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Christina Kruml
La seduzione
dell’INvisibile
Considerazioni sull’ABITARE
attraverso l’architettura di
Josef Frank
La seduzione
dell’INvisibile
Considerazioni sull’ABITARE
attraverso l’architettura di
Josef Frank
“L’oggetto di questo libro non è esattamente
il vuoto, sarebbe piuttosto quello che vi è
INtorno, dentro. (…) Lo spazio”.
(G.Perec, Specie di spazi)
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Sede Amministrativa del Dottorato di Ricerca
Scuola di dottorato di ricerca in
scienze dell’uomo, della società, del territorio
XXII ciclo - a.a. 2009/2010
Settore scientifico disciplinare Icar 14
progettazione architettonica e urbana
dottoranda:
arch. Christina Kruml
responsabile del dottorato di ricerca:
prof. Giovanni Fraziano
relatore: prof.Giovanni Fraziano
Università degli Studi di Trieste
© 2011 Christina Kruml, Trieste
10
Introduzione
dalla piaga alla piega:
considerazioni sull’ABITARE
26
36
52
64
80
96
Rannichiarsi negli spazi amati
Il gioco e l’ornamento
Parodia del cadavere screziato
Ri-vestimento e seduzione
L’intonaco bianco come camicia
Sommario
Glossario architessile
Compendio:
Josef Frank (18 85-1967)
La seduzione dell’INvisibile.
Note a margine nell’opera di Josef Frank
120 La casa e l’opera d’arte
142 L’architettura della sedia
154 La casa dalla cantina alla soffitta
186 Häuser und Gärten
190 How to plan a House
204 Modern Architecture
c 010
c 024
c 038
c 044
c 050
c 064
c 072
c 092
c 104
c 117
c 122
c 136
c 138
Formazione a Vienna
Berlino
Primi incarichi
Kunstgewerbeschule
Siedlungen o Höfe?
Haus & Garten
Werkbund e primi CIAM
Stoccolma
New York
Nota ai testi per la NSfSR
Ritorno in Svezia
12 domande a Josef Frank
3 affermazioni e conseguenze
Spazi amati:
226 Casa Bunzl, Ortmann, 1914
246 Villa Beer, Vienna, 1929-30
282 13 Case per Dagmar Grill, 1947-54
312 D e DD-Häuser, 1953-54
324 Bibliografia c 189
c 144 LETTERE A TRUDE WAEHNER
I n t r o d u z i o n e
“L’ultima cosa che si scopre scrivendo un libro è come cominciare”.
(Blaise Pascal, Pensieri)
Questa ricerca porta avanti un percorso avviato già
nel 2005 (e forse anche prima) con la tesi di laurea
sul rapporto realtà/finzione attraverso lo schermo
cinematografico e la luce intesi come materia
costruttiva.
Quello che mi ha sempre affascinato dell’architettura
è infatti la sua capacità di essere ambigua, ma non
nel senso di fasulla e ingannevole, bensì in quello
di trasparenza fenomenica definito da Colin Rowe,
costruita cioè sulla tensione bilanciata di contrari
che si attraggono nel momento in cui si respingono,
di simboli che al tempo stesso uniscono e separano,
sulla stratificazione ritmata di dimensioni spaziali
e temporali che si sovrappongono e succedono
producendo un fascino misterioso, velato, enigmatico.
Passaggi da un luogo ad un altro, spazi ibridi, inbeetween contemporaneamente solidi e fluidi,
trasparenti ed opachi, morbidi e duri, organici ed
inorganici, leggeri e pesanti, interni ed esterni,
concavi e convessi…sono ciò che rende l’architettura
così seducente.
E’ stata soprattutto la lettura di Atlante delle emozioni
di Giuliana Bruno ad introdurmi nell’infinito universo
che si cela dietro allo schermo cinematografico inteso
semperianamente come una parete-Gewand, leggera
mobile flessibile e mutevole, e a chiarirmi le relazioni
tra il corpo e-mozionale e lo spazio. Attraverso i sensi
e il movimento, l’uomo interagisce attivamente con il
suo intorno tracciando delle mappe che definiscono
un viaggio, un montaggio di sequenze interrelate di
vissuto.
Se solitamente lo schermo è inteso come un ostacolo
e un limite, o comunque come una dimensione
virtuale, irreale e dunque immateriale ed inafferrabile,
Giuliana Bruno dimostra invece che è possibile
vederlo come membrana osmotica, come una pelle
che permette una relazione tra due mondi, entrambi
reali e aventi a che fare con i sensi, con l’aptico e
dunque con il corporeo, l’organico.
Lo schermo è uno spazio soglia che si tende tra
pubblico e privato, fra interno ed esterno, tra attore
e spettatore, tra intimità e spettacolarità, analogo alla
faccia-ta di un edificio: “tra l’assolutamente pesanteopaco e l’assolutamente leggero-trasparente si
giocano le mille nuance del diafano, del grigliato,
dello sfogliato, del traslucido, del serigrafato e così
via”1.
Al posto delle teorie architettoniche basate
sulla dialettica dell’esclusione dei contrari, della
limitazione e del divieto, si vuole qui sostituire quella
dell’INclusione, della molti-plica-zione, della ricerca
delle intricate relazioni e tensioni tra i vari termini che
si oppongono, dove lo stesso termine “complessità”
e il suo contrario “semplicità” etimologicamente
derivano dal latino plek- (parte, piega, intreccio,
nodo) da cui plicare (piegare) e plectere (intrecciare):
semplice non è ciò che non è piegato, ma ciò che è
piegato una volta sola2, rimanda dunque all’unità, al
punto deleuziano, ad un concentrato di densità.
La moltiplicazione tuttavia non è da intendersi
in senso formale: se le “buone intenzioni” del
postmodernismo e del decostruttivismo erano
la contestazione all’uniformità e freddezza del
funzionalismo, sostituirle con operazioni intellettuali
difficili, faticose e talvolta incomprensibili porta
all’inevitabile paradosso di trasformarle di nuovo in
una questione di moda e stile.
11
Ed anche le simulazioni al computer della
cosiddetta blob architecture di oggi, che, attraverso
sperimentazioni di morphing-blurring-folding, creano
costruzioni dalle forme contorte e appariscenti,
adatte a comparire in prima pagina sulle riviste
d’architettura (ma altrettanto adeguate per quelle
di design), fornite di un’intelligenza artificiale che
offre tutti i più moderni comfort della domotica, sono
talmente perfette nella loro immagine e apparenza
virtuale che l’abitante, reale e corporeo, vi risulta
un elemento di disturbo: l’abito-crinolina di Jana
Sterback e le scarpe del povero ricco di Loos.
L’approccio di Josef Frank rispetto all’architettura
e al design (inteso nel suo significato originario di
progetto e non come moda) è invece assolutamente
diverso: mai rigorosamente formale né astrattoconcettuale, ma sempre umano, responsabile e
rispettoso di fronte ai bisogni sia fisici che mentali
dell’essere umano. La casa e gli oggetti di cui si
circonda l’uomo perché non solo gli sono d’aiuto
nelle attività quotidiane ma anche utili per lo spirito,
sono progettate da Frank a misura del corpo e mai
della tecnologia.
Questo tuttavia non significa essere nostalgici nei
confronti di un’epoca pre-computerizzata. Il virtuale,
così come la technè, è qualcosa che appartiene
intrinsicamente all’uomo: pensiamo per esempio alle
ombre della caverna platonica o agli affreschi di epoca
greca e romana, per non parlare dell’illusionismo
prospettico. L’uomo a cui guarda Frank però non è più
quello rinascimentale, l’intellettuale fermo in un unico
punto al centro dell’universo, bensì molto più vicino a
quello che oggi viene chiamato “bodyscape”, unità
cioè tra corpo e spazio: “body incorpora scape (lo
suffissa) in quanto diventa visibile come componente
di discordanti comunicazionalità composte di
attraversamenti e incroci. Scape sussume il body (lo
prefissa) in quanto palpita come organo oltre-dualista
che rende carnale, oculare, pellare l’interstizio”3.
L’uomo contemporaneo, mai fermo e continuamente
in movimento, è si dotato di innumerevoli estensioni
e amplificazioni sensoriali potendo usufruire oggi di
mille occhi, innesti tecnologici, numerose gambe
come le bambole di Bellmer, di un terzo braccio o
12
di un terzo orecchio alla Stelarc, ma ciò nonostante
continua a rimanere sempre un corpo organico, fatto
di sangue, pelle, carne, peli, orifizi.
L’uomo per Frank non è assolutamente perfetto, il
suo volto è asimmetrico, la sua pelle segnata dalle
pieghe e dalle piaghe della carne, può ammalarsi
e morire; analogamente la casa in cui abita mostra
i segni del tempo, l’usura del vivere, la polvere sui
mobili, le crepe nei muri. Ciò nonostante, o forse
proprio per questo, egli vi si sente al sicuro, geborgen
(Geborgenheit significa accogliente, da gebehren
partorire, da cui geboren, nato, dunque rannicchiato),
perché vi si riconosce, è tutt’uno con lo spazio che lo
avvolge e accudisce. Lo spazio è fatto della medesima
carne del suo corpo e come esso è libero di decomporsi.
L’imprevisto, l’asimmetria, l’irregolarità, la deviazione,
il segno, la cicatrice, sono proprietà intrinseche al
vissuto, all’umano, e contribuiscono anzi a rendere
speciale una persona o un edificio ed evitare la
monotonia.
La seduzione dell’INvisibile dunque affronta il tema
dell’Abitare secondo un approccio antropologicofilosofico per riflettere e definire questioni attorno
al rapporto spazio-corpo, individuo-società, intimità
domestica-spettacolarità urbana.
Struttura della tesi
La presente tesi si compone di tre parti suddivise in
due volumi:
1. dalla piaga alla piega, considerazioni
sull’ABITARE:
offre la chiave di lettura per comprendere il senso della
ricerca ed è quindi introduttiva alle parti seguenti. Vi
viene affrontato il rapporto sinestetico ed inscindibile
esistente tra corpo umano e spazio architettonico
attraverso il symbolon del tessuto e quindi della
parete intea come Ge-wand, sovrapposizione di
veli dotati di trasparenza fenomenica che lasciano
INtravedere un’intimità domestica uterina altamente
seducente.
2. La seduzione dell’INvisibile, note a margine
nell’opera di Josef Frank:
i temi affrontati nella prima parte trovano
un’applicazione pratica nell’architettura di Josef
Frank, volendo dimostrare che la casa non è un’opera
d’arte, ma un ri-vestimento costruito su misura del
corpo che serve a soddisfare i bisogni dell’uomo e a
renderlo felice attraverso il vissuto e gli oggetti del
quotidiano.
3. Compendio: Josef Frank (1885-1967):
1
Antonino Terranova, Edifici senza forma in architettura,
architetture senza forma di edificio. Anatomie ipotetiche sui
Corpi architettonici del Moderno-Contemporaneo, in Alessandra
Criconia (a cura di), Corpi dell’architettura della città, mutazioni,
Groma Volumi 4, Palombi Editori, 2004, p.25
2
Al posto della particella privativa sim, senza, i moderni
fanno derivare la parola latina simplex da sa- che indica unità,
concezione che sarebbe confermata anche dalla versione greca
a-ploos.
3
“Avatar. Dislocazioni tra antropologia e comunicazione”, Vol. 5,
Meltemi, Roma 2005, p.25
si tratta di un approfondimento sulla biografia
dell’architetto viennese in rapporto al contesto
storico-culturale a cavallo tra i due secoli e in
relazione agli altri protagonisti della sua generazione,
in particolare tra Vienna, la Svezia e l’America.
Ciascuna delle tre parti può, volendo, essere
consultata singolarmente permettendone anche uno
sviluppo ed incremento in futuro.
Ogni parte si compone di alcuni capitoli esplicativi e
di una sezione conclusiva contenente degli allegati
di approfondimento, a cui appartengono anche le
schede descrittive di alcuni progetti scelti di Josef
Frank.
Un ulteriore allegato è costituito dalla selezione
di lettere scritte dall’architetto viennese alla sua
amica Trude Waehner, che – data la loro consistente
entità - vengono inserite come fascicolo in fondo
al compendio a costituire così una specie di quarta
parte destinata ad essere ampliata in avvenire.
In riferimento alla trasparenza fenomenica a cui
si accennava sopra, il textus si costruisce sopra ad
un intreccio di diversi livelli di lettura che offrono
molteplici sguardi e punti di vista interdisciplinari
attorno ad uno stesso tema, quello dell’ABITARE.
Innanzitutto nel testo sono evidenziate alcune
parole chiave che servono sia ad accompagnare
l’occhio nella lettura alleggerendola, ma soprattutto
a farla soffermare e riflettere su alcuni concetti
importanti da tenere a mente fino alla fine per la
corretta comprensione dell’insieme.
Citazioni ad apertura di ogni capitolo, all’interno del
testo stesso e a margine compongono un ulteriore
layer, l’ordito di base su cui è stata intessuta la
trama. Come avviene in architettura con gli urtypen
semperiani, non si tratta però di una mera operazione
di “copia-incolla”, bensì di una ricomposizione dopo
averne per ciascuna compreso ed interpretato il
significato profondo. In specifico le citazioni di
apertura costituiscono un breve estratto di ogni
capitolo, che ne coglie l’essenza e ne focalizza fin da
subito le note di testa.
Le note di fondo invece, sono date a fine di ogni
capitolo e, assieme ai riquadri di approfondimento
e ai promemoria storici, hanno la funzione
di incrementare la conoscenza dell’argomento
affrontato, intensificandone il carattere e dandogli
tenuta, analogamente a come avviene per un
profumo; entrano quindi in gioco in una fase avanzata
di lettura, e la loro importanza viene riconosciuta
solamente da coloro che hanno già respirato ed
13
Perché Josef Frank
inteso le note di testa e di cuore.
Le immagini servono come accompagnamento al
testo e come aiuto per l’immagazzinamento nella
memoria delle informazioni ricevute. Se nella prima
parte esse evidenziano il rapporto esistente tra corpo
umano e spazio, nella seconda e terza parte viene
data la parola all’architettura stessa.
Gli allegati, il glossario e il quaderno delle lettere
(traduzioni in italiano di testi originali, in parte inediti,
di Gottfried Semper, Josef Frank e Baillie Scott)
costituiscono l’avvolgimento finale che racchiude e
rammenda le diverse parti dell’insieme.
Ognuno degli elementi sopracitati è rappresentato
anche graficamente in modo da essere facilmente
individuabile permettendo al lettore la libertà di
scegliere il livello di approfondimento in cui intende
scendere.
Come in La vita. Istruzioni per l’uso di Georges Perec
(1978), man mano che si procede nella lettura si
aggiungono così sempre più tasselli all’immagine
complessiva del puzzle fino a riuscire a comprendere
l’intricato e intrigante percorso di ricerca.
Nel preambolo del libro, Perec descrive la differenza
tra un puzzle commerciale tagliato a macchina e la
minuziosa costruzione di uno in legno le cui tessere
sono preparate a mano e studiate con furbizia per
rendere complicata la ricostruzione dell’immagine
finale. Colui che si cimenterà a ricomporre i pezzi del
puzzle dovrà ricostruire il pensiero dell’autore, rifare i
suoi stessi gesti, i suoi stessi ragionamenti, compiere
amorevolmente e con la stessa cura il medesimo
rituale. Buon divertimento!
14
La vita, istruzioni per l’uso descrive il giorno 23 giugno 1975, ore otto,
della vita dei diversi abitanti di un palazzo parigino, nell’immaginaria
rue Simon-Crubellier 11, che ruotano attorno alla figura del personaggio
principale Percival Bartlebooth.
Ma il protagonista effettivo del romanzo è il condominio stesso,
l’architettura, di cui Perec ci mostra una vista in sezione: uno schema di
nove piani più le cantine divisi in dieci colonne verticali per un totale di
100 spazi, a ciascuno dei quali viene dedicato un capitolo eccetto uno,
la cantina in basso a sinistra. Come in un puzzle, è solo intrecciando
tra loro i capitoli e cercando le notizie nascoste nelle diverse storie
degli altri inquilini che si può ricostruire l’intera vita di Bartlebooth. Il
puzzle tuttavia rimane incompleto perché il segreto non venga s-velato
completamente.
Le istruzioni allora servono al lettore per capire che deve prendere una
parte attiva nella sua vita, analizzare le cose nel loro dettaglio, guardarle
più da vicino, con la lente di ingrandimento, e riflettere in profondità su
ciò che gli si presenta apparentemente e superficialmente davanti agli
occhi. (illustrazione di aul Steinberg dalla copertina del libro )
In un mondo incentrato sulla grande dimensione
e sulla monumentalità, sull’immagine di effetto
e sulla rapida trasformazione della moda, a una
prima vista l’architettura umile e modesta di Frank
non colpisce. Alcuni dei suoi progetti rappresentati
nei suoi acquerelli può risultare addirittura un po’
kitsch. Eppure c’è qualcosa che ci incuriosisce, che
ci fa pensare che dietro all’apparenza, al visibile, si
nasconda un significato più profondo, un INvisibile
che fa parte dell’intimità domestica, del valore
simbolico dell’abitare. La sua architettura ci invita alla
riflessione.
Josef Frank (Baden 1885 - Stoccolma 1967)
apparteneva a quella generazione di architetti
come Walter Gropius, Ludwig Mies van der Rohe,
Le Corbusier, nata a cavallo tra Otto e Novecento
e costretta a subire l’esperienza di ben due guerre
mondiali, vissuta dunque in un periodo di grossi
cambiamenti sociali, politici, economici, un’epoca
di grandi contraddizioni in cui stava avvenendo
un accelerato passaggio da una società ancora
artigianale ad una industriale regolata sempre più
dalla macchina, e che vedeva da una parte l’arricchirsi
di una limitata borghesia capitalista e dall’altra
un’enorme massa di popolazione senza nemmeno un
adeguato alloggio in cui abitare.
Usando una definizione dell’architetto Gottfried
Semper (1803-1879), si potrebbe paragonare
quest’epoca alla “misteriosa nascita dell’araba fenice
(die geheimnisvolle Phönixgeburt)”, un Analogon che
ben si addice “a quegli stadi di transizione in cui un
intero mondo affonda nel caos lasciando tuttavia
intravedere nuove forme che stanno venendo alla
luce”1. Frank stesso nel suo libro Architettura come
simbolo pubblicato nel 1931 scriverà “la guerra ci ha
portato nella condizione da lungo tempo sperata di
poter ricominciare da capo e noi ora stiamo cercando
una via”2.
A Vienna in particolare questi anni coincidono con la
fine dell’Impero di Franz Joseph e la contemporanea
ascesa del movimento moderno: nel 1896 Otto
Wagner pubblica Moderne Architektur; l’anno dopo
viene fondata la Wiener Secession; nel 1899 Freud dà
alle stampe l’Interpretazione dei sogni, due anni dopo
La psicopatologia della vita quotidiana, e nel 1905 Tre
saggi sulla teoria sessuale; nel 1903 viene fondata la
Wiener Werkstätte, il sociologo Georg Simmel scrive
il saggio Le metropoli e la vita dello spirito e Adolf
Loos pubblica la rivista “Das Andere, Ein blatt zur
einfühlung abendländischer kultur in österreich”.
In questo contesto di agitazione culturale, Josef Frank
aveva assunto un ruolo di primo piano negli anni prima
della seconda guerra mondiale: membro del Deutscher
Werkbund, del Wiener Kreis e del gruppo attorno a
Ernst Mach; professore alla Kunstgewerbeschule di
Vienna dal 1919 al 1926; attivo in prima persona nel
movimento delle Wiener Siedlungen e collaboratore
di Otto Neurath nell’ideazione del Gesellschafts- und
Wirtschaftsmuseum di Vienna; unico rappresentante
austriaco invitato a partecipare assieme ai
maggiori
architetti
dell’epoca
all’esperienza
della Weissenhofsiedlung di Stoccarda nel 1927
e tra il 1928-29 ai primi due congressi del CIAM;
vicepresidente dell’Österreichischen Werkbund
dal 1928 al 1934 e direttore e progettista della
Werkbundsiedlung a Vienna nel 1932. Autore inoltre
di numerosi articoli nelle maggiori riviste di lingua
tedesca “Innendekoration”, “Der Aufbau”, “Deutscher
Werkbund, Bau und Wohnung”, “Die Form”, “Moderne
Bauformen”, “Wirtschaftshefte der Frankfurter
Zeitung”, “Deutsche Kunst und Dekoration”, “Der
Baumeister”.
Nel 1934 tuttavia, a causa dell’avvento del nazismo,
fu costretto ad emigrare in Svezia. Da allora il suo
ruolo all’interno del movimento moderno venne
gradualmente dimenticato e considerato semmai più
15
come un arredatore che come architetto, cosa che gli
procurerò grande sconforto e frustrazione.
Lo spiega lui stesso nella lettera a Trude Waehner il 15
aprile 1946, quando è appena rientrato a Stoccolma
dopo aver vissuto quattro anni e mezzo a New York: “a
questo punto arrivo a dire perché ho così poca voglia
di fare architettura. Secondo il mio punto di vista
(attraverso una Self Analysis) il motivo è dovuto al fatto
che vorrei fare qualcosa di diverso rispetto a quello
che ho fatto fino ad adesso. Non ho certo mai operato
con ciò che viene chiamato Modern Architecture, ma
ciò che ho fatto non è quello che vorrei volentieri
fare; ma ciò che mi piacerebbe fare non lo so e non
posso neanche saperlo dato che ora mi manca ogni
esperienza. Ho dimenticato la maggior parte delle
cose, da più di dieci anni non ho più costruito una
casa, non ho più avuto un committente, e questo
perché a) non costruisco in modo storico, b) non
costruisco in modo moderno, entrambe le cose
sono abominevoli, ma cosa ci posso fare? Non lo
so”3.
Le cause sono da ricercare soprattutto nell’emergere,
dopo la seconda guerra mondiale, dell’architettura
funzionalista e dell’International Style contro cui
Frank era invece profondamente e dichiaratamente
contrario. Usando una definizione di Friedrich Kiesler
si può infatti affermare che “il funzionalismo è la
standardizzazione delle attività di routine. Per esempio
un piede che cammina ma non danza; un occhio
che vede ma non immagina; una mano che afferra
ma non crea. Il funzionalismo solleva l’architetto
da ogni responsabilità di fronte al progetto”4, cosa
assolutamente impensabile per Frank.
Nel quinto capitolo del volume mai pubblicato
Contemporary Art and Architecture che avrebbe
dovuto raccogliere le lezioni tenute presso la New
School of Social Research di New York e che può
essere considerato come una rielaborazione matura
del suo pensiero già anticipato in Architettura come
Simbolo del 1931, Frank sottolinea con precisione che
16
cosa intende con il termine “moderno” in architettura,
distinguendolo nettamente dai significati attribuitogli
da un lato dagli stili storici passati e dall’altro dalla
tendenza “puritano-moralista” che andava di moda
all’epoca.
Se infatti gli stili storicisti, facendo ancora uso dei
simboli della statica necessari affinchè l’uomo si
sentisse sicuro della stabilità di un edificio, avevano
causato il fraintendimento del “moderno” come
imitazione passiva e irragionevole del passato,
all’opposto la tendenza contemporanea al purismo
si era dibattuta per abolire tali simboli in nome di
una presunta verità e onestà della costruzione e per
questo predicava uno stile geometrico uniforme da
poter essere applicato ad ogni cosa, “dal cucchiaio
alla città”. Tuttavia secondo Frank entrambi i modi di
pensare in realtà erano analoghi ai regimi totalitari
perché costringevano a seguire regole rigide e fisse
non permettendo alcuna libertà, né tanto meno
flessibilità al progettista, ma solo ed esclusivamente
uno stereotipato monumentalismo.
Frank al contrario era fautore di un’architettura al
servizio dell’uomo e dei suoi bisogni, di ogni uomo,
inteso come individuo con le sue proprie esigenze,
che lasciasse spazio quindi alle infinite possibilità di
variazione e pluralismo di ciascuno, indispensabili per
un profondo ed intenso senso dell’abitare. Per questo
era interessato prima di tutto all’aspetto domestico
dell’architettura.
Se i simboli della statica non erano più necessari dato
che le nuove tecnologie costruttive permettevano agli
edifici una stabilità impensabile in passato, tuttavia
questo non doveva significare a suo avviso una
abolizione assoluta dall’ornamento e dalla scultura. Gli
ornamenti anzi erano indispensabili all’uomo quando
appartenevano al suo vissuto e al rituale quotidiano.
Lo liberavano dalle costrizioni di schemi rigidi
evitando così la monotonia di una vita standardizzata
nelle sue attività di routine, permetteva al piede di
danzare, all’occhio di immaginare, alla mano di creare.
In questo modo “costituiscono la nostra tradizione,
che perciò possiamo chiamare eterna dato che le
loro leggi non saranno mai distrutte, perché a quanto
pare appoggiano su sentimenti legati al nostro corpo
umano”.
Frank inoltre riteneva che l’architetto, nonostante
anche la scultura non fosse più necessaria
all’architettura moderna, dovesse continuare a
pensare analogamente allo scultore, cioè in modo
tridimensionale: “l’architetto che costruisce né
dall’esterno verso l’interno, come si afferma degli
antichi, né viceversa, come si afferma dei moderni,
bensì considerando tutti e due i modi assieme, è
l’unico ad essere in grado di progettare la sua casa
in modo che soddisfi gli scopi sia interni che esterni,
pratici ed estetici. Per poterlo comprendere, egli
dovrà impiegare la sua nuova libertà, ma al tempo
stesso seguire le regole naturali che risiedono alla
base di ogni architettura, vecchia o nuova che sia”.
“Il desiderio di “elevare” ogni cosa, l’appartamento
a un’opera d’arte e la casa a un monumento, è una
manifestazione simile al voler “salvare” gli uomini, che
richiede l’abolizione dei desideri e bisogni naturali”.
Frank invece non ha assolutamente la presunzione
né l’intenzione di “salvare” il mondo, non detta
leggi o schemi già pronti mediante i quali realizzare
un’architettura cosiddetta “moderna”. Egli si propone
semplicemente di essere vicino al quotidiano, alla vita
delle persone e di aprire loro gli occhi in modo da
renderli capaci di guardare le cose con la propria testa
e pensare in modo autonomo. Da qui il suo profondo
intento democratico-sociale.
Il pensiero di Frank dunque è ancora profondamente
attuale e i suoi principi (non regole!) valgono ancora
oggi.
Nel 1965, grazie all’interesse di un gruppo di
giovani architetti e storici (l’Arbeitsgruppe 45), Frank
riceve il premio per l’architettura austriaco (Grosse
Österreichische Staatspreis) e viene allestita una
mostra monografica delle sue opere presso l’allora
appena fondata Österreichische Gesellschaft für
Architektur (Associazione austriaca di architettura).
Due anni dopo a Stoccolma viene organizzata
una mostra in memoria della sua morte presso il
Nationalmuseum (Josef-Frank-Minnesutställning).
Dopodiché se ne è parlato soltanto sporadicamente,
fino a quando nel 1981, presso la Hochschule für
Angewandte Kunst di Vienna (oggi Universität),
viene organizzata una mostra monografica (con la
pubblicazione di due cataloghi, uno sui progetti
e uno sui mobili) a cura dei professori Johannes
Spalt e Hermann Czech, al quale si deve anche la
pubblicazione, nello stesso anno, della traduzione
italiana di Architettura come simbolo (ed. orig. 1931).
E’ sempre in quell’anno che in Italia la rivista
“Ottagono” pubblica un numero speciale e “Lotus
International” due articoli dedicati all’architetto
austriaco6. Nell’introduzione alla rivista “Ottagono” si
legge: “gli autori del presente testo [Daniele Baroni
e Antonio D’Auria], da questo numero daranno
vita a brevi interventi su alcuni architetti di livello
internazionale, che pur senza assurgere ai massimi
traguardi della notorietà, con la loro opera, hanno
contribuito in modo fondamentale a formulare quel
intricato tessuto di cui si compone il Movimento
moderno”7.
Il mio avvicinamento all’architetto viennese è
avvenuto grazie al mio relatore Giovanni Fraziano, il
quale a sua volta lo ha incontrato negli anni Ottanta
quando venne incaricato dal professor Luciano
Semerani ad assistere il professore Johannes Spalt
nella curatela di una piccola mostra da tenersi presso
l’Istituto Universitario Architettura di Venezia.
Prima del 1981 in Italia Frank era stato reso noto
solamente negli anni Trenta attraverso Alberto
Sartoris che nel 1932 mostra alcuni suoi progetti in Gli
elementi dell’architettura funzionale, ma soprattutto
Giò Ponti e la sua rivista “Domus”, nella quale Carmela
Haerdlt pubblica una serie di articoli: Una nuova casa
17
Archivi e lasciti
di Josef Frank, luglio 1931 (villa Beer); Una casa privata
a Vienna, agosto 1931; Josef Frank, Quale sarà la nostra
casa, domani. Strade e piazze nella casa, febbraio
1932, pp.68-69; Espressione e carattere nell’opera di
Frank e Wlach, n.99, marzo 1936 (immagini di interni
e sedie)8.
In seguito in lingua italiana escono solamente due
articoli: nell’aprile 1967 C.Haerdtl, Un ricordo di Josef
Frank (“Domus” n.449) e nel febbraio 1975 Max Eisler,
Una casa d’abitazione di Josef Frank e Oskar Wlach
(“Casabella” n.345). Un articolo sulla Villa Beer (La casa
sensibile) è stato scritto nel 1888 da Guido Beltramini
in La casa isolata... (a cura di G.Fraziano, Cluva 1989).
L’interesse nei confronti dell’architettura di Josef Frank
si è tuttavia risvegliato negli anni Novanta quando
diversi ricercatori lo hanno scelto come tema di analisi
per le loro ricerche di dottorato: nel 1994 Hermann
Fillitz e Peter Haiko hanno scritto una dissertazione
sulle case unifamiliari di Frank, che poi Maria Welzig ha
ripreso nel suo volume del 1998; nel 1993 Christopher
Long aveva discusso la sua tesi all’Università del Texas
in Austin pubblicandola riveduta nel 2002; Iris Meder
nel 2004 analizza la tipologia della casa unifamiliare
a Vienna negli anni tra il 1910 e il 1938 all’Università
di Stoccarda e nel 2008 cura la pubblicazione di Josef
Frank. Eine Moderne der Unordnung (Pustet, 2008).
Assieme a Tano Bojankin inoltre sta preparando un
volume che dovrebbe raccogliere tutti gli scritti di
Josef Frank.
In Italia, recentemente, Caterina Cardamone ha
discusso una tesi di dottorato presso il Dipartimento
di Storia dell’Architettura e Restauro delle Strutture
Architettoniche dell’Università di Firenze (La
tradizione classica negli scritti di architettura di Josef
Frank, relatore Ciro Luigi Anzivino, XIV ciclo 19982001) di cui però ho potuto consultare solamente una
piccola parte relativa agli scritti inediti dell’architetto
viennese.
18
Note
1
L’architetto Gottfried Semper (Amburgo 1803- Roma 1879) nei
Prolegomena a Der Stil aveva definito così l’epoca in cui viveva,
paragonandola ad un cielo notturno in cui convivono sia stelle
luminose che aree nebulose. Vedi Gottfried Semper, Der Stil
in den technischen und tektonischen Kunsten, oder praktische
Aesthetik, Erster Band, Textile Kunst, Verlag für Kunst und
Wissenschaft, Frankfurt a.M. 1860, p. V. Trad.it. in Lo Stile nelle
ati tecniche e tettoniche o estetica pratica, a cura di A.R. Burelli,
C.Cresti, B. Gravagnuolo, F.Tentori, Laterza, Roma-Bari 1992, p. 5
2
Josef Frank, Architettura come simbolo, a cura di Hermann
Czech, Zanichelli, Bologna 1986 (ed. orig. Verlag Anton Schroll
& Co, Wien 1931)
3
Lettera di Frank a Trude Waehner, 15 aprile 1946 (LÖNW)
4
F.Kiesler, Pseudo-Functionalism in Modern Architecture, in
“Partisan Review”, luglio 1949
5
Wilhelm Holzbauer, Friedrich Kurrent, Johannes Spalt e
Otto Leitner, che però ne esce già nel 1953; in seguito vi si
aggiungono Friedrich Achleitner, Georg Gsteu, Josef Lackner,
Hermann Czech
6
H.Czech, Josef Frank: The Thirteen Designs in Letters to Dagmar
Grill, e J.Spalt, The form of dwelling drawings of Josef Frank before
1934, n.29, 1981
7
“Ottagono” n.62, settembre 1981
8
Strizler-Levine annovera anche due libri di arredamento
degli anni trenta che riportano arredi Haus & Garten: Giancarlo
Palanti, Mobili Tipici Moderni (Ed. Domus, Milano 1933) e Oberto
Aloi, L’arredamento Moderno (Hoepli, Milano 1934 e 1939)
Date le scarse pubblicazioni in lingua italiana,
per approfondire la mia ricerca è stato necessario
intraprendere un viaggio di studio di alcune settimane
a Vienna (dicembre 2009) per poter consultare gli
archivi e i documenti originali in lingua tedesca che
ho poi tradotto in italiano; cosa che se da un lato
ha rallentato la ricerca, dall’altra mi ha permesso di
analizzare il pensiero originale e puro di Josef Frank.
La Graphische Sammlung Albertina di Vienna
che possiede gran parte del lascito comprato nel
1972 dall’Arkitekturmuseet di Stoccolma, a cui lo
aveva donato, dopo la morte di Frank nel 1967, la
sua compagna Dagmar Grill. Purtroppo non ho
potuto consultare di persona questo materiale dato
che l’archivio è attualmente chiuso per danni dovuti
ad una infiltrazione d’acqua, ma sono disponibili
via web documenti, disegni e alcune fotografie
(www.albertina.at), riprodotte peraltro anche in
numerose pubblicazioni recenti sull’architetto
viennese.
Altro materiale venne donato dalla pittrice Trude
Waehner all’archivio della Hochschule (oggi
Universität) für angewandte Kunst, Sammlung
Oskar Kokoschka, dove si trovano disegni originali,
fotografie, e numerosi testi, tutti a disposizione della
consultazione previo appuntamento (http://www.uniak.ac.at/sammlung/pages/architektur.html).
Nell’archivio
letterario
della
Biblioteca
Nazionale (Österreichisches Literaturarchiv,
Österreichische
Nationalbibliothek:
http:
//www2.onb.ac.at/sammlungen/litarchiv/index.htm)
si trovano invece le lettere di corrispondenza tra
la Waehner e Josef Frank. Le numerose lettere
riguardano gli anni dal 1938 al 1966, e sono
consultabili previo appuntamento e fotocopiabili (su
richiesta, a pagamento).
La tesi di dottorato di Josef Frank sul L’aspetto
originale delle chiese di Leone Battista Alberti si
trova alla Technische Universität Wien (http:
//www.ub.tuwien.ac.at/) dove è consultabile
liberamente e anche fotocopiabile. Tuttavia
le tavole allegate sono solo una riproduzione
fotografica di quelle originali, che invece si trovano
nell’archivio dell’Università (http://www.tuwien.ac.at/
dienstleister/service/universitaetsarchiv/)
e
consultabili previo appuntamento.
Non ho potuto invece visitare il lascito di Johannes
Spalt all’Architektur Zentrum Wien (www.azw.at)
poiché attualmente è in fase di catalogazione e
quindi non consultabile. Qui molto probabilmente si
trovano anche le 13 lettere che Josef Frank ha scritto
a Dagmar Grill negli anni 1947-1956 (fotocopie delle
stesse sono in possesso anche del prof. Hermann
Czech che ho potuto incontrare a Vienna, però le
custodisce attentamente con l’intenzione in futuro
di pubblicarle).
Di difficile consultazione è anche l’archivio tecnico
della città di Vienna (Planarchiv der Stadt Wien),
dove si trovano i disegni originali di alcuni progetti
di Frank, dato che è accessibile solamente ai tecnici
previo permesso dei proprietari delle abitazioni.
Per quanto riguarda le pubblicazioni e gli articoli su e
di Josef Frank, ho trovato molto materiale anche nelle
biblioteche del MAK (www.mak.at), della Universität
für angewandte Kunst, della Tecnische Universität, e
all’Architektur Zentrum Wien.
Un’ultima nota riguardo ai mobili progettati da
Frank: alcuni sono visibili presso il museo del MAK,
19
Nota sulle traduzioni in
italiano
altri al Hofmobiliendepot di Vienna (www.hof
mobiliendepot.at), dove nel dicembre 2009 era in
corso una mostra sulle case di abitazione tra le due
guerre (Wohnen zwischen den Kriegen. Wiener Möbel
1914-1941, 14 ottobre-febbraio 2009) curata da Eva
Ottillinger.
Il viaggio inoltre mi ha permesso di poter visitare
di persona alcuni dei progetti realizzati da Frank a
Vienna, come villa Beer e le case sulla Wilbrandtgasse,
la Werkbundsiedlung, ma anche il quartiere
progettato ad Ortmann presso Pernitz (a circa 70 Km
a sud di Vienna) assieme a Casa Bunzl.
Ho potuto inoltre confrontare direttamente sul
posto queste opere con gli edifici progettati da Adolf
Loos e consultare la documentazione in possesso
dell’archivio privato di Friedrich e Lillian Kiesler sulla
Mariahilfestrasse a Vienna (www.kiesler.org).
In futuro sarebbe utile poter andare in
Svezia per esaminare il lascito in possesso
dell’Arkitekturmuseet di Stoccolma e l’archivio
dei progetti di mobili e stoffe elaborati da Frank per la
ditta di arredamento Svenskt Tenn, oltre che visitare
le ville costruite a Falsterbo.
A suo tempo avevo contattato anche Dr. Carmen
Hendershott dell’Archival Reference della New
School for Social Research Library, la quale mi aveva
20
informato che del materiale riguardo a Josef Frank si
dovrebbe trovare anche presso le seguenti istituzioni:
il Museum of Modern Art di New York ; il Canadian
Centre for Architecture in Quebec, Canada (1920,
rue Baile/Montreal, Quebec H3H 2S6 Canada); e il
Columbia University in New York City of the Felix
Augenfeld Architectural Records and Papers, 19101972. Non mi è stato però possibile approfondire la
ricerca di tale materiale.
Dove non diversamente specificato, gli scritti di
Josef Frank sono stati qui tradotti in italiano dalla
sottoscritta sulla base dei testi contenuti in Spalt/
Czech 1981 e in parte in fase di pubblicazione nel
libro a cura di Giovanni Fraziano, Percorsi accidentali.
Scritti e progetti di Josef Frank, Lint, Trieste 2011.
In particolare la tesi di dottorato su Leon Battista
Alberti non è mai stata pubblicata integralmente
neanche in lingua tedesca (alcuni frammenti sono
contenuti in Spalt/Czech 1981).
Inediti mi risultano anche i testi Modern Architecture e la
versione di How to plan a House facente parte del ciclo
di lezioni Contemporary Art and Architecture per la New
School for Social Research redatta dopo il 1946. Una
prima versione invece è comparsa in lingua tedesca
in Johannes Spalt, Josef Frank 1885-1967. Möbel & Geräte &
Theoretisches, Hochschule für angewandte Kunst, Wien,
pp.156-167.
Non sono state mai pubblicate neanche le lettere che
Josef Frank scrive a Trude Waehner tra il 1938 e il 1966
e che si trovano ora presso il LÖNW.
L’intervista di Viktor Matejka a Josef Frank, 12 domande
a Josef Frank (Stoccolma, Rindögatan 52, 1965) venne
pubblicata in tedesco in “Bauwelt”, n.26 (luglio
1985, pp.1064-1065); mentre l’allegato 3 affermazioni
e loro conseguenze in “Die Form”, n. 9, (settembre 1927,
pp.289-291).
Per quanto riguarda il glossario semperiano
sulla tessitura, all’inizio della ricerca avevo
intrapreso un lavoro di traduzione del primo
volume dedicato al rapporto architettura e
tessitura di Der Stil in den technischen und tektonischen
Künsten (1860) che esiste come traduzione
italiana solamente in versione parziale a cura
di A.R. Burelli, C.Cresti, B. Gravagnuolo, F.Tentori
(Lo Stile nelle arti tecniche e tettoniche, Laterza, Roma
Bari 1992). L’analisi del testo originale in tedesco
mi ha permesso di cogliere le sfumature della
lingua e le profonde analogie di significato
fra alcuni termini tessili utilizzati anche in
architettura.
21
Ringraziamenti
Oltre alle istituzioni e biblioteche sopracitate, colgo
qui l’occasione per ringraziare tutte quelle persone
che hanno reso possibile questa ricerca:
il mio relatore prof. Giovanni Fraziano per avermi
fatto scoprire questo “piccolo mondo in miniatura”
che avvolge il pensiero di Josef Frank, e per la sua
disponibilità e cura con cui mi ha accompagnato in
questo percorso accidentale;
Iris Meder e Tano Bojankin, che ho incontrato di
persona a Vienna, per il loro prezioso aiuto nella
ricerca dei documenti presso i vari archivi e per
le piacevoli conversazioni attorno alla figura
dell’architetto viennese. In particolare Iris Meder
è stata inoltre così gentile da donarmi alcune sue
fotografie di Casa Bunzl;
prof.Hermann Czech con il quale ho potuto
direttamente discorrere a Vienna attorno al mio
tema di ricerca e che mi ha fatto conoscere l’articolo
di Stephen Atkinson sulla casa di Josephine Baker
progettata da Adolf Loos;
Ralf Bock, autore del libro Adolf Loos, opere e progetti
(Skira 2007) che mi ha informata sullo stato attuale
di Casa Moller e Casa Rufer di Loos e mi ha fornito i
recapiti di Oliver Schreiber del Bundesdenkmalamt, il
quale a sua volta mi ha messo gentilmente in contatto
con i proprietaria di Villa Beer, che qui ringrazio in
modo particolare. E’ stata infatti Susanne Stromayer a
permettermi di poter visitare di persona per un’intera
mattinata la casa sulla Wenzgasse che attualmente si
trova in fase di restauro;
prof.Christopher Long, direttore dell’Architectural
History Program presso la School of Architecture
dell’Università di Austin, Texas e autore del volume
Josef Frank (University of Chicago Press, Chicago
2002). Oltre a rispondere ad alcune mie domande,
mi ha fornito i recapiti di Iris Meder e si è offerto
di introdurmi nei confronti di Kristina WängbergEriksson la quale a sua volta mi ha generosamente
22
spedito copia dei capitoli How to plan a House e
Modern Architecture facenti parte di Contemporary Art
and Architecture redatti dopo il 1946 e ora conservati
presso l’Arkitekturmuseet di Stoccolma.
Per quanto riguarda i mobili e gli arredi di Adolf Loos
e Josef Frank, ho ricevuto preziose informazioni da
parte di Dr.Eva B. Ottilinger e l’Hofmobiliendepot;
e Dr. Sebastian Hackenschmidt della sezione Möbel
und Holzarbeiten del MAK.
Ringrazio inoltre Silvia Herkt che mi ha permesso di
consultare i numerosi documenti e pubblicazioni
conservati presso la Sammlung Oskar-Kokoschka
della Universität für angewandte Kunst Wien; Dr.
Markus Kristan, curatore dell’Architektursammlung
presso l’Albertina di Vienna, per avermi informato
riguardo ai documenti in esso contenuti; Dr.
Hans Hrusa e Robert Würzl della Technische
Universität Wien per avermi guidato nelle ricerche
presso la biblioteca dell’Università; Mag. Martin
Wedl dell’Österreichisches Literaturarchiv der
Österreichischen Nationalbibliothek di Vienna che
mi ha messo a disposizione le lettere di Josef Frank
a Trude Waehner; Monica Platzer dell’Architektur
Zentrum Wien; Torun Warne dell’Arkitekturmuseet di
Stoccolma.
Un grazie speciale ai miei genitori, ma anche ai
familiari e amici che mi hanno appoggiato ed
incoraggiato in tutti questi anni.
alle persone care
Louise Bourgeois, Pregnant woman, 2007, Xavier Hufkens, Bruxelles
dalla piaga .
alla piega :
considerazioni
sull’ABITARE
dalla piaga alla piega
Rannicchiarsi
negli spazi
a m a t i
“A
MO IL LEGNO LACCATO SOPRATTUTTO QUANDO TENGO IN MANO UNA CIOTOLA DI BRODO
CALDO.
NE AMO IL PESO; NE AMO IL TEPORE. COSÌ TENERA È LA SENSAZIONE, CHE MI SEMBRA
DI SOSTENERE IL CORPICINO DI UN NEONATO. NON È UN CASO CHE LA MINESTRA SI SERVA
ANCORA NELLE CIOTOLE DI LEGNO LACCATO: ESSE HANNO VIRTÙ CHE MANCANO A QUELLE DI CERAMICA
O PORCELLANA. TROPPO PRESTO IL BRODO SERVITO IN UNA TAZZA DI PORCELLANA BIANCA SVELA I SUOI
SEGRETI. SOLLEVATO IL COPERCHIETTO, SI SA SUBITO CHE COLORE HA IL LIQUIDO E CHE COSA CONTIENE.
È COSA STRAORDINARIAMENTE BELLA, INVECE, SOLLEVARE IL COPERCHIO DI UNA CIOTOLA IN LEGNO
LACCATO; MENTRE CI ACCINGIAMO AD ACCOSTARLA ALLA BOCCA, CONTEMPLIAMO PER UN ISTANTE IL BRODO,
CHE HA UNA SFUMATURA NON MOLTO DIVERSA DA QUELLA DEL RECIPIENTE, STAGNARE NELL’OSCURITÀ
IMPENETRABILE DEL FONDO. DIFFICILE CAPIRE COSA SI TROVI LAGGIÙ. LE MANI CHE TENGONO LA CIOTOLA
SENTONO L’AGITARSI QUASI IMPERCETTIBILE DEL LIQUIDO. GOCCIOLE MINUTISSIME IMPERLANO
L’ORLO DEL RECIPIENTE. ATTRAVERSO IL VAPORE, ABBIAMO UN VAGO PRESENTIMENTO DEL CIBO: ESSO SI
ANNUNZIA A NOI, PRIMA DI TOCCARE IL PALATO. UNA EMOZIONE COSÌ PROFONDA, E INTIMA, CERTO
NON PUÒ ESSERE PARAGONATA A CIÒ CHE SI PROVA DAVANTI A UN BRODO SERVITO IN UN PIATTO DI BIANCA
PORCELLANA OCCIDENTALE. V’È QUALCOSA DI MISTICO E, FORSE, UN ZINZINO DI ZEN. […] OGNI VOLTA
MI SENTO COLMO DI UNA GIOIA ESTATICA.1
Friedrich Kiesler dentro al Bucephalus, 1964-65
“
La ciotola di legno descritta da Tanizaki nel suo Libro d’ombra non è
fisicamente un oggetto architettonico eppure concettualmente fa parte
dell’abitare, è un’abitazione, poiché “porta con sé quella domesticazione
dello spazio che colleghiamo alla capacità dell’architettura di creare
spazi”2, spazi che sono sempre dei pieni, anche quando sono vuoti.
La ciotola, come ha detto Pallasmaa a proposito dell’Architettura, “porta il
mondo a un contatto col corpo estremamente intimo”3. Essa – ruvida
e calda al tatto a differenza di quelle in porcellana lisce e fredde - ha il
potere di amplificare certe sensazioni del nostro corpo elevandole a
quel “qualcosa di mistico” che caratterizza l’atto della scoperta del brodo: è
attraverso il con-tatto con la ciotola che sentiamo tra le mani il suo peso e il
suo tepore; che intravediamo “l’oscurità impenetrabile” al suo interno; che
percepiamo “le minutissime goccioline” di vapore sulla pelle; che gustiamo
e odoriamo il profumo del brodo.
Tuttavia si tratta di sensazioni che non vengono mai svelate del tutto,
che rimangono nascoste dal coperchietto nell’ ”oscurità impenetrabile
del fondo”, vagamente presentite, “annunziate”, che mantengono quindi
il fascino del mistero, del segreto mai completamente confessato, del
magico, del straordinario.
E l’architettura si presenta con la stessa pienezza esperienziale della ciotola
di minestra: ci porta nella dimensione del sacro, intendendo con sacro
non la sfera religiosa, ma - come ha detto James Turrell - “qualcosa che
nessun prete ti potrà mai spiegare perché è un sentimento più primitivo
legato a quello che si prova quando si percepisce qualcosa per la prima
volta”4.
La ciotola di legno, come tutte le cose wabi-sabi5, “evoca forze primordiali
Hon’ami, ciotola per il tè Seppò, inizio XVII secolo
27
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
[…] sensazioni trascendentali”, “ci costringe a meditare sulla nostra
stessa mortalità”6. Infatti Il wabi-sabi rappresenta l’opposto dell’ideale
occidentale di bellezza intesa come qualcosa di monumentale, di
spettacolare, di duraturo. Le cose wabi-sabi sono palesemente vulnerabili,
interessano gli aspetti minori e nascosti, temporanei ed effimeri, sfumati
ed evanescenti, mostrano i segni del tempo, raccontano l’usura e le
imperfezioni di cui sono stati oggetto. Sono pieni dei dettagli della vita
quotidiana, del vissuto. Per sperimentarne l’essenza “bisogna [quindi]
rallentare il ritmo, essere pazienti e guardare molto da vicino”7 come fa
“l’uomo con la lente” dato che “tutte le cose piccole richiedono lentezza”8.
La ciotola e le cose wabi-sabi potrebbero allora essere aggiunte all’elenco
di quegli “spazi amati” di cui parla Gaston Bachelard (1884-1962) in La
poetica dello spazio, in cui si sofferma a riflettere su quelli che chiama
“immagini molto semplici, immagini dello spazio felice9”: la casa, la
camera, il nido e il guscio, l’angolo, la cassapanca, il cassetto e l’armadio, la
miniatura, il rotondo.
Luoghi piccoli e raccolti, che ci fanno cenno di avvicinarci, di toccarli, di
entrare in relazione con loro perché sono i contenitori in cui riponiamo i
nostri ricordi, gli oggetti che hanno per noi un valore affettivo e per questo
così preziosi, così familiari, “amati”, perché “bisogna amare lo spazio per
descriverlo tanto minuziosamente”10.
“Nella miniatura – scrive infatti Bachelard – i valori si condensano e si
arricchiscono. Non è sufficiente una dialettica del grande e del piccolo
per conoscere le virtù dinamiche della miniatura […]. Essa attiva valori
profondi”11.
“Ogni poeta dei mobili […] sa d’istinto che lo spazio all’interno del
vecchio armadio[/cassetto/cassapanca] è profondo. Lo spazio
interno dell’armadio è uno spazio di intimità, uno spazio che non si
apre davanti a chiunque. […] Nell’armadio vive un centro di ordine che
protegge tutta la casa contro un disordine senza limite. Lì regna l’ordine, o,
Wolfango, Il cassetto, 1976-77. Acrilico su tela.
Adolf Loos, disegno del 1898 che mostra un
progetto per una chiesa da costruirsi presso
la Reichsbücke a Vienna e un baule: entrambi
contengono qualcosa di prezioso, di sacro. Adolf
Loos Archiv, GSA, Vienna Inv.2309, Kat.5
28
Vincent Van Gogh, Il casolare, 1885,
Eijksmuseum Vincent Van Gogh, Amsterdam
piuttosto, lì l’ordine è un regno. Esso non è poi semplicemente geometrico,
ma si richiama spesso alla storia della famiglia”12.
“Quando [l’armadio o] il cofanetto si chiude, viene restituito alla comunità
degli oggetti e prende il suo posto nello spazio esterno. […] ma, nel
momento in cui il cofanetto si apre, la dialettica [dentro-fuori] cessa. Il
fuori è cancellato d’un tratto e tutto è preda della novità, della sorpresa,
dello sconosciuto. […] si è appena aperta una dimensione: la dimensione
dell’intimità. […] Si apre il mobile e lo si scopre come dimora. Una casa
è nascosta in un cofanetto”13.
“Il grande [infatti] viene fuori dal piccolo, non per la legge logica di una
dialettica degli opposti, ma grazie alla liberazione da ogni obbligo
di dimensioni, liberazione che è la caratteristica stessa dell’attività di
immaginazione. […] L’uomo con la lente non è qui il vecchio che vuole
ancora leggere il suo giornale, sebbene i suoi occhi siano stanchi di vedere.
L’uomo con la lente prende il Mondo come una novità. […] La lente
di ingrandimento del botanico è l’infanzia ritrovata, infanzia che ridona
al botanico lo sguardo ampliante del bambino. Così il minuscolo,
porta stretta per eccellenza, apre un mondo. Il dettaglio di una cosa
può essere il segno di un mondo nuovo, di un mondo che, come tutti i
mondi, contiene gli attributi della grandezza. La miniatura è una delle
abitazioni della grandezza”14 o, per meglio dire, del grandioso.
L’architetto tedesco Gottfried Semper spiega infatti così la distinzione tra
grandioso e grande: “nel tempio antico l’uomo diventa piccolo perché il
tempio è destinato a qualcosa di più grandioso dell’uomo. Nella cattedrale
il tempio sembra grande perché l’uomo è piccolo”. Mentre il grande è
un’entità geometrica, “il grandioso non ha parametro”15, esso evoca il
“sentimento del rifugio”.
