1987, p. 100 mattoni, le tegole, le terracotte, le maioliche, i cubetti in pasta 22 Ivi, pp. 55-56 urbanista viennese (Camillo Sitte, Der Städtebau nach seinen 10 G.Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen vitrea e i tasselli ceramici colorati usati per i mosaici – vanno 23 Josef Frank, How to plan a House, in Johannes Spalt, Josef Künstlerischen Grundsätzen, 1889, tradotto in italiano nel 1907 Künsten, oder Praktische Aesthetik. Ein Handbuch für Techniker, assegnati in parte alla stereotomia, in parte, dal punto di vista Frank 1885-1967. Möbel & Geräte & Theoretisches, Hochschule für a cura di Ugo Monneret di Villard col titolo Note sull’arte di Künstler und Kunstfreunde, Erster Band: Textile Kunst, Verlag stilistico, all’arte tessile, perché servono ad eseguire per un angewandte Kunst, Wien, pp.156-167. Lezione tenuta presso la costruire la città), e nel 1920 fonderà assieme a Cornelius Gurlitt für Kunst und Wissenschaft, Frankfurt a.M., 1860, p.6, trad. it. in verso opere musive affini alla costruzione in pietra, per l’altro New School for Social Research di New York che riprende i temi la rivista “Stadtbaukunst alter und neuer Zeit” (Urbanistica G.Semper, Lo Stile nelle arti tecniche e tettoniche, a cura di A.R. verso rivestimenti di pareti ecc…” (Semper aveva letto il libro del di Das Haus als Weg und Platz antica e moderna) nella quale Bruno Taut pubblicherà l’allegato Burelli, C.Cresti, B. Gravagnuolo, F.Tentori, Laterza, Roma Bari francese Jules Ziegler, Études Céramiques: recherche des principes 24 “Frühlicht” dal gennaio al luglio 1920. 1992, p.44. et la forme en général, pubblicato nel 1850 in cui sosteneva che 1931, p.316, ripubblicato in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank 1885- 30 Vedi anche H. Quitzsch, La visione estetica di Semper, Jaca Book, l’origine dell’architettura greca risiedeva nella ceramica e non 1967, Hochschule für angewandte Kunst, Wien 1981, p.36, trad. mitteleuropea, Bompiani, Bologna 2004 (ed.orig. 1961), p.59. Milano, 1991, p.206. dalla capanna di legno). it. La casa come strada e come piazza, in G.Fraziano (a cura di), Vedi anche capitolo Agorafobia. Psicopatologie dello spazio 11 Analogamente nella tettonica, oltre all’impalcatura lignea del Percorsi accidentali. Scritti e progetti di Josef Frank, Lint, Trieste urbano, in Anthony Vidler, La deformazione dello spazio. Arte, it. Christina Kruml. tetto e ai relativi elementi di sostegno, rientrano anche gran 25 architettura e disagio nella cultura moderna, Postmedia books, Già Bötticher nel Die Tektonik der Hellenen scriveva che “dal parte degli oggetti dell’arredamento domestico (Hausrathes), svedese “Form” nel 1958. In parte manifesto antimodernista, in Milano 2009, (ed. orig. 2000), pp.29-48 fuoco della paterna divinità di Delfi, ha origine la struttura della opere in muratura e un certo particolare sistema di costruzioni parte dichiarazione formale dei suoi intenti rispetto ai progetti 31 Ivi, nota 8 a p.221 e p.30 casa” (W. Herrmann, Gottfried Semper, op. cit., p.111), ma Semper, metalliche; mentre la stereotomia comprende anche il mosaico, di case per Dagmar Grill, l’articolo è una lunga discussione sul 32 J.Frank, Das Haus als Weg und Platz, op. cit. quando pensava e scriveva la teoria dei quattro elementi nel l’intarsio in legno, avorio e metallo, l’orificeria. ruolo della storia nell’architettura e nel design moderni. 33 J.Frank, How to plan a House, op. cit. 1852, non aveva ancora letto il testo dell’architetto tedesco. Fra tutte le arti tecniche tuttavia, quella tessile secondo Semper Assieme al testo vi erano le illustrazioni di tre opere del 34 J.Frank, Grosstädtisch gedacht, 1949, in J.Spalt, H.Czech, Josef 12 Introduzione alla Vergleichende Baulehre, op. cit., p. 239 “mantiene un predominio incondizionato perché in essa si può dopoguerra di Frank: una prospettiva della Casa 9 della serie Frank, op. cit., p.166, trad. it. Christina Kruml 13 G.Bachelard, Poetica dello spazio, op. cit., cap. 1, La casa. Dalla riconoscere l’arte primigenia (Urkunst), in quanto tutte le altre di case per Dagmar Grill del 1947, una prospettiva e le piante 35 Georges Perec, Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino 1989 Sulla capanna archetipa vedi Joseph Rykwert, La casa di G. Semper, Die vier Elemente der Baukunst, op. cit., p. 54, trad. 180 A. Rimbaud, Illuminazioni, Rizzoli, Milano 2001, cit. in Alexandre Dumas, Mes mémoires, cit. in G.Bachelard, La terra P.Claudel, Oiseau noir dans le soleil levant, p.144, cit. in J.Frank, Das Haus als Weg und Platz, in “Der Baumeister”, n. 29, J.Frank, Akzidentismus, articolo pubblicato nella rivista J.Frank, lettera a Trude Wahner, 9 marzo 1946, cit. in Johannes Dr. Wolfagang Born, Neue Innenräume von “Haus & Garten”, G.Semper, Der Stil, op. cit., pp. XVIII-XX e nota 8, tradotto in Lo Stile, op. cit., pp.16-17 Nel 1906 Bruno Möhring aveva fondato la rivista “Der Carl E. Schorske, Vienna fin de Siècle. La culla della cultura Mackay Hugh Baillie Scott, Häuser und Gärten, Ernst Wasmuth, 181 La seduzione dell’INvisibile La seduzione dell’INvisibile Berlin 1912 (ed. orig. 1906), capitolo I. Come sono le nostre case Interpretation Josef Franks, in “Um Bau”, n. 10, august 1986, e come potrebbero essere?, traduz. it. Christina Kruml Österreichische Gesellschaft für Architektur Wien, p.113 36 38 Il primo articolo, del gennaio 1895, è dedicato ad una ideale Giannino Cusano, La finestra e la comunicazione architettonica, villa di periferia (An Ideal Suburbian Villa): “entrando dalla Dedalo, Bari 1979. Per un approfondimento sulle finestre vedi porta d’ingresso ci troviamo in un largo e basso portico da anche Bruno Riechlin, in “Lotus” n.60 cui, attraverso un arco sulla destra, intravediamo l’inizio delle 39 Giacomo Leopardi, poesia l’Infinito, 1819 ca scale che si elevano dal largo corridoio che porta alla cucina”. 40 G.Bachelard, La terra e il riposo, op. cit., p.44 Il percorso continua nella hall a doppia altezza, che al tempo 41 G.Bachelard, Poetica dello spazio, op. cit., cap. 2, La casa e stesso funge da sala per la musica: “nella nicchia, seduti su l’universo, p. 94 larghe poltrone, un gruppo di amici sono raccolti attorno al 42 fuoco bruciante al centro del largo camino in mattoni che op. cit., cap. 2, La casa e l’universo, pp. 95-97 illumina il rame lucidato della cappa. Nella galleria soprastante 43 G.Perec, Specie di spazi, op. cit., p.47 si trovano i musicisti e si sentono le melodie di un violino, 44 J.Frank, Das Haus als Weg und Platz, op. cit., p.36 mentre la posizione dei musicisti conferisce alla musica un’aria 45 Maria Bottero, Frederick Kiesler. Arte, architettura, ambiente, di mistero sottolineandone ampiamente l’effetto”. 19/a Triennale, Electa Mondadori, Milano 1996, p. 22 La casa per un artista (An Artist’s House, ottobre 1896) e La 46 J.Frank, Das Haus als Weg und Platz, op. cit., p.36 piccola casa di campagna (A Small Country House, dicembre 47 Alois Riegl, Arte tardoromana, Einaudi, Torino 1959 (ed. orig. 1897) separano la hall dall’ingresso in modo da farla diventare 1901), pp. 30-31 una stanza a tutti gli effetti, con nicchie e bowindows, magari 48 aperta attraverso porte scorrevoli ad altri spazi di soggiorno. Werk, Böhlau Verlag, Vienna, 1998, pp.150-153 L’accesso alla cucina e agli spazi di servizio sono separati e 49 differenziati, eventualmente anche attraverso un cambiamento 50 Ibidem di livello del pavimento. Il corpo scala è un volume a sè. Queste 51 Ivi, p.36 tipologie sono rintracciabili nella Red House progettata da 52 Baillie Scott per se stesso. 72. Cit. in Eva Ottillinger, Wohnen zwischen den Kriegen. Wiener Nell’ultima proposta di una casa di campagna (A Country House, Möbel 1914-1941, Katalog der Ausstellung in Hofmobiliendepot febbraio 1900) tutti gli spazi ruotano attorno ad una hall a 14 Oktober-Februar 2009, Böhlau, Wien 2009, p.29 doppia altezza articolata in nicchie, alcove e bowindows. La 53 cucina è collocata in un’ala separata che forma un lato di una Milano 1972 (ed.orig 1962), pp. 217-228 corte. 54 Vedi Diane Haigh, Baillie Scott. The Artistic House, Academy Möbelentwürfe, Residenz Verlag, Salzbung 1994, p.116 Editions, London 1995 55 37 Wien 1979 (ed. orig. 1931), p.28, e cit. in E.Ottillinger, Adolf Loos, Anche Hugo Häring (suo allievo è Scharoun) – che Frank Francoise Minkowska, cit. in G.Bachelard, Poetica dello spazio, Vedi Maria Welzig, Josef Frank 1885–1967. Das architektonische J.Frank, Das Haus als Weg und Platz, op. cit., p.37 Adolf Loos, Die Abschaffung der Möbel, in Trotzdem, pp.170- A.Loos, Ornamento e delitto, in Parole nel vuoto, Adelphi, cit. in Eva Ottillinger, Adolf Loos. Wohnkonzepte und Heinrich Kulka, Adolf Loos : das Werk des Architekten, Locker, conosceva dagli anni Venti - indagava l’uso di forme non op. cit., p.113 ortogonali e linee curve come dimostra il progetto non 56 realizzato di villa del 1923, in cui ritroviamo il movimento Österreichischen Museums, 1898, cit. in E.Ottillinger, Adolf Loos, attraverso lo spazio e l’esperienza visiva in sequenza. op. cit., p.113 Nelle case di Frank tuttavia l’uomo è libero di muoversi come 57 vuole, mentre in quelle di Häring il suo movimento è controllato Josef Frank, in “Bauwelt”, n.26, Josef Frank: ein undogmaticher e obbligato in certe determinate direzioni. Inoltre a differenza Funktionalist, 75. Jg, 12 Juli 1985, p. 1060 di Häring, Frank rifiuta l’idea dell’imitazione di forme naturali: le 58 sue linee curve sono dettate da criteri geometrici e funzionali, di Josef Frank, op. cit., pp.95-96, trad. it. Spazio e arredamento, in libertà di movimento, punti di vista, sequenze di percorso, e non G.Fraziano, Percorsi accidentali, op. cit. di mera forma, cosa che però non viene capita da Häring: “Adolf Lo ripete anche in Das neuzeitliche Landhaus, 1919, in Ivi, p. 17: Loos e Josef Frank ammettono forme del tutto eterogenee, “I compiti dell’architetto nell’arredamento delle case d’affitto quando non disturbano l’efficienza pratica degli oggetti. Questo sono molto pochi, poiché qui viene a mancare il lavoro che punto di vista è pericoloso, perché apre le porte di nuovo alla gli viene chiesto di solito, cioè la creazione di spazio. Il suo decorazione e permette a questa decorazione di intraprendere, compito consiste qui nel disporre ciascun elemento spaziale, se necessario, strade autonome”. Hugo Häring: bemerkungen che sono i mobili, in modo che lo spazio sia ancora chiaramente zun aesthetischen problem des neuen bauens, in Bauwelt, Heft percepibile nella sua interezza. A tal fine i 12 lati e 8 angoli che 19/1931, cit. in Hermann Czech, Ein Begriffsraster zur aktuellen compongono una stanza devono rimanere liberi […]. Questo è 182 Adolf Loos, Wanderung durch die Wienterausstellung des Malin Munck af Rosenschöld, Aus meiner Zusammenarbeit mit Josef Frank, Raum und Einrichtung, 1934, in J.Spalt, H.Czech, l’unico compito dell’architetto, tutto il resto è più o meno una questione del buon gusto del proprietario, che può a questo punto allestire la stanza secondo le sue esigenze personali”. Già Strnad nel 1913 aveva detto che in una stanza soffitto e pareti si dovevano poter leggere nella loro interezza, un concetto ripreso da Semper che intendeva il soffitto come una lastra trasparente su cui si leggeva la continuità delle pareti (vedi glossario) . 59 J.Frank, Raum und Einrichtung, op. cit., p.96 60 Ivi, p.97 61 Ivi, p.96 62 J.Frank, Handwerks- und Maschinen-Erzeugnis. Die Abgrenzung beider Gebiete, in “Innendekoration”, XI.3, 1923, pp.241-243/336343 cit. in J.Spalt, Josef Frank, op. cit., pp.9-10 ripubblicato come Einzelmöbel und Kunsthandwerk in Iris Meder (a cura di), Josef Frank. Eine Moderne der Unordnung, Verlag Anton Pustet, Salzburg Wien München 2008, pp.128-129 63 J.Frank, Raum und Einrichtung, op. cit., p.97 64 M.H.Baillie Scott, Häuser und Garten, op. cit., p.23, cit. anche in M.Welzig, Josef Frank, op. cit., p.68 e Corinna Elsesser, Die Rezeption der japanischen Architektur bei Josef Frank und Bruno Taut, Abhandlung zur Erlangung der Doktorwürde der Philosophischen Fakuntät der Universität Zürich, Worms am Rhein, relatori Prof. Dr. Stanislaus von Moos e Prof. Dr. Peter Cornelius Claussen, giugno 2004, pp. 63-65 65 M.H.Baillie Scott, Häuser und Garten, op. cit., p.23, cit. anche in M.Welzig, Josef Frank, op. cit, p.155 66 Josef Frank, Die moderne Einrichtung des Wohnhauses, 1927, in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank, op. cit., pp.84-87, trad. it. L’arredamento moderno dell’abitazione in G.Fraziano, Percorsi accidentali, op. cit. 67 J.Frank, Raum und Einrichtung, op. cit., p.96 68 Ivi, p.97 69 J.Frank, Rooms and Furnishing, in “Form” 1934, cit. in Kristina Wängberg-Eriksson, Josef Frank. Textile Design, Bokförlaget Signum i Lund AB, 1999 70 Josef Frank, Die moderne Einrichtung des Wohnhauses, op. cit. 71 Josef Frank, Wie soll man Tapeten anwenden?, 1948, in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank, op. cit., p.107, trad. it. Christina Kruml 72 J.Frank, Raum und Einrichtung, op. cit., p.96 73 G.Semper, Textile Kunst, testo preparatorio a Der Stil e pubblicato per la prima volta in Kleine Schriften, a cura dei figli Manfred e Hans Semper, Verlag W.Spemann, Berlin Suttgart 1884, e cit. in B.Gravagnuolo, Gottfried Semper. Architettura arte e scienza, Clean, Napoli 1987, p. 189 74 J.Frank, Raum und Einrichtung, op. cit., p.101 75 Josef Frank, Wie soll man Tapeten anwenden?, op. cit. 76 J.Frank, Raum und Einrichtung, op. cit., p.99 77 Ivi, p.96 78 Ivi, p.97 79 Ibidem 80 I lavori di Voysey vennero pubblicati nelle riviste “British Architect” e “The Studio”, quindi Baillie Scott li aveva sicuramente visti. Nel 1908 nella stessa rivista scriverà un articolo che dimostra il suo rispetto per l’architetto otto anni più vecchio di lui. Vedi Baillie Scott, The Characteristics of Mr C.F.A.Voysey’s Architecture, in “The Studio”, 1908, cit. in D.Haigh, Baillie Scott, op.cit. p. 23 “SONO CONTRARIO ALLA PRATICA DI FOTOGRAFARE GLI INTERNI. … VOGLIO CHE GLI UOMINI SIANO CONSAPEVOLI DELLO SPAZIO CHIUSO, CHE SENTANO LA MATERIA, IL LEGNO, CHE LO PERCEPISCANO CON I LORO SENSI, CON LA VISTA E IL TATTO, CHE POSSANO ACCOMODARSI SU UNA SEDIA PERCEPENDO IL CONTATTO CON AMPIA PARTE DEL LORO SENSO DEL TATTO PERIFERICO. … LA FOTOGRAFIA INGANNA. CON I MIEI PROGETTI NON HO MAI VOLUTO INGANNARE NESSUNO. … PER QUESTO NON MI PIACE AFFATTO CHE MI CHIAMINO ARCHITETTO. IL MIO NOME È SEMPLICEMENTE ADOLF LOOS”. (A.Loos, Von der Sparsamkeit, in “Wohnungskultur”, fascicolo 2/3, 1924, cit. in Ralf Bock 2007, frontespizio) 183 Allegati Häuser und Gärten. Come sono le nostre case e come potrebbero essere ? M.H.Baillie Scott “Analogamente alle vecchie riviste d’arte che costavano una moneta (Groschen) e a colori due monete, le case si suddividono in due categorie: la solita Groschenhaus, semplice, pratica, economica; e la Zweigroschenhaus, la Casa d’arte, non pratica ma bella, piena di cose belle ed estremamente care a scapito della comodità”. La casa dovrebbe essere organizzata in modo “da garantire agli abitanti un abitare comodo e limitare al minimo la manutenzione e facilitare la pulizia. Nessun tappeto polveroso copre il pavimento. Le finestre non vengono chiuse da tende e bordi pesanti. Le stanze non sono ricolme di mobili inutili e brutti. La casa non tenta di raggiungere l’ideale popolare ‘come dovrebbe essere’; non segue nessuna moda e non imita l’abitazione lussuosa del Signor Vicino. Se risorse limitate la rimpiccioliscono, comunque non dà l’impressione M.H. Baillie Scott, Capitolo I. Come sono le nostre case e come potrebbero essere?, in Häuser und Gärten, Ernst Wasmuth, Berlin 1912 (ed. orig. Houses and Gardens, Londra 1906), pp.6-9 186 di un adattamento storpiato dato che qui la necessaria riduzione è ammessa e spiegata apertamente con umiltà. Si tratta di una casetta spaziosa e comoda, non di un palazzo nobiliare in dimensioni ridotte; ma sotto condizioni economiche vantaggiose si eleva ad una casa di campagna di tutto rispetto, non ad una imitazione di un cottage. Il mobilio non presenta segni di lusso che servono a focalizzare l’attenzione sulle sue ‘caratteristiche artistiche’, piuttosto è semplice e utile. È prodotto per il suo scopo, ma non necessariamente in un materiale caro e ‘prezioso’. Lo stesso buonsenso che guida il tutto fin dall’inizio, vieta anche di tentare di imitare alcune bellezze delle case dei tempi passati. Ovviamente il vecchio viene studiato con cura, i buoni principi di base che le guidano vengono analizzate attentamente. Modelli antichi vengono spesso presi come riferimento per la casa e l’arredamento, ma modificati e adattati secondo le cambiate esigenze moderne”. La casa media di oggi invece “non è certo estremamente bella e comoda. Non lo può nemmeno essere viste le condizioni in cui generalmente sorge. La maggior parte delle abitazioni più piccole viene ancora progettata e costruita da persone che non possiedono né conoscenza né abilità e il cui modo di operare e pensare è totalmente ed esclusivamente materiale e speculativo. Un’abilità più elevata viene richiesta solamente per la casa di lusso. Ci si dimentica completamente che la casa semplice può essere realizzata assolutamente comoda e notevole; che mediante l’espressione modesta della sua bellezza domestica potrebbe addirittura far vergognare le false pretese delle sue monumentali case vicine! Ma la colpa non è solo dell’imprenditore edile, anche dell’abitante che si illude di abitare in modo ‘elegante’, o che si è abituato di abitare come il granchio eremita in un guscio che non è arredato per la sua comodità, ma piuttosto per il vantaggio del locatore. […] Tuttavia colui che è abbastanza leale da riconoscere il disvalore di tali illusioni e abbastanza saggio da percepire che la piccola casa d’abitazione non è un palazzo nobile rimpicciolito, colui costruirà ed arrederà secondo principi assolutamente opposti. Egli non desidera superare il suo vicino di casa in lusso e ‘modo di vivere’. Egli è convinto che il modo di vivere più semplice ed essenziale sia quello più valido e ragionevole, che il vero progresso non consista nel arricchire e complicare l’arredamento, bensì nel semplificarlo verso una praticità efficiente. Egli considera la casa non come un luogo dove collezionare gingilli, ma un luogo dove soggiornano gli uomini. Egli pretende innanzitutto, oltre al comfort, la bellezza che viene ottenuta attraverso delle proporzioni corrette e non necessita di nessun incremento d’effetto attraverso i mobili. Nelle ampie superfici della sua spaziosa casa (Heim) egli ordina i suoi pochi mobili, distribuiti in modo razionale. Egli non mira ad una rinascita della sontuosità scomparsa di ‘stili’ passati. Una simile ‘rianimazione’ non trova posto qui. Egli è soddisfatto con lavori di falegnameria modesti ed onesti. Inoltre non si cura a riempire ogni pollice quadrato delle pareti e del soffitto con tappezzerie; la laboriosità del ‘decoratore’ (con i suoi lustrare, sagomare e dorare) lo lascia del tutto indifferente. Tutto questo lo ritrova nelle case dei suoi conoscenti, nei clubs, negli alberghi. A casa sua [invece] vuole tranquillità. Questo non vuol dire assolutamente che egli sia contrario a qualunque ornamento decorativo, ma non deve trattarsi di finzioni di cose preziose come oro, bensì del meglio che possono dare cuore, mano e cervello, e soprattutto qualcosa di personale e speciale. Sotto a questi possono esserci per il momento pareti intonacate. Inoltre ha un colpo d’occhio per l’intimità, per il dettaglio. Egli ricerca disegni buoni e ragionati, non solo per quanto riguarda la casa, ma anche per i singoli oggetti, per le forchette e i coltelli, per le porcellane e i vetri, tutto deve essere pensato. Ma non si ferma qui. La semplicità ed essenzialità di ciò che lo circonda contribuisce a stimolare la ‘ritualità’ del corso quotidiano. Quando invita a pranzo un amico, non cerca di colpirlo con il numero delle portate o con la sontuosità dei piatti. Egli preferisce rimanere in silenzio, fiero della bella semplicità del suo intorno, orgoglioso non della sua preziosità, ma di qualcosa di molto meglio: della efficienza e finezza delle linee, colori e superfici. Nell’arredamento e nei mobili esclude con cura tutto ciò che è superfluo. Egli non compra un tavolo perché pensa che potrebbe ‘stare bene’ e poi un elemento decorativo che potrebbe ‘stare bene’ sul tavolo. Con questa stessa logica estetica sarebbe come comprare prima una trappola per topi e poi un mucchio di topi in modo che la trappola soddisfi il suo scopo! Egli non riempie il suo prezioso rifugio con mobili inutili e oggetti della nonna, dato che sa che genere di tirannie possono causare simili oggetti sui suoi proprietari, che sono diventati loro schiavi. Non possiedono nessuna praticità e spesso nemmeno bellezza. Si tratta di divinità domestiche messe lì per la muta adorazione degli abitanti. Il moderno abitante della casa deve liberarsi di questi simulacri. Fintanto che questo non avverrà sarà impossibile realizzare 187 un’abitazione intelligente e bella”. E’ necessario separare gli spazi della famiglia da quelli dei domestici, così come di quelli per i figli da quelli dei genitori. Inoltre bisogna stare attenti a non “trasferire la tradizionale ospitalità del palazzo nobiliare nella piccola casa perché si farebbe un grande danno! Come se la casa fosse in primo luogo destinata all’ospite che alla famiglia: sale d’accoglienza per gli ospiti. La ‘camera migliore’ deve imporsi, è troppo elegante per l’utilizzo di tutti i giorni. La camera da letto migliore viene allestita come camera per gli ospiti e quasi mai utilizzata. Una casa semplice non dovrebbe essere pensata in prima linea per gli sconosciuti, per l’ospite, ma per gli abitanti. È preferibile un grande ed alto ambiente principale attorno al quale si raggruppano gli altri ambienti più bassi. Alcuni in diretta comunicazione con lo spazio centrale, altri invece dove è richiesta tranquillità e privacy, più riservati. La sala da pranzo può o essere uno spazio più piccolo e separato, oppure far parte come una specie di nicchia del soggiorno principale. […] Importante inoltre è anche l’organizzazione ragionata dei ‘percorsi’ attraverso la casa. Essi devono essere posti senza spreco di spazio in modo da evitare disturbi e intasamenti. I domestici devono poter raggiungere tutti gli spazi e l’ingresso senza dover passare per il salone o lo spazio principale. Gli ospiti che non sono intimi dovrebbero poter essere accolti senza farli passare attraverso le stanze private della famiglia. I figli dovrebbero godere di un ingresso separato dal giardino con una scala ad essi dedicata; analogamente spesso è preferibile dedicare un corpo scale specifico per i domestici. Ma anche una tale suddivisione non deve diventare esagerata, bisogna pesarne esattamente i pregi e i difetti. […] Il compito dell’architetto moderno consiste assolutamente non nel risultare eccessivo, bensì nel studiare e soppesare le caratteristiche delle case antiche, digerirne gli insegnamenti e quindi applicare le sue analisi in modo ragionevole. Troppo spesso la casa più grande degenera ad una sorta di museo privato con mobili che sono a cura del proprietario. Diviene una sala d’esposizione che si mostra a gruppi di turisti ammutoliti e ammiranti che ascoltano con falso interesse il chiacchierio a mo’ di pappagallo del ‘curatore’! […] All’epoca in cui le cose belle nascevano spontaneamente, non esistevano musei e gallerie d’arte! L’intera forza artistica di una nazione era applicata utilmente nella costruzione, decorazione e arredamento dei loro edifici. Ricercare con consapevolezza e intenzione uno ‘stile’, sia esso vecchio o nuovo, è altrettanto sciocco quanto inseguire un adescatore o un abbaglio nella palude. […] Si può paragonare lo stile con una pietra preziosa su una fodera: brilla quando la spada viene estratta durante un duello, ma il guerriero non vi bada mentre lotta! Lo stile è la proprietà del ‘fiore’ che sboccia solo attraverso la cura delle sue radici. Colui che tende allo stile è come quello che vuole colorare il giglio, invece di innaffiarlo. Le idee nuove si basano sullo studio del passato, non sulla cura di una ‘nuova arte’ bizzarra che vuole essere ‘originale’ ”. 188 Carl Larsson: Köket-Cucina (1898), Lathörnanangolo accogliente (1894), BlomsterfönstretFiori sul davanzale della finestra (1894) Carl Larsson, pittore svedese, era amico di Baltzar Grill, zio di Anna Frank-Sebenius, moglie di Josef Frank, e aveva ritratto anche la cugina di lei, Dagmar Grill. Cresciuto in un quartiere operaio di Stoccolma, ad un certo punto si trasferì con la famiglia in periferia, a Dalarna, per vivere secondo dei principi che egli considerava ideali, lontani dai problemi della progressiva industrializzazione del paese, combinando elementi della tradizione svedese con idee tratte dal movimento arts and crafts, giapponismo e art noveau. Frank apprezzava molto Larsson: a casa ne possedeva alcuni quadri e altri li aveva scelti per la mostra della primavera del 1912 presso il Museum für Kunst und Industrie di Vienna. Rappresentavano scene di vita quotidiana della sua famiglia mentre cresceva nella casa e con la casa, mostrando ambienti chiari, confortevoli, accoglienti, con travi a vista, pavimenti in legno, un arredo che si è composto durante gli anni, mobili semplici, e pieni di oggetti del quotidiano. I suoi quadri lasciarono una profonda influenza anche su Asplund. 189 How to plan a house Josef Frank* * Josef Frank, How to plan a House. What demands are basic for a modern house other than the fulfillment of practical necessities? How can they be achieved? (Come progettare una casa. Quali esigenze sono fondamentali per una casa moderna piuttosto che il raggiungimento di necessità pratiche? Come queste possono essere soddisfatte?). Si tratta di una delle lezioni che Frank tenne alla New York School for Social Research il 13 aprile 1943. La lingua originale era il tedesco e solo il titolo era in inglese. Il testo è stato pubblicato in Johannes Spalt, Josef Frank 1885-1967. Möbel & Geräte & Theoretisches, Hochschule für angewandte Kunst, Wien, pp.156-167 Kristina Wängberg-Eriksson mi ha gentilmente spedito una seconda versione del testo, dattiloscritta e con correzioni a mano, scritta in lingua inglese: si tratta di una rielaborazione successiva al 1946 e tradotta da Trude Waehner, che avrebbe dovuto comporre il volume mai pubblicato Contemporary Art and Architecture. Rispetto alla prima versione, viene ampliata sostanzialmente la parte introduttiva. 190 “Quando qui parlo della progettazione di una casa ho in mente un’abitazione moderna. credo che questo sia il nostro problema architettonico più importante. Tutti gli altri edifici, industrie, uffici ecc., servono più o meno inequivocabilmente a scopi precisi, ed anche le loro forme sono inequivocabili e prefissate. Con una casa d’abitazione invece abbiamo una moltitudine di scopi intricati da soddisfare. Aspira ad essere accogliente ed abitabile, ma non siamo in grado in realtà di dire esattamente in che cosa consistano questi accogliente e abitabile. Di conseguenza, l’architetto è spinto dalla sua intuizione e deve essere capace di sentire come poter raggiungere tutti questi scopi. Sappiamo certamente che un’abitazione consiste in un certo numero di stanze di una certa dimensione con una certa disposizione di relazione reciproca, ma questo non è tutto. L’elenco di queste caratteristiche compone il programma edilizio che chiunque può redigere – il “cosa” di una casa; la meta dell’architetto è invece il “come”, cioè la fashion di questi desideri, la parte artistica di una costruzione, non quella economica. Quello che ho detto riguardo alle qualità caratteristiche di una abitazione moderna in contrapposizione con quella storica era essenzialmente negativo. Ho spiegato perché non necessitiamo più di simboli della statica, e come ora, liberi da queste costrizioni, possiamo progettare le nostre planimetrie molto più liberamente. Sciolti dall’obbligo di utilizzare certe forme, ogni individuo è nei principi libero di scegliere ciò che desidera, che ritiene bello e appropriato. L’unica meta costante e fissa che può adesso esistere per la progettazione è il miglior modo per soddisfare lo scopo, e in questo rientra anche la modellazione della forma, che può contribuire moltissimo al comfort. Questo è il compito peculiare dell’architetto. Perciò noi ora dobbiamo scegliere le forme in modo che sia possibile il migliore soddisfacimento dello scopo, forme che possono quindi essere solamente quelle che consentono uno sviluppo organico, dato che le forme possono cambiare fondamentalmente solo per rendere possibile un miglioramento. In questo senso, non esiste architettura senza una tradizione, siccome indubbiamente può essere conservato un grande numero di forme esistenti. Tutto ciò che è presente come architettura senza tradizione invecchia molto rapidamente, dato che contiene troppe modifiche solo per il gusto di cambiare, ed ha perciò a che fare solo con la bellezza della moda. La causa più frequente di questa passione al cambiamento per il riformatore totale è il suo desiderio a trovare uno stile moderno uniforme per il nostro tempo, nonostante essi ascrivano necessità pratiche a cambiamenti formali. Per essere precisi, non intendo dire che dobbiamo aggrapparci rigidamente alle forme che ci arrivano dal passato, ma come ho già detto, non abbiamo bisogno di uno stile uniforme. La liberazione dall’uniformità nella forma non implica una rottura con la nostra tradizione, ma solamente un’emancipazione dai vincoli finora frustranti. Ritengo che all’interno della ricchezza di scelte delle forme migliori, siano possibili molte variazioni, oggi non meno che in altri tempi; e non ho bisogno di aggiungere che vi includo anche i concetti di “buono” e “bello”. Non si tratta sempre solo di una questione di cambiamenti a rendere la nuova forma “più bella” di quella vecchia, ma anche di trovare una nuova bellezza. Se l’autore pensa con la propria testa, e quindi in maniera moderna, allora questa forma sarà moderna in ogni caso senza il pensiero di doverla rendere moderna1. Se invece pensa in altro modo, allora non avrà mai successo; nelle migliori circostanze, potrebbe portare avanti una nuova moda transitoria. All’appello ai costruttori di case che raccomanda loro queste forme moderne contro a quelle storiche, si può rispondere per convincerli: “alla casa moderna manca la comodità domestica, pareti dipinte di bianco e cose simili? Ora noi possiamo avere le stesse cose nella casa moderna senza imitare in alcun modo le forme storiche che invecchiano presto”. Non ritengo questa argomentazione molto convincente. L’utilizzo di forme classiche non è imitazione; è tradizione, e grandi pensatori da Alberti a Jefferson le hanno preferite dato che per loro queste forme simboleggiavano ideali umanistici e conoscenza. Chi volesse farne uso, potrebbe ben reagire a questa accusa che preferisce imitare le forme del Foro Romano che quelle del Bauhaus di Dessau. Chiunque desideri oggi utilizzare simboli classici sarà capace di trovare abbastanza buoni motivi per giustificarlo. La questione qui non è di imitazione, ma puramente del valore simbolico della statica. Questo non significa più nulla per noi, dato che adesso ci possiamo fidare dei calcoli costruttivi, e questo ci rende più liberi nello stesso modo in cui siamo liberi dalle superstizioni e siamo così in grado di pensare e inventare in modo più libero e anche molto più scientifico. Ritengo che dobbiamo chiarire al pubblico le attuali motivazioni che guidano l’architettura moderna, si dimostrerà quindi in che misura quest’ultima ha avanzato nell’essere accettata. Non dubito che questi pessimi e sofistici argomenti avranno certe conseguenze. Coloro che vogliono dimostrare le loro attitudini moderne sono facilmente portati a farlo in un modo che rivela la moda del giorno; questa è la base essenziale sulla quale sono originati molti edifici moderni e infatti questo ha anche un valore propagandistico. Ma le loro forme, che spesso sono solamente legate alla moda, rifiutano uno sviluppo organico, dato che le forme della moda del nostro tempo sono quelle di uno stile geometrico uniforme. Ho anche sottolineato il fatto che su queste basi l’uomo che desidera apparire moderno oggi siede su sedie squadrate, come se la schiena dell’uomo moderno abbia da diventare geometrica. Dato che la nostra architettura moderna si distingue oggi nei principi da quella storica, non ci deve solo essere un nuovo tipo di educazione per gli architetti, ma anche il pubblico deve essere reso capace di capire questa architettura. L’architetto è dipendente dai suoi clienti in misura maggiore che ogni altro artista 191 che può alla fine completare il suo lavoro da solo. Purtroppo un’educazione ben pianificata e costante del pubblico non è attualmente possibile. l’architettura può essere compresa solo a caso, e per lo più solo da coloro che sono interessato all’arte. Ma non basta. L’educazione generale è in gran parte ancora radicata in molte superstizioni, che spesso vengono chiamate tradizioni o bei costumi antichi, con il risultato che può difficilmente esistere alcuna possibilità di proporre una reale domanda per l’architettura moderna al grande pubblico. Le parti pratica e metafisica del pensiero umano sono in generale divise nettamente tra loro. La prima è utilizzata nelle questioni che concernono il profitto attuali, la seconda per tutte le altre. A quest’ultima appartiene l’arte. Rimane quindi il singolo argomento attraverso il quale l’architettura moderna può essere propagandata – la sua economicità - anche se non è in alcun modo corretto, è vale solo per coloro che desiderano simboleggiare Puritanesimo con la loro casa. Chiunque enunci regole formali rigide per l’architettura moderna che non può essere fondata su principi realmente funzionali, e chi perciò non è in grado di scegliere ogni forma come la migliore e la più bella per il suo scopo, potrà convincere solamente gli esteti. Come vediamo spesso oggi, costui userà forse, sulla base dei principi, solamente pareti vetrate, nonostante esse siano certamente non economiche, a parte il fatto che in molte località sono insopportabili e sgradevoli per molte ragioni. L’attaccamento a tali regole, che non possono basarsi sulla tradizione, non ci dà ciò che intendiamo per architettura moderna. Per essere sicuri, uno può trovare una razionalizzazione pratica per tutto, come per esempio il fatto che l’uomo moderno desidera avere più luce e vivere in contatto con la natura. C’è molto di corretto in questo; l’uomo moderno nella sua moderna casa può ottenere tutto ciò in modo molto più facile rispetto a quanto fosse possibile nella casa storica, tuttavia egli desidererà avere solo tanta luce quanto necessita e rendere il suo contatto con la natura come lo vuole. Tutto questo non deve avvenire come moda stereotipata. L’uomo moderno desidera anche cambiamenti. E’ la nuova compulsione verso qualità totalitarie di stile a non incoraggiare gli uomini a rinunciare alle vecchie compulsioni. Abbiamo infatti una dimostrazione di ciò nell’esperienza degli europei nella sfera politica. Se vogliamo confortare noi stessi in questo momento con il pensiero che in ogni momento furono gli snobs che per primi hanno sostenuto ogni arte moderna, essi sono ancora gli unici che sono interessati ad esso. La principale caratteristica negativa dell’architettura moderna deve la sua influenza al metodo di insegnamento. Esistono due tipi di educazione dell’architettura, una che si può chiamare positiva e l’altra negativa […]”. Vedi prima versione. 