Nei Fragments d’un journal intime di Rilke ci imbattiamo in una scena
simile: il poeta e due suoi amici scorgono nella notte profonda “la finestra
illuminata di una lontana capanna, l’ultima capanna, quella tutta sola
29
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
all’orizzonte davanti ai campi ed alle paludi”. L’immagine di quella piccola
luce in lontananza che simboleggia il focolare domestico, il cuore di una
casa, scuote l’animo dei tre uomini che improvvisamente si rendono conto
di far parte di un qualcosa di più grandioso di loro: “rimanevano tre
solitari che guardavano la notte per la prima volta”16.
Intorno agli spazi amati si “raduna l’universo. […] Ricchezze cosmiche
[sono raccolte] in un minuscolo cofanetto. […] In esso si trovano le cose
indimenticabili […] II passato, il presente, un avvenire sono condensati
lì”17.
COSÌ DESCRIVE PEREC IL QUADRO
“SAN GIROLAMO NEL SUO STUDIO” DI
ANTONELLO DA MESSINA: “LO SPAZIO
“L’essere che riceve il sentimento del rifugio, si stringe su se stesso,
si ritira, si rannicchia, si nasconde, si cela”18. Negli spazi amati allora
“diventiamo tutti piccoli”, essi ricevono la loro “verità dall’intensità della
[loro] essenza, l’essenza del verbo abitare”, in questi luoghi “si rumina
INTERO S’ORGANIZZA INTORNO A QUESTO
MOBILE E IL MOBILE INTERO S’ORGANIZZA
INTORNO AL LIBRO: L’ARCHITETTURA
GLACIALE DELLA CHIESA LA NUDITÀ
DELLE PIASTRELLE, L’OSTILITÀ DEI PILASTRI
primitività”19, una sacralità cosmica: qui, pur restando “soli (ALLein)”, non
E DEL LEONE SI ANNULLA …: AL
ci sentiamo mai “isolati (EINsam)” poiché siamo “legati (verBUNDEN)”20
con il mondo che ci raccoglie e protegge.
CENTRO DELL’INABITABILE, IL MOBILE
DEFINISCE UNO SPAZIO ADDOMESTICATO
“Felice [allora] il bambino che ha posseduto, veramente posseduto, le
CHE I GATTI, I LIBRI, E GLI UOMINI ABITANO
sue solitudini!”21 perché “solo chi ha saputo rannicchiarsi sa abitare
con intensità”22.
“Chiunque possieda un gatto vi dirà a ragione che i gatti abitano le case
molto meglio degli uomini. Persino negli spazi più terribilmente quadrati
sanno trovare dei cantucci propizi”23.
“Ogni angolo in una casa, ogni cantone in una camera, ogni spazio
ridotto in cui piace andare a rannicchiarsi, a raccogliersi su se stessi, è
per l’immaginazione, una solitudine, vale a dire […] il germe di una
casa”24. Secondo Bachelard, persino “l’ombra è un’abitazione”25 .
“Negli angolini ritroviamo il riposo, la pace, il ritorno all’infanzia: tutti i
luoghi del riposo [, tutti gli spazi amati] sono materni”26.
Tornando allora alla ciotola di legno descritta da Tanizaki, il brodo
nell’oscurità impenetrabile del fondo è un riferimento al liquido amniotico
e all’embrione che si “agita quasi impercettibilmente” al suo interno, quindi
alla vita. Al tempo stesso però la ciotola è a sua volta delicata e preziosa
come il “corpicino di un neonato” sorretto dalle mani di una madre che ne
preserva il calore vitale. Il riferimento alle mani e alla bocca ci riportano
alla mente il gesto affettuoso e il “prendersi cura” – come direbbe
Heidegger27 – della madre che accarezza e bacia il proprio bambino: “amo
il legno laccato […] ne amo il peso; ne amo il tepore”.
Ci troviamo dunque di fronte ad un oggetto – o per meglio dire ad un
corpo - che contiene un altro corpo, e che a sua volta è incluso in un altro
G.Perec, Specie di spazi, 1989, pp.105-106
“Se ci si sottomette alla forza ipnotica di queste espressioni, ecco che
ci si colloca completamente nella rotondità dell’essere, che si vive nella
rotondità dell’essere come la noce che si arrotonda nel suo guscio. […]
Diremo allora, das Dasein ist rund, l’essere è rotondo. Ma questo non
significa che necessariamente [la nostra casa] debba essere di forma
geometrica rotonda: la sfera del geometra [infatti] è una sfera vuota”29,
mentre “per i grandi sognatori di angoli, di buchi, niente è vuoto”. Così
come per il piccolo e il grande, “la dialettica del pieno e del vuoto non
corrisponde che a due irrealtà geometriche. La funzione di abitare
congiunge il pieno ed il vuoto: un essere vivente riempie un rifugio
vuoto e le immagini abitano, tutti gli angoli sono affollati”30, così come
“tutti gli armadi sono pieni”31.
La casa archetipa è concettualmente rotonda, un grembo materno,
fondo “anche il nostro [stesso] corpo è un nascondiglio”32.
macrocosmi.
Per questo Bachelard include anche l’immagine del rotondo tra gli “spazi
ritiene ben nascosto quando ci rifugiamo in un angolo. […] l’angolo è la
amati”: “Il grido rotondo dell’essere rotondo arrotonda a cupola il cielo.
casa dell’essere”33 e a sua volta la casa è “il nostro angolo del mondo, e,
E, nel paesaggio arrotondato, tutto sembra riposare. L’essere rotondo
come è stato spesso ripetuto, il nostro primo universo. Essa è davvero un
propaga la sua rotondità, propaga la calma di ogni rotondità” .
cosmo”34, “la casa è una grande culla”35.
28
Niki de Sainte Phalle, Hon/Elle, Moderna Museet di
Stoccolma, 1966
potenzialmente sempre pieno, che ci accoglie e protegge mettendoci al
tempo stesso in relazione con il cosmo attraverso il cordone ombelicale. In
Ci rendiamo allora conto che tra il corpo, la casa e il cosmo esiste un
profondo ed intimo legame, un’inscindibile unità.
“Una camera immaginaria si costruisce intorno al nostro corpo che si
corpo ancora: contenitore che si fa contenuto, microcosmi entro
30
SERENAMENTE.
31
dalla piaga alla piega
Dal portone del Duomo di Palermo (fotografia:
Christina Kruml)
32
dalla piaga alla piega
Lo dice anche Joseph Rykwert quando descrive così la prima casa dell’uomo,
la “Casa di Adamo in Paradiso”: “non era intesa come un semplice riparo
contro il maltempo o […] per provvedere alla delimitazione dello spazio
fisico. [...] per la coppia che vi si riparava, era insieme un’immagine dei loro
corpi congiunti e un pegno del consenso del mondo alla loro unione. [...]
Forniva loro la mediazione tra le intime sensazioni dei loro corpi e il senso
del grande mondo inesplorato tutto intorno. […] Era pertanto, insieme,
un’immagine del corpo degli occupanti e una guida, un modello del
significato del mondo”36.
E Mircea Eliade scrive: “La casa è allo stesso tempo imago mundi e
l’immagine del corpo umano”. Nella casa il corpo “si cosmicizza”,
riproduce cioè “su scala umana, il sistema dei condizionamenti reciproci e
dei ritmi che caratterizza e costituisce un “mondo” e in definitiva determina
tutto l’universo”. E più avanti aggiunge “si abita un corpo come si abita
una casa o il Cosmo”37.
“Un’immensa casa cosmica si trova in potenza in ogni sogno di casa.
Dal suo canto si irradiano i venti, dalle sue finestre volano via i gabbiani.
Una casa a tal punto dinamica permette al poeta di abitare l’universo,
o, per dirla in altro modo, l’universo viene ad abitare la sua casa”38,
dove la casa e l’universo non sono semplicemente due spazi giustapposti,
ma si animano reciprocamente a tal punto da diventare umani: “la casa
lottava coraggiosamente. Improvvisamente si lamentò: poderosissimi
soffi la attaccarono da ogni lato con odio distinto e con tali ululati rabbiosi
che, a tratti, rabbrividivo di paura. Ma essa tenne duro. Fin dall’inizio della
tempesta, venti ringhiosi se l’erano presa col tetto, tentando di strapparlo,
di rompergli la schiena, di farlo a pezzi, di aspirarlo. Esso invece incurvò
la schiena e si aggrappò alla vecchia ossatura. Allora sopraggiunsero
altri venti, e, avventandosi rasente il suolo, piombarono contro i muri.
Sotto l’urto impetuoso tutto sembrò cedere, ma la casa flessibile, dopo
essersi piegata, riuscì a resistere alla belva. Essa era certamente collegata
al suolo dell’isola con radici infrangibili, donde proveniva una forza
soprannaturale alle sue sottili pareti di canne arricciate e di tavole.
Fu inutile insultare gli scuri e le porte, pronunciare inaudite minacce,
strepitare nel camino: l’essere già umano in cui riparavo il mio corpo non
cedette in nulla alla tempesta. La casa si strinse a me, come una lupa, ed
a tratti io sentivo il suo odore scendermi maternamente fino al cuore. Essa
fu davvero mia madre, quella notte. […] Una tale casa chiama l’uomo ad un
eroismo cosmico, è strumento per affrontare il cosmo”39.
Viene alla mente l’immagine bachelardiana della chiesa di Notre Dame de
Paris che viene a stringersi attorno al suo abitante Quasimodo a tal punto
da costituire con esso un’unità: “Per Quasimodo la cattedrale era stata
successivamente l’uovo, il nido, la casa, la patria, l’universo. Si potrebbe
quasi dire che ne avesse assunta la forma come la chiocciola prende
la forma del suo guscio. Era la sua dimora, il suo buco, il suo involucro.
[…] Egli vi aderiva in qualche modo come la tartaruga alle sue scaglie. La
rugosa cattedrale era il suo carapace”40.
Analogamente “lo strumento che impone al nido la forma circolare altro
non è se non il corpo dell’uccello: girandosi costantemente e comprimendo
il muro da ogni parte, l’uccello arriva a formare quel cerchio”. La sua casa è
“costruita dal corpo, per il corpo, suscettibile di prendere dall’interno
la propria forma, come un guscio, in una intimità che lavora fisicamente.
[…] La casa è la persona stessa, la sua forma ed il suo sforzo più
immediato, quasi la sua sofferenza”41.
“Se l’abitazione [allora] venisse lavorata alla maniera in cui Michelet
pensa al suo nido, non si indosserebbe un vestito fatto in serie […], ma si
avrebbe la casa personale, il nido del nostro corpo rivestito a nostra
misura”42.
Per questo il vestito può essere considerato “una casa-contenitore del
corpo o un guscio che l’avvolge e protegge, per cui a sua volta la casa è
pensabile come vestito del corpo, facendo emergere la stretta relazione
che intercorre tra [ornamento del] corpo e [ornamento in]
architettura”43.
William Dieterle, The Hunchback of Notre Dame, film del 1939
“PERCHÉ ESISTONO COSÌ TANTE PERSONE CHE SI LASCIANO REALIZZARE
IL NIDO “DIVENTA IN UN ISTANTE IL CENTRO DI UN UNIVERSO, IL DATO DI
I LORO ABITI SU MISURA, MA NON LE LORO CASE? … INDOSSANO UNA
UNA SITUAZIONE COSMICA. SE SOLLEVO CAUTAMENTE UN RAMO, ECCO
CASAABITO HAUSKLEID CHE SIGNIFICA LETTERALMENTE ‘ABITO DA CASA’
CHE SCORGO UN UCCELLO CHE STA COVANDO LE UOVA: È UN UCCELLO CHE
GIÀ PRONTO INVECE DI FARSELO ADATTARE AL PROPRIO CORPO! E NON SI
NON VOLA VIA, FREME SOLTANTO UN PO’ ED IO TREMO DI FARLO TREMARE
VERGOGNANO?”
…, TORNERÒ DOMANI, OGGI IN ME È UNA GIOIA”.
(M.H. Baillie Scott, Häuser und Gärten, 1912)
(G.Bachelard, Poetica dello spazio, 1999, pp. 118-120)
33
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
“POSAI UNA GIARA NEL TENNESSEE,
F. Kiesler, Shrine of the Book, Gerusalemme 195765: “il santuario sarà come un’anfora. Una vecchia
anfora per il vino a doppia curva parabolica. La
parabola inferiore, sporgente dallo scavo nella terra
– il contenitore, “il recipiente”. La parte superiore
della parabola, la parte per versare, il collo aperto, la
bocca che esala e inala spazio. Si pensi ad una giara”
(F.Kiesler, Inside the Endless House, p.325).
Ma il riferimento è anche al seno materno con il suo
latte bianco.
ED ERA TONDA, SOPRA UN COLLE
Note
OBBLIGÒ LA SCIATTA SELVA
A CIRCONDARE IL COLLE.
LA SELVA SORSE ALLA SUA ALTEZZA,
ATTORNO ADAGIATA, NON PIÙ SELVAGGIA.
LA GIARA ERA TONDA SULLA TERRA
E ALTA E BEN PORTANTE IN ARIA.
PRESE A DOMINARE TUTTO.
(pag. a fianco poesia di W.Stevens, Aneddoto della
giara, pubblicato in Harmonium. Poesie 1915-1955,
Einaudi, Torino 1994, p. 99, cit. in R. Pogue Harrison,
Il dominio dei morti, 2004, p. 22)
LA GIARA ERA GRIGIA E SPOGLIA.
NON SAPEVA DI CESPO O UCCELLO,
COME NIENT’ALTRO IN TENNESSEE”.
“L’UTILITÀ DI UNA BROCCA CONSISTE NEL VUOTO NEL QUALE L’ACQUA PUÒ ESSERE VERSATA,
E NON NELLA FORMA O NEL MATERIALE DI CUI È FATTA. IL VUOTO È ONNIPOTENTE PERCHÉ
CONTIENE OGNI COSA. SOLO NEL VUOTO IL MOVIMENTO È POSSIBILE”.
(K. Okakura, Lo zen e la cerimonia del tè, 1997, p. 35)
1
Junichiro Tanizaki, Libro d’ombra, Bompiani, Bologna 2005
(ed.orig. In’ei raisan, 1935), pp. 32-35
2
Robert Pogue Harrison, Il dominio dei morti, Fazi Editore, Roma
2004, p. 22
orig. La poétique de l’espace, Presses Universitaires de France,
19
G. Bachelard, Poetica..., op. cit., p. 60
1957), cap. 7 La miniatura, p.182
20
9
Florentine Sack, Das offene Haus. Für eine neue Architektur,
Jovis Verlag, Berlin 2006, p. 21: “wer mit sich allein sein kann
Ivi, cap. 1, La casa. Dalla cantina alla soffitta. Significato della
capanna, p. 25
und sich eins mit seiner Umgebung fühlt, für den gibt es keinen
10
Ivi, cap. 7 La miniatura, p. 182
11
Grund, sich einsam zu fühlen, wil er nicht isoliert, sondern immer
Ivi, p.174
12
verbunden sein wird” (per colui che ha la capacità di stare da solo
Ivi, cap. 3, Il cassetto, le cassapanche e gli armadi, p.105
13
e sentirsi tutt’uno con il suo intorno, non c’è ragione di sentirsi
Ivi, p.110.
14
perso dato che non sarà mai isolato, ma sempre legato). Si noti
Ivi, cap. 7 La miniatura, p.178
15
la differenza tra i due termini tedeschi all-ein, che contiene in sé
Venezia il 1 ottobre 2007.
Ms 254, foglio 16, in Wolfgang Hermann, Gottfried Semper.
il rapporto tra il tutto (all) e l’unità (ein), e ein-sam che invece si
5
Originariamente nella lingua giapponese le parole “wabi” e
Architettura e teoria, Electa, Milano 1990 (ed. orig. Basel 1978),
riferisce all’essere singolo; mentre la parola ver-bunden deriva
“sabi” avevano significati negativi e distinti, l’uno indicante
p. 109. Già in Theorie des Formell-Schönen aveva scritto “Una
da binden che significa legare e dunque richiama alla mente la
i disagi di una vita solitaria lontano dalla società, l’altro
differenza fondamentale fra i due canoni, quello greco e quello
tessitura, ma anche la corda, e in senso più ampio il cordone
riferito a qualcosa di freddo, scarno o avvizzito. Verso il XIV
gotico, sta nel fatto che l’uno individua nelle proporzioni
ombelicale.
secolo il significato dei due termini cominciò ad assumere
della figura umana il proprio modello, l’altro il proprio metro
21
una connotazione positiva e l’isolamento dell’eremita venne
di misura”. Ms 175, foglio 15, in W.Hermann, op. cit., nota 82 a
soffitta. Significato della capanna, pp. 41-44
considerato un’opportunità di arricchimento spirituale con
p.110
22
Ivi, p. 29
inclinazioni poetiche. Oggi “wabi” fa riferimento a un cammino
16
23
Georges Perec, Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino 1989
spirituale, all’interiorità, ad eventi spaziali; “sabi” invece a
Bachelard, Poetica..., op.cit., cap. 1, La casa. Dalla cantina alla
(ed. orig. 1974), p.34
oggetti materiale, all’esteriorità, ad eventi temporali. È tuttavia
soffitta. Significato della capanna, p. 64
24
G. Bachelard, Poetica..., op. cit., cap. 6 Gli angoli, pp. 160-161
impossibile darne una definizione chiara ed esplicita poiché
17
25
Ivi, cap. 5 Il guscio, p.156
le sue caratteristiche peculiari sono proprio quelle di essere
cassapanche e gli armadi, p.109.
26
G.Bachelard, La terra e il riposo. Le immagini dell’intimità, Red,
misterioso, sfuggente, ineffabile. Vedi Leonard Koren, Wabi-Sabi
La raduna è un termine che compare anche in Martin Heidegger,
Como 1994, pp. 91-115, cit. in Stefano Malpangotti, Gaston
per artisti, designer, poeti e filosofi, Ponte delle Grazie, Milano
quando in Lettera sull’umanesimo (1946, in Segnavia, Adelphi,
Bachelard. Sull’architettura, Testo & Immagine, Roma 2004, p. 51
2002
Milano 1987) parla di una Lichtung che l’uomo incontra nel suo
27
6
L. Koren, op. cit., p.57
“cammino verso il linguaggio”. Vedi G.Vattimo, Introduzione a
per una conferenza sull’uomo e lo spazio tenutasi presso la
7
Ivi, p.50
Martin Heidegger, Laterza, Roma-Bari 1981
Facoltà di Architettura dell’Università di Darmstadt nel 1951 e
8
Gaston Bachelard, Poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1999 (tit.
18 Ivi, cap. 4, Il nido, p.116
pubblicato in Saggi e discorsi, Mursia Editore, Milano 1991
3
Juhani Pallasmaa, Gli occhi della pelle, Jaka Book, Milano 2007
(ed. orig. 2005), p. 77
4
Citazione sentita da James Turrell in occasione del suo
conferimento della Laurea honoris causa in Architettura del
Paesaggio tenutasi presso la Facoltà di Architettura IUAV di
34
R.M. Rilke, Choix de Lettres, ed. Stock, 1934, p.15, cit. in Gaston
G. Bachelard, Poetica..., op. cit., cap. 3, Il cassetto, le
G.Bachelard, Poetica..., op. cit., cap. 1, La casa. Dalla cantina alla
Martin Heidegger, Costruire, abitare, pensare, saggio scritto
28
G. Bachelard, Poetica..., op. cit., cap. 10 la fenomenologia del
rotondo, p.255-58
29
Ivi, cap. 10 La fenomenologia del rotondo, p.258
30
Ivi, cap. 6 Gli angoli, p.166
31
Ivi, Introduzione, p. 27
32
G.Bachelard, La terra e il riposo, op. cit., pp. 91-115, in S.
Malpangotti, Gaston Bachelard, op. cit., p. 58
33
G. Bachelard, Poetica..., op. cit., cap. 6 Gli angoli, pp. 160-161
34
Ivi, cap. 1, La casa. Dalla cantina alla soffitta. Significato della
capanna, p.32
35
Ivi, p.35
36
Joseph Rykwert, La Casa di Adamo in Paradiso, Mondadori,
Milano 1977 (ed. orig. 1972), p. 217
37
Mircea Eliade, Sacro e Profano, Bollati Boringhieri, Torino 1984,
p. 112
38
Henri Bosco, Malicroix, p.105 e segg., cit. in G. Bachelard,
Poetica..., op. cit., cap. 2, La casa e l’universo, p. 77
39
Bachelard qui si rifà al racconto della casa nella tempesta
chiamata La Redousse in Henri Bosco, Malacroix. Vedi G.
Bachelard, Poetica..., op. cit., cap. 3, La casa e l’universo, pp.
70-75
40
Victor Hugo, Notre Dame de Paris, 1831, cit. in G. Bachelard,
Poetica..., op. cit., Capitolo 4 Il nido, p.115
41
J.Michelet, L’oiseau, IV ed, 1858, p.208, cit. in G. Bachelard,
Poetica..., op. cit., Capitolo 4 Il nido, p.125.
42
G. Bachelard, Poetica..., op. cit., cap. 4 Il nido, p.126
43
Eleonora. Fiorani, Abitare il corpo: la moda, Lupetti, Milano
2004, p. 16
35
dalla piaga alla piega
“O
GNI FORMA DI ORNAMENTO È UN’ESPRESSIONE DI GIOCO, CHE PER ESSERE PRODOTTO E GODUTO
ABBISOGNA DI TEMPO E QUINDI DI TRANQUILLITÀ.
PER
QUESTO TUTTI GLI ORNAMENTI DEL
PASSATO HANNO UN ECCEZIONALE EFFETTO CALMANTE (SI PENSI AI TAPPETI ORIENTALI PER
ESEMPIO), MENTRE TUTTI GLI OGGETTI PRODOTTI INDUSTRIALMENTE FANNO PERCEPIRE IMMEDIATAMENTE E
CI TRASMETTONO IL SENSO DELLA FRENETICITÀ CON LA QUALE SONO STATI REALIZZATI”1.
MA - SI CHIEDE BACHELARD - “SI HA IL TEMPO, IN QUESTO MONDO, PER AMARE LE COSE, PER VEDERLE
DA VICINO, QUANDO GODONO DELLA LORO PICCOLEZZA?”2. FRANK RISPONDEREBBE: “NOI ABBIAMO MOLTO
TEMPO E MOLTA POCA CALMA3.
“
“CI SONO COSE CHE TI SEGUONO SEMPRE, DOVUNQUE TU VADA PICCOLE
COSE, NINNOLI, AMULETI O SEMPLICI SOPRAMMOBILI, OGGETTI UTILI,
MATITE, PENNE, GOMME, CHE DIVENTANO, COL PASSARE DEL TEMPO,
VERE E PROPRIE PRESENZE, INDISPENSABILI COMPAGNI DI SOSTA”.
(M.Belpoliti, Tavolo di notte, in A. Borsari, Georges Perec, 1993,
pp.18-19). Sopra Frederic Marès, Museo sentimentale,
Barcellona, da G.Bruno, Atlante..., 2002, p.116
Mutazioni transumane che fanno saltare le
tradizionali distinzioni dualiste tra organico e inorganico,
pelle e intonaco, corpo e architettura. (M.Canevacci Ribeiro,
Una stupita fatticità..., 2007, p.53)
Il gioco e
l’ornamento
Che cosa significa esattamente la parola “abitare”? “Siamo alle prese con
un fenomeno che ci appartiene troppo intimamente perché sia possibile
spiegarlo fino in fondo”4.
“Abitare è, in un modo o nell’altro, penetrare nel cuore dell’abitazione,
scandagliarne i confini estremi, individuarne i recessi, costruire una
laboriosa stratificazione di cose, risorse, certezze, memorie. Prima la
cavità architettonica, poi quella dei mobili: l’abitante scava, fruga, colma,
ripone o espone, nasconde o porta alla luce, in un incessante andirivieni
tra il fondo e la superficie”5.
Secondo Galimberti abitare “è sentirsi a casa, ospitati da uno spazio che
non ci ignora, tra cose che dicono il nostro vissuto, tra volti che non c’è
bisogno di riconoscere perché nel loro sguardo ci sono le tracce dell’ultimo
congedo. Abitare è sapere dove deporre l’abito, dove sedere alla mensa,
dove incontrare l’altro, dove dire è u-dire, rispondere è cor-rispondere.
Abitare è trasfigurare6 le cose, è caricarle di sensi che trascendono la
loro pura oggettività, è sottrarle all’anonimia che le trattiene nella loro
“insietà”, per restituirle ai nostri gesti “abituali” che consentono al nostro
corpo di sentirsi tra le “sue cose, presso di sé”.7
A proposito Remotti8 ci ricorda come nel termine abitare, derivante dal
latino habito che a sua volta è un frequentativo di habeo-avere, si inscrive
anche l’idea dell’abitudine, della consuetudine, del gesto quotidiano, a sua
volta collegato al latino habitus che significa aspetto, forma del corpo,
atteggiamento ma anche abito, maniera di vestire. Ma questa “quotidianità
fatta di gesti minuti e irriflessi, eppure densi di memorie”, non sono
semplicemente frutto della “meccanicità della reiterazione”: l’abitudine ci
impone cerimonie e rappresentazioni, innumerevoli mitologie quotidiane,
che “si costruisc[ono] in realtà giorno per giorno”9.
“Strofinando un vecchio mobile, sentiamo nascere, al di sotto della dolce
abitudine domestica, impressioni nuove. La coscienza ringiovanisce
tutto. Essa conferisce agli atti più familiari un valore di inizio, domina
la memoria. […] crea un nuovo oggetto, accresce la dignità umana di un
oggetto, inserisce l’oggetto nello stato civile della casa umana. […] Gli
Sophie Calle, The Hotel Room 28,
1981, Tate Gallery, London
37
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
oggetti così accarezzati nascono davvero da una luce intima e si portano
ad un livello di realtà più elevato degli oggetti indifferenti, degli oggetti
definiti dalla realtà geometrica. [...] Da un oggetto all’altro, nella camera,
le cure domestiche tessono legami che uniscono un antichissimo
passato al giorno nuovo. La donna di casa risveglia i mobili
addormentati. […] Attraverso le cure del ménage, viene resa alla casa
non tanto la sua originalità, quanto la sua origine”10.
Quando compiamo i nostri gesti abituali non facciamo altro che riproporre
in piccolo quella domesticazione dello spazio che l’uomo primitivo cercava
trovandosi di fronte al kaos del mondo, prendendo coscienza del suo posto
nell’universo e dando un senso al ciclo inevitabile della vita e della morte.
Nel Prolegomenon a Der Stil l’architetto tedesco Gottfried Semper parla di
un “istinto cosmogonico” che spinge l’uomo, “circondato da un mondo
pieno di meraviglie e di forze, la cui legge […] non potrà mai decifrare”
a crearsi un piccolo “mondo in miniatura”, in modo “che egli crede di
percepire nel singolo (im Einzelnen) l’armonia del tutto (des Ganzes)”11.
Essendo “un essere carente (Mangelwesen)” perché mortale, l’uomo è
“destinato ad essere un Prometeo che compensa il proprio disadattamento
naturale alla natura creando una ‘seconda natura’, la cultura”12. E’ spinto
cioè a lasciare un segno a testimonianza della sua presenza nel mondo
Antonio Averlino Filarete, Adamo che si ripara il
capo dalla pioggia, dal Trattato di architettura,
1461-64.
e per questo incide, segna, marchia, separa, scava, non solo sulla terra
su cui abita, ma anche sulla propria pelle.
Tanto è vero che in greco ordinare, organizzare, adornare si indicano
con il termine kosmeso, da cui poi deriva la parola cosmo ma anche
cosmetica, mentre in latino si traducono con il termine ord(i)no da cui
orno e ornatus e dunque ornamento13. E lo stesso termine cultura deriva
dal verbo latino colere che ha il duplice significato di coltivare un campo,
da cui poi abitare un luogo, ma anche ornare il corpo: “il corpo viene ornato
[con la stessa “cura”14 di] come si coltiva un campo”15.
Non a caso Semper fa rientrare tutti gli ornamenti, anche quelli
architettonici, nelle tre categorie del pendente, dell’anello e dell’ornamento
direzionale, a cui fa corrispondere rispettivamente il principio della
simmetria, della proporzione e della direzione16. “L’architettura si è
[infatti] sempre servita di una serie di elementi decorativi, sia per mettere in
risalto il rapporto armonico tra le varie parti dell’opera, accentuandone
38
modellava sulle possibilità del corpo, e il corpo si orientava nel
mondo tramite quella rete di simboli con cui aveva distribuito lo spazio,
il tempo e l’ordine del senso. Mai quindi il corpo nella sua isolata singolarità
Leni Riefenstahl, People of Kau, 1970
Scarnification da scar, cicatrice. In M.Canevacci,
Stupita fatticità, 2007, p.45
[einsam], ma sempre un corpo comunitario, per non dire cosmico, dove
avveniva la circolazione dei simboli e dove ogni singolo corpo [allein]
trovava, proprio in questa circolazione, non tanto la sua identità, quanto il
suo luogo”19, la sua abitazione.
Gli amuleti, i gioielli20, i tatuaggi, le cicatrici, le maschere, ecc., erano simboli
sociali “mediante i quali i corpi dei primitivi traducevano simbolicamente
gli eventi della natura (come la nascita, la morte, la malattia, i fenomeni
metereologici,...) in significati culturali”21 segnando e testimoniando i
vari passaggi subiti dall’iniziato nei vari riti di iniziazione e dunque la
metamorfosi che l’individuo subiva per raggiungere la maturità22. Il loro
corpo a procedura ultimata non poteva più essere quello che era in origine,
ma doveva subire un profondo cambiamento, morire e rinascere. “La
divinità metteva a disposizione il proprio corpo che veniva smembrato,
spezzato, sbranato, in modo tale che dai suoi frammenti potessero
rinascere i vari elementi dell’universo”23.
L’ornamento dunque “trasforma[va] la pelle in tessuto e decorando,
la separazione e insieme la reciproca implicazione; sia per esprimere il
nesso tra l’opera e l’ambiente circostante, l’universo in cui essa si inserisce;
sia infine per illustrare la funzione, lo scopo dell’opera nel suo complesso o
nelle singole parti”17.
Un tempo infatti l’ornamento faceva parte di una ritualità cosmologica
per la quale non esisteva quella distinzione tra anima e corpo, spirito e
materia, quale è venuta a crearsi a partire da Platone (mondo delle idee/
mondo della materia) e più ancora con il Cristianesimo (Dio/uomo)18.
modifica[va] il corpo nella sua interezza e non solo in superficie”24.
Lo stesso termine “tatuaggio” deriva dal vocabolo tahitiano “Tau” che
significa sia “disegno battuto” in riferimento al suono prodotto dai primitivi
strumenti a percussione durante il rito, ma anche “ferita”25 ed è analogo
alla traccia lasciata nel terreno dall’aratro: essi delimitano uno spazio
togliendolo dal nulla, dall’infinito, gli attribuiscono una dimensione
definendo un recinto.
Per l’uomo primitivo, come ci informa Galiberti, “il corpo era il centro
primigenio, quello che fondava lo spazio cittadino, che disegnava
di quell’irradiazione simbolica per cui il mondo naturale e sociale si
l’orizzonte della città; è anche la linea che separa la città dalla campagna,
“Per il mondo latino la traccia del vomere è il solco originario,
39
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
“E’ sempre come tomba che si elabora la cultura. La tomba non è altro che
il primo monumento umano”31. “Se troviamo un tumulo nella foresta,
lungo sei piedi e largo tre, a cui con la vanga è stata data la forma di una
piramide, allora diventiamo solenni, e qualcosa ci dice: qui è seppellito
qualcuno. Questa è architettura!”32.
Gli ornamenti sarebbero perciò in realtà “trópoi di un evento violento
che essi ricordano e al tempo stesso nascondono”33, sono “segni primordiali
della mortalità umana”34, luoghi privilegiati di manifestazione del simbolico.
Attraverso essi l’uomo addomestica lo spazio illimitato e il tempo infinito
dando loro una misura umana affinché li possa comprendere e abitare.
La stessa operazione viene compiuta dal bambino quando gioca. Egli è
ancora capace di vedere le cose come se fosse la prima volta.
l’interno dall’esterno. Disegnare con l’aratro il confine significa suggellare il
rapporto tra la terra e il cielo. […] La separazione che così si crea non è
più solo tra differenti porzioni spaziali, tra luoghi differenti. La frattura che
questo primo solco stabilisce per l’uomo investe, partendo dallo spazio,
tutti i suoi differenti universi: quello religioso, separando un luogo sacro
da un luogo profano; quello temporale, individuando un prima e un dopo;
soprattutto introduce una distinzione di carattere morale tra ciò che è
“retto” e ciò che è “storto”. E così facendo, indica in maniera decisa una
direzione da seguire per rimanere dentro i limiti di una comunità e sotto
la sua protezione. […] Vi è in questa prima incisione nella terra il carattere
del sacrificio, il germe di una violenza originaria che sembra essere
inevitabile e da allora si ripete nel tempo. […] Il vomere che traccia il solco
rompe la terra, strappa le radici, sradica tutto ciò che incontra. Roma nasce
dal sacrificio, per mano di Romolo, di Remo che per scherno aveva osato
varcare, negandolo, il sacro confine appena tracciato”26.
George Hersey in Significato nascosto dell’architettura classica, sostiene
che in origine anche il tempio, la casa degli dei, era considerato “un
assemblaggio di pezzi di corpi, di oggetti e materiali eterogenei, inclusi
cibi, accomunati dal legame con la pratica sacrificale. Di tutto ciò, non
soltanto l’ornamentazione ma gli stessi elementi tettonici dell’architettura
templare rappresentavano un tropo (dal gr. tropé, il rivolgersi verso
un’altra direzione), un traslato, una metafora o, più precisamente, un
sostituto”27, dove lo stesso tropo per eccellenza, il trofeo in origine serviva
a sostituire, e in una certa misura a ricostruire, il corpo dei nemici uccisi
e sconfitti, rappresentati attraverso i loro attributi: “l’accrescimento della
G.Asplund, S.Lewerentz, The Woodland Cemetery,
Enskede, Stoccolma, 1917-40
Gina Pane, Azione sentimentale, 1973
Doris Salcedo, Shibboleth, Tate Gallery, Londra
2007
Gordon Matta-Clark, Splitting House, 1974
40
forza connesso all’atto della incorporazione era fondato sulla credenza
magica che in tal modo la forza vitale dell’animale ucciso o del nemico si
trasmettesse al vincitore”28.
Secondo Johan Huizinga “la cultura sorge in forma ludica, la cultura è
dapprima giocata”35.
“Tra i primi bisogni della giovane umanità – sostiene Semper - ci sono
infatti il gioco e l’ornamento”36, dove l’ornamento “è in effetti un
importantissimo fenomeno storico-culturale. Esso è uno dei privilegi
dell’uomo, forse il più antico di cui egli abbia fatto uso. Nessun animale
si adorna […]. L’ornamento è il primo, fondamentale passo in direzione
dell’arte”37.
Infatti “le sensazioni che di solito definiamo senso della bellezza, piacere
del bello38, godimento estetico, impulso artistico39 ecc. sono, sia pure in
una sfera più elevata, analoghe a quegli istinti, piaceri e soddisfacimenti
che condizionano il mantenimento della normale vita terrena e che,
esattamente considerati, si possono tutti ricondurre ad una pausa
temporanea dal dolore, al sollievo, o all’oblio. […] Da questi e altri
bisogni, l’uomo è spinto ad aguzzare l’ingegno per soddisfarli”40 e per fare
ciò egli prende come riferimento, pur non imitandola, “la legge creativa
della natura” in cui egli scopre “la regolarità di periodiche sequenze
“L’UOMO PRIMORDIALE TRASCESE
LA PROPRIA CONDIZIONE DI BRUTO
OFFRENDO LA PRIMA GHIRLANDA
ALLA SUA FANCIULLA. ELEVANDOSI
AL DI SOPRA DEI BISOGNI NATURALI
PRIMITIVI, EGLI
SI FECE UMANO”.
(K.Okakuro, Lo zen e la
cerimonia del tè, 1997, p.67)
spazio-temporali”, che ritrova nella ghirlanda, nella collana di perle,
negli arabeschi, nella danza eseguita in cerchio, nei suoni ritmici che
accompagnano la danza, nel colpo di remo ecc. Così sono nate la musica
e l’architettura, le due maggiori arti puramente cosmiche, non
imitative, al cui sostegno legislativo nessun’altra arte può rinunciare”41.
Già in I principi formali dell’ornamento e il suo significato come simbolo artistico,
Semper aveva sostenuto: “la tettonica come arte cosmica forma un’unica
triade assieme a musica e danza, le quali, ognuna nel proprio ambito, non
sono arti d’imitazione; pur con diversi strumenti di rappresentazione, tutte
e tre procedono tuttavia in parallelo; simile è il modo cosmico di concepire
il proprio compito, che è quello di dare espressione ideale alla materia.
[…] L’ideale della tettonica è il cosmo statico, l’ideale della musica invece
Non a caso, come ci ricorda Harrison, la parola greca per dire segno – sema
quello dinamico. Così come dietro alla statica si nasconde la dinamica,
– indica anche tomba29, mentre seppellire in senso più ampio significa
immagazzinare, preservare, conservare30.
altrettanto in architettura il movimento è latente e fa valere le proprie
leggi”. Dall’intimo legame tra queste due arti “derivano quei termini come
41
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
armonia, simmetria, analogia, euritmia e ritmo, che designano certi
caratteri della bellezza e che ricorrono identici nelle due arti”42.
“Nella distinzione fra ordine e disordine che si chiama ritmo e
armonia. […] viene dunque stabilito, con la massima evidenza, il rapporto
immediato fra gioco e musica”43.
Non a caso spielen in tedesco significa sia giocare che suonare uno
strumento.
Come pausa temporanea dal dolore, il gioco e l’ornamento “allentano la
pressione della realtà, decomprimono e alleggeriscono le cose, producono
un atteggiamento svincolato e la possibilità di muoversi”44, di danzare.
Gli ornamenti infatti, così come gli abiti, costituiscono delle estensioni
del corpo attraverso le quali “le nostre percezioni visive e tattili, vengono
prolungate fuori di noi ottenendone così un accrescimento”45.
Henri Matisse, La danse, Museum
of Modern Art, New York, 1909
“LA REALTÀ SOSPESA DAL GIOCO,
SOLLEVATA GRAZIE A QUELLA
SPECIE DI FERMAGLI CHE SONO LE
VIRGOLETTE, STESA AD ASCIUGARE 
SI DIREBBE  COME SI FA COL BUCATO,
È ANCORA VICINA MA È STATA
ALLONTANATA, E QUESTA CURIOSA
SOSPENSIONE PUÒ DIVENTARE LO
SPAZIO DI CUI ABBIAMO BISOGNO PER
MUOVERCI”.
(P.A.Rovatti, D. Zoletto, La scuola dei
giochi, 2005 p.36)
42
Tuttavia “nessuno che si occupi seriamente di gioco, e sappia davvero
giocare, si sognerebbe di considerare il gioco qualcosa di poco serio”46.
“Il gioco in sé non è comico […]. Il comico è strettamente legato alla
follia. Il gioco però non è folle”47. “Il gioco oltrepassa i limiti dell’attività
puramente biologica; è una funzione che contiene un senso […], che
significa qualcosa”48.
Come una musica o una danza, il gioco “permane nel ricordo come una
creazione o un tesoro dello spirito, è tramandato, e può essere ripetuto in
qualunque momento”49. Ha dunque – come l’ornamento - il carattere del
rito, del racconto e a sua volta ogni cosa che viene tramandata è sempre
poesia: “ il mito sorge unitamente alla poesia nella sfera del gioco, e la
fede dell’uomo selvaggio, come la sua vita tutta, è situata in quella sfera
più che per metà”50. “Si suol esprimere in poesia [infatti] quel che è sacro o
solenne”51, la poesia “è un gioco consacrato”52.
“Non appena il mito diventa letteratura, non appena viene retto cioè in uno
schema tradizionale fissato da elementi culturali” rigidi e fissi, il racconto
perde il suo carattere ludico-poetico, e quindi il suo carattere sacro, quella
“sfera immaginativa” 53 propria dell’uomo selvaggio e del bambino.
“Mentre religione, scienza, diritto, guerra e politica, in forme più finemente
organizzate di vita sociale, sembrano [così] perdere via via i loro contatti
col gioco che furono così vivi e pieni in stadi primitivi di cultura, il poetare
invece, nato nella sfera ludica, non se ne allontanerà mai definitivamente.
Poiesis è una funzione ludica”54.
Per questo Bachelard per descrivere gli spazi amati in cui viene voglia di
rannicchiarsi, parla di Poetica dello spazio e usa il termine réverie e non
metafora: mentre la metafora infatti è “un’espressione effimera priva di
radici profonde” in cui immagine e significato sono due cose separate, nella
réverie queste sono una cosa sola. Nella metafora l’immagine rischia col
tempo di perdere il proprio significato originario per diventare una vuota
raffigurazione, “indifferente: segno fra segni”55; nella poesia invece la parola
è eternamente valida, è sempre simbolo, sempre archetipo: “l’immagine
poetica ci riporta all’origine dell’essere parlante”56.
Analogamente Bachelard parla di retissement e non di semplice risonanza:
il linguaggio del poeta non viene solo imitato passivamente, ma compreso
ed interpretato: “l’essere del poeta diventa nostro. […] L’immagine
[poetica] ha toccato la profondità prima di smuovere la superficie”57.
Così come l’ornamento “modifica il corpo nella sua interezza”, il gioco,
essendo poetico, provoca un cambiamento d’essere. Giocando
il bambino crea un piccolo mondo in miniatura, trasfigura le cose
caricandole di senso e sottraendole all’anonimia, attribuisce loro una
misura umana, la propria misura. Egli perciò non imita la realtà, ma la
reinterpreta e così facendo ne crea una nuova. Non finge, ma è.
Riprendendo una citazione da un romanzo di Hughes, Bachelard scrive:
“Emily aveva giocato a farsi una casa in un angolino proprio della parte
anteriore dell’imbarcazione. […] Stanca di quel gioco, camminava senza
meta all’indietro quando le si presentò d’un tratto il folgorante pensiero
che lei era lei”. La scoperta di essere sé stessa viene trovata uscendo da
casa propria, esplorato il vasto universo rappresentato dal battello in
mezzo al mare, e rientrando nel suo piccolo mondo in miniatura: “rientrare
in casa, vale a dire rientrare in se stessa […] qui la favola dell’essere è
solidale con un gioco della spazialità”58.
“Infatti il giocare – secondo Rovatti - non è un semplice star dentro al gioco,
ma un modo assolutamente peculiare, di entrare e di uscire. […] Giocare
è essenzialmente questa esperienza dell’essere [contemporaneamente]
dentro e fuori”. “E’ il libero apprendimento della capacità di saltare da una
cornice all’altra […] di creare una distanza dalla realtà”59.
Tuttavia “questo saltellare avanti e indietro, che sembra un gioco da
ragazzi, in realtà è un gioco rischioso. Richiede agilità”60. E’ “un esercizio di
equilibrio, l’abilità di stare sulla linea o di trattenersi su quella soglia, a volte
sottilissima, che separa il gioco dalla realtà comunemente intesa”61.
Il gioco e l’ornamento hanno dunque a che fare propriamente con questa
“capacità di lasciar spazio”62, sono “produttori di spazio”: in essi “viene
incuneandosi a mano a mano il senso di un atto sacro”63 analogo
all’incidere un solco sul terreno con l’aratro o lasciare un segno sulla
propria pelle: “entro gli spazi destinati al gioco, [al rito, alla danza], domina
“COLUI CHE AVEVA CONOSCIUTO IL
MARE PROFONDO NON POTEVA PIÙ
RIDIVENTARE UN UOMO COME GLI ALTRI. E’
IN MOMENTI COME QUESTI IN MEZZO AL
DESERTO CHE NE HO LA PROVA, PERCHÉ
MI SONO ACCORTO CHE MENTALMENTE,
CAMMINANDO, RIEMPIVO DI ACQUA LA
BELLEZZA DEL DESERTO! … VIVEVO
IN UNA IMMERSIONE INVENTATA. MI
SPOSTAVO AL CENTRO DI UNA MATERIA
FLUIDA, LUMINOSA, SOCCORREVOLE,
DENSA”.
(Ph.Diolé, Le plus beau désert du monde,
cit. in G.Bachelard, Poetica dello spazio, ed.
1999 p.222)
43
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
un ordine proprio e assoluto. […] esso crea un ordine, è ordine. Realizza
nel mondo imperfetto e nella vita confusa una perfezione temporanea,
limitata”64.
La scacchiera, il campo, il tabellone, il cerchio magico, rimandono allora
all’archetipo del recinto, all’idea di essere compresi in un’ordine
cosmico.
Lucchino Gargano, Il novo et piacevole gioco
dell’ocha, British Museum, 1598
44
D’altra parte “non è forse [anche] un tessuto, anzitutto, una costellazione
di segni, e non è un tappeto una originaria delimitazione dello
spazio?”65.
Come infatti ci fa notare Sergio Bettini in Poetica [!] del tappeto orientale,
anche se solitamente consideriamo e adoperiamo il tappeto come un
semplice oggetto di arredamento, in realtà in origine esso “è insieme casa
e tempio, luogo di rifugio e luogo di preghiera”. Nel tappeto lo spazio “è il
tappeto stesso, nel quale, infatti, come in una casa, si entra”66.
“Un uso qual è quello che noi occidentali facciamo nelle nostre case dei
tappeti, sarebbe oltraggioso per i persiani di vecchio stampo: i quali per
esempio non entrano in un tappeto, senza togliersi le scarpe, non per
non consumare il
tessuto, che è resistentissimo; ma per dignità e rispetto verso ciò che il
tappeto significa”67.
“A casa mia ho un vecchio tappeto persiano […] ad una sola delle
estremità, che è poi asimmetrica rispetto all’altra, c’è un curioso gruppo
di piccole figure […] quell’estremità era per così dire la porta d’entrata del
tappeto, e quei curiosi disegni che si trovavano lì sulla soglia, e soltanto lì,
intendevano difendere dai pericoli del mondo esterno la vita e la felicità di
chi superasse quella soglia ed entrasse nel tappeto”68.
“Il bordo, quella sorta di cornice, semplice o molteplice, che lo limita tutto
intorno, indica appunto la recinzione di questo spazio, la sua chiusura”,
la delimitazione dello spazio sacro-intimo da quello profano-pubblico.
“Entro questo limite, la trama di fondo precisa ed articola la forma
dello spazio; mentre il disegno, che viene intrecciato in essa, dà forma
al tempo. Il rapporto tra le due fasi, per così dire: campo e disegno, non
è rapporto tra due elementi autonomi, giustapposti o sovrapposti; ma
rapporto di reciproca, indissolubile compenetrazione”69.
Intrecciare i fili di un tappeto persiano antico significava compire
un rituale, raccontare una storia, ad ogni colore corrispondeva un
significato simbolico: “la porpora significa potere, il bianco purezza e pace,
il rosso felicità e sincerità, il nero distruzione e rivolta, il verde resurrezione
e rinascita, il giallo grandezza e ricchezza, l’arancio devozione e fedeltà,
l’azzurro meditazione e silenzio, spesso anche lutto. […] Ma questa
simbologia, ancora generica, dei colori, si accentua poi, si precisa nei
singoli disegni […]: essi non sono affatto rappresentativi e nemmeno
decorativi: raccolgono il senso delle vicende della natura e della
vita umana, delle opere e dei giorni: ognun d’essi ha così il suo significato
Tappeto susandschird di Graf (Karabacek tav.2), da A.Riegl, Antichi tappeti orientali, 1999, XXVII
nell’ordine dell’esistenza. Quei segni che a noi sembrano soltanto motivi
geometrici, [in realtà] sono insieme figura e simbolo”70,
Non a caso Gottfried Semper ritiene il nodo - “la misura più piccola del
tappeto”71 - come “il simbolo tettonico più antico […] l’espressione per la
prima idea cosmogonica che nacque presso i popoli primitivi”72.
Lo stesso verbo syn-ballein, secondo la sua etimologia greca, significa
mettere insieme, ri-unire elementi precedentemente separati, ed è un atto
che si contrappone perciò all’azione diabolica il cui fine è invece quello
di separare, dis-unire. Il symbolon “incolla la frattura. E tale frattura
è percepita come originaria. Per questo al simbolo si affida la grazia di
essere autentico: esso ha la sua legittimazione in un passato antichissimo
che potrebbe addirittura configurarsi come archetipo. […] Per questo il
simbolo è intrinsecamente re-ligioso”73 (non nel senso istituzionale, ma
in quello etimologico di legare).
“Scoprire, attraverso il risalimento verso un passato immemoriale, forme
archetipe di produzione, riporta allo stupore originario che attiva la
mitopoiesi, apre al culto e conferisce alla creazione un carattere re-ligioso.
[…] In origine tutto è simbolo” 74.
“CI ERAVAMO FERMATI DAVANTI AD UNA
BOTTEGA, UNA SPECIE DI ANTRO, DOVE
SI SENTIVA CANTARE. … E TRA UN MARE
DI TAPPETI STESI L’UNO SULL’ALTRO,
A BLOCCHI, A PIRAMIDI, A PILE CHE
RAGGIUNGEVANO QUASI IL SOFFITTO, VIDI
UNA VENTINA DI DONNE … DAVANTI
A UN ENORME TELAIO DI LEGNO DOVE
ERA TESSUTA UNA TRAMA FITTISSIMA E
MINUZIOSA .... LE MANI DELLE DONNE
PRENDEVANO DALLA MATASSA ORA UN
FILO DI LANA ROSSA, ORA UN FILO DI LANA
NERA, ORA UN FILO DI LANA VERDE, LO
PASSAVANO, UNA, DUE, TRE VOLTE CON
UN AGO DI OSSO TRA LE MAGLIE DELLA
TRAMA E POI LEGAVANO LE ESTREMITÀ
DI OGNI FILO SUL ROVESCIO CON UN
NODO RAPIDISSIMO E FERMO … C’ERA
UNA VOCE MASCHILE CHE DAVA IL TEMA.
… QUELLO ERA IL CONDUTTORE, IL
MAESTRO”.
(S.Bettini, Poetica del tappeto orientale, in
A.Riegl, Antichi tappeti orientali, 1999, pp.
236-237).
45
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
Note
1
Josef Frank, Architettura come simbolo, a cura di Hermann
Czech, Zanichelli, Bologna 1986 (ed. orig. Architektur als Symbol.
Elemente deutschen neuen Bauens, Verlag Anton Schroll & Co,
DELL’ABBIGLIAMENTO, SPESSO NON PRESA IN CONSIDERAZIONE, È QUELLA RELATIVA ALLE SENSAZIONI TATTILI
PIACEVOLI E SPIACEVOLI CHE ESSI DETERMINANO. OLTRE CHE ESSERE INVOLUCRO ESTERNO DEL CORPO LA PELLE È LA
ZONA EROGENA PER ECCELLENZA, NONCHÉ LA SEDE DEL TATTO, IL PIÙ DIFFUSO E FONDAMENTALE DEI NOSTRI SENSI.
PER ESPERIENZA DIRETTA SI SA CHE CERTE REGIONI DELLA SUPERFICIE CORPOREA SONO PIÙ SENSIBILI AL TATTO DI
ALTRE. LA BOCCA, I CAPEZZOLI, LE ASCELLE E, A UN DIVERSO LIVELLO SENSORIALE LE PUNTA DELLE DITA, LE GINOCCHIA
E I GOMITI, NONCHÉ I PALMI DELLE MANI, E LE PIANTE DEI PIEDI, SONO AREE LA CUI STIMOLAZIONE PROVOCA,
DIRETTAMENTE O INDIRETTAMENTE, SENSAZIONI VOLUTTUOSE”.
(N.Suicciarino, Il vestito parla..., 1992, p. 76)
Giusy Barbagiovanni, Le identità del corpo. Viaggio
nell’antropologia della danza, Ananke, Torino 2006, p.9.
14
2
Gaston Bachelard, Poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1999 (ed.
1951) descrive così la “Quadruplice Cura” con cui il contadino
orig. 1957), cap. 1, La casa. Dalla cantina alla soffitta. Il significato
coltiva il proprio campo: egli “salva la terra” (la coltiva senza
della capanna, p.55
sfruttarla), “accoglie il cielo come cielo” (lascia essere la natura
3
nella sua essenza), “attende i divini come divini” (non forza le
J.Frank, Architettura come simbolo, op. cit., Irrequietezza, p. 91
Maurizio Vitta, Dell’abitare. Corpi spazi oggetti immagini,
M.Heidegger in Costruire, Abitare, Pensare (Darmstadt,
leggi della natura) e, soprattutto, lo fa con rispetto per le cose
Einaudi, Torino 2008, p.3.
perché è consapevole della propria finitezza, di essere mortale:
5
Ivi, pp.207-208
solo così infatti l’uomo è in grado di produrre un significato e
6
Il termine “trasfigurazione” è un termine che ha a che fare
quell’attenzione per le cose del mondo che non avrebbe se
con il sacro, e viene usato anche da Gottfried Semper quando
avesse la convinzione di goderne in eterno.
parla del Mysterium der Trasfiguration, del misterioso potere
15
F.Remotti, Luoghi e corpi, op. cit., p. 38
che hanno certi elementi architettonici di cambiare aspetto
16
G.Semper, Über die formelle Gesetzmässigkeit des Schmuckes
nel corso della loro evoluzione senza per questo perdere il loro
und dessen Bedeutung als Kunstsymbol, Meyer und Zeller, Zürich
significato simbolico.
1856. Vedi il glossario semperiano sulla tessitura.
7
17
Umberto Galimberti, Il corpo. Antropologia, psicoanalisi,
G.Semper, Über Baustile, conferenza tenuta a Zurigo il 4
fenomenologia, Feltrinelli, Milano 1984, p. 69
marzo 1869, cit. in Benedetto Gravagnuolo, Gottfried Semper.
8
Architettura arte e scienza : scritti scelti, 1834-1869, CLEAN, Napoli
Francesco Remotti, Luoghi e corpi. Antropologia dello spazio del
tempo e del potere, Bollati Boringhieri, Torino 1993, p. 33
1987, p. 100
9
18
M. Vitta, op. cit., p.83.
10
46
13
Wien 1931), Irrequietezza, p. 90
4
PRATICA SESSUALE GIAPPONESE DEL BONDAGE SHIBARI O KINBAKU: “UN’IMPORTANTE FUNZIONE DEI VARI ELEMENTI
Armando Editore, 1992, p.35
G. Bachelard, Poetica dello spazio, op. cit., cap. 2, La casa e
Così descrive Galimberti questa separazione tra anima e
corpo avvenuta a partire da Platone (Atene fra il V e il IV secolo
l’universo, pp. 92-95
a.C.) e poi accentuata dalla religione cristiana: “L’universo si
11
Gottfried Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen
spezza metafisicamente tra il cielo e la terra, tra lo spirito e la
Kuensten, oder Praktische Aesthetik. Ein Handbuch für Techniker,
materia, l’anima e il corpo, dove il valore sta tutto da una parte e
Kuenstler und Kunstfreunde, Erster Band: Textile Kunst, Verlag für
il disvalore dall’altra. […] All’ambivalenza simbolica [tra corpo e
Kunst und Wissenschaft, Frankfurt a.M., 1860, p. XXI, traduz. it.
anima], che non conosce valori e disvalori, subentra l’equivalente
(G. Hach e M. P. Arena) in G.Semper, Lo Stile nelle arti tecniche
generale che tutti li misura. […] Private del loro corpo, le cose
e tettoniche, a cura di A.R. Burelli, C.Cresti, B. Gravagnuolo,
non si rispecchiano più l’una nell’altra, non si scambiano tra
F.Tentori, Laterza, Roma Bari 1992, p.19
loro, ma tutte si “speculano” in quello schermo trascendente
12
Arnold Gehlen, L’uomo. La sua natura ed il suo posto nel
che è l’equivalente generale che tutte le esprime [la psyche per
mondo, Feltrinelli, Milano 1983, cit. in Nicola Suicciarino, Il
Platone, Dio per il Cristianesimo], perché lì è il loro Valore e la
vestito parla. Considerazioni psicosociologiche sul’abbigliamento,
loro trascendente Verità”. La scienza poi, a partire da Cartesio
47
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
pagina precedente: Musubi (da musubu, legare): simboli in erba annodata
che servivano a delimitare e segnare il terreno durante i numerosi riti
legati all’agricoltura nel periodo arcaico giapponese. (K.Frampton,
Tettonica e architettura..., 1995, pp. 34-36)
Corda appesa sopra alle porte di ingresso ai templi shintoisti (F.Sack.
Offene Haus..., 2006, p.20)
(filosofo francese vissuto tra il 1596 e il 1650), non ha fatto
altro che sostituire la trascendenza di Dio con la trascendenza
Meoto-Iwa, marito e moglie, due scogli uniti da una corda sacra
(shimenawa) che nella religione shintoista rappresentano la coppia di dei
Izanagi e Izanami che hanno dato origine al Giappone.
Preghiere scritte su fogli annodati agli alberi sacri (omikuji) presso i
santuari giapponesi. (F.Maraini, Giappone Mandala, 2006, p.188)
meno estesa e più semplice. Popolazioni primitive africane
decorare e dipingere. Presso la loro cultura sono le donne
importata dall’antico Egitto dove tale pratica era diffusa già da
e polinesiane si facevano tatuare segni simboleggianti il
a dover scegliere i maschi con i quali vogliono accoppiarsi
tempo, come dimostrano i numerosi reperti ritrovati, come la
molecolare, e in questo modo ha esasperato questa separazione
numero dei nemici uccisi o di ferite riportate in guerra, una
e non viceversa. Questo porta gli uomini ad un quotidiano
mummia della sacerdotessa della dea Hator, tatuata sul ventre
tra anima (res cogitans) e corpo (res extensa) arrivando a
sorta di medaglia di valore. Sul corpo di alcuni popoli primitivi
rituale che dura ore ed ore mediante il quale essi dipingono
con tatuaggi simbolo di fertilità, o le statue femminile del 1200
considerare quest’ultimo come un oggetto, una macchina,
venivano incisi non solo gli atti eroici, ma anche le malefatte
la propria pelle, persino su fronte e testa, con segni grafici
a.C aventi semplici tatuaggi al collo, esposte nel museo egizio
un cadavere da sezionare. “Ma il cadavere sezionato, svuotato,
di ladri, adulteri, debitori i cui relativi tatuaggi intendevano
spesso asimmetrici mettendo in risalto la verticalità del corpo
del Cairo.
disgregato non è il corpo, ma un modello di simulazione che
evidenziarne per sempre la colpa e mettere in guardia gli
e controbilanciandone le parti non equilibrate in modo da
26
solo un sapere che si misura sull’equivalente generale della
altri componenti del gruppo. […] In molti casi il tatuaggio
essere scelti dalle femmine durante le cosiddette danze
mentali, Mondadori, Milano 1997, pp. 6-8
morte può far passare per vera realtà del corpo”. La scienza
mirava a trasmettere un messaggio di tipo sessuale, legato
dell’amore. I Nuba infatti sono un’etnia di persone molto alte
27
dunque “recide il legame originario del corpo col mondo in
alla capacità procreativa, alltraverso il quale l’uomo poneva in
che raggiungono spesso i 2 m di altezza. Per questo - secondo
Speculazioni sull’ornato architettonico da Vitruvio a Venturi, Bruno
cui si raccoglie tutta la nostra vita, per sostituirvi l’idea chiara e
risalto la propria virilità e la donna segnalava la raggiunta età
quanto raccontava Stefano Anselmo, truccatore di professione,
Mondadori, Milano 2001 (ed. orig. 1988), p. XI
distinta dell’oggetto in sé e del soggetto come pura coscienza,
della fecondità, oppure l’appartenenza ad un uomo”. “Frequenti
ad una conferenza sull’ “Aspetto interculturale del trucco del
28
N. Suicciarino, Il vestito parla, op. cit., p.72
in cui nessuno può ritrovarsi se non astraendosi dal mondo della
sono [inoltre] gli esempi di mutilazioni fra i popoli primitivi
corpo” tenuta presso la Facoltà di Interpreti e Traduttori in via
29
Robert Pogue Harrison, Il dominio dei morti, Fazi Editore, 2004,
vita. […] Ma allora ciò che la scienza ci descrive non è la realtà
legate spesso a riti di iniziazione ai quali si sottoponevano
Filzi a Trieste il 18 marzo 2008 - le donne dei Nuba iniziano
p. 23
ma l’ipperealtà delle sue “finzioni” adeguatamente mascherate
gli adolescenti di ambo i sessi. L’asportazione delle falangi e
a massaggiare il corpo e soprattutto il naso dei bambini fin
30
dal simulacro dell’oggettività”. U. Galimberti, Il corpo, op. cit., pp.
dei denti, i buchi nelle labbra, nelle guance e nelle orecchie,
dalla nascita perché pensano in questo modo di plasmare
31
47-48 e 23-26.
così come la circoncisione o la subconcisione designavano
e affusolare il corpo. Le donne invece generalmente non si
mondo, Adelphi, 1996 (ed. orig.1983), pp.108-109
19
Ivi, pp. 18-19
il raggiungimento dell’età adulta, l’inserimento nel gruppo
truccano, ma il loro corpo viene segnato da profondi tatuaggi
32
20
Occorre distinguere tra bijoux e gioiello: mentre infatti il primo
d’appartenenza e perciò venivano esibite con orgoglio quali
che testimoniano importanti trasformazioni della loro vita: le
1972, p.255
è legato alla temporalità della moda e delle stagioni, come mero
elementi decorativi. Anche il taglio delle unghie, la depilazione,
prime decorazioni le ricevono sotto il seno verso i dodici anni
33
G. Hersey, op. cit., p. XIX
accessorio facilmente sostituibile da un altro, il gioiello - da
ed il taglio e l’acconciatura dei capelli, in quanto eliminazione
quando inizia il periodo adolescenziale, poi in concomitanza
34
E. Fiorani, op. cit., p. 7
sempre parte integrante dei riti di passaggio e delle pratiche
forzata e modificiazione artificiale di certe caratteristiche del
con il primo ciclo mestruale, ed infine dopo la nascita del loro
35
Johan Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino 2002, (ed. orig.
del dono a sottolineare la sfida contro il tempo e la morte - è
corpo, sono forme di mutilazione e deformazione, ma non
primo figlio. Quest’ultima fase è la più dolorosa poiché avviene
1973), p.55
strutturato dalla continuità e dalla permanenza, la permanenza
vengono percepiti come tali dall’uomo perché ormai da tempo
su tutto il corpo e dura perciò due giorni interi. Oggi - a causa
36
delle forme nella ripetizione e nella reinterpretazione, che ne fa
sono assimilabili alle pratiche igieniche e cure estetiche”.
dei mutamenti antropologici, religiosi ed economici avvenuti
Architectur und Sculptur bei den Alten, Johann Friedrich
un oggetto intramontabile con un valore che si arricchisce con
Vedi N.Squicciarino, Il vestito parla, op. cit., cap. 2, Forme e
negli ultimi 35 anni, fra cui la guerra durata più di 25 anni nella
Hammerich, Altona 1834, p. 3
il passare del tempo, dell’usura, l’accumularsi della memoria,
funzioni della decorazione, pp. 45-59
regione del Sudan conosciuta come Kordofan - i Nuba di Kau
37
G.Semper, Lo Stile, op. cit., p.100
proprio come l’Architettura. Vedi a proposito Eleonora Fiorani,
Un esempio è costituito dai Nuba di Kau, uno degli oltre
non si pitturano più il corpo né girano nudi.
38
Sostituisco il termine “Freude am Schönen”, che nella edizione
Abitare il corpo: la moda, Lupetti, Milano 2004, p. 212-219
cinquanta gruppi etnici appartenente alla popolazione dei
23
italiana di Der Stil (Laterza, 1992) è stato tradotto come gusto
21
U. Galimberti, Il corpo, op. cit., p. 20
Nuba–Masakin, che vive nel Sudan. Erano noti già a Erodoto
p. 21
del bello, con piacere del bello che mi sembra più vicina
“Così presso alcune popolazioni della Nuova Zelanda il
Elefantina, ma sono stati conosciuti grazie al libro People of
24
E.Fiorani, op. cit., p. 16
all’intenzione dell’autore.
tatuaggio sul viso e sul corpo era praticato dagli individui con
Kau (1970) di Leni Riefensthal, fotografa tedesca e regista di
25
Fu l’esploratore James Cook che al rientro da viaggi nei mari
39
maggior influenza nell’ambito della comunità, come segno di
film muti. I Nuba di Kau sono noti soprattutto per il loro grande
del Sud nel luglio del 1769 introdusse tale termine in Europa,
nella edizione italiana come intenzione artistica, con impulso
distinzione dagli altri i cui corpi presentavano una decorazione
culto del corpo ritenuto una vera e propria opera d’arte da
dove l’usanza di incidere la pelle con pigmenti colorati era stata
artistico.
22
48
Marco Bussagli, L’uomo nello spazio, Medusa, Milano 2005,
Piero Zanini, Significati del confine. I limiti naturali, storici,
George Hersey, Il significato nascosto dell’architettura classica.
Ivi, p. VII
René Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del
Adolf Loos, Parole nel vuoto, (ed. orig. 1962), Adelphi, Milano
Gottfried Semper, Vorläufige Bemerkungen über Vielfarbige
Come sopra, sostituisco il termine “Kunsttireb”, tradotto
49
dalla piaga alla piega
40
G. Semper, Der Stil, op. cit, p. XXI, trad. it. in Lo Stile, op. cit,
p.18
41
G. Semper, Der Stil, op. cit, p. XXI, tradotto in Lo Stile, op. cit,
p.19. Il rapporto tra musica e architettura lo si ritrova anche
in Goethe e Schelling e verrà ripreso anche da Frank Lloyd
Wright. Vedi Kevin Nute, Frank Lloyd Wright and Japan: the role
of traditional Japanese art and architecture in the work of Frank
Lloyd Wright, E & FN Spon, London 1993, p.78
42
Introduzione a Theorie des Formell-Schönen, in Wolfgang
Hermann, Gottfried Semper : architettura e teoria, Electa, Milano
1990, pp. 248-249
43
J. Huizinga, op. cit., p.188
44
P.Aldo Rovatti, Davide Zoletto, La scuola dei giochi, Bompiani
2005, p.27
45
“La più frequente forma di estensione tramite l’abbigliamento
è quella relativa all’altezza […], crea un’impressione di
imponenza e di superiorità, e suscita negli altri sentimenti
di riverente timore e rispetto. Questo spiega l’uso di molti
simboli di potere (corona, tiara, mitra, ecc.) come anche le
lunghe talari e toghe dei dignitari. [… Ma] l’estensione non si
limita solo all’altezza, ma può esprimere anche una pretesa di
spazio e distanza” come per esempio la crinolina o lo strascico.
“I simboli di dominio come lo scettro regale, il pastorale
vescovile, la bacchetta magica, assumono, dal punto di vista
della estensione corporea, il significato di prolungamento
del braccio del potere”. “Vestiti e veli ampi e sciolti, capelli che
ondeggiano al vento, catenelle e braccialetti che penzolano
e oscillano riflettono il loro ritmo sul movimento del corpo
e dall’intreccio tra movimento del corpo e movimento degli
elementi ornamentali ne può risultare una armonia di notevole
fascino estetico ed efficacia comunicativa come nel caso della
ballerina, i cui abiti fluenti sembrano enfatizzare e prolungare
i gesti del corpo” nello spazio. N.Squicciarino, Il vestito parla, op.
cit., pp. 87-89.
dalla piaga alla piega
G. Bachelard, Poetica dello spazio, op. cit., cap. 6 Gli angoli, pp.
161-162
59
P.A. Rovatti, D. Zoletto, op. cit., p.27-28
60
Ibidem
61
Ivi, p.37
62
Ivi, p.21
63
J. Huizinga, op. cit., p.23
64
Ivi, pp.13-14
65
N. Squicciarino, Arte e ornamento, op. cit., p. 8
66
Sergio Bettini, Poetica del tappeto orientale, in Alois Riegl,
Antichi tappeti orientali, Quodlibet, Macerata 1999 (ed. orig.
1891), pp. 158-176. Fa parte di un ciclo di lezioni di Estetica
tenute all’Università di Padova negli anni Sessanta e poi
ripubblicato in Andrea Cavalletti (a cura di), Tempo e forma.
Scritti 1935-1977, Quodlibet, Macerata 1996
Ivi, p. 235
ANATOMICA, CHE RESPINGE E ATTRAE INSIEME,
68
Ivi, p. 241
IL FASCINO DI CERTI EDIFICI IN ROVINA, LA CUI
69
Ivi, p. 236
FACCIATA È SCOMPARSA NELLA DEMOLIZIONE
70
Per quanto riguarda i segni v’è il nodo che indica il destino,
O IN UN CROLLO E CHE SPALANCANO PERCIÒ
il triangolo che significa la forza vitale maschile se ha l’apice in
ALLA VISTA GLI INTERNI ANCORA SEGNATI
basso, la forza vitale femminile se ha l’apice in alto; e vi sono gli
DALL’ESISTENZA DEGLI ABITANTI”. MA SPOGLIARE
emblemi animali: la potenza dell’aquila, l’industria dell’ape, la
IL CORPO ARCHITETTONICO ESPONENDO IL SUO
vanità della farfalla, la pazienza fortunata del cammello, la difesa
INTERNO, IL SUO VISSUTO, NON SIGNIFICA FORSE
del cane, la forza del leone, la crudeltà del leopardo. Il pipistrello
CONSIDERARLO “COME UN CADAVERE SUL TAVOLO
è simbolo di felicità, il pavone attira la protezione degli dei
ANATOMICO?”.
(pavone, gallo e colomba); il gallo è annunciatore di gloria, il
di un amore dolce e fedele. E poi vi sono i segni tratti dal mondo
vegetale: i simboli delle stagioni; il susino per la primavera, il loro
per l’estate, il crisantemo per l’autunno e il narciso per l’inverno;
“NON SONO RIUSCITO A PENSARE IL NULLA. COME PENSARE IL NULLA? COME PENSARE IL NULLA
altri sono di buon auspicio, come il melograno e il girasole che
SENZA METTERE AUTOMATICAMENTE QUALCOSA INTORNO A QUESTO NULLA, SENZA FARNE UN BUCO
portano abbondanza, il garofano (che è il più diffuso tra cotesti
NEL QUALE CI SI AFFRETTA A METTERE QUALCOSA, UNA PRATICA, UNA FUNZIONE, UN DESTINO, UNO
segni persiani, perché è il simbolo della felicità) la capsula piena
SGUARDO, UN BISOGNO, UNA MANCANZA, UN SOVRAPPIÙ…?”.
di semi maturi (detta comunemente cashmir), che promette
perpetua ricchezza. E vi sono gli alberi sacri: l’antichissimo
P.Aldo Rovatti, Davide Zoletto, op.cit., p.23
47
Ivi,p.9
48
Ivi,p.3
49
Ivi, p.13
50
Ivi, p.140
51
cit., p. 238
Ivi, p.149
71
52
Ivi, p.143
53
Josef Frank 1885-1967, Hochschule für angewandte Kunst, Wien
Ivi, p.152
54
1981, p.97, trad. it. Spazio e arredamento, in G.Fraziano (a cura
Ivi, p.140
55
di), Percorsi accidentali. Scritti e progetti di Josef Frank, Lint,
Christopher Alexander, Pattern Language, Oxford University
Trieste
tempi significava la sopravvivenza, ed è il simbolo della vita
futura e della speranza: segno dunque dell’ultima scadenza
del tempo umano proiettato oltre la morte. Vedi S.Bettini, op.
Josef Frank, Raum und Einrichtung, 1934, in J.Spalt, H.Czech,
72
G.Semper, Der Stil, op. cit., pp. 180-183
56
G. Hersey, op. cit., p. XXXI
73
M.Canevacci Ribeiro, Una stupida fatticità. Feticismi visuali tra
57
G. Bachelard, Poetica dello spazio,op. cit., Introduzione, pp.11-
corpi e metropoli, 2007, p.56
74
50
Huges, Un cyclone à la Jamaique, Plon, 1931, p.133, cit. in
(G.Perec, Specie di spazi, ed. 1989, p.43)
hazmà o albero della vita; e il cipresso che fin dai più remoti
Press, 1977, p. XLI
58
(M.Vitta, Dell’abitare...., 2008, pp.131-132)
G.Matta-Cark, Conical Intersect, 1975
pappagallo di successi galanti, mentre la colomba è messaggera
46
12
FORSE NASCE PROPRIO DA UNA VISIONE
67
Nicola Squicciarino, Arte e ornamento in Gottfried Semper, Il
Cardo, Venezia 1994, p. 8
51
dalla piaga alla piega
“G
LI EGIZI “TENDEVANO A RIFIUTARE TUTTO CIÒ CHE ERA TERRENO
[…] TENTARONO DI
SCALFIRLO, DI SUPERARLO PER TROVARE LA FORMA ETERNA. […] L’ABITO DIVENNE UN
BLOCCO SQUADRATO, IL MURO UN VALLO, IL CORNICIONE UNA SEMPLICE MODANATURA:
TUTTE FORME INDICIBILMENTE VUOTE CHE NON PERMETTONO NESSUN SVILUPPO VERSO UNA
SENSIBILITÀ MODERNA, POICHÉ TUTTO L’UMANO È STATO SACRIFICATO ALLA FORMA ETERNA”.
IL CRISTIANESIMO “RICHIEDEVA LA RINUNCIA ALLA FELICITÀ TERRENA ED ALLA GIOIA DEI
SENSI. […] CIÒ CHE NE RESTA ASSOMIGLIA AD UN CADAVERE SEZIONATO. AI CAPITELLI,
AI CORNICIONI ED ALLE ALTRE PARTI VENNE TOLTO TUTTO CIÒ CHE NE COSTITUIVA IL
FASCINO SENSUALE.1
“
La “Moda femminile! - Tu atroce capitolo della storia della civiltà!”2ha ridotto il ri-vestimento e l’ornamento, carichi in origine di significati
simbolici, a mera merce, legata al regno delle novità e al suo valore
commerciale, a un oggetto di durata effimera, da possedere e collezionare,
da mostrare e intercambiare, ma non da vivere e abitare.
“La moda accentua l’instabile, l’inafferrabile, l’oblio: derisione del vissuto
condotto a segni risibili, agli artifici della patina e della finta pelle, alla
grossolanità delle false apparenze. Derisione di un vero esso stesso risibile,
ridotto al proprio scheletro falsamente autenticato: l’aria vecchiotta
ostentatamente nuova, la pseudo imitazione del falso orpello imitato. […]
Parodia del
cadavere
screziato
Il contrario della moda, ovviamente, non è il demodé, il fuori moda; è
Louise Bourgeois (1911-2010)
A fianco: Hans Bellmer, La poupée, 1934
invece il presente: ciò che è, ancorato, permanente, resistente, abitato:
l’oggetto e il suo ricordo, l’essere e la sua storia”3. L’abito per la moda non
è vissuto, non reca i segni dell’usura e del vivere, esso si dissolve in pura
immagine.
Quando si smette di portare un vestito, di riempire il cassetto e i cofanetti
con i nostri ricordi, di strofinare i nostri mobili, di utilizzare gli oggetti del
quotidiano, quando si smette cioè di abitare una casa, “essi diventa[no] in
indirizzo vuoto, una bara. […] Gli abiti appesi a una gruccia hanno
solo un senso funerario, animati dalla cinestesia viaggiano con noi
come contenitori della nostra storia”4.
“La moda è certamente ciò che neutralizza più efficacemente la
sessualità. […] Un tempo santuario rimosso, ma indecifrabile nella sua
rimozione, il corpo è ormai investito esso stesso. Il gioco dell’indumento
si cancella davanti al gioco del corpo, e questo si cancella davanti al gioco
dei modelli. […] Eroso dai significati del corpo, da questa trasparenza del
corpo come sessualità e come natura, il vestito perde quell’esuberanza
fantastica che aveva presso le società primitive. Perde la sua forza di
pura maschera, è neutralizzato da questa necessità di dover significare
il corpo, si rassegna. Ma anche il corpo è neutralizzato in questa
operazione. Anch’esso perde la forza di maschera, che aveva nel tatuaggio
53
dalla piaga alla piega
Marionette del teatro giapponese bunraku:
il corpo è un unico bastone nascosto dal
kimono sotto al quale lavorano le dita
del burattinaio. Tanizaki le paragona al
corpo magrissimo delle donne dell’antica
tradizione giapponese e noi oggi alle
modelle delle sfilate di moda: “erano donne
senza quasi esistenza corporea. Di mia madre
ricordo il volto, le mani, i piedi, ma niente del
resto del corpo. […] come i bastoncini delle
marionette, imbottiti d’ovatta e imprigionati
in una sfoglia di tessuti, anche il corpo di
queste donne è soltanto una gruccia a cui
appendere abiti.
(J. Tanizaki, Libro d’ombra, 2005, pp. 62-63)
dalla piaga alla piega
e nell’ornamento. […] per l’indigeno, tutto il corpo è volto, cioè promessa
e prodezza simbolica, al contrario della nostra nudità, che è solo
strumentalità sessuale”5.
“Liberato dai segni il corpo è sessualmente disincantato, diventa
mannequin, termine la cui indistinzione sessuale dice bene ciò che vuol
dire. La/il mannequin è tutto sesso, ma sesso senza qualità. […] Nella moda
niente è più sessuato, ma tutto è sessualizzato”6.
Non a caso Walter Benjamin sostiene che la moda trasforma il corpo in
cadavere, in feticcio7, in oggetto inorganico: “la moda non è mai stata
nient’altro che la parodia del cadavere screziato, la provocazione
della morte attraverso la donna e un amaro dialogo sottovoce con la
putrefazione”8. “Ogni moda è in conflitto con l’organico. Ogni moda
accoppia il corpo vivente al mondo inorganico. Nei confronti del vivente
la moda fa valere i diritti del cadavere. Il feticismo, che soggiace al
sex-appeal dell’inorganico, è il suo nervo vitale”9, da un lato perché
trasforma il corpo in feticcio, in una somma di tanti pezzi, inorganici,
ciascuno dei quali è singolarmente oggetto di culto feticistico10, e dall’altro
perché l’oggetto di adorazione non è più tanto il corpo organico, quanto
piuttosto i prodotti della moda, le merci.
Come la moda inoltre, la morte stessa rappresenta la novità. Essa
è lo sconosciuto, ciò che improvvisamente va a destabilizzare l’ordine
mettendo in pericolo la stabilità e l’equilibrio della società.
Tuttavia tutto ciò che appare imprecisato, caotico, informe, disordinato,
senza margini e confini precisi, al tempo stesso spaventa e seduce,
possedendo il fascino del mistero, del sacro, “perché il sacro smuove ed
emerge ogni volta che accade qualcosa che non è spiegabile dalla logica
positiva” delle religioni”11.
La carne marcia infatti, in decomposizione, che torna a nuova vita a causa
del brulicare di insetti, suscita nell’uomo sensazioni ambigue di curiosità e
disgusto, fascino ed orrore, attrazione e repulsione, come l’abito Flesh
Dress dell’artista Jana Sterbak, da sempre interessata a esplorare i limiti, le
contraddizioni e le metamorfosi del corpo umano: Flesh Dress è un vestito
mutante, realizzato interamente con carne di manzo e filo di ferro; un corpo
labile ed effimero che si altera, degenera, varia di colore e di odore, dove
pelle e tessuto, corpo e vestito si fondono e sono accomunati dallo stesso
destino, quello della morte che, ci ricorda, è immanente alla vita. Tanto è
vero che le molecole di putrescina (C4 H12 N2) e di cadaverina (C5 H14 N2),
responsabili dell’odore che accompagna la decomposizione di una materia
organica, sono le stesse che producono l’odore dello sperma12.
Jana Sterbak, Vanitas: Flesh Dress for an Albino
Anoretic, 1987, 30 Kg di carne di manzo,
grasso, muscolo, filo di ferro
Orlan, 4th Surgery-Performance, Successful
Operation, 8 dicembre 1991, Paris
La scienza invece oggi, ha la pretesa di voler sconfiggere la malattia e la
morte, tentando quindi di valicare le fondamentali limitazioni del corpo
che – secondo F.A. Miglietti - distinguono proprio il concetto di umano:
“definisco come umana la specie caratterizzata dalla carne, dalla malattia,
dalla morte”13. “Oggi [infatti] a nessuno viene più in mente che l’uomo non
muore per il fatto di essersi ammalato, ma gli capita di ammalarsi perché
54
55
dalla piaga alla piega
Andres Serrano: The Morgue
Cardiac Arrest
Rat Poison Suicide II
Pneumonia Due to Drowning II
56
dalla piaga alla piega
fondamentalmente deve morire”14.
Recludendo il cadavere in laboratorio o in ospedale, la scienza ha ridotto
il corpo a mero oggetto, un “cadavere sezionato, svuotato, disgregato”,
disinfettato, sterile, congelato nei processi di decomposizione, e dunque
“recide il legame originario del corpo col mondo in cui si raccoglie
tutta la nostra vita ”15.
Quello che ci mostra l’artista Andres Serrano nelle sue fotografie sono
dettagli in primissimo piano di cadaveri ripresi in tre mesi di lavoro in un
obitorio americano dopo essere stati sottoposti ad autopsia: una mano, un
profilo, un torso, un occhio. Nessun riferimento all’ambiente circostante:
l’obitorio non viene mai mostrato, i fondi sono neutri, i dettagli ben curati,
i colori puri. “Ho il desiderio di monumentalizzare ciò che fotografo”16 dice
Serrano, e riduce così la morte a dettagli neutri ed impersonali, spoglia i
cadaveri della loro identità. Rimangono solo la carne, la pelle, i peli, le
vene, l’immobilità della morte, la solitudine di un corpo vuoto, o meglio
svuotato.
“Baudrillard osserva che [anche] nella funzione di ‘seconda pelle’ degli
indumenti aderenti, della biancheria intima, delle guaine, delle calze di
seta, dei collants, ecc. è individuabile una tendenza alla ‘vetrificazione
del corpo’. La pelle, in quanto zona erogena, porosa, forata, orifiziale
viene negata a vantaggio di questa seconda pelle non porosa, senza
essudorazione ed escrezione, climatizzata, vellutata, trasparente, liscia, che
‘come un rivestimento di cellofan’ mira alla chiusura, alla neutralizzazione
in una imperitura giovinezza di simulazione. Questa vetrificazione della
nudità viene significativamente accostata alla ‘funzione ossessiva’ di
rivestimento protettivo degli oggetti: cerati, plastificati, ecc., e del lavoro di
spazzolatura, di ripulitura, che mira a rimetterli perpetuamente in stato di
purezza, d’astrazione impeccabile – e quindi a sbarrare la loro secrezione
(patina, ossidazione, polvere), a impedire loro di crollare e a mantenerli in
una specie di immortalità astratta”17.
Corpi perfetti, muscolosi, alti, snelli, superaccessoriati con tutti gli optional
di serie, ma privati di occhi, bocche, sesso, privati della sfera emozionale,
sensoriale e riproduttiva, sono quelli che gli artisti Anthony Aziz e Sammy
Cucher rappresentano nelle loro opere. Superfici corporee lisce, rasate,
tratti distintivi completamente cancellati, la carne è sparita portandosi
Anthony Aziz, Sammy Cucher, Faith, Honor
and Beauty (Man with Laptop), 1992
via liquidi, odori, orifizi, e tutte le possibilità di interscambio e di
contatto corporeo: gli unici rapporti permessi sono quelli via internet,
virtuali, decorporati18.
Ci stiamo cioè sempre più allontanando e dimenticando dello “spazio
del vivere”, per dirigerci verso uno spazio geometrico e incorporeo, il
quale si è ulteriormente artificializzato trasformandosi nello cyberspazio
virtuale. I mezzi di comunicazione tendono a separare sempre più l’uomo
dal suo intorno spaziale, immobilizzandolo su immagini e suoni che altri
hanno raccolto e selezionato per lui precludendogli così l’esperienza del
vivere in prima persona. George Steiner addirittura prevede che “in una
società la cui sete di violenza estrema e di assassinii sullo schermo e nei
fumetti è inestinguibile [...] presto la morte stessa sarà soltanto una realtà
virtuale”19.
Il problema però non è la tecnologia in sé, perché l’uomo è sempre stato un
“homo technologicus”20: “siamo una specie che si è evoluta dagli ominidi,
che ha trasformato due arti dalla funzione di locomozione a quella di
manipolazione, due arti con i quali abbiamo costruito strumenti, macchine,
computer. […] la tecnologia è sempre stata connessa con il corpo umano,
è sempre stata un’appendice del corpo, e la tecnologia è tutto quel che
definiamo umanità: non una cosa da alieni. […] Tecnologia deriva dal
greco téchne, che significa abilità […] è un linguaggio, è cultura”21.
Infatti, che lo si voglia o no, la tecnologia è entrata nella nostra vita,
57
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
nelle nostre case, e addirittura nel nostro corpo nella doppia direzione
dell’innesto tecnologico sul corpo organico (cellulari e altri sistemi elettrici
portatili, lenti a contatto, dentiere, protesi auricolari, occhi bionici, sistemi
per il recupero delle funzioni motorie, etc.) e delle disseminazioni del corpo
nelle reti telematiche. “La comunicazione si è incollata ai corpi che a loro
volta le hanno dato la possibilità di dislocarsi, muoversi, fluttuare”22.
Il problema nasce quando la tecnologia, invece di rimanere uno strumento,
un’estensione del corpo, pretende di liberarsi da esso per diventare corpo
essa stessa.
E ce lo dimostra l’abito Télécommande realizzato dall’artista Jana Sterbak
nel 1989: il vestito di carne è ora sostituito da una macchina tecnologica,
inorganica, una sorta di crinolina di foggia ottocentesca in alluminio nella
quale è sospeso un corpo femminile. Per spostarsi la donna deve azionare
un telecomando collegato a due motorini applicati alla struttura metallica:
sembrerebbe un meccanismo perfetto di integrazione tra uomo e macchina
liberando il corpo dalla fatica fisica, ma nel momento che il telecomando
viene azionato dall’esterno e la donna perde il proprio controllo sulla
macchina si vede quanto l’abito da tessuto che avvolge e protegge il corpo
accrescendolo sia diventato una veste estranea, una prigione.
Allo stesso modo anche la nostra casa-abito ci è diventata ostile, inospitale,
case inabitabili
Jana Sterbak, Télécommande 1989, alluminio
Robert Gober, X Playpen,1987
Rachel Whiteread, House, 1993
58
proprio a causa “della pretesa di abitare un mondo che è corporeo
e terreno, con un pensiero puro [e tecnologico] dimentico del
corpo”23.
STELARC
“IL CORPO COSÌ COM’È NON È PIÙ IN
GRADO DI VIVERE ADEGUATAMENTE
Involuntary Body/Third Hand: vestito elettronico che “serve ad amplificare le onde cerebrali, i
UNA REALTÀ CHE SI STA EVOLVENDO
muscoli, il battito cardiaco, le pulsazioni e la circolazione sanguigna. Opportuni macchinari
A VELOCITÀ INCONTROLLABILI”.
rilevano i dati relativi a queste amplificazioni, mentre altri indicano il movimento degli arti e la
postura del corpo. Contemporaneamente una terza mano artificiale è fissata al braccio destro,
come elemento aggiuntivo e si muove indipendente, attivata dai movimenti dei muscoli
(F. Alfano Miglietti, Identità mutanti...,
1997, p. 136)
addominali e della gamba. Il braccio sinistro vero è invece comandato a distanza da stimolatori
muscolari ovvero elettrodi posizionati sui muscoli flessori e sul bicipite che fanno piegare le
dita verso l’interno, fanno muovere il polso e spingono il braccio verso l’alto.
La coreografia che costituisce la performance è data dalla combinazione di movimenti volontari
e non, corporei e meccanici, segnali luminosi, sonori e scariche elettriche come manifestazioni
dei ritmi del corpo.
Body Suspensions, 1976-88: serie di 27 azioni in cui il corpo viene appeso con dei ganci metallici
penetrati nella pelle e lasciato fluttuare all’interno di spazi e gallerie, accompagnato dal rumore
prodotto dall’amplificazione dei suoni del suo corpo.
Stomach-Sculpture, realizzata nel 1993 con un chirurgo di Londra, Charles Akle, è una capsula
di 5 cm x 5 mm, munita di una telecamera, un segnalatore acustico piezoelettrico e una luce
lampeggiante (luce e suono sono sincronizzati), in grado di aprirsi e chiudersi in tre sezioni e
di estendersi nello stomaco tramite un congegno collegato a un servomotore e controllato
da un circuito logico. Lo stomaco viene svuotato dei liquidi in eccesso e con un endoscopio a
fibre ottiche e una sonda la capsula viene inserita e guidata all’interno dal cavo flessibile. Una
volta all’interno, si apre liberando dei componenti magnetizzati che si dispongono in un ordine
voluto, formando una scultura in oro, argento, titanio e acciaio.
59
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
Ma il corpo non è un “ostacolo da superare”, una “prigione per l’anima”
come riteneva Platone, bensì “il mio corpo, lungi dall’essere un oggetto in
sé, è pro-tensione verso il mondo, e il mondo è punto d’appoggio
del mio corpo” e dunque solo “conoscendo le cose del mondo il corpo
si conosce, si conosce come quell’insieme di possibilità che le cose del
mondo costantemente verificano”24.
Merleau-Ponty parla di “ontologia della carne” per la quale “il mio corpo
è fatto della medesima carne del mondo […] di questa carne del mio corpo
è partecipe il mondo, esso la riflette […] essa è pregnanza di possibili,
Weltmöglichkeit”; “la relazione tra corpi e spazio è tale che “il nostro corpo
non è nello spazio come le cose; esso lo abita o vi si aggira […]. È attraverso
di esso che abbiamo accesso allo spazio”25.
“Lo spazio corporeo [infatti] non è posizionale, non è cioè l’ambito
reale o logico in cui le cose si dispongono in base ad un sistema astratto
di coordinate presupposte da uno spirito geometrico che prescinde da
qualsiasi punto di vista, ma è situazionale, perché si misura partendo dalla
situazione in cui viene a trovarsi il corpo di fronte ai compiti che si propone
e alle possibilità di cui dispone. Il corpo, infatti, è l’unico sfondo da cui può
nascere uno spazio esterno, è il “rispetto a cui” un oggetto può apparire, è la
frontiera che non solo le ordinarie relazioni di spazio non oltrepassano, ma
da cui queste stesse relazioni si dipartono. Lo spazio omogeneo e oggettivo
della geometria acquista senso solo partendo dallo spazio orientato del
corpo da cui, per astrazione, è stato costruito, per cui il mio corpo non è un
semplice frammento nello spazio, ma per me non ci sarebbe spazio se
non avessi corpo”26.
“Non ha senso [perciò] parlare di un oggetto [isolato] in se stesso, bensì di
un oggetto in situazione, ovvero di un oggetto più il campo di forze che
esso genera in rapporto a ciò che lo circonda, in rapporto all’ambiente”27.
Riprendendo una metafora cara all’architetto Friedrich Kiesler possiamo
dire che le relazioni fra il corpo e le cose sono come un campo
gravitazionale cosmico dove le orbite dei pianeti sono in rapporto con
le rispettive masse. In quanto parte di un sistema più vasto il frammento
è un elemento incompleto, una forma aperta che trova il suo equilibrio
soltanto in rapporto ad altri frammenti. Il rapporto di distanza, di intervallo
fra le diverse parti di una galassia è un parametro fondamentale per il
raggiungimento dell’equilibrio del sistema. Questo è il principio
compositivo che determina anche l’architettura. Lo spazio non è mai
vuoto, “quasi sempre è dotato di poteri di attrazione”28.
“IL DISTANZIAMENTO FRA UN’UNITÀ
E L’ALTRA NON RIGUARDA SOLO LA
SUPERFICIE DEL MURO CUI SONO
APPESE
LE
DIVERSE
UNITÀ,
MA
ANCHE LA DISTANZA DI QUESTE DAL
MURO
STESSO
POICHÉ
ALCUNE
SONO PIÙ SPORGENTI DI ALTRE.
IN QUESTO MODO IL CAMPO DI
COINVOLGIMENTO
GALATTICO
DIVENTA TRIDIMENSIONALE”.
(F.Kiesler, Inside the Endless House,
p.21) Sopra Galaxy H, 1961, John
Shore, Cincinnati, da D.Bogner,
Friedrich Kiesler..., 1988, p.171
“MANTENERE
IL
SENSO
DELLE
PROPORZIONI FRA LE COSE E LASCIARE
SPAZIO AGLI ALTRI SENZA PERDERE IL
PROPRIO; È QUESTO IL SEGRETO DEL
SUCCESSO NEL DRAMMA TERRENO.
PER BEN RECITARE LA PROPRIA PARTE
BISOGNA
CONOSCERE
L’INTERA
OPERA; IL SENSO DELLA TOTALITÀ
NON DEVE MAI PERDERSI IN QUELLO
DELL’INDIVIDUO”.
(K. Okakura, Lo zen e la cerimonia del
tè, 1997, p. 35) A fianco Hans Bellmer
60
61
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
“
Note
1
Josef Frank, Architettura come simbolo, a cura di Hermann
Czech, Zanichelli, Bologna 1986 (ed. orig. Wien 1931), Egitto,
pp. 21-22
2
Adolf Loos, Moda femminile, in Parole nel vuoto, (ed. orig. WienMünchen, 1962), Adelphi, Milano 1999, p.109
onirico del genitale femminile.
Vedi J.C. Flügel, Psicologia dell’abbigliamento, Angeli, Milano
1982, p. 38, cit. in N. Suicciarino, Il vestito parla, op. cit., pp. 72-74
11
M.Canevacci Ribeiro, op. cit., p.187
12
Anna Barbara, Anthony Perliss, Architetture invisibili.
3
L’esperienza dei luoghi attraverso gli odori, Skira, Milano 2006,
p.28
13
Francesca Alfano Miglietti, Identità Mutanti. Dalla piega
alla piaga: esseri delle contaminazioni contemporanee, Bruno
Mondadori, Milano 2004, p. 18
14
Umberto Galimberti, Il corpo. Antropologia, psicoanalisi,
fenomenologia, Feltrinelli, Milano 1984, p. 57
15
Ivi, pp. 47-48
16
F. Alfano Miglietti, Identità Mutanti, op. cit., pp.39-41
17
J.Baudrillard, Lo scambio …, op. cit., pp. 118-119 cit. in
N.Squicciardino, Il vestito parla, op. cit., p. 78
18
F.A.Miglietti, Identità Mutanti, op. cit., pp.101-102
19
George Steiner, Grammatiche della Creazione. Una serrata
indagine sul mistero della creatività, un’eloquente e drammatica
diagnosi del nostro presente, Garzanti, 2001, p. 297
20
Homo technologicus è il titolo di un saggio scritto da Giuseppe
O.Longo e pubblicato da Meltemi, Roma 2001
21
Intervista a Stelarc in F. Alfano Miglietti, Identità Mutanti, op.
cit., p. 191. Per un approfondimento su Stelarc vedi anche Teresa
Macrì, Il corpo postorganico, Costa & Nolan, Milano 2006, pp.
148-152
22
Eleonora Fiorani, Abitare il corpo: la moda, Lupetti, 2004,
p.238
23
U. Galimberti, Il corpo, op. cit., p. 68
24
Ivi, pp. 66-67
25
Merleau Ponty, appunto del maggio 1960, in Il visibile e
l’invisibile, Bompiani, Milano 1969, pp. 260-62
26
U. Galimberti, Il corpo, op. cit., p. 74-75
27
Maria Bottero, Frederick Kiesler. Arte Architettura Ambiente,
Electa, Milano 1995, p. 12
28
Gaston Bachelard, Poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1999 (ed.
orig. 1957), Introduzione, p.25
G. Perec, Pensare/Classificare, 1989, in Joseph Rykwert, Mark
Wigley, Giannino Malossi, Ri-vestimenti, “Rassegna”, n. 73,
Compositori, 1998, pp.28-29
4
Giuliana Bruno, Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte,
architettura e cinema, Mondadori, Milano 2002, p. 290
5
Jean Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinell,
Milano 1979, in Ri-vestimenti, op. cit., pp. 30-31
6
Ivi, p. 110, cit. in Nicola Squicciarino, Il vestito parla.
Considerazioni psicosociologiche sul’abbigliamento, Armando
Editore, 1992, pp. 113-114
7
L’origine del termine “feticcio” (feitiço) si deve al modo in cui
gli esploratori portoghesi tentarono di tradurre un processo
relazionale di tipo sacrale diffuso in molte popolazioni africane,
a loro avviso definito “pagano”, “idolatra”, “magico”, e deriva dal
latino facticius che definisce qualcosa di fabbricato, di “fatto”.
In senso più generale poi, secondo un’interpretazione derivata
da Freud, il feticismo consiste nell’assegnare a un oggetto
un valore enorme, totemico, sacro. C’è poi un’accezione più
economico-politica e filosofica della parola feticismo: quella
che richiama, sulla scia dell’analisi della merce fatta da Marx,
il potere che le merci hanno di assumere un carattere mistico,
poiché sono il risultato della trasformazione in cosa, in oggetto,
del prodotto di un’attività umana. Vedi Massimo Canevacci
Ribeiro, Una stupita fatticità. Feticismi visuali tra corpi e metropoli,
Costa e Nolan, 2007, pp.185-193
8
Walter Benjamin, Passagenwerk Parigi capitale del XIX secolo,
Einaudi, Torino, 1986, p. 105 [B 1, 4]
9
Ivi, p. 124 [B 9, I]
10
Flügel scrive che “i vestiti servono non soltanto a creare
un interesse sessuale ma forse, in se stessi, intendono
rappresentare gli organi sessuali”. Egli afferma che vari elementi
dell’abbigliamento come la scarpa, la cravatta, il cappello, il
VERSO LE NINFEE SI LASCIÒ CADERE ASSUMENDO DI COLPO L’ANDATURA DI UNA FOGLIA
AUTUNNALE […] NON ERA FACILE SMETTERE DI GUARDARLA - NON SI RIUSCIVA A GUARDARE
ALTROVE - C’ERANO UN SACCO DI PERSONE, C’ERO IO, A UN CERTO PUNTO CI FU SOLAMENTE
LEI. ARRIVÒ FINO A SFIORARE LE NINFEE, POI PRESE A SCIVOLARGLI ACCANTO, REPLICANDO
LA CURVATURA DELLA PARETE, MA ARRICCHITA DI VOCALIZZI CINETICI, ACCARTOCCIATA LA
LINEA CURVA IN UNO SCARABOCCHIO A OGNI SCOSSA PIÙ AFFATICATO, RIAGGIORNATA A
OGNI ISTANTE LA DISTANZA, NON MENO INDEFINITA DELLE NINFEE, PERCHÉ DISSEMINATA IN
QUEL MOVIMENTO DALLE MILLE DIREZIONI, ESPLOSA IN QUEL CORPO SENZA CENTRO. […] E
IO, CHE PER ANNI AVEVO CERCATO DI GUARDARE QUELLE NINFEE, MAI RIUSCENDO A VEDERE
ALTRO CHE NINFEE, [...] IMPROVVISAMENTE CAPII, […] CON ASSOLUTA CHIAREZZA CAPII
CHE LEI STAVA VEDENDO - LEI ERA LO SGUARDO CHE QUELLE NINFEE RACCONTAVANO - LO
SGUARDO CHE DA SEMPRE LE AVEVA VISTE - LEI ERA L’ANGOLAZIONE ESATTA, IL PUNTO DI
VISTA PRECISO, L’OCCHIO IMPOSSIBILI.
“
Alessandro Baricco, City, Rizzoli, Milano 1999, p. 104.
Il testo si riferisce al quadro Le Nymphéas di Monet,
8 grandi quadri accostati che insieme formano una
composizione lunga 90 metri e alta 2, disposta in
una sala circolare nell’Orangerie di Parigi. Qui sotto
Martha Graham (1984-1991)
colletto ed anche capi di vestiario più grandi e voluminosi come
il cappotto, i pantaloni ed il mantello, possono essere simboli
fallici, mentre la scarpa, la cintura, la giarrettiera e la maggior
parte dei gioielli possono essere considerati simboli vaginali.
Per Sigmund Freud lo scrigno stesso, il cofanetto, è un simbolo
62
63
dalla piaga alla piega
“L
A MIA CASA, DICE
GEORGES SPYRIDAKI, È DIAFANA,
MA NON DI VETRO.
[…] I SUOI
MURI SI CONDENSANO E SI ALLENTANO SECONDO IL MIO DESIDERIO. TALVOLTA, LI STRINGO
ATTORNO A ME, COME UN’ARMATURA ISOLANTE... MA, TALVOLTA, LASCIO ALLARGARSI I MURI
DELLA MIA CASA NEL LORO SPAZIO PROPRIO, QUELLO DELLA INFINITA ESTENSIBILITÀ.
LA CASA
DI SPYRIDAKI RESPIRA, ESSA È UN ABITO FATTO DA UN’ARMATURA E SI ESTENDE ALL’INFINITO […]
ESSA È CELLULA E MONDO. LA GEOMETRIA È TRASCESA”1.
Ri-vestimento
e seduzione
“L’UOMO HA UNO SCHELETRO GOTICO ED UNA PELLE CLASSICA, MA LO SCHELETRO NON
È AFFATTO PIÙ VERO DELLA PELLE.2
“
Abbiamo visto come il gioco e l’ornamento, in quanto luoghi privilegiati
di manifestazione del simbolico, definiscono una cucitura, una giunzione,
un momento conflittuale che al tempo stesso separa ed unisce, uno
spazio-soglia. Essi ristabiliscono il legame originario con il nostro involucro,
con l’avvolgimento della placenta da cui siamo stati strappati con violenza
al momento della nascita e con il quale secondo Levi-Strauss per istinto
naturale non possiamo fare a meno di ricongiungerci. “Nell’arte figurativa
e principalmente nell’arte cosmica per eccellenza, l’architettura”, sostiene
Semper, l’ornamento “appare ovunque come essenziale elemento del
rivestimento formale (Be-kleidung)”3, dove “il [ri-]vestire è una forma
di progettazione, di simulazione del mondo, valida per la società e per
l’individuo, che si realizza in segni e oggetti attraverso cui il corpo si situa
temporalmente e spazialmente nel suo ambiente circostante”4.
L’abito in cui ci avvolgiamo, i segni che ci incidono o ci decorano, i ricordi
che riponiamo con cura nel nostro cassetto, gli oggetti che utilizziamo
e consumiamo quotidianamente, raccontano la nostra storia, mostrano
“l’usura del vivere […] porta[no] i segni della vita. In quanto abitazioni,
recano le nostre impronte”5, sono mappe – come direbbe Giuliana
Bruno - di una “geografia e-mozionale”.
Sono forme attraverso cui i nostri corpi entrano in relazione con il mondo
e tra loro, al tempo stesso quindi modi di abitare il corpo e modalità in
cui il corpo abita lo spazio.
“Il linguaggio del corpo infatti è una forma di comunicazione non verbale
che si serve principalmente dell’espressione del volto, dello sguardo, dei
gesti, dei movimenti, della postura e dell’abbigliamento”6. “Il corpo è una
struttura linguistica, ‘parla’, rivela un’infinità di informazioni anche se il
soggetto tace”7.
“Già Honoré de Balzac, anticipando i semiologi, nel 1830 affermava che
l’abbigliamento è “il più eloquente fra tutti gli stili… [è] realmente l’uomo…
il testo della sua esistenza, la sua cifra geroglifica”8.
“La filosofia del vestito è la filosofia dell’uomo. Nel vestito si nasconde
Renè Magritte, Hommage à Mack Sennet, 1934,
Musée Communal, La Louvière
65
dalla piaga alla piega
Gottfried Semper, la capanna caraibica, da
Der Stil..., vol. II, 1863, p. 276
66
dalla piaga alla piega
l’intera antropologia”9.
segnare il loro legame con la terra. Questa contrapposizione tra effimero
Uno dei primi ad occuparsi sistematicamente e scientificamente dell’arte
della tessitura e a riconoscere così un parallelismo tra ornamento del corpo
e ornamento architettonico fu Alois Riegl10, direttore del reparto tessuti
dello l’Österreichischen Museum für Kunst und Industrie (Museo austriaco
per l’Arte e l’Industria) di Vienna dal 1886 al 1897.
L’importanza del suo libro Antichi tappeti orientali (Altorientalische
Teppiche), pubblicato nel 1891 in concomitanza con la prima grande
esposizione internazionale dedicata al tappeto orientale, consistette
nel rivalutare un’abilità tecnica fino ad allora considerata minore, come
degna di essere indagata, carica di valori simbolici e frutto dell’azione
del volere artistico, il Kunstwollen11, e dunque a ragione rientrante nella
storia dell’arte universale: “nei moderni tappeti orientali a nodi è possibile
riconoscere i discendenti […] di un’arte tessile antichissima: non solo la
tecnica è primordiale, ma presenta un tratto di estrema antichità anche
il tipico contenuto ornamentale, prodotto dalla combinazione di pochi
elementi di base”12, quelli che poi l’architetto tedesco Gottfried Semper
chiamerà Urtypen, archetipi.
Fu infatti proprio Semper ad individuare in Der Stil in den technischen und
tektonischen Künsten due modalità originarie del gesto della costruzione
architettonica, il connettere e il coprire: “L’uomo pensò di organizzare
un sistema di materiali i cui requisiti dovevano essere la flessibilità,
l’elasticità e la solidità, per i seguenti motivi: innanzitutto, per allineare
e legare; in secondo luogo, per coprire, proteggere, chiudere. Tutte le
forme che scaturiscono da questi obiettivi si avvicinano ad una forma
base lineare oppure planimetrica. Le prime si adattano meglio a realizzare
l’allineamento (Reihung) e la connessione (Binden) […]; le altre, al contrario,
sono necessarie quando si vuole coprire, proteggere e chiudere. […] Tutto
ciò che è chiuso, protetto, circondato, avvolto, coperto, si presenta
come qualcosa di unitario, come insieme; al contrario, tutto ciò che è
legato si esprime come qualcosa di articolato, come pluralità. Se la forma
base di ciò che è legato è lineare, in tutto ciò che deve coprire, proteggere e
chiudere, l’elemento formale di riferimento è la superficie”.
Da una parte dunque abbiamo il legare, l’intrecciare, il congiungere
(Zusammenfügen) elementi lineari come le aste che, una volta sciolto
il nodo della giunzione (Fügung), tornano ad essere separate; dall’altra
l’avvolgere con una superficie, il coprire, il drappeggiare. Il primo gruppo
rimanda alla linea, al contorno, al limite, all’archetipo del recinto; il secondo
all’insieme, alla massa, alla macchia, al rapporto convessità/concavità, alla
piega, all’archetipo del ventre materno13.