192 PRIMA VERSIONE DI HOW TO PLAN A HOUSE: Quello che ho detto a proposito dei principi dell’Architettura moderna era principalmente negativo, cioè erano le spiegazioni del perché certi elementi dell’architettura storica non vanno più utilizzati. Sono dell’opinione che se bisogna cambiare le forme ci debba essere un motivo. L’artista, certo, segue la propria intuizione personale, però tutte le cose che servono all’utilizzo necessitano in realtà di un cambiamento solo se questo può migliorare il soddisfacimento del loro scopo. Tuttavia non si ripeterà mai abbastanza che ciascuna forma, se non è calcolata, ha un valore simbolico. In un’epoca che pensa scientificamente, questi simboli consistono nella rappresentazione di come ogni scopo possa essere raggiunto con i minori mezzi possibile. A tal fine per esempio una finestra ad arco è una forma non moderna, poiché sappiamo che possiamo realizzare la più grande apertura anche con una trave diritta. Esistono due metodi di insegnamento all’Architettura, che io vorrei chiamare positiva e negativa. Quella positiva consiste nel mostrare allo studente come deve fare ogni cosa, che il più delle volte significa seguire il modo dell’insegnante. Quest’ultimo ha trovato la propria forma personale sulla base delle sue esperienze e delle opinioni che si è formato dopo aver riflettuto. Gli studenti, se possono farlo, scelgono un professore che per qualche ragione gli sta simpatico, in cui vedono un futuro dell’arte del costruire. A scuola vengono forniti con risultati già pronti, quelli ai quali è giunto già l’insegnante, e all’interno di questa struttura possono poi provare diverse variazioni; questo è l’insegnamento accademico. Un tempo gli studenti imparavano con questo metodo a costruire in tutti gli stili, imparavano le regole e lavoravano seguendo i manuali, dai quali prendevano i motivi da combinare. L’insegnante spiegava loro se i motivi stavano bene assieme oppure no. L’insegnamento moderno positivo non è molto diverso. Lo studente impara probabilmente cose più pratiche, tra cui anche ciò che l’insegnante intende per il vivere dell’uomo moderno, poiché data la sua giovane età lo studente ha poca esperienza a riguardo. Questa è una delle ragioni per cui il talento all’architettura si mostra così tardi. Colui che pensa autonomamente non prenderà per buono questo talento acriticamente, prima di crederci vuole prima provarla in prima persona. In seguito lo studente impara un determinato mondo delle forme, ancora privo di tradizione, e che venne creata sulla base delle speculazioni personali del professore. È impossibile per lo studente crederci, tuttavia deve aggrapparvisi spasmodicamente per non perdere qualunque appoggio; la sua fantasia può esprimersi solo all’interno di limiti molto stretti; più stretti sono, meno è libero di esprimersi, ancora meno rispetto alle vecchie scuole dove almeno aveva a disposizione diversi stili da poter scegliere. Se l’allievo non riesce ad opporsi al proprio insegnante, rimarrà tutta la sua vita uno studente, cioè significa che le sue opere dipenderanno sempre da quelle del professore. Ad ogni riga che disegnerà penserà, se mai lo farà, a come l’avrebbe fatta l’insegnante. Per riuscire ad opporsi deve imparare a pensare liberamente perché altrimenti non avrà nessuna possibilità di servirsi di proprie esperienze personali. Tuttavia, come compenso per la perduta autonomia, lo studente riceve già a scuola la possibilità di fare qualcosa di “speciale”, egli viene istruito, come si suol dire, alla vita reale, e 193 spesso raggiunge persino risultati maggiori rispetto a quello che deve cercare con fatica la propria strada da solo, spesso sbagliando e anche per tutta la vita, cosa che gli richiede un gran dispendio di energie e tempo. È chiaro che il metodo per cui vengono date ricette e regole certe e assolute per arrivare a dei risultati soddisfacenti in modo più rapido, è quello oggi che ha maggior consenso, e non solo dal punto di vista commerciale. Nell’ideologia totalitaria di oggi sempre più estesa, si tende spesso a evitare di pensare e a introdurre di nuovo condizioni scolastiche medioevali, risvegliare il sistema delle capanne (Bauhütte) dove lo studente riceve un insegnamento mistico-pratico che deve seguire. Questo viene motivato con il fatto che dobbiamo ricercare di nuovo uno stile unitario e che le opere individuali del Rinascimento e dei suoi seguaci erano un male. Nella tendenza ad opprimere ogni espressione individuale, ciascuna opera dovrebbe nuovamente diventare manifestazione di una totalità collettiva, come avveniva presumibilmente nel Medioevo. Più rigide sono le regole, più facile sarà esprimere questo volere collettivo ed evitare i capricci individuali. Così si traveste il tentativo di fare dell’Architettura moderna un simbolo della reazione. Non credo che questo metodo di insegnamento positivo sia corretto, ed anche i risultati lo confermano. Non ritengo giusto anteporre allo studente un sistema già pronto, soprattutto se non ha una base nella tradizione. Mi sembra che tutta la disgrazia della nostra Architettura moderna e anche dell’artigianato sia in gran parte dovuta a questo metodo di insegnamento. Non sono nemmeno dell’opinione che nelle scuole debbano essere raggiunti dei risultati utili, ritengo piuttosto che la scuola serva a stimolare lo studente a pensare autonomamente e a mostrargli come si fa; egli arriva a scuola con molti pregiudizi che costituiscono le esperienze avute fino ad allora; quello che egli conosce sono le case in cui ha vissuto e che ha visto; quello che all’inizio può fare da solo, sono variazioni di questi elementi casuali. In parte vuole mantenerli, in parte vuole modificarli, dato che è un uomo pensante e quindi insoddisfatto e di spirito riformatore. Come fare tutto ciò non lo sa con precisione, siccome non ha ancora cominciato a vivere una vita propria, e ciò che gli si dirà, se saprà riflettere, non lo crederà, e spesso a ragione. Non credo che l’insegnante più bravo sia quello che non ha ancora una convinzione troppo limitata, quanto piuttosto quello che è ancora capace di svilupparsi e che lo vuole anche e lo ricerca; per lui ogni nuovo compito sarà un nuovo problema per il cui risultato esisteranno diverse possibilità. Egli può perciò venire incontro alle idee dei suoi studenti, anche quando contraddicono le sue stesse opinioni, dato che non sa ancora a quali risultati lo porteranno. Il suo metodo di insegnamento sarà quello negativo. Egli pregherà gli studenti ad esprimere le proprie idee, senza tener troppo conto se hanno un senso o meno, dato che spesso saranno costituite da pregiudizi; e pezzo per pezzo questi pregiudizi andranno eliminati, e non in un modo in cui l’insegnante spiegherà come, bensì perché. Le nuove possibilità devono venir combinate dallo studente stesso con la sua fantasia; non importa se a volte dispererà per non sapere e crederà di non aver studiato; finchè gli verrà in mente che ha imparato a riflettere, così che ogni nuovo lavoro per lui è un problema che deve iniziare dall’inizio (Uranfang). Certo constatiamo che spesso alcuni metodi di insegnamento cattivi e antiquati, che non insegnavano niente altro che gli stili, erano comunque migliori rispetto a certi moderni 194 con scopi pratici, se entrambi infatti sono positivi. Non è ancora passato molto tempo da quando gli insegnanti erano ancora molto attaccati alla loro architettura storicista, che per gli studenti della generazione successiva era invece già morta, e che perciò non potevano credere al proprio professore. Tuttavia è proprio questa nuova incredibile generazione che diede vita all’Architettura moderna; quando invece iniziò ad imporre i propri risultati ottenuti come regole, l’Architettura divenne improvvisamente rigida, gli studenti divennero imitatori e rimasero studenti perché non ebbero la necessità di pensare autonomamente. Non intendo naturalmente dire che l’architetto non ha bisogno di conoscenze pratiche; non è però compito della scuola insegnare e far imparare a memoria cose che ci si può guardare da soli nei manuali; nella pratica vengono richieste molte di tali conoscenze e vi è perciò il pericolo che vengano valorizzate talmente tanto che non rimane più nulla per il reale compito dell’architetto, che è costruire bene e bello. Tali conoscenze pratiche, come per esempio le leggi della costruzione, possono essere studiate da chiunque e chi lo fa – il cliente e i burocrati, cioè le due istanze da cui dipende l’architetto - naturalmente ritiene siano le più importanti. Queste due potenze, che raramente si interessano a ciò che l’Architettura realmente è, incastrano talmente l’architetto che egli deve essere già solo contento se riesce a destreggiarsi tra gli scogli dell’economicità e delle leggi urbanistiche. Il sapere è molto meno importante della comprensione; infatti quasi tutti gli architetti che hanno dato vita alla direzione moderna, sia nel passato che nel nostro tempo, quando hanno deciso di diventare architetto hanno avuto delle conoscenze specializzate molto esigue; non hanno quasi mai studiato l’arte del costruire, e piuttosto si sono formati in un’altra professione artistica; cito come esempio solo Brunelleschi, Alberti, Michelangelo. Le conoscenze pratiche possono essere imparate da chiunque, la fantasia no. Questo vale anche per le costruzioni più difficili, per il cui calcolo e realizzazione l’architetto, non sapendolo fare, si serve dell’ingegnere, completamente l’opposto di quello che dovrebbe essere un ingegnere; poiché in genere è un uomo senza fantasia e senza alcuna comprensione per la forma, nel migliore dei casi può solo essere un buon assistente. Quello di cui necessita l’architetto è solo la comprensione della costruzione; egli deve saper pensare in modo costruttivo, altrimenti diviene un decoratore. Perciò anche l’insegnamento deve contribuire a fargli imparare il pensare in modo costruttivo, e per fare ciò l’architetto deve imparare anche molte cose che in seguito non gli serviranno più; non è necessario, anzi è dannoso, fargli imparare tutte le costruzioni moderne in uso oggi, che sono calcolabili, ma poco comprensibili a prima vista. No, l’insegnamento deve affrontare le costruzioni primitive nei materiali naturali, con giunzioni in muratura e in legno, perché anche se oggi vengono utilizzate molto raramente, tuttavia sono costruzioni che lo studente non solo capisce, ma che può anche sviluppare da solo senza necessitare di molte conoscenze preliminari, e una volta comprese sarà in grado di capire anche le costruzioni in ferro e cemento e saprà utilizzarle in modo corretto e addirittura in modo nuovo. Al contrario invece, qualunque insegnamento decorativo è sbagliato, poiché non si rivolge alla ragione, quanto al gusto che è ancora da formarsi; questo vale sia per il vecchio metodo di insegnamento che consisteva nel copiare gli ornamenti storici, così come per quello attuale che cerca di trovare un effetto decorativo “dal materiale”. Quest’ultimo metodo consiste nel combinare senza senso materiali come carta, vetro e lamiera, che non hanno niente a che fare l’uno con l’altro e poi unirli in modo non costruttivo diventando delle cosiddette “costruzioni”. Questo tipo di insegnamento è ancora più fatale, dato che qui 195 vengono dati per costruzioni quelle che in realtà sono decorazioni, cosa che causa ancora maggiore confusione attorno a questi due termini; forse si otterranno certi effetti da questo metodo, che però nel migliore dei casi saranno utilizzabili come arrangiatori di spese (Auslagenarrangeure), ma anche per questi sarebbe più sano un ragionare più obiettivo (sachlicheres Denken). L’ornamento classico aveva almeno una sua logica interna, per ogni elemento costruttivo sul quale era usato aveva il suo proprio carattere; poteva aiutare a simbolizzare la statica, non era mia una indifferente “decorazione fine a se stessa”. Per questo motivo ha una grande importanza l’insegnamento degli stili storici, soprattutto quelli classici il cui sistema di simboleggiare la statica è perfettamente logico. Non si tratta di imitare queste forme, primari; anche se le comprende, si tratta piuttosto di qualcosa che non riusciamo appunto a ma di capirne la logica; la costruzione moderna dovrebbe possedere la stessa logica anche senza l’utilizzo di questi simboli, ciò significa che ogni elemento deve essere spiegabile all’occhio e comprensibile, e assieme agli altri formare una complessiva armonia. In questo modo lo studente impara il pensiero formale, così come essere comprensibili a prima vista dall’osservatore senza bisogno di alcun commento che ne spieghi il valore pratico. Egli utilizza a riguardo forme simboliche che appartengono ad una determinata epoca, come per esempio i simboli statici dei diversi stili, ma anche quelli che valgono per qualunque epoca e che si riferiscono alle funzioni abitative. È stato detto più volte che gli architetti di una volta per le facciate lavorassero dall’esterno verso l’interno, e che invece quelli moderni viceversa; per i primi probabilmente questo è vero, ma ciò che intendo per architettura moderna sorge contemporaneamente all’interno e all’esterno nella visione del progettista. Nessun vantaggio all’interno può scusare una cattiva facciata dato che l’esterno di una casa esiste per molte più persone che l’interno. impara il pensiero costruttivo al meglio da quelle costruzioni di cui necessita altrettanto poco come dei loro simboli. Ho già spiegato che non erano i nuovi metodi costruttivi che pretesero nuove forme prive di simboli, bensì la nuova ideologia, alla cui formazione del resto contribuirono i metodi costruttivi scientifici. Sia l’acciaio che il cemento armato avevano da tempo dimostrato la loro validità, ancora prima che vi fosse la necessità di una nuova forma; anche gli stili storici erano cambiati, senza che fossero necessarie nuove costruzioni per il soddisfacimento di uno scopo pratico; da questo punto di vista tutti gli intermezzi tra il periodo classico e quello classicista erano inutili. Ho anche fatto notare come qualunque abitazione moderna che oggi viene costruita con struttura in acciaio, poteva essere fatta in legno nella stessa forma in un qualunque altro periodo storico; parlo solo della casa d’abitazione, che deve essere la base per ogni architettura moderna, dato che è l’unico edificio che serve per i bisogni degli uomini e non delle divinità o del commercio; qui ciascuno può fare le proprie singole esperienze. La casa d’abitazione è l’edificio che nella nostra epoca si avvicina di più ad un’opera d’arte, dato che è quello che è più fine a se stesso rispetto agli altri edifici che servono ad uno scopo preciso come la produzione oppure la conservazione di qualcosa; hanno lo scopo di rendere possibili le case d’abitazione, cioè a mettere a disposizione i mezzi necessari affinché questo avvenga. Nessun uomo rimarrà in questi edifici un solo attimo in più del necessario per raggiungere lo scopo, poiché non sono fatti per gli uomini. Lo stesso vale anche per i monumenti del nostro tempo che sono calcolati solo se servono per la grande collettività e se il loro scopo di rappresentare interessi spirituali di fronte al bisogno non è troppo importante. Deve mostrare al popolo che lì vi accade qualcosa che è di suo interesse. La casa d’abitazione invece esiste solamente per gli uomini, e cioè per il vivere; questo è un concetto indefinibile che ha per le diverse persone significati differenti e perciò esistono così tante possibilità di variazione. Questo “vivere” si può suddividere, come spesso avviene oggi, nelle diverse attività fondamentali dell’uomo per ottenere una forma abitativa scientificamente determinata; esse sono mangiare, dormire, lavorare e riposare; ci viene spesso detto che la casa moderna deve tener separate tutte queste funzioni abitative e soddisfare poi ciascuna al meglio singolarmente; tuttavia, appunto, ciò che io voglio chiamare il “vivere” va di gran lunga oltre al mero soddisfacimento dei bisogni 196 definire, quello che dà un senso a ciascuna vita, che la libera dal soddisfare burocraticamente quelle funzioni. Un insieme di stanze, anche se perfettamente adatte a ciascuna di queste determinate funzioni abitative, è ancora molto lontano dall’essere un’abitazione buona, bella e confortevole. L’uomo che riuscirà a soddisfare bene tutte queste funzioni, non è detto che sarà perciò felice, anche se non avrà altri bisogni. La differenza tra un allineamento di stanze e una abitazione risiede nella sua forma. L’architetto realizza le sue forme nella stessa maniera dello scultore, solo che lavora con forme astratte che hanno un significato simbolico. Queste forme devono L’architetto è un modellatore che forma allo stesso tempo le parti concave e quelle convesse. Né l’osservatore né l’abitante dovrà mai credere che un certo elemento nella casa fosse fatto per uno scopo particolare, la forma deve sembrare ovvia. Se per esempio vediamo una finestra che distrugge l’armonia della facciata, non deve essere giustificata con il fatto che era necessario collocarla lì; la logica dello spazio deve andare d’accordo con quella della facciata. La forma della casa non è costituita dalla decorazione della sua facciata; l’architetto deve poter pensare in modo tridimensionale, la sua visione delle cose perciò è più prossima a quella dello scultore che non a quella del pittore, il quale realizza proiezioni. Perciò i lavori di modellazione saranno molto utili per lo studio dell’Architettura. Dalla storia dell’arte sappiamo che l’Architettura e la scultura sono due ambiti di cui si poteva occupare lo stesso artista, Architettura e pittura invece non erano unibili dato che il modo inconscio di osservare e pensare del pittore è diverso da quello dell’architetto e non si possono modificare come si vuole. La medesima formazione come scultore la vorrei pretendere anche per ogni altro artista che realizza oggetti tridimensionali; il fatto che questi vengano oggi progettati spesso in maniera così incomprensibile dipende di nuovo dalla insoddisfacente formazione del disegnatore, il quale ha una scarsa conoscenza del materiale e delle sue possibilità formali, che invece venivano insegnate dall’artigiano durante la modellazione. La formazione del designer oggi è troppo impegnata ad insegnargli solamente la materia in cui si sta specializzando, ciò significa a camuffare al meglio i bisogni pratici in forme alla moda. Tuttavia viene data troppo poca importanza al significato delle regole formali; questa scarsa formazione viene sostituita qua e là solo attraverso una forte tradizione formale, che però manca al disegnatore nel mondo della nuova cultura. In ogni caso un specializzazione che avviene troppo presto è comunque sbagliata. Il giovane che decide di esercitare la professione in una delle arti applicate solitamente non sa ancora per quale delle tre è più portato, egli sente semplicemente l’aspirazione a dedicarsi 197 all’arte in generale. Un passaggio da un’arte all’altra deve rimanergli sempre libero, e perciò è sbagliato far rientrare il lavoro dell’architetto nell’ambito delle tecniche e non delle arti. Le conoscenze pratiche possono essere recuperate da chiunque, il talento artistico è innato. Anche se prima ho detto che l’Architettura spesso non è un’arte, può essere esercitata solamente da artisti dato che solo loro hanno quella forte intenzione che non lascia spazio a nessun altro interesse. L’Architettura moderna si è sviluppata a partire dalla casa d’abitazione, poiché qui vi è una necessità maggiore a dare ad ogni elemento il proprio carattere speciale rispetto a qualunque altro edificio che serve bene o male per la stessa occupazione di tutti gli uomini che vi permangono per questo scopo. I simboli della statica sono certo scomparsi, tuttavia ogni elemento costruttivo, ogni porta, ogni finestra, ogni gradino deve avere un proprio carattere simbolico-abitativo (ein wohnsymbolischen Charakter) che va di gran lunga oltre le proprie esigenze primitive, il rendere possibili i percorsi oppure permettere un facile ingresso. Perciò la porta deve esplicitare se attraverso di essa si entra nella casa o si esce, la finestra se essa si trova in una stanza atta alla permanenza oppure di attraversamento, e così via. Queste regole dell’espressione della funzione attraverso la forma erano note un tempo per mezzo della tradizione e venivano sempre rispettate, quando non ostacolate dai simboli della statica e dalle loro esigenze decorative. Oggi sono dimenticate e vengono persino consciamente trascurate poiché viene valorizzato molto di più l’utilizzo pratico che si lascia esprimere in denaro. La casa moderna dovrebbe fornire all’abitante la maggiore libertà possibile, ciò significa che non deve essere costretto dallo spazio ad una vita rigida; una simile casa libera non è più costituita da una zona giorno e stanze secondarie, si tratta invece di una casa d’abitazione, a cui, come insieme, vengono fatte le stesse richieste che oggi vengono spesso appuntate ai salotti. La casa dovrebbe dare la possibilità all’abitante di abitare in una maniera che per le sue condizioni è la migliore e la più libera, una maniera della quale spesso egli stesso non ha conoscenza anche se inconsciamente la desidera. La casa certo non formerà una nuova società attraverso la sua forma, però sicuramente potrà contribuire a stimolare l’uomo a pensare liberamente. Se riesce a comprendere come poter eliminare le convenzioni, i pregiudizi e i simboli che sono talmente antiquati che una loro rimozione gli farebbe solo che bene, allora sarà sicuramente in grado di ritenerlo desiderabile anche in altri ambiti. A tal fine dobbiamo dapprima smettere di credere alla necessità dei rigidi simboli degli architetti storici e poi l’immediata regolamentazione di un nuovo ordine. Dobbiamo smetterla di credere che le nostre nuove abitazioni siano una continuazione migliorata di quelle passate. La nuova forma abitativa non è assolutamente sorta dall’appartamento borghese del secolo XIX°, bensì dall’atelier dell’artista che si trova nella soffitta, l’appartamento bohemien. Qual è la differenza? L’abitazione normalmente era un allineamento di stanze. L’atelier però era uno spazio irregolare più alto nel sottotetto, con finestre collocate in modo casuale, che in genere erano state tagliate così non tanto per ragioni di illuminazione quanto per via di una complicata architettura della soffitta. E in questo spazio, che non venne mai pianificato, ma sorto casualmente come spazio di risulta, economico e primitivo, dato che non è considerato abitabile dalle autorità, venne inventata l’abitazione moderna. In questo spazio senza forma l’abitante creava le pareti spesso per 198 mezzo di armadi e tende, lo suddivise attraverso soppalchi in due livelli e formò alla fine un complesso abitativo irregolare e tutto questo casualmente. Non credo che la stanza rettangolare sia sorta per il fatto che sia quella più adatta all’abitare dato che in realtà gli angoli retti producono una costrizione; le forme rettangolari sono stati imposti per necessità in modo da poter allineare una accanto all’altra le case in città a formare una strada; tuttavia sappiamo anche che il volere le strade diritte divenne esagerato al fine anche qui di rappresentanza. Più le strade sono irregolari, più la città è vivibile. Tuttavia, se anche per la città esistono delle esigenze che interessano la collettività, come soprattutto di traffico e immobiliari, che spesso pretendono strade diritte per comodità, e di frequente anche senza motivo, questo non vale invece per la casa d’abitazione. La nostra tecnica moderna ci permette qualunque libera suddivisione all’interno. Non c’è da sorprendersi se gli uomini cercano riposo dalle comodità della città nella primitività della campagna e spesso si trovano meglio ad abitare in capanne sorte casualmente e mulini riadattati piuttosto che nella casa completamente pianificata e suddivisa scientificamente a seconda delle funzioni abitative. Il credere ad un ordine sistematizzato è sorto da un’educazione imposta. Sono dell’opinione che se l’architetto prende la matita e disegna senza pensare un qualunque poligono, che dovrebbe rappresentare la pianta di una stanza, questo sarà in genere sempre meglio che se si cruccerà sulla base di diverse teorie. Una pianta rettangolare è certo la più “semplice”, ma anche la peggiore, e in queste proprietà viene superata solo dalla pianta quadrata. Si tratta di una presunta esigenza di un simbolo di ordine, ma non dell’ordine stesso, un simbolo che nuoce all’utilizzo degli spazi, cioè al loro comfort; essi sono impersonali e perciò adatti a chiunque, in modo simile ad una cella nella prigione. Già tempo fa avevo fatto notare come l’utilizzo di forme geometriche per ogni cosa voglia in realtà trasformare tutto il mondo in una prigione; e con lo stesso ragionamento sorsero anche teorie di illuminazione che pretendevano che ogni stanza dovesse essere illuminata nello stesso modo, cosa che suona molto illuminante, ma che è inutile e sciocca quando non si possiede una ideologia totalitaria. Sicuramente riterrei importante che ogni stanza abbia possibilmente una finestra per ogni direzione del sole in modo da ridurre la sensazione di prigionia. Fare questo è quasi sempre possibile, e altrimenti lo si può ottenere attraverso delle piccole estensioni che vi alludono simbolicamente; questo era il senso dei baywindows. Come già detto, ogni elemento non ha solo un significato pratico, ma anche uno simbolico. Certo non possiamo comporre una casa solamente attraverso casualità, serve una progettazione molto consapevole in cui dapprima devono essere soddisfatte le esigenze pratiche. Non dobbiamo illuderci che le forme abitative locali nei diversi paesi e territori fossero sempre il meglio per i popoli, così che noi ci dovessimo riferire a questi. La casa moderna sarà ovunque la stessa, eccetto che per piccole differenze che dipendono dal clima e dallo spazio a disposizione. I modi di abitare nazionali scompariranno, dato che le loro caratteristiche spesso sono cattive e antiquate, anche se ancora sopportabili da quegli uomini che non sono abituati ad altro e che non conoscono altro. Non vi è alcuna ragione per cui uomini di diversi paesi debbano abitare in modi differenti, dato che ovunque esigono la stessa comodità. Nel secolo XIX° questa esigenza era soddisfatta al meglio dalla casa inglese poiché era nata da principio per una cultura borghese democratica; venne perciò accettata ovunque e si irrigidì. Infatti è quasi da dire tragico il fatto che l’Inghilterra, alla quale dobbiamo quasi tutte 199 le influenze migliori per quanto riguarda la cultura abitativa e la costruzione della città, sia rimasta ferma ai suoi vecchi risultati e non sia in grado di svilupparsi e perciò adotta a caso i peggiori esempi da ogni parte. Perché vi si aggiunsero nuovi influssi che non fu più in grado di assorbire, soprattutto quelli giapponesi che fino ad allora erano sconosciuti; questi ultimi insegnarono agli europei una nuova leggerezza e flessibilità, cioè l’incontrario dei rigidi e pesanti simboli rinascimentali; dimostrarono in particolare che non tutto doveva rimanere così com’era stato fino ad allora, che potevano esistere anche altri sistemi dotati persino di una tradizione; ma più di tutto il Giappone ci insegnò lo stretto rapporto con la natura che l’europeo fino ad allora – e spesso ancora oggi - aveva compreso solo nella casa di campagna e nella primitività. Vorrei spiegare l’organizzazione della casa moderna come una strada (Weg), intendo cioè dire che l’essenza di una buona abitazione consiste nel modo in cui si entra e ci si muove nella casa. La pianta è analoga ad una città cresciuta in modo organico: è costituita da strade principali, secondarie e piazze, che dovrebbero tutti essere caratterizzati in modo che non si abbia mai la sensazione di potersi perdere. Se la casa è disposta correttamente, il visitatore che vi entra per la prima volta riuscirò a trovare subito il percorso per raggiungere ogni stanza. A tal fine è necessario che ciascuna di queste stanze venga caratterizzata in modo che attraverso la sua forma e la sua illuminazione si possa comprendere in quale direzione debba essere percorsa oppure se è destinata alla permanenza. Una delle regole più importanti perciò vuole che il percorso sia continuo, che la linea retta venga interrotta in punti precisi e che ogni cambiamento di direzione sembri motivato. Soprattutto è necessario che non si proceda mai a ritroso e che non si debba fare lo stesso percorso due volte o ancora che si debba salire delle scale e poi di nuovo scendere, cosa che creerebbe confusione. Se ancora una volta sottolineo che l’effetto più grande, cioè l’abitabilità (Wohnlichkeit), deve essere raggiunto attraverso il minimo, non intendo dire con quei mezzi sufficienti appena a rendere possibile una vita in questa casa, cioè che ogni stanza debba essere ridotta al suo minimo consentito. Intendo dire che ogni percorso che debba essere fatto due volte simbolizza uno spreco e provoca un disagio estetico. Non si tratta di rendere ogni stanza la più piccola possibile, bensì di evitare spazi morti i quali non sono giustificabili né da un punto di vista pratico né estetico. Una camera può anche avere dei punti in cui non si va mai, ma, dato che contribuiscono alla sensazione di ampiezza, sono necessari e utili. La casa dovrebbe essere collocata a terra e non vi dovrebbero essere dei gradini che portino alla porta di ingresso; questa è una regola fondamentale per ogni abitazione in cui hanno da entrare gli uomini; l’unico edificio in cui erano da sempre consentiti i gradini era il tempio greco, la casa della divinità, in cui gli uomini non potevano entrare e per questo venne separato dal suolo per mezzo di scale. Questo tempio, che per la sua perfezione divenne modello di riferimento per tutta l’Architettura, ha perciò causato grandi guai perché il significato di questi gradini non venne capito. Per questo quasi tutti i monumenti moderni sono dotati ancora oggi di gradini e questi vennero poi trasferiti anche sulle case di abitazione, quando queste vennero monumentalizzate. Il risultato di un ulteriore fraintendimento del tempio è la sua monumentale simmetria. Qualunque casa, la cui porta di ingresso si trovi al centro di una architettura simmetrica, risulta confusionaria, poiché colui che vi entra non sa dove deve andare, quello che la facciata dovrebbe rendere chiaro rende invece la pianta poco chiara. La natura che circonda la casa dovrebbe essere trasferito all’interno gradualmente e in modo 200 discreto. A tal fine servono spesso poche trasformazioni: il pavimento e la piantumazione diventano regolari, e la porta è collocata in una nicchia che prepara all’ingresso mentre ci si trova ancora all’esterno. Se a questo aggiungo che la casa debba costituire un’armonia con la natura, non intendo dire che essa vi si debba adattare; non esiste nessuna natura che pretende una determinata forma della casa in modo da combaciare con essa. L’architetto crea forme diverse dalla natura; possiamo addirittura definire l’Architettura come un ordine della natura e questo attraverso forme sue proprie; più differenti sono le forme architettoniche da quelle della natura, migliori esse saranno, questa è il grande insegnamento dell’arte classica. La casa dovrebbe adattarsi alla natura per mezzo della sua forma allo stesso modo di come in una città ha da rispettare le case vicine. Tuttavia non necessitiamo di una uniformità costretta attraverso un materiale rustico né per mezzo di alberi affiancati all’architettura. Una volta che siamo entrati nella casa e che ci siamo separati dalla natura, inizia il percorso progettato verso lo spazio abitativo (Wohnraum). Se esistono dei corridoi in cui non ci si dovrebbe soffermare, allora essi dovrebbero essere percorribili nel senso della loro lunghezza e dovrebbero essere illuminati in modo uniforme sui lati lunghi in modo che non vi si crei un centro. Una stanza invece destinata solo ad una breve permanenza oppure ad un cambiamento di direzione dovrebbe essere più quadrata dato che questo le conferisce una forma più invitante. L’ingresso al soggiorno dovrebbe essere chiaramente visibile, è collocato di fronte alla porta attraverso la quale siamo entrati nell’atrio e non in una delle sue pareti laterali. Se questo ingresso è una porta, allora essa è da caratterizzare come la porta di ingresso, va collocata cioè in una nicchia, per la quale spesso basta anche solo lo spessore del muro. Il soggiorno è il centro della casa, analogamente come in una città la piazza principale, ma con la differenza che esso non è necessario sia collocato al centro dato che non esiste per la collettività che vi abita attorno. E allo stesso tempo questo centro possiede al suo interno un altro centro che conferisce al salotto il proprio carattere. Solo così tutte le decorazioni, che in fondo non erano nient’altro che tentativi di conferire allo spazio un carattere, divengono inutili. Un tempo il centro era costituito dal camino, che rappresentava nel soggiorno il luogo naturale del riunirsi; oggi non è più necessario e perciò lo spazio deve essere dotato di una forma in cui è subito individuabile in esso un luogo per il riposo (Ruheplatz); esso può essere più illuminato rispetto al resto della stanza, ma anche più scuro, basta che sia diverso e non vi devono essere dubbi quale esso sia: deve essere percepibile. La strada che dobbiamo percorrere attraverso la casa possiamo farla a volte anche per mezzo di scale, in modo che le stanze siano collocate su differenti livelli e che abbiano diverse altezze, cosa che può conferire loro una migliore caratteristica e fornirci una sensazione di vivere in uno spazio tridimensionale. La rampa ha da essere collocata in modo che il suo inizio si possa vedere direttamente da ogni punto della casa dal quale accediamo, senza che dobbiamo aggirarla. Dobbiamo avere la sensazione, percorrendola, di andare sempre avanti e non a ritroso. Attraverso l’interruzione delle rampe in più di un pianerottolo possiamo cancellare un effettivo tornare indietro nel percorso, e distruggere ogni orientamento per mezzo di una scala a chiocciola. Tutti questi elementi costruttivi, che alludono simbolicamente ai passi (Durchschreiten) della casa, debbono essere pensati bene, poiché costituiscono la vera architettura della casa, se questa ha da essere qualcosa di più di un semplice accostamento di stanze. A tal fine bisogna certamente tener conto che tutto questo deve essere suggerito in modo naturale e non costretto, in modo che l’intento non sia troppo facile da scoprire, altrimenti è possibile 201 che la casa diventi teatrale. Questi mezzi allo stesso modo hanno da essere il mistero della composizione, così come deve avvenire nella costruzione di un quadro di cui ho parlato prima. La finestra estende otticamente lo spazio aprendolo verso esterno e modificandone la sua forma. Bisogno perciò porre attenzione su quale parete è collocata e in quale direzione debba essere aperta, se lungo la sua lunghezza o l’ampiezza. La finestra non serve a dare la maggior luce possibile, e nemmeno la luce più uniforme, bensì quella illuminazione che noi vogliamo. Se si tratta di un buco (Loch) con una cornice in muratura, allora la forma della stanza verrà conservata. Se invece l’apertura si protende fino alle pareti laterali oppure va dal pavimento al soffitto, allora sfonda lo spazio e lo collega con il mondo esterno. Nessun buco, per quanto grande sia, può sostituire un tale effetto; perciò questi due tipi di finestre hanno effetti molto diversi. La forma naturale per una finestra rimarrà per noi sempre quella orizzontale, dato che viviamo in una natura orizzontale e i nostri occhi sono collocati uno vicino all’altro e non uno sopra l’altro. La vecchia finestra verticale dipendeva dalla sua costruzione e dalla sua simbologia, ma non aveva nessun rapporto con l’uomo. Possiamo notare come tali esigenze che richiediamo per una casa non potevano essere soddisfatte nella rigida architettura storica nella stessa misura come oggi; certo tutte queste regole erano note e vennero spesso persino seguite tradizionalmente meglio di adesso; difficilmente troveremo nelle case dell’Architettura storica una scala collocata in modo sbagliato. tuttavia la costrizione ad una regolarità della facciata attraverso i simboli della statica impedisce la libertà che noi oggi possediamo e possiamo sfruttare proprio grazie alla cancellazione di questa imposizione; questa è l’Architettura moderna. So benissimo che spesso occorre risparmiare e che bisogna sfruttare ogni più piccolo pezzo della casa per scopi pratici; questo vale soprattutto per il nostro così importante Housing, le cui abitazioni oggi sono ancora un compromesso tra due tendenze: la prima consiste nel dare agli uomini il meglio, la seconda un peggio giusto giusto ancora sopportabile e per il quale siano disposti a pagare. Ma persino qui deve esserci ancora spazio per l’Architettura appena descritta [quella moderna], dato che, come già detto, per tutte queste caratteristiche bastano delle allusioni; non dobbiamo applicare le forme come se fossero dei manifesti; più parsimoniose e caratteristiche e discrete saranno queste allusioni, meglio sarà. Ogni parte della casa dovrebbe essere ovvia e formalmente comprensibile, a nessuno deve venir in mente di domandare qual è il suo scopo pratico. E chi non è in grado di rendere inseparabili le esigenze pratiche con le regole formali, potrà essere un ingegnere o un decoratore, ma certamente non un architetto. Nella seconda versione, prima di affrontare il problema dell’aspetto pratico nella formazione dell’architettura, Frank aggiunge una pagina in cui fa indirettamente riferimento all’insegnamento di Gottfried Semper2: “io stesso sono stato un insegnante della vecchia scuola che per esempio spiegava la forma dei vasi greci sulla base del loro uso, mostrando come ciascun manico era posto lì dove serviva per poter prendere il vaso e a questo proposito il vaso aveva una forma funzionale. Chi impara una volta questo insegnamento e lo comprende nella logica del suo pensiero, non potrà mai più cadere in uno dei tanti errori che vengono commessi oggi da molti dei nostri decoratori moderni, quando disegnano vasi e pretendono di dare loro una forma che considerano moderna per motivi introvabili. Certe cose vengono sempre formate in modo funzionale e in questa istanza non c’è ragione per cambiarle. Questo vale per quasi tutti gli oggetti utili fino al XIX secolo. È molto difficile per il principiante capire le complesse forme dell’architettura, che sono qualificati per lui da troppi particolari, ma chiunque può capire la forma di un oggetto che può prendere nella sua mano. Allora la questione sarà rendergli comprensibile attraverso l’insegnamento non solo una piccola parte, come la maniglia già citata, ma l’intera idea costruttiva con la quale esso venne formato al di là del materiale. Perciò la cosa migliore sarà iniziare il processo di educazione dalla forma tradizionale facilmente comprensibile, che ha acquisito la sua forma migliore nel corso di uno sviluppo continuo, e da qui ha elaborato l’idea dell’archi-tettonica [archetectonics]”. Note 1 Vedi l’articolo dell’autore Was ist modern? in “Der Baumeister” rivista mensile per architettura e costruzioni. Semper nel capitolo dedicato alla Ceramica di Der Stil aveva sottolineato la differenza tra la situla egizia e l’idra greca, l’una formata in modo da poter raccogliere l’acqua dal letto tranquillo del Nilo e trasportata ponendone due alle estremità di un bastone, quindi dotata di un unico manico flessibile e rastremata verso il collo; l’altra che serviva a raccogliere l’acqua da una sorgente zampillante e trasportata sulla testa quando piena e quindi dotata di tre manici (due per il sollevamento e uno per il trasporto quando vuota o per essere appesa), una base larga e un collo a imbuto. Vedi G.Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen Künsten, oder Praktische Aesthetik. Ein Handbuch für Techniker, Künstler und Kunstfreunde, Zweiter Band: Keramik, Tektonik, Stereotomie, Metallotechnik, Friedrich 2 Bruckmann’s Verlag, München, 1863, p.4 202 203 Modern Josef Frank Architecture Ho paura di non riuscire a dare una definizione esatta di ciò che intendo qui per architettura “moderna”. Non intendo infatti quell’architettura “moderna” che è considerata “moderna” attualmente, o che io stesso ritengo “moderna” per i nostri tempi, cosa che sarebbe solamente un’architettura corrispondente alle mie esperienza personali e le mie idee di forma. La mia intenzione non è di fare propaganda per certe forme particolari che saranno “moderne” per sempre, perché ogni sistema di forma che volendo possiamo chiamare stile appartiene solamente ad un periodo relativamente breve ed è poi superato da un altro. Utilizziamo la parola “moderno” con molti differenti significati. A volte Assieme a How to plan a House, il presente testo fa parte dei capitoli che avrebbero dovuto comporre il mai pubblicato volume Contemporary Art and Architecture che raccoglieva le lezioni di Josef Frank tenute presso la New School for Social Research di New York. Venne redatto dopo il 1946 e fino ad ora è rimasto inedito. Mi è stato gentilmente spedito da Kristina Wängberg-Eriksson, che ringrazio, e ho potuto così tradurlo in italiano. Il testo infatti è in lingua inglese, dattiloscritto, con annotazioni, correzioni e aggiunte a penna. Alcune parole sono sottolineate. Riprende, rielaborandoli, dei concetti che Josef Frank ha già più volte espresso in articoli di riviste e nel suo libro Architettura come simbolo del 1931. 204 intendiamo con esso una caratteristica delle cose che, per una ragione o l’altra, sono esattamente in stile, come i vestiti delle donne. Altre volte intendiamo cose che si adattano nel modo migliore al loro scopo e che possiamo produrre oggi, come per esempio le locomotive. Quando è riferito alle case, il primo significato è usato per quelle costruzioni per esempio rivestite di qualche nuovo materiale, come bachelite o cromo, e il secondo significato per quelle case con bagni e cucine ben disposti. No, qui io invece sto parlando di architettura “moderna” in un senso più ampio, uno che dovrei porre in contrapposizione con qualunque architettura storica. Dovrei parlare di nuovi significati formali di espressione architettonica, che nel corso del tempo saranno probabilmente spesso modificati nei particolari, ma che appartengono ancora nei loro contorni di massima ad un sistema per cui tutti i periodi di architettura storica, presi insieme, usano lo stesso linguaggio formale, tendenti a spiegare la statica attraverso simboli visivi. Nel futuro forse si troveranno termini più appropriati per le corrispondenti architetture storica e moderna. L’architettura storica è più semplice da definire – un dato di fatto che è comprensibile – perché è qualcosa di già finito. La sua natura consiste in questo e solo in questo, cioè che, senza tener conto del periodo stilistico di cui fa parte, usa i simboli della statica che rivelano allo spettatore la costruzione dell’edificio e rendono comprensibile ai suoi occhi il fatto che è stabile. Per questo sopra ad ogni apertura veniva mostrata una trave o un arco, a prescindere dal fatto che la costruzione lo richiedesse o meno. Colonne e pilastri sono dotati di base e capitello che dimostrano che le parti allargate danno maggiore stabilità agli elementi portanti nei punti in cui si elevano da terra per sostenere le travi. I conci degli archi sono enfatizzati per mostrare che si tratta di quelle parti della costruzione sopra le quali si erge la muratura oppure solitamente conferiscono un profilo per tutta la lunghezza dell’edificio in modo da farlo sembrare come un unico elemento portante. In tutti gli stili storici, la capacità portante di ogni elemento costruttivo era simbolizzato in questo modo all’occhio. Queste colonne erano collocate lungo le facciate, intervallate da semicolonne e semipilastri semplicemente per evidenziare che si trattava di pannellature, una procedura che conferiva l’illusione di una costruzione genuina a pilastri; venivano usati anche altri dispositivi simili. Adesso siamo così abituati a questi simboli che spesso non riconosciamo più il loro valore. Tuttavia ogni volta che vediamo un edificio in uno stile storico che al posto di questi simboli ha una facciata liscia e priva di sculture, l’occhio abituato istintivamente li sostituirà con numerosi esempi. Se per esempio le finestre sono identiche e analogamente collocate tra pilastri uguali, e tutti questi elementi sono uniti tra loro in un’unità armonica in cui è chiaramente evidente che né le finestre né i pilastri erano previsti o dimensionati in riferimento alla loro funzione pratica, ma invece sono dotati di una proporzione che noi siamo in grado di riconoscere grazie a quegli edifici che mostrano simboli statici, allora nella nostra mente assieme a loro metteremo anche le cornici, gli archi e i davanzali. Molti di noi penseranno questo nella casa di un uomo povero che non può spendere nulla in arte. L’architettura che io qui chiamo “moderna” è un’architettura che non è dotata di questi simboli. Questa distinzione può sembrare insignificante: ad una prima occhiata non appare abbastanza significativa come principio da costruirci sopra una nuova teoria dell’architettura. Non implica nessuna sorta di regole pratiche la cui più completa realizzazione ci viene così spesso presentata come il criterio fondamentale dell’architettura moderna. E non include la decorazione. Tra l’altro, la “più completa realizzazione” è una qualità che non ha nulla a che vedere con le forme architettoniche. Ogni nuova architettura ha certo nuove forme, ma non necessariamente nuovi contenuti. Guardiamoci bene dal venire ingannati; nuovi stili non vengono originati da considerazioni pratiche: essi cambiano quando prevale una nuova ideologia che deve essere caratterizzata attraverso nuovi simboli. Per esperienza sappiamo anche che una casa interamente funzionale può essere costruita in qualunque sorta di stile storico che soddisfi tutti i bisogni moderni, ed anche che esistono case in stile “moderno” che invece non soddisfano assolutamente questi bisogni. Credo inoltre che è possibile riprogettare in uno stile storico quasi qualunque abitazione che costituisce l’orgoglio della nostra architettura moderna senza per questo diminuirne il valore pratico, solamente il suo valore estetico sarebbe diverso. Ritengo anche che il suo valore estetico, in un senso più ampio analogamente pratico, serva in sostanza per il benessere dei suoi abitanti. Così se da un lato la campagna per abolire i simboli statici appare insignificante, dall’altro essa porta a importanti conseguenze nell’essere utilizzata. Non abbiamo bisogno di ricordare a noi stessi che in tempi precedenti fino al XIX secolo, questi simboli sono stati utilizzati non solo sulla facciata come decorazione e cioè per darle una maggiore varietà. No, essi erano necessari per l’uomo affinché si sentisse sicuro: erano necessari come segnale visivo che la casa permaneva realmente. 205 Vi era una sorta di idea animistica in questo, per cui uno considerava ciascun elemento strutturale in modo da scoprire quale elemento portante sosteneva uno spirito buono e quale schiacciava uno spirito maligno, cosa che costui voleva e doveva distinguere per potersi sentire sicuro. L’estetica del secolo diciannovesimo definisce l’architettura come un arte tra le altre cose nella misura in cui procura un bilanciamento visivo tra ciò che è portante e ciò che viene schiacciato nelle diverse parti di una costruzione, in modo che l’equilibrio risultante conferisca all’edificio la sua armonia. Questo avveniva un tempo in cui sembrava esistere solamente la possibilità di uno stile storico e si aveva da soddisfare solo l’impressione visiva. Il problema più sostanziale dell’architetto come artista era perciò organizzare le parti visibili di una costruzione in modo da far sembrare di averle così accuratamente proporzionate che l’occhio credeva tutto fosse armonico e in equilibrio statico. Si trattava di un epoca in cui l’unica possibilità per lo stile storico sembrava essere unicamente l’impressione visiva da soddisfare senza la necessità di pretendere un autentico bisogno della costruzione stessa. I simboli servivano affinché non si originasse un sentimento di insicurezza. Sulla base di questi mezzi, i simboli potevano venir trattati come più semplici o più ricchi, più leggeri o più pesanti; una facciata per esempio poteva essere caratterizzata in vari modi senza che le sue dimensioni assolute dipendessero dal materiale. Ciascuno di questi simboli era una scultura che, presi tutti assieme, costituiva un’unica unità plastica. La facciata era nei dettagli un opera d‘arte con tutta la forze espressiva che esiste in una qualunque opera d’arte, indipendentemente dalla costruzione e progettazione di una casa. Quando rinunciamo ai simboli statici e con essi alla scultura, allora la casa cessa di essere un’opera d’arte nel vecchio senso del termine, perché attraverso l’abolizione della scultura perdiamo la possibilità di differenziare i significati espressivi. Ci dobbiamo limitare a caratterizzare un edificio ordinando le masse e le dimensioni assolute e le proporzioni, con il mezzo peculiare ed essenziale dell’architettura stessa. L’architetto moderno che è libero dalle costrizioni dei simboli della statica e non ha più l’opportunità di essere uno scultore, pensa quindi in un modo diverso a quello storico. Tutta l’arte della costruzione in tutti i tempi e in tutti i popoli conosce un solo problema tecnico: come coprire un’apertura nella parete o uno spazio aperto tra le pareti e i pilastri. Sviluppi tecnologici consistono in nuovi metodi per la creazione di tali rivestimenti, soprattutto in proporzioni maggiori a quanto fosse possibile un tempo. In epoche preindustriali questo significava innanzitutto travi fatte di legno o pietra, e in seguito l’arco. Lo stile storico consisteva nell’esprimere visivamente questi problemi costruttivi. Come è stato già notato, il simbolizzare statico degli elementi strutturali risale ad una superstizione molto antica, secondo la quale ogni parte significava una forza misteriosa. Nonostante gli elementi strutturali in legno o pietra di un edificio erano in grado di renderne visibile la costruzione, questo non era sufficiente. L’artista dello stile storico perciò poneva poca attenzione sulle qualità del materiale che tanto l’occhio non poteva percepire. Tuttavia è evidente che questi simboli erano formati in riferimento al materiale accessibile in quel tempo: è perciò ovvio che questi simboli ci appaiono oggi totalmente in armonia quando li utilizziamo in nuove costruzioni che utilizzano materiali con una capacità di prestazione maggiore. L’occhio si sente più sicuro attraverso la modellazione di materiali conosciuti 206 secondo proporzioni armoniche. Queste forme di espressione simbolica raggiungono la loro più alta perfezione nel tempio greco nel quale tutti i problemi pratici erano insignificanti. Il suo contenuto funzionale non era nient’altro che un’unica stanza, la cella, e tutto il resto era privo di significato pratico. Ciò che chiamiamo architettura di questo tempio aveva un unico scopo – esporre l’armonia con cui le colonne trattenevano la massa degli uomini dall’immagine. Qui a nessuno serviva domandare qual era lo scopo pratico e la costruzione dato che tutti i problemi di forma e costruzione erano già completamente risolti per l’occhio. Si tratta di un esempio di armonia che non ha assolutamente niente a che vedere con i materiali e problemi costruttivi, ma unicamente con una filosofia che ricerca un’armonia simile. Dato il loro pensiero puramente letterario e non visivo, i critici dell’epoca tecnologica si sentiranno obbligati a questo punto di controbattere secondo il loro punto di vista sostanzialmente moralistico: “I greci, inclini all’avere sculture ad ogni costo, riempivano i frontoni dei loro tempi con sculture di ogni tipo per la più goffa e intralciante decorazione figurativa. E peggio: usavano marmo per fingere la pietra in colori vivaci – una pratica barbarica”. (Thomas Craven, Modern Art). A proposito ritengo, trascurando il fatto che nessuna delle descrizioni citate da Craven corrisponde a situazioni effettive, che queste sculture greche siano le opere d’arte più significative che siano mai esistite e che perciò ciascuna delle loro idee progettuali fondamentali è giustificata. L’errata opinione secondo cui le forme greche in pietra imitano quelle in legno è oggi costantemente ripetuta: questo credo si basa non sull’osservazione, ma sulla discutibile teoria per la quale i primi templi sarebbero stati in legno. Il critico avanza dall’arte pretese non estetiche ma puritaniche-moralistiche, e perciò non desidera una bellezza percepibile dai sensi, che non capisce neanche, bensì ciò che chiama verità e genuinità. Lo sottolineo qui perché molto spesso l’architettura moderna è implicata nella realizzazione di queste pretese. Una completa armonia del tempio era naturalmente raggiungibile solamente quando nessuno scopo pratico offriva un ostacolo. Oggi la sua influenza come prototipo è fatale anche nella misura in cui coloro che tengono fortemente ai principi storici di forma desiderano ottenere un’armonia simile attraverso l’imitazione, anche quando risulta assolutamente impossibile per principio; questo avviene quando è usata sulle case moderne che servono uno scopo pratico complicato e perciò non possono essere una pura opera d’arte come invece era il tempio greco. Non ci si deve stupire quindi che l’utilizzo di forme classiche renda le case particolarmente inadatte nel loro design pratico, ancora di più che l’impiego delle forme romantiche del Medioevo. Questo non dipende dalle forme dello stile in sé, ma dal fatto che le forme classiche spingono il progettista a scegliere un prototipo assolutamente irrealizzabile e inadatto. Tuttavia anche l’impiego di tutti gli altri stili storici serve ad un corretto adempimento delle finalità pratiche, così come tutti i riti e le superstizioni degli uomini pensanti per raggiungere ciò di cui hanno bisogno per una vita piacevole. Ripeto qui che non sono le forme di uno stile a rendere impossibile una progettazione moderna: ma l’uomo che pensa in uno stile storico lo fa senza libertà, dato che i simboli per lui valgono di più che la realtà. Ciascuna di queste forme mistiche è 207 legata a una credenza ad essa corrispondente che deve avere un significato non solo per l’artista, ma per tutti. Se la credenza perde la sua forza, nessuna opera d’arte ne emergerà più. Per questo oggi, nonostante gli sforzi e le richieste, non abbiamo più un’arte religiosa. Ogni dato stile è postulato sulle superstizioni del suo tempo, che incarna i suoi simboli visibili. Perciò la necessità di utilizzare uno qualunque di questi simboli risiede nella superstizione comune a tutte queste epoche che, attraverso manifestazioni mistiche, potesse essere comprensibile la potenza di forze naturali. L’architettura moderna è quindi un’architettura che potrebbe avere origine in un epoca che non condivide queste superstizioni. Essa differisce nei principi dall’architettura storica nella stessa misura in cui attitudini scientifiche differiscono da idee mistiche. Non voglio dire con questo, tuttavia, che l’architettura sia ora passata da un ‘arte a una scienza. No, l’architetto moderno, come un creatore di forma, deve pensare alla forma nella stessa misura in cui lo faceva l’architetto storico, ma il suo pensiero è fondato su presupposizioni che sono differenti dato che sono basate sul riconoscimento della scienza e non su speculazioni di una filosofia mistica. Nella nostra epoca tuttavia esistono abbastanza uomini che fondamentalmente non pensano in un modo molto meno mistico di quelli di epoche precedenti. E’ difficile per costoro liberarsi e molti non hanno nemmeno intenzione di farlo, dato che pensare in modo mistico sembra offrire molti vantaggi interni ed esterni. Mentre durante il corso dei cambiamenti nello stile storico ogni nuovo stile veniva prontamente accettato perché simboleggiava ancora un’attitudine mistica, oggi il pubblico si rifiuta di comprendere il moderno ed ha persino paura di lui. È come se questa architettura moderna avesse sottratto loro una parte della loro religione. Ora l’architettura moderna non trae la propria religione da ciò, dato che il suo presupposto è il pensiero non-mistico. Tuttavia essa insiste per una rottura con le convenzioni di una lunga tradizione in cui furono create molte importanti opere d’arte, e il pubblico non vuole ammettere che queste opere d’arte non possono più venir prodotte all’interno di queste convenzioni, anche se non furono prodotte per un tempo lungo, dato che l’idea mistica nel nostro tempo non ha più sufficiente intensità. Per più di cento anni, erano stati richiesti simboli che facevano ulteriore uso di credenze che in generale non esistono più; e questo tentativo ci ha dato le imitazioni di stili passati che vediamo nel diciannovesimo secolo, la cui inutilità può essere compresa solo quando si scopre l’artificialità psicologica dei simboli. Se io perciò richiedo un architettura moderna che non solo non utilizzi, ma anche rifiuti i simboli statici, ciò significa che una tale architettura rimarrà moderna fintanto che il pensiero scientifico continuerà a prevalere, e che la durata della sua esistenza non può attualmente essere stimata dato che esistono così tanti tentativi di ostacolarla. L’epiteto “architettura moderna” può comprendere ogni cosa, nel senso che ciò che emerge da una tale maniera di pensare, sia essa costruttiva o funzionale, organica o decorativa, ornamentale o liscia, o quant’altro, viene compreso. È solo necessario che non si sviluppi da un’ipotesi secondo la quale uno degli elementi strutturali debba essere simboleggiato staticamente. Al giorno d’oggi esistono davvero molti uomini “moderni”, se con ciò intendiamo solo uomini del nostro tempo, che non pensano realmente in modo scientifico ed ancora altri 208 che pretendono di non pensare in questo modo – questo è diventato una moda del giorno; al che uno sarebbe tentato di dire architettura “scientifica” invece che “moderna”. Tuttavia questo sarebbe ingannevole perché risveglierebbe la convinzione che l’architettura è una scienza e non un tipo di arte la cui filosofia si basa semplicemente sul pensiero scientifico. Per l’uomo che pensa in modo scientifico, e non mistico, tutti questi vecchi simboli della statica sono morti. Non ha più bisogno di circondarsi di loro per sentirsi al sicuro perché ha imparato ad avere fiducia nella costruzione in sé, che spesso non riesce a vedere in modo completo, e anche quando la vede il più delle volte non la può capire. Nessuno pretende una spiegazione simbolica per la costruzione di un ponte in ferro, e ogni tipo di soffittatura di una stanza, per quanto larga, viene accettata senza discussioni come un fatto possibile senza che l’osservatore sappia come esso sia sostenuto. Noi comprendiamo i fenomeni tecnici della vita quotidiana ma non delle esperienze visive. Questo è stato in precedenza diverso. Quando l’uomo con la fiaccola dava fuoco al suo focolare, esso bruciava. Certamente il fuoco era qualcosa di misterioso e le sue leggi causali erano sconosciute quando due pezzi di legno venivano strofinati tra loro, anche se ciò avveniva con uno scopo. Quando lo si applicava ad una sostanza infiammabile, bruciava e dava luce e calore, e si capiva la sua origine visivamente. Quando invece uno apre un interruttore elettrico viene accesa da qualche parte una lampada senza che uno sappia in anticipo quale. A colui che vede ciò senza sapere che cosa stia accadendo, questo deve apparire come una magia. In sostanza, la maggior parte degli uomini di oggi conoscono l’elettricità non molto di più di un selvaggio, a prescindere dal fatto che sappiano o meno che cosa sta accadendo, dato che non esiste una connessione immediatamente evidente e facilmente comprensibile tra l’origine e l’azione. Tuttavia essi credono nella meraviglia moderna e lo fanno davvero a tal punto che non c’è da meravigliarsi affatto. Non dimentichiamo tuttavia una cosa: il credo nelle meraviglie è scomparso veramente prima ancora che l’elettricità potesse essere scoperta; e in futuro si avrà fiducia nell’elettricità e nelle altre forze della natura al posto di quelle cose che in passato si aveva appena osato di rivendicare dalle forze soprannaturali; certamente, alla loro dedizione, un impianto elettrico viene oggi impiegato occasionalmente per la protezione di un potere misterioso, al cui aiuto però non ci si pensa più una volta che inizia ad agire. Inoltre, le tecniche di costruzione moderne ha raggiunto cose di dimensione finora impensabili. Chiunque le vede ci crede, così come ha fatto per l’elettricità, senza domandare maggiori spiegazioni riguardo alla loro potenza. Perciò esistono travi in acciaio e in cemento armato, delle quali gli uomini sanno solo che esistono, all’incirca come credono in molti misteri di costruzione che in realtà non esistono; tuttavia credono in una forza umana e non soprannaturale. In un tempo in cui questo processo costruttivo era nuovo, questa distinzione non era riconosciuta. All’inizio, si tendeva a decorate la costruzione moderna con i vecchi simboli per quanto si poteva. Se per esempio si costruiva un ponte sospeso in ferro, la forma che l’ingegnere ha calcolato era sufficiente, ma il pilastro in pietra di sostegno al ponte veniva decorato con i vecchi simboli della statica, dato che la pietra non richiedeva nuovi modi di pensare. Questa sorta di compromesso fu in larga parte responsabile degli orrori 209 dell’architettura del diciannovesimo secolo. L’esistenza di nuove costruzioni e la loro adattabilità è sufficiente per generare nuovi edifici di ingegneria, ma non una nuova architettura, che deve rimanere all’interno di un impulso artistico, il quale a sua volta è fondato nella filosofia. Il modo di pensare scientifico non è oggi ancora molto diffuso anche se i suoi risultati pratici vengono utilizzati da tutti per le loro necessità. Inoltre la tendenza a mescolare credenze mistiche con la scienza viene oggi propagandata dovunque con successo. Dove questo non viene così accettato, si dovrebbe già avere una larga diffusione dell’architettura moderna. Ma ovunque questo pensiero mistico viene imposto dall’esterno in modo da lasciare le persone ignoranti, come nei regimi totalitari, l’architettura moderna viene proibita. Dove il modo di pensare di questi stati continuerà ad esercitare la sua influenza, specialmente secondo il concetto per cui il fine giustifica i mezzi e perciò ogni mezzo per degradare è giustificato se viene rivendicato il raggiungimento del fine, allora il pensiero mistico ben presto verrà considerato “moderno”. Molti propagandisti ci hanno più volte ripetuto che il nostro tempo non ha trovato la sua espressione a scapito di tutte quelle meravigliose scoperte nel campo della tecnologia. Vi è un errore alla base di questa affermazione: ogni epoca ha trovato la sua espressione, inclusa la nostra. Il nostro guazzabuglio di forme è sorto dall’esistenza di diversi credi, sopra tutti dalla spietata ideologia di profitto che non solo è indifferente a tutti i valori artistici, ma anche antipatica nei loro confronti. Il miscuglio di tipi di costruzione, di forme mistiche e alla moda, è comunque un’espressione del nostro tempo, la cui filosofia non può venir spiegata con la stessa facilità con cui spieghiamo a posteriori la filosofia di un’epoca passata. Forse la causa di ciò è che ci siamo troppo vicini. Ciò che spesso definiamo come spirito del nostro tempo è lo spirito di un tempo in cui in realtà non viviamo, ma che sembra desiderabile da molti. Il desiderio, ma non necessariamente la possibilità, di una nuova architettura si è materializzata per la ragione che l’architettura è così legata ai valori materiali. Inoltre molti dei propagandisti della “espressione del nostro tempo” hanno una concezione davvero poco chiara della connessione tra lo “spirito” e le sue espressioni. Perciò spesso si impegnano ad adoperarsi per una nuova società, il più delle volte comunista, e a tal fine cercano tutti quei simboli dell’economia e puritanismo, simboli che per un periodo furono quelli del capitalismo, ma che non possono essere definiti come quelli del comunismo, alle cui rivendicazioni future certamente non dovrebbe appartenere lo stile di vita puritano. Essi forniscono un’equazione semplicistica, sostituendo l’efficienza con il puritanismo e perciò richiedono sempre più uniformità analogamente ad uno stile universale da poter essere utilizzato per ogni cosa. Dato che questo sembra essere la cosa meno sensuale, questo stile consiste in un sistema geometrico per tutte le forme, a prescindere se quest’ultimo è adatto al suo scopo o meno. Il misticismo dei simboli statici è completamente abbandonato, ma è richiesto un altro nuovo misticismo, che farà uso di ogni stile in modo che potrà essere impiegato in modo uniforme. Si rinuncia al pensiero pratico scientifico e lo spirito dell’architettura moderna viene falsificato. Non c’è da meravigliarsi che questa tendenza geometrica ora ha grande successo dato che diffonde un misticismo che in aggiunta può essere apparentemente portato in una certa 210 armonia con la scienza. Ma in realtà si tratta al massimo di una pseudo-scienza e con il suo aiuto molti ricercano, dopo che il vecchio credo infantile è stato abbandonato, nuove credenze che mescolano misticismo e dogmatismo. La filosofia di molti dei nostri contemporanei consiste in un eccezionale miscuglio di scientifico e mistico: di conseguenza, è fumosa. Quando le persone in una situazione che reca loro profitto fanno rientrare se stessi nelle forze del progresso tecnologico, tuttavia per molte cose, soprattutto per quanto riguarda le loro case, richiedono in cambio la garanzia di sicurezza tanto a lungo testata attraverso i simboli. L’industriale che, solo nel metodo scientifico più moderno, produce le sue automobili e in tutte le questioni di profitto si terrà ben lontano dal pensare come se esistesse un potere mistico, questo uomo scommetto che vivrà in una copia di uno stile in cui egli emerge con certi attributi moralistici, come per esempio l’onore, la carità e altre virtù, che non esistono per lui nella vita lavorativa. Per queste ragioni la sua casa storica appare capace di