Secondo questa distinzione Semper suddivide l’arte del costruire secondo
due procedimenti fondamentali: la tettonica dell’intelaiatura del
tetto e del recinto, e la stereotomia del basamento, l’una composta
di materiali leggeri e lineari, ma anche deperibili e quindi effimeri,
sottoposti a tensione e più vicini al cielo; l’altra fatta di materiali sollecitati
a compressione, pesanti e volumetrici, che permangono nel tempo a
e permanente, permeabile e impermeabile, trasparente e opaco,
spinge Semper a distinguere tra Wand (parete) e Mauer (muro) per cui
la prima, di radice etimologica comune con Gewand (tessuto/abito, hanno
radice comune derivante da weben e wirken che significano tessere,
intrecciare e da winden, ricamare), indica un materiale intrecciato come
per esempio un tessuto adoperato come divisorio spaziale, mentre il
secondo la struttura portante che invece viene nascosta da tale superficie
intrecciata.
“Spesso è stata trascurata l’importanza che ebbe il tappeto nella sua
caratteristica di parete, di protezione verticale, sullo sviluppo di certe forme
architettoniche . […] In tutti i popoli primitivi ricorre la staccionata in
Tomba di Midia, da G.Semper, Der Stil..., I vol.,
1860, p.429
rami intrecciati come primissima forma di recinzione o divisione
dello spazio e la più primitiva opera di intrecciatura. Solamente l’arte del
vasellame ha forse alcuni diritti a confrontarsi con la tessitura dei tappeti.
[…] Gli ornamenti più antichi sono quelli che o si formano attraverso
intrecci e annodamenti, oppure quelli realizzati modellando con le dita
la creta sul tornio. L’utilizzo di manufatti in aste intrecciate come
delimitazione delle proprietà, di stuoie e tappeti come coperte per i
piedi, come protezione dai raggi solari e dal freddo, come divisione degli
spazi interni, fu nella maggior parte dei casi precedente […] alle
pareti in muratura. […] E anche in seguito, quando le pareti di stuoie
si trasformarono in resistenti muri di mattoni crudi o cotti o di blocchi di
pietra […] mantennero in realtà l’essenza della parete intessuta
(Wand)”14.
Questo legame tra architettura e tessitura Semper lo ritrova anche nella
parola tedesca Decke15 che sta a indicare tanto la copertura quanto
la coperta, mentre gli scritti di Albert Höfer, discepolo di Wilhelm von
Humboldt, gli dimostrano come ci sia uno stretto rapporto anche tra i
termini tedeschi per dire nodo (Knote), bisogno (Not), e cucire, cucitura
(Naht), e ancora tra Zaun, recinto e Saum, orlo o bordo. Giuliana Bruno poi
ci fa notare come ci sia una corrispondenza tra abitare una casa e abitare un
Mediante l’utilizzo di un tessuto, uno spazio può
apparire fluidamente infinito, aleggiante nel vento,
mentre i diversi gradi di trasparenza permettono di
leggere la profondità e le ombre.
Shigeru Ban, Curtain Wall House Tokyo,
Giappone 1995
corpo anche nei termini inglesi address (indirizzo) e dress (vestito) e come
anche in italiano abito significhi al tempo stesso vestito e prima persona
singolare dell’indicativo presente del verbo abitare16.
“Il rivestimento (Be-kleidung) dei muri è quindi l’elemento originario,
essenziale per la sua valenza spaziale ed architettonica; il muro in sé è
un elemento secondario. Il rivestimento parietale manterrà questa
valenza anche quando, considerazioni legate alla maggiore durata,
economicità, pulizia o amore del lusso, introdurranno materiali diversi: al
posto dei tappeti, compariranno strati di intonaco, tavolati di legno, lastre
di alabastro o di metallo”17.
È ciò che riprenderà anche Adolf Loos quando nell’articolo Il Principio del
Rivestimento scrive: “L’architetto, mettiamo, ha il compito di creare uno
spazio caldo, accogliente. […] Egli decide di conseguenza di stendere un
67
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
tappeto sul pavimento e di appenderne quattro alle pareti. Ma non si può
costruire una casa con i tappeti. I tappeti […] richiedono una struttura che
li mantenga nella giusta posizione. Inventare questa struttura è il secondo
compito dell’architetto”18.
Già Karl Bötticher19, in Die Tektonik der Hellenen (La Tettonica degli
La potenzialità di una piega e di un
avvolgimento può cambiare radicalmente la
lettura dei confini spaziali di qualsiasi struttura
data. Quando Christo e Jeanne-Claude
avvolsero il Reichstag a Berlino nel 1995
con un telo, trasformarono completamente
l’apparenza dell’edificio, quasi fosse un
castello. I loro lavori si prefiggono sempre
di creare un senso di dislocamento per
permettere di vedere il mondo in un modo
diverso da come siamo sempre abituati,
pur nonostante non eliminando quello che
c’era prima: il telo permette di intravedere
la sagoma di ciò che sta sotto. Quello che
emerge è la sua essenze, mentre rimangono
nascosti i suoi dettagli e la sua materia.
Elleni)20, distingueva tra involucro esterno (Kunstform) e nucleo interno
(Kernform), considerando il primo la rappresentazione concettuale
(begrifflich) della funzione statica svolta dal secondo, e lo dimostra con
l’esempio del tempio greco: le decorazioni del capitello, i triglifi posti
uno sopra ogni colonna e le metà-opaion che Bötticher colloca al posto
delle metope e che riempie con vari oggetti come vasi e candelabri
tutti organizzati come base-fusto-capitello, evidenziano la direzione
verticale dei pesi che la trabeazione e il fregio impongono alla colonna
e dunque come la loro funzione strutturale sia già dichiaratamente
manifestata nella loro forma.
Tuttavia nel tempo vi fu un progressivo spogliarsi della Kernform, un
processo di metamorfosi che Semper, riprendendo le considerazioni fatte
da Quatremere de Quincy nel suo Jupiter Olympien (1814) sulla tereutica21
frame dal film Nove settimane e mezzo
della statuaria greca, chiama mistero della trasfigurazione (Mysterium
der Transfiguration o Stoffwechsel, cambio di materiale): dalle colonne e
dalle porte monumentali in legno dell’architettura antica si era passati
a quelle rivestite con lamine metalliche (Empaistik o placcatura), per poi
arrivare alla saldatura di lamine in bronzo lavorate a sbalzo con chiodi
ed infine a elementi in bronzo fuso a sezione cava (Hohlkörpertektonik,
tettonica del corpo cavo o Röhrentektonik, tettonica tubolare).
Sulla base di queste osservazioni, Semper rileva come vi siano tre modi
diversi di affrontare il rapporto tra rivestimento e ciò che viene rivestito:
gli assiri, con le loro costruzioni a corpo cavo (das metallene Kleid, il vestito
metallico), identificarono gradualmente il nucleo con il rivestimento (“il
nucleo ligneo trasferisce le proprie funzioni all’involucro che lo avvolge
e scompare; quest’ultimo congiunge in sé ambedue, la componente
struttiva e quella formale”); nell’arte egizia invece vi è la tendenza a
separare nettamente la Kernform dalla Kunstform, nascondendo
la prima o rivelandola solo in modo allusivo; l’arte greca infine riunisce in
una sintesi il principio del rivestimento assiro e quello egizio conciliando in
“una profondissima fusione” la funzione ornamentale e costruttiva della
proteggere il dono avvolgendolo nel sacro e dunque il tempo e la cura
che vengono dedicati alla preparazione del pacchetto denotano un dono
ben più importante del regalo in esso contenuto.
Prima di strappare via tutti i vari strati di carta e nastri per vedere ciò che
sta dentro, c’è anzitutto la seduzione del pacchetto stesso: “geometrico,
rigorosamente disegnato, eppure da qualche parte segnato sempre da
una piega, da un nodo, asimmetrico, con tutta la cura e la tecnica
stessa della confezione, l’assortimento di cartone, di legno, di carta, di
nastri, esso non è più l’accessorio passeggero dell’oggetto trasportato, ma
diventa oggetto lui stesso: l’involucro in sé è consacrato come una cosa
preziosa, sebbene gratuita: il pacchetto è un pensiero. […] Di viluppo in
viluppo il significato fugge e quando infine lo si raggiunge […] esso appare
insignificante, derisorio, vile: il piacere, campo del significante, è stato
afferrato: il pacchetto non è vuoto, ma svuotato: trovare l’oggetto che
sta nel pacchetto, ovvero il significato che sta nel segno, significa gettarlo
via”25.
Per questo secondo Semper “una capriata lignea, anche se eseguita con
perfezione, è solo buon artigianato; essa diventa arte monumentale [solo]
Come direbbe Walter Benjamin infatti, “né l’involucro, né l’oggetto velato è
il bello, ma l’oggetto nel suo involucro”22.
A proposito della distinzione tra involucro formale (Kunstform) e nucleo
interno (Kernform), Bötticher aveva scritto: “la forma del corpo è lo specchio
nel momento in cui viene rivestita e incrostata con materiali e motivi
formali derivanti da altre tecniche quali la metallotecnica o la textrin, la
tessitura”26.
Le costruzioni in stile gotico, le strutture metalliche delle stazioni o dei
mercati e persino la copertura della biblioteca di Sainte Geneviève a Parigi
progettata da Henry Labrouste, non le considerava opere di architettura:
“una costruzione gotica vista da lontano è troppo traforata, le masse
spariscono, e così pure i particolari. Sembra un’opera in fase di costruzione
della sua essenza, se la penetri si dissolve il sigillo del suo mistero”23.
avvolta ancora dalle impalcature”27. “L’esterno di una chiesa gotica
Kunstform, in modo che gli elementi decorativi, tanto nel corpo umano
che nella architettura, non hanno la funzione di occultare l’organismo
né di rivelarlo, ma di interpretarlo.
68
Nell’arte dell’impacchettamento giapponese il senso del tsutsumi24 è
“OGNI OGGETTO CHE CI INTERESSA …
DEVE RAPPRESENTARE IN QUALCHE MODO
PER NOI UN MISTERO, DEVE NASCONDERE
UN SEGRETO CHE NON POSSIAMO
SCOPRIRE. … SE POTESSIMO FACILMENTE
PENETRARE NEI RAGIONAMENTI E NELLE
TENSIONI ALLA BASE DI UNA PRODUZIONE,
SAREBBE PIÙ INTERESSANTE, CI TROVIAMO
INVECE SEMPRE DINANZI ALL’OGGETTO
FINITO, CHE COSÌ, SPESSO, RISULTA
INSIGNIFICANTE”.
J. Frank, Raum und Einrichtung, 1934, in
J.Spalt, H.Czech, Josef Frank..., 1981, p.99
69
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
dà sempre l’impressione di essere incompiuto o di dover ancora venir
rivestito”28.
Del Crystal Palace, il palazzo di ferro e vetro progettato da Paxton per la
Great Exhibition del 1851, scrive in tono critico “questo vuoto coperto di
vetro che si adatta a qualsiasi cosa ci si voglia infilare”29.
Data l’esilità della struttura al limite dell’incorporeità e la sua freddezza
venendo a mancare il rivestimento, queste costruzioni secondo Semper
sono grandi, ma non grandiose. Esse non sono capaci di creare quel senso
di intimità e di raccoglimento (il sentimento del rifugio) che rende uno
spazio così seducente.
Aubade Paris, campagna pubblicitaria French art
of loving
“DATO CHE LA PRATICITÀ DA SOLA
NON RIESCE A SODDISFARE DEL
TUTTO IL SENSO DI ‘INTIMITÀ’ ALLA
CASA NELL’UOMO, ACCANTO ALLE
CONDIZIONI DI PRATICITÀ, UNA CASA
HEIM DOVREBBE RACCHIUDERE LA
MAGIA DEL NASCOSTO”.
(M.H. Baillie Scott, Häuser und Gärten,
1912, cap. I, p.20)
70
“Etnologi ed antropologhi convengono nell’ammettere che la nudità
dei ‘selvaggi’, a differenza dei vestiti ‘civilizzati’, non esercita alcuna azione
erotica. L’assuefazione alla vista dei corpi nudi comporta una minore
eccitabilità sessuale”30.
“Nudo il corpo si muove male: pura superficie di figurazione, tace, mentre
l’abito [abbiamo visto] dilata il corpo nello spazio, amplia lo spazio dell’io:
apre al corpo invisibile dei sensi. Hegel dice che il nudo non significa, il
corpo parla solo se è velato: svelandosi per apparire”31.
Barthes parla del “l’evidenza del sotto”: gli abiti sarebbero “animati da
una sorta di forza centrifuga: l’interno è incessantemente spinto verso
l’esterno”32 e viceversa.
“Secondo il Flügel, il pudore ‘è una reazione contro la tendenza più
primitiva all’esibizionismo e quindi sembra implicare l’esistenza di
quest’ultimo, senza il quale non può avere ragione di essere’. Nella
situazione di ambivalenza creata dal conflitto tra esibizionismo, che
spinge a mettere in mostra il corpo e renderlo più attraente, e pudore,
che induce invece a nasconderlo in tutto io in parte, egli individua ‘il fatto
fondamentale dell’intera psicologia del vestire’33.
“Con l’occultazione del corpo l’abbigliamento soddisfa […] l’esigenza
di evidenziare e valorizzare le caratteristiche estetiche e sessuali
dell’individuo”. Questo corrisponde al principio freudiano per cui “dove
c’è un tabù c’è desiderio”. “La donna nuda è senza attrattiva. Può sì
accendere l’amore dell’uomo, ma non può conservarlo. […] la donna,
coprendosi, divenne per l’uomo un enigma, per insinuargli nel cuore il
desiderio del disvelamento”34.
L’abito dunque “a motivo del carattere ‘allusivo’, della funzione cioè
di indicare la nudità nel momento stesso in cui la nasconde, diviene
sessualmente più seducente e provocante dello stesso nudo esibito”35,
l’in-visibile è più seducente del visibile.
“Gli attori porno non hanno volto. […] Per effetto dello zoom anatomico,
la dimensione del reale è abolita”, sostituita da un iperreale virtuale
asettico ed incorporeo, “la distanza dello sguardo lascia il posto a
una rappresentazione istantanea ed esasperata […] fine dello spazio
prospettico, che è anche quello dell’immaginario e del fantasma. [Dove]
la pornografia dice, la seduzione racconta”, ha la forma di un enigma
“NASCONDERE QUALCOSA PER METÀ
LASCIANDOLO INTRAVEDERE PER
L’ALTRA METÀ, GIOCA UN RUOLO
MOLTO IMPORTANTE NELL’ARTE
DELL’ARREDAMENTO; COME IN TUTTE
LE ARTI RAPPRESENTATIVE, QUESTA
QUALITÀ SUGGESTIVA È MOLTO
PIÙ INTRIGANTE CHE IL COMPLETO
DISVELAMENTO DI UNO SPAZIO”.
(M.H. Baillie Scott,
Gärten,1912, p.40)
Häuser und
Réne Magritte, Lo stupro, 1934
71
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
da risolvere […] senza che il segreto venga [mai] svelato”. “E’ lasciarsi
Può un Uomo, quando la sua Vita non è che pura Pena
adescare dalla lusinga illusionistica e muoversi in un mondo incantato”36.
“Non appartiene mai alla sfera della natura, ma a quella dell’artificio, […]
del segno, del rituale”37.
La seduzione è “un gioco”, un rapporto duale in cui il femminile non è ciò
che si oppone al maschile, non vi è chi vince o chi perde, ma uno scambio
rituale ininterrotto. Al contrario della sessualità, che “cancella tutto
nella sola spettacolarità del sesso” e si esaurisce quindi nel godimento, la
sensualità non ha mai fine.
“Il giocatore entra liberamente nel gioco, questa è la condizione del
gioco [… e] con altrettanta libertà accetta le regole del gioco”38, dove la
regola è “un patto altamente convenzionale, altamente ritualizzato […] e
scandito secondo un ritmo a lui proprio. Contrariamente alla legge che è
sempre inscritta, […] questa regola fondamentale non ha mai bisogno di
enunciarsi, [anzi] non deve mai enunciarsi” perché altrimenti andrebbe
violata la regola del segreto”39, del sacro. A una regola non si crede, la si
osserva come un rito.
Guardare al cielo e dire: così
Meraviglia di lontano o sogno
Io portai al lembo estremo della mia terra
E attesi fino a che la grigia noma
Il nome trovò nella sua fonte –
Meraviglia o sogno potei allora afferrare consistente e forte
Ed ora fiorisce e splende per tutta la marca…
Un giorno giunsi colà dopo viaggio felice
Con un gioiello ricco e fine
Ella cerco a lungo e [alfine] mi annunciò:
“Qui nulla d’eguale dorme sul fondo”
Al che esso sfuggì alla mia mano
E mai più la mia terra ebbe il tesoro…
Così io appresi triste la rinuncia:
Nessuna cosa sia dove la parola manca.
“L’ORNAMENTO È IL SEGRETO CHE LA
BAUKUNST ASSUME PER CONSENTIRE
AL TEKTON DI DISPIEGARE I VALORI DI
CUI EGLI È CUSTODE “.
(F. Dal Co, Figures of Architecture
and Thought, 1990, in K.Frampton,
Tettonica e architettura..., 2007, p. 52)
72
Il filosofo tedesco Martin Heidegger spiega così la poesia di Stefan George,
Das Wort, la parola40: dopo lungo cammino il poeta giunge alla “grigia
noma”, la dea custode della sorgente del linguaggio, al lembo estremo della
terra. Le chiede di trovare la parola adatta per il gioiello che reca in mano,
lei cerca a lungo ma non trova nulla. La verità del gioiello, la parola stessa,
rimane velata. L’immagine è analoga a quella dell’oscurità impenetrabile
della ciotola di minestra.
Come infatti fa presente Christopher Alexander41, anche se prosa e poesia
usano le stesse parole, nella prima esse hanno solo un significato, nella
poesia invece esse sono dense di significati. Solo così il poeta capisce
(rattristandosi per questo) di aver sbagliato fino ad allora a voler a tutti i
costi scoprire il segreto e rinuncia al suo precedente rapporto con la parola.
Per Heidegger poetare significa custodire la verità della parola. Il linguaggio
è la casa dell’essere (ricordiamo la differenza tra réverie e metafora).
Anch’io voglio essere? Si
Non fa male l’uomo a misurarsi
Con la divinità. Dio è sconosciuto?
E’ egli manifesto e aperto come il cielo? Questo
Piuttosto io credo. Questa è la misura dell’uomo.
Pieno di merito, ma poeticamente abita
L’uomo su questa terra.
Ma più pura
Non è l’ombra della notte con le stelle,
Se così posso osar di parlare, rispetto
All’uomo, che si chiama immagine della divinità.
C’è sulla terra una misura? C’è n’è
Nessuna
Fino a che la gentilezza [Freundlichkeit],
la Gentilezza schietta ancora dura nel cuore.
“Pieno di merito, ma poeticamente abita / L’uomo su questa terra”. L’uomo
può anche impegnarsi molto coltivando, costruendo, prendendosi cura
su questa terra, tuttavia (“ma”) questo non basta per abitare: occorre il
“poeticamente”. E questo poetare significa prendere atto del kaos del
mondo, la “pura pena”, e quindi prendere le misure con la divinità, con il
sacro che però non si manifesta mai completamente: si mostra nel cielo,
nei lampi, nei tuoni, ma al tempo stesso rimane nascosto, “sconosciuto”.
“Questa è la misura d’uomo”, questa e la misura che l’uomo attribuisce
al mondo per abitarlo, la misura del suo corpo. L’abitare è possibile solo
finchè “la Gentilezza schietta dura ancora nel cuore”, nell’essenza dell’uomo
che abita, e allora l’atto violento originario non solo sarà sopportabile, ma
anche necessario. E’ il poetare che rende possibile l’abitare42.
Nella Poetica dello spazio Bachelard sostiene che per individuare quell’
“essenza intima e concreta” che raccoglie “tutte le nostre immagini di
intimità protetta, […] bisogna superare i problemi della descrizione
[…] cogliere le virtù prime, quelle in cui si rivela una adesione in qualche
modo nativa alla funzione prima dell’abitare”43.
“Le vere case del ricordo [infatti], le case cui ci conducono i nostri sogni,
le case ricche di un fedele onirismo, ripugnano ad ogni descrizione.
[…] La casa originaria ed oniricamente definitiva deve conservare
la sua penombra [ricordiamo “l’oscurità impenetrabile del fondo” della
ciotola di minestra]. Essa é vicina alla letteratura che scruta nel profondo,
vale a dire alla poesia. […] Per evocare i valori di intimità, è necessario,
paradossalmente, indurre il lettore in uno stato di lettura sospesa […]
fin dalla prime parole, alla prima apertura poetica, il lettore che ‘legge una
camera’ sospende la sua lettura e incomincia a pensare a qualche antica
dimora”44.
“La spoglia eleganza delle stanze giapponesi è fondata, per intero, sulle
infinite gradazioni del buio. […] Stanze, già di per sé poco chiare, noi
IN GENERALE NON COMPRENDIAMO PIÙ
L’ARCHITETTURA... UNA ATMOSFERA DI
INESAURIBILE PIENEZZA DI SIGNIFICATO
AVVOLGEVA UN EDIFICIO COME UN
VELO MAGICO. LA BELLEZZA ENTRAVA
NEL SISTEMA SOLO SECONDARIAMENTE,
SENZA INDEBOLIRE LA SENSAZIONE
FONDAMENTALE DI MISTERIOSA SUBLIMITÀ,
DI SANTIFICAZIONE, PER MAGIA O PER
VICINANZA DEGLI DEI. AL MASSIMO LA
BELLEZZA TEMPERAVA IL TIMORE  MA
QUESTO TIMORE NE ERA OVUNQUE IL
PREREQUISITO.
(F.Nietzsche, Umano, troppo umano, in
G.Hersey, Il significato nascosto..., 2001,
p.XXXIII
73
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
Casa del tè giapponese, Kyoto, XVII secolo, da
F.Sack, Offene Haus, p.135
“SOLO UOMINI DELL’ESTREMO ORIENTE
POSSONO AMARE VERAMENTE
UNA PIETRA COSÌ; IL SUO FONDO,
DALLA LUMINESCENZA TORBIDA E
NEGHITTOSA, SEMBRA CONTENERE
L’ARIA CRISTALLIZZATA DEI SECOLI.
NON HA, LA GIADA, NÉ I COLORI PURI
DEL RUBINO O DELLO SMERALDO, NÉ
LA FULGIDEZZA DEL DIAMANTE. CHE
COSA VI TROVIAMO, ALLORA, DI TANTO
ATTRAENTE? È DIFFICILE SPIEGARLO, MA,
QUANDO LA OSSERVO, SENTO CHE LA
GIADA È INCONFONDIBILMENTE CINESE,
E MI SEMBRA DI VEDERE TUTTO IL LUNGO
PASSATO DI UNA CIVILTÀ, ISPESSITO E
COAGULATO IN QUEL SUO INTERNO OPACO
E NUVOLOSO”.
(J.Tanizaki, Libro d’ombra, p. 25)
74
cerchiamo di renderle ancora più fosche, dilatando lo spazio sotto le
gronde, o frapponendo talvolta, fra il buio interno e le naturali chiarità
atmosferiche, lo schermo di una veranda. Del sole fulgente che brilla
sul nostro giardino non ci raggiunge che uno spento riflesso, filtrato
attraverso la carta opalescente dello shóji. Questa luce mitigata e indiretta
è l’elemento estetico più importante della casa giapponese. Perché
quietamente e silenziosamente penetri, lei così debole, ed estenuata,
e melanconica, nella nostra casa, rivestiamo i muri con intonaci di colore
neutro. […] Spesso le sfumature sono infinitamente sottili: si tratta di
tinte sfuggenti, che sembrano cangiare, secondo lo stato d’animo di chi
le guarda. Le loro gradazioni conferiscono, a ogni locale, una differente
qualità di buio.
V’è, nella stanza principale delle case giapponesi, una nicchia (il toko no ma)
in cui, volta per volta, si usa esporre un quadro, o qualche fiore. Tali oggetti
non mirano tanto a ravvivare l’ambiente, quanto ad aggiungere, al buio,
una dimensione cava”45.
Tuttavia questo non significa che bisogna far prevalere la Kunstform sulla
Kernform: anche “mascherarsi non aiuta se quel che c’è dietro la
maschera è sbagliato o se la maschera non vale nulla; perché il dato
materiale, indispensabile, venga annullato completamente nella creazione
artistica, è necessario che prima lo si padroneggi con maestria”46.
La seduzione infatti non implica la dimensione del far credere, non è falsità:
colui che bara, “toglie al gioco l’illusione, l’inlusio”, cioè l’essere nel
gioco, “espressione pregna di significato”47.
A differenza della legge, “non ha alcun senso ‘trasgredire’ una regola
del gioco” poiché i giocatori hanno stretto un patto simbolico senza il
quale non vi sarebbe alcun gioco. “Profanando il rituale attraverso l’atto del
barare significa distrugge il fascino duale del gioco attraverso l’irruzione di
una determinazione individuale, di un plusvalore ottenuto il quale il gioco
si interrompe e con lui la seduzione”48.
Quando i Greci e in parte gli stessi Romani - i quali “vedevano nel muro
non l’elemento portante, ma piuttosto quello divisorio” - rivestivano le
pareti prima con “teli veri o dipinti” e in seguito con “decorazioni che
imitassero queste stoffe [stucco, rivestimenti metallici, lastre di marmo,
tavole in legno,…]”49, non fingevano mai ad una funzione portante
del muro, ma si richiamavano invece, attraverso le decorazioni, ai motivi
dei tappeti.
Riprendendo questo “principio” semperiano, Loos formula la “legge”
del rivestimento: “Ogni materiale possiede un linguaggio formale che
gli appartiene e nessun materiale può avocare a sé le forme che
corrispondono ad un altro materiale. […] Nessun materiale consente
una intromissione nel proprio repertorio di forme. Chi osa, ciononostante,
una tale intromissione, viene bollato dal mondo come falsario. L’arte non
ha nulla a che fare con la falsificazione, con la menzogna. […] Ma forse
che il soggiorno tutto rivestito di tappeti non è anch’esso un’imitazione?
Le pareti non sono certo costruite con i tappeti! Non c’è dubbio. Ma questi
tappeti devono essere solo tappeti e non mattoni, non devono
essere scambiati per tali non ne imitano né il colore né la forma, esprimono
invece il loro vero significato come rivestimento delle superfici in muratura.
Assolvono il loro compito secondo il principio del rivestimento”. E più
avanti aggiunge: “Il principio del rivestimento, che Semper enunciò per
primo, è applicabile anche alla natura. L’uomo è rivestito di pelle, l’albero
di corteccia. Partendo da questo principio […] io formulo […] la legge del
rivestimento: […] bisogna operare in modo da escludere ogni possibile
confusione fra materiale rivestito e rivestimento. Vale a dire: il legno si
può dipingere di tutti i colori tranne uno: il color legno. […] in
generale tutti i materiali che servono al rivestimento delle pareti, e cioè
tappezzerie, tele incerate stoffe o tappeti, non devono cercare di imitare i
mattoni o la pietra”50.
Nicole Tran Ba Vang, dalla collezione
primavera/estate 2001 (M.Canevacci
Ribeiro, Una stupita fatticità..., 2007,
p.47)
75
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
Note
1
Georges Spyridaki, Mort lucide, ed. Seghers, p.35, cit. in Gaston
il Können, cioè il saper fare, che secondo lui caratterizzava i
(cubica), non ancora come libero spazio infinito”. Ogni stile va
che tali ciocche di lana, partendo perpendicolarmente dalla
perciò analizzato in funzione del Kunstwollen di ciascuna epoca
catena, si protendessero con entrambe le punte verso l’alto e
e non in base a parametri fissi ed eterni derivanti dall’estetica
formassero nel loro moltiplicarsi un vello felpato. Ma poiché
classica. In questo modo egli rivaluta epoche considerate con
queste ciocche di lana da sole non erano in grado di tenere
accezione negativa “non classiche”, come quella tardo romana
unito l’insieme, si fu costretti a inserire di tanto in tanto uno o
dei popoli barbarici, il medioevo, il gotico, il barocco.
più fili di trama per tutta la lunghezza della catena, secondo la
12
tecnica dell’armatura-lino […] in maniera che, grazie alla stretta
Alois Riegl, Antichi tappeti orientali, Quodlibet, Macerata 1998
(ed. orig. Altorientalische Teppiche, 1891), p. 97.
compressione esercitata da questo filo sulla riga delle ciocche,
Scritto sulla scia di Disegni di tappeti orientali antichi di Julius
si impedisse un allentamento dei nodi. La superficie tessile così
Lessing pubblicato nel 1877 e di Il ricamo artistico persiano
ottenuta mostrava un vello peloso (felpa) formato da ciocche di
susandschird dell’orientalista J.Karabacek apparso nel 1882,
lana erte verso l’alto, attraverso le quali era impossibile vedere
Riegl aveva preso in considerazione principalmente due
tanto i fili di trama che quelli di catena. Il rovescio, invece, era
liscio e manteneva in vista sia i fili di trama che le giravolte dei
Bachelard, Poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1999 (ed. orig.
materialisti seguaci di Semper.
1957), cap. 2, La casa e l’universo, p. 77
“La volontà dell’uomo è tesa a conformare in modo
2
Josef Frank, Architettura come simbolo, a cura di Hermann
soddisfacente le sue relazioni col mondo. […] La volontà artistica
Czech, Zanichelli, Bologna 1986 (ed. orig. 1931), Il Cristianesimo
ne regola le relazioni coll’aspetto delle cose percepibile ai sensi:
tecniche di lavorazione del tappeto: per i tappeti da parete
si attua, insomma, esprimendo le cose come l’uomo le vuole
la tessitura ad arazzo (Wirkerei), per i tappeti da pavimento
fili di catena”.
vedere, in forma e colore (e nella poesia, esprimendole come
l’annodatura. Riguardo alla prima scrive che “è la tecnica più
Per quanto riguarda l’annodatura (detta anche tecnica di Smirne)
l’uomo le vuol sentire espresse). Ma l’uomo non solo percepisce
primitiva, anzi con ogni probabilità la più antica forma in
“si prendono due fili di catena che pendono l’uno accanto
coi sensi (cioè passivamente), ma anche (attivamente) vuole; e
assoluto di tessitura (Weberei)”.
all’altro, vi si pone sopra di traverso un corto filo (in genere
perciò aspira a conformare il mondo così come egli lo desidera”.
“I più antichi manufatti tessili furono senza dubbio prodotti
di lana) di circa cinque centimetri di lunghezza e si passano i
Alois Riegl, Arte tardoromana, Einaudi, Torino 1959, p. 272
per
che,
due capi di quest’ultimo prima dietro i due fili di catena, poi
Occorre “liberarsi da quella storia, che ordinariamente vien
con l’incrociarsi regolarmente alternato di due serie di fili
in mezzo ad essi verso la superficie anteriore. I due capi del
messa in relazione col nome di Gottfried Semper, secondo la
perpendicolari, è vicinissima al semplice intreccio. […] E
filo corto sporgono così verso l’alto come una doppia ciocca,
quale l’opera d’arte non sarebbe nient’altro che il prodotto
certamente fu dapprima la sola mano umana che senza l’aiuto
saldamente legata ai due fili di catena tramite una semplice
meccanico di tre fattori: l’uso cui è destinata, la sua materia e la
di alcuno strumento intrecciò i fili l’uno con l’altro. […] La mano
circonduzione. […] quando si è annodata in questo modo
tecnica adoperata. […] In contrapposizione a questa concezione
aveva la possibilità di avvolgere il filo di trama attorno a ogni
un’intera riga di ciocche diventa necessario, per ottenere un
meccanica della natura dell’arte, io ho – per primo a quanto mi
filo di catena a piacere e addirittura di mutare la direzione del
tessuto compatto, serrare, con l’inserimento di un filo di trama
risulta – sostituito una ipotesi teleologica, in quanto ho visto
movimento. […] Un simile procedimento divenne addirittura
(in genere doppio) secondo la tecnica dell’armatura-lino, i fili di
nell’opera d’arte il risultati di una determinata e consapevole
necessario non appena si giunse a introdurre […] ricami
catena, che dalle ciocche comuni sono strette assieme soltanto
volontà artistica, che si sostituisce, con dura lotta, al fine, alla
variopinti su un fondo tessuto già pronto” (vedi capitolo I, Il
a due a due. Il filo di trama viene a questo punto pressato con
materia e alla tecnica. Questi tre fattori […] rappresentano un
tappeto tessuto ad arazzo, pp. 21-42).
forza sulla riga di ciocche precedentemente annodate e in
carattere repressivo, negativo: essi sono i coefficienti d’attrito
Tuttavia “la primitiva tessitura ad arazzo poteva di sua natura
questo modo non solo si ottiene una struttura ben resistente,
nel prodotto complessivo”. Ivi, pp. 9-10
fornire soltanto ornamenti delimitati da linee rette. Una
ma anche si previene l’allentamento delle singole annodature”.
Tuttavia “bisogna fare una netta distinzione tra Semper e i
peculiarità della tecnica della tessitura ad arazzo [infatti] è data
“Il procedimento descritto non risulta minimamente mutato nei
semperiani. Se il Semper asseriva che nello svolgersi d’una
dal fatto che […] quando esse vengono condotte parallele
suoi tratti essenziali se invece del filo corto di cui si è parlato
forma artistica vanno prese in considerazione pure la materia
alla catena, si producono nel tessuto delle fessure, poiché
se ne sceglie per l’annodatura uno di lunghezza doppia, ma
e la tecnica, ecco i semperiani semplicisticamente asserire
le due superfici colorate a contatto non hanno connessione
piegato in due. […] in tal modo i capi del filo non sporgono
che ogni forma artistica è il prodotto di materia e tecnica. La
nella trama”. Dunque per limitare l’ampiezza di tali fessure
soltanto come una doppia ciocca, ma a questa si aggiunge un
‘tecnica’ è così diventata in breve la parola d’ordine preferita,
che indebolivano la consistenza del tessuto si prediligevano
piccolo cappio”. Capitolo II, il tappeto a nodi, pp. 43-79
che nel parlare fu tosto equivalente a ‘arte’ e che alla fine si udì
figurazioni ornamentali romboidali, linee radianti parallele,
13
addirittura più sovente che la parola arte”. A.Riegl, Problemi di
zigzag.
Kuensten, oder Praktische Aesthetik. Ein Handbuch für Techniker,
stile, 1963, pp. 1-12.
Nel secondo capitolo tratta invece della tecnica dell’annodatura
Kuenstler und Kunstfreunde, Erster Band: Textile Kunst, Verlag
Secondo Riegl il processo storico dell’arte è un fluire continuo
sostenendo che “il tappeto da pavimento calpestato dai piedi
für Kunst und Wissenschaft, Frankfurt a.M., 1860, tradotto da
anche alla riorganizzazione della tutela dei monumenti
dell’attività artistica, le cui fasi, sviluppate l’una nell’altra,
è soggetto a un’usura ben maggiore rispetto al tappeto da
G. Hach e M. P. Arena in G.Semper, Lo Stile nelle arti tecniche
(Denkmalspflege). Muore a Vienna il 17 giugno 1905.
ma insieme dotate di autonomia, non sono mai decadenza.
parete; deve anche, allo stesso tempo, riparare dalla naturale
e tettoniche, a cura di A.R. Burelli, C.Cresti, B. Gravagnuolo,
Soprattutto in Stilfragen, 1893, tradotto in italiano col
Ciascuna epoca è caratterizzata da un proprio Kunstwollen a
freddezza del suolo. […] Ma poiché all’ispessimento di un
F.Tentori, Laterza, Roma Bari 1992, p.51 e 64.
titolo Problemi di stile (Feltrinelli, Milano 1963), e in Industria
cui corrisponde una diversa concezione di spazio: “l’arte antica
tessuto per mezzo dell’aumento dei fili di trama sono posti
A queste due categorie del connettere e del coprire si possono
artistica tardoromana (Firenze 1953, ed. orig. Spätrömische
conobbe unità e profondità solo nel piano, l’arte moderna al
dei limiti ben precisi dall’esigenza di ottenere le auspicabili
far corrispondere quelle di lineare e pittorico indicate da Wölfflin
Kunstindustrie nach den Funden in Österreich, due volumi, Hof-
contrario li cerca entrambi nella profondità dello spazio; l’arte
elasticità, mobilità e leggerezza, fu fin dal principio necessario
(1864-1945) in Concetti fondamentali della Storia dell’arte (1915),
und Staatsdruckerei, Wien 1901 e 1923), Alois Riegl espone
tardo-romana sta nel mezzo fra i due perché ha liberato le
tentare di ottenere un rafforzamento che si sviluppasse in
l’uno concentrato soprattutto sul contorno, sui limiti di un
il principio del Kunstwollen (volontà artistica), ovvero dello
singole figure dal piano e perciò ha superato la finzione di un
direzione perpendicolare alla superficie tessuta. Ciò avvenne
oggetto, sugli orli; l’altro sulle masse, sentite essenzialmente
specifico impulso artistico ed estetico, irriducibile a fattori
piano di fondo da cui tutto nasce, ma riconosce lo spazio - e in ciò
nella maniera più semplice mediante l’annodamento di
come macchie: “Vedere linearmente vuol dire che il significato
esterni, di una determinata epoca, in contrapposizione contro
segue ancora l’arte antica - solo come una singola forma chiusa
ciocche di lana su singoli fili di una catena ben tesa, in modo
e la bellezza delle cose si cercano prima di tutto nel contorno
e gli artisti, p. 40
3
G. Semper, Über die formelle Gesetzmässigkeit des Schmuckes
und dessen Bedeutung als Kunstsymbol, Meyer und Zeller, Zürich
1856, p. 103
4
Patrizia Calefato, Moda, corpo, mito. Storia, mitologia e
ossessione del corpo vestito, Castelvecchi 1999, p. 11
5
Giuliana Bruno, Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte,
architettura e cinema, Mondadori, Milano 2002, p. 290
6
Nicola
Squicciarino,
Il
vestito
parla.
Considerazioni
psicosociologiche sul’abbigliamento, Armando Editore, 1992,
p.10
7
Ivi, p.14
8
H. de Balzac, Trattato della vita elegante, Longanesi, Milano
1982, p.121, cit. in Ivi, p.17
9
G. van der Leeuw, Der Mensch und die Religion, Hans z. Falken,
Basel 1941, p.23, cit. in Ivi, p.160
10
Nato a Linz il 14 gennaio 1858, dopo due anni di corsi di
diritto, già a diciotto anni iniziò a studiare filosofia e storia e
nel 1881 entrò nell’Istituto per le ricerche storiche di Vienna
(Institut für Geschichtsforschung) diretto da Theodor von Sickel,
di cui apprezza il cui metodo storico filologico e l’interesse per
l’autenticità delle fonti. Nel 1886 successe al F.Wickhoff nel
reparto tessuti dello l’Österreichischen Museum für Kunst und
Industrie (Museo austriaco per l’Arte e l’Industria), e vi rimase
fino al 1897. Dal 1889 iniziò la carriera accademica come libero
docente e nel 1897 divenne ordinario presso l’Università di
Vienna. Nonostante fosse colpito da forte sordità, si dedicò
11
76
mezzo
dell’armatura
tela
(Leinwandbindung)
Gottfried Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen
77
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
[…]; vuol dire che l’occhio viene guidato lungo i limiti di un
della pittura, ma può voler dire anche cippo, monumento,
oggetto e quasi condotto a palparne gli orli, mentre il vedere
neo, ed anche volta in senso temporale: “La differenza prima
per masse [nel pittorico] significa distogliere l’attenzione
e fondamentale è che lo Zeichen viene impresso, mentre il
dai margini, mentre il contorno, come guida dell’occhio, è
Mal emerge, viene in luce. […] Mentre lo Zeichen assoluto non
diventato più o meno indifferente e gli oggetti si presentano e
appare prevalentemente negli esseri animati, ma è impreso
vengono sentiti essenzialmente come macchie, non importa se
anche su edifici senza vita, su alberi, ecc., il Mal compare
di colori oppure soltanto di masse contrastando in chiaroscuro”.
soprattutto negli esseri viventi”.
E ancora: “La visione che s’affida al contorno, isola le cose; per
Cfr. Andrea Pinotti, Il corpo dello stile. Storia dell’arte come storia
l’occhio che invece vede pittoricamente, esse si raggruppano
dell’estetica a partire da Semper, Riegl, Wölfflin, Mimesis, 2001, pp.
insieme. Nel primo caso, l’interesse è rivolto piuttosto alla
148-176.
comprensione dei singoli oggetti come valori precisi, tangibili,
14
nell’altro nel cogliere l’aspetto visibile delle cose nel loro
Vergleichenden Baukunde, Friedrich Vieweg und Sohn Verlag,
complesso, come un’apparenza ondeggiante. […] Tuttavia
Braunschweig 1851,p. 57
anche nel pittorico “la sensibilità ottica sembra alimentata
15
da un altro senso tattile, da quello che saggia la qualità della
rivestimento) in G.Semper, op. cit.
superficie, la diversa epidermide, per così dire, delle cose.
Kevin Nute in Frank Lloyd Wright and Japan: the role of traditional
E la sensibilità, superando l’elemento obiettivo e palpabile,
Japanese art and architecture in the work of Frank Lloyd Wright (E
penetra ora anche nel regno dell’inafferrabile: soltanto lo stile
& FN Spon, London 1993, nota 30 a pp.45-46) rileva come nella
pittorico [infatti] scopre la bellezza di quel che è incorporeo.
lingua giapponese il termine per dire “tetto”, yane, voglia dire
[…] L’accento cade là [nel lineare] sui limiti delle cose; qui [nel
anche “origine”.
pittorico] la rappresentazione sbocca nell’indefinito”. A queste
16
due categorie Wölfflin farà poi corrispondere, in Rinascimento e
17
Barocco. Ricerche intorno all’essenza e all’origine dello stile barocco
Hermann, Gottfried Semper : architettura e teoria, Electa, Milano
in Italia (1888), rispettivamente cinque coppie concettuali
1990, p. 243
oppositive (Begriffspaare) che in seguito avrebbe sviluppato
18
in Problemi di Stile (Das Problem des Stils in der bildenden
1898 sulla rivista “Neue Freie Presse”, ora in Adolf Loos, Parole
Kunst, in «Sitzungsberichte der Preußischen Akademie der
nel vuoto, (Ins Leere gesprochen, Verlag Herold, Wien-München,
Wissenschaften», n. 31, 1912) lineare/pittorico, superficie/
1962), Adelphi, Milano 1999, p. 79
profondità, forma chiusa/forma aperta; unità molteplice/unità
19
unitaria; chiarezza assoluta/chiarezza relativa. Wölfflin, allievo di
20
Jakob Burckhardt, come Riegl, era fautore del Kunstwollen.
von Ferdinand Riegel, 1844-1852. Si tratta di un saggio in due
Già Robert Visher nel 1872, con la sua tesi di Dottorato
volumi in cui Bötticher cercava di trovare una riconciliazione
sul Sentimento ottico della forma, aveva individuato due
tra lo stile ellenistico e quello germanico del suo tempo. Con
atteggiamenti di fronte alla percezione visiva, l’una grafica
tettonica egli intendeva “l’attività formatrice in architettura
(zeichnerisch), l’altra plastico-pittorica (plastisch-malerisch): la
e nella produzione di oggetti d’uso quando la stessa riesce a
prima consiste nel “tracciare delle linee, in cui con la massima
permeare eticamente i loro compiti ponendosi l’obiettivo di
precisione io mi assicuro dei contorni, per così dire con le punte
innalzare i bisogni dell’uomo a un valore artistico”
delle dita”, l’altra nel “puntare alle masse, per cui ripercorro in
21
certo qual modo con la mano aperta le superfici, le convessità e
colori e tecniche diversi che opera per via di porre piuttosto che
concavità di un oggetto”. Secondo Visher dunque il senso tattile
di levare (Zusammenfügen).
e quello ottico sono intimamente legati l’un l’altro, dove toccare
22
è un guardare grossolanamente molto da vicino (derberes
Saggi e frammenti, Torino, Einaudi, 1962, p. 225
Schauen in die unmittelbare Nähe), e guardare è un toccare
23
Frontespizio al primo volume di Karl Bötticher, op. cit.
preciso nella lontananza (feineres Tasten in die Ferne). Questa
24
“tsutsumi”, letteralmente significa pacco, regalo, dono, e che
suddivisione in zeichnerisch e malerisch verrà poi ripresa da
deriva da verbi col significato di avvolgere, coprire, ma anche
Walter Benjamin in Pittura e grafica (1917) in cui egli sottolinea
nascondere, tener segreto.
come i due termini Zeichen e Mal, significanti entrambi segno,
25
simbolo, sono solo parzialmente sovrapponibili: mentre Zeichen
(ed.orig. 1967), p. 156 in N.Squiccairino, Il vestito parla, op. cit.,
rimanda alla grafica, al disegno, al rapporto dialettico tra linea
pp. 53-55
e superficie; il Mal invece deriva dall’antico tedesco meil che
26
significa macchia e anche peccato, e rinvia dunque alla sfera
architettura solo in lamiere”, facendo rientrare in questa
78
G.Semper, Die vier Elemente der Baukunst. Beitrag zur
Vedi il capitolo Das Prinzip der Bekleidung (il principio del
G.Bruno, op. cit., p. 289
Capitolo X della Vergleichende Baulehre, in Wolfgang
L’articolo Das Prinzip der Bekleidung è apparso il 4 settembre
Allievo di Schinkel e poi docente alla Bauakademie.
Karl Bötticher, Die Tektonik der Hellenen, Potsdam, Verlag
La toreutica consiste in un montaggio policromo di materiali,
Walter Benjamin, Le affinità elettive, in Id., Angelus Novus.
Roland Barthes, Il sistema della moda, Einaudi, Torino 1991
Il metallo a suo avviso perciò è utilizzabile “per una ‘bella’
categoria anche le colonne cave ottenute per fusione. Nel
progetto per il Waschschiffs di Zurigo egli riveste in legno la
struttura in ferro e decora le pareti esterne con pitture, pilastri,
modanature, cariatidi.
27
Ms 13, foglio 5, in W.Hermann, op. cit., p. 106
28
Ms 25, foglio 212, in Ivi, p. 105
29
G.Semper, Wissenschaft, Industrie und Kunst. Vorschläge
zur Anregung Nationalen Kunstgefühles bei dem Schlusse der
Londoner Industrie-Ausstellung, Friedrich Vieweg und Sohn
Verlag, Baunschweig 1852, p. 137
30
J.C.Flügel, Psicologia dell’abbigliamento, Angeli, Milano 1982,
p.31, cit. in N.Squicciarino, Il vestito parla, op. cit., p. 95
31
Eleonora Fiorani, Abitare il corpo: la moda, Lupetti, 2004, pp.
18-19
32
R.Barthes, Il sistema della moda, op. cit., p. 156 in N.Squiccairino,
Il vestito parla, op. cit., p. 97
33
J.C.Flügel, op. cit., p.31, cit. in N.Squicciarino, Il vestito parla,
op. cit., p. 95
34
Adolf Loos, Moda femminile, in Parole nel vuoto, op. cit., p.110
35
Squicciarino, Il vestito parla, op. cit., pp. 96-97
36
Jean Baudrillard, Della seduzione, SE, Milano 1997 (ed.orig.
1979), p.43
37
Ivi, p.11
38
P.Aldo Rovatti, Davide Zoletto, La scuola dei giochi, Bompiani
2005, p.23
39
J. Baudrillard, op. cit., p. 87
40
Stefan George, Das Wort, 1919, in Martin Heidegger, L’Essenza
del Linguaggio, 1957-58 in Cammino verso il Linguaggio, Mursia,
Milano
41
Christopher Alexander, Pattern Language, Oxford University
Press, 1977, p. XLI
42
M.Heidegger, Poeticamente abita l’uomo, in Saggi e discorsi,
1951.
43
G. Bachelard, Poetica dello spazio, op. cit., cap. 1, La casa. Dalla
cantina alla soffitta. Significato della capanna, p.32
44
Ivi, pp. 41-44
45
J.Tanizaki, Libro d’ombra, Bompiani, Milano 2005 (tit.orig. In’ei
raisan, 1935), pp.39-42
46
Marco Pogacnik, Gottfried Semper. Il governo dello stile, in
“Ottagono”, n.94, L’ornamento, marzo 1990, p.13.
47
Johan Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino 2002, (ed. orig.
1973), p.15
48
J.Baudrillard, op. cit., p. 137
49
G.Semper, Textile Kunst, testo preparatorio a Der Stil e
pubblicato per la prima volta in Kleine Schriften, a cura dei figli
Manfred e Hans Semper, Verlag W.Spemann, Berlin Suttgart
1884, e cit. in Benedetto Gravagnuolo, Gottfried Semper.
Architettura arte e scienza, Clean, Napoli 1987, p. 191
50
A.Loos, Il Principio del Rivestimento, Parole nel vuoto, op. cit.,
pp. 79-85
Otto Mueller, Danzatrice con velo, 1903 circa
Detroit Collaborative Design Centre, University of Detroit, Mercy School
of Architecture, da R. Klante – L. Feireiss, Space Craft..., 2007, p.236
79
dalla piaga alla piega
L’intonaco bianco
“L
A CELLULA MIA SI RIEMPIE DI STUPORE/IL MURO DIPINTO A CALCE DEL MIO SEGRETO.
QUESTA
IMMAGINE NON TRASPONE UNA REALTÀ.
SOGNATORE LE DIMENSIONI.
È
SAREBBE
[...]
RIDICOLO DOMANDARNE AL
REFRATTARIA ALL’INTUIZIONE GEOMETRICA, MA INQUADRA
BENE L’ESSERE SEGRETO. QUESTI SI SENTE PROTETTO DALLA BIANCHEZZA DI UN LATTE DI CALCE PIÙ
CHE DA FORTI MURA: LA CELLULA DEL SEGRETO È BIANCA. […] LA BIANCHEZZA DEI MURI, DA
SOLA, PROTEGGE LA CELLULA DEL SOGNATORE ED È PIÙ FORTE DI OGNI GEOMETRIA.
AD ISCRIVERSI NELLA CELLULA DELL’INTIMITÀ.
ESSA PERVIENE
1
I
PALAZZI A VIENNA SONO STRACARICHI DI ORNAMENTI RIVESTITI DI STUCCO E INTONACO. QUESTO
INTONACO, LE SPESSE MURA SOTTOSTANTI E IL RICCO STRATO DI MATERIALE APPLICATOVI, FECERO
SÌ CHE NON ERANO NECESSARI UNA BUONA QUALITÀ E UN BUON LAVORO. IN QUESTO MODO
LE NOSTRE CASE EBBERO I MURI PIÙ SPESSI, I SOFFITTI E TETTI PIÙ PESANTI, ED ERANO LE PIÙ CARE.
SE
LE CONFRONTIAMO CON LE COSTRUZIONI IN MURATURA A VISTA CHE SI USANO COSTRUIRE
IN CAMPAGNA, VEDIAMO COME QUI IL BUON LAVORO DELL’ARTIGIANO SOSTITUÌ OGNI LUSSO: SI
ERESSERO PARETI ATTRAVERSO LE QUALI QUASI SI POTEVA VEDERE ALL’INTERNO DELLA
CASA. […] OGNI CASA ED ANCHE OGNI COSA DEVE ESSERE PRODOTTA NELLA FORMA PIÙ SEMPLICE,
ESSENZIALE E CHIARA!.2
come camicia
“QUESTO RAPPORTO TRA INTERNO ED ESTERNO SI ESALTA NATURALMENTE
NELLE ORE PIÙ BUIE ... LASCIANDONE TRAPELARE LA VITALITÀ INTERIORE. ...
L’AFFIORARE DELL’INVISIBILE INTERIORITÀ ATTRAVERSO LA LUMINOSITÀ CHE
FILTRA DALLE APERTURE, DALLE TRASPARENZE STESSE DELL’ARCHITETTURA”.
(M.Vitta 2008, p.156)
“
“L’ornamento è un fenomeno che si deve eliminare: il Papua e il
delinquente decorano la loro pelle. L’indio ricopre i suoi remi e la sua
barca di fitti ornamenti. Ma il biciclo e la macchina a vapore ne sono
privi. Il progredire della civiltà elimina gradualmente la decorazione dagli
oggetti”3.
“Il Papua uccide i suoi nemici e se li mangia. Non è un delinquente. Se
però l’uomo moderno uccide e divora qualcuno, è un delinquente o
un degenerato. Il Papua copre di tatuaggi la propria pelle, la sua barca,
il suo remo, in breve ogni cosa che trovi a portata di mano. Non è un
delinquente. Ma l’uomo moderno che si tatua è un delinquente o un
degenerato. […]L’impulso a decorare il proprio volto e tutto quanto sia
a portata di mano è la prima origine dell’arte figurativa. E’ il balbettio
della pittura. Ogni arte è erotica. Il primo ornamento che sia stato ideato,
la croce, era di origine erotica. Esso fu la prima opera d’arte, la prima
manifestazione d’arte che il primo artista scarabocchia su una parete, per
liberarsi di una sua esuberanza. Un tratto orizzontale: la donna che giace.