fornirgli uno sfondo migliore. Per lui non si tratta solo di qualcosa che gli conferisce la sua stessa sicurezza, ma vuole anche dimostrare che crede in potenze mistiche che gli hanno donato, tra gli altri valori, la sua casa e la sua fabbrica. Perciò egli rinuncia a qualche piccola comodità pratica dell’abitare che non può essere raggiunta attraverso la costrizione dei simboli della statica; questa è una particolare sorta di puritanismo, un puritanismo legato alla fede e all’umiltà, così spesso considerate una caratteristica della bellezza. Così ogni architettura che attraverso i suoi simboli non si pone sotto la protezione di potenze più alte, viene giudicata dal pubblico come presunzione. Anche se non si capisce con che cosa questa architettura ha a che fare, si ritiene che vi sia una mancanza di umiltà verso queste forze misteriose. Ritornerò più tardi su questa idea che certi di questi vaghi sentimenti delle masse vengono anche a volte giustificati. Essi hanno anche alcuni istinti validi e uno di questi è che nella casa di abitazione non vogliono ricordare il loro ufficio o la fabbrica, mentre così tanti architetti moderni si sforzano di assimilare la casa d’abitazione ad una fabbrica progettandole in uno stile il più uniforme possibile. Vorrei aggiungere qui che le nostre tecniche costruttive moderne sono davvero molto importanti per edifici monumentali che senza di essi non potrebbero realmente stare in piedi, ma che la loro importanza pratica, così come quella delle nuove forme, è pressoché insignificante per la casa domestica. È quindi più facile rinunciarci qui; le forme dell’abitazione moderna sono molto più l’espressione di un atteggiamento che di una necessità pratica. L’architettura moderna crea interamente nuovi valori estetici, che vengono accolti benevolmente da molte persone che non credono più ai vecchi simboli, e come ho già detto, i valori estetici giocano un ruolo molto importante per il benessere degli uomini. Per questa ragione il problema dell’architetto non è solo il dare agli uomini un certo numero di stanze disposte correttamente in relazione l’una all’altra; piuttosto egli deve combinare queste necessità pratiche con il concept artistico da cui egli parte. L’abolizione dei simboli della statica, che fino ad ora sono stati le caratteristiche essenziali dell’architettura, lascia un certo vuoto. L’architetto che fino ad adesso sapeva esattamente dove aveva da trattenersi, ora deve procedere senza queste regole rigide. Ma quali norme dovrebbe ora seguire? E’ perciò comprensibile che esistano così tanti che fin da subito ricercano nuove leggi. Tali regole devono essere radicate in un misticismo comune, oppure 211 essere riconosciute da tutti come ragionevoli e necessarie; ma quest’ultimo è possibile solo in rarissimi casi, dato che un problema formale non ammette solo una soluzione. Perciò vengono ricercate nuove regole mistiche le quali, dal momento che non sono fondate su alcun credo comune, ci vengono spesso proclamate con forza dittatoriale come razionali. Tali sono le leggi delle forme geometriche che devono venir usate per ogni oggetto; queste norme sono volentieri riconosciute da coloro per cui il vecchio misticismo non esiste più e per questo ne ricercano uno nuovo. In realtà, l’architetto è diventato più libero di quanto non lo fosse in precedenza, e può far uso di questa libertà in maniera totale. Può per esempio collocare le sue finestre in una posizione che sceglie senza preoccuparsi di collocarle esattamente una sopra l’altra, alla stessa distanza e con certe proporzioni prestabilite, dato che egli può dare loro ogni dimensione che vuole. Può farlo perché non è più necessario dimostrare all’osservatore la capacità portante di una trave sopra la finestra. Questo è ciò che l’uomo superstizioso di tempi antichi non capiva. Egli desidera che la nuova costruzione venga definita per lui con l’aiuto dei vecchi simboli, e se questo non avviene egli rinuncia volentieri alle grandi finestre e si aggrappa alle sue piccole aperture realizzate seguendo le regole, che egli alla fine decora in modo da conferire loro un’illusione di grandezza; in questo modo si sente più sicuro. Da quando ha perso i vecchi sostegni per il suo sistema di idee, l’architetto moderno deve cercarne di nuove – un sistema logico sul quale poter erigere la sua arte. L’abolizione della mistica gli lascia aperta solo una possibilità, cioè che egli deve dare il meglio che può da un punto di vista pratico. Tuttavia, come già detto, si tratta di un sistema molto incerto, dato che si può intendere in modi molto diversi che cosa è pratico. Se ritorniamo sull’esempio delle finestre, che sono state sempre gli elementi più significativi di qualunque architettura, senza dubbio correttamente, allora possiamo dire che riteniamo giusto che oggi ci siano finestre più larghe rispetto ad un tempo. Una caratteristica distintiva di tutta l’architettura moderna sono perciò le grandi vetrate. Ma quali sono quelle migliori? Quanto larghe devono essere, quanto devono ergersi sopra al pavimento e quanto sotto al soffitto? Con quali mezzi può venir al meglio caratterizzata? Si può calcolare di quanta luce “una persona” ha bisogno? No, e il massimo non significa la cosa migliore in ogni caso. Quindi in realtà la decisione spetta all’intuizione estetica, anche se l’architetto tenta di razionalizzarla. Se ragioniamo su un singolo esempio nell’architettura moderna, troveremo molte opinioni differenti. Per la maggior parte, la misura e la forma sono basate su considerazioni pratiche, dato che sfortunatamente troppo pochi hanno il coraggio di riconoscere che progettano per motivi estetici. Abbiamo già visto l’esempio della critica al tempio greco, e notato quanto la ricerca della verità non conceda più nessun piacere nella bellezza, e il ricercatore della verità diventi un moralista utilitarista. “So, e ogni architetto che pensa deve saperlo, che gli edifici di questo periodo folle (il Rinascimento) non sono più dei tesori, e che si trattava solo di una maschera sopra una vita meretrice. ..sappiamo se ci preoccupiamo di saperlo che manca loro integrità in tutti i sensi”. (F.L.Wright, 1939). Non ritengo che la vita del Rinascimento fosse più meretrice di quella del 1939, e fino a quel momento gli sviluppi consistevano prevalentemente nel fatto che la scoperta di Galileo nel frattempo era stata impiegata per la balistica. Perché dovrebbe trattarsi di un periodo 212 folle quando invece ha formulato il pensiero scientifico e ricercava davvero la verità? Perché dovrebbe mancare integrità alle loro opere dato che veniva ricercata anche la bellezza? Era più valido e vero il medioevo, che viene qui tanto lodato, dato che ricercava solo la verità del misticismo? Abbiamo vissuto per vedere le conseguenze del mescolamento di modi di pensare utilitaristici e mistici. L’architetto che costruisce né dall’esterno verso l’interno, come si afferma degli antichi, né viceversa, come si afferma dei moderni, bensì considerando tutti e due i modi assieme, è l’unico ad essere in grado di progettare la sua casa in modo che soddisfi gli scopi sia interni che esterni, pratici ed estetici. Per poterlo comprendere, egli dovrà impiegare la sua nuova libertà, ma al tempo stesso seguire le regole naturali che risiedono alla base di ogni architettura, vecchia o nuova che sia. Tornerò sulle norme della scultura più tardi; ogni architettura è un’arte plastica. Tuttavia, in contrapposizione con quella storica, l’architettura moderna è priva dell’aiuto della scultura, che era l’ingrediente necessario di tutta l’architettura storica, dato che i simboli della statica - capitelli, conci di chiave, staffe e simili – erano opere scultoree, e il fatto che erano necessari conferiva uno scopo allo scultore. Possiamo ora facilmente immaginare che le opere scultoree vengono usate nelle costruzioni moderne come ornamento, senza che rappresentino simboli statici. Ci appariranno allora non come necessari ma come una applicazione decorativa, che generalmente esiste come un debolissimo legame con la costruzione. Negli edifici monumentali, la massa della costruzione può facilmente venir composta assieme ad un’opera scultorea: una combinazione simile esisteva già prima assieme ai simboli della statica. Questo genere di arte plastica tuttavia non esprime un’incondizionata necessità di fede e perciò attualmente non vedo alcuna possibilità che la scultura possa costituire una parte essenziale dell’architettura come invece avveniva un tempo. Ciò che oggi viene così spesso richiesto è l’unione tra le tre arti costruttive, e perciò è un desiderio che non riuscirà a venir soddisfatto negli anni a venire. Devo qui aggiungere che non credo che la mancanza di decorazioni plastiche o pittoriche sia una caratteristica essenziale dell’architettura moderna. Se questo tipo di decorazione è abbastanza buona da fornire una soddisfazione estetica duratura e contribuisce ad evitare la monotonia, allora è giustificata e può essere attaccata solo dai puritani e ricercatori della “verità”. Non ritengo che l’architettura moderna abbia origine innanzitutto dal desiderio di evitare i simboli della statica. In primo luogo, il suo obiettivo principale fu quello di abolire quelle forme storiche che erano diventate banali attraverso il loro impiego immotivato e sconsiderato negli stili architettonici del diciannovesimo secolo. Prima si era tentato di sostituire semplicemente le forme storiche con quelle nuove, le quali non di meno simboleggiavano la statica. La gente sperimentava nuovi capitelli in cemento e ferro e vedeva come problema essenziale il formare i vecchi simboli mediante i nuovi materiali secondo la cosiddetta sincerità del Medioevo. Agli archi, che erano ormai diventati strutturalmente superflui, vennero date nuove forme, soprattutto la parabola, il cui significato statico era già stato scoperto. Tutti questi sforzi continuavano ad essere non soddisfacenti perché contenevano una 213 contraddizione – si doveva essere liberi da qualcosa ma lo sforzo di liberazione avveniva attraverso il mezzo della costrizione. Parlo qui di ciò che è chiamato art nouveau, che si proponeva di sviluppare uno stile moderno secondo un modo antiquato e i cui simboli perciò consistevano ancora una volta in un sistema uniforme di decorazione. Fu un nuovo stile universale a riproporre i simboli della statica come ornamento di ogni cosa, come sedie o porcellane, senza tener conto che questi, così come la casa, hanno basi statiche proprie, differenti da quelle della casa. Si è trattato di un tentativo sulla scia della mitologia antica, ma ha avuto il suo significato nel fatto che poteva distruggere la fede nella forza vitale di tali simboli, dato che non si trovava in una posizione per poterle realmente modernizzarle o sostituirle con nuove. La convinzione che i vecchi simboli erano effettivamente morti fu in questo modo rafforzata. Oltre a questi tentativi, ve ne furono altri in cui vennero usati simboli di stili non classici, pre-classici, e quelli di certe culture asiatiche, i cui simboli non sono per noi comprensibili né significativi dato che non capiamo gli idiomi delle loro forme. L’interesse nei loro confronti fu lo stesso che riponiamo in ogni tipo di arte esotica perché costituisce per noi un elemento di mistero, ed è così solo da quando i vecchi simboli della nostra stessa cultura non esistono più. L’esotico non ci disturba, perché praticamente non lo capiamo: esprime qualcosa che non ci riguarda e perciò ha un effetto calmante su di noi piuttosto che eccitante, creando così un sentimento mistico. All’inizio gli uomini non erano completamente consapevoli qual era il punto della questione, specialmente quello concernente l’effettivo mettere da parte dei simboli della statica, dato che solamente così poteva avvenire la totale rottura tra l’architettura storica e quella moderna. Possiamo certamente comprendere che non è facile rinunciare ad una consuetudine che dura da mille anni, soprattutto tali ritorni pratici non erano sempre l’unico punto della questione, come è stato così spesso asserito. Ciò che davvero era il punto della questione era semplicemente l’applicazione di nuovi simboli, così come avviene con ogni cambiamento di stile nell’arte. Sono molto spaventato dal fatto che la maggior parte degli architetti moderni ancora non lo sappia. Se si leggono le loro dichiarazioni, esse sono nella maggioranza dei casi false: questi architetti parlano sempre di funzione ed economia, e non di forma, non dell’arte della costruzione, che fingono di disprezzare. Fingono di voler costruire come costruisce un ingegnere, ma è una richiesta impossibile. La richiesta fatta ad un ingegnere è molto chiara: ciò che fa ha un unico scopo – il suo ponte deve sostenere il suo carico e nulla più. Ma i molteplici desideri propri di una casa d’abitazione non devono essere soddisfatti, desideri che non sono affatto tutti definibili, e differiscono da persona a persona. L’architetto perciò crea individualità: non esiste un motivo per desiderare di combinare queste due funzioni, che significherebbero solamente un impoverimento inutile del vecchio mondo, come desidera pigramente il puritano. È significativo che gli stessi architetti che vogliono costruire nel modo in cui fanno gli ingegneri, si sforzano di diffondere il loro sistema di forme che, secondo la moda del nostro tempo, sono geometriche, a tutte le cose, senza tener conto dello scopo che è quello di soddisfare la loro immagine mistica del mondo in un modo che conferisce loro sulla terra l’immagine dell’armonia delle sfere. Questo trae origine da un sopravalutare del simbolico, che al tempo stesso è smentito dai 214 suoi creatori. L’edificio dell’ingegnere è ritenuto nel nostro mondo moderno come qualcosa di necessario, dato che produce realmente profitti materiali. L’arte non può farlo e perciò si pretende da lei che si adatti nelle sue forme alla necessità utilitaristica, attraverso la quale un singolo stile può essere raggiunto, cosa che credo essere in ogni caso, qualunque siano le forme che essa usa, una preoccupazione del passato. La pretesa degli architetti di adattare le forme usate dagli ingegneri è radicata in niente di pratico ma invece sulle seguenti presupposizioni che sono assolutamente di natura estetica: case in stile storico non possono, come ho già dimostrato, rispondere al loro scopo senza opere di scultura, dato che la formazione plastica dei simboli della statica, capitelli, davanzali, ecc, sono opere di scultori, oltre ad essere sotto le migliori circostanze opere d’arte. Analogamente vengono realizzate con sensibilità che vuol dire che ogni misura, indifferente quanto piccola, ogni proporzione, è stata elaborata con sensibilità, senza tener conto dello scopo pratico. Se per esempio ai conci di un arco è permesso di rimanere visibili, la loro dimensione è determinata non sul principio di possedere solo la necessaria capacità portante, ma sul fatto che dovrebbe manifestare agli occhi la sua qualità. In accordo con le leggi della statica, l’arco deve essere rafforzato nei piedritti e non in cima, anche se agli occhi sembra l’incontrario e perciò anche i conci di chiave sono dotati di una dimensione speciale oltre il necessario. Nel nostro tempo, è sorto un nuovo tipo di principio plastico, un principio plastico che prima non esisteva – quello del lavoro dell’ingegnere basato sul calcolo preciso. Secondo questo principio è impossibile calcolare la dimensione di ogni parte della costruzione in base al loro valore estetico plastico perché esse compongono la costruzione stessa. La forma plastica in una trave non emerge da misurazioni che crescono da sensazioni: la lunghezza e la resistenza di flangia e anima sono calcolate con precisione. Questo tipo di espressione plastica quindi non può mai costituire un’unità con le opere scultoree che sono soddisfatte in relazione alla forma. A nessuno verrà certamente in mente di chiedere che la base della bellezza in un ponte per esempio debba essere l’utilizzo di sostegni più resistenti di quanto non sia assolutamente necessario. Quando parliamo di un ponte bellissimo, intendiamo solo la bellezza della composizione complessiva, che nasce dal fatto che anche l’ingegnere comprende le forme, cosa che si verifica piuttosto raramente. Ma non si richiede mai la bellezza nel dettaglio, come ci appare assolutamente essenziale in un’opera di architettura. Oltre a questo si aggiunge il fatto che una parte dell’ingegneria appare bellissima quando ha delle dimensioni inusitatamente ampie, come per esempio la diga del Tennessee oppure il George Washington Bridge. Una piccola diga in cemento o un ponte sospeso sopra un ruscello sembreranno sempre brutti, forse perché riteniamo che tali costruzioni potevano essere erette in altre forme rispetto a quelle utilizzate per strutture realizzate secondo calcoli precisi, di cui esistono abbastanza esempi. Strutture costruite secondo calcoli precisi con il loro design plastico attentamente calcolato che appare all’occhio ancora più arbitrario di quello concepito da un artista, sono diventate nel nostro tempo una necessità per molti scopi e ce ne siamo abituati. Queste costruzioni su principi di ingegneria derivano da un mondo di pensare completamente differente rispetto a quello dell’architettura storica. Pretendiamo che ogni opera rappresenti un insieme armonioso. È perciò una questione di sensibilità personale quanto si dovrebbe esigere per il contesto di queste opere che costituisce un’entità formale con esse, e questa è una questione che non può essere decisa attraverso principi. Se abbiamo a che fare con un edificio in cui opere di ingegneria evidenti 215 costituiscono una parte essenziale come per esempio una cupola di vetro, allora sarà impossibile portarla in armonia con decorazioni scultoree. La sua architettura sarà costituita unicamente dalle proporzioni delle masse, che tuttavia possono essere formati secondo principi estetici. Ciò che costituiva la disarmonia nella combinazione delle forme degli stili storici con le forme dell’ingegneria non era la concezione sensibile dell’insieme, bensì le opere di scultura che conferivano all’edificio due diversi tipi di sistema plastico. Sappiamo purtroppo fin troppo bene, che le nostre città non hanno più la stessa armonia che avevano tante vecchie città e che il più alto obiettivo dell’architettura è ancora una volta creare un’armonia che può essere tutt’uno con le esigenze moderne. L’origine della nostra disarmonia è spesso vista nel fatto che ogni casa è costruita in uno stile differente con forme differenti. Per rimediare a questo male, viene il più delle volte richiesto uno moderno stile uniforme, del tipo che esisteva per lo stile passato. Perché il nostro tempo, sentiamo così spesso chiedere, non riesce a trovare un tale stile uniforme? Non ci riusciamo perché non ci serve, e nemmeno le epoche future lo necessiteranno. Uno stile uniforme non è indispensabile per creare un’armonia. Uno stile uniforme non è né necessario né desiderabile, diminuirebbe inutilmente la molteplice varietà nelle forme dei nostri oggetti. L’applicazione di un unico sistema di forme a tutte le cose, rinforzato dalla grande riduzione dei significati espressivi, può certamente produrre, sotto certe condizioni, una sorta di armonia primitiva, così come l’uso di uno schema del colore può aiutare l’uomo senza gusto ad evitare i peggiori esempi dovuti alla sua mancanza, mentre nessun uomo dotato di gusto vorrà di sua spontanea volontà utilizzare uno schema di colore. Una certa monotonia è la caratteristica di tutto ciò che è monumentale, ma sono dell’opinione che dovremmo impegnarci a limitare il più possibile l’inutile monumentalismo. Innanzitutto così la vita diventerebbe più piacevole e più varia, dato che non saremmo costretti a stare su un piedistallo al fine di adattarci alla scena. In secondo luogo, fornirebbe uno sfondo migliore ad effetti monumentali occasionali con i quali starebbe in forte contrasto. L’architettura del diciannovesimo secolo con le sue facciate sontuose si impegnò costantemente a produrre effetti monumentali: possiamo allontanarci da questa idea. Tuttavia l’architettura moderna rischia oggi di cadere in un altro tipo di monumentalismo che non è meno peggiore. Almeno l’architettura storica aveva l’opportunità, attraverso l’utilizzo di vari tipi di ornamenti e differenti unità di misura, di portare varietà nelle sue forme plastiche, un qualcosa che ci viene tolto oggi quando ci troviamo di fronte a semplici facciate lisce. Attraverso la monotonia si può generare un nuovo tipo di monumentalismo che è ancora peggio del precedente. Questa è una caratteristica che percepiamo spesso in alcuni luoghi dove esistono grandi complessi assieme a edifici formalmente moderni. Da una situazione simile deriva la standardizzazione, che oggi viene così spesso impiegata su basi che sono il più delle volte mistiche nei principi, e spesso viene richiesta anche lì dove non esiste necessità pratica. Se consideriamo i progetti dei nostri moderni urbanisti, scopriamo il più delle volte che in prevalenza preferiscono avere a che fare con un unico tipo di casa e che le loro città sono disegnate in modo che qualunque variazione distruggerebbe l’armonia dell’insieme. Si tratta di un tipo di armonia davvero primitivo, che ci minaccia con una noia scomoda, e 216 certamente non di quell’armonia che ammiravamo nelle vecchie città, in cui a malapena due case erano del tutto identiche. No, quello che possiamo chiedere all’architettura moderna è l’armonia nella molteplice varietà, e questo postulato rinuncia una volta per tutte all’impiego di un altro stile geometrico oppure universale che è la caratteristica del nuovo misticismo. Nel molteplice noi abbiamo una maggiore libertà di progettazione rispetto a coloro che sono legati alla fede in un unico stile. Ciò che annoia è anche brutto. L’effetto del sensazionale che è connesso con il nuovo solo perché è nuovo, invecchia molto rapidamente. Lì dove viviamo, cioè possiamo dire sulla terra, desideriamo avere la nostra varietà e in sostanza non guardiamo a tutto ciò che sta al di sopra. Tuttavia per il piano terra di una casa con la sua varietà di finestre non vi è lo stesso tipo di armonia. Le leggi che valgono per l’architettura non hanno significato per il cambiamento necessario nella decorazione delle vetrate e degli oggetti in esse. L’impiego di simili regole per ogni cosa porta solo ad una inutile rigidità. Consideriamo per esempio che le nostre nuove mode vengono per un breve periodo considerate belle senza che si sappia bene perché: ma la stessa cosa vale anche per le case. Nonostante la loro apparente arbitrarietà, nella moda esiste ovviamente una certa sensibilità per il naturale, e ciò vale non solo per i vestiti ma anche per gli utensili domestici e le automobili. La richiesta di fissare questo eterno cambiamento attraverso “forme eterne” fondamentalmente deriva da una visione puritano-moralistica che desidera in sostanza estirpare questo gioco peccaminoso. Il piacere nel cambiamento è una caratteristica del genere umano che, a parte questo, comunque è costretto a troppa uniformità. Certamente le case d’affitto e quelle commerciali che hanno tutte le stesse qualità devono continuare ad essere in gran parte simili le une alle altre, ma lì dove non esiste la necessità di una similitudine, possiamo sostenere con tutte le nostre forze ogni varietà, anche se è altrettanto alla moda. Per il piano terra esiste un altro tipo di armonia rispetto al resto della casa al di sopra. Ciascun piano può essere completamente diverso dall’altro, e questo è possibile senza indebolire l’armonia dell’insieme: se ogni esempio è trattato individualmente per i propri scopi tenendo conto anche della relazione con i suoi vicini, una tale differenziazione contribuirà ad evitare la monumentalità. Il riconoscimento di questi principi, soprattutto l’esclusione di una parte della casa dall’unità architettonica, ha delle conseguenze davvero di ampia portata. Attraverso la disposizione dei dettagli del piano terra come qualcosa di accidentale che ha poco a che fare con le parti superiori della casa, quest’ultima perde la sua base di sostegno e sembra aleggiare nell’aria. I simboli della statica perdono in questo modo ogni significato, dato che non possono essere utilizzati per le parti che sostengono la maggior parte delle strutture – il piano terra. Allora in generale possiamo raggiungere l’armonia solo se li aboliamo completamente. Ciò che ho detto riguardo alle vetrate è di ancora maggiore importanza per la nostra abitazione: perché qui non ci basta dotarci di un cambiamento attraverso un cangiante controllo di diversi tipi di cose, ma ogni cosa dovrebbe essere di una sorta che l’abitante ama e desidera avere attorno a sé. Le forme di questi oggetti non hanno nulla a che vedere con la stanza in cui sono collocati. 217 Non possiamo possedere queste cose se l’abitazione, come così spesso si richiede oggi, deve essere “elevata” ad un’opera d’arte e in questo modo crea un’armonia praticamente immutabile che risulta dal fatto che l’arredamento, i tappeti, gli utensili da tavola e ogni quadro devono armonizzarsi tra loro in forma e colore. Per quanto riguarda il loro scopo, tutte queste cose non hanno nulla a che fare l’una con l’altra. È una richiesta moralistico-mistica il rivendicare per loro un’uniformità immotivata, ma dato che il valore di un’opera d’arte è di essere qualcosa di “più alto”, il moralista lo richiede, e in ragione di ciò gli uomini rinunciano al loro comfort e sopprimono il loro piacere nei gingilli terreni. E già i pittori e gli scultori annunciano da ogni parte che vogliono servire a questa armonia attraverso il contributo di opere d’arte che si adattino in ogni modo alle forme geometriche dell’architettura, ed ora dipingeranno, al posto di quadri, più semplicemente ornamenti e costruzioni. Ogni tipo di combinazione di oggetti con cui gli uomini entrano in contatto diretto devono essere flessibili e vari in modo da essere capaci di adattarsi ai bisogni che cambiano. L’appartamento non richiede la stessa armonia della casa, dove possiamo anche avere accostate tra loro cose che appartengono a differenti tendenze di pensiero. Se abbiamo forme standardizzate di caloriferi e lampade a incandescenza, non dobbiamo permettere che questi ci ostacolino nella scelta del nostro arredamento e dei quadri. Il desiderio di “elevare” ogni cosa, l’appartamento a un’opera d’arte e la casa a un monumento, è una manifestazione simile al voler “salvare” gli uomini, che richiede l’abolizione dei desideri e bisogni naturali. Con la scusa di rendere ogni cosa ciò che è, viene realizzata come una parte di un tutto uniforme. L’identità delle forme, spinta oltre al necessario, deriva da una richiesta moralistica alla cui base vi è l’opinione che possa esistere una sola fede vera, per il cui nutrimento esistono gli uomini. Siccome ho richiesto una molteplice varietà, ma ho rinunciato allo stile moderno uniforme in cui doveva essere inserita per forza ogni casa realizzata dalla mano dell’uomo, così come ho rinunciato all’uso di stili passati, è ovviamente difficile fondare una serie di regole stabili e ferme, del tipo posseduta dagli stili storici che offrivano ricette già pronte attraverso cui ognuno poteva creare cose accettabili. Tali leggi, le quali dovevano essere stabilmente fondate in una certa fede in modo da essere seguita con successo, sono qualcosa che ci manca e, devo forse aggiungere, che fortunatamente ci manca dato che devono poggiare su premesse mistiche. Al posto di idee mistiche dobbiamo scoprire lo scopo, che richiede diverse forme per ogni cosa, e queste forme devono essere pensate individualmente. Continuamente perciò assistiamo a tentativi, anche rigorosi, di fondare delle leggi per ciò che è funzionale e renderle il più presto possibile rigide in modo da collocare questa stessa qualità funzionale in un concept mistico come qualcosa di assoluto e non variabile. Gli architetti ricercano “il raggiungimento finale dello scopo”, che non esiste, almeno non in modo inequivocabile, se una cosa oltre ad essere vista nella sua funzione deve anche soddisfare i desideri estetici. Si creano così delle sette che procedono con il loro lavoro di redenzione come se ricevessero comandi da Dio. Prediamo ancora una volta l’esempio delle finestre. In merito al loro trattamento troviamo, tra le altre, le sette seguenti: la prima insegna che ogni stanza deve essere illuminata uniformemente e che perciò le finestre devono essere collocate lungo tutta la lunghezza 218 della facciata. Ora, una tale regola è assolutamente arbitraria; preferiamo spesso organizzare una ambiente attraverso zone più illuminate e altre più scure. Un’altra setta pretende che le finestre abbiano delle dimensioni tali da poter essere pulite in un colpo solo; tuttavia sicuramente la finestra è fatta per le persone che abitano quella stanza e non per coloro che le lavano e in ogni caso questa misura non ha un significato pratico. Una terza setta richiede l’ottimizzazione della luce solare, che fraintendono come quella massima, e pretendono perciò che l’intera facciata debba essere in vetro. Tutte queste affermazioni sono in realtà senza significato pratico e sono portate avanti solamente per evitare il bisogno di pensare individualmente, e sono basate sullo stesso tipo di regole possedute dai regimi totalitari. L’unica cosa che sappiamo con certezza è che desideriamo finestre più larghe e meno numerose, una richiesta che non può venir soddisfatta nello stile storico, ma che può essere realizzata facilmente attraverso le tecnologie moderne e che può anche essere risolta in modo soddisfacente da un punto di vista estetico se rinunciamo ai simboli della statica. Tutte queste regole rigide che ho elencato qui trovano la loro origine effettivamente in opinioni estetiche che devono soddisfare una richiesta moralistica di uniformità. Nel suo genere, ciascuna è una richiesta di massimo rendimento che deve avere necessariamente solo un significato. Al tempo stesso è il simbolo di una tecnica che può fare ogni cosa. Ogni forma, nella misura in cui non è semplicemente costruita come specifica, ha i suoi valori simbolici. I simboli della statica degli stili storici esprimevano ancora un altro simbolismo, che non era quello della statica e il cambiamento in questo simbolismo è all’origine dei cambiamenti nello stile. Un capitello romano ci colpisce in un modo assolutamente differente di uno gotico anche se entrambi hanno una cosa in comune – simboleggiano all’occhio che sono in grado di sopportare i pesi. Il romano opera liberamente, il gotico restrittivamente; l’uno è l’opera di un artista che pensa liberamente, l’altro di un artigiano che è assolutamente vincolato. Quale dei due è più vicino al nostro tempo, un tempo che possiede artisti ma non artigiani? Un simbolismo simile costituirà l’attributo di ogni architettura moderna, perché non è mistico. L’architettura moderna deve il suo sviluppo al desiderio di nuovi simboli e non al raggiungimento di fini realistici. Il realista, pensando in un modo completamente diverso, dice a se stesso: “posso fare tutto ciò che riesco, e perciò posso anche costruire in tutti gli stili”. Questo è il punto di vista dell’imprenditore medio e del suo pubblico che, solo perché sono dei realisti, assumono una posizione contraria all’attitudine artistica che non apporta direttamente dei profitti. Perciò molti architetti, che hanno l’intenzione di pensare in modo realistico e diffondere il pensiero realistico, pensano in realtà molto meno realisticamente di quanto credono. Inoltre abbiamo spesso sentito che l’uomo moderno con il suo bagno e la radio non può in alcun modo vivere in una casa le cui forme risalgono al quindicesimo secolo. Quanto falso è questo modo di pensare: può farlo e lo fa anche. L’arco ogivale ha a che fare con la radio tanto quanto l’uomo moderno con il pensiero realistico. Egli, per non parlare degli altri, può avere la stessa casa in molti tipi di stili – inglese, francese, spagnolo e persino moderno – senza che l’impiego di questi particolari stili gli portino svantaggi personali. Tuttavia dall’architetto come artista pretendiamo di più, cioè l’idea e questa idea egli la vuole esprimere simbolicamente nella sua opera. Voglio qui citare l’esempio del simbolismo moderno, che consiste in ciò il cui impiego 219 rende impossibile la forma passata, e cioè il tetto piano, uno dei più importanti elementi e caratteristica distintiva dell’architettura moderna, così come l’arco ogivale lo era stato per lo stile gotico. Il fatto che il tetto piano sia in molti casi più vantaggioso di uno a falde è stato riconosciuto da molto tempo. Viene infatti usato negli edifici cosiddetti utilitari, per i quali il pubblico secondo una sua propria logica non richiede bellezza, ma il suo impiego nelle abitazioni incontra grandi difficoltà, anche se i suoi vantaggi pratici sono ovvi. Il pubblico percepisce la mancanza di un tetto visibile come un difetto della bellezza, una cosa che non gli impedisce certamente di ordinare la più brutta delle case sotto il suo tetto spiovente. L’architetto moderno di conseguenza usa il tetto piano credendo di essere obbligato a raccomandarlo al suo pubblico unicamente per ragioni pratiche. Sarebbe più economico, più resistente, se potesse essere utilizzato come terrazza e simili, ma lo usa anche in condizioni dove queste considerazioni pratiche certamente non esistono: i suoi motivi reali sono formali e simbolici, che sono in tutto giustificate anche se il “realista” non osa ammetterlo. Così la discussione attorno al tetto piano oggi si blocca, ed è difficile usarlo in una zona della città dove è richiesta “bellezza”, dato che il pubblico e le autorità che vi appartengono collegano al concetto di “bellezza” con l’uso dei vecchi simboli. Nei regimi totalitari esso viene addirittura proibito, perché hanno un vaga sentore del significato del suo simbolismo. Questa violenta presa di parte, non può essere spiegata in modo esaustivo se la consideriamo