Un tratto verticale: il maschio che la penetra. […] Ma l’uomo del nostro
tempo, che per un suo intimo impulso imbratta i muri con simboli erotici,
è un delinquente o un degenerato. […] Nel bambino è una manifestazione
naturale: scarabocchiare le pareti con simboli erotici è la sua prima
espressione artistica. Ma ciò che è naturale nel Papua e nel bambino è una
manifestazione degenerata nell’uomo moderno. Io ho scoperto e donato
al mondo la seguente nozione: l’evoluzione della civiltà è sinonimo
dell’eliminazione dell’ornamento dall’oggetto d’uso. […] Noi abbiamo
Incisioni rupestri, Piani di Cappia in Piemonte
81
dalla piaga alla piega
Manifesto Ripolin, Eugene Vavasseur, 1898, da
M.Wigley, White Walls..., 2001, p.6
Mll. Mistinguette, da Le Corbusier, L’art décoratif
d’aujourd’hui p. 162 e pubblicità di Goldman &
Salatsch, committenti di Loos, sulla copertina di
Adolf Loos, “Das Andere”, n.2, ottobre 1903, da “73
Rassegna”, p.20. La prima rappresenta l’ornamento
come delitto, il secondo la modernità.
82
dalla piaga alla piega
superato l’ornamento, con fatica ci siamo liberati dall’ornamento. Guardate,
il momento si approssima, il compimento ci attende. Presto le vie delle
città risplenderanno come bianche muraglie!”4.
Nel 1950 Le Corbusier ripubblica su “L’Esprit Nouveau” l’articolo Ornamento
è delitto di Loos, e nel 1959, aggiungendo una prefazione a L’art décoratif
d’aujourd’hui del 1925, introduce la sua teoria sulla “La legge di Ripolin”
che propugna la sostituzione dell’ornamento con uno strato di
intonaco, che ha anche scopi igienici: “immagina il risultato della Legge
di Ripolin. Ad ogni cittadino è richiesto di sostituire le tende, i damaschi, le
tappezzerie, gli stencils, con uno strato di bianco intonaco”5.
Se tuttavia l’esigenza di Loos e Le Corbusier di eliminare l’ornamento
e di purificare l’elemento sensuale in nome dell’intonaco bianco può
apparire come un rifiuto della principio del rivestimento, essa è in realtà la
condizione estrema, il caso limite, della teoria di Semper. Come ci fa notare
Mark Wigley infatti “l’architettura moderna non è nuda. Fin dall’inizio,
essa è dipinta di bianco. […] Non importa quando sottile sia lo strato di
pittura, essa rimane comunque una pelle/giacca (coat). Non è che sia stato
semplicemente inserito nello spazio lasciato libero dal ri-vestimento, è esso
stesso una particolare forma di ri-vestimento”6.
Gli stessi principi della facciata libera e della pianta libera, sostenuti
nei “5 punti sull’architettura” di Le Corbusier, liberano l’architettura
dalla costrizione del muro come Mauer e la indirizzano invece verso la
concezione della parete come Ge-Wand, come tessuto.
“L’intonaco a calce è una pelle” scrive Loos. “Nonostante la composizione
chimica simile [alla pietra], esiste una grande differenza nell’impiego dei
due materiali. L’intonaco a calce ha una parentela più stretta con il cuoio,
con la tappezzeria, con i materiali per rivestimento e con le vernici”7.
E a sua volta “l’abito, scriveva Honoré de Balzac, è come una vernice che
dà risalto a tutto”8.
Lo stesso Gottfried Semper – che tra il 1830 e il 1833 aveva intrapreso un
viaggio in Italia e Grecia9 proprio con lo scopo di studiare e dimostrare
l’esistenza della colorazione sugli edifici antichi10 - considerava il colore
“come il rivestimento più sottile e più incorporeo. Questo è il mezzo
più perfetto per rimuovere la realtà, poiché, pur coprendo la materia, è
esso stesso immateriale”11.
“Fin dall’inizio la semplicità delle forme fondamentali (Grundformen)
nell’architettura era ricca di ornamenti e splendente […] dettati dai
bisogni dei popoli e portatori di significati religiosi. […] Alla fantasia
dell’uomo primitivo (kindlich) piacevano i colori accesi, le composizioni
policrome così come le ritrovava in natura, e al tempo stesso notava
come i materiali rivestiti durassero di più e quindi come il rivestimento
fosse anche funzionale. Contemporaneamente si svilupparono anche
le prime concezioni religiose e vennero create divinità con sembianze
umane alle quali erano riservate le decorazioni più ricche, più belle, più
nobili. L’intonaco grezzo colorato non bastò più e lasciò il posto a incisioni
o superfici in rilievo con altri materiali colorati e iniziò così la pittura e la
scultura”12.
“Oggi non si può più negare la policromia dei monumenti antichi,
nonostante ci sia ancora chi ritiene che risalgano ai tempi barbarici. Nei
paesi mediterranei la policromia serviva anche come effetto calmante
per l’occhio alla luce accecante e non erano mai mescolati, bensì accostati
in modo tale da risultare all’occhio come un’unità. Il duomo di Milano
per esempio, nudo e privo di decorazione, è accecante d’estate e gelido
d’inverno. Ciò che il sole non colora necessita ancora di più di essere
colorato. Il fatto che ad un certo punto i greci utilizzarono il marmo al
posto del rivestimento in stucco colorato è perché è più resistente, ma
sullo stesso marmo era applicato uno strato di colore”13.
Con il tempo però le decorazioni policrome dei monumenti sono scomparsi
e a partire dal Rinascimento14, a causa delle ormai deboli tracce dei colori
sulle costruzioni, abbiamo creduto che le nude rovine ridotte a “edifici
scheletrici privi di anima”15 fossero sempre stati privi di decorazioni.
“Questo ha causato la condizione magra, asciutta, rigida e senza carattere
dell’architettura attuale”16.
Tuttavia anche “la parete bianca è tutt’altro che neutrale o silenziosa.
Per l’architetto moderno essa parla, rivela i volumi. Certamente nulla
urla in maniera più forte. […] Analizzare la parete bianca corrisponde
ad analizzare la superficie stessa, ma la superficie è tutt’altro che
superficiale: dettagli la compongono, texture la raccontano”17.
Al pari dell’ornamento dunque, l’intonaco non è qualcosa che si
“Sono tornato pochi giorni fa da
un viaggio attraverso il territorio
classico (Italia, Sicilia e Grecia)
dove crescono le delicate piante
dell’arte autoctona. […] Per capire
le costruzioni occorreva imparare a
pensare e sentire (denken und fühlen)
come uno del luogo e ascoltare i
collegamenti con il contesto (auf den
Zusammenhang lauschen), poiché lì
la Natura e l’Arte, il vecchio e il nuovo,
costituiscono un tutto organico e
naturale (naturnotwendig)”.
G.Semper, Vorläufige Bemerkungen...,
1834, p.1 e 17., p. 377
83
dalla piaga alla piega
Diogene, da G.Semper, Der Stil..., 1860
84
dalla piaga alla piega
applica successivamente alla forma, ma un elemento artisticamente
costitutivo.
Le Corbusier riprende la storia di Diogene, già ritratta da Semper, che
abbandona tutti i suoi averi e si spoglia dei suoi vestiti per andare a vivere
in una botte che costituirà la sua casa, “la primordiale cellula della
casa”18, dove cell significa al tempo stesso capanna, tomba, cantina, cellula
(tutti spazi amati). Diogene rappresenta quindi la fondamentale identità
tra corpo e rivestimento, tra abito e abitazione.
Bachelard inoltre afferma che “l’essere che esce dal suo guscio ci suggerisce
le réveries dell’essere misto”19: ad esso sono associate la dialettica del
piccolo e del grande, dell’essere libero e dell’essere incatenato, dell’essere
metà pietra e metà carne, dunque metà morto e metà vivo, del fuori e del
dentro, del nascosto e del manifesto.
L’intonaco è “uno strato fra struttura e ornamento”20, uno spazio soglia,
e “questo rapporto tra interno ed esterno presuppone uno scambio, un
filtro, una possibilità che l’interno traspaia all’esterno e si lasci cogliere.
Il problema è trovare un equilibrio tra questa visibile esteriorità e
l’invisibile interiorità”21.
“Ciò che distingue [allora] il tessuto bianco dalle altre forme di rivestimento
che sostituisce è il modo in cui solleva la questione del corpo che esso
nasconde, rimanendo sospeso da qualche parte tra il rivelare e il
nascondere. […] Il sottile velo bianco produce l’immagine del corpo
fisico dietro ad esso, ma si tratta di un corpo che non esisteva in tale
misura prima. […] La camicia bianca apre una distanza tra corpo e suo
ri-vestimento […] definisce un nuovo tipo di spazio”22, uno spazio
assolutamente seducente. Ora l’architettura è costituita da “molteplici
layers di schermi sospesi nell’aria”23, sospesi tra struttura e decorazione.
La faccia-ta di una casa diventa così contemporaneamente velo
simbolico e maschera; viene vista, ma al tempo stesso vede e lo fa
attraverso le aperture, i balconi, gli affacci.
La maschera infatti, per il corpo così come per l’architettura, non è
semplicemente qualcosa che ricopre, ma è “ciò che crea il volto”, che
gli “conferisce il suo essere sociale, la sua dignità umana, il suo significato
spirituale”24. “Nell’ornamento – scrive Semper - cerca di esprimersi quella
ispirazione all’individualità, quella tendenza a distinguersi, che è insita
nell’uomo e che rappresenta uno dei momenti fondamentali dello sviluppo
umano; nell’atto di abbellire una cosa - si tratti di un essere animato o
inanimato, di una parte o di un tutto – io le attribuisco uno speciale diritto
ad esistere […] la elevo al rango di persona”25.
“Chi perde il suo abito perde il suo volto, la sua dignità, se stesso. […]
Non è un caso che la parola ‘persona’, nel suo significato originale, volesse
dire [proprio] maschera”26.
Alla domanda perché viva nudo postagli dall’uomo civilizzato, l’indigeno
rispose in me tutto è volto. “Il corpo in una cultura non feticista (che non
feticizza la nudità come verità oggettiva) non si oppone, come per noi, al
“SIAMO DEGLI ESSERI PROFONDI,
CI NASCONDIAMO SOTTO SUPERFICI,
APPARENZE, MASCHERE”.
(G.Bachelard, La terra e il riposo, 1994,
pp. 91-115, in S.Malpangotti, Gaston
Bachelard…, 2004, p. 59
Kiki de Montparnasse fotografata da
Man Ray, Noire et Blanche, 1936, in
M.Canevacci, Una stupita fatticità...,
2007, p.30
volto il solo ricco di espressione, il solo dotato di sguardo: è esso stesso
volto, e vi guarda. Non è dunque osceno, ossia fatto per essere visto
nudo. Non può essere visto nudo, proprio come per noi il volto, perché è
velo simbolico”27.
“Il volto è lo spazio degli scontri, il luogo dove le emozioni, nel
momento stesso della loro manifestazione, vengono manipolate,
enfatizzate, negate”28.
“Giocando sulla trasparenza ed allusività, i vestiti femminili acquistano
quel tocco di mistero che valorizza il corpo ed agisce più efficacemente
sul desiderio e sulla curiosità dell’uomo”29, dove la trasparenza non
significa nudita svelata: anche “la trasparenza è [infatti] un effetto di
mascheramento”30.
Essa è qualcosa che va oltre la sfera fisica e materiale - quella che Colin
Rowe chiama trasparenza letterale -, implica una sovrapposizione di
due o più figure, una stratificazione, uno spessore.
Gyorgy Kepes nel suo The Language of Vision, scrive: “quando si vedono
due o più figure che si sovrappongono rivendicando ciascuna la sua parte
nascosta, ci si trova di fronte ad una contraddizione delle dimensioni spaziali.
Per risolvere questo contrasto occorre assumere la presenza di una nuova
qualità ottica. Alle figure viene conferita trasparenza (Durchsichtigkeit),
ciò significa che sono capaci di imbrigliarsi (durchdringen) l’una nell’altra
senza annullarsi otticamente. Tuttavia la trasparenza è più che solo una
caratteristica ottica, essa implica un ordine di spazio avvolgente
(eine umfassrendere räumliche Ordnung). Trasparenza significa una
contemporanea presa di coscienza di diverse posizioni spaziali. Lo spazio
(Raum) non solo si espande (dehnt sich), ma fluttua anche in continua
attività. La posizione delle figure trasparenti ha un doppio significato, se si
85
dalla piaga alla piega
Lucio Fontana , Concetto spaziale,
Attesa, 1964
I tagli che Fontana traccia nelle sue
tele costituiscono la soglia tra questi
due mondi, tra interno ed esterno,
ordine e disordine, grandioso e
minuscolo, e trasformano la superficie
piatta e bidimensionale del quadro in
un spazio profondo da esplorare. E’
proprio l’incisione che crea lo spazio.
Le Corbusier, Nature morte, e schema
compositivo della sovrapposizione
dei piani da C.Rowe, Trasparenz...,
1968, p.48
dalla piaga alla piega
guarda una figura come più lontana o come più vicina”31.
Secondo questa definizione, quella che Rowe chiama con trasparenza
fenomenica allora “non è ciò che è perfettamente chiaro, bensì ciò
che è chiaramente ambiguo”32. E a seconda che la sovrapposizione tra
le figure sia più o meno fitta, anche cambiando punti di vista da frontale
ad angolare o da vicino e da lontano, si ha più o meno trasparenza e uno
spessore più o meno denso. E la densità è sempre qualcosa che contiene,
uno spazio uterino.
Alois Riegl sosteneva che “la simmetria è connessa alle dimensioni
del piano, mentre la profondità la pregiudica”33: l’asimmetria
dunque indica profondità, indica che vi è uno spazio al di là del piano
bidimensionale della parete, un interno da scoprire e di cui le aperture
sono solo degli accenni, dei tagli come nei quadri di Fontana.
Lo “Spazio va inteso sempre come profondità spaziale”34 e la
profondità è percepibile solamente attraverso il movimento, che a sua
volta “richiede l’abbandono del piano”35.
“La costrizione ad una regolarità della facciata attraverso i simboli
della statica impedisce la libertà che noi oggi possediamo e possiamo
sfruttare proprio grazie alla cancellazione di questa imposizione;
questa è l’Architettura moderna”36. Essa infatti ha la capacità di essere
contemporaneamente trasparente e opaca, sottile e spessa, pesante e
leggera, lontana e vicina, etc.
Una simmetria perfetta porta ad una trasparenza letterale perché nulla
si sovrappone a niente, mentre quando vi è una traslazione o una
rotazione anche minime, ottengo una trasparenza fenomenica.
La stessa parola se-ducere etimologicamente significa far deviare dalla
propria strada, ed implica dunque uno spostamento, una traslazione.
“L’ANTICHITÀ CONOSCEVA UNITÀ
E INFINITO SOLO IN SUPERFICIE:
L’ARTE MODERNA LI CERCA INVECE
NELLA PROFONDITÀ”.
(Alois Riegl, Arte tardoromana,
1959, p. 14)
Dan Graham, Half Square/Half Crazy,
padiglione presso la Casa del Fascio di
Terragni a Como, 2004
Egli considera lo specchio non tanto
una superficie di riflessione, quanto
di assorbimento, uno spazio in cui
immergersi (tanto che Narciso vi si
annega). Si dimostra invece critico
nei confronti del curtain-wall che
permette una e una sola direzione
allo sguardo.
“RIFLESSIONE. CHE STRANA PAROLA. PUÒ ESSERE ADOPERATA COME SINONIMO DELL’ATTO DEL PENSARE … MA PUÒ ANCHE
ALLUDERE ALL’IMMAGINE CHE SI VEDE ATTRAVERSO UNO SPECCHIO, A UNA REALTÀ VIRTUALE …. IN AMBEDUE I CASI,
RICHIEDE UNA RAPPRESENTAZIONE. UNA TEATRALIZZAZIONE. UNA PERFORMANCE CON UNO SPETTATORE E UN ATTORE.
SEPARATI DA UN LIMITE CHE SEGNA DUE SPAZI DIVERSI: DELLA SCENA, DELLA CAVEA. … IL MIO IO E L’IMMAGINE CHE
PERCEPISCO DEL MIO IO NON COINCIDONO. E NON È LECITO CONFONDERLI. PENA: MORIRE ANNEGATI COME NARCISO CHE
CONFONDE LA SUA IMMAGINE PER SE STESSO”.
(L.Prestinenza Puglisi, Riflettersi in Architettura e cultura digitale, 2003, pp.75-96)
86
87
dalla piaga alla piega
Windows pattern: per ovviare al senso di
monotonia causato dall’assenza di linee
serpeggianti o di un intricato schema di
ripetizione, Josef Frank coglie l’attenzione
dell’osservatore ponendo le figure in dei
contorni chiusi e dalle linee arrotondate per
cui l’occhio tende a passare da una finestra
all’altra e quindi lo sfondo può rimanere
monocromatico e privo di decorazioni. Una
composizione questa che caratterizza anche
le aperture di una faccia-ta intonacata di
bianco.
Adolf Loos, Rufer House, prospetti, Vienna,
1922. L’intonaco è un velo idealmente tanto
sottile da far intravedere ciò che gli sta dietro.
88
dalla piaga alla piega
Perciò la finestra non è da intendersi come una semplice bucatura nella
parete, né il vetro come un materiale letteralmente trasparente. È una
superficie assorbente e riflettente al tempo stesso, insieme concavo
e convesso, che contemporaneamente mostra e nasconde, un affaccio
attraverso il quale – o meglio, nel quale - si è contemporaneamente attori
e spettatori.
“Il fascino dello specchio”, sostiene infatti Baudrillard, “non è tanto il fatto
di potervisi riconoscere – coincidenza che anzi risulterebbe piuttosto
angosciante – quanto piuttosto l’arguzia misteriosa e ironica del
raddoppiamento”37, dell’ambiguità, della sovrapposizione.
In questo gioco di sguardi “perdiamo ogni volta qualcosa della nostra
faccia esponendoci e facendoci giocare dal gioco stesso, ma […] in realtà
guadagniamo la capacità di avere molte facce e di esprimere noi stessi
in molti modi”38.
“Appena varcata la soglia della casa, l’abitante, passando di stanza in
stanza, si spoglia progressivamente di tutte le protesi sociali, di tutte le
maschere culturali che gli hanno assicurato la continuità delle relazioni
con il mondo, fino a toccare il punto estremo della propria soggettività,
quello della solitudine assoluta, dell’individualità non condivisibile, della
reductio ad minimum dell’io. Questa propaggine ultima dell’abitare è però
anche quella dalla quale occorre ogni volta ripartire per rientrare nel
mondo, compiendo a ritroso il medesimo percorso: uscire di casa vuol
dire dirigersi verso la soglia recuperando man mano, lungo il cammino,
tutti gli artifici, i trucchi, gli apparati rappresentativi con i quali torniamo in
rapporto con la dimensione sociale dell’esistenza”39.
Spielen in tedesco, oltre che suonare e giocare, significa anche recitare.
Così la faccia-ta di un edificio prende spessore e si scinde in due facce, una
pubblica, l’altra privata, come due veli che si sormontano.
Quindi, riprendendo quanto detto da Loos sull’abolizione dell’ornamento,
verso l’esterno l’edificio dovrebbe evitare la confusione di stili storicisti,
dunque “restare muto [una semplice camicia bianca] e rivelare la
sua ricchezza soltanto all’interno”40.
L’affermazione di Loos “ornamento è delitto” non significa allora abolizione
in assoluto dell’ornamento: “sono disposto a sopportare gli ornamenti
persino sul mio corpo, se fanno la gioia dei miei simili. In questo caso
essi fanno anche la mia gioia. Sopporto gli ornamenti dei Cafri, dei Persiani,
della contadina slovacca, gli ornamenti del mio calzolaio, poiché essi
non possiedono alcun altro mezzo per esprimere se stessi nel modo più
elevato”41.
Analogamente Frank sostiene “Ogni uomo possiede un certo grado
di sentimentalismo che ha necessità di soddisfare”. L’intellettuale
e l’artista, dato che sul lavoro già soddisfano il loro bisogno di
sentimentalismo, a casa loro non hanno bisogno di ornamenti, mentre
l’operaio viceversa si: “desidera riposarsi dagli affanni del suo mestiere
e nutrire la consapevolezza che [almeno] lì qualcuno abbia cura di
lui; consapevolezza che inizia con lo spolverare e finisce nel ricco
ornamento”. In questo caso l’ornamento è accettato poiché è utile per
lo spirito, diventa invece un problema quando “intervenne il movimento
moderno e disse: “il nostro ambiente, stranamente, non si è evoluto allo
stesso modo organico dei nostri vestiti, imbarcazioni, pipe. Questo divario
va recuperato. […] questo ha distrutto completamente il senso degli
oggetti inclusi nell’arte applicata, li ha resi patetici e perciò inservibili,
mentre un tempo una piacevole aura emanava proprio grazie alla loro
natura priva di problemi, che aveva addirittura valore di eternità”. A questo
punto infatti l’ornamento divenne una questione di moda.
Dunque l’ornamento in sé non è un problema, ma lo è il suo uso scorretto,
quando diventa pura immagine, qualcosa legato all’imitazione di forme e
stili ormai passati, privi di significato e di ogni riferimento con il presente.
Quando è falsificazione.
“Certo la colonna, l’arco, il tetto sono oggi forme morte, non più riesumabili
[…]. Chi le modernizza è un decoratore di stampo antico che contribuisce a
tenere in vita una forma morta ed anche a prolungarne l’esistenza. Si tratta
di un’occupazione problematica con cose non problematiche”42.
Similmente Loos: “quando l’intonaco a calce si mostra onestamente
come rivestimento di un muro di mattoni ha così poco da vergognarsi della
sua semplice origine quanto un tirolese con i suoi pantaloni di cuoio nella
Hofburg. Se però entrambi indossano il frac e la cravatta bianca, avverrà
che l’uomo si sentirà a disagio in quel luogo e l’intonaco a calce si renderà
conto all’improvviso di essere un imbroglione”43.
“La forma esterna delle case a cui noi oggi aspiriamo, deve [perciò] ritrovare
Nicole Tran Ba Vang, Sans titre 06, Collection
Printemps/été 2001, da R. Klante – L. Feireiss, Space
Craft..., 2007, p.125
89
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
unitarietà su una base più semplice e più sobria. [Tuttavia] una simile
unitarietà all’interno non è nemmeno auspicabile, e ancor meno in base
ad una presunta sintonia con l’esterno che sarebbe doppiamente
insensata. Solo un esempio: in passato si ornavano gli armadi con colonne
e cornici per armonizzarli con le facciate del palazzo; chi oggi costruisce
una sedia con sedile quadrato e schienale diritto per porla in sintonia con la
forma cubica della casa, lavora con lo stesso spirito del falegname di quegli
armadi, anzi, in modo ancora più antiquato, dato che comunque egli vive
in un’epoca che ha da tempo superato simili norme”44.
“Le condizioni per la facciata e per l’interno sono completamente diverse e
non hanno nulla a che fare l’una con l’altra. All’interno della casa cade ogni
necessità di uniformarsi alle case dei vicini”45.
“L’abitazione deve offrire la possibilità di accogliere tutti i punti di vista, le
esperienze e gli oggetti che si raccolgono nel corso di una vita e pertanto
[all’interno] ogni uniformità, ogni armonia di colori, ogni stile, anche
quello moderno, deve essere evitato. L’abitazione non è un’opera
d’arte e pertanto non è suo compito suscitare emozioni, perché sarebbe
il contrario del suo scopo. Uniformità e assenza di ornamenti rendono
inquieti, mentre ornamenti e varietà tranquillizzano allontanando
quel senso patetico che emanano le forme finalizzate”46.
“Ciò
che
intendo
per
architettura
moderna
sorge
moltiplicazione delle piegature e sovrapposizioni produce un effetto di
trasparenza fenomenica. Come la cucitura e il symbolon, la piega unisce
nello stesso momento in cui separa.
“La piega leibniziana è in continuo movimento, ingloba pieghe precedenti
e ne crea di nuove […] Qui la natura dello spazio leibniziano è cruciale;
spesso e pieno, contenitore e contenuto, non riconosce distinzione tra
solido e vuoto, e dunque nemmeno divisioni fra l’interno di una piega e il
suo esterno; dopotutto, la materia di cui è costituita una piaga è la stessa
che forma lo spazio nella piega, sotto la piega e tra le pieghe”52.
All’interno della casa “il corpo si scopre [così] immerso in una sorta di
liquido amniotico che l’avvolge, lo modella nella plasticità dello spazio
arredato, lo dilata e lo restringe a seconda dei percorsi, delle cavità, delle
convessità, degli spigoli, dei piani orizzontali, delle emergenze verticali”53.
La faccia-ta esterna allora, il visibile, la camicia bianca, simbolo
dell’intonaco a calce dell’architettura del Novecento, apparentemente
sempre identica (liscia e priva di ornamenti), può essere piegata in molti
modi diversi producendo uno spazio interno morbido e sensuale, giocoso
e poetico, libero di infinite possibilità e variazioni. L’asimmetria ha dato vita
all’intimità di una casa, lo spazio amato, la seduzione dell’INvisibile.
LA CASA PRIMORDIALE PER L’UOMO
“EQUIVALE ALLA SUA CAMICIA”:
ESSA PRESERVA IL CALORE VITALE DEL
CORPO, “È TANTO CONNATURATA AL
CORPO QUANTO LA CORTECCIA LIBER
LO È ALL’ALBERO” .
(H.D.Thoreau, Walden ovvero Vita nei
Boschi, 1845, cit. in R.P.Harrison, pp.
44-45)
Diller e Scofidio, Bad Press: Dissident
Housework Series, 1993-1998
contemporaneamente all’interno e all’esterno nella visione del
progettista. Nessun vantaggio all’interno può scusare una cattiva
Il termine deriva dal latino plicāre,
da cui anche s-piegare, cioè svelare
dove invece la piega nasconde, e
molti-plicare
(duplicare, triplicare,
complicare…), ma anche dal greco
plékō che significa intrecciare, tessere,
attorcigliare.
Nelle lingue germaniche si usa falten
(tedesco) e to fold (inglese), entrambi
derivanti da falthan o faldan, da
cui rimane ancora l’italiano falda.
Ricordiamo il termine Decke che
in tedesco significa sia tetto che
coperta.
(F.Rigotti, Il pensiero delle cose, Apogeo,
Milano 2007, p.62-65)
90
facciata dato che l’esterno di una casa esiste per molte più persone che
l’interno. L’architetto è un modellatore che forma allo stesso tempo le
parti concave e quelle convesse. […] la logica dello spazio deve andare
d’accordo con quella della facciata. La forma della casa non è costituita
dalla decorazione della sua facciata; l’architetto deve poter pensare in
modo tridimensionale”47.
Da qui l’importanza di quello che Loos chiama Raumplan e Frank Haus
als Weg und Platz, cioè della composizione spaziale secondo tutte le
dimensioni, anche quella temporale, contemporaneamente in pianta e in
sezione, secondo un percorso aptico48 che va esperito con il proprio corpo
e progettato in modo da permettere libertà di movimento e di percezione
dello spazio49.
“Un interno [progettato in questo modo] non è definito da una perimetro
chiuso di pareti, ma dalle sue pieghe, torsioni, e si trasforma in una
superficie ornamentale spesso discontinua”50, dove la piega stessa rimanda
all’organico, alla carne, all’utero materno.
La piegatura definisce sempre un voler mettere dentro, un mettere “IN”:
dall’inflessione si passa all’inclusione51.
In La piega, Leibniz e il barocco Deleuze immagina di voler mettere un foglio
di carta in una busta piccola all’infinito: si dovrebbe piegarlo talmente
tanto fino a farlo diventare un punto e questo punto non è assolutamente
immateriale e vuoto, ma è anzi un concentrato di spazio, quindi
densissimo, un contenitore pieno di contenuto. Contemporaneamente la
91
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
Note
alcune tombe etrusche e della colonna traiana.
pubblicato nel 1835 dallo storico dell’arte Franz Theodor
corpo rivestito, Meltemi, Roma 2007, p. 80
Poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1999 (ed. orig. 1957), cap. 9 La
Per conoscere in dettaglio l’itinerario del viaggo vedi
Kugler (1808-1858) in cui sosteneva che solamente elementi
25
dialettica del fuori e del dentro, pp. 248-249
W.Nerdinger,
Gottfried Semper 1803-1879.
architettonici secondari come tympana, metope e mutuli erano
Burelli, C.Cresti, B. Gravagnuolo, F.Tentori, Laterza, Roma Bari
2
Architektur und Wissenschaft, Prestel Verlag, gta Verlag Zürich,
colorati, mentre le colonne e le pareti della cella erano bianchi -
1992, p.100
2003, pp.9-51
tentò una ricostruzione dei colori dei monumenti del Partenone,
26
rivista “Der Aufbau” nell’estate 1926, ora in J.Spalt, H.Czech, Josef
10
Semper rifiutava infatti il pensiero sorto soprattutto dopo la
dove gli elementi strutturali erano in rosso, i triglifi e gli sfondi in
Gesammelte Schriften, VII, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1982, p. 413,
Frank 1885-1967, Hochschule für angewandte Kunst, Wien 1981,
pubblicazione nel 1764 di Geschichte der Kunst des Altertums
blu e le figure delle metope in rosso, ma ammise che si trattava
cit. in N.Squicciarino, Il vestito parla, op. cit., p. 157
pp.141-143, trad. it. Christina Kruml
da parte di Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), secondo
di una ricostruzione basata sulle testimonianze di Vitruvio e di
27
3
cui l’architettura classica era nata priva di colore e priva di
Hittorff sui templi in Sicilia e non su reali dati scientifici. Infatti
p. 42
Adelphi, Milano 1999, p. 114
ornamenti, di una bellezza pura e ideale, in quanto “solo il
mentre Hittorff e Kugler cercavano prove scientifiche della
28
N.Squicciarino, Il vestito parla, op. cit., pp.18-19
4
A.Loos, Ornamento e delitto, in Ivi, pp.217-219
bianco, in quanto astrazione del colore, ha il massimo valore”.
policromia antica, a Semper interessava soprattutto cercare una
29
Ivi, pp. 96-97
5
Le Corbusier, L’art décoratif d’aujourd’hui, Éditions G.Grès et Cie,
Questa tesi era stata poi confermata nel 1814 da Quatremére
continuità storico-culturale con il passato. Aveva in previsione
30
M.Wigley, Untiled, in B.Colomina, Sexuality & Space, op. cit.,
Paris 1925, trad. it. Arte decorativa e design, Laterza, Bari 1972.
de Quincy nel saggio Le Jupiter Olympien, in cui, affrontando
la pubblicazione di un testo in tre volumi accompagnato da
1992, p. 377
6
la questione attorno al rivestimento originale policromo dei
litografie a colori in cui raccogliere gli studi sulla policromia e in
31
of Modern Architecture, The Mit Press, London 2001, p. XVIII
templi greci e in particolare della statua dello Zeus olimpico
particolare il dorico e il Partenone nel primo, l’architettura ionica
Robert Slutzky, Bernard Hoesli, Transparenz, Le Corbusier
7
1
Pierre-Jean Jouve, Le Noces, p. 50, cit. in Gaston Bachelard,
Josef Frank, Der Volkswohnungspalast. Eine Rede anlässlich
der Grundsteinlegung, die nicht gehalten wurde, comparso nella
A.Loos, Moda femminile, in Parole nel vuoto, (ed. orig. 1962),
In Mark Wigley, White walls,Ddesigner Dresses. The Fashioning
W.
Oechslin,
G.Semper, Lo Stile nelle arti tecniche e tettoniche, a cura di A.R.
Helmut Plessner, Zur Anthropologie des Schauspielers, in
J.Baudrillard, Della seduzione, SE, Milano 1997 (ed.orig. 1979),
Gyorgy Kepes, The Language of Vision, cit. in Colin Rowe,
di Fidia, rifiutava l’idea della policromia in architettura, ad
e corinzia con esempi come il monumento coragico a Lisicrate e
Studien1, Birkhäuser, Basel 1968, pp. 10-11.
in Parole nel vuoto, op. cit., pp. 236-37
eccezione di quando essa derivava dal colore naturale dei
le porte dell’Eretteo nel secondo, i monumenti romani come la
Concepito tra il 1955 e il 56 quando sia l’architetto Rowe che il
8
materiali stessi.
colonna traiana e medioevali nel terzo.
pittore Slutzky si trovavano a insegnare alla scuola di architettura
Milano 1982, p.132, cit. in Nicola Squicciarino, Il vestito parla.
In opposizione a queste teorie l’architetto e archeologo Jaques-
11
Gottfried Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen
dell’Università del Texas ad Austin, venne però pubblicato solo
Considerazioni psicosociologiche sul’abbigliamento, Armando
Ignace Hittorff aveva pubblicato contemporaneamente in
Kuensten, oder Praktische Aesthetik. Ein Handbuch für Techniker,
nel 1964 in “Perspecta 8”, The Jale Architectural Journal, in forma
Editore, 1992, p. 97
Francia e Italia una Mémorie su l’architecture polychrome chez les
Kuenstler und Kunstfreunde, Erster Band: Textile Kunst, Verlag für
leggermente abbreviata dal titolo “Trasparency: Literal and
9
Il suo itinerario inizia in compagnia dell’amico Goury a metà
Grecs nel 1830 in cui aveva tentato di sfatare il mito delle bianche
Kunst und Wissenschaft, Frankfurt a.M., 1860, p.445
Phenomenal”.
settembre 1830 dai monumenti romani nella Provenza nel sud
rovine del mondo antico, argomentando anche attraverso
12
G.Semper, Vorläufige Bemerkungen, op. cit., pp. 5-8
32
C.Rowe, Transparenz, op.cit., p.12
della Francia e si concluderà nel dicembre 1933. Da Marsiglia si
numerose rilevazioni archeologiche compiute in Sicilia e alla
13
Ivi, p. 20
33
Alois Riegl, Arte tardoromana, Einaudi, Torino 1959 (ed. orig.
imbarca per Genova, dove rimane due settimane per proseguire
ricostruzione a colori dovuta a Leo von Klenze del tempio di
14
poi verso la Toscana. Si trasferisce quindi a Roma, Napoli (a
Egina nel 1827, seguiti l’anno dopo dalla ricostruzione dei
un’architettura nuda e senza colore, solo Bramante cerca ancora
34
Ibidem
Pompei si convince per la prima volta della policromia dei
templi greci di Paestum proposta da Henry Labrouste.
di relazionarsi alla policromia antica. Ivi, p. 16
35
Ivi, p. 47
monumenti antichi) e quindi in Sicilia (rimane particolarmente
Semper, che aveva conosciuto di persona Hittorff nel 1826
15
Ivi, p. 11
36
Josef Frank, How to plan a House, in Johannes Spalt, Josef
impressionato dal Tempio della Concordia ad Agrigento, dai
a Parigi grazie alla mediazione dell’amico architetto Franz
16
Ivi, p. 21
Frank 1885-1967. Möbel & Geräte & Theoretisches, Hochschule für
resti del tempio dorico di Atena a Siracusa e dall’architettura
Christian Gau, al ritorno dal suo viaggio in Italia, nel 1834
17
M.Wigley, White walls, op. cit., p.XIV-XV
angewandte Kunst, Wien, 1981, pp.156-167
normanno-bizantina della Cappella Palatina e del Duomo di
pubblica Osservazioni provvisorie sull’architettura e la scultura
18
Ivi, p.19
37
J.Baudrillard, Della seduzione, op. cit., p. 107
S.Maria la Nuova a Monreale). Nell’agosto 1831 procede verso
dipinte degli antichi, che contengono già i temi fondamentali
19
38
P.Aldo Rovatti, Davide Zoletto, La scuola dei giochi, Bompiani
la Grecia e ad Atene, assieme all’archeologo Friedrich Thiersch
che verranno poi sviluppati negli anni successivi e che lo
p.131
2005, p.30-31
e l’architetto di Monaco Eduard Metzger, ricerca per due
porteranno al Prinzip der Bekleidung e al rifiuto del Classicismo
20
M.Wigley, Untiled: The Housing of Gender, in B.Colomina,
39
mesi interi tracce di policromia antica sul Theseion e poi, nel
del suo tempo, che predicava “edifici scheletrici senza anima”
Sexuality & Space, Princeton Architectural Press, New York 1996
40
A.Loos, Arte nazionale, in Parole nel vuoto, op. cit., p.281
gennaio 1832 sull’acropoli e sull’Eretteo. Lo colpiscono anche il
che non fanno altro che “imitare senza senso un’epoca morta da
(ed.orig. 1992)
41
A.Loos, Ornamento e delitto, in Parole nel vuoto, op. cit., pp. 217-
monumento coragico a Lisicrate e il basamento dell’Olympeion.
tempo fatta di ossa di Mammuth” (Gottfried Semper, Vorläufige
21
228. Loos si sarebbe basato sul saggio del 1892 di Louis Sullivan
Dopo la separazione da Goury che va a collaborare con Owen
Bemerkungen über bemalte Architektur und Plastik bei den Alten,
Einaudi, Torino 2008, pp. 156-157
“Ornamento in Architettura” in cui elogiava le costruzioni “nude”:
Jones, Semper torna in Italia soffermandosi in particolare
Johann Friedrich Hammerich in Altona, 1834).
22
M.Wigley, White walls, op. cit., p.7
“farebbe molto bene al nostro gusto estetico se per un periodo
a Roma dove, assieme all’allievo di Schinkel, Karl Friedrich
In particolare Semper - anche sulla base di Über die Polychromie
23
Ivi, p. 22
facessimo completamente a meno dell’uso dell’ornamento,
Schepping, e all’epigrafo Olaf Kelermann, effettua dei rilievi a di
der griechiscehn Architektur und Skulptur und ihre Grenzen
24
Patrizia Calefato, Mass Moda. Linguaggio e immaginario del
così che i nostri pensieri si potrebbero concentrare in modo
A.Loos, Due articoli e una lettera sulla casa della Michaelerplatz,
Honoré de Balzac, Trattato della vita elegante, Longanesi,
92
Secondo Semper Brunelleschi e Michelangelo mostrano
G.Bachelard, Poetica dello spazio, op. cit., cap. 5 Il guscio,
Maurizio Vitta, Dell’abitare. Corpi spazi oggetti immagini,
1901), p. 32
M.Vitta, Dell’abitare, op. cit., pp. 156-157
93
dalla piaga alla piega
dalla piaga alla piega
acuto attorno alla produzione degli edifici ben formati e
“Gedanken beim Entwurf eines Grundrisses”, Strnad sostiene
piacevolmente nella nudità”. Tuttavia anche per Sullivan
che l’architettura non implica solamente il senso della vista, ma
questo non significava l’eliminazione totale dell’ornamento
è costituita da una serie di fattori che chiama “imponderabili” tra
dall’architettura, in quanto a differenza della moda l’ornamento
cui il movimento (das Sichbewegen), la percezione dello spazio
è parte integrante della struttura di un edificio e non qualcosa
(das Raumgefühl), la traslazione (Verschiebungsbewegung),
da applicare o rimuovere a piacere. Già Giedion aveva fatto
la discontinuità (Verschneidungen), indispensabili per il vero
presente che la maggior parte delle arti hanno origine da
abitare che attiva tutti i cinque sensi del corpo.
simboli della procreazione (vedi The Beginnings of Art, 1962)
Queste teorie riguardanti la sensazione della profondità
e che l’imitazione del passato come moda e “pura ricerca di
attraverso il movimento erano state già affrontate da autori
forme” tralasciando il suo “significato intimo” è “un’architettura
come Robert Vischer e Theodor Lipps per quanto riguarda la
da play-boy” (Spazio Tempo Architettura, Hoepli, Milano 1984,
teoria dell’empatia (Einfühlung), Adolf Hildebrand (Das Problem
p.XXXVIII, ed. orig. 1941).
der Form in der bildenden Künste, 1893: il toccare con mano
Vedi anche Louis Sullivan: The Public Papers, Robert Twombly
gli oggetti porta alla graduale rappresentazione nell’occhio
ed., University of Chicago, Chicago, 1988, pp.79-84, 80, cit. nella
come somma di singole impressioni. Quindi anche il tempo
nota 4 di M.Wigley, White walls, op. cit.,p.373
ha la sua importanza) e August Schmarsow (1893 lezione Das
42
Josef Frank, Gschnas fürs G’mut und der Gschnas als Problem,
Wesen der architektonischen Schöpfung e Unser Verhältnis zu
1927, in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank..., op. cit., p.188-190, trad.
den Bildenden Künsten: sechs Vorträge über Kunst und Erziehung,
it. Ornamenti per lo spirito e ornamenti come problema, in
1903) per quanto riguarda la percezione cinetica-sinestetica.
G.Fraziano (a cura di), Percorsi accidentali. Scritti e progetti di
Secondo Schmarsow in particolare non è solo una questione
Josef Frank, Lint, Trieste
di come percepiamo lo spazio, ma anche come le esperienze
43
del nostro corpo influenzano il modo in cui noi organizziamo
A.Loos, Due articoli e una lettera sulla casa della Michaelerplatz,
in Parole nel vuoto, op. cit., pp. 236-37
e incorniciamo il nostro spazio. Vi è dunque un rapporto
44
J.Frank, Die moderne Einrichtung des Wohnhauses, 1927,
biunivoco tra corpo e spazio. Nonostante né Frank né Strnad
in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank..., op. cit., pp.84-87, trad. it.
citino mai direttamente il nome di Schmarsow, è certo che
L’arredamento moderno dell’abitazione, in G.Fraziano, Percorsi
le sue teorie erano note negli ambienti culturali viennesi
accidentali, op. cit.
dell’epoca, anche grazie agli scritti di Alois Riegl. Infatti già
45
Riegl in Arte tardoromana aveva distinto l’evoluzione dell’arte
J.Frank, Fassade und Interieur, 1928, in J.Spalt, H.Czech,
Josef Frank..., op. cit., pp.25-27, trad. it. Facciata e interno, in
figurativa nell’antichità secondo tre fasi:
G.Fraziano, Percorsi accidentali, op. cit.
Visione da vicino (Naehsicht) tattile o aptica (haptisch) dell’arte
46
egizia arcaica: avvicinamento massimo alla superficie tangibile
J.Frank, Die moderne Einrichtung.., op. cit., in J.Spalt, H.Czech,
Josef Frank..., op. cit., pp.84-87
di un oggetto al punto che tutti i contorni e le ombre vengono
47
annullate. Il contorno è il più possibile simmetrico e le finestre
Josef Frank, How to plan a House, in J. Spalt, Josef Frank..., op.
cit., pp.156-167
tendono a mancare per evitare qualsiasi indicazione di
48
Uno dei primi ad introdurre il termine “aptico” fu Alois Riegl,
profondità. È rappresentata dalla piramide rispetto alla quale
che, se nella prima versione di Spätroemische Kunstindustrie
“da qualsiasi dei quattro lati si ponga l’osservatore, il suo occhio
(1901) impiegava ancora il termine taktil, in un intervento
scopre continuamente solo il piano unitario del triangolo
pubblicato sull’ “Allgemeine Zeitung” (Beilage 92-93, Vienna
equilatero i cui lati tagliati netti non si richiamano in nessuna
1902), riconosce l’opportunità di sostituirlo con haptisch
parte alla chiusura in profondità che sta dietro” .
sottolineando l’importanza non solamente il senso del tatto, ma
Visione normale (Normalsicht) ottico-tattile dell’arte classica
della sinergia tra tutti i sensi.
dei Greci: “la visione del tempio greco si ottiene da quella
49
L’idea del percorso architettonico percettivo era stato già
lontananza moderata che corrisponde alla visione normale,
affrontato nei suoi progetti anche da Strnad, in particolare
in cui la chiarezza tattile del dettaglio e il colpo d’occhio
nella Casa Hock sulla Cobenzlgasse a Vienna (progettato in
ottico sull’insieme riescono a valorizzarsi in ugual misura”. Alla
collaborazione con Wlach, 1912-13) e nella Casa per Jakob
superficie sono consentite delle variazioni in profondità ed
Wassermann (1914). Anche qui gli ambienti principali sono
ombre, e la simmetria subisce un rilassamento pur non venendo
collegati da un percorso ascensionale che guida il visitatore
mai eliminata. Tuttavia compito principale dell’architettura
facendogli cambiare continuamente direzione, accompagnando
greca rimaneva pur sempre la delimitazione piuttosto che la
il passo più o meno accelerato in base agli intervalli dei gradini e
formazione dello spazio e per questo subito dietro alle colonne
facendogli fare delle soste a diversi livelli e sui pianerottoli.
dei porticati del tempio greco si trova il muro pieno della cella,
In una conferenza tenuta il 17 gennaio 1913 al Österreichischer
privo di aperture, che si presenta dunque ancora come una
Ingenieur- und Architektenverein a Vienna e in una successiva
superficie piana su cui le colonne sembrano in rilievo.
94
Visione da lontano (Fernsicht) ottico-coloristica della tarda
età imperiale romana: oltre al recinto, si viene a riconoscere
anche lo spazio in quanto cubicamente misurabile, anche se
non ancora come infinita profondità fra i singoli oggetti. Le
singole entità infatti perdono il loro legame tangibile con il
piano di fondo e si isolano dalla superficie, divenendo macchie
di colore che si dissolvono con il loro contorno e intervallate
da ombre profonde che hanno la funzione di dividere,
separare. Con l’appiattimento in superficie, l’osservanza della
simmetria ridiventa ancora una volta più rigida. Questa fase
è rappresentata dalla basilica cristiana e dalle costruzioni a
pianta centrale. Del pantheon Riegl dice che “al posto della
superficie assolutamente calma dell’ideale artistico egiziano
subentra la curva inquieta che cerca profondità”. Il Pantheon
rappresenterebbe il primo esempio di spazio interno concepito
come contenitore, come un pieno: ovunque guardi il visitatore,
alle pareti laterali e alla cupola, dovunque scorge variazioni
in profondità e una volta alzato lo sguardo al cielo l’oculo in
sommità della cupola ci protende verso un aldilà, ci connette
con il cosmo. Nicchie laterali e cassettonato della cupola ci
preparano gradualmente all’evento, anche se il punto di vista è
pur sempre centrale. Il fatto che altezza e larghezza siano uguali
e la planimetria circolare risvegliano da subito una sensazione
tangibile di unità per la quale il visitatore non sente il bisogno di
avvicinarsi alle nicchie per saggiarne tattilmente la profondità.
Il bisogno di movimento lo ritroviamo invece nel tempio di
Minerva Medica, dove dal nucleo centrale si liberano delle
nicchie che vanno incontro allo spettatore, sia all’interno
che all’esterno in un gioco di convessità e concavità che
preannunciano le pieghe dell’architettura barocca. L’apertura
di finestre nel tamburo e nella volta della cupola da un
lato animavano coloristicamente le superfici parietali e
contemporaneamente attiravano lo sguardo dall’involucro
materiale, fuori, nello spazio infinito.
Vedi Alois Riegl, Arte tardoromana, Einaudi, Torino 1959 (ed.
orig. 1901), p. 39
50
M.Wigley, White walls, op. cit., p. 11 e M.Wigley, Untiled, op.
cit., p.367
51
P.A.Rovatti, op. cit., p.37
52
Anthony Vidler, La deformazione dello spazio. Arte, architettura
e disagio nella cultura moderna, Postmedia Book, Milano 2009
(ed. orig. 2000), p.181
53
M.Vitta, Dell’abitare, op. cit., pp.98-99
“
DISTANZA
LA LUNA:
TRA
UNA
LA
TERRA
CARTINA
E
DA
SIGARETTA TALMENTE FINE CHE
1000 PER
OTTENERE UN MILLIMETRO, PIEGATA
IN DUE PER 49 VOLTE DI SEGUITO;
DISTANZA TRA LA TERRA E IL SOLE:
LA STESSA, PIEGATA IN DUE PER 58
VOLTE DI SEGUITO.
NE OCCORREREBBERO
“
(G.Perec, Specie di spazi, 1989, p.102)
95
Glossario
architessile
Toyo Ito, Suites Avenue, Barcellona, 2009
e progetto per il Forum per la musica, la
danca e le arti visive di Gehnt, Belgio, 2004 .
Sotto abito di Elena Manfredini, da B. Hodge,
P. Mears, S. Sidlauskas, Skin & Bones..., 2007,
p.183 e 146
98
G l o s s a r i o
architessile
Come ci ricorda Adrian Forty nel suo saggio Of Cars, Clothes and Carpets,
molti storici dell’architettura si sono serviti di metafore tratte da altre
discipline come strumento critico per riflettere sull’architettura, ma
Gottfried Semper si spinge più in là arrivando addirittura a sostenere che
l’architettura nasce proprio dalla tessitura e non viceversa.
Al rapporto tra queste due discipline è dedicato l’intero primo volume di
circa 480 pagine di Der Stil. Il suo interesse per quest’arte si era dimostrato
fin dai tempi della sua formazione a Parigi quando al Louvre era rimasto
particolarmente colpito dai tessuti assiri, incrementato dal fatto che suo
padre era un industriale della lana. Alla Great Exhibition di Londra del 1851
aveva quindi potuto confrontarsi direttamente con i diversi tipi di tessuto
allestendo il padiglione della Turchia e in seguito la Mixed Fabric Courts1.
Qui di seguito alcune parole chiave tratte dal vocabolario semperiano
che dimostrano il parallelismo tra architettura e tessitura, due discipline
apparentemente così diverse tra loro, l’una associata alla massa, al
pesante, alla durezza, al permanente, al fisso, al stabile; l’altra invece
alla leggerezza, al fragile, alla morbidezza, al flessibile, al temporaneo, al
mobile, all’instabile. Ma se, come consiglia Anni Albers in The Pliable Plane,
pensiamo invece al procedimento costruttivo e lo compariamo a quello
della tessitura possiamo osservare come queste due discipline abbiano
molti punti in comune, essendo entrambe frutto di una congiunzione di
parti ciascuna delle quali mantiene la propria identità pur facendo parte di
un tutto unico (da qui l’importanza delle giunture, cuciture, e il disegno dei
vari componenti).
Entrambe, architettura e tessitura, partono da un’idea che viene
rappresentata mediante lo schizzo su una superficie bidimensionale che
mano a mano viene trasformata in uno spazio complesso tridimensionale
fatto di un intreccio di trama ed ordito attorno al corpo umano, che rimane
quindi l’unità di misura e il fulcro centrale, il loro punto d’origine.
Al tempo stesso sono espressione di identità e portatrici di significati
antropologici ed economici molto importanti, e quindi influenzabili ed
influenzate dal mercato e dalla moda.
Recentemente poi le nuove tecnologie e la computer grafica hanno
dimostrato come la differenza tra architettura e tessitura sia oggi molto
ambigua essendo diventata la prima leggera, flessibile e mobile, mentre la
seconda estremamente resistente e stabile.
Oggi dunque l’idea che la parete (Wand) derivi dall’abito (Gewand), come
sosteneva Semper, è più che mai vera e proprio la capacità del tessuto
di piegarsi, curvarsi, incresparsi, avvolgersi, essere cucito, intrecciato
e strecciato permette all’architettura di ribaltare i limiti tra interno ed
esterno, tra dentro e fuori, tra sopra e sotto.
Per la stesura del glossario si è fatto riferimento a:
G.Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen Kuensten, oder
Praktische Aesthetik. Ein Handbuch für Techniker, Kuenstler und Kunstfreunde,
Erster Band: Textile Kunst, Verlag für Kunst und Wissenschaft, Frankfurt
a.M., 1860;
e alla corrispettiva traduzione parziale italiana Lo Stile nelle arti tecniche e
tettoniche o estetica pratica, a cura di A.R. Burelli, C.Cresti, B. Gravagnuolo,
F.Tentori, Laterza, Roma-Bari 1992.
Per il termine “trama e ordito” invece il testo di riferimento è Roberto
Frassine, Maria Grazia Soldati, Manuela Rubertelli, Textile design. Materiali e
tecnologie, Franco Angeli Editore, Milano
1
Non avendo tuttavia una grande esperienza sull’argomento, è probabile che all’inizio della
stesura del primo volume di Der Stil si sia fatto aiutare da Hudson, direttore del corso di tessitura al
Department of Practical Art di Londra. Vedi W.Hermann, Gottfried Semper. Architettura e teoria,
Electa, Milano 1990 (ed. orig. 1978), pp.78-79
Office da, progetto non realizzato per la
Zahedi House a Weston, Massachussets, 1998
(Skin & Bones..., p.136)
Miralles e Tagliabue, Mercato di Santa Caterina
a Barcellona, 1997-2005. La copertura è
composta come pezzi di stoffa cuciti assieme.
Qui sopra il “cartamodello”.