solo una questione di vantaggi pratici, che ciascuno può capire, dato che solitamente gli uomini sono benevolmente disposti a rinunciare ad ogni bellezza in ragione al raggiungimento di tali vantaggi. Ma in realtà si tratta di una questione del tutto differente, cioè del punto di vista di un simbolo visibile, che così tanti uomini respingono, perché il loro punto di vista non esprime questo simbolo. Il tetto a falde rivela a colui che lo guarda che la casa è dotata di una chiusura superiore, che la pioggia può scivolare via e ciò può essere capito da tutti semplicemente guardandolo senza sapere nulla della costruzione. Al tempo stesso, offre una grande possibilità di variazione: può essere più o meno ripido, più o meno semplice, così che la forma del tetto e i suoi materiali costituiscono per molti le principali caratteristiche dello stile nazionale, persino i simboli di sangue e terra. Forme localmente condizionale erano un tempo una necessità, dove ogni regione per i suoi tetti doveva utilizzare i materiali a portata di mano nell’intorno – paglia, tegole, ardesia e altro. Inoltre il tetto spiovente dava alla casa la sua qualità mistica, dato che sotto di lui vi era uno spazio oscuro e quindi misterioso, irregolare e tenebroso, l’attico. Si tratta di uno spazio che era assolutamente sprovvisto di una pianificazione, originato per caso, attraversato da ogni sorta di trave nelle costruzioni in legno. La mancanza del misticismo nazionale e la presenza del misticismo del misterioso, sono ciò che fanno del tetto a spioventi un qualcosa di così grande valore per molti uomini, in combinazione con la visibile protezione contro alle forze della Natura. L’architettura moderna può non avere a che fare con questo simbolismo. Secondo la sua prassi, una casa ha un volume predeterminato e contiene delle stanze che sono state pianificate, ma non a caso, cosa che conferisce loro una forma poco chiara. La casa verrà chiusa così come è, alla fine. Il tetto spiovente è il simbolo dell’irrazionale, che la mistica desidera conservare: più è ripido, più per lui sarà mistico. Tutta la disputa attorno al tetto piano in realtà non è una questione di vantaggi pratici, ma di valore simbolico, che è l’elemento sorprendentemente più riconoscibile 220 fra tutti quelli dell’architettura moderna. E’ l’espressione per un pensiero scientifico uniforme e il suo uso quindi è un elemento che contribuirà enormemente all’armonia delle nostre città che, a causa dei diversi tipi di forme di simboli del misticismo oscuro, sono così prive di ordine. È’ la premessa per la formazione di una nuova, realmente desiderabile, armonia che potrà sorgere solo quando gli uomini del nostro tempo penseranno in questo modo e rinunceranno al credo mistico. Non c’è bisogno di aggiungere che, al tempo dello stile storico, esisteva anche un pensiero mistico in grado di portare grande armonia delle forme nelle città. Tuttavia, così come la possibilità di far rivivere questo stile di vita svanisce, non sarà mai possibile che una qualsiasi delle superstizioni fondamentali diventi abituale, perché non si può estirpare del tutto il pensiero scientifico. Sono convinto che non si può ottenere alcuna armonia prima che esista una qualità comune nelle linee generali del modo di pensare. Ci potrà al massimo essere un’armonia forzata, ma sarà quella della monotonia e del totalitarismo. E’ evidente che un sistema di simboli comuni non basta per la creazione di un’armonia dell’abitare dato che le opere di architettura, quando non sono pure opere d’arte, sono almeno forme plastiche. I nostri articoli domestici non sono opere d’arte, tuttavia possono essere belli o brutti, a seconda che le leggi della forma plastica siano soddisfatte o meno, leggi che sono quelle delle opere d’arte della scultura. Quando parlo di un punto di vista comune, che da solo può diventare il fondamento dell’architettura moderna, intendo dire che esso può essere solo uno scientifico e non una filosofia mistica, all’interno della cui cornice a quanto pare esisterebbero nel corso del tempo molti punti di vista di ogni tipo. Prendiamo per esempio i punti di vista comunista e capitalista, con tutte le loro implicazioni: supponendo che sono capaci di persistere senza l’aiuto del misticismo, ciò che viene da loro costruito rivelerà le stesse caratteristiche già espresse, all’interno dello stile storico, dal simbolismo mistico attraverso differenti punti di vista. L’armonia non dipende dalle forme simboliche. Nella piazza più armoniosa del mondo, Piazza San Marco a Venezia, gli edifici si sono succeduti per più di mille anni senza che alcun architetto imitasse lo stile del suo predecessore, né una cosa simili gli sarebbe stata richiesta. Ciascuna epoca espresse le sue attitudini attraverso le sue proprie forme simboliche. Sarebbe del tutto sbagliato definire l’armonia di una piazza dal fatto che ogni parete è omogenea alle altre. Conosciamo in Italia un numero abbastanza sufficiente di strade e piazze armoniose con logge simili costruite nel corso dei secoli, nelle quali un arco ogivale gotico era affiancato da uno classico senza che in questo modo l’armonia venisse distrutta. L’uniformità delle facciate di piazza San Marco non è una condizione preliminare per la sua armonia, ma per la sua monumentalità, e questa a sua volta richiede un’altra armonia di quella delle strade, perché dimostra la potenza e il benessere di coloro che furono in grado di costruire così tanto in una volta sola. I concetti di arte, bellezza, monumentalismo, e persino di morale vengono molto facilmente confusi con ciò che è “elevato”; l’architettura moderna si trova davvero in grande pericolo di diventare esclusivamente monumentale. Una delle cause è il materiale costruttivo in sé. In molti casi si tratta di un materiale naturale, come per esempio il marmo, al quale si può appuntare chiaramente, sui basi morali, di essere genuino; esso porta ad effetti sfarzosi quando è utilizzato solo come 221 materiale espressivo senza considerare se, attraverso il suo trattamento, possono essere ottenute nuove bellezze. In questo modo si è spinti ad usare inutilmente la massima quantità possibile messa a disposizione dalla tecnologia come per esempio i pannelli di vetro sovradimensionati, che sarebbero più adatti ad altri scopi. Sono questi gli attributi che la mistica considera una mancanza di umiltà. Pretese morali risiedono alla loro base; in primo luogo per essere onesti e manifestarli ininterrottamente, in secondo luogo per dare un buon valore al denaro e abbattere ogni possibile utilizzo. Un ulteriore rischio è l’esagerata teatralità, la creazione di spazio attraverso l’utilizzo di tecniche capaci di raggiungere ogni cosa, e combinare ciò con scale e affacci. Non credo che interni che impongono un comportamento teatrale è ciò che intrinsecamente desideriamo in un’abitazione moderna. L’uomo del nostro tempo è costretto a proseguire in modo molto monotono e in questo senso, monumentale, lavora tutto il giorno; in ogni caso, sembra monumentale se è esercitata da centinaia di uomini contemporaneamente e nello stesso modo; attraverso lo spettacolo artistico di tali opere, gli egiziani un tempo produssero una grande monumentalità e, se le opere moderne è da essere glorificata eroicamente, sono da utilizzare gli stessi mezzi. Tuttavia questa drammatizzazione della forma non è assolutamente soddisfacente per l’essere umano individuale, e a casa [home] vuole possedere desideri più intimi che possono permettergli di dimenticare gli affanni del lavoro. Vi è quindi anche un pensiero mistico che fa apparire l’abitazione come un posto di lavoro, la preparazione tecnica-drammatica per ottenere uniformità di stile, che è l’immagine dell’armonia delle sfere sulla terra. Ora, colui che si aggrappa a questa sorta di uniformità può certo, a mio avviso, essere un architetto moderno se usa la parola “moderno” nel suo senso più ampio, ma non significa nulla di realmente moderno. Egli è il simbolista delle idee totalitarie che sono modernizzate e moderne solamente nella misura in cui appartengono al nostro tempo. I suoi principi consistono in un miscuglio di pensiero scientifico e il loro utilizzo per la soppressione del pensiero individuale, una combinazione inaspettata. Resta aperta la questione quale parte del suo simbolismo esercita la maggiore efficacia. Dato che sono qui per richiedere l’abolizione delle regole quando sono dello stesso tipo delle ricette già pronte, non posso mettermi a stabilire leggi e norme per una architettura realmente moderna. Non abbiamo più convenzioni da quando abbiamo rinunciato ai simboli della statica, eccetto queste tenaci regole della forma che ogni cosa tridimensionale deve seguire, la legge naturale della proporzione e della scultura, che sono sempre le stesse, indifferentemente dal tipo di oggetto e stile di cui si occupavano. Esse costituiscono la nostra tradizione, che perciò possiamo chiamare eterna dato che le loro leggi non saranno mai distrutte, perché a quanto pare appoggiano su sentimenti legati al nostro corpo umano. Ritengo che questa sia la sola e unica tradizione formale che abbiamo e che le sue regole debbano essere sempre e per ogni cosa seguite riguardando un bisogno universale. 222 Disegno del 1934 di Josef Frank che mette a confronto le maniglie usate dal Bauhaus e quelle tradizionali. Da “Werk bauen und wohnen”, p.3 223 Spazi amati Haus Bunzl - Ortmann “A VOLTE IL FOCOLARE È TALMENTE GRANDE DA POTERVICI SEDERE DENTRO: “È SICURO CHE NON STIA ANDANDO A SEDERSI NEL FOCOLARE?” – CHIEDE L’ASSISTENTE AD NILS RISSÉN ASPLUND- “SI, È PROPRIO QUESTA L’IDEA”1. “UNA DELLE RAGIONI PER CUI GLI ELEMENTI DELL’ARCHITETTURA CLASSICA SARANNO SEMPRE INTERESSANTI È LA CAPACITÀ DELLA VARIAZIONE DI SCALA [MASSSTABSVERSCHIEBUNG, LETT. TRASLAZIONE DI SCALA]. LA GRANDE E LA PICCOLA DIMENSIONE, DAPPRIMA MUTE COME SEMPLICE RISULTATO DI UN’ADDIZIONE O DI UNA SOTTRAZIONE, SI RAPPORTANO AL SIGNIFICATO IN MODO AMBIGUO: IL GRANDE PUÒ DIVENTARE IRONICO, IL PICCOLO MERAVIGLIOSO”2. TUTTAVIA “LA PICCOLEZZA NON È MAI RIDICOLA, MA [SEMPRE] MERAVIGLIOSA3. “ Casa Bunzl Pernitz, 1914 Ortmann 16 Si tratta di una dei primi edifici di abitazione progettati da Frank, dopo le Case Scholl e Strauss sulla Wildbrandgasse a Vienna. Costruito per Hugo Bunzl, proprietario della fabbrica di carta di Ortmann presso Pernitz (oggi Kitzberghöhe 2, Neusiedl), qui è già evidente l’influenza dei lavori di C.F.A. Voysey e delle descrizioni di Baillie Scott e Hermann Muthesius riguardo alla casa domestica inglese: semplicità, onestà dei materiali e dei rivestimenti, ampio tetto a padiglione, pareti esterne intonacate di bianco, finestrature asimmetriche, caminetto inclinato, la presenza di un portico/veranda. Nonostante Hugo Bunzl fosse ricco, proprietario di praticamente tutto il territorio circostante e datore di lavoro di quasi tutta la popolazione del circondario, la casa appare molto umile, di dimensioni contenute, senza pretese di lusso. Questo dimostra che Frank concepisce l’abitare nella sua essenzialità, in primo luogo per soddisfare i bisogni dell’uomo, e non come una dimostrazione di potere e ricchezza. La casa non deve essere un’opera d’arte! Frank stesso descrive questo edificio nell’articolo “La nuova casa di campagna” (Das neuzeitliche Landhaus) del 1919: “La casa B è collocata su un prato sulla cima di una collina boscosa, dalla quale si ha una vista aperta in tutte le direzioni e soprattutto verso la valle a nord4. Era perciò mia intenzione porre in diretta relazione le stanze al piano terra con il paesaggio esterno attraverso delle grandi vetrate ed aprire le camere da letto al primo piano mediante terrazze su tutti i lati. Il giardino circonda la casa e verso nord [ora ovest] segue il declivio della collina attraverso una serie di terrazzamenti. Le superfici orizzontali sono pavimentate con piastrelle di granito di Kehlheim e mattoni, in modo da conferire una forma ordinata al piccolo lotto rispetto al suo ampio intorno”5. Dalle fotografie dell’epoca in bianco e nero, non si percepiscono le effettive piccole dimensioni della casa e le qualità tattili dei materiali, che sono osservabili solamente attraverso un contatto diretto sul luogo con l’architettura6. Fronte est, da M.Welzig 1998 pp.62 e fotografia C.Kruml dicembre 2009 227 Haus Bunzl - Ortmann Haus Bunzl - Ortmann Per raggiungerla a piedi occorre percorrere una strada sinuosa in salita attraverso un pezzo di bosco. All’improvviso gli alberi finiscono, la strada si biforca e mentre siamo indotti per un attimo a fermarci per scegliere in quale diramazione proseguire, ecco comparire su un ampio prato una piccola casetta bianca con tetto a padiglione in tegole scuro. Essa appare al tempo stesso chiusa in sé stessa ed immersa nel paesaggio attorno, davanti il declivio del prato e la valle, alle spalle un bosco. Il colore bianco le conferisce un non so che di magico e la salita diventa quasi un sentiero rituale ad un luogo sacro. Nessun tipo di recinzione circonda il lotto. Sono le diramazioni del percorso, che aggirano la casa quasi abbracciandola, a definire il perimetro dell’area: l’una costeggia la casa lungo il lato ovest, l’altra conduce sul lato corto a nord verso l’ingresso. Man mano che ci si avvicina alla casa i dettagli si fanno sempre più leggibili, pur senza s-velarsi mai completamente. Salita che porta a Casa Bunzl e strade che la abbracciano, fotografie C.Kruml, dicembre 2009 228 La casa è costruita interamente in legno: solo le fondazioni, il camino e i pilastri che sorreggono la terrazza del primo piano sono in muratura. Tutto, sia il legno che il mattone, così come le ringhiere in ferro, le porte e le finestre, è verniciato di bianco7, ma con uno strato sottile in modo da far vedere le commettiture della superficie sottostante, cosa che conferisce all’insieme un effetto di singolare leggerezza e permeabilità delle pareti, quasi fossero dei candidi veli trasparenti8. Il trattamento di queste superfici tuttavia non è uniforme: i lati verso est ed nord sono ri-vestiti da assi di legno disposti in senso orizzontale, quelli verso ovest e sud da scandole verticali con un lato curvo. Eppure non è possibile guardare all’interno nell’intimità della casa, la trasparenza delle pareti è fenomenica, non letterale. Piccole finestre di diverse dimensioni collocate qua e là nelle murature, asimmetriche e fuori asse, ci permettono di sbirciare e di capire la stratificazione dei veli che compongono l’involucro della casa: il sottile strato di intonaco bianco, le assi di legno di spessore 13 cm, un pannello di sughero all’interno; e in corrispondenza delle aperture si aggiunge il serramento con la sua cornice bianca, lo spazio-soglia (il vuoto come pieno, l’IN-between) e un leggero velo di stoffa che si muove al vento. Dettaglio delle scandole in legno sui lati sud ed ovest (fotografia su gentile concessione di Iris Meder) e della commettitura delle travi orizzontali sui fronti nord ed est. Muratura sotto al velo di intonaco del camino, da I.Meder 2008 p.35 229 Haus Bunzl - Ortmann Haus Bunzl - Ortmann Fronte est (JFA e Long p.24) A fianco: fronti nord e ovest, da SOK UfAK; Spalt/Czech 1981 p.12 Sugli spigoli della casa si intravedono sotto all’intonaco le giunture ad incastro a coda di rondine fra le assi di legno, le cuciture. In corrispondenza delle opere in muratura lo spessore sotto all’intonaco si fa profondo, eppure anche il camino perde la sua monumentalità e pesantezza per mezzo di alcune finestrelle inserite nello spessore del muro: il camino è uno spazio abitabile, un contenitore, un grembo materno. Le vecchie fotografie in bianco e nero della casa mostrano sotto al camino un’aiuola che ora non esiste più e accanto la cuccia per il cane (ricordiamo che Baillie Scott consigliava di collocarla qui). Gli altri lati della casa - ovest, nord e sud – sono caratterizzati dalla presenza di terrazzamenti che aprono il primo piano al paesaggio e al piano terra costituiscono delle estensioni dello spazio interno. Ogni elemento è a misura di corpo umano, nulla pretende dimensioni monumentali. L’ingresso è quasi nascosto, inserito al di sotto di un portico (6,40 x 1,00 m) - in posizione asimmetrica nel prospetto est - formato da due colonne in legno prive di base e capitello stilizzato, che funge sia da spazio filtro tra interno ed esterno, che da paravento. In prospetto esso appare come uno spazio concavo che si contrappone alla convessità del camino, l’orizzontalità accanto alla verticalità. Inoltre l’ombreggiatura che si viene a creare bilancia il chiaro delle parti bianche e lo scuro della copertura e delle diverse aperture. Analogamente, sempre sul prospetto est, gli estremi nord e sud si contrappongono equilibrando i pesi dell’insieme: una terrazza vuota lì dove accanto vi è il pieno del camino, un corpo pieno dove troviamo il vuoto del portico. 230 231 Haus Bunzl - Ortmann Haus Bunzl - Ortmann Strade PT 1P Piazze T Bw U Bw K S H U T T L M B H B Bw V N 0 1m EQUILIBRIO DEI PESI Prospetto est M: sala della musica L: living, soggiorno B: bedroom, camera da letto K: kitchen, cucina D: dining, sala da pranzo Bw: bathroom, bagno-wc H: Hall T: terrazzo V: Windfang, veranda di ingresso U: utility, ambiente di servizio S: storage, ripostiglio Wand Mauer Terrazze all’aperto Spazi aperti coperti Luoghi filtro Sguardi selezionati Nicchie Sguardi attraverso 1:200 232 233 Haus Bunzl - Ortmann fotografia della finestrella del camino: gentile concessione di Iris Meder Sguardo attraverso il salotto dal traforo est-ovest, da M.Welzig 1994 n.126 (fotocopia) 234 Haus Bunzl - Ortmann Per entrare in casa occorre passare sotto al portico, girarsi di 90° verso una piccola veranda sulla destra (1,90 x 1,00), e quindi di nuovo a 90° verso sinistra raggiungendo l’atrio d’ingresso. Questo è uno spazio rettangolare di 5,80 x 2,00 m, posto allo stesso livello dello spazio esterno e dotato di porte finestre che affacciano direttamente sul portico. Da qui si può proseguire verso il soggiorno oppure voltare a destra salendo nella zona dedicata agli ambienti di servizio (bagno, cucina, dispensa, camera del domestico e corpo scale). La porta che separa l’atrio dal soggiorno è vetrata e inserita in una cornice rastremata nella parete (in muratura, contenente una canna fumaria), in modo da invitare all’ingresso. Il soggiorno è un unico grande ambiente (7,85 x 6,00 m) che occupa per metà la pianta del piano terra dell’edificio e si articola sui tre lati in relazione con il paesaggio esterno: verso ovest attraverso la sporgenza del camino (all’interno in muratura a vista), talmente grande da poterci sedere dentro e dotato di una finestrella che guarda verso un grande albero di fronte sul lato est (nelle versioni precedenti vi erano altre due aperture, l’una rivolta verso la porta di ingresso, l’altra verso il giardino sul lato sud; a sud la terrazza del primo piano forma al piano terra un portico di mediazione tra interno ed esterno che protegge dal sole in estate e ricorda le verande delle case anglo-americane con la sedia a dondolo o l’engawa della casa giapponese; verso ovest due porte-finestra si aprono sul terrazzamento esterno e ricevono la luce del tramonto. Sul lato est accanto al camino vi è un’ulteriore porta-finestra che, rapportandosi con quella che le sta di fronte a ovest, dissolve questa zona del soggiorno come se fosse pure lei uno spazio all’aperto. In questo modo le pareti, bianche anche all’interno eccetto quelle del focolare, quasi scompaiono. Rimangono camino e la parete-libreria in legno naturale sul lato sud. Nell’angolo nord-ovest del soggiorno si inserisce la parete bianca e inclinata della rampa di scale che portano al primo piano, tuttavia Frank non concepisce il sottoscala come spazio di risulta, bensì come nicchia in cui rannicchiarsi, che richiama alla mente l’immagine della soffitta, di uno spazio misterioso da scoprire. Vedendo questa parete inclinata viene voglia di salire al piano superiore per vedere dove queste scale portano. Anche le travi del soffitto sono dipinte di bianco, con l’eccezione della trave principale in legno di quercia lasciato al naturale, che appoggia sul camino in muratura e suddivide il soggiorno visivamente in due parti, una per la musica e la conversazione, l’altra per la lettura. Le travi secondarie inoltre proseguono anche all’esterno nel portico sul lato sud. Sopra alle travi secondarie ci sono i travetti e sopra ancora, separati da uno strato di feltro, il pavimento del primo piano in larice. L’altezza delle camere è 2,60 m (2,10 sotto la trave principale) al piano terra e 2,50 al primo piano. La zona dedicata alle stanze di servizio risulta sui fronti nord e ovest salotto con il sottoscala in cui è collocato il pianoforte che ricorda la fotografia dell’appartemento di Frank stesso a Vienna, da SOK UfAK e M.Welzig 1998 p.63. 235 Haus Bunzl - Ortmann Haus Bunzl - Ortmann come un volume più basso che si incastra in quello principale ed anche all’interno è separato mediante la sopraelevazione di un gradino, che diventano due in corrispondenza del pianerottolo della rampa di scale che porta al primo piano, e tre nella zona del bagno. In questo modo la scala stessa viene estesa a formare una L che inizia già a partire dall’atrio, mentre cucina (4,45 x 2,55 m) e bagno diventano dei prolungamenti ideali dei gradini-pianerottolo. La dispensa (1,90 x 1,75 m) è dotata di un ingresso proprio, collocato sul fronte nord in modo da rendere la zona di servizio autonoma. RAUMPLAN +0 scale al II piano +3 3 gradini sopra +0 2 gradini sopra +0 1 gradino sopra +0 +2 +0 +0 +0 +0 +0 +0 camere da letto e bagno del secondo piano di Casa Bunzl, 1914, da M.Welzig 1998 p.6465; K.Wängberg-Eriksson 1994 p.36; I.Meder 2008 p.37 Salendo al piano superiore (la cui pianta rettangolare misura 12,46 x 6,26 m, cioè 6 metri dell’interno più due volte lo spessore dei muri) si trovano due camere da letto (di cui una più grande) separate da un bagno (1,90 x 4,06 m, con vasca e lavabo e finestra a est. Il bagno per Frank è una spazio abitabile: vi è pure un divano), wc separato e, nell’angolo nord-ovest, un ripostiglio (1,40 x 2,30 m). Una terrazza ad L affaccia i due lati nord ed ovest ed è accessibile sia dalla porta-finestra della camera da letto più piccola (4,55 x 3,825 m), che dalla porta che si incontra sulla sinistra non appena si è terminato di salire le scale. Scale che portano al secondo piano, da I.Meder 2008 p.37. Si noti che sopra al lavandino vi è una finestra 236 La camera più grande accoglie al suo interno il proseguimento del camino del piano terra, nel cui spessore è ricavata una finestrella che guarda verso est. Completa il tutto la soffitta custode della storia della famiglia e una cantina al livello inferiore in cui è collocato il locale caldaia. Vi si accede da una rampa con copertura inclinata che sul prospetto nord forma una figura triangolare che richiama il piano inclinato all’interno del soggiorno e alle finestre triangolari in copertura. Riguardo all’arredamento interno Frank stesso scrive: “Le stanze sono abbastanza uniformi, in modo da non dilaniare la piccola casa con diversi 237 Haus Bunzl - Ortmann Haus Bunzl - Ortmann effetti contrastanti, come invece avrebbe senso fare per esempio in un grande castello. Perciò al suo interno non vi sono nemmeno oggetti concepiti unicamente per una singola stanza e che non potrebbero anche stare benissimo in un’altra. Le pareti sono tutte bianche: non solo perché un colore, che dovrebbe definire il carattere di una camera, risulterebbe misero e povero se rapportato alle grandi superfici delle aperture verso l’esterno, ma soprattutto per rendere l’abitante libero di decidere che cosa collocare nelle sue stanze – fiori e quadri, tappeti e mobili. I pochi arredi sono collocati liberamente nello spazio. Per togliere loro ogni pesantezza sono fatti dei più diversi materiali. Ma nessun tipo di legname è decolorato o colorato, in modo da non fargli perdere la sua freschezza e il suo carattere naturale. Per la stessa ragione anche le tende delle finestre e i coprilume delle lampade sono bianchi, in modo che la luce possa cadere all’interno della stanza con il suo colore naturale. [Anche gli arredi della cucina e gli armadi a muro delle camere da letto sono bianchi]. L’illuminazione artificiale avviene attraverso due tipi di lampade mobili, i cui lunghi fili elettrici possono essere uniti attraverso contatti in svariati punti. Il primo tipo è appeso al soffitto mediante ganci, il secondo sono lampade pieghevoli appese alle pareti oppure da tavolo, a seconda di dove servono. I tessuti e i tappeti sono colorati in molte tinte, così come il giardino davanti alle finestre, ma il più delle volte di rosso e giallo, e costituiscono in questo modo un tono caldo in contrasto con l’ampia superficie del cielo e del bosco su tutti i lati della casa”10. Quello che colpisce dei vari ambienti sono i numerosi e diversi tipi di sedute - dal divano alla poltrona, dalla seggiola allo sgabello –, i mobili rialzati da terra, la presenza dei tappeti orientali e soprattutto gli oggetti personali dell’abitante che fanno dell’abitare uno spazio del vivere. Nel soggiorno vi 238 Note 1 Nils Rissén in Christina Engfors, E.G.Asplund. Architect Friend and Colleague, Arkitektur Förlag, 1990, p.30, cit. in P.Blundell Jones, Gunnar Asplund, Phaidon, London 2006, p.198 2 Hermann Czech, Ein Begriffsraster zur aktuellen Interpretation Josef Franks, in “Um Bau”, n.10, agosto 1986, Österreichische Gesellschaft für Architektur Wien, p.108 3 Gaston Bachelard, Poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1999 (ed. orig. 1957), cap. 7 la miniatura, p.187 4 Inizialmente l’orientamento della casa era tale che l’ingresso si trovava sul lato sud, ma poi venne ruotato verso est in modo da collocare gli ambienti di servizio verso nord e il soggiorno a sud. 5 Josef Frank, Das neuzeitliche Landhaus, in “Innendekoration”, n.XXX, dezember 1919, pp.410-411, ripubblicato in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank 1885-1967, (catalogo), Hochschule für angewandte Kunst, Wien 1981, pp. 15-16 6 Ho potuto visitare l’edificio da fuori nel dicembre 2009, non sono purtroppo potuta entrare. 7 Anche le piastrelle che originariamente dovevano coprire il pavimento delle terrazze al primo piano erano bianche (in granito di Kehlheim chiaro). 8 Anche nelle precedenti Ville Strauss e Scholl dietro all’intonaco si leggono e commettiture della muratura sottostante. 9 J.Frank, Das neuzeitliche Landhaus, op. cit., p.16 10 J.Spalt, H.Czech, op. cit., p.13 Particolare della ringhiera della terrazza del secondo piano: fotografia su gentile concessione di Iris Meder. 239 Haus Bunzl - Ortmann Haus Bunzl - Ortmann C Documenti è anche un tavolino cinese. Presso la Sammlung und Oskar-Kokoschka-Zentrum der Universität für angewandte Kunst di Vienna ci sono due versioni di progetto: A: una tavola scala 1:100 con piante, prospetti, due sezioni trasversali e una longitudinale (e una copia della tavola con indicate in rosso le parti in muratura e in giallo gli elementi in legno) [matita, penna e inchiostro su cartoncino, 44 x 61 cm, inv. 1219 e 1221]; B: una tavola scala 1:50 con le piante e due sezioni [inv. 1222]; e una tavola scala 1:100 con i prospetti [inv. 1216]. I disegni non mostrano ombre. Tra le versioni A e B cambiano leggermente alcune misure; l’orientamento della casa viene ruotato in modo che il fronte con l’ingresso prima indicato a sud ora si trova a sud-ovest; le finestre vengono un po’ spostate o variano in dimensione; il camino al piano terra manca di due finestrelle; viene inserita una porta-finestra in più in corrispondenza del portico di ingresso; l’atrio viene dotato di un armadio a parete più ampio; il bagno al piano terra viene ampliato verso sud e dotato di un’anticamera; la finestra al piano terra accanto al camino diventa una portafinestra; dalla camera più piccola al primo piano non si accede più al bagno; cambia la nicchia del camino al primo piano che diventa una finestra. In prospetto il camino che prima era staccato dal muro, ora parte a filo del tetto, e aumenta anche in larghezza; la scala che porta in cantina viene coperta da un tetto inclinato, mentre prima era protetta solo da un parapetto; il fronte al primo piano prima a filo del tetto viene leggermente arretrato e si inclina; il tetto presenta un abbaino, Una parete del portico di ingresso nelle tavole è inclinata, forse da Spalt/Czech 1981 A B per dare maggiore risalto al camino. Esiste poi una versione C in una tavola 1:100 (datata 1914) con piante, prospetti e una sezione schematica pubblicata nel Katalog del 1981 di Czech e Spalt. Questa versione è quella più fedele all’esistente, mostrando anche l’orientamento corretto che vede il fronte con l’ingresso collocato a est. Rispetto alla versione B, variano : la dimensione del tetto, che è qui più alta; la larghezza dei camini; leggermente la posizione o la dimensione di alcune finestre; il camino si assottiglia in larghezza, ma rimane a filo del tetto; e soprattutto i fronti nord e ovest presentano il declivio del terreno che prima era segnato come diritto. Nell’indicazione della scala vi è mostrato un muro pieno, lì dove invece inizierebbe la salita. n.b. Per le misure indicate nel testo si è fatto riferimento alla 240 241 Haus Bunzl - Ortmann Haus Bunzl - Ortmann A - sezione AB A - pianta piano interrato B - pianta piano interrato B -sezione CD N A - sezione CD A - pianta piano terra B - pianta piano terra B - prospetto sud A - pianta piano primo B - pianta piano primo B - prospetto nord N A - prospetto est 242 243 Haus Bunzl - Ortmann Haus Bunzl - Ortmann A - sezione EF A - prospetto nord A - prospetto sud 244 B -sezione AB B -prospetto ovest B -prospetto est 245 Villa Beer - Vienna “ NEL PROSSIMO SECOLO DI BUONE SCARPE NE AVREMO BISOGNO, PERCHÉ SI CAMMINERÀ MOLTO”1. “IL COMPITO DELL’ARCHITETTO CONSISTE NELL’ORDINARE TUTTI GLI ELEMENTI DELLA SOFFITTA PER FARNE UNA CASA. UNA CASA BEN CONGEGNATA DOVREBBE SOMIGLIARE A QUELLE BELLE CITTÀ ANTICHE, DOVE ANCHE UN FORESTIERO SI ORIENTA SUBITO E TROVA MUNICIPIO E PIAZZA SENZA DOMANDARE2. “ Villa Beer Wenzgasse 12, Hietzing-Wien I Beer erano originari da una famiglia proprietaria della fabbrica di scarpe Sigmund Beer e figli, fondata nel 1904 e nel 1920 diventata la Berson Kautschuk GmbH. Frank aveva già arredato nel 1925 l’appartamento di Robert Beer e sua moglie Elisabeth, amici dei Bunzl, nella Schwarzenbergplatz 5/Heumarkt 39. Ora, in collaborazione con Wlach che seguì soprattutto la parte riguardante il cantiere, Frank progetta una villa sulla Wenzgasse per Dr. Julius Beer e sua moglie Margarethe. Entrambi interessati alla cultura musicale (lei aveva frequentato il conservatorio per pianoforte), avevano richiesto una casa dove poter anche invitare gli amici e tenere riunioni di lavoro e serate musicali. Il lotto venne comprato nel luglio 1929 e i lavori per la casa vennero iniziati già nell’ottobre dello stesso anno: un tempo molto breve per un edificio di quelle dimensioni. E’ quindi probabile che il progetto, come ricorda Philipp Ginther collaboratore in quel periodo nello studio di Frank, fosse stato pensato già nel 1927-28 per un altro terreno3. A partire dal 1931, a causa della depressione e della crisi economica4, i Beers decisero di trasferirsi ai piani superiori e dare parte della casa in affitto. Tra gli affittuari i cantanti d’opera Richard Tauber e Jan Kiepura. Dal 1939 al 1941 rimase disabitata. Nel 1940 Julius e Margerete emigrarono a New York, l’anno dopo la casa venne comprata, compreso l’arredo, da Harry Pöschmann (1886-1955) e sua moglie Herta, commercianti tessili che vi abitarono fino al 1946, quando venne occupata fino al 1952 dall’esercito inglese (nel frattempo la famiglia Pöschmann abitava in un edificio nella vicina Kupelwiesergasse 2). Recentemente l’edificio venne acquistato da Dr. Johannes Strohmayer e sua moglie Susanne, con l’aiuto di una fondazione privata (Privatstiftung des Wiener Unternehmers). Da anni si discuteva sull’eventuale ripristino delle alterazioni spaziali subite nel corso del tempo. Anche l’Architekturzentrum Wien aveva avuto intenzione di comprarlo per inserirvi una sala conferenza e un archivio5. Wilhelm Willrab, pubblicità delle suole in gomma e tacchi della ditta Berson, da I.Meder 2008, p.106 Pagina accanto, sopra: colonne a sostegno delle terrazze sul retro che si richiamano ai tronchi degli alberi del giardino; trasparenza fenomenica della vetrata della sala da pranzo (C.Kruml, dicembre 2009). Sotto: fronte strada (da Spalt/Czech 1981 pp.37) 247 Villa Beer - Vienna N Villa Beer - Vienna Attualmente è in fase di restauro e divisa in due proprietà (gli spazi a sudovest dei piani secondo e terzo sono abitati da un’altra famiglia). Presso la Sammlung und Oskar-Kokoschka-Zentrum der Universität für angewandte Kunst di Vienna non ho trovato disegni di questo progetto. Perciò qui di seguito si fa riferimento a quelli pubblicati in “Moderne Bauformen” (31, 1932) e facenti parti della Sammlung Spalt6. Sui disegni dei prospetti sono indicate delle linee di costruzione diagonali che mostrano la composizione e le relazioni fra le varie parti. Frank decide di posizionare la villa sul lato strada, ma separata da essa da una fascia di 8 metri a prato, in modo da lasciare tutto il resto dell’ampio lotto trapezoidale sul retro a giardino, leggermente in dislivello in direzione sud-est. La pianta è composta da un corpo rettangolare disposto su quattro livelli a cui si aggiunge un gioco di volumi terrazzati sul retro. Così mentre il fronte strada è più introverso (un rettangolo di 26,6 x 12,3 metri, le stesse dimensioni del perimetro complessivo del piano terra), quello retrostante si apre verso il paesaggio attraverso grandi vetrate, sporgenze e rientranze in rapporto diretto e fluido tra interno ed esterno. Come già Casa Bunzl, anche qui tutto l’esterno è di colore bianco7, dalle pareti intonacate ai parapetti, dalle cornici di porte e finestre alle colonne, ma a differenza di Casa Bunzl manca il tetto a padiglione che qui è piano e privo di cornicione (sostituito da una scossalina metallica) o grondaie. L’intonaco sembra quasi un velo elastico che avvolge interamente i volumi adattandosi come una calza alle sporgenze e rientranze, e privo di cuciture (tutti gli spigoli sono a filo netto anche quelli delle aperture, leggermente incassate nella muratura). Anche lì dove col tempo si sono formate delle crepe nell’intonaco8, esse vengono percepite quasi fossero delle smagliature del tessuto. EQUILIBRIO DEI PESI prospetto nord-ovest Vista del fronte strada, da M.Welzig 1998, p.130 Giungendo dalla strada la prima cosa che si nota è il volume aggettante in prospetto, quasi un quadrato, sostenuto da due colonnine cilindriche che sembrano quasi scomparire, tanto sono esili. E’ caratterizzato da una grande finestra circolare, l’unica in tutto l’edificio: si capisce subito che nasconde un luogo importante della casa, e la rotondità rimanda al grembo materno. Questo volume aggettante ha lo stesso significato simbolico che in Casa Bunzl aveva il camino, è uno spazio amato. A fianco di questa finestra circolare, femminile, si trova una grande vetrata rettangolare coperta da una tenda, ed intuiamo che si tratta di un altro spazio, questa volta maschile. Sopra a queste due aperture il volume si presenta pieno e al secondo piano le aperture sono inserite sui lati di questo volume aggettante, che diventa così un occhio rivolto verso tre punti di vista diversi. Le estremità di questo prospetto frontale rettangolare si presentano piene, mentre le aperture si concentrano per lo più attorno al volume aggettante facendogli quasi da cornice, ma in maniera asimmetrica. Anche se nei disegni manca l’inserimento dei due grandi alberi collocati proprio di fronte al volume aggettante (in posizione non centrale però, verso nord248 249 Villa Beer - Vienna Villa Beer - Vienna est), le fotografie dimostrano come essi in realtà fanno parte integrante del prospetto venendo ad equilibrare con la loro verticalità l’orizzontalità che si viene a creare con l’inserimento dell’ultima finestra all’estremità sudovest del piano terra. La porta-finestra verso l’estremità nord-est indica già in facciata il Raumplan interno, essendo collocata in una posizione a metà strada tra il piano terra e il primo piano. Come in Casa Bunzl la porta d’ingresso si trovava all’ombra del portico, anche qui essa è inserita nell’ombra del volume aggettante (ricordiamo che per Bachelard l’ombra è uno spazio amato). L’altezza di questa zona coperta è poco più grande dell’altezza della porta: si percepisce la gravità del volume soprastante. La porta d’ingresso è rialzata di un gradino attraverso un piccolo pianerottolo ed è incorniciata sui lati con marmo verde. In origine era anche laccata di rosso acceso (mentre oggi è bianca) bilanciando in questo modo la finestra circolare, entrambi un riferimento al Giappone. Il colore rendeva la porta quasi un tessuto (con bordatura verde), una membrana permeabile e non un ostacolo che impedisce l’ingresso, confermando il carattere socievole e ospitale di Dr. Julius e Margarethe Beer. Una seconda porta verso sud-ovest serve per l’accesso alla zona di servizio e si caratterizza dalla tettoia ad arco che la copre che da un lato richiama la rotondità della finestra circolare, e dall’altro bilancia il peso dell’unica finestra del terzo piano e la verticalità degli alberi. Ogni elemento viene così ad essere in equilibrio e contrapposto ad un altro. Sulla base del principio riegliano per cui la simmetria pregiudica la profondità, mentre l’asimmetria produce trasparenza fenomenica e dinamicità, in questo prospetto ogni elemento subisce dei leggeri spostamenti e lievi traslazioni: il volume aggettante non è in posizione centrale rispetto al fronte, ma leggermente spostato verso nord-est, così come le sue stesse finestre del primo piano; le aperture che gli fanno da cornice si presentano in numero maggiore verso sud-ovest, ma più piccole; la porta di servizio al piano terra si trova in corrispondenza dell’area piena fra le finestre al piano superiore ed è fuori asse rispetto alla tettoia che la copre. Questi piccoli accorgimenti evitano la monotonia e la staticità della facciata, che al contrario sembra quasi muoversi e cambiare spessore man mano che ci si avvicina o allontana dalla casa. Il prospetto laterale nord-est è un fronte pieno ritagliato solamente da una grande vetrata al terzo piano e una profonda nicchia al piano ammezzato in cui si inserisce con la sua ringhiera la terrazza che porta al giardino sul fronte sud-est. In corrispondenza di questa nicchia, al piano seminterrato, vi è il portone del garage (bianco), per cui il terreno in quest’area scende in dislivello. Stato attuale dell’ingresso principale sotto al volume aggettante e quello secondario di servizio. Fotografie C.Kruml (dicembre 2009) L’altro prospetto laterale, sud-ovest, risulta più largo perché incorpora anche il volume terrazzato del fronte verso il giardino, la sua forma è perciò quasi un quadrato, privo di un angolo. Ad esso si attacca una piastra 250 251 Villa Beer - Vienna Villa Beer - Vienna sostenuta da esili colonne cilindriche che si rapportano con i tronchi degli alberi dell’intorno. Questa piastra funge da terrazza per la camera da letto del secondo piano e dà riparo al piano terra ad una porta che serve per uscire dalla sala da pranzo in giardino. E’ quindi probabile che quest’area fosse pensata per ospitare con la bella stagione il tavolo da pranzo. La medesima piastra si rispecchia con quella di calpestio al piano terra che al tempo stesso permette anche di far entrare la luce negli spazi del piano seminterrato sottostante. 3P 2P 1P Pa PT Pi 3P prospetto nord-est 2P 1P Pa PT prospetto sud-ovest Prospetto laterale sud-ovest, fotografie: C.Kruml, dicembre 2009 252 Prospetto laterale nord-est, fotografie: C.Kruml, dicembre 2009 253 Villa Beer - Vienna Vista sul retro con i tendaggi arancioni, da K.Wängberg-Eriksson 1994 p.97 prospetto sud-est 254 Villa Beer - Vienna Il prospetto verso il giardino mostra chiaramente il Raumplan interno prolungandolo all’esterno attraverso terrazzamenti posti a livelli diversi. Su questo fronte la casa gioca con il paesaggio concedendosi o nascondendosi ad esso attraverso concavità e convessità, bowindow e nicchie, ampie vetrate (anche a doppia altezza tra piano terra e primo) e tendaggi sia interni che esterni. Un modello della Villa pubblicato da Kurrent e Spalt9 mostra delle ampie cortine che coprono le due grandi finestre del piano terra e dell’ammezzato (non il bowindow) e l’apertura del primo piano posta sopra alla profonda nicchia verso nord-est (la stessa che continua poi sul prospetto laterale). Tale nicchia viene bilanciata da quella che si trova nel terrazzo-solarium all’ultimo piano e, all’altra estremità del prospetto, dalla piastra sostenuta dalle esili colonne. Quest’ultima a sua volta, assieme al balcone sopra alla nicchia, sta in relazione con la terrazza sopra al bowindow. Anche qui manca un asse di simmetria e il bowindow non si trova in posizione centrale, ma slittato verso nord-est. Una linea continua di marcapiano collega la terrazza sopra alla nicchia e la piastra posta a sud-ovest: come una cucitura, essa al tempo stesso separa e unisce i piani secondo e terzo da quelli sottostanti, oltre a contribuire ad alleggerire i volumi dando loro un’orizzontalità che si rispecchia anche nelle ringhiere dei terrazzamenti. modello della villa che mostre i tendaggi esterni, da Kurrent/Spalt 1965. Fotografie in bianco e nero da “Innen Dekoration”, 1931, ripubblicata in M.Welzig 1998 p.134 255 Villa Beer - Vienna Villa Beer - Vienna Rispetto ai disegni pubblicati in “Moderne Bauformen” nel 1932, lo stato attuale presenta sul fronte verso strada due aperture aggiuntive: una al terzo piano verso sud-ovest e l’altra al piano ammezzato verso nord-est. Importante sottolineare infine l’effetto di trasparenza fenomenica dato dalle grandi vetrate al piano terra: man mano che ci si avvicina o allontana a loro cambia il grado di riflessione del vetro e di conseguenza la stratificazione delle immagini che vi si proiettano. Come nei padiglioni di Dan Graham, ad un certo punto è possibile contemporaneamente osservare ciò che si trova all’interno della casa, scorgere il paesaggio attorno ma anche il suo riflesso, scoprire se stessi proiettati sul vetro e leggere nella sua interezza lo spessore della parete. L’involucro si è dissolto in una stratificazione di veli. Sulle pareti esterne sono inserite alcune fonti per l’acqua. Abbeveratoio esterno e trasparenza fenomenica delle vetrate. Fotografie: C.Kruml (dicembre 2009) 256 257 Villa Beer - Vienna Villa Beer - Vienna Pinterrato B: bedroom, camera da letto Bw: bathroom, bagno-wc c: cantina D: dining, sala da pranzo G: garage g: guardaroba H: Hall K: kitchen, cucina L: living, soggiorno T: terrazzo t: vano tecnico S: storage, ripostiglio U: utility, ambiente di servizio V: Windfang, veranda di ingresso Bw c t U G U t c t c Nicchie Percorsi Luoghi filtro Sguardi selezionati Spazi aperti coperti Sguardi attraverso Terrazze all’aperto Stanze di servizio t 0 1m PT Pammezzato tè V Bw V g K bibl. Bw B M S L K B S D 258 H T 259 Villa Beer - Vienna Villa Beer - Vienna 2P g Bw g Bw palestra H B B Bw T B sala colazioni B T T 3P Bw Bw S g B T B B SVILUPPO DELLA SCALA assonometria da Stritzler-Levine p.88 260 261 Villa Beer - Vienna Villa Beer - Vienna Una volta entrati in casa dalla porta principale si oltrepassa una piccola anticamera (che serve come Windfang, frangivento, e dove è possibile lasciare le scarpe) e quindi si arriva nell’atrio vero e proprio che funge da luogo di distribuzione dei diversi percorsi, oltre che come guardaroba con bagno annesso. Quest’ultimo ha la particolarità di avere sopra al lavabo (separato dal wc) una finestra da cui si vede il cancello d’ingresso. Questa soluzione dimostra che per Frank anche il bagno è un luogo importante e abitabile della casa (come nella cultura orientale) e non qualcosa da nascondere. Dall’atrio si può scegliere se prendere la prima porta di fronte ed entrare nella grande Halle oppure proseguire verso la zona dedicata agli ambienti di servizio. In questo secondo caso, un corridoio con armadio a muro distribuisce in sequenza: l’accesso secondario e le scale di servizio; le due cucine separate da una parete finestrata10; una piccola dispensa. Un tavolino in legno ad angolo tenuto su da un esile perno invita verso la sala da pranzo posta a sud-est nel corpo più basso. Da qui i domestici potevano accedere alla sala da pranzo senza dover passare necessariamente per la Halle o gli altri ambienti di soggiorno. Le scale di servizio (a chiocciola, con i gradini rossi e il sottile corrimano bianco con le estremità in ottone) continuano su tutti i piani portando anche al livello seminterrato che ospita le cantine, i locali tecnici, una lavanderia, un bagno e il garage. Esse costituiscono quindi un importante perno verticale della casa e permettono anche ai figli di avere un accesso indipendente alla zona notte ai piani superiori. Scale e ingresso secondario (C.Kruml, dicembre 2009) e cucine, da “Innen Dekoration”. Vista sul cancello di ingresso dalla finestra del bagno e fotomontaggio di una fotografia d’epoca (da “Innen Dekoration”) sullo stato attuale dell’atrio di ingresso (fotografie: C.Kruml dicembre 2009). Sotto: Windfang di ingresso (C.Kruml) e guardaroba (da “Innen-Dekoration”). 262 263 Villa Beer - Vienna Villa Beer - Vienna Immettendosi invece nella grande Halle a doppia altezza si ha subito una sensazione di ampiezza e luminosità, rafforzata dalla contrapposizione con le ridotte dimensioni e altezze degli ambienti visti prima. Appena entrati, sulla destra, vi è una nicchia con un caminetto: lo spazio che si viene a creare sotto all’aggetto della galleria del piano soprastante non è di risulta, ma un luogo speciale, dove rannicchiarsi scaldati dal calore del fuoco. Esso fa parte di quelle concavità e convessità di cui parlava Baillie Scott in Häuser und Gärten e di cui dovrebbe comporsi una Halle. L’ingombro di questa nicchia è segnato non solo dalla proiezione del solaio soprastante (che si protende oltre il filo del muro in direzione della sala da pranzo), ma anche dalla colonna cilindrica bianca che sembra quasi infilzare il solaio della galleria essendo arretrata rispetto al filo dell’angolo e continuando fino al terzo piano. Suo contraltare è il bowindow vetrato su tre lati a tutta altezza che si protende profondo nel paesaggio verso sud-est. Sui tre lati è inserita una panchina in legno con cuscini per la seduta, mentre lunghi tendaggi velano le vetrate. Qui ci si sente immersi nel giardino pur rimanendo riparati dalle intemperie, e allo stesso tempo da qui si riesce a vedere contemporaneamente la porta verso l’atrio, la nicchia con il camino, le scale che portano ai piani superiori, la galleria per la musica al primo piano e gli spazi inseriti nel volume aggettante in facciata. La Halle costituisce così il nucleo che tiene assieme tutti gli spazi principali della casa. Ingresso nella Halle (da “InnenDekoration) e bowindow allo stato attuale (fotografia: C.Kruml dicembre 2009). Vista della Halle dal bowindow (da “Innen-Dekoration”). 264 265 Villa Beer - Vienna Villa Beer - Vienna La sala da pranzo a sud-ovest è collegata a questo ambiente centrale attraverso un ampio ritaglio nella parete, privo di porte e chiuso solo da una tenda floreale11. Il pavimento è in legno a quadrati e fasce sottili di due colori che si alternano creando un effetto dinamico di sfasamento. La parete verso il giardino è quasi interamente occupata dalla vetrata a tutta altezza, mentre quella opposta ospita un armadio a muro nel quale è inserita la porta che conduce agli ambienti di servizio. Sia dalla sala da pranzo che dalla Hall si può uscire in giardino attraverso delle porte verniciate di bianco che si mimetizzano nella parete. Sala da pranzo (da “Innen-Dekoration”) e vista sul giardino dalla grande vetrata (C.Kruml dicembre 2009) Secondo i principi enunciati in Das Haus als Weg und Platz, l’inizio della scala è chiaramente e fin da subito visibile, collocata proprio a fianco della porta d’ingresso alla Halle. E’ articolata in più rampe e pianerottoli di diversa forma e dimensione, tappe in sequenza su cui soffermarsi per riflettere, che si concludono poi con un elemento quasi scultoreo ad elica al terzo piano. Percorrendo questa scala il corpo cambia continuamente direzione e punti di vista, ma anche lo stesso ritmo di percorrenza. “Il percorso guida dell’abitazione deve essere condotto in modo tale che sino alla scala e su di essa, non si abbia mai la sensazione di andare avanti e indietro, di tornare cioè in qualche modo sui propri passi: bisogna sempre procedere.[...] In questa casa sulla Wenzgasse, la scala costituisce il centro dell’abitazione ed è fatta in modo che i vari spazi abitati siano disposti su vari livelli. L’idea base è quella di accedere all’atrio dirigendosi verso la scala, che riconduce al punto di partenza porgendo gli scalini a chi entra. Mentre si fanno gli scalini, ci si trova sul primo pianerottolo da dove, grazie ad una grande apertura, si guarda nella stanza più importante, ovvero il soggiorno”12. 266 Scala vista dalla Halle (C.Kruml 2009) 267 Villa Beer - Vienna Villa Beer - Vienna La prima tappa avviene a circa 1,2 metri rispetto al livello della Hall: attraversando un’apertura chiusa da una tenda analoga a quelle delle sala da pranzo, il pianerottolo si estende verso l’ambiente di soggiorno al piano ammezzato, caratterizzato dalla presenza di un caminetto in posizione quasi centrale (ma addossato al muro) che suddivide lo spazio di due parti: una più pubblica, l’altra più intima13. Accanto al camino una porta-finestra si affaccia sul fronte strada. Dal soggiorno si accede alla profonda nicchia collocata all’esterno nell’angolo nord –est, e da qui ad un ampio terrazzo posto sempre alla quota +1,2 metri rispetto al primo terrazzamento su cui appoggia il volume con il bowindow. Come già nella sala da pranzo, anche qui vi è una grande vetrata a tutta altezza aperta sul giardino. Soggiorno verso la Halle (“InnenDekoration”). Sotto: vista dall’affaccio della biblioteca (I.Meder 2008 p.111). Dal soggiorno, salendo altri nove gradini, si arriva al primo piano, alla seconda tappa del percorso: da una parte i due spazi contenuti nel volume aggettante in facciata (lo studio-biblioteca e la stanza per il tè), dall’altra la galleria per la musica che affaccia sulla Halle. Questo sistema di spazi è altamente teatrale e seducente, ciascuno è contemporaneamente loggia da cui guardare e palcoscenico dove essere guardati, tutto è fluido e continuo, endless direbbe Kiesler: dalla biblioteca ci si può affacciare nel soggiorno grazie ad un ritaglio nella parete chiuso da una tenda, si può vedere che cosa accade all’esterno della casa attraverso la vetrata su fronte strada, oppure ci si può immergere nella lettura chiudendo la porta dietro di sé; la sala per il tè costituisce l’ambiente più uterino della casa, prolungamento privo di porte divisorie della galleria della musica. E’ caratterizzato da due grandi e morbidi divani e dalla finestra circolare che richiama ad un’atmosfera orientale (in origine vi erano contenuti degli oggetti di arte orientale14). Da qui si può vedere chi arriva dal cancello di ingresso in giardino; fotografie del soggiorno (da “InnenDekoration”). con affaccio sul lato strada (C.Kruml). 268 269 Villa Beer - Vienna Villa Beer - Vienna la galleria della musica, al centro della casa come voluto da Margarethe Beer, affaccia direttamente sulla hall ed è visibile contemporaneamente dal bowindow, dalla sala da pranzo, dal soggiorno, e dalla sala per il tè. E’ quindi un concentrato di sguardi in cui ci si trova al tempo stesso attorimusicisti, ma anche osservatori, da un unico punto, di tutti gli spazi pubblici della casa e persino di ciò che accade in giardino oltre al bowindow. Qui la scala diventa un elemento scultoreo, bianco, che si torce su se stessa quasi fosse una chiave di violino. Questa piegatura serve da un lato a focalizzare l’attenzione su di sé come perno di rotazione attorno a cui si organizzano tutti gli spazi; dall’altro ad addolcire come il suono della musica le forme rettangolari dei volumi (la curvatura si rispecchia nella finestra circolare e nella rotondità della colonna); ma anche ad introdurre un movimento a spirale nel percorso in salita che porta al piano superiore. Sguardo sul giardino attraverso la Halle dalla scala che porta alla biblioteca (C.Kruml) Biblioteca e sala del tè (da “Innen-Dekoration”) con rispettive viste sul fronte strada (C.Kruml dicembre 2009) Galleria per la musica (C.Kruml dicembre 2009) 270 271 Villa Beer - Vienna Villa Beer - Vienna Dalla galleria si accede inoltre alla zona notte riservata ai domestici: un ampio guardaroba con bagno e due camere da letto rialzate di un paio di gradini (in modo da permettere una altezza maggiore per la cucina sottostante). In questa pagina: zona notte al primo piano riservata ai domestici. A fianco: scala che porta al secondo piano con dettaglio della linea continua e sinuosa del corrimano (fotografie C.Kruml dicembre 2009) 272 Salendo al secondo piano si arriva ad un’altra Halle che serve a distribuire quattro camere da letto, due bagni (di cui uno con wc separato), due guardaroba uniti da un corridoio a formare una L, una piccola palestra, e una sala per le colazioni. La particolarità di questo spazio centrale sta da una parte nelle linee continue e sinuose del corrimano in ottone e del ritaglio della scala nel solaio, e dall’altra dalla grande porta-finestra che dà su una terrazza posta sopra il bowindow, accessibile anche dalla sala colazioni15. Ci si trova a questo punto al secondo livello del volume aggettante in facciata che contiene da una parte un angolo-seduta e dall’altra un guardaroba. Entrambi questi spazi sono dotati di ampie vetrate, e in particolare da quella del guardaroba si può guardare sul piccolo affaccio del soggiorno sottostante ribadendo così il gioco teatrale che caratterizza tutta la casa. Due camere da letto affacciano sulle terrazze poste rispettivamente alle estremità nord-est e sud-ovest della casa. I bagni sono molto ampi e dotati di grandi finestre che li rendono degli spazi abitabili. 273 Villa Beer - Vienna Villa Beer - Vienna Al terzo piano si arriva attraverso la scala di servizio. Qui sono collocate da una parte tre camere distribuite lungo un corridoio e dall’altra un piccolo ripostiglio, un wc, uno spogliatoio, un bagno con doccia, e una grande terrazza-solarium con annessa zona all’aperto coperta (con fonte per l’acqua). E’ probabile che questo piano, pur non avendo il tetto inclinato, avesse lo stesso significato che per Baillie Scott aveva la soffitta, servisse quindi anche come spazio per il gioco dei figli, oltre che per la cura della persona. Arredi: Come in Casa Bunzl, anche qui le pareti interne sono tutte intonacate di bianco, così come le porte. Solo il rivestimento delle pareti della cucina è in piastrelle quadrate bianche16. Avendo un generoso budget a disposizione, Frank può utilizzare anche materiali costosi come pavimenti a intarsio in legni esotici e marmi17. Ciò nonostante la casa non ostenta in lusso e monumentalità. L’arredamento si presenta semplice ed essenziale, come accostamento di diversi tipi di sedute e poltrone, stoffe e tappeti colorati. Gli armadi a muro e i mobili della cucina sono stati disegnati da Frank in legno bianco, privi di ornamenti se non le maniglie in ottone applicate su placche (quadrate o circolari) sempre in ottone, e le cerniere in cromo delle ante. L’atrio di ingresso è pavimentato in piastrelle quadrate chiare e le fotografie in bianco e nero mostrano due strati di tende alle finestre, il primo bianco tinta unita, il secondo floreale (pattern disegnato da Frank così come il tappeto). Un grande specchio circolare anticipa la finestra della sala del tè . Le stesse fotografie rivelano ovunque la presenza della vita dell’abitante: l’ombrello e i pettini nell’atrio, i libri nella biblioteca, i posacenere sui tavoli, le piante nei vasi, i quadri (pochi) e i soprammobili, le sedie disordinate quasi vi si fosse appena alzato qualcuno. Gli spazi della casa sono vissuti, abitati. I caminetti sono dei volumi puri bianchi con cornice in mattoni, e soglia e tettoia in marmo. Terrazza della camera da letto del secondo piano, da cui si può vedere che quella sopra il bowindow in origine era dotata di abbeveratoio e pavimentata mentre oggi non più (da M.Welzig 1998 p.134) Spazi all’interno del volume aggettante in facciata con rispettive viste sull’esterno (guardaroba da “Innen-Dekoration”; stato attuale C.Kruml dicembre 2009). Terzo piano: solarium e camera da letto della figlia (da Berquist p.126 e “Innen-Dekoration”). 274 275 Villa Beer - Vienna Villa Beer - Vienna Villa Beer e Villa Moller La Beer Haus presenta molte analogie con Villa Moller progettata da Adolf Loos negli stessi anni (1928)18: l’arretramento dalla strada attraverso una fascia a prato con due alberi decentrati rispetto alla facciata; il volume aggettante con le finestre che gli fanno da cornice e la porta di ingresso collocata al di sotto; il prospetto verso strada più riservato e quello retrostante aperto sul giardino mediante terrazzamenti, balconi e grandi vetrate; le facciate lisce intonacate di bianco, prive di cornicioni e grondaie con le aperture ritagliate nella pelle dell’edificio; il tetto piano e la grande terrazza-solarium all’ultimo piano; il Raumplan e il gioco di affacci all’interno; l’arredamento semplice ed essenziale e combinazione di mobili antichi e nuovi contro la concezione della casa come opera d’arte. Inoltre in entrambi i progetti l’intonaco esterno è pensato come una camicia bianca che avvolge completamente l’edificio sotto una superficie uniforme priva di ornamenti, mentre l’interno simboleggia uno spazio prettamente femminile, metafora dell’utero materno, morbido e sinuoso, dove invece gli ornamenti sono concessi perché “utili per lo spirito”. Eppure ad un’analisi più attenta, sono evidenti le differenze progettuali fra i due architetti. Innanzitutto l’edificio che progetta Loos si presenta come un volume compatto e quasi cubico, sia in pianta che in alzato, e in faccia-ta è perfettamente simmetrico, quasi fosse una maschera con due occhi, un naso e una bocca, sottolineata anche dall’ispessirsi delle cornici delle porte-finestre del secondo piano. Trovandosi davanti alla porta di ingresso, il peso del volume aggettante, soprastante non viene percepito più di tanto, essendo collocato più in alto rispetto a quello di Villa Beer e meno profondo, tanto che non necessita di colonnine di sostegno. Manca anche la finestra circolare, sostituita da un’unica vetrata centrale, e sopra all’aggetto è ricavata una terrazza incorniciata da una leggera rientranza della superficie muraria. L’effetto complessivo di questo fronte strada è di una maggiore monumentalità e staticità rispetto a Casa Beer dove invece le asimmetrie e traslazioni gli conferivano movimento e dinamicità. Un altro aspetto da notare è il fatto che l’edificio sembra appoggiare sul terreno come su un vassoio, mentre in Villa Beer il giardino entrava in gioco nel disegno complessivo dei terrazzamenti che gradualmente salivano fino alla terrazza-solarium in copertura. In Villa Moller invece i balconi e affacci sono indipendenti gli uni dagli altri e soprattutto non fanno parte di un 276 B.Colomina 1992 p.79 sistema di sporgenze e rientranze, concavità e convessità come era invece nella Beer Haus. Qui il fronte rimane comunque sempre una superficie piana e non mostra nulla del Raumplan interno. L’architettura di Loos è dunque molto più introversa di quella di Frank, cosa che viene confermata anche all’interno: le finestre sono raramente fatte per guardare all’esterno essendo spesso collocate in alto o dietro ad un divano cosicché colui che vi siede si trova ad avere la finestra alle proprie spalle. Inoltre in questo modo chi è seduto viene visto in controluce, “come un volume, una presenza corporea all’interno della casa dotata di una propria interiorità”19. All’interno del volume aggettante in facciata si trova quello che Beatriz Colomina chiama the theater box, una specie di scatola teatrale attorno alla quale ruotano gli altri spazi della casa analoga a quello che in Villa Beer era lo spazio della galleria per la musica-sala per il tè. Tuttavia, mentre in Frank l’abitante si trovava ad essere contemporaneamente attore e spettatore in un gioco equilibrato delle parti, in Loos il/la padrone di casa è solo spettatore, anzi addirittura controllore e osservatore di tutto ciò che accade fuori e dentro alla casa, senza essere visto perché nascosto da controluce (all’interno) e dalle tende (verso l’esterno)20. Un’altra differenza rispetto a Loos si rileva nella concezione della casa come via e come piazza: se in Casa Beer il percorso è continuamente fluido e dinamico, le scale sono sempre visibili e facenti parte degli spazi di soggiorno; in Villa Moller le scale sono numerose, frammentate e a volte nascoste dietro pilastri o addirittura a scomparsa nel pavimento. Mentre in Frank gli spazi si fondono così l’uno nell’altro, in Loos gli ambienti sono si 277 Villa Beer - Vienna Villa Beer - Vienna collegati tra loro, ma indipendenti, ciascuno pensato come nucleo chiuso in se stesso, anche quando si affaccia in un altro ambiente o all’esterno. I passaggi da uno all’altro sono incorniciati mediante pilastri, colonne o rivestimenti in legno, dove la cornice è sempre un elemento di separazione, una cucitura. Frank invece si limita a pareti bianche e ad elementi divisori flessibili e permeabili come le tende, laddove Loos non esista a rivestire le pareti di marmo o legno. Sezione terrazzo 1P pranzo musica 3P terrazzo Halle cucina bibl. nicchia seduta B atelier camera PT garage garage lavanderia 2P camera servizio camera camera camera camera servizio cucina di servizio Qui sopra sala della musica e pranzo. A fianco nicchia della seduta “theater box”. Immagini da Münz/Künstler pp.129-134 B camera servizio disp. B B G camera camera camera ingresso 278 279 Villa Beer - Vienna Villa Beer - Vienna Note 1 Susanne Strohmayer, che ringrazio, mi è stato possibile visitare 1962), p.70 di persona gran parte della villa, anche all’interno (eccetto la 2 A.Loos, I calzolai, da Parole nel vuoto, Adelphi Milao 1972 (ed.orig. Josef Frank, Das Haus als Weg und Platz, in “Der Baumeister”, cantina e le camere poste a sudovest dei piani secondo e terzo n. 29, 1931, p.316, ripubblicato in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank che attualmente fanno parte di un’altra proprietà). All’epoca 1885-1967, Hochschule für angewandte Kunst, Wien 1981, p.36 la villa presentava delle crepature sui prospetti soprattutto in 3 corrispondenza del cordolo di copertura. Vedi nota 131 a p.135 in Maria Welzig, Josef Frank 1885–1967. Das architektonische Werk, Böhlau Verlag, Vienna, 1998 9 4 Nel 1935 la società di assicurazioni Allianz e Giselaverein ed Ellen Wild sotto la supervisione di Boris Podrecca all’interno Versicherungs AG aveva lanciato un’asta sul terreno e sulla del corso per Raumgestaltung tenuto da Friedrich Kurrent. casa. Vedi Friedrich Kurrent, Johannes Spalt, in “Die Furche”, n.29, 5 Vedi articolo di Hans Haider pubblicato nella “Wiener Zeitung” 1965, mostra in occasione del 80° compleanno di Frank dal il 10 luglio 2009. Riguardo alla storia della famiglia Beer e agli 18 dicembre 1965 al 29 gennaio 1966 all’Österreichischen altri abitanti della Villa, vedi Tano Bojankin, Das Haus Beer Gesellschaft für Architektur a Vienna, ora in Otto Kapfinger, und seine Bewohner, in Iris Meder (a cura di), Josef Frank. Eine Krischanitz, Josef Frank zum 100 Geburtstag am 15 Juli Moderne der Unordnung, Verlag Anton Pustet, Salzburg Wien 1885, Ausstellung vom 15 Juli bis 2 August 1985, Fakultät für München 2008, pp.105-111 Architektur der Technischen Universität München. 6 10 “Moderne Bauformen”, n.31, 1932, in Christopher Long, Josef Il modello in scala 1:33 1/3 è stato realizzato da Maria Bilika Quando ho visitato l’edificio la cucina più grande era stata Frank, University of Chicago Press, Chicago 2002, p. 146. trasformata in una camera. Secondo Maria Welzig, esistono anche dei disegni presso 11 l’archivio tecnico del Baubehörde che però non ho potuto parete in muratura, è stata ripristinata. consultare. Si tratterebbe di due versioni di piante, una datata 12 J.Frank, Das Haus als Weg und Platz, op.cit. ottobre 1929 (quando la costruzione venne avviata senza avere 13 Oggi questa seconda parte è chiusa da pareti in muratura. ancora il permesso); l’altra agosto 1929 contiene delle varianti 14 Le fotografie in bianco e nero mostrano una xerografia con al progetto. scritte giapponesi o cinesi, un tavolino e tappeti orientali. Vedi 7 Wolfgang Born, Ein Haus in Wien-Hietzing, “Innen-Dekoration”, Col tempo diventato grigio, ma è previsto un ripristino del Attualmente è coperta da uno strato di ghiaia. Le fotografie in bianco e nero mostrano che veniva utilizzata come solarium (cosa che confermerebbe la presenza della fonte per l’acqua oggi non più esistente). 16 Non essendo disponibili fotografie dell’epoca dei bagni, non è chiaro se fossero rivestiti con piastrelle o meno. 17 Oggi gran parte dei pavimenti sono coperti da mouquette. 18 Attualmente è residenza del console israeliano e quindi non accessibile. 19 Beatriz Colomina, The Split Wall: Domestic Voyeurism, pp. 73-128 20 Colomina fa notare la situazione analoga nel progetto per la Josephine Baker House dove la piscina è collocata fra due recinti di pareti nelle quali sono ricavate delle finestre dalle quali un ipotetico visitatore può spiare la proprietaria mentre nuota, la quale però gli rimane sempre inaccessibile, intoccabile, una silhouette misteriosa e desiderabile essendo la piscina illuminata dall’alto. Oggi questa apertura originaria, in seguito chiusa da una colore bianco degli intonaci n.XLII, Heft 10, 1931, p.363 e seguenti cit. anche in M.Welzig, 8 Josef Frank, op cit., p.130 Nel dicembre 2009, grazie alla disponibilità della signora 15 1P Halle cafè B B salone piscina petit salon CASA J.BAKER Parigi 1928 primo piano e sezione 280 281 J.Frank, le 13 case raccolte su tre fogli di carta trasparente, da Berquist pp.85-88 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill L.S.D.D. Josef Frank e Dagmar Grill, da M.Welzig 1998, p.213 Sopra estratto dalla lettera per la casa n.3, 1 agosto 1947 (Bauwelt 26/1985, p.1066) 1 In una lettera indirizzata a Trude Waehner il 15 ottobre 1947 (LÖNW) scrive che si sta dilettando con disegni d’architettura, riferendosi probabilmente alle 13 case per Dagmar, ma solo “per schiarirmi un po’ le idee su che cosa voglio fare in realtà, senza alcuna pretesa che alcuno di loro possa concretizzarsi”. 