99
simmetria Symmetrie
proporzione Proportionalität
direzione Richtung
euritmia (die Eutythmie)
DEFINIZIONE 1860 p.21; 1992 p.103-110
Esistono tre principi formativi (Gestaltungsprinzipien) necessari
affinché vi sia bellezza formale (nothwendige Bedingungen
des Formal-schönen): la simmetria (Symmetrie), la proporzione
(Proportionalität) e la direzione (Richtung). A ciascuno corrisponde
una categoria di ornamento in cui rientrano sia la decorazione del
corpo che quella architettonica:
1) simmetria - il pendente: gli orecchini, i ciondoli, i pendenti
dal naso, ma anche le gocce della trabeazione dorica e le
campane delle pagode cinesi e tutti quegli elementi caratterizzati formalmente da simmetria. Essi “pendono
liberamente ad ogni movimento”, ma hanno la tendenza a predisporsi continuamente in uno stato di quiete
grazie alla forza di gravità controbilanciata dalla forza alla quale il pendente è appeso. Questo sistema di
forze tende verso l’esterno dell’oggetto che per questo rimanda al suo rapporto con il generale e dunque
è chiamato anche “ornamento macrocosmico”. La simmetria rigorosa si distingue da quella lineare che è
definita come “equilibrio armonico di elementi attorno ad un asse perpendicolare alla direttrice dinamica,
senza che necessariamente vi sia simmetria”;
2) proporzione - l’anello: definito “ornamento microcosmico” poiché ha la capacità di concentrare al suo
interno le forze esterne disposte in modo radiale attorno all’oggetto e per questo richiama l’attenzione sul
particolare piuttosto che sul generale. Fanno parte di questa categoria la corona, la collana, la cintura, il
braccialetto, l’orlo del vestito, ma anche la cimasa, gli astragali, le volute, i nastri, le tenie, il fregio articolato
delle metope, il diazoma e tutti quegli elementi che servono “ad evidenziare la proporzionalità della figura
[e a] correggere le sue imperfezioni”. Anche il vestito fa parte di questa categoria quando è nel suo stato di
quiete;
DEFINIZIONE 1860 pp.XXIV-XXIX e XXXIII-XXXVII; 1992 pp.21-25
L’euritmia è definita come una simmetria chiusa, “una concatenata sequenza di intervalli spaziali
analogamente conformati (in einer geschlossenen Aneinanderreihung gleichgeformter Raumabschnitte)”
secondo una disposizione regolare e concentrica di elementi formali che creano intorno all’oggetto
incorniciato una figura chiusa (regelmässig koncentrische Gliederung und Ordnung der formalen Elemente
die um das eingerahmte Obiect herum eine geschlossene Figur bilden)”. La sua essenza dunque è l’inclusione
(Geschlossenheit, Einschlusses), e perciò è ben rappresentata dalla cornice, considerata “una delle forme
fondamentali (Grundformen) dell’arte: senza di essa non esiste immagine chiusa (abgeschlossenes Bild), non
esiste misura di grandezza (Massstab der Grösse)”.
Nelle figure ottiche sono possibili tre varianti euritmiche:
1) sequenza semplice (die einfache Reihungen): presenta elementi e intervalli tutti uguali (per esempio il
profilo a dentelli o scanalato (Zahnschnitte oder Kanenlüren), la ghirlanda di foglie tutte uguali (Blattkränze),
le file di perle (einfachsten Perlenstäbe ohne Disken);
2) serie alternata (die alternierende Reihungen): consiste nell’intercalare un elemento diverso in una
100
3) direzione - l’ornamento direzionale: “la cui funzione è di porre in risalto la direzione e il movimento
sequenza semplice (file di due perle e un disco, motivo a ovoli e lancette, triglifi e metope);
del corpo” e comprende dunque il vestito quando comincia a muoversi, il mitra del sovrano, i copricapi
militari, il serpentone ureo posto sulla fronte della divinità egizia, nastri, lacci, nappe e simili, i capelli, ma
anche le palmette che ornano il frontone così come “le tegole di colmo decorate a mo’ di cresta”.
3) intersecanza (Intersekanz) consistente nell’interrompere una delle due serie precedenti con periodiche
Questi tre principi a loro volta sono destinate a ricomporsi in una unità “di ordine superiore”, definita
come autorità di contenuto (Zweckeinheit oder Inhaltseinheit). Essa è l’idea di cui parlava Semper già
in I principi formali dell’ornamento: “affinchè vi sia Bellezza occorre che questi tre principi – simmetria,
proporzione e direzione – agiscano assieme in maniera equilibrata disponendosi attorno ad un quarto
parametro fondamentale “di ordine superiore [che] è il punto cardinale della figura, […] l’idea, la sua stessa
quintessenza”.
A loro volta le unità possono presentarsi come corpi neutrali (per es. perle e dati), oppure essere rivolte verso
l’alto o verso il basso, come nel motivo a ovuli (Eierstab) oppure alternativamente in entrambi i modi.
cesure (file di perle con due o più dischi, le teste di leone e le maschere della trabeazione greca, le balaustre
del Rinascimento, nell’ornato dell’architettura barbara, indù, araba e gotica)”.
101
nastro (das Band)
DEFINIZIONE
1860 pp.18-22; 1992 pp.56-59
DEFINIZIONE 1860 pp. 180-183
Mentre l’allineamento connette assieme delle unità tutte uguali, il
nastro lega assieme elementi diversi tra loro o li collega incorniciandoli
(knüpf Theile, die nicht zu ihm gehören, aneinander, oder verbindet sie,
indem es sie umrahmt).
Serve a mettere in risalto al tempo stesso l’unità (die einheitliche
Wesen der Theile) e il suo rapporto con la totalità (und zugleich deren
Beziehungen zu dem Ganzen), nonché a sottolinearne l’articolazione (die
Gliederung). Infatti “tutto ciò che è legato (das Gebundene) si esprime
come qualcosa di articolato (Gegliedertes), come pluralità (Pluralität),
[…] e la sua forma base è lineare (linearisch)”.
“Il nodo è forse il simbolo tecnico più antico e […] l’espressione (Ausdruck) per la prima idea cosmogonica che
nacque presso i popoli primitivi”. In tutti i sistemi teogonici e cosmogonici, è simbolo della concatenazione
primordiale delle cose (Unverkettung der Dinge), della necessità (Nothwendigkeit), che è più antica del mondo
e di Dio, che tutto congiunge e di tutto dispone (die Alles fügt und über Alles verfügt). Dal simbolo del nodo
scaturiscono dunque tutte le forme ornamentali.
In primo luogo serve come mezzo per unire assieme (Verknüpfungsmittel) due fili e la sua robustezza
(Festigkeit) si basa soprattutto sulla loro forza di attrito (Widerstand der Reibung). Il sistema più forte è
determinato quando i due fili vengono tirati in direzione opposta nel senso della loro lunghezza, come
avviene nel nodo del tessitore (der Weberknoten). Esiste tuttavia anche quel nodo che si fa tra due fili nel
senso di una tensione verticale (vertikal auf deren Ausdehnung).
Il nastro più semplice è il filo (der Faden), poi viene quello rinforzato
(più fili allineati o attorcigliati) (das verstärkte Band aus neben einander
gereihte oder in Drehungen umeinander gewundenen Fäden) ed infine
l’intreccio (das Geflecht).
Un insieme di nodi forma la rete (das Netz, Neztgeflecht) che è caratterizzato dal fatto che quando si rompe
un nodo, esso non implica la distruzione dell’intera rete e quindi può essere riparato con facilità.
Il nastro può essere fisso (fest) oppure svolazzante (flatternd).
Nella prima categoria rientrano la cintura (der Gurt), la fascia (die
Zone, die Stirnbinde), la bordatura (der Saum), l’orlo (die Einfassung), la
cucitura (die Nath) ma anche il tessuto (das Gewebe). Essi esprimono al
tempo stesso flessibilità (Schmiegsamkeit) e saldezza (Festigkeit), il cui
grado si manifesta in due modi separatamente: o attraverso il rapporto
tra ciò che connette (Bindende) e ciò che è connesso (Gebundene) in
relazione alla dimensione spaziale (in Beziehung auf raeumliches Mass),
oppure nella Textur e nella resistenza ostensibile del materiale legante
(ostensiblen Resistenz des bindenden Stoffes).
Nella seconda categoria rientrano la nappa (das Troddelwerk), i fiocchi (das Schleifenwerk), le bandiere e vessilli
(Flaggen und Wimpeln), gli acroteri del tetto (Akroterien) e tutti quei simboli tessili che esprimono scioltezza,
leggerezza e flessibilità (Ungebundenheit, Leichtigkeit und Geschmeidigkeit) e che servono ad accentuare la
direzione e il movimento di una figura (die Richtung und die Bewegung einer Gestalt). È opportuno che il
nastro svolazzante rechi ornamentazioni che evidenzino che esso si srotola nel movimento (sich mit der
Bewegung abrollend) e che sia adattato alla caratteristica della figura che deve mettere in risalto: così ad una
giovane fanciulla sono adatti nastri e fiocchi leggeri, fluttuanti, colorati o chiari, mentre lo stesso ornamento,
con un altro motivo (Muster), forma (Form), colore (Farben), e soprattutto con un altro modo di portarlo (in der
Art dasselbe zu tragen), può viceversa sottolineare il severo pathos di un sacerdote o sovrano.
102
nodo (der Knote)
Nella maglia (die Masche) invece, [essendo composta da un unico filo che si intreccia su se stesso
attraverso lo strumento dell’uncinetto], basta che un nodo si sciolga che l’intero sistema si rompe; però
con essa – grazie alla sua elasticità (Elasticität) ed estendibilità (Dehnbarkeit) - si ottengono prodotti che
altrimenti non sarebbero pensabili, come le calze, i lavori a maglia e all’uncinetto, (Strumpfwirkerei, Strickund Häckelarbeiten), adatti per aderire alle forme (enganschliessenden die Form umspannenden) e privi di
piegature (faltenlos).
103
cucitura (die Naht)
bordatura o orlo (der Saum)
bordura (die Bordüre)
DEFINIZIONE 1860 p.83; 1992 pp. 104-105
“La cucitura (die Nath) è un espediente (ein Nothbehelf), inventato
per collegare pezzi di tipo omogeneo ovvero superfici, in un
insieme (um Stücke homogener Art, und zwar Flächen, zu einem
Ganzen zu verbinden)”. Infatti, come confermano gli studi di
linguistica del dottor Albert Höfer, esiste un’analogia tra le parole
Noth necessità, Nath cucitura, Knoten nodo, in quanto hanno radice
comune noc, lat. neo = nec-o? nexus, necessitas ovvero il nesso, la
conseguenza, la costrizione.
“Con la cucitura compare un primo ed importante assioma della
prassi artistica, la legge di fare di necessità virtù (aus der Noth eine
Tugend zu machen). Essa ci insegna a non voler fare sembrare diverso
ciò che è, e deve restare, naturalmente un’opera frammentaria
(Stückwerk), evidenziando esplicitamente e deliberatamente la sua
connessione (Verknüpfung) e intreccio (Verschlingung) finalizzati
a uno scopo comune, ossia per essere non unità indivisa (als
Eines und Ungetheiltes) ma, molto più eloquentemente, unitarietà
scaturita dal collegamento delle parti (zu Einem Verbundenes,
Zusammenfügung)”.
Considerando il valore e il significato primordiale e universale del
legare e del connettere, la cucitura acquista anche una valenza
mistico-religiosa legata a tutti quei simboli che rimandano al
nodo mistico (der mystische Knoten, das heilige Fitz), come il cappio
(die Schleife), il labirinto (das Labyrinth), la maglia (die Masche), il
groviglio di serpenti intricati.
Cucitura e nastro sono quasi sempre in contrasto tra loro nella
misura in cui i nastri agiscono secondo la loro lunghezza e
intersecano l’asse dello sviluppo proporzionale ad angolo retto
(sono proporzionali e non simmetrici), mentre le cuciture di norma
agiscono secondo l’ampiezza della loro estensione (nach der Breite
ihrer Ausdehnung) e corrono parallelamente all’asse proporzionale
di una figura e perciò sono indifferenti alla proporzione della
figura, mentre sono soggette alle leggi della simmetria. Perciò sono
da evitarsi le cuciture orizzontali intorno al corpo, mentre sono
concessi il nastro e le decorazioni ad anello come la cintura (der
Gürtel).
104
DEFINIZIONE
1860 pp.21, 33-35 e 77-79; 1992 pp.58,
67-69 e 100-101
Il momento di conciliazione tra cucitura e nastro avviene nel
bordo (der Saum), il quale può agire sia nella direzione della sua
ampiezza come cucitura, sia nel senso della lunghezza come nastro.
Come cornice (Rahmen) poi adempie alla legge della regolarità
planimetrica (planimetrische Regelmässigkeit), mentre gli elementi
di cui è costituito si dispongono euritmicamente intorno a ciò che è
incorniciato come unico centro di riferimento.
La bordatura (der Saum) in particolare ha una duplice funzione:
1) statica o meccanica in quanto si rapporta al racchiudere,
delimitare e tenere insieme (das Eingefasste, Umschränkte,
Zusammengehaltene),
2) definisce e concretizza l’inizio o la fine dello spazio rivestito (der
Anfang und das Ende des bedeckten Raumes).
Affinché queste due funzioni appaiano separatamente, occorre
introdurre una bordura aggiuntiva (eine besondere Bordüre)
parallela alla prima in modo che la bordatura vera, come nastro
di delimitazione (umfassendes Band) privo di direzione, incarni
l’idea del racchiudere (Einfassens), mentre la bordura con le sue
frange (Franzen) definisca la direzione in cui lo spazio si conclude o
inizia (Endigen oder Beginnen), dove la frangia è “la parte terminale
(Endigungen) dei fili dell’ordito (Zettelfäden) che sporgono dal
tessuto (Gewebe) e vengono attorcigliati (zusammengedreht) o legati
con nodi (mit Knoten verbunden) per evitare che si sfilaccino (um das
Auszetteln zu verhindern)”.
L’elemento di mediazione (Zwischenglied, Wechselwirkung) è una
cucitura (die Naht) e spesso ha un motivo a zigzag.
Il chiodo (die Niete) è affine sia linguisticamente che concettualmente
alla cucitura (die Naht) e compare spesso come rosetta, nata forse in
origine come bottone (Knopf) o laccio (Nestel) oppure trasferito più
tardi dalla metallotecnica al rivestimento tessile (Bekleidungswesen).
105
filo (der Faden)
filato (das Gespinnst)
refe (das Gezwirn)
Zopf o Tresse)
DEFINIZIONE 1860 pp.177-180
DEFINIZIONE 1860 pp. 21 e 183-190; 1992 p.58
Il filo, il filato e il refe “derivano la loro origine dai procedimenti più
semplici ritrovabili in natura, come la torcitura (Drehung) riscontrabile
nei fili d’erba, nei rami degli alberi, nei tendini e intestini degli animali,
mediante la quale il prodotto mantiene la forma circolare della sua
sezione trasversale (kreisrunde Durchschnittsform) e soddisfa al meglio la
robustezza (Haltbarkeit) ed elasticità (Elasticität)”.
È costituito da almeno tre corde che si sovrappongono l’un l’altro
alternandosi (abwechselnd übereinander greifen). Rispetto al refe,
l’intreccio costituisce una matassa (Strangwerk) più solida poiché le
singole corde (Stränge) lavorano secondo la loro direzione naturale e
quindi non è facilmente scioglibile (nicht so leicht abrebbeln).
Può essere o piatto [come tenia (als Tänie), cintura (der Gurt), fascia (die
Zone, Stirnbinde), bordatura (Saum), bordo (Einfassung), ma anche come
tessuto (Gewebe)] oppure a sezione semicircolare [come toro (Torus o
Wulst), cordoncino per la decorazione di selle o stoffe, e soprattutto per
legare assieme materiali rigidi (ungeschmeidige Stoffe) come per esempio
fili metallici (Metaldrähte).
Il filato (das Gespinnst) è un filo artificiale costituito da più fili naturali
trattati secondo i procedimenti del pettinare (Kämmen), dello sfilacciare
(Zupfen), dello schiacciare (Quetschen), dell’incollare (Leimen) e del
ruotare (Drehen), mediante l’aiuto della mano umida (der feuchten Hand)
e del fuso rotante (der drehenden Spindel). La pettinatura, che serve a
disporre i fili parallelamente e liberarlo dalle impurità, a volte viene
sostituita dalla raschiatura (Kratzen) mediante la quale il filo diventa
simile al feltro.
Il refe (das Gezwirn) è un filo artificiale più resistente del filato, costituito
da due o più fili artificiali che necessita solamente della torcitura
(Drehung). E’ possibile anche utilizzare fili di diversi tessuti, diverse
dimensioni e colori a formare un cavo più grosso (ein dickeres Tau).
106
intreccio (das Geflecht,
Serve per legare (Gebinde), ma anche per rivestire (Tegumenten).
Al tempo stesso l’intreccio può servire anche come cucitura (Naht)
trasversale di due tessuti (Gewandflächen) e costituisce un ricco motivo
ornamentale sia nelle arti minori che nell’architettura.
Come cucitura comprende anche il pizzo (Spitzenwerk (lace, point,
dentelle, pizzi, merletti)), distinto in due classi:
1) Nadelspitzen (guipure) fatto a mano libera con l’ago (die Nadel) [fig.1
riempimento (Füllung) e fig. 2 sfondo (Grund)
2) Klöppelspitze o Bobinet, fatto su un cuscino con l’aiuto di tomboli.
Questo procedimento consiste di una combinazione di tessitura, cucitura
a filo refe e intreccio (Weberei, Zwirnerei und Flechtung). Il disegno (das
Dessin) si ottiene per lo più afferrando assieme i fili (Zusammengreifen der
Fäden) come avviene per la tessitura delle tele di lino (Leinwand) [fig.3];
lo sfondo invece viene creato mediante l’intreccio (Flechtung) dei fili
oppure attraverso la semplice cucitura a filo refe (Zwirnen) [fig.4 e 5]
107
stuoia (die Matte,
trama e ordito
Matten- o Rohrgeflecht)
(Schuss- und Kettfaden)
DEFINIZIONE 1860 pp. 21 e 183-190; 1992 p.58
Alla categoria dell’intreccio appartiene anche la stuoia, la coperta
intrecciata (die geflochtene Decke), che si distingue da quella intessuta
(gewoben) per il fatto che i fili di cui è composta non necessariamente
devono incrociarsi perpendicolarmente, bensì all’interno della tessitura
(Textur) possono essere intrecciati (eingeflochten) fili diagonali secondo
tutte le direzioni in modo da costituire un disegno geometrico che
può variare a seconda dei colori e dimensioni dei fili. È un motivo
largamente utilizzato già dagli egiziani e assiri che lo presero come
riferimento poi anche per le pareti in mattoni smaltati (glasierte
Ziegelwände), come pure presso lo stile costruttivo (Baustil) asiatico
bizantino, arabo, spagnolo. Questo motivo arabo venne ripreso in
seguito in epoca romanica (11 e 12 secolo, vedi il palazzo del doge a
Venezia o le chiese normanne in Sicilia e Normandia per esempio) e poi
di nuovo nel rinascimento.
A proposito, in nota, Semper consiglia di confrontare il testo di Owen
Jones sull’Alhambra.
DEFINIZIONE 2008, pp. 111-124
Un tessuto (Gewebe) è dato da un intreccio di fili di ordito (o catena, Kettfaden) e di trame ortogonali fra loro
(Schussfaden), che prende il nome di armatura (Patrone). Tessuti orditi con una sola catena e una sola serie di
trama si dicono semplici, altrimenti complessi.
Inoltre l’intreccio può essere continuo oppure parziale nel caso che le serie siano interrotti, disposti cioè
secondo predeterminati intervalli.
La messa in carta è la rappresentazione grafica dell’armatura di un tessuto mediante uno schema con
quadrati bianchi e neri: quelli bianchi indicano che il filo d’ordito passa davanti a quello di trama, quelli neri
viceversa. Si inizia partendo dal basso a sinistra per arrivare in alto a destra.
Esistono tre tipi di armature di base:
1) l’armatura tela o piana (Leinwandbindung), detta taffetas per la seta: l’ordito e la trama si alternano
1
2
3
uno sopra l’altro e viceversa, scambiandosi la posizione ad ogni battuta del telaio (rigo). Presenta il maggior
numero di intersezioni (Bindungspunkten) possibili. Fronte e retro sono uguali.
2) l’armatura a saia (Körperbindung), detta twill per la seta: si ottiene facendo passare l’ordito sotto un filo
di trama e poi sopra due. Nel rigo successivo avviene lo stesso intreccio ma scalato di un posto, cosicché
l’effetto risultante è di righe diagonali. Di conseguenza il rapporto di armatura minimo è costituito da
almeno tre fili di ordito e tre di trama. Il tessuto presenta due facce diverse, sul diritto sono più evidenti i fili di
ordito, sul rovescio quelli di trama. Quando si dispongono due armature saie in direzione opposta si ottiene
l’effetto a spina di pesce o spigato.
3) l’armatura tipo raso (Atlasbindung), detta satin per la seta: un filo dell’ordito, dopo essere passato sotto
ad un filo di trama, vi ripassa dopo 4 o più fili. Nella battuta successiva si ripete lo stesso intreccio, ma scalato
di due posti. Si ottengono così tessuti rasati e lucidi su un lato, opachi e ruvidi sull’altro, ma molto meno
resistenti rispetto a quelli ottenuti con le altre armature poiché i punti di intersezione tra trama e ordito sono
ridotti al minimo.
108
109
coperta e superficie
parete (die Wand)
tenda (das Vorhang)
cortina (das Überhang)
(die Decke, die Fläche)
DEFINIZIONE 1860 pp.28-31; 1992 pp.64-66
DEFINIZIONE 1860 pp.37-38; 1992 pp.71-72
“Il bisogno di protezione (des Schutzes), di coprire (der Deckung), e di racchiudere uno spazio (der
Raumschliessung) è stata uno dei più antichi incentivi all’invenzione industriale (industriellem Erfindung)”
e per questo probabilmente la coperta (die Decke) rappresenta l’elemento più importante del simbolismo
architettonico.
“L’uomo ha imparato a riconoscere l’essenza (Wesen) e il fine (Bestimmung) delle coperture naturali, come la
pelliccia arruffata degli animali (das zottige Fell der Tiere) o la corteccia protettiva degli alberi (die schützende
Rinde der Bäume)” per poi riprodurle artificialmente.
Al contrario di tutto ciò che è legato che si presenta come pluralità, “tutto ciò che è chiuso (Abgeschlossene),
protetto (Geschützte), circondato (Umfasste), avvolto (Umhüllte), coperto (Gedeckte), si presenta come
qualcosa di unitario (einheitlich), come insieme (Collectivität)” e la sua forma base è la superficie (die Fläche)”.
Una superficie verticale, quella cioè di cui l’altezza è maggiore rispetto alla larghezza, può o stare in posizione
eretta come parete (aufrecht stehen als stehende Wand) e dunque svilupparsi verso l’alto (entwickeln); oppure
pendere come tenda (hängen als Vorhang) e svolgersi verso il basso (abrollen). La cortina (Überhang)
rappresenta una mediazione (Vermittlung) tra i due.
In una superficie i concetti di alto e basso, destra e sinistra possono o rimanere neutrali (vedi il tappeto e
il soffitto) oppure emergere chiaramente, e in questo caso contemporaneamente alle leggi di simmetria e
proporzione, sotto un duplice aspetto:
1) in relazione al rapporto tra larghezza e altezza come pure alla generale delimitazione lineare (vedi la
parete verticale);
2) in considerazione di ciò che sulla superficie viene rappresentato.
In ogni caso lo sviluppo proporzionale deve attuarsi sempre naturalmente, in modo che la testa resti in alto
come coronamento (Krönung) e ciò che conclude verso il basso come festone (Behang).
Nel caso di un quadrato, neutrale, si raggiunge lo sviluppo proporzionale
- o mediante suddivisioni (Unterabtheilungen, Compartimente) e motivi (Muster) “in modo che ogni sezione
che si crea sulla sua superficie e l’intero sistema di queste sezioni, considerato nel suo insieme, soddisfino le
condizioni di proporzionalità e simmetria”,
- oppure attraverso riempimenti (Füllungen) e campi (Felder) i quali, se presi singolarmente, sono più alti che
larghi.
110
In relazione a ciò che viene rappresentato sulla superficie, la parete e la tenda hanno in comune tre leggi
stilistiche proporzionali (proportionale Stilgesetze):
1) ciò che è racchiuso (Umfassten) viene innalzato e sostenuto da ciò che racchiude (Umfassenden)
analogamente allo sfondo (Hintergrund) in pittura che serve a sostenere e far spiccare le figure principali
(Hauptsujet). Dunque la decorazione di una parete, come sfondo, deve presentarsi con tonalità sfumate (in
gedämpftem Tone) preferibilmente monocromatiche, evitare i contrasti di luce ed ombra (die Contraste in
Licht- und Schattenparthieen vermeiden) e tendere ad una rappresentazione che non distolga l’attenzione
dal soggetto;
2) il motivo deve svilupparsi nel senso della proporzionalità, e non contrastare il drappeggio (Faltenwurf);
3) in basso alla parete va collocata la forma più pesante (die schwerere Form) e il colore più scuro o serio
(dunklere oder ernstere Farbe), mentre la forma più leggera (die leichtere Form) e il colore più luminoso
(glänzendere Farbe) in l’alto. Viceversa per la tenda.
La superficie eretta e tesa verticalmente come parete (augerichtete oder gespannte Teppichwand) e il
drappeggio pendente (herabfallende Draperie) invece differiscono tra loro per:
- in primo luogo la simmetria, la quale, contrastando con le piegature, nel caso delle tende va preferibilmente
sostituita con la simmetria plastica (plastische Symmetrie) cioè con un semplice equilibrio delle masse
(Massengleichgewicht);
- in secondo luogo il tipo di chiusura (Abschliessung) che nel caso delle pareti si trova in alto e coincide con la
dominante della triade proporzionale, mentre nel drappeggio si trova in basso e coincide con la base.
111
tappeti e pavimenti
soffitto (die Decke)
(Fussboden-bekleidung oder decke)
DEFINIZIONE 1860 pp.21, 42-47 e 52-56; 1992 pp.58, 74-78 e 81-86
DEFINIZIONE 1860 pp.66-77; 1992 pp.92-99
Nei rivestimenti a pavimento così come in quelli a soffitto, i concetti di alto e basso, destra e sinistra restano
neutrali, e tale assenza di direzione (“all and over” treatment) si caratterizza attraverso un centro (Mittelpunkt)
che viene messo in risalto e un bordo (Saume) che lo circonda secondo una disposizione concentrica, radiale
o mista.
Lo spazio tra la cornice (Umrahmung) e il centro costituisce lo sfondo e perciò deve rimanere subordinato.
Il soffitto, analogamente al tappeto, è una superficie orizzontale priva di direzione concentrata nel centro, il
quale costituisce l’origine e la conclusione di tutte le relazioni che possono prodursi mediante suddivisioni,
partizioni geometriche e motivi (durch Unterabtheilungen, Lineamente und Muster).
Siccome non deve essere calpestato (begangen) le sue decorazioni non dipendono dal materiale, ma dalla
tecnica impiegata per l’esecuzione, di cui la tessitura (Technik des Webers) rappresenta la tecnica originaria
(Urtechnik).
Analogamente al pavimento, il soffitto segue il principio per cui ogni rivestimento deve mantenersi sempre
come sfondo (Hintergrund) senza diventare l’oggetto principale, e dunque gli sono appropriati “colori ariosi,
luminosi e insieme pacati, e un’ornamentazione leggera” per evitare sensazioni di oppressione (Gefühl des
Drückenden): “la volta celeste stellata (das Sternenzelt des Himmels), con il suo colore azzurro, fin dai tempi
remoti, da quando l’uomo ricama (stickt), tesse (webt), dipinge (malt) e costruisce (baut), fungeva da modello
di riferimento (Vorbild) per coloro che si occupavano della realizzazione delle chiusure spaziali superiori
orizzontali”.
Tuttavia, mentre lo sguardo (der Blick) diretto verso il pavimento è spinto a cadere prima su ciò che è più
vicino, lo sguardo rivolto verso l’altro vede prima la parte più lontana del soffitto. Nei soffitti i soggetti si
dovrebbero quindi vedere con una prospettiva a volo d’uccello rovesciata (umgekehrten Vogelperspektive):
stelle, uccelli, angeli, soli alati, labirinti, fronde degli alberi con fiori e frutti pendenti, intrecci tratti dalla
tessitura e che rimandano all’idea della capanna archetipa (der dem Websthul entnommenen und an die Idee
eines Urzeltes geknüpften Zopfgeflechten). Sono possibili anche i fiori d’acanto e le cosiddette rosette realizzati
a rilievo o anelli con coppie d’ali, in quanto sono rivolti in tutte le direzioni (nach allen Seiten gerichtet).
Nonostante in natura esista il prato fiorito come tappeto (der natürliche Teppich, der blumendurchwirkte
Rasen), in generale sono da evitarsi per i pavimenti (Fussboden) tutte quelle decorazioni che conferiscono
un sentimento di paura di cadere a chi le calpesta: contrasti stridenti di chiaroscuro (schneidende Kontraste
von hell und dunkel), ornamentazioni a rilievo (architektonische Reliefornamente), fori (Brunnenlöcher),
modanature (erhabenes Leistenwerk), imitazioni plastiche accuratamente fedeli alla natura (plastische
Nachahmungen), discontinuità materiche (Störungen der Flächencontinuität). Sono invece consentiti
dove non vengono calpestati oppure nei campi intermedi (Zwischenfelder) laddove l’ambiente conduca
unidirezionalmente (einseitig hinführt) ad un altro ambiente o verso un centro d’effetto architettonico
(Mittelpunkte architektonischer Wirkung).
La decorazione del campo mediano (Mittelfeld), che serve a concatenare (verketten) le varie parti della
composizione, è orientata in funzione dell’ambiente in cui il rivestimento a pavimento si inserisce: se è
chiuso sui quattro lati i motivi vanno direzionati dal centro verso i bordi (Rande); se è aperto viceversa.
I motivi vanno disposti regolarmente (gleichmässig vertheilt) visti dall’alto (auf den Kopf sehen) in modo
da seguire tutte le direzioni possibili senza che una predomini sull’altra, secondo un disegno geometrico
oppure organico (per esempio rosoncini, corone, candelabri, vasi, tralci).
112
Immaginandosi il soffitto “come una lastra di vetro trasparente (durchsichtige Glastafel), dietro la quale
restano visibili i muri (Mauern), […] ciò che è dipinto su questa superficie parietale, idealmente verticale
(idealen senkrechten Wandfläche) […], viene rappresentato in proiezione sul soffitto”. Dunque ogni soggetto
che abbia testa e piedi deve essere raffigurato con i piedi radicati sulla cornice del muro (auf dem Gesims
der Maurer wurzeln) e la testa rivolta verso il centro del soffitto; oppure, negli ambienti dove la direzione è
esplicita come nelle chiese a navata centrale, i piedi sono diretti verso l’altare, mentre le teste verso la porta.
Siccome solitamente l’occhio umano è talmente abituato alla visione comoda (Bequemsehen) che percepisce
colori e forme in modo velato (wie hinter einem Schleier), le decorazioni a soffitto sono invece tanto più
apprezzabili in quanto, quando osserviamo qualcosa alla rovescia o comunque in una posizione fuori dalla
norma, i soggetti acquistano incredibilmente nettezza dei contorni e risalto dei colori (eine Schärfe der
Umrisse, eine Farbenglorie). In ogni caso è necessario “fissare una misura normativa per l’altezza del soffitto,
la quale tenga conto della costituzione fisica dell’uomo (die physische Beschaffenheit des Menschen) in modo
che il punto di vista non sia troppo scomodo”.
113
Urtypen e Urformen
DEFINIZIONE
G.Semper, Der Stil, p.VI, trad. it. Lo Stile, p.5; G.Semper,Vergleichende
Baulehre, in W.Hermann, p. 238; B.Gravagnuolo, pp. 111-12
Pattern K.Wängberg-Eriksson 1994
Ripetizione di poche unità base che vengono
combinate tra loro dando luogo a infinite
possibilità di variazione.
L’obiettivo che Semper si era proposto con la sua “lezione di stile” (Stillehre), pur specificando di non
pretendere “di essere né il fondatore né il salvatore dell’arte futura”, era “tentare di scoprire nello specifico le
leggi e le norme che regolano la genesi e il divenire dei fenomeni artistici, e dal risultato di questa ricerca
ricavare alcuni principi generali che saranno le direttrici di una nuova teoria empirica dell’arte (empirische
Kunstlehre)”.
“Maturerà così il convincimento che la natura, pur nella sua abbondanza, è parca di motivi; pur nella
varietà, in essa vi è una continua ripetizione, legata a poche forme fondamentali che appaiono mille
volte modificate secondo il grado di formazione degli esseri e le loro diverse condizioni esistenziali […].
Analogamente, io dico, alla base dell’architettura vi sono delle precise forme che fungono da norma, le quali,
vincolate ad un’idea originaria, nelle loro continue manifestazioni consentono tuttavia infinite variazioni
legate a funzioni particolari e a situazioni specifiche”.
Attraverso questi pochi motivi fondamentali, eternamente validi perché scaturiscono da una tradizione
antichissima, e per questo chiamati da Semper Urtypen, il nuovo può essere riallacciato al vecchio senza
esserne la copia e si affranca altresì dai vari influssi della moda.
“E’ certamente importante seguire le tracce di queste forme normative e dell’idea che vi alberga. Non solo
sarà così facilitata la comprensione e l’intelligenza dell’esistente, ma diverrà anche possibile gettare le
fondamenta di una teoria dell’intuizione artistica che indichi un cammino non-artificioso e tenga parimenti
lontano il rischio della monotonia e dell’arbitrio. Di fronte ad una forma fondamentale, la più semplice
espressione di un’idea, l’architettura riceverà vita modificata secondo le peculiarità del luogo, l’epoca e le sue
consuetudini, secondo il clima, il materiale di realizzazione, secondo le caratteristiche sia del committente
che dell’artista e secondo altre circostanze casuali. Il grande segreto dell’architettura è far trasparire
nella molteplicità delle creazioni l’idea fondamentale, rappresentando un tutto individualizzato ma
contemporaneamente in sintonia con se stesso e il mondo esterno”.
J.Frank, pattern Frühling Haus & Garten e i blocchi per la stampa
114
115
1) RIFLESSIONE
Es.:W.Morris, Acanthus
4) ROTAZIONE
2) ALLINEAMENTO
Es.: J.Frank, Sweet
5) TRASLAZIONE + ROTAZIONE
Es.: J.Frank, Seegras oppure Mirakel
Es.: J.Frank, Kitzbühel
6) COMBINAZIONi,
Es.: J.Frank, Tang
Può avvenire sia in verticale,
che in orizzontale, o come
combinazione fra le due
ANCHE DI 2 O PIU’ UNITA’
Es.: J.Frank, Fioretti
può però risultare monotono
se l’unità non presenta una
tensione interna al disegno,
tipo il pattern Labyrinth
3) TRASLAZIONE
116
117
La seduzione
dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
La casa e l’opera d’arte
“N
ON ABBIAMO PIÙ BISOGNO DELLA GRANDEZZA ASSOLUTA, POICHÉ ORA SAPPIAMO CHE LA
MISURA DI TUTTE LE COSE DEVE ESSERE L’UOMO
[…]. PER QUESTO LA COSTRUZIONE PIÙ
ESSENZIALE E PIÙ FINE A SE STESSA DEL NOSTRO TEMPO È LA CASA IN CUI ABITANO
“UN PAIO DI SCARPE DA CONTADINO E NULL’ALTRO. MA TUTTAVIA… NELL’ORIFICIO OSCURO DELL’INTERNO LOGORO SI PALESA LA
FATICA DEL CAMMINO PERCORSO LAVORANDO … QUESTO MEZZO APPARTIENE ALLA TERRA E IL MONDO DELLA CONTADINA
LO CUSTODISCE. DA QUESTO APPARTENERE CUSTODITO, IL MEZZO SI IMMEDESIMA NEL SUO RIPOSARE IN SE STESSO …
LA BANALE ABITUDINARIETÀ DEL MEZZO SI FA ALLORA INNANZI COME IL MODO DI ESSERE UNICO ED ESCLUSIVO DEL MEZZO.
DI VISIBILE NON RESTA CHE LA PIATTA USABILITÀ. ESSA PORTA CON SÉ L’ILLUSIONE CHE L’ORIGINE DEL MEZZO CONSISTA NELLA
SEMPLICE FABBRICAZIONE CHE IMPONE UNA FORMA A UNA MATERIA. INVECE IL MEZZO, NEL SUO ESSERE TALE, RISALE BEN
OLTRE. … IL RIPOSO DEL MEZZO RIPOSANTE IN SE STESSO CONSISTE NELLA FIDATEZZA. …
IN VIRTÙ DELL’OPERA, UN ENTE, UN PAIO DI SCARPE, VIENE A STARE NELLA LUCE DEL SUO ESSERE”, DOVE “L’ILLUMINAZIONE
IN CUI L’ENTE SI MANTIENE È PARIMENTI UN NASCONDIMENTO. … POSSIAMO ALLORA CARATTERIZZARE IL FARE ARTISTICO
COME UN LASCIARVENIRFUORI QUALCOSA COME PRODOTTO Hervorgebrachtes” E IN QUESTO SENSO È CIÒ CHE I GRECI
CHIAMAVANO technè, DOVE ESSA “NON SIGNIFICA NÉ IL LAVORO MANUALE NÉ L’ARTE, E MENO ANCORA CIÒ CHE È TECNICO
NEL SENSO ODIERNO … STA A DESIGNARE UNA MODALITÀ DEL SAPERE. …
PER IL PENSIERO GRECO L’ESSENZA DEL SAPERE CONSISTE NELL’άληφεια, CIOÈ NEL DISVELAMENTO DELL’ENTE. … LA VERITÀ
È PRESENTE SOLO COME LOTTA FRA ILLUMINAZIONE E NASCONDIMENTO”. L’ “ESSERFATTO” DI UN’OPERA SI DIFFERENZIA DAL
“ESSERFABBRICATO DEL MEZZO” PERCHÈ PRESUPPONE CHE CI SIA QUALCUNO CHE LA SALVAGUARDI, CIOÈ CHE LASCI CHE
L’OPERA SIA.
“LA STESSA DIMENTICANZA IN CUI UN’OPERA PUÒ CADERE … È ANCORA UNA SALVAGUARDIA”: LA CONTADINA SI DIMENTICA
DELLE SCARPE PERCHÉ “VI SI AFFIDA”, IL RITUALE QUOTIDIANO, L’ABITUDINE, LA “FIDATEZZA” È IL SUO PRENDERSI CURA. “OGNI
ARTE, IN QUANTO LASCIA CHE SI STORICIZZI L’AVVENTO DELLA VERITÀ DELL’ENTE COME TALE, È NELLA SUA ESSENZA POESIA”.
IN QUESTO SENSO, E SOLO IN QUESTO, VOGLIAMO CHE LA CASA SIA UN’OPERA D’ARTE.
(M.Heidegger, L’origine dell’opera d’arte, 1935 in Sentieri interroti, La Nuova Italia, Firenze)
GLI UOMINI.1
Q
UANDO SI PUÒ DEFINIRE COMODA, UN’ABITAZIONE?
QUANDO HA BUONE MISURE E
LE MISURE IN CUI CI SI SENTE A PROPRIO AGIO, SONO QUELLE IN STRETTO
RAPPORTO CON LE MISURE DELL’UOMO E CON I SUOI MOVIMENTI. [...] ANCHE SE AD UNO
SPAZIO SI È DATA LA GIUSTA MISURA IN METRI CUBI, CIÒ NON È SUFFICIENTE A RENDERLO COMODO.
LO SPAZIO DEVE ESSERE ARMONICO, CIÒ SIGNIFICA CHE LE DIVERSE MISURE, NELLO SPAZIO, DEVONO
STARE TRA LORO NEL GIUSTO RAPPORTO. QUAND’È, CHE UN RAPPORTO È GIUSTO? QUANDO
ESSO È SEMPLICE2.
PROPORZIONI.
L
A CASA NON È UNA MACCHINA
[…] LA CASA È UN ORGANISMO VIVENTE E NON SOLO UN
[…]. LA CASA È UN’EPIDERMIDE DEL CORPO UMANO.
ASSEMBLAGGIO DI MATERIALI MORTI
IL DESIDERIO DI SEMPLICITÀ NON DEVE SFOCIARE NELL’IMPOVERIMENTO DELLA
CASA (CASE MINIME)
[…]. L’ABITAZIONE DEVE AIUTARE LO SVILUPPO DELLE FORZE VITALI E NON
SERVIRE DI PRETESTO ALLE SCIMMIOTTATURE ARTISTICHE O ALL’ORGOGLIOSO SPIRITO DI POSSESSO.
ESSA DEVE CONTRIBUIRE AI BISOGNI INTERIORI DELL’UOMO […]. ABITARE È UN BISOGNO
ETERNAMENTE IMMEDIATO E PRESSANTE.3
“
“Ogni lavoro di indagine – scrive Semper - deve prendere avvio da
ciò che è semplice ed originario per seguire poi con gradualità gli
sviluppi del suo oggetto, illuminandone le eccezioni e variazioni tramite
confronti con l’archetipo; ci pare perciò superflua qualsiasi giustificazione
se […] scegliamo come prodotto più semplice e originario nel campo
dell’architettura l’edificio d’abitazione o la costruzione privata”. Infatti
anche se la “pietà artistica […] celebra la propria pienezza nel sacro edificio
del tempio, essa è tuttavia fin dall’inizio viva e presente nell’uomo e trova
espressione nella prima corona di fiori, nei primi tentativi di un’arte della
decorazione”. In fondo “anche il tempio va considerato come una versione
nobilitata ed idealizzata dei motivi base delle abitazioni umane”4 e lo stesso
monumento (dal latino monumentum, “ricordo”, e monère, “ricordare”) per
eccellenza, la tomba, non è altro che la casa dei morti.
Tuttavia “nemmeno la casa più grande può essere un monumento”5: “non
deve essere un’opera d’arte, non deve essere né una cosa vistosa né una
cosa d’effetto né tantomeno eccitante. Deve essere comoda senza che si
sappia spiegare perché, anzi meno lo si può spiegare meglio è”6.
“La casa deve piacere a tutti, a differenza dell’opera d’arte che non deve
piacere a nessuno. L’opera d’arte è una questione privata per gli artisti.
La casa no. L’opera d’arte viene messa al mondo senza che ve ne sia la
necessità. La casa invece soddisfa un bisogno. L’opera d’arte non è
Vincent Van Gogh, Un paio di scarpe,
1887, The Baltimore Museum of Art,
Baltimora
121
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
responsabile di fronte a nessuno, la casa di fronte a tutti. L’opera d’arte
Bernard Rudofsky, come dovrebbero essere
deformati i piedi per adattarsi alla forma delle
scarpe, da Are Clothes modern?, mostra al Moma di
New York, 1947
122
vuole strappare l’uomo dalla sua comodità. La casa invece deve servire
alla comodità. L’opera d’arte è rivoluzionaria, la casa conservativa. […]
solamente una piccola parte dell’architettura appartiene all’arte: la tomba
e il monumento. Tutto il resto, tutto ciò che serve uno scopo, va escluso dal
regno dell’arte”7.
Non il monumento quindi, ma la casa d’abitazione “deve essere la base
per ogni architettura moderna, dato che è l’unico edificio che serve per
i bisogni degli uomini e non delle divinità o del commercio. […] Gli altri
edifici servono ad uno scopo preciso come la produzione oppure la
conservazione di qualcosa […] la casa d’abitazione invece esiste solamente
per gli uomini, e cioè per il vivere; questo è un concetto indefinibile che
ha per le diverse persone significati differenti e perciò esistono così tante
possibilità di variazione. […] ciò che io voglio chiamare il “vivere” va
di gran lunga oltre al mero soddisfacimento dei bisogni primari”8. “Il suo
scopo è autonomo e consiste nel rendere felici gli uomini […]. E dato che
questo bisogno vale per una vita intera, per ogni cambiamento di umore,
per ogni evento casuale per il quale non esiste alcuna preparazione, per noi
questo concetto dipende da tutti quegli elementi architettonici vitali, che
costruiscono la nostra vita reale e non solamente quella degli utopisti”9.
La Casa infatti “è l’ultimo rifugio per l’uomo come uomo”10.
Molte volte Frank si era apertamente dichiarato contrario alle case
popolari costruite all’epoca, da lui definite “Volkswohnungpalast”, che
si limitavano a riutilizzare il vocabolario formale un tempo appartenuto
all’aristocrazia trasformando il vecchio palazzo nobile in appartamenti
per le classi operaie, senza tener conto invece che le nuovi classi lavorative
avevano esigenze del tutto diverse: la borghesia “ha sempre cercato di
cancellare, nella coscienza del proprio tempo, lo sviluppo conseguito
fino ad allora, ripartendo da zero; da questa situazione è derivato
quell’incredibile miscuglio di stili che non si è ancora estinto. Col passare
del tempo i drappeggi di velluto ricamato in oro sono diventati drappeggi
in iuta: fu così sancito il diritto dei poveri, ma intellettuali, a far uso di
elementi principeschi”11.
Proprio pochi anni prima si era conclusa l’edificazione dei sontuosi
palazzi lungo la Ringstrasse, il grande anello stradale che circondava
la Innere Stadt di Vienna12, che erano serviti alla nuova classe liberale
dominante per pubblicizzare il loro potere, concependo la casa per
essere di rappresentanza piuttosto che comoda: se all’esterno questi
palazzi, presentavano una sontuosa facciata, con scaloni monumentali
ed ampi vestiboli al piano terra, in realtà all’interno gli alloggi soffrivano
di carenza di spazio, luce ed aria, poiché la speculazione edilizia
pretendeva di collocare il maggior numero possibile di appartamenti
perpendicolarmente alla strada, in modo che ciascuna fosse dotata di una
finestra e poter aumentare così il valore redditizio: “la differenziazione in
senso verticale della facciata, affidata alla diversa altezza delle finestre,
alla varia profluvie di lesene, pilastri ed elementi decorativi in genere,
rifletteva in certa misura la maggiore o minore ampiezza e opulenza degli
appartamenti retrostanti: quanto più alto era il soffitto, tanto più piccole e
numerose erano le singole unità abitative”13.
Un’operazione simile era assurda a giudizio di Frank: “è una contraddizione
voler unire le parole abitazione popolare (Volkswohnung) e palazzo (Palast)
in un unico termine, poiché esse non hanno nulla a che fare l’una con l’altra
e attraverso la loro unione verrebbe necessariamente a risentirne una delle
due (cosa che sarebbe meno grave se accadesse al palazzo). Con questa
parola ‘Volkswohnungspalast’ si pensa involontariamente a quei palazzi
italiani di nobili decaduti, il cui piano terra è stato trasformato in alloggi
popolari […]. Ma se oggi sentiamo la parola ‘Volkswohnung’ […] noi ci
immaginiamo una casa accogliente (Heim14), luce, aria, di facile gestione,
colori chiari, sole, fiori; vediamo un arredo essenziale, frutto della nostra
industria e del nostro artigianato, ordinato in svariati modi secondo
il gusto dell’abitante. E ora pensiamo al palazzo! Ci immaginiamo le
enormi masse cubiche in pietra a Firenze, metà villa metà fortezza, in
cui il padrone poteva riunire i suoi fedeli in tempo di crisi; pensiamo ai
palazzi principeschi di Vienna, che oggi sono stati trasformati in ministeri
per molti impiegati […]. Oggi viene chiamato palazzo qualsiasi cosa. Nel
dizionario Brockhaus è scritto: «Il palazzo è una costruzione che serve
come sede abitativa del principe e del nobile in tempo di pace. – All’epoca
della modesta borghesia (ad Atene, nella Roma repubblicana, nelle città
tedesche del Medioevo) non vennero costruiti palazzi. – A Vienna si usa
il termine palazzo persino per quelle grandi abitazioni d’affitto in cui solo
un piano per il proprietario viene arredato artisticamente». […] Quando
l’inglese dice “My House is my Castel” egli intende che a casa sua è libero
di fare ciò che vuole. […] Il Palazzo del futuro non dovrà corrispondere
formalmente al palazzo antico, bensì equivalergli nella sua essenza come
A.Loos, Manifesto per la lezione “La mia Casa
sulla Michaelerplatz” a Vienna, 11.12.1911
(da Oechslin 2004 p.147). La casa mostra una
differenziazione del tipo di finestrature a seconda
della stratificazione dello spazio interno: al piano
terra vetrine pubbliche; al piano ammezzato i bowwindow per i camerini e lo spazio di lavoro, concavi
da un lato e convessi dall’altro ad indicare che
contengono qualcosa; ai piani superiori lo spazio
domestico privato con la finestra tradizionale, ma
priva di cornice e arretrata come se fosse intagliata
nella superficie.
“Villa ideale agli occhi di un osservatore cinico”
dalle pagine di Acceptera (G.Asplund, Gahn,
Markelius, Paulsson, Sundhal, Åhrén 1931), da
Creagh/Käberg/Miller Lane, Modern Swedish
Design… 2009 p.166
123
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
“abitazione pacifica”. […] In tal senso speriamo che Vienna diventi una città
fatta di palazzi!”15.
Anche Loos, come Frank, era interessato a soddisfare i bisogni dell’uomo
inteso come individuo e non come standard, a intervenire sui problemi del
quotidiano e sulla concretezza della città esistente, presente e non su una
ipotetica città ideale o falsa. Il fatto per esempio che Loos trasformi il piano
nobile della Casa sulla Michaelerplatz in un piano con finestre tutte uguali
dimostra apertamente il suo intento democratico sociale.
Nel suo articolo dell’ottobre 1898 Die potemkinsche stadt, aveva
paragonato gli edifici monumentali costruiti lungo la Ringstrasse ai villaggi
di tela e cartone, che il favorito di Caterina aveva costruito in Ucraina per
far credere a Sua Maestà Imperiale che si trattasse di una città fiorente.
Allo stesso modo la città prospettata dalla Wiener Secession sarebbe
stato, ai suoi occhi, solamente un tentativo di nascondere dietro ad una
“falsa maschera”16 di ornamenti posticci il volto inumano della realtà,
che vedeva la gran parte della popolazione ancora senza un alloggio:
“quando passeggio lungo il Ring ho sempre la sensazione che un Potemkin
moderno abbia voluto realizzare l’impresa di indurre chi giunge a Vienna a
credere di trovarsi in una città abitata soltanto da nobili”17.
Oggi “l’architetto è capace di fare tutto, in tutti gli stili. È in grado di ideare
qualsiasi oggetto d’uso di tutti i tempi e di tutti i popoli. Il segreto della sua
inquietante produzione sta tutto in un pezzo di carta lucida, munito della
quale […] è già diligentemente seduto davanti alla sua tavola da disegno e
ricopia la camera da letto barocca o la sputacchiera cinese”18.
Già Gottfried Semper aveva criticato fortemente quegli architetti, come
Durand, che per progettare utilizzano “la carta millimetrata”- sulla
quale gli edifici vengono disegnati meccanicamente dividendoli in
quadrati come una scacchiera19 - oppure “le carte oleate trasparenti”
per copiare indifferentemente progetti già pronti di ogni epoca e stile
privando così l’artista di ogni iniziativa. E si era dichiarato contrario anche
di fronte a coloro che inventano nuove forme basandosi sulle variazioni
della moda, poiché essa, invece di scaturire dal bisogno come dovrebbe
essere normale, lo crea artificialmente per trovare sempre nuovi clienti e
amatori, snobbando la tradizione e il passato, ed eliminando in questo
modo un oggetto appena introdotto sul mercato prima ancora “che sia
stato utilizzato in pieno sul piano pratico o apprezzato dal punto di vista
artistico”20.
Composizione e bellezza sono risultato di un processo vivo, in divenire:
“la natura non lavora mediante mascherine copiative; le sue forme sono
fondamentalmente prodotti dinamici”21.
Alla Great Exhibition of Industry of all Nations del 185122, Semper - che in
quel periodo si trovava esiliato a Londra ed era stato incaricato di allestire
i padiglioni di Canada, Turchia ed Egitto, Svezia, Norvegia e Danimarca23si era trovato per la prima volta a contatto con gli utensili e gli arredi
delle popolazioni indigene dell’India, della Nuova Zelanda, dell’Africa,
124
dell’America, delle quali aveva apprezzato la grande capacità artistica,
l’uso dei materiali, i disegni dei tessuti e la modellazione della ceramica,
ritenendoli di gran lunga superiori alla produzione nei paesi civilizzati
europei. In confronto infatti, i prodotti industrializzati, soprattutto di
Inghilterra e Germania, presentavano un sovraccarico di decorazioni e una
grande confusione di stili (un “guazzabuglio di forme” e “un baloccamento
infantile”24 - il Crystal Palace venne paragonato ad una torre di Babele),
cosa che a suo giudizio si traduceva anche in ambito architettonico:
“siamo oppressi dall’enorme quantità di conoscenza storica, che ogni
giorno si moltiplica. Conosciamo ogni tendenza del gusto, da quello
assiro ed egiziano fino all’epoca di Luigi XVI e oltre. Tutto sappiamo, tutto
conosciamo, tranne noi stessi”25.
L’osservazione diretta di questi oggetti semplici e genuini permise a Semper
di rivalutare epoche e popoli solitamente trascurati dalla storiografia
perché non classici e per questo considerati “barbari”26- come i pre-ellenici
e pre-romani, i medioevali, e persino popolazioni extra-europee – e di
capire che “una gran parte delle forme ricorrenti in architettura derivano
da opere dell’industria artistica e le regole e le leggi della bellezza e dello
stile […] furono definite ed applicate [qui] molto prima dell’esistenza di
qualsiasi arte monumentale. Le opere dell’arte industriale offrono così
spesso il fondamento e la chiave di comprensione delle forme e dei principi
dell’architettura”27.
Soprattutto Semper aveva notato gli oggetti dell’artigianato americano,
così descritti da Lothar Bucher: “orologi del nonno con i loro eccellenti
meccanismi e le semplici casse di noce; sulle seggiole, dalle semplici
panche in legno alle poltrone, libere dall’intaglio di paccottiglia in cui
si impigliano tanto le mani che i vestiti; e sull’assenza dei rigidi angoli
delle sedie gotiche, incomodi a tutte le schiene. Tutto quanto vediamo
dell’arredamento domestico americano respira spirito di comfort ed
adattamento allo scopo”28.
“Gli americani hanno colto meglio di tanti altri il significato dell’esposizione,
figurando solo con prodotti che la loro terra produce spontaneamente,
G.Semper, padiglioni del Canada e della
Turchia alla Great Exhibition di Londra nel
1851, da Nerdinger/Oechslin 2003, pp.276-77
125
La seduzione dell’INvisibile
126
La seduzione dell’INvisibile
senza bisogno di serre”29. Qui “vi nascerà prima che altrove un’arte
il mondo e che vi si correla”37.
veramente nazionale”30.