284 Tra il 22 luglio e il 15 agosto 1947 Josef Frank scrive 13 lettere indirizzate a Dagmar Grill (1892 - dopo il 1979), cugina della moglie. I due si conoscono nel 1914, quando lei, fisioterapista, si trasferisce da Stoccolma a Vienna per andare a lavorare alla Scuola di educazione fisica Strömberg-Palm, di cui tra l’altro proprio Frank aveva progettato gli interni nel 1910. Negli anni venti Dagmar viene assunta presso “Haus & Garten”, e tra i due si sviluppa nel tempo un legame particolare che si concretizzerà dopo la morte della moglie nel 1957, quando vanno a vivere assieme a Stoccolma. Scritte come stimolo per impegnare un periodo caratterizzato da pochi incarichi architettonici effettivi1, le lettere portano avanti un progetto del 1926 per una casa ideale da costruirsi a Skärgården, un arcipelago di isole ad est di Stoccolma, dove Dagmar viveva. Ciascuna contiene lo schizzo per una casa immaginaria (piante, un prospetto e alcune note di commento), che in seguito Frank raccoglierà su tre fogli di carta trasparente, cambiandone però l’ordine di numerazione (in origine era 1-2-5-6-7-4-3-9-8-10-11-12-13). I 13 progetti si differenziano per forma, dimensione e tipologia. Tuttavia, pur trattandosi di case immaginarie, questi schizzi sono qualcosa di più che un semplice e astratto esercizio compositivo. Non essendo vincolato da alcuna realizzazione, tantomeno da problemi di costo, Frank poté infatti sentirsi libero di esprimere tutta “la [sua] poetica dello spazio”. In una delle lettere definisce questi progetti con il termine svedese “Krånglig” che, tradotto, significa complicato, intricato, si potrebbe anche dire seducente. Ognuna di queste 13 case è uno “spazio amato”. Le 13 lettere per Dagmar Grill possono essere considerate come una finestra aperta verso un’intimità, l’intimità della casa e del suo abitante, sono la chiave che ci permette di sbirciare in questo spazio uterino scoprendone un segreto che non ci sarà mai consentito di svelare, e appena varcata la soglia saremo al stesso tempo attori e spettatori di una storia d’amore. Negli anni successivi Frank continuerà a sviluppare i progetti per queste case e di tre di queste (n.9, n.8 e n.13) realizzerà nel 1953 anche degli acquerelli. Tra il 2 e 3 dicembre del 1953 e il 1955, realizzerà altre due serie, le “DHouses” e le “Double D Houses”, in cui riprenderà molti dei temi sviluppati per queste 13 case per Dagmar Grill. Qui di seguito viene data una breve descrizione per ciascuna di esse. Purtroppo è difficile rintracciarne completamente lo sviluppo progettuale perché le lettere originali sono andate perdute (si sono conservate solamente alcune copie conservate nella collezione del prof. Johannes Spalt nell’Architektur-Zentrum Wien, ma attualmente – dicembre 2009 - non accessibile). N.B. Gli schemi qui di seguito sono stati ricostruiti sulla base dei documenti conservati presso l’archivio Josef Frank dell’Albertina di Vienna (JFA). A fianco vi è lo schizzo contenuto nelle lettere. Dove i prospetti presentavano delle incongruenze rispetto alla pianta (come nelle case n.2, 5 e 8), si è fatto fede alle piante: si aggiunge in quel caso l’originale JFA con le parti evidenziate in rosso per un confronto. Le fotografie dei modelli sono tratte da M.Bergquist, O.Michélsen, Accidentism. Josef Frank, Birkhäuser, Basel 1995. Quelle delle case n.3 e 9 da I.Meder, Josef Frank. Eine Moderne der Unordnung, Pustet, Salzburg 2008, p.83 e “Ottagono”, n.62 (1981), pp.28 e 33. Ove non espressamente indicato, tra virgolette sono citate le annotazioni di Frank che accompagnano gli schizzi. Progetto di casa per Dagmar Grill a Skärgården, da Spalt/Czech 1981, p.187 Legenda: terrazzo all’aperto atelier/capanna spazio aperto coperto muratura filtro luogo speciale nicchie L: living, soggiorno B: bedroom, camera da letto K: kitchen, cucina D: dining, sala da pranzo G: garage Bw: bathroom, bagno-wc H: Hall T: terrazzo V: Windfang, veranda di ingresso U: utility, ambiente di servizio A: Atelier S: storage, ripostiglio C: corte 285 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill CASA n.1 – 22 luglio 1947 JFA 81 Frank si riferisce a questo progetto come “Nuova Casa Dybel n.1”. È composta dal volume irregolare del piano terra (l’elemento orizzontale, femminile) sormontato a croce da un corpo rettangolare (l’elemento verticale, maschile) che sporge da entrambi i lati est ed ovest, sostenuto da pilastri (rastremati verso il basso nello schizzo della lettera). In questo modo al piano terra vengono a crearsi degli spazi esterni coperti, uno a protezione dell’ingresso, l’altro di fronte alla cucina e a parte della sala da pranzo. In prospetto la casa si presenta con facciate lisce in cui, per contrasto, si distinguono i camini in muratura. All’interno, dall’atrio il percorso si snoda in tre possibili direzioni: a sud verso il soggiorno e la sala da pranzo, a nord verso la cucina e l’ambiente di servizio adiacente al garage, oppure al piano superiore dove si trovano tre camere da letto, un bagno e due grandi terrazze (non accessibili nei disegni JFA). Nello schizzo delle lettere il salotto è separato dalla sala da pranzo e rialzato di qualche gradino. Verso ovest si protende all’esterno attraverso un bowindow che, assieme alla sporgenza del primo piano, viene a formare una corte a U orientata ad ovest, una stanza all’aperto in cui ci si sente come abbracciati dalla casa. Le camere da letto sono orientate ognuna verso un diverso punto cardinale, in modo da diventare un luogo speciale, dal quale poter osservare una particolare porzione di paesaggio: quella orientata a sud, la più piccola e intima, guarda verso la corte aperta sul soggiorno; mentre la camera più ampia, in direzione est, sporge mediante un bowindow sopra l’ingresso. Nella versione elaborata successivamente (JFA) invece salotto e sala da pranzo vengono raggruppati in un unico ambiente, il bowindow del soggiorno viene ridotto e quello della camera da letto viene sostituito da un affaccio. prospetto sud prospetto nord prospetto est 1P B B Bw B 0 1 PT 5m N D L prospettoovest 286 V V K U U G 287 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill CASA n.2 – 23 luglio 1947 JFA 80 Chiamata nella lettera “Casa Dybel n.2”, presenta un solo piano allungato e irregolare composto di due volumi di cui uno più basso, sormontati in copertura da una “Krånglig House”, cioè uno studio vetrato: un basamento intimo e riservato su cui appoggia un’osmotica capanna. Rispetto all’ingresso si può scegliere se andare ad est verso la zona notte rialzata di alcuni gradini (tre camere orientate verso sud e un bagno), oppure dirigersi in direzione opposta verso la zona giorno caratterizzata dalla nicchia del camino (il luogo più nascosto ed intimo della casa) e da due bowindow, di cui uno per la sala da pranzo. Il corpo scale, che funge al tempo stesso da perno verticale attorno al quale si dispongono le varie zone del soggiorno, porta al piano superiore, dove si trova lo studio vetrato, contraddistinto da due camere comunicanti di cui una sopraelevata ed aperta su un’ampia terrazza. Questo è un luogo particolarmente “intrigante”, poiché da qui al tempo stesso posso guardare fuori verso il paesaggio, ma anche essere visto da chi si trova all’esterno dell’abitazione. Un luogo teatrale, dove attore e spettatore si confondono, dove interno ed esterno si mescolano, dove il privato diventa pubblico. Nel prospetto nord la finestra circolare indica uno spazio uterino controbilanciato dalle sporgenze del volume di ingresso con copertura arcuata e di quella del bagno della zona notte. Lo schizzo delle lettere presenta delle differenze rispetto alla versione successiva: la pianta dell’edificio era meno piegata; mancava la finestra circolare e il volume di ingresso; il corpo scala era adiacente all’ingresso e non isolato al centro del soggiorno; i due bowindow del salotto guardavano entrambi verso sud, così come tutte e tre le camere da letto. Inoltre il terreno si alzava in direzione est, contribuendo a focalizzare il prospetto nord sul volume del bagno. prospetto est prospetto ovest prospetto sud prospetto nord A +3.0 +3.7 T 1P N D K V B B 288 U +0.5 Bw 0 1 5m B L V +0 PT 289 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill CASA n.5 – 25 luglio 1947 JFA 77 Questa “Nuova Casa Dybel” si sviluppa su due livelli ed è costituita da due ali di differente forma e dimensione, incernierate ad un corpo centrale rettangolare, vetrato sui lati est ed ovest. Ad unire insieme i volumi è un’unica copertura che mantiene la stessa altezza per tutta la lunghezza dell’edificio. Il terreno su cui poggia la casa presenta un dislivello tra nord e sud, per cui dall’ingresso si passa nel salotto a doppia altezza e poi si scendono alcuni gradini per andare in sala da pranzo e da qui in cucina e nell’ambiente di servizio adiacente al garage. Oppure si sale al piano superiore, dove sono collocati un bagno e tre camere da letto, ciascuna dotata di un affaccio verso ovest (due mediante balconi e una con un bowindow). In prospetto l’ingresso si presenta come un volume più basso sporgente in facciata e dotato di una copertura curva. Esso va a bilanciarsi con una finestra circolare al primo piano che serve ad illuminare il corridoio di accesso alle camere da letto. La forma tonda è simbolo di un’intimità femminile, uno spazio uterino, concavo, che contiene; mentre la sporgenza è assimilabile ad un corpo maschile, penetrante, convesso. Questo accostamento porta di ingresso e finestra circolare è ricorrente nelle architetture di Frank. La finestra circolare inoltre è un riferimento all’architettura orientale, come anche il portico sull’ala nord al piano terra, che ricorda l’engawa della casa tradizionale giapponese, uno spazio filtro tra interno ed esterno. Rispetto allo schizzo della lettera vi è l’inversione dell’ingresso secondario con l’ambiente di servizio, ma soprattutto viene aggiunta una terrazza al primo piano che crea una zona d-ombra nel prospetto ovest e da cui ci si puó affacciare nel soggiorno a doppia altezza. Al disotto si viene così a creare una nicchia, uno “spazio amato” in cui riscaldarsi vicino al camino in muratura. prospetto ovest prospetto est prospetto nord 1P B B Bw B T H prospetto sud 0 1 5m PT K U G N L D H V 290 291 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill CASA n.6 – 29 luglio 1947 JFA 76 La pianta “diventa sempre più intrigante”, sviluppandosi liberamente all’interno di un perimetro di forma rettangolare, ricavando anche delle stanze all’aperto al piano terra e delle terrazze al primo piano. Anche qui l’ingresso è giustapposto ad una finestra circolare, la quale illumina una delle tre nicchie del soggiorno disposte attorno al perno verticale del camino e ad una Halle a doppia altezza, in cui è inserito il corpo scale ad L. Ciascuna di queste nicchie è orientata secondo un diverso punto cardinale – ovest, sud ed est – e confina con un spazio esterno coperto. Dato il dislivello del terreno tra nord e sud, l’ambiente di servizio ed il garage si trovano in un livello più basso rispetto al resto dell’edificio, ed in prospetto questo si traduce come una traslazione della linea di copertura e della ringhiera delle terrazze al primo piano. Questo dislivello inoltre permette di realizzare una prima zona notte (due camere, orientate rispettivamente ovest ed est, e un bagno) a livello del pianerottolo della scala e poi una seconda (altre due camere orientate a ovest e un bagno) alla quota del primo piano. Qui ritroviamo lo studio vetrato già incontrato nella casa n.2, ma questa volta di forma curvilinea, uterina, con una copertura arcuata, e attraversato dall’elemento verticale, maschile, del camino. Il bagno al primo piano è dotato di una finestra circolare a sottolineare la sua intimità e dunque il suo essere un luogo speciale e seducente. 0 1 5m N prospetto sud prospetto nord prospetto est prospetto ovest T K D U Bw B -1,50 0 B +2,50 A L B +2,00 Bw B -1,50 H G T T V PT 292 1P 293 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill CASA n.7 – 30 luglio 1947 JFA 75 “Questa è una D house con tetto, ma comunque intrigante”. Il portico tipo engawa incontrato nella casa n.5 viene qui accentuato ed esteso su tutti i lati quasi a circondare completamente l’edificio. Inoltre la casa si sviluppa ora in senso verticale su una pianta rettangolare che sale per tre livelli, riducendosi progressivamente man mano che si procede verso est. Ciascun piano è dotato di un tetto a falde di chiara ispirazione orientale, sostenuto da pilastri che però non sono allineati tra loro. In prospetto si legge una composizione equilibrata di pieni e di vuoti, dove il vuoto è sempre e comunque un pieno: al primo piano il volume contenente la zona notte (nella prima versione lo studio vetrato) si rispecchia nel vuoto di pari dimensione della terrazza, che diventa così una stanza all’aperto. Di nuovo l’ingresso, sul lato nord, si rapporta ad un’apertura circolare che illumina il bagno al secondo piano. Nella versione successiva, all’ingresso viene affiancata una seconda apertura circolare, collocata al piano terra, ed entrambi sono contenuti in un corpo unico sporgente sotto all’engawa; mentre sul prospetto sud si legge la verticalità della finestra del corpo scala rispecchiato nell’elemento verticale del camino. All’interno, al piano terra si trovano sulla sinistra rispetto all’atrio: la cucina, la sala da pranzo e l’ambiente di servizio adiacente al garage; sulla destra il soggiorno orientato a sud e dotato di un ampio focolare. Ai piani superiori quattro camere da letto (due per ciascun livello) e due bagni. prospetto nord prospetto ovest 2P B B Bw prospetto est 1P B T Bw 0 1 5m B N PT prospetto sud U G D K L H V 294 295 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill CASA n.4 – 31 luglio 1947 JFA 78 La particolarità di questo progetto è che si tratta di un edificio su quattro livelli (seminterrato, piano terra, primo e secondo piano) che si sviluppa all’interno di due muri massicci in pietra naturale lasciata a vista, posti verso nord e verso sud. Per contrasto i lati est ed ovest sono intonacati lisci, aperti verso il paesaggio e dotati di ampie vetrate. Ringhiere continue sembrano cucire assieme i due muri laterali. Come nelle case n.2 e n.6, anche qui una parte centrale del soggiorno funge da perno attorno al quale si dispongono sia i tre ambienti del salotto-pranzo, orientati ciascuno secondo diverse direzioni, sia il corpo scale che funge da elemento di collegamento verticale. Rispetto alla prima versione, in quella successiva la porta di ingresso viene completamente circondata dalla finestra circolare e il percorso di accesso alla casa si fa più intrigante perché non è più lineare, ma per entrare il visitatore deve girare il proprio corpo prima di 90° verso destra e poi di 90° verso sinistra. Salendo ai piani superiori, si trovano al primo un bagno e tre camere da letto, di cui una con bowindow curvo, e al secondo lo studio vetrato con proprio focolare. Ciascuno di questi spazi affaccia su delle terrazze, alcune delle quali nella seconda versione vanno a perforare i muri nord e sud sporgendo così fuori dal filo facciata. prospetto est prospetto ovest 2P A T T prospetto nord 1P T T Bw B B B T T prospetto sud PT D K N L H V 296 L 0 1 5m 297 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill CASA n.3 – 1 agosto 1947 JFA 79 Frank si riferisce a questo progetto come “casa in stile cinese”, e vi ripropone alcuni dei temi già sviluppati nelle case precedenti. Come nelle n.6 e 4, infatti, la disposizione degli ambienti di soggiorno del piano terra ruota attorno all’elemento verticale del camino, e come nel progetto n.7 la casa si sviluppa in verticale riducendosi progressivamente man mano che si procede verso ovest ed è dotata di un portico tipo engawa che la circonda su tutti i lati; ma invece del tetto a falde torna quello piano. Ciascuno degli spazi della zona giorno è orientato secondo un diverso punto cardinale e si protende fino ad allinearsi con la linea dei pilastri del portico. Nello sviluppo successivo del progetto sul lato est è stata aggiunta una ulteriore fila di pilastri in modo da creare un prolungamento esterno ma coperto per la sala da pranzo. Su tutti i prospetti si può osservare un particolare equilibrio fra chiari e scuri, tra vuoti e pieni, dove soprattutto il piano terra risulta in ombra, facendo sembrare il primo piano come sospeso sui pilastri – anche in questo caso non allineati tra i vari piani – e le nicchie del soggiorno come volumi sporgenti. Nella prima versione contenuta nella lettera, Frank aveva introdotto delle differenze di livello al piano terra (da una quota di – 60 cm per la parte di soggiorno posta a ovest, si passava alla quota di + 60 cm per gli ambienti posti sul lato est, cioè cucina, pranzo, servizio e area all’aperto) e un piano ammezzato (a + 1,90 m, contenente una camera e un bagno), che nelle versioni successive abbandona completamente. Ai piani superiori, circondati da ampie terrazze, si trovano al primo tre camere da letto e un bagno con finestra circolare, al secondo lo studio vetrato attraversato dal camino. [imprecisioni nel prospetto ovest del JFA, chiamato erroneamente “east”] prospetto sud prospetto est 2P T A prospetto ovest 1P N Bw B B T 0 1 5m B PT U L K D H V prospetto nord 298 299 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill CASA n.9 – 4 agosto 1947 JFA 83 (piante e prospetti), 88 (piante più dettagliate) e 8 (acquerello) Si tratta di una dimostrazione pratica di quella che Frank definisce “Accidental house”: la pianta è irregolare, sembra disegnata a caso, non vi sono angoli retti né all’interno né all’esterno. Già nell’articolo “Das Haus als Weg und Platz” del 1931, Frank aveva affermato che “lo spazio rettangolare è il più inadatto all’abitare”, ed ora nella lettera aggiunge una critica alle piante troppo rigide progettate da “architetti funzionalisti (Funkisarchitekten)”. L’edificio si erge su tre livelli, tutti di forma diversa, che man mano si restringono procedendo verso l’alto dando luogo a delle ampie terrazze e a degli spazi all’aperto coperti. All’interno rimane la disposizione più volte incontrata degli ambienti disposti attorno allo spazio centrale del soggiorno, con il focolare e il corpo scale che fungono da perno verticale. Al primo piano si trovano tre camere da letto e un bagno con finestra circolare. Qualche anno dopo Frank realizza un acquerello che servirà ad illustrare l’articolo “Accidentalismo”, comparso nel 1958, cioè più di dieci anni dopo, nella rivista “Form”. Nella didascalia ci si riferisce come alla “Casa per Djursholm”, affermando che: “Il contorno della casa è disegnata senza tener conto del suo interno; secondo il progettista, persino in questo modo si può ottenere una abitazione più confortevole che nella casa progettata razionalmente”. Dall’acquerello risulta che all’esterno la casa era intonacata di bianco tranne che in alcuni punti dove era lasciata a vista la muratura in pietra naturale. Anche il camino e i pilastri di sostegno delle sporgenze del primo piano sono in muratura. A unire l’insieme come un nastro continuo provvedono le ringhiere delle terrazze del primo e secondo piano. In questa versione il pilastro sul lato ovest continua anche al primo piano quasi a perforare la finestra -allargata- della camera da letto e viene riunito con il piano terra attraverso una linea curva. Viene aggiunto inoltre un secondo piano in cui è collocato lo studio vetrato attraversato dal camino. prospetto sud prospetto nord prospetto est 0 1 5m N B B B Bw prospetto ovest 1P K V D U L H V PT 300 301 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill CASA n.8 – 5 agosto 1947 JFA 82 e 104 (acquerello) “C’è da dire che questa casa non è molto intrigante, quanto piuttosto regolare, ma possiamo modificarla in seguito”. Frank abbandona la linea curva e ritorna ad una pianta rettangolare, che si sviluppa, come nella casa n.4, tra due grossi muri in pietra naturale che segnano i limiti di espansione della casa ad est ed ovest. I lati nord e sud invece - intonacati di rosso con struttura in cemento armato, come rivela l’acquerello prodotto successivamente - si presentano come una combinazione di pieni e di vuoti, di corpi chiusi, spazi aperti coperti e terrazze, che tagliano l’edificio secondo tutta l’ampiezza del lato corto fino a sporgere in alcuni punti oltre il filo facciata e diventare così tettoie di protezione per l’ingresso al piano terra e per il garage che si trova al piano seminterrato. Soprattutto il lato verso sud è dotato di ampie vetrate, mentre quello verso nord è più introverso: su questo lato si trova l’ingresso bilanciato da una finestra circolare che illumina il corridoio di accesso alle camere da letto del primo piano. Elemento verticale dominante è il camino dotato di una particolare copertura a ombrello, che – oltre ad alludere ancora una volta all’unione tra verticale e orizzontale, maschile e femminile - serve da copertura alla terrazza sulla quale affaccia lo studio al secondo piano. All’interno non troviamo più la disposizione di nicchie attorno ad uno spazio centrale, bensì un unico grande ambiente di soggiorno-pranzo orientato verso sud, adiacente da un lato alla zona cucina e servizio e dall’altro ad una terrazza. Al primo piano si trovano tre camere da letto orientate a sud e un bagno dotato di finestra circolare. prospetto sud prospetto nord N 0 1 5m 2P A T 1P Nella prima versione vi era un secondo camino in posizione simmetrica, ma privo di ombrello. L’acquerello invece mostra una diversa disposizione delle vetrate dell’atelier al secondo piano. B Bw B prospetto est B T PT U K L T V prospetto ovest 302 303 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill CASA n.10 – 6 agosto 1947 JFA 84 Anche questa casa “non è molto intrigante, ma è un buon progetto e lo si può rendere più complesso in seguito”: l’edificio è composto da un volume rettangolare sostenuto su pilastri appoggiato ad un altro volume quadrato ancorato a terra e aperto verso una corte centrale (una tipologia con la quale Frank aveva familiarizzato già negli anni Venti e Trenta). Attorno alla corte si affacciano il salotto con la nicchia per il camino, la sala da pranzo e un bowindow rivolto a est. Cucina e ambiente di servizio si trovano sull’angolo nord-ovest della pianta del piano terra, mentre tutto il lato sud è occupato dal portico. Al primo piano vi sono tre camere da letto, un bagno (nello schizzo delle lettere con finestra circolare) e una grande terrazza da cui si può guardare al di sotto verso il cortile. Qui l’abitante si trova ad essere contemporaneamente attore e spettatore: dalla corte si può vedere sia chi si trova all’interno della zona giorno, sia l’esterno attraverso il bowindow e la vetrata della sala da pranzo; ma a sua volta si viene visti da chi si trova sulla terrazza al primo piano. Tra prima versione e quelle successive cambiano l’orientamento delle aperture delle camere da letto, l’ingresso principale che avviene da sud, e la posizione del camino che viene inserito all’interno e non è più sporgente sulla facciata ovest. prospetto sud prospetto nord prospetto est 1P B B T Bw B PT prospetto ovest U L K N H C D 0 1 5m V 304 305 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill CASA n.11 – 12 agosto 1947 JFA 85 “Ora [la casa] è diventata una grande D house, ma non importa perché tanto sulla carta non costa nulla”. L’edificio si compone in due corpi, l’uno irregolare (contenente ingresso, cucina, servizio e sala da pranzo al piano terra; camere da letto e bagni ai piani superiori) e l’altro rettangolare (dove trovano spazio il garage al piano terra, un atelier al primo piano e una terrazza al secondo). I due volumi sono uniti da un edificio-ponte, prevalentemente vetrato, in cui si colloca un grande ambiente di soggiorno a doppia altezza ed uno studio con affaccio sulla terrazza del secondo piano. Questa composizione è particolarmente leggibile nel prospetto nord, dove l’elemento verticale del camino spicca in modo evidente come cucitura tra i due volumi. All’interno, una passerella di collegamento tra l’atelier e la zona notte del primo piano, taglia in due parti questo grande soggiorno a doppia altezza, creando al piano terra delle nicchie più basse in cui “rannicchiarsi”. Anche in questo progetto si viene a creare un gioco di sguardi tra chi si trova sulla passerella e chi nell’atelier o nella camera da letto al primo piano che a sua volta affaccia sulla doppia altezza del soggiorno; ma anche con l’esterno attraverso le vetrate rivolte a nord e verso sud. Nelle versioni successive cambia solo l’orientamento di alcune aperture. prospetto nord prospetto est B B T Bw B T 2P prospetto ovest B B A Bw H 1P N 0 1 U D 5m S prospetto sud G K H L PT 306 307 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill CASA n.12 – 14 agosto 1947 JFA 86 Questa casa ad un solo piano, che abbraccia una corte aperta semicircolare rivolta verso sud, ricorda la pianta della Villa Wehtje del 1936 e riprende alcuni dei temi già sviluppati nelle prime lettere. Come lo schizzo nella lettera n.1 infatti, l’estremità ovest della casa si prolunga verso nord a formare una specie di corte a U che controbilancia quella circolare verso sud. Il soggiorno è un unico grande ambiente che segue la curvatura della corte, vetrato a sud e dotato di un ampio focolare e un bowindow verso nord. Gli spazi della cucina e della nicchia della sala da pranzo vengono ad inserirsi l’uno nell’altro, come una giunzione maschio e femmina o del concetto orientale del jin jang. Il garage si trova all’estremità est ed è separato dall’ambiente di servizio e dalla cucina attraverso uno stretto passaggio coperto. La zona notte con le tre camere da letto e un bagno, si trova ad ovest rispetto all’ingresso ed è sopraelevata di qualche gradino rispetto alla zona giorno, come nella casa n.2. Come nella progetto n.5, invece, l’ingresso è un corpo sporgente che in prospetto si rapporta con una finestra circolare in posizione simmetrica rispetto all’asse della corte. Tra queste due figure spicca l’elemento verticale del camino in muratura. prospetto ovest prospetto est prospetto sud 0 1 N L +0 B 5m D +0 +0.7 H B Bw K B C V PT U G prospetto nord 308 309 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill CASA n.13 – 15 agosto 1947 JFA 87 (piante e prospetti), 89 (piante più dettagliate) e 6 (acquerello) La particolarità di questa casa è che verso nord il primo piano si appoggia su una collina introducendo nella composizione una direzione diagonale e lasciando al piano terra uno spazio esterno coperto, sul quale affacciano l’atrio di ingresso e il soggiorno-pranzo con il focolare. La cucina e l’ambiente di servizio si trovano sul lato ovest, mentre su quello est è collocata la scala che porta al piano superiore segnata da due aperture in partenza (circolare) e all’arrivo (verticale). Qui tre camere da letto (orientate secondo diverse direzioni) e un bagno affacciano su una grande terrazza a sud attraversata dal camino, e a nord su un vuoto (rettangolare nella prima versione, ottagonale nella seconda) che guarda sullo spazio coperto del piano terra. Il garage è ricavato all’interno della collina. I prospetti est e ovest evidenziano un equilibrio fra pieni e vuoti secondo l’asse diagonale segnato dal corpo scala. Di questo progetto esiste anche un acquerello che mostra come l’esterno fosse intonacato di color marrone scuro, le aperture incorniciate di bianco, ringhiere bianche mentre il camino e le pareti della collina fossero in muratura di pietra naturale. prospetto nord prospetto sud prospetto ovest prospetto est 1P B Bw N T B B 0 1 5m PT U K H L 310 G 311 13 case per Dagmar Grill D e DD-Häuser D-Haus 4 – 2 dicembre 1953 – JFA 55, JFA25 e JFA 26 (acquerelli) La particolarità di questa casa è ila copertura arcuata e il fatto che sulla facciata nord il piano terra presenta un portico a due archi asimmetrici che prepara l’ingresso e su cui affaccia anche parte del soggiorno. Il primo piano invece è cieco, intonacato di bianco, con eccezione di una finestra circolare per il bagno. Il fronte sud è dotato di ampie vetrate e di una grande terrazza. In prospetto e nell’acquerello che accompagna il progetto, è disegnata anche una tenda in tessuto arancione che funge da brise-soliel per la cucina e tettoia per il prolungamento esterno della sala da pranzo. Il camino è in muratura. 313 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill D-Haus 3 – 3 dicembre 1953 – JFA 54 e JFA15 (acquerello) Anche questa casa ha una pianta irregolare e si erge su due livelli con al primo piano la zona notte e una terrazza che la circonda quasi completamente. Al piano terra l’ingresso è collocato tra il corpo scale ad est e una nicchia per il soggiorno-pranzo ad ovest. L’accesso avviene attraverso una tettoia arcuata sostenuta da una parete a est e un esile pilastro ad ovest. Un acquerello mostra che all’esterno il prospetto nord presenta un piano terra intonacato liscio, mentre il primo piano un rivestimento a scacchiera di terracotta nero bianco. I due piani sono uniti visivamente dalla parete esterna del corpo scale, in muratura, che va a bilanciarsi con l’elemento verticale del camino sul lato opposto. Il prospetto verso sud invece mostra un intonaco liscio su entrambi i livelli. D-Haus 1 –9 dicembre 1953 – JFA 52 Questa casa presenta una pianta irregolare centrata su un corpo scale che collega due livelli, quello inferiore per la zona giorno, quello superiore con la zona notte. All’esterno si presenta come un volume piuttosto introverso su tutti i lati, eccetto che su quello sud dove si trova una grande terrazza, gli affacci delle due camere da letto, il bowindow del soggiorno e la finestra della cucina. I prospetti sono intonacati lisci con l’elemento verticale del camino in muratura. Il fronte verso nord presenta due finestre circolari, una che illumina l’ingresso al piano terra, l’altra il bagno al primo piano. Il percorso si snoda dall’ingresso girando di 90° prima verso sinistra e poi verso destra, quindi attorno alla scala. D-Haus 2 – 5 dicembre 1953 – JFA 53 Si tratta di un edificio con una pianta irregolare su tre livelli, di cui quelli superiori in parte adibiti a terrazza. Simile alla precedente, anche in questo caso i fronti della casa sono introversi eccetto quello sud su cui affacciano gli spazi del soggiorno-pranzo e le camere da letto. Gli ambienti non hanno angoli retti. L’ingresso è un corpo più basso e sporgente dalla facciata, dotato di finestra circolare. Il soggiorno presenta due bowindow simmetrici, di cui uno per il pranzo, che vengono ripresi anche al primo piano a illuminare le camere da letto. Al terzo livello si trova uno studio con affaccio su un’ampia terrazza. 314 315 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill DD-Haus 1 – 1953/54 – JFA 69 e 70 Con questa DD-House si apre la serie delle abitazioni duplex da realizzarsi per Dagmar Grill e un suo affittuario (ipoteticamente un giardiniere) in cui l’elemento camino diventa un elemento di forte rilievo e personificazione. L’edificio si presenta asimmetrico sia in pianta che in prospetto, cosa che evita la monotona delle tradizionali case a schiera e lo rende ancora più intrigante. Persino tra piano terra e primo piano la suddivisione tra le due proprietà non è allineata e in prospetto questo si legge come una traslazione delle testate in muratura dei muri di confine. Anche i camini non sono uguali, uno più basso dell’altro. Analogamente un ingresso è concavo (quello per Dagmar, che si rapporta con l’elemento verticale maschile del camino in posizione simmetrica nell’altra proprietà), l’altro è convesso (affiancato da una finestra circolare da una parte e dal camino dall’altra). Entrambe le abitazioni presentano il fronte nord introverso e quello sud vetrato; al piano terra la zona giorno (con il soggiorno-pranzo disposto a est dotato di due bowindow, e la cucina ad ovest) e al primo piano la zona notte (due camere e un bagno per la Grill, tre camere e un bagno per l’affittuario) arretrata rispetto al piano inferiore in modo da creare una terrazza verso nordest; una grande nicchia per il focolare; una disposizione interna degli ambienti del soggiorno attorno al corpo scala che fa da perno verticale; cucina e ambiente di servizio sono uniti in un’unica stanza. Caratteristica dell’appartamento per Dagmar Grill è l’affaccio del corridoio del primo piano sulla doppia altezza del salotto e una serie di pilastri nel soggiorno che servono a sostenere l’arretramento del solaio del primo piano. 316 DD-Haus 2 – 1953/54 – JFA 67 e 68 In questo progetto la pianta si regolarizza, soprattutto nell’appartamento dell’affittuario che diventa rettangolare. Sul lato nord si distingue la parte per Dagmar Grill dal corpo scala inserito in un volume sporgente che ad un certo punto va ad abbracciare l’elemento verticale maschile del camino. L’ingresso è concavo e la porta di forma arcuata. All’interno di fronte all’ingresso vi è la sala da pranzo da cui a sinistra si può andare in cucina oppure scendere due gradini e arrivare nel soggiorno. Da qui poi si può salire al piano superiore dove sono due camere e un bagno. Sopra alla nicchia del focolare vi è uno spazio a doppia altezza corrispondente al corridoio del primo piano che diventa così una sorta di galleria che affaccia sul soggiorno. Sulla facciata sud il bowindow della sala da pranzo, sopra al quale vi è la terrazza del primo piano, si bilancia con la sporgenza di una delle camere da letto sotto alla quale si viene così a creare una zona coperta a protezione dell’ingresso al salotto dal giardino. Anche l’appartamento del giardiniere presenta un corpo scala sporgente, ma traslato di un piano in verticale, per cui la rampa che dal piano terra sale al primo piano è interna alla casa e quindi non è visibile all’esterno, mentre dal primo al secondo piano fuoriesce dall’edificio e va a congiungersi con un volume con copertura curva, probabilmente contenente lo studio o la soffitta (i prospetti però non mostrano aperture), posto sul tetto. L’ingresso si rapporta con la finestra circolare che illumina il corridoio del primo piano. All’interno vi è un unico ambiente per soggiorno-pranzo e la cucina al piano terra, al secondo piano tre camere da letto e un bagno. 317 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill DD-Haus 3 – 1953/54 – JFA 65 e 66 Questa casa planimetricamente distingue chiaramente la proprietà della Grill da quella dell’affittuario in quanto la prima è di forma semicircolare, l’altra rettangolare. Entrambe hanno un ingresso porticato che porta ad una hall da cui si può accedere alla cucina dotata di un uscita sul retro oppure nel soggiorno, ma l’appartamento della Grill ha la particolarità di avere in salotto una nicchia a doppia altezza per la sala da pranzo e un’area rialzata di tre gradini per la nicchia del focolare. Da quest’ultima una scala che segue la curva della pianta porta al primo piano dove si trovano due camere e un bagno. Tutta la facciata verso nord presenta intonaci lisci e bianchi caratterizzati dai due camini in muratura e dalle aperture circolari di diversa dimensione ritagliati qua e là nella pelle dell’edificioad illuminare gli ingressi, il corpo scale, i corridoi del primo piano e i bagni. 