A conclusione della mostra Semper venne incaricato di scrivere una relazione
pubblicata nel 1852 col titolo Scienza, Industria e arte (Wissenschaft,
Industrie und Kunst)31. Egli rileva come nelle civiltà primordiali vi sarebbe
stato un naturale equilibrio tra arte e tecnica, tra forme, materiali, tipi,
tecniche e le condizioni ambientali dell’habitat in cui si inserivano. Con
la rivoluzione industriale questo equilibrio venne spezzato dall’irrompere
di una esuberante mistura di potenzialità tecniche, interessi privatistici
ed esibizioni narcisistiche, con la conseguente produzione di oggetti e di
edifici irrispettosi dei principi della cultura collettiva. In generale se da un
lato “l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” era diventata
qualcosa di accessibile a tutti, popolare, dall’altro era stato capovolto
l’ordine nel rapporto tra invenzione e bisogno: “le invenzioni non
hanno più, come una volta, la funzione di soddisfare i bisogni primari; al
contrario, il soddisfacimento dei bisogni primari è diventato una possibilità
di mercato per le invenzioni”32.
“Oggi tutto ciò che serve per la casa e nella casa si può avere ad ottimo
prezzo e subito. Tutto viene calcolato e realizzato a misura del mercato.
Un articolo deve consentire un impiego il più generale possibile. […]
Non è dato il luogo a cui esso è destinato, e nemmeno si conoscono le
caratteristiche della persona che ne entrerà in possesso. Tale oggetto deve
quindi fare a meno di ogni carattere particolare e di ogni colore locale (in
senso lato), e deve anzi possedere la qualità di armonizzarsi con qualsiasi
ambiente. […] manca in essi l’espressione individuale, il linguaggio,
la superiore bellezza fonetica, l’anima”33.
“Si è troppo ricercati nella scelta del soggetto e si pensa di far colpo con
delle novità; nell’impostazione dell’opera si è talvolta impacciati, talvolta
eccessivamente audaci o entrambe le cose insieme; persino nell’esecuzione
tecnica manca quella libertà che scaturisce solo dal completo dominio
della materia”34. Inoltre spesso, non appena gli incarichi cominciano ad
accumularsi, l’artista delega ad altre mani l’esecuzione dell’ornamento che
smette così di essere parte integrante dell’opera divenendo applicazione
posticcia.
L’eccessiva disponibilità di mezzi, l’influenza del capitale e della
speculazione, il gran numero di materiali nuovi e di invenzioni, ma
soprattutto la loro erronea applicazione, costituiscono per l’arte una
grande fonte di pericolo quindi, per cui l’unico rimedio possibile era a
suo avviso una nuova scienza del gusto (Kunstlehre), una “estetica pratica”
che innalzasse il livello della cultura estetica popolare35: “l’architettura
deve scendere dal suo piedistallo e andare nei mercati, dove potrà
insegnare…. E imparare”36.
“Non è [dunque] nel gesto della grande personalità geniale che va ricercato
il senso dello stile”, scrive Semper, “quanto piuttosto sul terreno anonimo
della Kunstindustrie, della originaria manipolazione quotidiana degli
oggetti, nell’inconsapevole operatività anonima del corpo che abita
Da qui l’importanza data agli oggetti di uso quotidiano, come le suppellettili
domestiche, i tessuti, le ceramiche, le carrozze, le armi, gli strumenti
musicali, le canoe, e così via”38, perché sono quelli che più risentono della
“mentalità e dei bisogni del presente”. Le cose umili dell’esistenza
quotidiana, per il loro alto grado di diffusione nell’esistenza collettiva, sono
infatti indici materiali e tangibili di una civiltà epocale: “L’esame dei
vasi che un popolo ha prodotto generalmente ci permette di individuare
quale tipo di popolo era e in quale stadio culturale si trovava. È in questi
oggetti di uso pratico che per primo si manifestò l’istinto decorativo per
l’ornamento, un’attività dunque che non è solo prettamente manuale e
basta, ma che dimostra una sensibilità artistica innata, un impulso artistico
(Kunsttriebes)”39. In essi l’uomo applica istintivamente ordine, ritmo,
pattern e proporzione.
“Lo stile [infatti era] lo strumento di cui gli antichi si servivano per scrivere
e disegnare: una parola, che esprime in modo efficace il rapporto esistente
tra la forma e la storia del suo farsi. Di uno strumento fanno parte in primo
luogo la mano che lo muove e la volontà da cui la mano è guidata […] in
secondo luogo la materia da trattare, l’amorfo da convertire in forma […]
ma per materia si intende anche qualcosa di più elevato, cioè l’assunto, il
tema di una realizzazione artistica”40.
Infatti, precisa che, pur richiedendo “la funzionalità di un prodotto l’impiego
di materiali (Stoffen, che vuol dire anche stoffe) che meglio si prestano
alla sua realizzazione e l’uso di determinati procedimenti tecnici”41, tale
relazione “non ha niente in comune con la rozza visione materialistica
per cui l’architettura sarebbe […] una statica e una meccanica illustrate e
illuminate, una mera scienza dei materiali”42.
Mentre i materiali e i modi per trattarli cambiano fondamentalmente
nel corso del tempo e secondo diversi fattori, sono i bisogni universali
dell’uomo e le leggi naturali a rimanere sempre identici, e sono perciò
questi ultimi ad aspirare a trovare una propria espressione formale.
Lo stile “è il risultato, scaturito da una genesi e da uno sviluppo a
partire da un’origine”43, non qualcosa di assoluto, “non traduzione più o
meno mimetica di un mondo già costituito, ma è anzi costituzione di un
mondo”44 e “si può formare solo nell’uso millenario del popolo”45.
La forma storicamente determinata di un oggetto è quindi il risultato di
un processo di intima adesione ai bisogni umani. “Buttatevi nella vita
per scoprire di che cosa l’uomo ha bisogno”46, scrive Loos nell’articolo
Glas und Ton in cui cita proprio Semper, “l’architetto è un muratore che ha
imparato il latino”. Da qui il profondo disprezzo per in narcisismo inventivo,
per il mito del genio originale, e il suo distacco dalla Secessione viennese
e dal Deutscher Werkbund, poiché a suo giudizio non aderivano ai bisogni
autentici della collettività.
Al posto dell’oggetto irripetibile e raffinato, l’oggetto di design firmato
dall’artista, Loos sostituisce l’oggetto di uso quotidiano la cui forma è
dettata dal modo di utilizzarlo e dalle trasformazioni storiche indotte
127
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
dall’evoluzione della civiltà stessa.
Nell’articolo I superflui - scritto in occasione di una delle prime mostre
organizzate dal Deutscher Werkbund, quella tenutasi a Monaco nel 1908,
in cui si imposero all’attenzione della critica i Typenmöbel per l’arredamento
di massa proposti da Bruno Paul – Loos scrive: “tutte le industrie che sono
riuscite finora a tenere lontano dai propri laboratori questo superfluo
fenomeno [l’arte], hanno raggiunto il loro più alto livello. Soltanto i
prodotti di queste industrie rappresentano lo stile del nostro tempo.
Essi esprimono a tal punto lo stile del nostro tempo che noi non notiamo
affatto di avere uno stile. Essi sono cresciuti insieme al nostro modo di
pensare e di sentire. La nostra produzione di carrozze, le nostre industrie
del vetro, i nostri strumenti ottici, i nostri ombrelli e i bastioni, le nostre
valigie e le selle, i nostri portasigarette e gli oggetti d’argento, i nostri
gioielli e i vestiti sono moderni. E lo sono perché non si è presentato ancora
alcun indesiderato tutore a spadroneggiare in questi laboratori. Senza
dubbio i prodotti della nostra civiltà non hanno alcun rapporto con
l’arte”47.
Analogamente Frank: “L’oggetto di uso domestico, già da lungo tempo non
ha assolutamente avuto la necessità di cambiare la sua forma […]. L’opera
d’arte infatti ha bisogno di personalità, inventiva, del colpo di genio.
L’artigianato invece non ha bisogno di tutto ciò. Gli serve solamente un
sistema costruito sul buongusto e su quelle abilità, che sono possedute
da quasi tutti gli uomini”48.
E ancora: “I termini ‘arte applicata’ [Kunstgewerbe] e ‘artigianato’
[Kunsthandwerk] sono oggi molto contestati; [...] si ritiene che non vi sia
alcuna differenza. […] Tuttavia, l’artigianato non ha nulla in comune con
l’arte […] Il valore di un’opera d’arte, non dipende dal fatto di essere
Copertina e pagine “Everyday things - our
servants” da Acceptera (G.Asplund, Gahn,
Markelius, Paulsson, Sundhal, Åhrén
1931), da Creagh/Käberg/Miller Lane,
Modern Swedish Design… 2009 p.258-59
128
espressa su carta buona o scadente, realizzata in argilla o bronzo. Un
tappeto, invece, tessuto con materiale scadente o inadatto, sarà un
oggetto scadente o privo di pregio, e nemmeno il miglior disegno potrà
costituire una valida attenuante per l’ideatore che non avrà tenuto conto
del valore essenziale, costituito dalla materia con cui il tappeto viene
realizzato […] qualunque materiale può essere ‘mostrato’ in tutta la sua
bellezza ed in tutte le sue potenzialità [...] perciò un Cinese può portare
il frammento di un vecchio coccio d’argilla come un prezioso gioiello. Per
contro è facile immaginare cosa accadrebbe volendo usare, con lo stesso
intento, il frammento di un vaso greco o di Urbino!”49.
Al suo ritorno dal viaggio di tre anni in America tra il 1893-96, anche
Loos, come già Semper, sottolinea la profonda distanza che intercorre tra
l’estetica industriale del nuovo mondo e l’arretrato continente europeo
fermo su una storicistica arte applicata: “a Chicago passeggiavo con una
sensazione di orgoglio attraverso la sezione tedesca e austriaca e sorridevo
con commiserazione guardando gli impulsi dell’artigianato americano. Ma
come è poi cambiato questo sentimento in me! La permanenza di alcuni
anni in quel continente me lo ha fatto capire ed ora mi assale la vergogna
quando penso alla figuraccia che l’artigianato tedesco ha fatto a Chicago.
Le orgogliose manifestazioni di sontuosità, i pezzi di lusso in stile, non
erano niente altro che ignorante falsità (banausische verlogenheit)”50.
Nei due numeri della rivista “Das Andere. Ein blatt zur einfühlung
abendländischer kultur in Österreich” (L’Altro. Un foglio per l’introduzione
della cultura occidentale in Austria), da lui pubblicata nel 1903 – anno
in cui Josef Hoffmann fonda le Wiener Werkstätte - questa differenza
tra l’occidente americano e inglese civilizzato e la monarchia asburgica
ancora legata a stili antiquati, Loos la ritrova già nelle piccole azioni
del quotidiano, nella biancheria intima, nel taglio dei capelli, nel tipo di
musica, nel cinema e teatro, nel modo di camminare, di scrivere, cucinare…
di tutte quelle questioni cioè che appartengono non tanto alla sfera del
costruire quanto dell’abitare51.
Rileva per esempio come in Austria si usasse leccare il coltello e poi con lo
stesso prendere il sale dal contenitore di uso comune; in America invece ci
si serviva di un cucchiaio apposito o della saliera52.
O ancora, mentre a Vienna si usava far colazione velocemente in piedi,
o addirittura correndo giù per le scale e per strada mentre si andava al
lavoro (cosa che verso le 10 di mattina faceva venire fame di gulash ed,
essendo questo piccante, anche di una birra); in America la colazione
era considerato il pasto più importante della giornata e la si consumava
quindi con calma: “la stanza è accogliente, appena arieggiata e calda.
Tutto il tavolo è apparecchiato con cibo. Dapprima ognuno mangia una
mela, poi la madre distribuisce il oatmeal, questo pasto meraviglioso a cui
l’americano deve la sua energia, la sua forza e il suo benessere. I viennesi si
stupiranno quando svelerò loro che oat significa avena e meal pasto”53.
Anche l’abbigliamento secondo Loos è un indice del differente grado di
civilizzazione di un paese, per cui “l’inglese e l’americano pretendono da
ogni uomo che sia vestito bene, mentre i tedeschi vogliono anche che il
129
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
vestito sia bello”54, o ancora il fatto di possedere un bagno in casa, “senza
plumber non ci sarebbe il diciannovesimo secolo”55.
“L’Altro” ai suoi occhi erano proprio gli Stati Uniti e Londra, altro cioè
rispetto all’Austria e la Germania.
Analogamente Frank - nonostante l’ideale americano lo avesse deluso una
volta emigrato negli Stati Uniti – ancora nel 1946 in una lettera a Trude
Wahner, sostiene che quando si torna nei paesi di lingua tedesca da un
viaggio in America o Inghilterra, “è come se si fosse stati via non quattro
ma quarant’anni, tutto è così antiquato […] soprattutto la moderna
architettura costruita secondo modelli Bauhaus […] è tutto ordinato e
accurato in ogni piccolo dettaglio”56.
In America “almeno, esistono molte cose nuove e non questo eterno
rincorrere i fantasmi come qui nel nostro continente che diventa sempre
più orribilmente antiquato”57.
“Ci si deve chiedere: perché qui [in Europa] le strade e le case etc. sono
così noiose? Tutto è certamente e assolutamente ordinato, ricco e curato,
persino organizzato secondo principi estetici, che tuttavia non sono i miei
[…]. Non ci deve essere forse anche dell’altro, come per esempio da altre
parti la rappresentazioni della povertà? e perché generalmente gli slums
sono luoghi di attrazioni per gli stranieri? Non si tratta solo di curiosità, ma
sicuramente anche di interessi estetici”58.
Tuttavia “mentre la Germania con le sue mode che si susseguono
repentinamente e nella sua continua ricerca di un qualcosa di nuovo, di
rivestimenti inutili, di uno sviluppo non esistente, vive nella confusione, a
Vienna si ha addirittura la sensazione che non si pensi neanche. […]
la totale mancanza di valori ha un effetto tranquillizzante per l’occhio […]
e una gioiosa stupidità sorride da tutte le finestre. […] Mentre il tedesco
si impegna, anche in modo sbagliato, ad adottare con efficacia qualche
vecchio effetto, il viennese non sa nemmeno che cosa siano. Quello
che egli chiama “la sua arte” è una composizione di motivi a piacere che
riprende da un catalogo compilato da uno come lui. […] Il viennese si è
scelto una raccolta di forme indefinibili, che per un motivo oscuro chiama
“arte nazionale” (Heimatkunst); ma deve essere la nazione di uno che abita
nel carrozzone di un circo”59.
Adolf Loos racconta l’aneddoto di un povero ricco che si era fatto arredare
la casa da un architetto, il quale “aveva pensato a tutto. Anche per la più
minuta scatoletta vi era un luogo previsto appositamente. […] durante
le prime settimane, sorvegliava l’appartamento affinché nessun errore
venisse commesso. […] È facile immaginare che tutti questi miglioramenti
resero il nostro uomo ancora più felice. Non dobbiamo però tralasciare
di dire che egli preferiva trattenersi in casa il meno possibile. Ebbene
si, dopo tutta quell’arte ogni tanto si sente anche il bisogno di riposarsi
un poco. […] I suoi occhi si inumidirono. Ricordava tante vecchie
cose che gli erano care e che spesso rimpiangeva. La grande sedia a
dondolo! Suo padre vi aveva sempre fatto un pisolino dopo colazione. Il
vecchio orologio! E i quadri! […] A un certo punto arrivò l’architetto per
130
vedere se tutto era a posto. […] «Che razza di pantofole si è messo» [gli
chiese] «Ma signor architetto! Se ne è già dimenticato? Queste scarpe le ha
disegnate lei stesso!». «Certo,» tuonò l’architetto «ma per la camera da letto
[…] Non le ho forse disegnato tutto io? Lei non ha più bisogno di nulla.
Lei è completo!». […] L’uomo felice si sentì all’improvviso profondamente,
infinitamente infelice. […] era escluso per il futuro dalla vita, dai desideri
e da ogni aspirazione. Egli intuì: ora avrebbe dovuto imparare ad
andarsene in giro con il proprio cadavere”60.
Indirettamente si trattava di una critica alla Wiener Werkstätte e Joseph
Hoffmann che prediligeva l’idea di un unico pattern che ricoprisse un
intero appartamento, persino il vestito del suo abitante.
Ad un casa del genere manca “l’affinità spirituale con l’abitante, manca
quel qualcosa che i pittori trovavano [invece] nelle stanze del contadino,
dell’operaio, della vecchia zitella: l’intimità. […] Qui ogni mobile,
ogni cosa, ogni oggetto racconta una storia, la storia della famiglia.
L’appartamento non era mai finito; cresceva con noi e noi con lui. […]
Ma uno stile l’appartamento lo aveva, lo stile di chi vi abitava, lo stile
della famiglia”61.
Anche Frank sostiene che “Il soggiorno, […] non è un’opera d’arte e
nemmeno armonie sintonizzate al meglio in colore e forma, i cui singoli
componenti (carta da parati, tappeti, mobili, quadri) sono talmente legati
tra loro a formare un tutt’uno mai più scioglibile. Qualunque oggetto
aggiunto verrebbe percepito come elemento di disturbo e verrebbe
a rovinare l’armonia dell’insieme. I salotti al contrario dovrebbero essere
degli spazi che non solo fossero in grado di servire come sfondo ai propri
abitanti con le loro esigenze sempre cangianti e in continua evoluzione,
ma anche di accogliere come componente organica tutti quegli oggetti
che l’abitante vuole avere attorno a sé, senza per questo perdere il proprio
carattere”62.
“Rispetto all’abitante che vive quotidianamente con tali oggetti, l’architetto
[infatti] non può pretendere che attraverso la sua breve visita nella casa
possa essere già in grado di appendervi un quadro o collocare un
vaso in modo che sembrino vivi. L’abitazione di un uomo insensibile,
in cui l’architetto, con gusto e simmetria, ha ordinato, collocato, allestito e
appeso gli oggetti più belli, rimarrà sempre insensibile”63.
“La progettazione di tali disposizioni – soprattutto in Inghilterra, alla quale
dobbiamo la forma moderna della casa - un tempo era consueta all’uomo
sia per quanto riguarda la città che la casa, ma oggi questa tradizione
è andata in gran parte perduta”64. E con il termine “tradizione”, precisa
Frank in Architettura come simbolo, “non intendo riferirmi alle colonne,
ai cornicioni e a tutte le altre forme caduche di quel periodo, [...] intendo
invece riferirmi allo sforzo di disporre in maniera organica la materia priva
di vita; questa tradizione dominerà nella nostra cultura, sino a quando per
noi l’uomo sarà la misura di tutte le cose”65.
Le case americane e inglesi infatti “non hanno concentrato la propria identità
in teorie rigide. Sembra che abbiano il beneficio di ricordare qualcosa di
Il negozio Wiener Werkstätte nella Kärtnerstrasse a
Vienna, 1916. Il pattern Mekka disegnato da Arthur
Berger copre ogni superficie. Si noti la differenza
con il negozio Haus & Garten, da K.WängbergEriksson 1994 p.49. Sotto abito disegnato da
J.Hoffmann nel 1911. Da M.Wigley 2001 p.74
131
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
‘umano’ nella loro apparenza”66: “le regole che governano l’organizzazione
del lavoro in cucina, come pure quelle del suo arredamento, sono note da
tempo e sono state definite senza l’ausilio di alcun architetto. […Qui]
l’abitare nel senso originario della parola è rimasto invariato [Frank utilizza
il termine primitiv] nel tempo. […] Vi sono delle regole riguardo alla
collocazione delle porte e sul tipo di apertura che debbono avere affinché
lo spazio non venga sprecato, sul tipo di illuminazione e sul modo in cui essa
possa risultare accogliente per il visitatore, su come collocare i letti vicino
alle finestre, sul posizionamento della scala all’interno della casa. […] prima
deve esserci unicità nel modo di abitare e dopo si può pensare alla forma
dell’abitare, forma che, secondo le esigenze lascia un’ampia gamma di
possibilità e di variazioni. […] È del tutto inutile inventarsi soluzioni
che risulterebbero primitive in quanto tali [qui invece primitivo in senso
di antiquate], se queste già esistono in forme compiute o sufficientemente
evolute, possono però essere rielaborate. L’America a questo proposito ci
indica la strada da seguire”67, “ ha dimostrato che ogni casa, anche la più
comoda, può essere costruita in ogni tipo di stile, senza per questo dover
rinunciare minimamente alla comodità. Le loro case, grazie al modo di vita
preciso e chiaro dei suoi abitanti, sono molto migliori delle nostre elaborate
forme. Moderna è la casa che può accogliere tutto quanto è vivo nel
nostro tempo e che contemporaneamente rimane un prodotto
formatosi organicamente. La moderna architettura tedesca può essere
realistica, pratica, giusta nei suoi principi, spesso anche stimolante, ma
resta priva di vita”68.
“Le nostre case necessitano di una grande flessibilità e ricchezza
di colori, forme, cose e materiali, in modo tale che possano accogliere
oggetti di entrambi i due mondi [artigianale e industriale] senza che questi
vengano percepiti come corpi estranei”69.
Tutti questi concetti erano già stati espressi dall’architetto inglese Mackay
Hugh Baillie Scott (1865-1945)70 che proprio in quegli anni iniziava ad
essere pubblicato nelle riviste di lingua tedesca71: “spesso l’uomo che si
trova in una stanza moderna risulta un elemento di disturbo, una nota
stridente nell’armonia dell’insieme, che è già completo e perfetto così
com’è, e quindi non sopporta nessuna aggiunta!”72.
“Lo stile è la caratteristica del fiore, che sboccia solo attraverso la cura
delle sue radici. Colui che brama allo stile è come quello che vorrebbe
colorare il giglio invece di innaffiarlo. Le nuove idee si basano sullo studio
del passato, non sulla cura di una nuova arte bizzarra che pretende di
essere originale”73.
Paradossalmente “oggi la casa che risulta più singolare, che risalta agli
occhi perché diversa dalla casa che si è soliti vedere in giro, è quella più
semplice”74.
Nel suo libro Houses and Garden del 1906 (e non è un caso che Frank
chiamerà la sua ditta d’arredamento fondata con Wlach proprio Haus und
Garten) Baillie Scott sosteneva che la casa prima di tutto doveva soddisfare
132
le esigenze della famiglia e non quelle degli ospiti, e che dunque la casa
borghese non doveva essere una riproposizione in miniatura del palazzo
aristocratico (ricordiamo la polemica contro il Volkswohnungpalast).
Fondamentale attenzione era da dedicare agli spazi privati prima che
a quelli pubblici e al posto delle numerose stanze solitamente presenti
in un palazzo, che in un appartamento di piccole dimensioni sarebbero
diventate troppo strette, proponeva un unico grande ambiente di
soggiorno nel quale la famiglia poteva riunirsi attorno al camino. L’uomo
veramente moderno “non desidera superare il suo vicino di casa in lusso.
Egli è profondamente convinto che l’abitare semplice ed essenziale
sia quello più valido e più intelligente. […] Nell’ampia superficie della
sua spaziosa casa (Heim) ordina i suoi pochi mobili, in modo razionale.
Non mira ad una rinascita della sontuosità di stili passati […] e non si cura
nemmeno di rivestire ogni pollice quadrato della parete e del pavimento.
La laboriosità del “decoratore” lo lascia indifferente. […] Questo lo ritrova
nelle case dei suoi conoscenti, nei clubs, negli alberghi. A casa sua [invece]
vuole tranquillità”75.
E’ quanto afferma anche Frank rispetto agli “Ornamenti inutili per
lo spirito e ornamenti inutili come problema”, cioè che l’operaio
tornando a casa dal lavoro cerca riposo e sollievo che ritrova negli oggetti,
nei mobili, nei gesti e negli ornamenti quotidiani, in tutte quelle cose che
portano le tracce e i ricordi del suo vissuto e non nelle decorazioni posticce
e artistiche che seguono le oscillazioni della moda.
“Il tempo che passa (la mia Storia) deposita residui che si accumulano:
foto, disegni, feltri di pennarello da tempo asciugati, cartelline, vuoti a
perdere e vuoti a rendere, imballaggi di sigari, scatole, gomme, cartoline,
libri, polvere e soprammobili: ed è quel che io chiamo la mia fortuna”76.
Si tratta infatti “di un casuale accostamento di pezzi singoli con i quali
l’abitante ha stabilito, nel corso degli anni, un rapporto intimo, e
che sono perciò diventati per lui preziosi. Lo scopo, la meta ambita di
un arredamento non consiste nel rendere il più ricco o il più semplice
possibile un luogo, bensì il più piacevole possibile: uno scopo che si
trova esattamente nel mezzo e che per questo è difficile da cogliere per
coloro che non hanno un istinto naturale. […] La nostra battaglia perciò
non è indirizzata contro le forme, bensì contro un modo di pensare
o meglio, contro la mancanza di una ideologia, cosa che purtroppo molto
spesso è legata all’attaccarsi alle forme. […] Gli arredamenti più piacevoli
sono stati sempre quelli che l’abitante si è creato da solo nel corso degli
anni ed ai quali non è da riconoscere alcuna intenzionalità. Nulla infatti ha
un effetto più sgradevole di un arredamento che decanta immediatamente,
come un manifesto, le buone qualità dell’abitante”77.
Per questo “né l’archeologo, né il decoratore, né l’architetto, né il pittore o lo
scultore devono arredarci il nostro appartamento. E chi mai allora? Ebbene,
è molto semplice: ognuno dev’essere l’arredatore di se stesso”78.
“Non importa se si mescolano cose nuove e vecchie, differenti stili d’arredo,
133
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
colori e pattern, gli oggetti che uno preferisce in ogni caso si fonderanno in
una unità. Una casa (Home) non necessariamente deve essere artificiale e
progettata in ogni dettaglio, bensì piuttosto composta di pezzi con cui gli
abitanti convivono felici e contenti”79.
“Si può anche appendere il quadro più brutto; è sufficiente che abbia un
valore affettivo, e che sia appeso in modo comodo e bello, tale che possa
contribuire ad una formazione personale dello spazio”80.
“Per questo la nuova architettura nascerà dal cattivo gusto del
nostro tempo, dalla sua confusione, dalla sua varietà e dal suo
sentimentalismo, da tutto ciò che è vivo e sentito. […] Questa
nuova unità potrà sorgere solo da una volontà comune che oggi non
esiste ancora. […] Non tutti possono essere dittatori, ma tutti possono
essere umani. […] Tutti gli uomini scrivono con le stesse lettere, ma le
loro scritture sono così diverse che se ne può derivare il loro carattere ed è
proibito imitare la scrittura di un altro. […] Perché dunque questa mania
di inventare ogni volta una scrittura nuova, se quella vecchia
conserva ancora tante possibilità?”81.
Vincent Van Gogh, dall’alto a sinistra: Un paio di scarpe 1886, Van Gogh Museum Amsterdam; Un paio di
scarpe 1888; Zoccoli in legno, 1888, Van Gogh Museum Amsterdam; Un paio di scarpe, 1888, Metropolitan
Museum of Art, New York City; Tre paia di scarpe, 1888, Fogg Art Museum, Cambridge (Mass.)
134
135
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
Note
decorazioni eccessive ed inutili, e tali da distruggere il senso
l’importante dibattito sulle conseguenze dell’industrializzazione
Czech, Zanichelli, Bologna 1986 (ed. orig. 1931), Gusto
maggio/giugno 1966
della topografia urbana. In risposta a questa polemica, nel
e della meccanizzazione ed enfatizzare le conquiste tecnologiche
sistematizzato, p. 106
11
1917 il Comune di Stoccolma commissionerà ad Asplund un
delle costruzioni in ferro, da una parte accorciò le distanze tra le
della borghesia, p. 11
programma di housing da realizzare nel quartiere industriale
diverse etnie e i diversi modi di produzione facendo conoscere
12
di Södermalm, nella parte sud della città. Vedi Peter Blundell
le arti delle popolazioni fino ad allora ritenute primitive, e
Jones, Gunnar Asplund, Phaidon, London 2006, p.81
dall’altra elesse il mercato ad osservatorio privilegiato delle
(la Innere Stadt), fu voluta nel 1857 dall’imperatore Francesco
16
oscillazioni del gusto esaltando i nuovi rituali del consumo di
Giuseppe in conseguenza ai moti del 1848 allo scopo di
pongono ad elemento simbolico all’ingresso della Casa della
massa, della moda e del feticismo degli oggetti.
facilitare gli spostamenti di soldati e materiale bellico in vista di
Secessione e compare in molte delle raffigurazioni sulla rivista
Menti ideative della mostra furono il principe Alberto di
una eventuale nuova insurrezione da parte della classe operaia.
“Ver Sacrum”.
Sassonia Coburgo Gotha e Sir Henri Cole, presidente della Royal
A.Loos, Die potemkinsche stadt, in “Ver Sacrum”, ottobre 1898,
Society of Arts e riformatore dell’arte applicata in Inghilterra.
1
2
Josef Frank, Architettura come simbolo, a cura di Hermann
J.Frank, Raum und Einrichtung, 1934, in J.Spalt, H.Czech, Josef
Frank 1885-1967, Hochschule für angewandte Kunst, Wien
1981, p.95, trad. it. Spazio e arredamento, in Giovanni Fraziano
(a cura di), Percorsi accidentali. Scritti e progetti di Josef Frank,
Lint, Trieste
3
Friedrich Kiesler, Manifeste du Correalisme, in “Architecture
dAujourdhui”, giugno 1949, cit. in Maria Bottero, Frederick
10
F.Kiesler, Notes on Architectures as Sculpture, in “Art in America”,
Josef Frank, Architettura come simbolo, op. cit., Espressione
La Ringstrasse, grande anello di scorrimento costruito sull’area
un tempo occupata dalle mura difensive del nucleo storico
La maschera era il tema più caro ai Secessionisti, che la
Kiesler. Arte, architettura, ambiente, 19/a Triennale, Electa
Lungo questo anello a partire dal 1857 vennero costruiti degli
17
Mondadori, Milano 1996, p. 72
edifici monumentali di grande lusso (Prachtbauten), ognuno
ora in Parole nel vuoto, (ed. orig. 1962), Adelphi, Milano 1972,
I loro obiettivi erano “l’unione della razza umana” (Sir Henry
4
La Vergleichende Baulehre (teoria costruttiva comparata)
costruito secondo un proprio stile come figura indipendente e
p.103-104.
Cole, Fifty Years of Public Service, Londra, 1884) da cui dunque il
raccoglie i disegni, lezioni tenute a Dresda e manoscritti che
isolata dal contesto, prodotti da una nazione, quella di lingua
18
Ivi, capitolo Interni. Un preludio, p. 19
volere un’esposizione che fosse internazionale e non solamente
Semper aveva prodotto fino al suo esilio a Parigi e avrebbe
tedesca, ossessionata dalla mancanza di uno stile proprio e
19
Di Durand Semper sostiene che “tutto preso dal compito
nazionale, e l’insistere sulla collaborazione tra artigianato e
dovuto comprendere 11 suddivisioni di tipi edilizi a iniziare dalle
quindi dalla ricerca di uno che la caratterizzasse: l’Università
affidatogli, di addestrare in breve tempo gli alunni del
industria. Dopo due anni di preparazione, la Great Exhibition
case d’abitazione, per poi passare ai templi, chiese, moschee,
in stile rinascimentale (Heinrich Ferstel, 1873-84), il Municipio
Politecnico e farne degli architetti, privo di pratica, si perde
venne inaugurata ufficialmente il 1 maggio 1851 alla presenza
sinagoghe; scuole, biblioteche, musei; ospedali, orfanotrofi,
in stile neogotico (Friedrich Schmidt, 1872-73), il Parlamento
spesso nel terreno dell’arido schematismo, spinto anche dalle
della regina Vittoria d’Inghilterra, per concludersi l’11 ottobre.
alberghi, edifici postali, mercati coperti, borsa; municipi,
in stile neoclassico (Theophil Hansen, 1874-83), il Palazzo di
tendenze dell’epoca” (Prefazione alla Vergleichende Baulehre,
25000 furono gli invitati e 14000 gli espositori provenienti da
parlamenti, archivi; tribunali, sedi della polizia, prigioni; teatri,
Giustizia (Alexander Wielemans, 1875-1881).
in W.Hermann, op. cit., p.236). Bisogna tuttavia precisare che
ogni parte del mondo con più di centomila esemplari esposti
sale da concerto; città e nuovi quartieri. Il manoscritto però
Rispetto a questi “strani e sterili arzigogoli” (Semper, I quattro
Semper non rifiuta la scacchiera quando serve a conferire
e con oltre sei milioni di visitatori. La mostra ebbe luogo nel
si conclude a metà del terzo paragrafo, quello riguardante la
elementi dell’architettura, 1851) Semper fu l’unico a progettare
ordine geometrico alla costruzione, ma la intende sempre
Crystal Palace progettato dall’architetto Joseph Paxton, redatto
Häuserbau bei den Babyloniern, Assyren, Medern und Persern.
degli edifici, i Musei di Storia e Arte (1872-91), posti uno di
come uno strumento di aiuto e mai come risultato. I quadrati
in un sistema di piccole unità prefabbricate, partendo dalla più
Vedi Introduzione alla Vergleichende Baulehre, in Wolfgang
fronte all’altro con la stessa identica facciata, che tenessero
per esempio, alla base della sezione aurea, non vengono
grande lastra di vetro allora conosciuta che aveva la lunghezza
Hermann, Gottfried Semper : architettura e teoria, Electa, Milano
conto del contesto in cui si inserivano.
addizionati meccanicamente, ma sempre intrecciati e composti
di soli quattro piedi. Tali unità prefabbricate erano costituite
1990, p.239
Vedi Carl E. Schorske, Vienna fin de Siècle, op. cit., Bompiani,
secondo relazioni geometriche in modo da ottenere una
dalle cornici in legno per il vetro, le travi a traliccio di ferro su cui
5
Bologna 2004 (ed.orig. 1961), cap. II La Ringstrasse, i suoi critici
proporzione così come era in uso nell’antichità e non uno
posavano le lastre e i pilastri di sostegno in ghisa imbullonati
op.cit., pp.6-7, trad. it. Il mio metodo di lavoro, in G.Fraziano,
e la nascita del modernismo urbano.
schema da applicare identico ovunque.
assieme piano per piano. Gli elementi costruttivi furono eseguiti
Percorsi accidentali, op. cit.
13
Ivi, p.45
20
Gottfried Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen
in vari laboratori di Birmingham e montati a Londra sul posto
6
14
Heim è analogo all’inglese home, invece di Haus, house
Kuensten, oder Praktische Aesthetik. Ein Handbuch für Techniker,
in modo che l’interno edificio, di superficie di circa 800 piedi
15
Josef Frank, Der Volkswohnungspalast. Eine Rede anlässlich
Kuenstler und Kunstfreunde, Erster Band: Textile Kunst, Verlag
quadrati (la lunghezza di 1851 piedi corrispondeva alla data
Innsbruck 1931, p.101
der Grundsteinlegung, die nicht gehalten wurde, (Il palazzo
für Kunst und Wissenschaft, Frankfurt a.M., 1860, p. XI, tradotto
della sua costruzione), sorse entro sei mesi. Ciò nonostante,
8
Josef Frank, How to plan a House, in J.Spalt, Josef Frank
di abitazioni popolari. Discorso non tenuto riguardo alla
da G. Hach e M. P. Arena in G.Semper, Lo Stile nelle arti tecniche
la copertura non portò ad alcun apporto innovativo poiché la
1885-1967. Möbel & Geräte & Theoretisches, Hochschule für
fondazione) comparso nella rivista “Der Aufbau” nell’estate
e tettoniche, a cura di A.R. Burelli, C.Cresti, B. Gravagnuolo,
volta a botte della galleria aveva un’intelaiatura in legno e la sua
angewandte Kunst, Wien, 1981 pp.156-167.
1926, in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank 1885-1967, op. cit., pp.141-
F.Tentori, Laterza, Roma Bari 1992, p.10
luce di circa 22 metri era inferiore a quella di molte costruzioni
143, trad. it. Christina Kruml
21
medioevali.
testo scritto per la mostra tenutasi in occasione del 80°
Anche Erik Gunnar Asplund nel 1916, pubblicando su
sulla dinamicità continua gli studi sulla “Entstheung gewisser
Vedi Sigfried Giedion, Spazio, Tempo, Architettura, Hoepli,
compleanno di Frank dal 18 dicembre 1965 al 29 gennaio 1966
“Arkitektur” - rivista di cui in seguito divenne direttore - l’articolo
Formen in der Natur und in der Kunst” (L’origine di certe forme
Milano 1984, (ed. orig. 1941), pp.240-331
all’Österreichischen Gesellschaft für Architektur a Vienna, ora
Current Architectural Dangers for Stockholm: Blocks of Flats, aveva
nella natura e nelle arti) che aveva iniziato a Londra studiando
23
in Josef Frank zum 100 Geburtstag am 15 Juli 1885, Ausstellung
criticato i grandi blocchi per appartamenti nati nel dopoguerra
le antiche catapulte (Schleidergeschosse) per dimostrare che già
Danimarca – di cui Semper disegnò i piedistalli in legno - poiché
vom 15 Juli bis 2 August 1985, Fakultät für Architektur der
in Svezia, secondo lui troppo alti e larghi, collocati nel territorio
i Greci conoscevano le forme aerodinamiche.
all’interno di uno spazio espositivo di 7,34 x 7,34 m erano stati
Technischen Universität München, p.7
in modo inappropriato, senza tener conto del contesto, con
22
presentati soltanto 40 oggetti.
7
9
J.Frank, Wie ich arbeite, 1933, in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank,
J.Frank, Raum und Einrichtung, 1934, in Ivi, p.97
Adolf Loos, Architektur, 1909, in Trotzdem, Brenner Verlag,
Friedrich Kurrent, Johannes Spalt, in “Die Furche”, 29/1965,
136
G.Semper, Vorläufige Bemerkungen …, op. cit.. Questa teoria
Fu un evento molto importante perché oltre ad avviare
Poca attenzione ricevettero i padiglioni della Svezia e della
137
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
Per il padiglione del Canada invece, di dimensioni maggiori,
studiati accuratamente secondo età, l’occupazione e la
sottolineare la necessità dell’uomo all’ornamento, il ritenere la
dalla pittura murale, agli zoo per elefanti, allo sviluppo della
Semper sfruttò la corte a tutta altezza per disporvi i pezzi più
conformazione anatomica degli allievi, frutto di una ricerca
ceramica – il künstlich aufgeworfenen Erdhügel (Klemm 1855
tecnica fotografica, all’analisi del Grande Vetro di Duchamp, ai
grandi come una canoa che fece sospendere al centro e alcuni
iniziata nel 1830 dall’American Institute of Instruction sul
(Anm. 85), p.57//28) - come Urform dell’architettura e l’insistere
requisiti acustici e visivi degli spettacoli di massa.
carri. All’ingresso fece erigere una particolare scultura di cui
miglioramento dell’attrezzatura scolastica.
sul significato archetipo della piramide e delle Pristerhallen,
Analogamente Asplund nel manifesto Acceptera, scritto
esistono numerosi schizzi, il trofeo canadese. Inizialmente
Kulturhistorische Skizzen aus der Industrieausstellung aller Völker,
hanno profondamente inciso sulle teorie di Semper.
nel 1931 (anno in cui diventa professore allIstituto Reale di
erano previste anche tutt’intorno delle pareti costituite da
Francoforte 1851, pp. 146 sgg., in S.Giedion, op. cit., p. 325
39
Tecnologia di Stoccolma KTH dove si era formato) assieme a
vetrine con frontone sopra le quali sarebbero stati dei riquadri
Nel 1841 era stato pubblicato dopo molti ostacoli il saggio
p.7
Sven Markelius, Uno Ahrén, Wolter Gahn, Eskil Sundahl, Gregor
con dei trofei.
School Architecture, or Contribution to the Improvement of
40
G.Semper, Lo Stile, op. cit., p.99. E’ significativo che Semper
Paulsson, in risposta a Vers une architecture di Le Corbusier,
Nel padiglione di Turchia ed Egitto, data la grande quantità
Schoolhouses in the United States di Henry Barnard in cui l’autore
concepisca e loda l’evoluzione della manualità umana proprio
parla di carrozze con o senza cavalli, abbigliamento, cinema, il
di oggetti esposti ancora più numerosa di quella del Canada,
descriveva le caratteristiche che avrebbero dovuto avere i
in un’epoca in cui stava prendendo piede la rivoluzione
rapporto tra individuo e la massa, vecchio e nuovo.
Semper disegnò pareti attrezzate interamente costituite da
sedili e i banchi. G.Fanelli, R.Gargiani, Storia dell’architettura
industriale che l’avrebbe soppiantata. In questo modo egli
52
Lothar Bucher,
G. Semper, Der Stil, op. cit., p. VII, tradotto in Lo Stile, op. cit.,
A.Loos, “Das Andere”, 1903, in Trotzdem, op. cit., p.38
vetrine mentre i soffitti erano coperti da drappeggi rossi a
contemporanea. Spazio, struttura, involucro, Laterza, Roma Bari
assicura alla mano dell’uomo un suo linguaggio indipendente
53
formare delle specie di tende e al centro un velarium di organza
2005 (ed.orig. 1999)
da quello verbale e dunque una sua propria dignità.
Adolf Loos. Wohnkonzepte und Möbelentwürfe, Residenz Verlag,
bianca partiva da una sorta di cupola in bande oro e rosso
29
G.Semper, Wissenschaft, Industrie und Kunst…, op. cit., p. 139
41
Salzbung 1994, p.8
decorata con una mezzaluna a ricordare una moschea.
30
Ivi, pp.73 sgg. e S.Giedion, op. cit., p.326
p.46
54
24
31
Pubblicato nel 1852, il primo degli scritti raccolti è del 1834,
42
p.55
G.Semper, Wissenschaft, Industrie und Kunst. Vorschläge
G.Semper, Der Stil, op. cit., p. 8, tradotto in Lo Stile, op. cit.,
G.Semper, Der Stil, op. cit., p. 7, tradotto in Lo Stile, op. cit., p.45.
A.Loos, Wohnen lernen, 1924, II, p.162, in Eva Ottillinger,
A.Loos, Parole nel vuoto, op. cit., cap. Die Herrenmode, 1898,
zur Anregung Nationalen Kunstgefühles bei dem Schlusse der
l’ultimo del 1869, del volume rimangono pochissimi esemplari.
Questo dimostra che, nonostante Semper venne accusato di
55
Ivi, cap. Die Plumber, 1898, p.150
Londoner Industrie-Ausstellung, Friedrich Vieweg und Sohn
32
G.Semper, Wissenschaft, Industrie und Kunst…, op. cit.,
materialismo tecnicistico in particolare da Riegl e Wölfflin, in
56
Frank a Trude Waehner, 9 febbraio 1946. Cit. in Maria Welzig,
Verlag, Baunschweig 1852, p. 110. Unica eccezione costituiva a
p.9. Semper ribadisce questo concetto più volte, anche nei
realtà egli ha sempre sottolineato come le forma architettoniche
Entwurzelt. Sobotka, Wlach und Frank in Pittsburgh und New York,
suo giudizio la Francia, grazie al suo essere “in molte cose ancora
Prolegamena a Der Stil e nella prefazione a Theorie des Formell-
dipende si dal materiale, ma ancora di più dall’Idea e assume
in Matthias Boeckl, Visionäre und Vertriebene. Österreichische
tenacemente ancorata alla tradizione” e all’ “eccellente metodo
Schönen.
significato solamente quando ha a che fare col simbolo.
Spuren in der modernen amerikanischen Architektur, Ernst &
di insegnamento” delle accademie e scuole d’arte francesi (p.
33
G.Semper, Wissenschaft, Industrie und Kunst…, op. cit., p. 116
43
Sohn, Wien 1995, p.235.
124).
34
Ivi, p. 130
dell’estetica a partire da Semper, Riegl, Wölfflin, Mimesis, 2001,
57
Lettere di Frank a Trude Waehner (LÖNW), 5 marzo 1939
25
35
Wilhelm Mrazek, Gottfried Semper e il rinnovamento della
p. 26
58
M.Welzig, Entwurzelt, op. cit., p.223
J.Frank, Architettura come simbolo, op. cit., Heimatkunst (Arte
26
Ms 88, foglio 34, W.Hermann, op. ct., p. 123
Andrea Pinotti, Il corpo dello stile. Storia dell’arte come storia
Per tutto il Settecento e fino ad allora l’attenzione era
museografia ottocentesca, in Benedetto Gravagnuolo, Gottfried
44
Ivi, p.10
59
stata posta solamente su quelle produzioni dell’arte classica
Semper. Architettura arte e scienza, Clean, Napoli 1987, pp. 47-
45
G. Semper, Der Stil, op. cit., p.XII, tradotto in Lo Stile, op.cit.,
nazionale), p. 85
greco-romana del periodo aureo (e poi la sua rinascita nel
51.
p.11
60
Rinascimento italiano) rivelandosi incapace di comprendere
Nel maggio 1834 Semper viene chiamato a insegnare presso
46
ricco, pp. 151-155
intere epoche artistiche non-classiche che per questa non
l’Accademia delle Schönen Künste a Dresda. Pochi giorni prima
47
corrispondenza erano state definite come ‘barbare’. Secondo
era stata data avvio alla riforma delle accademie d’arte per
Semper invece non vi era contrapposizione tra arte ellenica e
A.Loos, Parole nel vuoto, op. cit., cap. Glas und ton, p.45
A.Loos, Parole nel vuoto, op. cit., cap. A proposito di un povero
61
Ivi, cap. Gli interni della Rotonda, pp. 25-27
überflüssigen), 1908, p.207-208.
62
J.Frank, Die Einrichtung des Wohnzimmers, 1919, in J.Spalt,
opera di Bernhard August von Lindenaus che negli anni venti
48
H.Czech, Josef Frank 1885-1967, Hochschule für angewandte
arte barbarica, in quanto “anche l’arte ellenica è barbarica nei
erano decadute a semplici scuole di disegno.
1927, in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank, op. cit., p.188-190, trad.
Kunst, Wien 1981, trad. it. Christina Kruml
propri elementi: […] il principio ellenico doveva naturalmente
36
G.Semper, Wissenschaft, Industrie und Kunst…, op. cit., p. 121
it. Ornamenti per lo spirito e ornamenti come problema, in
63
Ivi, p.56
affondare, per l’aspetto formale, innanzitutto nelle tradizioni
37
Marco Pogacnik, Il governo dello Stile, in “Ottagono”, n. 94,
G.Fraziano, Percorsi accidentali, op. cit.
64
J.Frank, Das Haus als Weg und Platz, 1931, in J.Spalt, H.Czech,
[…] senza queste tradizioni, per pura speculazione non avrebbe
L’Ornamento, marzo 1990, pp. 7-15
49
Josef Frank, op. cit., p.36, trad. it. La casa come strada e come
mai potuto sorgere, e tali tradizioni erano asiatiche!” (vedi nota
38
H.Czech, Josef Frank, op.cit., p.65, trad. it. Arte, artigianato e la
piazza, in G.Fraziano, Percorsi accidentali, op. cit.
95, W.Hermann, op. ct., p.116).
110. Questo pensiero gli deriva anche in parte dalle influenze
macchina, in G.Fraziano, Percorsi accidentali..., op. cit.
65
Conferenza del 1853 Entwurf zu den vorlesungen über die
esercitate dallo storico Gustav Klemm, oggi considerato il
50
europea, p. 13
Beziehungen der verschiedenen Zweige der industriellen Kunst
fondatore delle scienze culturali (Kulturwissenschaft), il quale
Nachbarschaft, 1898, p.51
66
possedeva a Dresda una grande collezione di strumenti, vestiti,
51
Review”, n. 73, giugno 1933, p. 268
Schriften, p.349, in W.Hermann, op. ct., p.58
vasellame, e oggetti domestici da tutte le parti del mondo. La
“Architectural Record” nel 1939, parlerà solo indirettamente di
67
28
sua convinzione che il lavoro fosse alla base della cultura, il
architettura per discutere invece di progettazione in senso lato,
H.Czech, Josef Frank, op. cit., p.32, trad. it. L’abitazione nella
27
zueinander und zur Architektur. Erste Vorlesung,
in Kleine
Tra i prodotti americani inoltre vi erano banchi di scuola
138
G.Semper, Wissenschaft, Industrie und Kunst…, op. cit., p.
A.Loos, Parole nel vuoto, op. cit., cap. I superflui (Die
Josef Frank, Gschnas fürs G’mut und der Gschnas als Problem,
J.Frank, Kunst, Kunsthandwerk und Maschine, 1931, in J.Spalt,
A.Loos, Parole nel vuoto, op. cit., Das Silberhof und seine
Anche Kiesler nella serie di articoli che scriverà per
J.Frank, Architettura come simbolo, op. cit., La tradizione
An Austrian Architect Looks ar England, in “Architectural
J.Frank, Die Grosstadtwohnung unserer Zeit, 1927, in J.Spalt,
139
La seduzione dell’INvisibile
metropoli dei nostri tempi, in G.Fraziano, Percorsi accidentali, op.
cit.
68
J.Frank, Architettura come simbolo, op. cit., Cosè moderno?,
p. 81
69
J.Frank, Die Einrichtung des Wohnzimmers, op.cit., p.56
70
Baillie Scott nasce nel 1865 a Ramsgate, Kent, Inghilterra.
Frequenta il Royal Agricultural College maturandosi nel 1885.
Collabora quindi per tre anni presso lo studio dell’architetto
Charles E.Davis a Bath e nel 1889 si trasferisce a Douglas, Isle
of Man, per lavorare presso lo studio di Fred Saunderson. Nel
1891 pubblica Design for a Bungalow nella rivista “Building
News” e tra il 1892-93 progetta e costruisce la propria Red
House. Nel 1901 vince un concorso a Darmstadt per una casa
per un amante dell’arte (Haus eines Kunstfreundes, in particolare
la hall a doppia altezza viene giudicata come innovativa) e
apre un proprio studio a Bedford, quindi a Fenlake e dopo la
prima guerra mondiale a Londra. Assieme a Charles Rennie
Mackintosh disegnò anche una serie di mobili e oggetti per
la ditta d’arredamento Karl Schmidt-Hellerau e i loro lavori
vennero mostrati tra il 1903 e il 1904 nella mostra “Heirat und
Hausrat (Matrimonio e lavoro domestico)” a Dresda, ma anche
a Berlino, Mannheim e Vienna. Soprattutto i primi progetti
sono caratterizzati da un disegno complessivo dell’insieme,
ciò nonostante egli tende sempre più ad una semplificazione.
Nel 1906 pubblica Houses and Gardens, e i suoi lavori vengono
largamente pubblicati anche nelle riviste di lingua tedesca,
tanto che fino al 1914 ricevette alcune commissioni anche in
Austria, Germania e Svizzera. Muore nel 1945.
Per un approfondimento vedi Diane Haigh, Baillie Scott. The
Artistic House, Academy Editions, London 1995 e capitolo
La seduzione dell’INvisibile
moderna casa di campagna) che presenta l’architettura anonima
abitativa inglese e americana tra cui Baillie Scott, William Richard
Lethaby, Ernest Newton, Charles Francis Annesley Voysey (18571941), Edgar Wood, Mackintosh, e Herbert McNair.
Anche Strnad nella sua conferenza del gennaio 1913 su
“L’appartamento e la casa” (Wohnung und Haus) tenuta nel
Neuen Wiener Frauenclub riprende citazioni da Häuser und
Gärten, senza però mai nominarlo.
Ernst Anton Plischke, studente di Strnad alla Kunsgewerbeschule
e collaboratore di Frank negli anni Venti, si ricorda che quando
era studente andava spesso in biblioteca a studiare i progetti
di Baillie-Scott. Vedi E.A.Plischke, Ein Leben mit Architektur,
Wien 1989, citato in M.Welzig, Josef Frank 1885–1967. Das
architektonische Werk, Böhlau Verlag, Vienna, 1998, p.69
72
Mackay Hugh Baillie Scott, Häuser und Garten, E.Wasmuth,
Berlino 1912 (ed. orig. George Newnes, Londra 1906), p.39
73
Ivi, p.9
74
Ivi, p.49
75
Ivi, p.6
76
G.Perec, Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino 1989 (ed.
orig. 1974), p.34
77
J.Frank, Fassade und Interieur, 1928, in J.Spalt, H.Czech, Josef
Frank, op. cit., pp.25-27, trad. it. Facciata e interno, in G.Fraziano,
Percorsi accidentali, op. cit.
78
A.Loos, Parole nel vuoto, op. cit.,cap. Gli interni della Rotonda,
pp. 25-27
79
J. Frank, Akzidentismus, op. cit.
80
J.Frank, Raum und Einrichtung, op. cit., p.100
81
J.Frank, Architettura come simbolo, op. cit.,Uno sguardo, p.
115
“
In ogni abitazione risiede qualcosa di personale – alcune presentano un carattere talmente
infimo che [...] passare davanti a case del genere significa farsi il segno della croce dallo
spavento [...] Altre, specialmente case vecchie, testimoni di grandi epoche costruttive,
colpiscono alla prima occhiata attraverso la loro fascino speciale. Quando vi si entra e si passa
da una camera all’altra sembra che il loro profondo silenzio comunichi con segni e simboli.
[...]