318 319 13 case per Dagmar Grill 320 13 case per Dagmar Grill DD-Haus 4 – 1953/54 – JFA 63 DD-Haus 5 – 1953/54 – JFA 60, 61, 62 Qui i camini hanno assunto un’importanza tale da sembrare quasi vivi, come delle enormi giraffe guardiani della casa. Questo progetto ricorda la casa n.5 delle lettere con la terrazza curvilinea sporgente oltre il filo facciata che al di sotto creava delle nicchie più basse in soggiorno. Qui diventa un volume chiuso contenente la zona notte dell’appartamento per Dagmar Grill che al piano terra crea la nicchia per il pranzo. L’abitazione del giardiniere invece è caratterizzato dal corpo scale aggettante in facciata sospeso su un’esile colonna e sporgente oltre la linea di copertura a segnare il limite delle due proprietà, ma al tempo stesso la loro cucitura. [i punti cardinali segnati nei disegni non sono corretti] 321 13 case per Dagmar Grill 13 case per Dagmar Grill DD-Haus 6 – 1953/54 – JFA 56, 57, 58, 59 Qui Frank abbandona la linea curva per tornare ad una composizione di ambienti rettangolari con gli angoli smussati disposti su diversi livelli secondo un Raumplan che interessa l’appartamento per Dagmar Grill: dalla Hall-soggiorno a doppia altezza posti a quota +0 si salgono due gradini nella biblioteca e nella sala da pranzo (adiacente alla cucina) e da qui parte la scala che porta alla zona notte al primo piano. Anche le due camere da letto presentano tra loro un dislivello di alcuni gradini. 322 323 Bibliografia Moira Orsetti-Ghini, Valigia Abbreviazioni SOK UfAK: Sammlung Oskar Kokoschka, Universität für angewandte Kunst, Wien LÖNW: Literaturarchiv Österreichische Nationalbibliothek Wien JFA: Josef Frank Archiv presso il Graphische Sammlung Albertina, Vienna NSfSR: New School for Social Research, New York Bibliografia generale AGREST Diana, CONWAY Patricia, Leslie Kanes Weisman, The Sex of Architecture, Abrams, New York 1996 CRICONIA Frankfurt am Main 1955) BLIGNAUT Hélène, Anatomia della moda : il corpo, i luoghi, l’arte, ALFANO MIGLIETTI Francesca, Identità Mutanti. Dalla piega il cinema, F. Angeli, Milano 2005 alla piaga: esseri delle contaminazioni contemporanee, Bruno BLOOMER Kent C. e MOORE Charles W., Corpo, memoria, Mondadori, Milano 1997 architettura : introduzione alla progettazione architettonica, ARÍS Carlos Martí, Silenzi eloquenti. 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La tesi di dottorato non è stata ancora mai pubblicata integralmente. Alcuni spezzoni sono contenuti nel catalogo Spalt/Czech del 1981 (p.171). La sottoscritta ha tradotto il testo, che si trova attualmente presso la biblioteca della Technische Universität di Vienna e dovrebbe venir pubblicato a breve come L’originario aspetto degli edifici religiosi di Leon Battista Alberti in Giovanni Fraziano (a cura di), Percorsi accidentali. Scritti e progetti di Josef Frank, Lint, Trieste 1919 con Hugo Fuchs e Franz Zettinig, Wohnhäuser aus Gussbeton. Ein Vorschlag zur Lösung der Wohnungsfrage, in „DerArchitekt 22“, 1919, pp. 33-37. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (pp.112-113) Über die Aufstellung des ’Museums für Ostasiatische Kunst‘ in Köln, in „Der Architekt“, n.22 (1919), pp.169-174 Das neuzeitliche Landhaus, in „Innen Dekoration“, n.30 (dicembre 1919), pp.410-415. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (pp. 15-16) Die Einrichtung des Wohnzimmers, in „Innen-Dekoration“, n.30 (dicembre 1919), pp. 416-17. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (p. 56) 1921 Die Arbeiter-Kolonie in Ortmann, in „Deutsche Kunst und Dekoration“, n.48 (settembre 1921), pp.307-310. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (p. 116) Über die Zukunft des Wiener Kunstgewerbes, in „Der Architekt“, n.24 (1921-22), pp.37-44. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (pp. 171-172). A breve come trad. it. Del futuro dell’artigianato viennese, in G.Fraziano, Percorsi accidentali…, op.cit. 1923 Kunst, Kunsthandwerk und Maschine, in „Die Ware I (1923), p. 70. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (p. 65). A breve come trad. it. Arte artigianato artistico e macchine, in G.Fraziano, Percorsi accidentali…, op.cit. 332 Handwerks- und Maschinen-Erzeugnis. Die Abgrenzung beider Gebiete, in „Innen-Dekoration“, agosto 1923, pp.241, 243. Cit. in J.Spalt, Josef Frank 1885-1967. 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Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (pp.141-142) Wiens moderne Architektur bis 1914, in „Der Aufbau I“ (settembre 1926), pp. 162-168. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (pp.196197). A breve come trad. it. L’architettura moderna a Vienna fino al 1914, in G.Fraziano, Percorsi accidentali…, op.cit. 333 Die Wohnhausanlage der Gemeinde Wien, Widenhoferhof Siedlungsbau, in “Wirtschaftshefte der Frankfurter Zeitung”, im XVII. Bezirk, Kongressplatz Pretschgogasse Zeillergasse Heft 3, 1927 o 1928, p.12, Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 Behringgasse, Wien, 1926ca: relazione per il Comune di Vienna (pp.130-131) Die Wohnhausanlage der Gemeinde Wien, Winarskyhof im XX. 1929 Bezirk, Neues Bauen und Wien, conferenza tenuta presso l‘ÖMKI Stromstrasse Vorgartenstrasse Kaiserwasserstrasse Pasettigasse, Wien, 1926ca: relazione per il Comune di Vienna nell‘aprile 1929 in occasione della mostra Neues Bauen organizzata dal Waerkbund presso la Hofburg di Vienna. 1927 Ripubblicato in versione riassunta come Probleme des Neuen Drei Behauptungen und ihre Folgen, In „Die Form. Monatsschrift Bauens. Vortrag des Professor Josef Frank, in „Architektur für Gestaltende Arbeit“, 2 Jahr, Heft 9, settembre 1927, pp.289- und Bautechnik 16, n. 7 (1929), p.III. Ripubblicato in „Wiener 291 Allgemeine Zeitung“, 12 April 1929, 4 Die Großstadtwohnung unserer Zeit, conferenza tenuta il 5/6 Gespräch über den Werkbund, in „Österreichischer Werkbund“, settembre a Stoccarda, in „Moderne Bauformen“, n. 26 (1927), Vienna1929, pp.3-13. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 Beilage, II: „Mitteilungen aus der Fachwelt“. Ripubblicato (pp.202-203). A breve come trad. it. Dialogo sul Werkbund, in in Spalt/Czech 1981 (pp.31-32). A breve come trad. it. G.Fraziano, Percorsi accidentali…, op.cit. L’abitazione nella metropoli dei nostri tempi, in G.Fraziano, Percorsi accidentali…, op.cit. Muster-Reihenhaus in Böhler-Stahlbauweise, nel catalogo alla mostra „Wohnung und Siedlung in Stadt und Land“, Linz, 1929, Der Gschnas fürs G‘müt und der Gschnas als Problem, nel catalogo all‘esposizione „Deutscher Werkbund, Bau und Wohnung“, Dr. Fr. Wedekind & Co., Stuttgart, 1927, pp.48-57. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (pp.188-189). A breve come trad. it. Ornamenti per lo spirito e ornamenti come problema, in pp.127-29 1930 Adolf Loos zum 60. Geburtstag am 10. Dezember, Buchhandlung Richard Lanyi, Vienna 1930, p.20. Ripubblicato in Spalt/Czech G.Fraziano, Percorsi accidentali…, op.cit. 1981 (p.197). Vom neuen Stil, in „Baukunst“, n.3 (agosto 1927), pp.234-249. Josef Hoffmann zum sechszigsten Geburtstag 15. Dezember 1930, Ripubblicato come Vom neuen Stil. Einige Fragen und Antworten, in „Innendekoration“, n.39 (febbraio 1928), p.103. Anche in Spalt/Czech 1981 (pp.178-179). A breve come trad. it. Il nuovo stile, in G.Fraziano, Percorsi accidentali…, op.cit. Das steile Dach ist ein Rest aus dem romantischen Zeitalter, in „Das numero speciale di „Almanach der Dame“, Vienna 1930, p.13. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (p.197). Wiener Bauten und Wohnungen, in Julius Bunzel, Wohnungsfragen in Österreich, parte 3 di Beiträge zur städtischen Wohn- und Siedelwirtschaft, Dunckert & Humboldt, neue Frankfurt“ I (ottobre-dicembre 1927), pp. 194-196 Monaco-Lipsia 1930, pp. 37-44. Ripubblicato in Spalt/Czech 1928 Vienna, in G.Fraziano, Percorsi accidentali…, op.cit. Die moderne Einrichtung des Wohnhauses, (novembre 1927), in Werner Graff, Innenräume. Räume und Inneneinrichtungsg egenstände aus der Werkbundausstellung ’Die Wohnung‘, Dr. Fr.Wedekind & Co., 1928, pp.126-127. Ripubblicato in Spalt/ Czech 1981 (pp.84-86) Das Wohnhaus unserer Zeit. Die möglichst gute Wohnung ist Ziel, in „Innendekoration“, n. 39 (gennaio 1928), p.33. Pubblicato a breve come trad. it. L’arredamento moderno dell’abitazione, in G.Fraziano, Percorsi accidentali…, op.cit. Fassade und Interieur, in „Deutsche Kunst und Dekoration“, n. 62 (giugno 1928), pp.187-89. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (pp.25-26). A breve come trad. it. Facciata e interno, in G.Fraziano, Percorsi accidentali…, op.cit. 334 1981 (pp.145-146). A breve come trad. it. Costruzioni e case a Oskar Strnad zum 50. Geburtstag, in „Deutsche Kunst und Dekoration“, n.65 (gennaio 1930), p.255. Ripubblicato in Spalt/ Czech 1981 (p.197). Was ist modern?, conferenza del 25 giugno 1930 tenuta in occasione del Congresso del Werkbund tedesco e austriaco a Vienna. Pubblicata in „Die Form”, n. 5 (1 agosto 1930), pp.399406. Ripubblicato in „Der Baumeister“, n.28 (ottobre 1930), pp.388-411 Ein Briefwechsel über Mode, (Frank - Ginsburger), in “Die Form”, n. 5 (15 agosto 1930), p. 413. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (p.190). Geltungswille, in „Innendekoration“, n. 41 (novembre 1930), p. 406 n.8 (10. giugno 1932), pp.16-17. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (pp.154-155). con Otto Neurath, Hannes Meyer, in „Der Klassenkampf: Sozialistische Politik und Wissenschaft“, n. 3 (1930), pp. 573-575 Der Verteidiger der Zwergsiedlung hat das Wort!, in „Der Morgen“, 18 luglio 1932, pp.5-6 1931 Architektur als Symbol. Elemente deutschen Neuen Bauens, Anton Schroll & Co., Vienna 1931. Ripubblicato da Löcker, Vienna 1981. Ed. italiana Architettura come simbolo, a cura di Hermann Czech, Zanichelli, Bologna 1986. Ed. svedese Arkitektur som symbol: Element i tyskt Neues Bauens, a cura di Karin Lindegren, Lund: eller-stròms, 1995 Das Profil der Herrengasse, in „Wiener Allgemeine Zeitung“, 20 February 1931 Das Haus als Weg und Platz, in „Der Baumeister“, n. 29 (agosto 1931), pp. 316-23. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (pp.36-39). Traduz. it. nell’articolo di Carmela Haerdtl, Quale sarà la nostra casa, domani. Strade e piazze nella casa, in “Domus”, febbraio 1932, pp.68-69. Traduzione inglese come The House as Street and Square, in “9H”, n.3 (1982), pp.9-12. A breve come La casa come via e come piazza, in G.Fraziano, Percorsi accidentali…, op.cit. Zum Formproblem, in Österreichischer Werkbund. Der gute billige Gegenstand, catalogo alla mostra tenuta presso l‘Österreichischen Museum für Kunst und Industrie dal novembre 1931 al gennaio 1932, Vienna, 1931, pp.12-16. Ripubblicato in „Bau und Werkkunst“, n.8 (1932), pp. 16-24. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (pp.212-213). A breve come trad. it. Il problema della forma, in G.Fraziano, Percorsi accidentali…, op.cit. 1932 Werkbundsiedlung. Internationale Ausstellung Wien 1932, Heimbauhilfeaktion Gemeinde Wien – Gesiba, 1932, in “Innendekoration”, n.43 (1932), pp.273-75 e “Deutsche Kunst und Dekoration“, n.70 (agosto 1932), p. 227-28. Zur Entstehung der Werkbundsiedlung, in „Bau und Werkkunst“, n. 8 (1932), pp.169-70. Ripubblicato parzialmente in Spalt/Czech 1981 (p.153). Arch. Prof. Dr.Oskar Strnad und Arch. Prof. Dr. Josef Frank äußern sich zur Museumsfrage, in „Österreichische Kunst“, n. 3 (gennaio 1932), pp.13-15 Brauchbare Typen, in „Innendekoration“, n. 43 (giugno 1932), p.224 Der Siedlungsbau in der modernen Architektur, in „Radio Wien“, International Housing Exposition, Vienna, Austria, in “Architectural Forum [New York]”, n. 57 (ottobre 1932), pp. 325-38 1933 Modefragen, in "Die neue Wohnung, Möbelzeitschrift“, n. 5 (1933), pp. 6-7 Österreichische Wie ich arbeite, 1933, in "Architektur der UdSSR“ 6/1933. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (pp.6-7). A breve come trad. it. Il mio metodo di lavoro, in G.Fraziano, Percorsi accidentali…, op.cit. In memoriam Adolf Loos, in “Architectura”, n. 3 (1933) 1934 Rum och inredning, in “Form”, n.30, 1934, pp.217-225, tradotto in tedesco come Raum und Einrichtung, in Spalt/Czech, 1981, pp. 95-101. Ripubblicato a breve come trad. it. Spazio e arredamento, in G.Fraziano, Percorsi accidentali…, op.cit. 1948 Zur Neugestaltung des Stephansplatzes, in „Wiener Tageszeitung“, n.3, 1 maggio 1948. Ripubblicato in „Transparent“ n.3-5 (1987), pp. 17-18. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (p.162). Die Rolle der Architektur, conferenza in Alpbach, in „Europäische Rundschau“ , n.17 (1948), pp.777-81. Ripubblicato in Spalt/ Czech 1981 (pp.215-216). A breve come trad. it. Il ruolo dell’architettura, in G.Fraziano, Percorsi accidentali…, op.cit. Hur skall tapeten användas? In „Vi Bo. Tidskrift för god heminredning“, n.12 (1948), p.12. Ripubblicato come Wie soll mann tapeten anwenden? in Spalt/Czech 1981 (pp.107-108). Architektur und Städtebau in USA und Schweden, conferenza tenuta a Vienna il 21 gennaio 1948, riassunta come Schweden kämpft gegen die Wohnungsnot, in „Wiener Kurier“, 2 febbraio 1948, p.6 1949 Die vorliegenden Tapeten, in „Architektur und Wohnform“, n.4 (1949), pp.84-86. Ripubblicato in „Tapetenzeitung“, n.5 (1949), pp.98-99 e in „Innendekoration“, n.58, pp.84-86. Anche in Spalt/ Czech 1981 (p.109). Großstädtisch gedacht, in ”Film“, n.36 (marzo 1949), pp.11-13. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (p.166). 335 1950 Modern Architecture and the Symbols of Statics, rivisitazione del capitolo Modern Architecture per la NSfSR, in “Synthese: An International Journal for the Logical Study of the Foundations of Science”, n.7 (1950-51), pp.342-49 1955 Trenger vi en moderne stil?, in „Bonytt“ (febbraio I955), pp.36-38 1958 Accidentism, comparso nella rivista svedese “Die Form”, n.54, 1958, pp.160-165, e ripubblicato come Akzidentismus in “Baukunst und Werkform”, n. 14, 1961, pp.216-218 e in “Die Furche”, n.3 (1966), p.9. Comparso come traduz. parziale inglese in “Archetype”, San Francisco, Vol. I, n. 4, 1980. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (pp.236 e sgg). A breve come trad. it. Accidentismo in G.Fraziano, Percorsi accidentali…, op.cit. 1960 Is There a Modern Style?, in “Industrial Design”, n.7 (marzo 1960), pp.39-42 1961 Ein Fragebogen, questionario per la rivista "Der Aufbau“, aprile 1961, pubblicato come Selbstdarstellung in Bauforum“, 10.Jg, Wien 1977, n.61, p.29 1965 Heminredning och Moral, in“S.I.R. Medlemsblad”, Stockholm1965, Heft 4, p.18 e sgg. Antwort auf 12 Fragen von Viktor Matejka, intervista di Viktor Matejka a Josef Frank, Stoccolma, Rindögatan 52, 1965, In „Die Bauwelt“, 76 Jg, Heft 26, 1985, pp.1064-1065 Scritti inediti Geschichte des modernen Kunstgewerbes (1946ca, archivio Czech) Conferenze (testo non pervenuto): Manoscritti non datati: Das Wohnhaus, conferenza tenuta presso il Pädagogischen Institut der Stadt Wien. Form und Inhalt, conferenza tenuta presso il Künstlerhaus di Vienna l’11 aprile 1930 in occasione della mostra "Die Kunst unserer Zeit”. Grundlagen der modernen Architektur, conferenza tenuta il 18 ottobre del 1930 a Graz. Das moderne Haus und seine Einrichtung, conferenza tenuta il 23 ottobre del 1930 a Salisburgo. Kunst und Gesellschaft, conferenza tenuta a Vienna il 28 gennaio Von der Schönheit und vom Ornament Brauchen wir einen modernen Stil? (archivio Czech) The Four Freedoms (archivio Czech) Das Leben des Malers Lucien Sander (archivio Czech) Träume. Komödie in fünf Akten ((teatro) Woch (teatro) Märchen für Affenkinder (favola, LÖNW) 1948, Österreichisches Museum für Kunst und Industrie. Schweden kämpft gegen die Wohnungsnot, conferenza tenuta a Vienna 1958 The Fight against Art, conferenza tenuta a Londra nella primavera del 1961 Zwischenkriegsarchitektur in Österreich, conferenza tenuta a Stoccolma (Kunstakademie), 5 marzo 1965 Über den Jugendstil, conferenza 25 febbraio l965, Stoccolma (S.I.R.) Lezioni tenute alla New School for Social Research: The Future of Architecture and Interior Decoration (1942) Introduction to Modern Art and Architecture (1942) Post War Problems of Art (2 febbraio-11 maggio 1943, pervenuti i capitoli: 1 ART and WAR; 8. The Totalitarian Art; 11 How to plan a House; 12 The future of Architecture as Art; 14 Past and Future of Non Objective Art). Archivio Czech. Appreciation of Architecture (autunno 1943) 1981 How to plan a House, in J.Spalt, Josef Frank 1885-1967. Möbel & Geräte & Theoretisches, 1981, pp.156-167 Our Art in Our Time (dopo il 1946, pervenuti un Introduction e 10 capitoli: Art and War; Art and Ideology; Architecture and Society; Art and Science; National Arts; The decorative Arts; Architecture as Art; Totalitarian Art; Non Objective Art; Art Critic). Archivio Czech. Contemporary Art and Architecture (dopo il 1946, pervenuti un Outline e tre saggi Introduction; cap.5 Modern Architecture; cap. 8 How to plan a House). Archivio Czech e K.Wängberg-Eriksson. Manoscritti datati approssimativamente: The History of the Thirty Years War (1939/41 ca) The Peace Conference (1940-41 ca) romanzo in due volumi: Mistery Novel e Struggle of War (archivio Czech) Kunsthandwerk und Aberglauben (1941ca, in seguito rivista col titolo Kunstgewerbe und Aberglauben 1949-51ca, archivio Czech) 336 337 SCRITTI SU JOSEF FRANK Vengono indicati SOLO i testi consultati. In grassetto sono segnate le traduzioni italiane. 1980 Hermann Czech, Josef Frank: la casa accidentale. I tredici progetti nelle lettere a Dagmar Grill, in “Lotus International”, n.29, 1980, pp.109-111 Johannes Spalt, La forma abitativa. Disegni di Josef Frank prima del 1934, in “Lotus International”, n.29, 1980, pp. 112-116 1926 Dr. Wolfagang Born, Neue Innenräume von “Haus & Garten”, in “Innen-dekoration”, Jg. XXXVII, Darmstadt, Oktober 1933 An Austrian Architect Looks ar England, in “Architectural Review”, n. 73, giugno 1933 1930 Max Eisler, Neue Bauten und Innenräume von Josef Frank, Oskar Wlach, in “Moderne Bauformen”, n.29, 1930, pp. 429 e seguenti 1936 Espressione e carattere nell’opera di Frank e Wlach, in “Domus”, n.99, marzo 1936, XIV Werkbundausstellung, offizieller Katalog Juni-Oktober 1930, Österreichisches Museum für Kunst und Industrie, Wien 1930 1952 Gotthard Johansson, Josef Frank: Tjugo år i Svenskt Tenn. Nationalmuseum, Stockholm 21.3.-20.4.1952, Nationalmusei utställningskatalog 1931 Carmela Haerdtl, Una nuova casa di Josef Frank, in “Domus”, n. 44, luglio 1931, anno IV Carmela Haerdtl, Una casa privata a Vienna, in “Domus”, agosto 1931 1932 Alberto Sartoris Gli elementi dell’architettura funzionale, 1932 Der Gute billige Gegenstand, Österreichische Werkbund, Austellung des Österreichischen Werkbundes in Wien, in “Deutsche Kunst und Dekoration”, 1932, pp.304-310 Contiene scritti di : Friedrich Baumeister, Wirtschaftlichkeit und Produktion; Viktor Fadrus, Erziehung zum Guten billigen Gegenstand; Laszlo Gàbor, Erzeuger, Käufer und der Werkbund; J.T.Kalmar, Architekt – Industrie Norm und Type; Gustav Klumpp, Wie kommen Industrie-Artikel zustande?; Soma Morgenstern, Billige Haltung; Walther Sobotka, Der gute billige Gegenstand und die Wege zu seiner Verbilligung; Hans Tietze, Zweckkunst und Volkstum; Stadtrat Anton Weber, Der Weg zum schlechten zum guten und vom teueren zum billigen Gegenstand. “Die Form. Monatsschrift für Gestaltende Arbeit”, 7 Jahr, Heft 3, 15 märz 1932. Contiene scritti di Lászlo Gábór (Die Architektur der Gegenwart in Österreich, pp.75 e sgg); Hugo Häring (Bemerkungen zur Werkbundaustellung Wien-Lainz 1932, pp.204 e sgg); Otto Neurath (Unproblematisch und traditionsbetont, pp.261 e sgg). 338 1966 Friedrich Kurrent, Johannes Spalt, Josef Frank, in “Die Furche”, n.29, 1965, catalogo sulla mostra in occasione del 80° compleanno di Frank dal 18 dicembre 1965 al 29 gennaio 1966 presso la sala Urania dell’Österreichischen Gesellschaft für Architektur a Vienna, ora in Otto Kapfinger, Krischanitz, Josef Frank zum 100 Geburtstag am 15 Juli 1885, Ausstellung vom 15 Juli bis 2 August 1985, Fakultät für Architektur der Technischen Universität München 1967 Carmela Haerdtl, Un ricordo di Josef Frank, in “Domus”, n.449, aprile 4, 1967, p.6 1968 Josef Frank 1885-1967: Minnesutställning, 4. April – 19 Maj 1968, Nationalmusei Stockholm, Utställningen ar planerad och arrangerad av Estrid Ericson, Stockholm: Norstedt, 1968 1975 Möbel nach Mass. Frank Malmsen Raab Abmussen, Ausstellung im Österreichisches Museum für angewandte Kunst, Wien, 24 oktober-30 november 1975 Max Eisler, Una casa d’abitazione di Josef Frank e Oskar Wlach, Vienna, in “Casabella”, n.345, febbraio 1975, anno XXXIV 1981 Daniele Baroni e Antonio d’Auria, Josef Frank, in “Ottagono”, n.62, settembre 1981 Johannes Spalt, Hermann Czech, Josef Frank 1885-1967, (catalogo), Hochschule für angewandte Kunst, Wien 1981 Johannes Spalt, Josef Frank 1885-1967. Möbel & Geräte & Theoretisches, Hochschule für angewandte Kunst, Wien 1981 1982 Otto Kapfinger, Wie ist das mit Josef Frank?, in “Archithese”, n. 3, 12. Jg, Mai/Juni 1982, pp.11-14 1984 Hermann Czech, Christopher Alexander und die Wiener Moderne, in “Arch+”, Aachen, n.73, marzo 1984, pp.63-65 1985 “Bauwelt”, n.26 (numero interamente dedicato a Josef Frank), Josef Frank: ein undogmaticher Funktionalist, 75. Jg, 12 luglio 1985: Funktionalismuskritik und moderne Architekturkonzeption. Zur Aktualität von Josef Frank, p.1043; Karin Carmen Jung, Dal moderne Wohnhaus als ‘zweckloser’ Gebrauchsgegenstand, p.1044; Dietrich Worbs, Josef Franks Wiener Massenwohnungsbau – ein pragmatischer Versuch, p.1048; Grete Schütte-Lihotzky, Erinnerungen an Josef Frank, p.1052; Karin Kirsch, Franks Doppelhaus in der Weissenhofsiedlung, p.1054; Hans Blumenfeld, Meine Arbeit mit Josef Frank 1928/29, p.1057; Armand Brulhart, Josef Frank und die CIAM bis zum Bruch 1929-1929, p.1058; Malin Munk af Rosenschöld, Aus meiner Zusammenarbeit mit Josef Frank, p.1060; Kristina Wängberg-Eriksson, Josef Frank und Svenskt Tenn, p.1061; Viktor Mateja, 12 Fragen an Josef Frank, p.1064; Johannes Spalt, Moderne Weltauffasung und moderne Architektur, p.1066; Friedrich Kurrent, Die Rückkehr Josef Franks aus der Emigration, p.1068; Lotte Schwarz, Eine Begegnung mit Josef Frank in Dieulefit. Adolf Krischanitz, Otto Kapfinger, Die Wiener Werkbundsiedlung. Dokumentation einer Erneuerung, Wien 1985 Kristina Wängberg-Eriksson, Svenskt Tenn: Josef Frank och Estrid Ericson. En konsthistorisk studie, Stockholms Universitet, Stockholm, 1985 Josef Frank 100 år, Jubileumsutsällning, hösten 1985 Friedrich Kurrent, Josef Frank zum 100.Geburtstag, mostra presso la sala di lettura della Architekturbibliothek della Facoltà di Architettura della Technische Universität München, Lehrstuhl f:ur Entwerfen, Raumgestaltung und Sakralbau; 15 luglio – 2 agosto 1985, Monaco 1986 Numero dedicato a Josef Frank di “Um Bau”, n. 10, august 1986, Österreichische Gesellschaft für Architektur Wien. Contiene i seguenti articoli: Michael Müller, Wie modern war die Avantgarde? (pp.7-20); Wilfried Posch, Josef Frank. Eine bedeutende Personlichkeit des österreichischen Kulturliberalismus (pp.21-38); Otto Kapfinger, Josef Frank – Siedlungen und Siedlungsprojekte 1919-1932 (pp.39-58); Johannes Spalt, Josef Frank und die räumliche Konzeption seiner Hausentwürfe (pp.5974); Kristina Wängberg-Eriksson, Josef Frank bei Svenskt Tenn in Schweden (pp.75-84); Friedrich Kurrent, Frank und frei (pp.85-94); Martin Steinmann, Frank? – Kenn’ ich nicht! (pp.95-104); Hermann Czech, Ein Begriffsraster zur aktuellen Interpretation Josef Franks (pp.105-120); Friedrich Achleitner, Franks Weiterwirken in der neuen Wiener Architektur (pp.121-132); Georg Schöllhammer, Zum literarischen Werk Josef Franks (pp.133-146); Josef-FrankStipendium 1985, Wohnbaurealisierungen (pp.147-158); Grosser österreichischer Wohnbaupreis (p.159) Johannes Spalt, Josef Frank, 1885–1967: Stoffe, Tapeten, Teppiche (catalogo), Hochschule für Angewandte Kunst, Vienna 1986 1989 Kristina Wängberg-Eriksson, Estrid Ericson. Founder of Svenskt Tenn, Carlsson Bokförlag, Stockholm 1989 Eva Ottillinger, Variationen eines altägyptischen Hockers. Eine Rezeptionsgeschichte, in “Kunst & Antiquitäten. Zeitschrift für Kunstfreunde, Sammler, Museen”, Heft III/1989, pp.76-84 1993 Iris Meder, Josef Franks Wiener Einfamilienhäuser, Magisterarbeit am Kunsthistorischen Institut der Universität Stuttgart, 1993 1994 Kristina Wängberg-Eriksson, Josef Frank-Livsträd i krigens skugga, Signum Lund, 1994 Mikael Bergquist, Olof Michélsen, Josef Frank. Architektur, Arkitektur Museet, catalogo della mostra tenuta dal 16 settembre al 13 novembre 1994 presso l’Architekturmueum svedese di Stoccolma e presso l’Architektur Zentrum Wien nel 1995, Stockholm 1994. 339 Josef Frank inredning: Millesgården, Stockholm 17.9. – 30.10. 1994, Stockholm 1994 Maria Welzig, Die Wiener Internationalität des Josef Frank. Das Werk des Architekten bis 1938, Hochschulschrift Wien, Universität, Dissertation, 1994 1995 Matthias Boeckl (a cura di), Visionäre und Vertriebene. Österreichische Spuren in der modernen amerikanischen Architektur, Ernst & Sohn, Wien 1995. In particolare i capitoli: Matthias Boeckl, Zur Projecktgenese, pp.11-18; Matthias Boeckl, Otto Kapfinger, Visionäre & Vetriebene. Österreichische Spuren in der modernen amerikanischen Architektur, pp.19-42; Oliver Rathkolb, Zeithhistorische Rahmenbedingungen; August Sarnitz, Transatlantische Begegnungen. Der Wagnerschüler Rudolph M.Schindler in den Vereinigten Staaten, pp.97-112; Rudolph M.Schindler. Moderne Architektur – Ein Programm, pp.113-116; Otto Kapfinger, Adolph Stiller, Neutra und Schindler. Zwei Europäer in Kalifornien, pp.117138; Dieter Bogner, Architecture as Biotechnique. Friedrich Kiesler und das Space House von 1933, pp.139-154; Kristina WängbergEriksson, Josef Frank im Exil auf Manhattan 1942-46, pp.189-200; Maria Welzig, Entwurzelt. Sobotka, Wlach und Frank in Pittsburgh und New York, pp.201-224 Mikael Bergquist, Olof Michélsen, Accidentism. Josef Frank, Birkhäuser, Basel 1995 1996 Nina Stritzler-Levine, Josef Frank, Architect and Designer. An Alternative Vision of the Modern Home, catalogo alla mostra presso il Bard Graduate Center for Studies in the Decorative Arts dal 9 maggio al 21 luglio 1996, Yale University Press, New Haven, Connecticut 1996 In particolare i capitoli: Nina Stritzler-Lévine, Three Visions of the Modern Home: Josef Frank, Le Corbusier and Alvar Aalto, pp.16-29; Leon Botstein, The Consequences of Catastrophe: Josef Frank and Post-World-War-I Vienna, pp.30-43; Christopher Long, The Wayward Heir: Josef Frank’s Vienna Years, 1885-1933, pp.44-61; Kristina Wängberg-Eriksson, Life in Exile: Josef Frank in Sweden and the United States, 1933-1967, pp.62-77; Christopher Long, Space for Living: The Architecture of Josef Frank, pp.78-95; Karin Lindegren, Architektur als Symbol: Theory and Polemic, pp.96-101; Christian Witt-Dörring, “Steel is not a Raw Material; Steel is a Weltanschauung”: The Early Furniture Design of Josef Frank, 1910-1933, pp.102-117; Penny Sparke, “Convenience and Pleasantness”: Josef Frank and the Swedisch Modern Movement in Design, pp.118-127; Marianne Lamonaca, Josef Frank and Gio Ponti: Reflections on the “House” and the “Garden”, A View fron Italy, pp.128-139; Kristina Wängberg-Eriksson, Geometry in Disguise: A Modernist’s Vision of Textile Design, pp.140-154. 340 Herman Czech, Selbstkritiker der Moderne: Josef Frank, in “Der Architekt. Zeitschrift des Bundes Deutschen Architekten BDA”, n.1, Ernst & Sohn, Bonn-Berlin, Januar 1996, pp.27-30 Eva Eriksson, Der langsame Weg in die Moderne Skandinaviens, in “Der Architekt. Zeitschrift des Bundes Deutscher Architekten BDA”, n.1, Januar 1996, pp.40-45 1998 Maria Welzig, Josef Frank 1885–1967. Das architektonische Werk, Böhlau Verlag, Vienna, 1998 Mikael Bergquist, Olof Michélsen, Josef Frank. Falsterbovillorna, Arkitektur Förlag, Stockholm 1998 Volker Thum-Nemeth (a cura di), Konstruktion zwischen Werkbund und Bauhaus, Wissenschaft – Architektur - Wiener Kreis, Institut Wiener Kreis, Wissenschaftliche Weltauffassung und Kunst, Band 4, Verlag Hölder-Pichler-Tempsky, Wien 1998. In particolare i capitoli: Volker Thurm-Nemeth, Die Konstruktion des modernen Lebens – Ein Fragment. Wiener Kreis und Architektur, pp.9-78; Margarethe Engelhardt-Krajanek, Der Werkbundgedanke und seine Verbindung zum Wiener Kreis am Beispiel von Josef Frank, pp.79-122; Sabine Plakolm-Forsthuber, Josef Frank an Trude Waehner (1938-1965). Das Nachleben des Werkbundes in der Kritik am Bauhaus, pp.123-138; Ulrich Winko, Von der Kunst zur Wissenschaft. Avantgardistische Kunst- und Architekturtheorie im Kontext der Wissenschaftlichen Weltauffassung, pp.139-184. Josef Frank. “Varning för god smak”, Kulturhuset, Galleri 5, 17 juni – 13 september 1998, Stockholm 1998 Kristina Wängberg-Eriksson, Pepis Flora: Josef Frank som mönsterkonstnär, Signum i Lund 1998 1999 Kristina Wängberg-Eriksson, Josef Frank. Textile Design, Bokförlaget Signum i Lund AB, 1999 2002 Christopher Long, Josef Frank, University of Chicago Press, Chicago 2002 Josef Frank und Bruno Taut, Abhandlung zur Erlangung der Doktorwürde der Philosophischen Fakultät der Universität Zürich, Worms am Rhein, relatori Prof. Dr. Stanislaus von Moos e Prof. Dr. Peter Cornelius Claussen, giugno 2004 Sitografia Nader Vossoughian, Facts and artifacts: Otto Neurath and the social science of socialization, UMI, Ann Arbor, Mich. 2004 Architektur Zentrum Wien: www.azw.at 2006 Eve Blau, Isotype and Architecture in Red Vienna: The Modern Projects of Otto Neurath and Josef Frank, in Austrian Studies, Vol. 14, No. 1. (2006), Harvard University, pp.227-259 2008 Iris Meder (a cura di), Josef Frank. Eine Moderne der Unordnung, Verlag Anton Pustet, Salzburg Wien München 2008. In particolare i capitoli: Hedvig Hedquist, Rechteckige Sitzetotalitäre Gedanken, pp.7-30; Iris Meder, Die Sprache Josef Franks, pp.31-52; Peter Thule Kristensen, Ein organisch gewachsenes Gebilde – die Villa Wehtje, pp.53-58; Nader Vossoughian, Die Architektur der wissenschaftlichen Weltauffassung, pp.59-66; Christopher Long, Josef Frank in New York, pp.67-75; Hermann Czech, Ein Begriffsraster zur aktuellen Interpretation Josef Franks, pp.76-89; Georg Schöllhammer, Zum literarischen Werk Josef Franks, pp.90-96; Friedrich Kurrent, Die Rückkehr von Josef Frank aus der Emigration, pp.97-102; Susanne Scholl, Das fremde Haus, pp.103-104; Tano Bojankin, Das Haus Beer und seine Bewohner, pp.105-112; Anna Bieber, Franks Mitarbeitin Maria Stadlmayer, pp.113-116; Soma Morgenstern, Alban Berg und Josef Frank, pp.121-122; Georg Gaugusch, Genealogie der Familien Feilendorf und Frank, pp.123-125. Arkitekturmuseet di Stoccolma:www.arkitekturmuseet.se e http://130.242.34.243/test/listPublic.asp Graphische Sammlung Albertina: www.albertina.at LÖNW: www2.onb.ac.at/sammlungen/litarchiv/index.htm MAK: www.mak.at SOK UfAK: www.uni-ak.ac.at/sammlung/pages/architektur.html Technische Universität Wien: www.ub.tuwien.ac.at/ Archivio della Technische Universität Wien: http:// www.tuwien.ac.at/dienstleister/service/universitaetsarchiv/ Österreichische Friedrich una Lillian Kiesler Privatstiftung: www.kiesler.org 2009 Eva Ottillinger, Wohnen zwischen den Kriegen. Wiener Möbel 1914-1941, Katalog der Austellung im Hofmobiliendepot (14 oktober-februar 2009), Böhlau, Wien 2009 2011 Giovanni Fraziano (a cura di), Percorsi accidentali. Scritti e progetti di Josef Frank, Lint, Trieste 2011 2004 Iris Meder, Offene Welten. Die Wiener Schule im Einfamilienhausbau 1910-1938, tesi di dottorato, relatore Prof. Dr. Heinrich Dilly, correlatori Dr.-Ing. Dietrich Worbs, Dr. Sabine Poeschel, Prof. Dr. Beat Wyss, Philosophisch-Historischen Fakultät der Universität Stuttgart, Institut für Kunstgeschichte der Universität, Stuttgart 2004 Corinna Elsesser, Die Rezeption der japanischen Architektur bei 341 Finito di stampare nel mese di marzo 2011. Progetto grafico Christina Kruml La seduzione dell’INvisibile è una ricerca che affronta il tema dell’Abitare secondo un approccio antropologico-filosofico per riflettere e ridefinire questioni attorno al rapporto tra spazio architettonico e corpo umano, ma anche tra intimità domestica e spettacolarità urbana. Attraverso la poetica degli spazi amati descritti dal filosofo francese Gaston Bachelard - luoghi piccoli e raccolti in cui viene voglia di rannicchiarsi perché “solo chi ha saputo rannicchiarsi sa abitare con intensità” - la casa viene paragonata ad un utero materno che avvolge e protegge il suo abitante e il cui involucro al tempo stesso è una membrana osmotica che permette una comunicazione trasversale tra esterno ed interno, tra pubblico e privato, tra socializzazione ed intimità. Da qui deriva l’intendere la parete come Ge-wand, come sovrapposizione di veli che crea un effetto di trasparenza fenomenica, di profondità spaziale, spessore. Secondo questo punto di vista dispute come quelle tra ornamento e delitto, forma e funzione, modernità e tradizione, virtuale e reale, trovano qui una riconciliazione: al posto di teorie esclusive si vuole lasciare spazio all’INclusione, alla molti-plica-zione delle relazioni e possibilità tra i vari termini che si oppongono, dove non esiste l’uno senza l’altro e sono anzi proprio gli intricati intrecci di trama e ordito, i nodi e le piegature, i simboli e gli archetipi, a rendere l’architettura così seducente. L’applicazione pratica di questi concetti è stata analizzata nell’opera di Josef Frank, architetto viennese vissuto tra il 1885 e il 1967 e figura di primo piano nel panorama internazionale a cavallo tra le due guerre mondiali. In un mondo incentrato sulla grande dimensione, sull’immagine di effetto e alla moda, a una prima vista l’architettura umile e modesta di Frank non colpisce. Eppure c’è qualcosa che ci incuriosisce, che ci fa pensare che dietro all’apparenza, al visibile, si nasconda un significato più profondo, un INvisibile che fa parte dell’intimità domestica, del valore simbolico dell’abitare. La sua architettura ci invita alla riflessione. Universita’ degli Studi di Trieste Scuola di Dottorato in Scienze dell’uomo della Societa’ del Territorio - Indirizzo Progettazione Architettonica ed Urbana Icar 14 - XXII ciclo - 2007/2010 - relatore: prof. Giovanni Fraziano