Non si commetta lo sbaglio di considerare la casa moderna come un contenitore di tubi
dell’acqua calda e cucine economiche brevettate! Nella costruzione vi è qualcosa di più
grande che non deve essere tralasciato. Non piatta, pretenziosa, appariscente come la
maggior parte delle moderne ville; [bensì] piena di tutta quella delicata e silenziosa serietà
che avvinghia lo spirito e consola con promesse di pace. Una casa simile è l’opera d’arte più
grandiosa di cui è capace l’uomo[...].
Tali azioni danno la benedizione. Che esse emanino specialmente dalle case vecchie, porta
all’errore, eccetto per quanto riguarda la passione archeologica, di vedere il passato attraverso
occhiali rosa, idealizzarlo in confronto con la rozzezza e l’infamia del presente. Come la morte
di un amico fa scomparire tutti i più piccoli difetti e vediamo il vero nocciolo del suo essere
nella giusta prospettiva, scoperto dalle nubi, così avviene per gli edifici che non dicono nulla
della futilità spicciola del loro tempo, ma nella loro costruzione e nella loro poesia spaziale
interna conservano come pietrificata la profonda musica dello spirito.
(Baillie Scott, Häuser und Gärten, cap.1, p.22, trad.it. C.Kruml)
“
seguente.
71
L’importanza di Baillie-Scott è l’aver posto l’attenzione su
un tema, la costruzione della casa unifamiliare, fino ad allora
considerato come secondario in architettura rispetto agli edifici
monumentali. I suoi scritti lasciarono una profonda impronta tra
gli architetti dell’epoca: tra il 1903 e il 1906 vengono pubblicati
a Berlino i 3 volumi di Das englische Haus: Entwicklung,
Bedingungen, Anlage, Aufbau, Einrichtung und Innenraum
(La casa inglese: sviluppo, condizioni, impianto, costruzione,
arredamento e spazio interno; Ernst Wasmuth, Berlin) di Hermann
Muthesieus, fondatore del Deutscher Werkbund.
Nel 1903 a Vienna Josef Lux pubblica Das moderne Landhaus (La
140
141
La seduzione dell’INvisibile
L’ a r c h i t e t t u r a
de l l a s e d i a
“C
’ERA UNA VOLTA UN MASTRO SELLAIO. ERA UN BUON ARTIGIANO, MOLTO ABILE. FABBRICAVA
SELLE CHE […] ERANO MODERNE. LUI PERÒ NON LO SAPEVA. SAPEVA SOLTANTO CHE
FACEVA SELLE. MEGLIO CHE POTEVA. […] PRESE CON SÉ LA SUA SELLA MIGLIORE
E SI RECÒ DAL CAPO DELLA SECESSION. E GLI DISSE “[…] ANCH’IO VORREI LAVORARE IN MODO
MODERNO. MI DICA: QUESTA SELLA È MODERNA?” IL PROFESSORE ESAMINÒ LA SELLA […]
“CARO ARTIGIANO, LEI NON HA FANTASIA” […] IL GIORNO DOPO IL MASTRO SELLAIO RITORNÒ. IL
PROFESSORE POTÈ PRESENTARGLI QUARANTANOVE PROGETTI DI SELLE. […] “SIGNOR PROFESSORE!
SE IO MI INTENDESSI COSÌ POCO DI EQUITAZIONE, DI CAVALLI, DI CUOIO E DI LAVORAZIONE, AVREI
ANCH’IO LA SUA FANTASIA1.
“
“La parte più importante in una casa è il luogo dove si sta seduti”,
sostiene Frank. “Ormai standardizzato ovunque, da noi però in modo
sbagliato, poiché è ancora essenzialmente costituito dal tavolo da pranzo,
attorno al quale vengono poi raggruppati un divano e due o tre sedie uguali
tra loro: in tal modo […] ci si viene a trovare troppo in alto o troppo in basso,
è impossibile stare comodi, ed il tavolo risulta comunque d’intralcio a chi
sta seduto. […] Volere inventare la sedia in un unico modello per tipizzarla,
è una sciocchezza, poiché essa ha molteplici funzioni da assolvere
Vincent Van Gogh, La sedia, 1888,
National Gallery, Londra
che variano secondo le esigenze che si presentano nell’arco di una
giornata”2.
Infatti “secondo il principio per cui i diversi gradi di stanchezza richiedono
varie sedute”, anche Loos aveva già notato che “la casa inglese non
mostra mai un unico stesso tipo di sedia. Tutte le diverse tipologie sono
rappresentate in una stanza in modo che ciascuno possa scegliere quella
più adatta a lui”3.
Solamente quegli ambienti come la sala da pranzo o da ballo, un bar, in cui
tutti svolgono la stessa funzione sono ammessi tipi di sedie tutte uguali.
La sala da pranzo “riunisce tutti i partecipanti per un breve periodo ad una
stessa attività. […] Perciò questa stanza ha la possibilità di venir arredata
da un unico artigiano artistico (Kunsthandwerker), sia esso un architetto,
tappezziere o falegname”4.
Per questo nei Cafè progettati da Loos troviamo per lo più solo la sedia in
legno piegato Thonet e nelle sale da pranzo copie della sedia inglese del
Settecento, mentre invece nei salotti domestici vi sono sempre numerosi
tipi di sedute e sgabelli diversi.
Sia Loos che Frank erano contrari all’invenzione di forme e soluzioni nuove
se queste già esistevano come perfette nella tradizione artigianale. Come
Semper, credevano nella varietà delle Urformen e quindi riutilizzavano
tipi di sedie già esistenti migliorandole in base alle nuove esigenze della
contemporaneità.
143
La seduzione dell’INvisibile
Elementi che compongono il modello n.14 della
sedia Thonet (1859, da “Ottagono” 84)
Josef Frank, Modello A63F Thonet, anni Venti
144
La seduzione dell’INvisibile
“Sono dell’opinione che se bisogna cambiare le forme ci debba essere un
motivo […] tutte le cose che servono all’utilizzo necessitano in realtà di un
cambiamento solo se questo può migliorare il soddisfacimento del
loro scopo”5.
Le sedie Windsor per esempio sono già perfette così come sono: leggere,
pratiche, “hanno gli angoli arrotondati cosicché non ci si può battere e
comprimere da nessuna parte, e non necessitano di imbottiture perché
sono modellati rigorosamente sulle anatomie del corpo umano, in modo
che ci si siede come se ci si fosse cresciuti”6.
“La progettazione di una nuova sedia per la sala da pranzo mi sembra
una follia, una follia del tutto inutile, insieme a perdita di tempo e fatica”,
scrive Loos nel 1929 alla morte del suo fidato produttore di sedie Josef
Veillich. “La sedia da pranzo del tempo di [Thomas] Chippendale [metà del
settecento] era assolutamente perfetta. […] Tuttavia, può essere prodotta
solo dall’artigiano di sedie, non dal falegname. Mentre le nuove sedie sono
prodotte dal falegname. L’artigiano delle sedie e il falegname creano cose
in legno. Il produttore di valigie e il mastro sellaio producono entrambi
cose in cuoio, eppure un cavaliere respingerebbe una sella fabbricata da
un produttore di borse. Perché? Perché il cavaliere ci capisce qualcosa
del cavalcare. Chi è capace di comprendere le sedie che risalgono ai
tempi in cui si comprendeva ancora lo stare seduti al tavolo da pranzo,
respingerà le sedie di oggi, spettrali. […] Siccome l’artigianato di sedie è
una professione in via di estinzione dato che non ci sono più apprendisti,
mi viene spesso chiesto: “Che cosa farà quando il vecchio Veillich morirà”?
Ieri è stato sepolto. Veillich ha realizzato tutte le mie sedie da pranzo. Per
trent’anni è stato mio fedele collaboratore […] Era sordo come me, per
questo ci capivamo bene […]. Al posto della sedia in legno verrà
la sedia Thonet che io già trent’anni fa ho indicato come l’unica sedia
moderna”7.“Ad un certo punto nell’anno 1895 [infatti] quando mi trovavo
in America mi resi conto che la sedia Thonet era la sedia migliore”8.“Guarda
la sedia Thonet! Non è frutto dello stesso spirito, dal quale proviene
la sedia greca con le gambe piegate e lo schienale, che senza ornamenti
incarna lo stare seduti di un epoca?”9
Anche Frank alla fine degli anni Venti disegna alcune sedie per la ditta
Thonet mantenendone il concept originale (legno curvato e giunzione di
pochi elementi prodotti facilmente in serie) che viene esaltato attraverso
l’uso del colore: il modello A 63F per esempio lo propone in 14 tonalità
diverse.
Tuttavia questo non significa voler riproporre mobili in stile: “Se un inglese
mette nella sua camera una sedia Windsor o Adam nessuno lo noterà. Se
invece metterà un mobile della stessa epoca, esso apparirà antiquato.
[…] Nessuno può assumere le esperienze e i risultati già pronti di un altro
e non può saltare tutta la sua evoluzione senza batter ciglio. […] I tipi non
possono venir inventati, essi nascono da soli - ma non lo possono fare se
si continua a voler creare mobili nello spirito del 18° secolo per raggiungere
il livello inglese e sostituirne i mobili. Essi infatti si sono conservati anche
in Inghilterra solamente grazie ad una tradizione forte, cosa che a noi
manca […]. Il ‘mobile-tipo’ della nostra ‘epoca della macchina’, lontano da
qualunque tentativo di voler essere ‘decorativo’, avrà come unico scopo
il rappresentare il minimo di materiale, spazio, forma e peso e di
necessitare di un minimo di cura e manutenzione”10[si noti che viene
utilizzato “minimo” e non “nessuna” cura e manutenzione! Strofinare un
mobile fa parte del rituale quotidiano utile e necessario per lo spirito]. “A
tal fine per esempio una finestra ad arco è una forma non moderna, poiché
sappiamo che possiamo realizzare la più grande apertura anche con una
trave diritta”11.
Sia Frank che Loos erano infatti consapevoli che l’artigianato era diventato
ormai troppo costoso e dai tempi di lavorazione troppo lunghi, e per
questo non rifiutavano l’industria ritenendola un fattore indispensabile
per le esigenze della modernità. Analogamente non rifiutavano l’utilizzo di
materiali e tecniche di produzione innovativi.
“Noi oggi cerchiamo spesso di sostituire materiali naturali con quelli
artificiali, dal momento che la materia naturale soddisfa tutti i bisogni
solo occasionalmente e casualmente, anche se costituisce la base e la
tradizione dei nostri desideri. Il ‘materiale sostitutivo’ non è qualcosa
di peggiore, come siamo abituati a pensare dal tempo della guerra,
ma qualcosa di migliore, che possiede, in gran parte, tutte le qualità del
materiale naturale, come durata, isolamento, resistenza, etc. […] Materiali
artificiali, come mattoni, carta, vetro, che sono da tempo conosciuti, ci sono
oggi così familiari che non li riteniamo più tali, cioè artificiali”12.
Quello su cui entrambi insistevano era la necessità di trovare un equilibrio
tra industria ed artigianato in modo che la macchina rimanesse un
aiuto per l’uomo e non lo sostituisse. Per questo, come aveva già sostenuto
anche Semper, era necessario conoscere bene le proprietà dei vari materiali
e le tecniche di lavorazione più adatte, per evitare così ornamenti posticci
e rivestimenti falsi: ricordiamo la legge del rivestimento secondo cui si può
dipingere il legno di tutti i colori tranne il color legno.
Rispetto alle sedie moderne, sia Loos che Frank criticavano quindi da una
parte il voler utilizzare un unico stesso tipo di sedia dappertutto (“con
il Cafè Museum (1899) mi hanno frainteso. Dalla sua inaugurazione gli
appartamenti sono freddi e nudi come un bar”13) e dall’altra la mancanza
di una relazione con il corpo umano.
L’attuale forma moderna della sedia “è rettilinea, cubica e composta da
aste, tuttavia non risponde allo scopo essenziale di una sedia che deve,
in tutte le sue parti, adattarsi al corpo umano e perciò deve avere una
forma ad esso adeguata. […] Oggi si tende a dare agli oggetti una forma
semplice e disadorna […] Ma semplicità non significa in nessun modo
linearità, nè uso di una qualche forma geometrica. Ciò che noi intendiamo
per forma più semplice è la forma migliore ed essenziale. Questa forma sarà
sempre una forma organica, mentre quella geometrica, di norma lineare, è
manierata e senza vita, visto che è artificiosa e, per ragioni formali, troppo
estranea alla casa e alle sue pareti dar poterne risultare parte integrante:
Josef Frank, modello di sedia Windsor progettato
attorno al 1930
145
La seduzione dell’INvisibile
Marcel Breuer con Wassily Kandinsky, Modello
B3, 1925
La seduzione dell’INvisibile
l’equivoco è dovuto al fatto che la forma cubica della casa è la sua forma
più scontata”14.
Ma una sedia “deve essere adattata alla forma del corpo umano di cui è
il negativo, e resistere a qualsiasi geometria. La poltrona, consta di due
superfici (la base è solo portante): sedile e schienale. Il sedile è più largo
verso il davanti che verso il dietro. Lo schienale è più stretto verso il basso
che verso l’alto, esso è curvato seguendo la forma della schiena. Queste
forme si sono conservate da tempi molto remoti, perché il corpo non
è cambiato, solo i bisogni della comunità, ne hanno modificato le
misure”15.
Infatti “noi non ci sediamo così perché il falegname ha fatto la sedia in
questo o in quel modo, ma poiché noi vogliamo sederci in questo
modo, il falegname ha fatto così la sedia”16.
Da qui la critica accesa contro la sedia tubolare in acciaio progettata
da Marcel Breuer, presa come esempio per rappresentare i cosiddetti
Menschenfresser, mangiatori di uomini, cioè i funzionalisti e RadikalModernen: “Siamo un paese povero. Uno dei simboli di questa povertà è
la sedia in tubo d’acciaio. […] La comodità di una sedia non dipende
in alcun modo dal materiale impiegato ma unicamente dalle sue
proporzioni. […] Mentre tutto il mondo sa che una sedia non è un cubo
e che, poiché in fondo serve per sedersi e si adatta al corpo umano, è il
suo contrario, cioè rotonda, si tende continuamente a farla assomigliare
ad un cubo, così come ogni suppellettile della casa, e ciò per raggiungere
di nuovo quell’unità che un tempo si chiamava arredamento in stile. […]
L’acciaio non è un metallo, ma una visione del mondo”17. “Un materiale
nuovo non esige forme nuove, le rende possibili”18.
Contraltare della sedia tubolare era invece lo sgabello egizio, di cui già
Semper aveva parlato in Der Stil come dell’oggetto più perfetto nella sua
semplicità, essenziale, mobile, leggero e allo stesso tempo resistente, privo
di direzione e quindi adattabile in qualsiasi ambiente e a una moltitudine
di funzioni diverse.
Semper aveva potuto osservare lo sgabello che si trovava nel British
Museum di Londra (di cui non è chiara la provenienza né l’epoca), che
faceva parte di quei pezzi archeologici strappati dal territorio egiziano da
Napoleone Bonaparte nel maggio 1798 per portarli in Francia e trasferiti
poi in Inghilterra dopo la sconfitta dello stesso da parte dell’ammiraglio
Horatio Nelson.
Agli inizi del Novecento ne erano stati poi scoperti altri esemplari: nel
1906 da un archeologo italiano nella tomba dell’architetto Kha risalente
al 1400 a.C. circa (ora nel museo egizio a Torino), mentre alcune varianti di
questo modello vennero trovati nel 1922 da Howard Carter nella tomba di
Tutanchamen (1347-1337 a.C., oggi al museo del Cairo)19.
Nell’ottava parte di Der Stil, intitolata “Tettonica”, capitolo “Le costruzioni
ad aste di legno “(Die Stabkonstruktion aus Holz), Semper riproduce il
disegno di questo sgabello così come si trovava allo stato presente
146
nel British Museum, quindi composto da una seduta curva parziale
sostenuta da quattro gambe attraverso una struttura di sottili aste rigide:
orizzontali di collegamento tra le gambe, verticali e diagonali tra seduta
e aste orizzontali. Rispetto allo sgabello ritrovato nelle tombe di Kha e di
Tutanchamen, esso si distingueva per la ricca ornamentazione di pitture ed
intarsi, ma anche per la forma a balaustra delle gambe (più grosse al centro
e alla base) e per la particolare messa in evidenza delle giunzioni fra le
parti. Venne perciò interpretato da Semper come esempio essenziale di
tettonica, intesa come “l’arte di congiungere elementi che possiedono la
forma di aste rigide”20, è dunque come un principio costruttivo, archetipo
eternamente valido e senza tempo21.
Le fotografie di questo sgabello del British Museum vennero riprodotte
a Londra a partire dal 1884, e da allora esso venne più volte riproposto e
interpretato.
Nel 1855 per esempio il pittore preraffaellita Holman Hunt (1827-1910)
trasformò lo sgabello in una sedia dotandolo di schienale, di una seduta
in paglia intrecciata e alzando le gambe ad altezza europea. Inoltre
il motivo di aste diagonali e verticali venne riproposto solamente sul
fronte e non su tutti e quattro i lati: in questo modo tuttavia la sedia
assunse un’unica direzione perdendo la propria flessibilità e il principio
costruttivo semperiano divenne un mero elemento ornamentale, tanto
che venne ripreso anche nella decorazione dello schienale. In una seconda
versione di questa sedia dovuta a Ford Madox Brown nel 1861 per la ditta
Morris, Marshall, Faulkner & Co, la struttura diagonale venne addirittura a
mancare.
Il concetto semperiano di tettonica fu capito piuttosto dall’architetto
Edward William Godwin (1833-1886) il quale nel 1867 realizzò un tavolino
richiamandosi alla struttura ad aste diagonali dello sgabello egizio, ma
privo di decorazioni e rettificando le gambe.
Sgabello egizio ritrovato nella tomba di Kha (1400
a.C.), e disegno di G.Semper (Der Stil, vol II, p.257)
da quello che si trova al British Museum di Londra,
fotografato sotto (vedi E.Ottilinger 1989 p.76 e 84)
147
La seduzione dell’INvisibile
W.Holman Hunt, sgabello egizio (1857-58,
Sammlung del Birmingham City Museum)
L.F.Wyburd, Thebes Chair, per Liberty, 1884.
Vedi E.Ottilinger 1994, pp.83-87 e 1989 p.83
148
La seduzione dell’INvisibile
Nel 1884 Leonard F.Wybury, direttore della sezione “Furnishing and
Decoration Department” della ditta Chesham House fondata da Sir Arthur
Liberty a Londra, realizza una variante dello sgabello egizio che semplifica
e astrae le forme del modello che si trova al British Museum: la seduta è in
pelle, le gambe sono lisce e diritte, prive di ornamenti, pur mantenendo la
forma a balaustra. Questo sgabello a quattro gambe, assieme ad uno con
tre, venne brevettato nel marzo 1884 come “Thebes Stool” e rimase nel
catalogo di Liberty fino a dopo il 1900, offerto anche in una versione con
schienale simile a quella di Hunt (in pelle e con il motivo delle aste come
decorazione)22.
A questo modello di sgabello Liberty si rifarà anche Adolf Loos quando lo
ripropone nello studio dell’appartamento per Hugo Haberfeld (1898-99),
in quello del suo amico poeta Otto Stoessl (1900), e persino nella propria
abitazione del 1903, e in seguito molti altri progetti (Villa Karma, Casa
Steiner, Casa Duschnitz, Casa Mandl, Casa Strasser, Casa Rufer, ecc.).
Loos tuttavia sceglierà la versione priva di schienale, riappropriandosi
così del principio semperiano di tettonica che intendeva la struttura
con funzione portante e non meramente decorativa e sottolineava
l’importanza delle giunzioni. Inoltre l’assenza di direzione permetteva una
maggiore flessibilità, leggerezza e trasportabilità.
E.W.Godwin, coffee table (1867ca) e A.Loos,
Appartamento Haberfeld, da Das Interieur 1903
149
La seduzione dell’INvisibile
Anche gli sgabelli che disegna Frank – alcuni a quattro
gambe, altri a tre – sono privi di schienale e rispetto
a quelli di Loos si caratterizzano per la riduzione
all’essenziale delle parti, più vicino alla semplificazione
attuata nel tavolino di Godwin, pur senza rinunciare
alle qualità aptiche dei materiali.
Nel modello che si richiama all’esemplare ritrovato
nella tomba di Kha per esempio la struttura viene
semplificata e assottigliata, le gambe sono dritte, le
giunzioni lineari, le sottili aste verticali e diagonali
vengono estese in altezza e la seduta curva, intrecciata
dell’originale, viene sostituita da una in pelle, più
resistente.
Un altro modello presenta gambe lisce che si
allargano alla base per sostenere al meglio il peso del
corpo, tutti i bordi vengono arrotondati come anche
le aste orizzontali, mentre scompaiono quelle verticali
e diagonali perché non servono più, le giunzioni sono
evidenziate e la seduta è rivestita di una morbida
pelle di zebra che riunisce insieme l’aspetto estetico e
sensoriale. “Quanto più si entra in contatto ravvicinato
con un mobile, quando per esempio lo si tocca con la
mano, tanto più esso deve essere di forma irregolare e
organica in modo da adattarsi a quella della mano”23.
Un terzo modello ancora mostra delle gambe a sezione
rettangolare inserite diagonalmente nella seduta in
modo da non necessitare né di aste orizzontali né di
quelle verticali. La seduta è incurvata per adattarsi
meglio alle forme del corpo.
La seduzione dell’INvisibile
Confronto fra gli sbabelli a tre gambe di L.F.Wyburd per Liberty (1884), di A.Loos e di J.Frank, esposti al Hofmolibieldepot di Vienna (fotografia:
Christina Kruml) e sotto J.Frank, Disegno per tre sgabelli “Nil, Cyrus e Hektor, 1920-25ca, Sammlung Oskar Kokoschka UfaK, Vienna, inv. 372
Esistono anche delle versioni di sgabello a tre gambe,
con piedi che si allargano o incurvano per permettere
una maggiore stabilità, che si richiamano chiaramente
a quelli realizzati da Josef Veillich per Adolf Loos, a loro
volta ripresi dal modello proposto da Liberty.
Il richiamarsi a modelli storici come lo sgabello
egiziano, la sedia Windsor o quella Thonet, serviva a
richiamare un immediato senso di familiarità e quindi
di “sentirsi a casa”.
150
151
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
Note
1
Adolf Loos, Il mastro sellaio, in Parole nel vuoto, (ed. orig. 1962),
Josef Frank 1885-1967, Hochschule für angewandte Kunst, Wien
Adelphi, Milano 1972, pp.164-166
1981, p.100, trad. it. Spazio e arredamento, in G.Fraziano, Percorsi
2
accidentali, op. cit.
Josef Frank, Die Grosstadtwohnung unserer Zeit, 1927, in J.Spalt,
H.Czech, Josef Frank 1885-1967, Hochschule für angewandte
Kunst, Wien 1981, pp.32-33, trad. it. L’abitazione nella metropoli
dei nostri tempi, in Giovanni Fraziano (a cura di), Percorsi
accidentali. Scritti e progetti di Josef Frank, Lint, Trieste
3
A.Loos, Das Sitzmöbel, in Parole nel vuoto, op. cit., pp.84-85.
3
A.Loos, Wanderung durch die Wienterausstellung des
Österreichischen Museums, 1898, cit. in Eva Ottillinger, Adolf
Loos. Wohnkonzepte und Möbelentwürfe, Residenz Verlag,
Salzbung 1994. p.113
4
Josef Frank, How to plan a House, in Johannes Spalt, Josef
Frank 1885-1967. Möbel & Geräte & Theoretisches, Hochschule
für angewandte Kunst, Wien, pp.156-167
5
Ludwig Hevesi, Stonehedge, 1891, in E.Ottillinger, Adolf Loos,
op. cit., p.132
6
in “Frankfurter Zeitung” 21 März 1929, ripubblicato in Adolf
Loos, Trotzdem. 1900-1930, Innsbruck 1931
7
A.Loos, Über die Sparsamkeit, 1924, in Die Potemkinsche
Stadt. Verschollene Schriften 1897-1933, A.Opel, Wien 1983,
p.215, cit. in E.Ottillinger, Adolf Loos, op. cit., p.15
8
A.Loos, Kunstgewerbbliche Rundschau I, 1898, in E.Ottillinger,
Adolf Loos, op. cit., p.127
9
J.Frank,
Handwerks-
und
Maschinen-Erzeugnis.
Die
Abgrenzung beider Gebiete, in “Innendekoration”, XI.3, 1923,
pp.241-243/336-343 cit. in J.Spalt, Josef Frank, op. cit., pp.910 ripubblicato come Einzelmöbel und Kunsthandwerk in Iris
Meder (a cura di), Josef Frank. Eine Moderne der Unordnung,
Verlag Anton Pustet, Salzburg Wien München 2008, pp.128-129
15
A.Loos, capitolo Kulturentartung, in Parole nel vuoto, op. cit.,
p.212
16
J.Frank, Architettura come simbolo, a cura di Hermann Czech,
Zanichelli, Bologna 1986 (ed. orig. 1931), Siamo un paese
povero, p. 79
17
J.Frank, Architettura come simbolo, op. cit., L’uomo come
misura di tutte le cose, pp. 28-29
18
Vedi Eva Ottillinger, Variationen eines altägyptischen Hockers.
Eine Rezeptionsgeschichte, in “Kunst & Antiquitäten. Zeitschrift
für Kunstfreunde, Sammler, Museen”, Heft III/1989, pp.76-84
19
Gottfried Semper, Der Stil in den technischen und
tektonischen Künsten, oder Praktische Aesthetik. Ein Handbuch
für Techniker, Künstler und Kunstfreunde, Zweiter Band:
Keramik, Tektonik, Stereotomie, Metallotechnik, Friedrich
Bruckmann’s Verlag, München, 1863, p.209, traduzione italiana
(G. Hach e M. P. Arena) in G.Semper, Lo Stile nelle arti tecniche
e tettoniche, a cura di A.R. Burelli, C.Cresti, B. Gravagnuolo,
F.Tentori, Laterza, Roma Bari 1992, p. 199.
20
Camillo Sitte nel 1888, durante una conferenza sulle
“Forme base nella costruzione dei mobili e i loro sviluppi” (Die
Grundformen des Möbelbaus und deren Entwicklung), aveva
sostenuto che la “Urform” dei sedili egiziani era la sedia in canne
di bambù, in cui le varie parti erano collegate tra loro attraverso
un irrigidimento diagonale a formare dei triangoli che ne
impedissero la rotazione. E.Ottillinger, Variationen, op. cit.
21
Altre interpretazioni dello sgabello egizio furono quelle del
catalogo del 1881 della “Art Furniture Alliance”, la ditta londinese
di mobili e oggetti fondata l’anno prima da Christopher Dresser,
10
J.Frank, How to plan a House, op. cit.
11
Josef Frank, Zum Formproblem, 1931, in J.Spalt, H.Czech,
antico-egiziane, cioè dotato di un cuscino appoggiato sulla
Josef Frank, op. cit., pp.212-213, trad. it. Il problema della forma,
seduta; e quella proposta nel 1898-99 dalla ditta di mobili
in G.Fraziano, Percorsi accidentali, op. cit.
americana Heywood Brothers & Wakefield Company, lo sgabello
12
A.Loos, Wohnungswanderung, Privatdruck, Wien 1907, in
E.Ottillinger, Adolf Loos, op. cit., p.15
13
J.Frank, Zum Formproblem, 1931, in J.Spalt, H.Czech, Josef
in cui lo sgabello è presentato come nelle originarie immagini
“Ottoman nr.6535”, in cui le gambe in legno fingevano delle aste
in bambù avvolte da un nastro, la seduta era intrecciata e la
struttura verticale e diagonale trasformata in mera decorazione
Frank, op. cit., pp.212-213, trad. it. Il problema della forma, in
di elementi spiraliformi. E.Ottillinger, Variationen, op. cit.
G.Fraziano (a cura di), Percorsi accidentali. Scritti e progetti di
22
Josef Frank, Lint, Trieste 2009, pp.
Frank, op. cit., p.97, trad. it. Spazio e arredamento, in G.Fraziano,
14
Percorsi accidentali, op. cit.
Josef Frank, Raum und Einrichtung, 1934, in J.Spalt, H.Czech,
152
J.Frank, sgabelli, disegni da Spalt
1981, pp.54-56
J.Frank, Raum und Einrichtung, 1934, in J.Spalt, H.Czech, Josef
153
La seduzione dell’INvisibile
“A
BITARE UNA CAMERA, CHE COS’È?
La CASA
ABITARE UN LUOGO, VUOL DIRE IMPOSSESSARSENE?
CHE SIGNIFICA IMPOSSESSARSI DI UN LUOGO? A PARTIRE DA QUANDO UN LUOGO DIVENTA
VERAMENTE VOSTRO? [QUANDO SI SONO MESSE IN AMMOLLO TRE PAIA DI CALZINI IN UN
CATINO DI PLASTICA ROSA? QUANDO SI FANNO RISCALDARE DEGLI SPAGHETTI SU UN CAMPINGGAS? QUANDO SONO STATE UTILIZZATE TUTTE LE GRUCCE SPAIATE DEL GUARDAROBA? QUANDO
SI È FISSATA ALLA PARETE CON DELLE PUNTINE UNA VECCHIA CARTOLINA CHE RAFFIGURA IL SOGNO
DI SANT ’ORSOLA DEL CARPACCIO? QUANDO VI SI SONO PROVATI I TORMENTI DELL’ATTESA, O LE
ESALTAZIONI DELLA PASSIONE, O I SUPPLIZI DEL MAL DI DENTI? QUANDO SI SONO APPESE ALLE
FINESTRE LE TENDE DI PROPRIO GUSTO, E TAPPEZZATI I MURI, E LEVIGATI I PARQUET?]2.
“ERA SOLO UN BUGIGATTOLO,
MA LÀ DORMIVO IN SOLITUDINE.
[…] LAGGIÙ MI RANNICCHIAVO.
[…] PROVAVO QUASI UN BRIVIDO
SENTENDO IL MIO RESPIRO.
È LÀ CHE CONOBBI
IL MIO VERO SAPORE;
È LÀ CHE FU IL ME STESSO,
CHE NON HO MAI SVELATO”1.
dalla cantina alla soffitta
UNA LENTA UMILTÀ PENETRA NELLA CAMERA/CHE ABITA IN ME NEL PALMO DEL RIPOSO3.
“Ogni
immagine di riposo, di tranquillità, si associa
immediatamente all’immagine della casa semplice. […] Van Gogh,
“
Vincent Van Gogh, sua camera da letto ad
Arles, 1888-89, Rijksmuseum Vincent Van
Gogh Amsterdam
pittore di molti nidi e capanne, scrive a suo fratello: «La capanna dal letto di
canne mi ha fatto pensare al nido di uno scricciolo» […]. Le capanne di Van
Gogh sono sovraccariche di stoppia. Una paglia spessa, grossolanamente
intrecciata, sottolinea la volontà di riparare oltrepassando i muri. Il tetto
è qui il testimone dominante di tutte le virtù di riparo. Sotto la
copertura del tetto, i muri sono terra fabbricata, le aperture sono basse, la
capanna è posta sulla terra come un nido sui campi. Il nido dello scricciolo
è certo una capanna, perché è un nido coperto, un nido rotondo”4.
La capanna “è la pianta umana più semplice, quella che non ha bisogno
di ramificazioni per vivere. E’ tanto semplice da non appartenere più ai
ricordi, talvolta troppo immaginati. Appartiene alle leggende, è un centro
di leggende. […] La capanna dell’eremita è un tema che non ha bisogno
di variazioni [se intese come moda]. Fin dalla più semplice evocazione,
il retentissement fenomenologico cancella le mediocri risonanze [le
imitazioni]. La capanna dell’eremita è una incisione che soffrirebbe di un
eccesso di pittoresco, essa deve ricevere la sua verità dall’intensità della
sua essenza, l’essenza del verbo abitare. […] Intorno ad una simile
solitudine concentrata, si irradia un universo che medita e che prega,
[…] essa gode di una felice intensità di povertà”5.
“Il concetto di intimità domestica nasce e si sviluppa [proprio] in queste
capanne, in contrapposizione alla libera vita in mezzo alla natura, segnata
dalla fatica e dalla lotta. Le capanne divengono così piccoli mondi chiusi
in se stessi, di cui fanno parte la famiglia e gli animali domestici; un unico
tetto ripara tutti”6. L’interiorità infatti è un concetto che si sviluppa a partire
dalla presa di coscienza dell’uomo di non essere da solo, ma di far parte di
155
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
una comunità.
Nella capanna archetipa7 (Urhütte), esposta nel padiglione del Canada
alla Great Exhibition di Londra nel 18518, Semper ritrova perfettamente
sintetizzati i Quattro Elementi dell’Architettura: “in questi pochi, elementari
motivi presi in prestito dalla prima coppia umana è già contenuto tutto ciò
che l’architettura avrebbe poi inventato”9.
“Il focolare (das Herd), simbolo primordiale (der urältesten Sinnbildes) della
società e dell’umanità in genere”10, il centro sacro (heiligen Brennpunkt)
“attorno al quale si raccolsero i primi gruppi, si strinsero le prime alleanze,
si formularono le prime espressioni religiose e culturali, […] è il primo e il
principale, l’elemento morale dell’architettura11.
“Gli uomini si riunivano attorno al fuoco vivificatore, che li scaldava, li
asciugava e consentiva la preparazione del cibo. Il focolare è dunque il
nucleo, l’embrione di tutta la struttura sociale […]. Esso è il simbolo di
quell’elemento morale che induce fin dall’antichità gli uomini ad unirsi
in famiglie, tribù e popoli, favorendone la socializzazione con la stessa
efficacia della necessità e dei bisogni più elementari”12.
Attraverso il focolare dunque, la casa “è immaginata come un essere
concentrato, ci richiama ad una coscienza di centralità”13: è qui che si
concentra lo spazio ed è proprio da qui che contemporaneamente esso
prende avvio.
Attorno ad esso si concentrano [gli] altri tre elementi, in un certo qual modo
le negazioni difensive, i protettori dei tre elementi naturali ostili al fuoco
del focolare: il tetto (das Dach) che non solo protegge ma anche unifica
tutti sotto un’unica superficie orizzontale; il recinto (die Umfriedigung)
inteso come involucro permeabile e trasparente (nel senso fenomenico);
il basamento (der Erdaufwurf)”14 che radica la capanna alla terra
imprimendovi un segno.
“QUESTA MELA È UN PICCOLO UNIVERSO IN
SÉ, NEL QUALE IL SEME, PIÙ CALDO DELLE
ALTRE PARTI, SPANDE INTORNO A SÉ IL
Carl Larsson, La mamma e le sue
bambine, 1897
Attraverso gli elementi del tetto e del basamento, la casa presenta così al
tempo stesso un asse di collegamento verticale tra cantina e soffitta, tra
terra e cielo, dove cantina e soffitto sono spazi umanizzati, amati, in cui ci
viene voglia di rannicchiarci, luoghi speciali abitati dai ricordi della famiglia
e degli antenati, quindi spazi che hanno la dimensione del sacro. Rimbaud
scrive: “in una soffitta dove fui rinchiuso a dodici anni ho conosciuto il
mondo, ho illustrato la commedia umana. In una cantina ho imparato la
storia”15.
“Il tetto dichiara immediatamente la propria ragione d’essere: esso mette
al coperto l’uomo che teme la pioggia ed il sole. […] Nella soffitta è
piacevolmente messa a nudo la forte ossatura della carpenteria, si
partecipa alla solida geometria del carpentiere”. “In soffitta ci si traveste
con gli abiti dei nostri nonni, con scialli e nastri. Non esiste, per le réveries,
un museo migliore di una soffitta ingombra! Lassù le vecchie cose si
CALORE CONSERVATIVO DEL SUO GLOBO
legano per la vita all’anima del bambino”16.
… TALE CALORE CONDENSATO, TALE
“Nella soffitta, topi e ratti possono imperversare: se ritorna il padrone,
CALDO BENESSERE AMATO DAGLI UOMINI,
rientreranno nel silenzio del loro buco. Nella cantina [invece] si muovono
FA PASSARE L’IMMAGINE DALL’ORDINE DI
esseri più lenti, meno trotterellanti, più misteriosi. […] Nella soffitta,
l’esperienza del giorno può sempre cancellare le paure della notte, nella
cantina le tenebre dimorano giorno e notte. Anche col candeliere in mano,
IMMAGINE CHE SI VEDE ALL’ORDINE DI
IMMAGINE CHE SI VIVE. … IL SEME NON
NASCE SOLTANTO IN UNA TENERA CULLA,
SOTTO LA PROTEZIONE DELLA MASSA
l’uomo nella cantina vede danzare le ombre sul nero muro”17. La cantina
DEL FRUTTO, ESSO È IL PRODUTTORE DEL
“è innanzitutto l’essere oscuro della casa, l’essere che partecipa alle potenze
CALORE VITALE” COSÌ COME IL BRODO
sotterranee. Sognando, ci si accorda con l’irrazionalità del profondo”
NELLA CIOTOLA DI MINESTRA.
(ricordiamo che secondo Bachelard anche l’ombra è un’abitazione).
(Cyrano de Bergerac, Le theme de Gulliver et
le postulat de Laplace, in Bachelard p.175)
G.Asplund, Casa Asplund a Stennäs, 1937-40
156
“Talvolta [bastano] pochi gradini per approfondire oniricamente una
dimora, per dare a una stanza la sua profondità. […] Alexandre Dumas,
narrando i suoi ricordi riguardo alla topografia del castello di Fossés nel
quale trascorse l’infanzia, scrive in I miei ricordi: «non ho più rivisto questo
157
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
castello dal 1805 e tuttavia posso dire che si scendeva in cucina con un
gradino”, e poi aggiunge “al di là del camino, c’era la sala da pranzo, alla
quale si accedeva salendo tre gradini”18.
E riprendendo il racconto di Michel Leiris Aurora scrive: “«Passo dopo
passo, scendevo i gradini della scala. […] Ero molto vecchio e tutti gli
avvenimenti di cui mi ricordavo percorrevano dal basso in alto l’interno dei
miei muscoli, come un maschio che si fa strada nel legno di un mobile».
Tutto si anima quando la discesa si accentua: «i gradini gemevano
sotto i miei piedi e mi sembrava di calpestare degli animali feriti con
il sangue rosso intenso e gli intestini che formavano la trama del
soffice tappeto». Il sognatore stesso scende ora come un animale nei
condotti della casa, poi come un sangue vitale: «Se ora non sono in grado
di scendere in altro modo che a quattro zampe, è perché all’interno delle
mie vene circola il fiume rosso, ancestrale, che animava la massa di tutte
le bestie braccate». L’autore sogna di essere «un millepiedi, un verme, un
ragno». Ogni grande sognatore dell’inconscio animalista ritrova la vita
invertebrata [ricordiamo l’essere metà carne e metà pietra dell’essere
che abita nel guscio]. «Queste scale non sono [solo] il passaggio verticale
a gradini disposti a spirale, che permettono di accedere alle diverse parti
del locale che contiene la tua soffitta, ma sono le tue viscere stesse, il
tubo digerente che fa comunicare la bocca, del quale vai fiero, con
l’ano, del quale ti vergogni, scavando attraverso tutto il tuo corpo una
scanalatura sinuosa e viscosa»”19.
Scendere o salire le scale non è allora un movimento meccanico che serve
unicamente per superare un dislivello, ma un’esperienza aptica durante la
quale corpo dell’abitante e architettura si scoprono tutt’uno. Importante
specificare però che la scala, così come la cantina e la soffitta, non devono
essere necessariamente presenti fisicamente e formalmente: nella casa
tradizionale giapponese per esempio non esiste né la cantina né la soffitta,
eppure vi troviamo il genkan, l’atrio d’ingresso posto ad un livello qualche
gradino più in basso rispetto al resto della casa, uno spazio soglia dove
lasciare le scarpe ed entrare con rispetto nel privato lasciandosi alle spalle
il pubblico. Analogamente pur mancando effettivamente un corpo scale,
per accedervi occorre percorrere un sentiero irregolare fatto di tappe in
sequenza da percorrere con attenzione, quasi fosse un rito che prepara al
sacro, una salita simbolica.
Oggi “non si pensa abbastanza alle scale. Niente era più bello, nelle vecchie
case, delle scale. Niente è più brutto, più freddo, più ostile, più meschino,
nei palazzi d’oggi. Si dovrebbe imparare a vivere di più nelle scale”20.
“A Parigi non esistono case, gli abitanti della gran città vivono in scatole
sovrapposte”, scrive Paul Claudel21 “i grattacieli non hanno cantine. Dal
selciato fino al tetto, gli appartamenti si accumulano e la tenda di un cielo
senza orizzonti chiude l’intera città.
Gli edifici non hanno in città che una altezza esteriore: gli ascensori
distruggono gli eroismi della scala, non c’è più merito ad abitare vicino
al cielo. Lo stare in casa è soltanto una semplice orizzontalità.
158
G.Asplund, Casa a Stennäs, 1937-40
la prima versione mostra chiaramente il concept del progetto: la scala è l’edificio stesso e i suoi pianerottoli diventano veri e propri ambienti, spazi
amati. Si noti il sottile strato di intonaco bianco che lascia ancora leggere la tessitura delle travi di legno sottostante, i grandi camini in muratura
di cui uno esterno, i disallineamenti del percorso dal soggiorno alla cucina, la parete-Gewand che dà riparo alla zona lavabo, l’engawa di ingresso,
il considerare lo spazio esterno come parte integrante della casa, la misura d’uomo e gli oggetti del vissuto che la abitano, tutti elementi che si
ritrovano anche in Casa Bunzl di Josef Frank. Immagini da Blundell Jones pp.190-201
159
La seduzione dell’INvisibile
“UNA LINEA RETTA, IL CAMMINO CHE
I VERI CRISTIANI DEVONO SEGUIRE,
DICONO I PADRI DELLA CHIESA.
IL SIMBOLO DELLA RETTITUDINE
MORALE, DICEVA CICERONE. LA LINEA
MIGLIORE! DICONO I PIANTATORI DI
CAVOLI. LA LINEA PIÙ BREVE, COME
DICE ARCHIMEDE, CHE POSSA ESSERE
TRACCIATA DA UN DATO PUNTO A
UN ALTRO. MA UN AUTORE COME
ME, E COME MOLTI ALTRI, NON È UN
GEOMETRA; E HO ABBANDONATO LA
LINEA RETTA”.
(G.Perec, Specie di spazi, p.98)
160
La seduzione dell’INvisibile
Ai diversi appartamenti di un palazzo dislocati al piano manca uno dei
principi fondamentali per distinguere e classificare i valori di intimità. Alla
mancanza dei valori intimi di verticalità, occorre aggiungere la mancanza
di cosmicità della casa delle grandi città. Le case non vi si trovano più nella
natura, i rapporti della dimora e dello spazio vi diventano fittizi, tutto
è meccanico e la vita vi sfugge da ogni parte. […] La casa non conosce
inoltre più i drammi cosmici. Talvolta il vento spezza una tegola del tetto
per uccidere un passante nella via: tale delitto riguarda, però, soltanto il
passante attardato. Il lampo, per un istante, fa balenare il fuoco nei vetri
della finestra, ma la casa non trema sotto i colpi del tuono. Essa non
trema con noi e attraverso noi”22. “Una casa senza soffitta è una casa in
cui ci si sublima con difficoltà; una casa senza cantina è una dimora senza
archetipi”.
Per questo, secondo Frank, l’architettura deve trovare un modello non
dall’appartamento borghese del XIX° secolo, non dal palazzo aristocratico,
non dal grattacielo, “bensì dall’atelier dell’artista che si trova nella
soffitta, l’appartamento bohemien. Qual è la differenza? L’abitazione
normalmente era un allineamento di stanze. L’atelier però era uno spazio
irregolare più alto nel sottotetto, con finestre collocate in modo
casuale, che in genere erano state tagliate così non tanto per ragioni di
illuminazione quanto per via di una complicata architettura della soffitta.
E in questo spazio, che non venne mai pianificato, ma sorto casualmente
come spazio di risulta, economico e primitivo, dato che non è
considerato abitabile dalle autorità, venne inventata l’abitazione moderna.
In questo spazio senza forma l’abitante creava le pareti spesso per mezzo
di armadi e tende, lo suddivise attraverso soppalchi in due livelli e formò
alla fine un complesso abitativo irregolare e tutto questo casualmente”23.
“Questo luogo tabù pieno di accidentalità, possiede tutto ciò che noi
inutilmente cerchiamo negli appartamenti arredati con sistema e metodo
che vi stanno sotto: la vita. Ambienti ampi, finestre grandi, molti angoli,
pareti curve, gradini e differenze di quota, colonne e travi, in breve, c’è tutta
la varietà che cerchiamo nella casa nuova, per sfuggire alla sconsolante
monotonia della stanza rettangolare. […] Il compito dell’architetto consiste
ora nell’ordinare tutti questi elementi della soffitta per farne una casa”24.
In un articolo del 1958 specifica che cosa intende con il termine
“Accidentismo”: la graduale erosione della tradizione aveva costretto i
modernisti ad inventare le proprie regole artistiche in cui “molto era vietato
e poco permesso”, un’arte lontana dalla vita. Questo però portò all’effetto
opposto e “la gente iniziò a richiedere di nuovo spazi che lasciassero spazio
alla fantasia” e strade “che fossero qualcosa di più che mere soluzioni a
problemi di traffico”. “Quello di cui abbiamo bisogno è una maggiore
elasticità, non regole rigide e formali. […] Quello che ci serve è varietà e
non una monumentalità stereotipata. […] Liberiamoci dagli stili universali,
dalla equazione arte uguale industria, da tutto quel sistema che divenne
famoso con il nome di funzionalismo. […] Dovremmo progettare il nostro
contesto come se fosse nato per caso”25.
Il termine gli era stato proposto dalla sua amica Trude Waehner alla
quale in una lettera del 1946 precisa: “Accetto la tua proposta del
termine “Accidentismo”, anche se non è proprio del tutto corretto poiché
anche quando ci si inventa una pittura in modo naturale, in ogni caso
alla fine sembra come se fin dall’inizio la si fosse voluta così, anche se
involontariamente, appunto una involontaria volontà, involontaria ma
reale. Questo è ciò che io vorrei avvenisse in architettura, l’accidentismo
nell’architettura”26.
Riprendendo quanto aveva scritto Dr.Wolfgang Born nel 1926 riguardo
agli arredi Haus & Garten, nell’atelier che si trova in soffitta regna “una
piacevole ovvietà”27.
Anche Semper aveva sostenuto che l’architettura non è riassumibile in “una
dozzina di regolette” come volevano i puristi e che “le infinite variazioni
formali dell’architettura si concretizzano proprio nell’eccezione alla regola
o meglio ancora allo schema dato, acquistando così dei tratti particolari ed
una bellezza tutta speciale”28.
La casa dunque deve venir composta non secondo una rigida griglia,
quanto piuttosto come se fosse sorta naturalmente, come nelle città
antiche. Questo è un insegnamento che gli viene dalle tesi avanzate
da Camillo Sitte (1843-1903) – di cui Bruno Möhring era un grande
sostenitore29 - riguardo alla poetica della costruzione delle città
medioevali, sorte quasi per caso, formate da strade e percorsi irregolari
che si aprivano a sorpresa in piazze pensate come punti di socializzazione
e vita all’aria aperta, in contrapposizione invece all’uniformità delle
scacchiere delle metropoli industrializzate: “strade irregolari e piazze che
non venivano programmate sul tavolo da disegno, ma sbocciavano ‘in
natura’. […] un’organizzazione spaziale pittoresca e appagante”. La piazza
era intesa come “uno spazio delimitato da pareti, una specie di stanza
all’aperto che fungesse da palcoscenico dell’esistenza quotidiana”. Ai
suoi occhi le strade troppo larghe come la Ringstrasse per esempio e
le piazze immense “condannavano all’isolamento sia gli uomini che gli
stessi edifici”, determinando una nuova forma di nevrosi, l’agorafobia
(Platzscheu)30: “l’agorafobia è una nuova patologia moderna. Ci si sente
naturalmente a proprio agio nelle piazze piccole e antiche, che solo nella
memoria si profilano gigantesche, perché nella nostra immaginazione
la grandezza dell’effetto artistico prende il posto delle dimensioni reali.
Nelle piazze moderne e gigantesche, con la loro stanca desolazione e la
loro noia opprimente, anche gli abitanti delle vecchi centri storici soffrono
di attacchi di questa malattia moderna qual è l’agorafobia. Viceversa
nella memoria si riducono sempre più finché non ci resta che solo una
piccolissima immagine di esse, ma comunque troppo grande in confronto
con la nullità del loro effetto artistico”31.
Riprendendo queste considerazioni, Frank concepisce la casa come una
specie di città in miniatura, “come strada e come piazza” (Das Haus als
Weg und Platz32): “Vorrei spiegare l’organizzazione della casa moderna
come una strada (Weg), intendo cioè dire che l’essenza di una buona
161
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
abitazione consiste nel modo in cui si entra e ci si muove nella
casa. La pianta è analoga ad una città cresciuta in modo organico: è
“LO PSICOLOGO FRANCOISE MINKOWSKA
HA STUDIATO I DISEGNI DI CASE FATTI
DAI BAMBINI: SE È FELICE “C’È CALDO
ALL’INTERNO, C’È IL FUOCO, UN FUOCO
TANTO VIVO CHE LO SI VEDE SFUGGIRE
DAL CAMINO. ... SE IL BAMBINO È
INFELICE, DISEGNA CASE STRETTE, FREDDE,
CHIUSE, CASE IMMOBILI: LA RIGIDEZZA
E LA IMMOBILITÀ SI RITROVANO TANTO
NEL FUMO CHE NELLE TENDE DELLE
FINESTRE....
UNA CASA VIVENTE NON È DAVVERO
‘IMMOBILE’, IN QUANTO ESSA INTEGRA IN
PARTICOLARE I MOVIMENTI ATTRAVERSO I
costituita da strade principali, secondarie e piazze, che dovrebbero tutti
essere caratterizzati in modo che non si abbia mai la sensazione di potersi
perdere”33.
In particolare le piazze all’interno della casa dovrebbero sembrare come
sorte naturalmente, come in una città “quelle che sono cresciute assieme
alle costruzioni che la circondano senza che la loro forma fosse stabilita
a priori. Esse si sono sviluppate nel corso del tempo secondo esigenze
pratiche ed estetiche e perciò poterono trasformarsi continuamente
senza che venisse distrutta la loro impressione d’insieme. […] Qui, edifici
appartenenti ad epoche e stili diversi (come in piazza S.Marco a Venezia per
esempio) stanno in rapporto armonico e unitario con il tutto”.
Non dovrebbero invece appartenere al secondo tipo di piazza, quella cioè
“progettata da un unico architetto e in modo uniforme. L’unitarietà di
simili piazze è tale che non vi si può modificare nulla senza in questo modo
distruggere l’immagine d’insieme. Esse vennero pensate fin dall’inizio
come ‘opere d’arte’”34 e porterebbero ad una casa come quella del “povero
ricco” descritta da Loos.
Nella lezione How to plan a House che aveva tenuto alla New School of
Social Research negli anni Quaranta come rivisitazione di Das Haus als Weg
und Platz, Frank intraprende un ipotetico percorso verso e dentro la casa
spiegandone in questo modo la composizione spaziale. Paradossalmente
è attraverso un attento controllo di questi percorsi e di queste piazze che
Frank riesce ad ottenere un effetto di massima libertà di movimento e di
scelta per l’abitante.
QUALI SI ACCEDE ALLA PORTA. IL SENTIERO
CHE CONDUCE ALLA CASA È SPESSO UNA
SALITA, TALVOLTA INVITA; VI SONO SEMPRE
ELEMENTI CINESTETICI”.
(F.Minkowska, cit. in G.Bachelard, Poetica
dello spazio, ed. 1999, pp. 95-97)
Qui di seguito, dove non espressamente indicato, le citazioni si riferiscono a
How to plan a house. In verde vengono messe a confronto alcune citazioni
da Häuser und Gärten di M.H. Baillie Scott35. Anche quest’ultimo infatti,
negli articoli pubblicati nella rivista “The Studio” durante gli anni novanta
dell’Ottocento, aveva guidato il lettore nel percorso attraverso ipotetiche
case ideali facendogli percepire l’esperienza dei diversi punti di vista e del
movimento del corpo nello spazio36.
“Il successo di un costruttore dipenderà certamente anche dal fatto se terrà conto del genius loci. Nella costruzione
deve portare ad espressione lo spirito dell’intorno. Non deve essere un pugno nell’occhio, come spesso oggi le case di
campagna, bensì innalzare la bellezza di se stessa e ancora di più del luogo in cui si inserisce. La costruzione dovrebbe
aggiungere un tocco di umanità, senza il quale l’immagine risulterebbe meno intima”. Invece oggi “vediamo sulle colline
desolate la ‘villa’ moderna, ‘pittoresca’, decorata a reticolo e realizzata con precisione meccanica, che rimane lì fuori sotto
la pioggia come un enorme giocattolo abbandonato! La città divora la campagna come una malattia devastante”.
In città, dove ”tutto sta diventando nero e fuligginoso”, l’intimità e il calore va concentrato soprattutto all’interno della
casa.
Riguardo alla collocazione dell’edificio rispetto al lotto, sostiene che mentre un tempo si dava più importanza alla
protezione della casa, ora si punta più sulla vista e quindi si tende a collocare l’edificio sulla cima di una collina. Tuttavia
secondo lui sarebbe preferibile posizionarla al centro in modo da proteggerla da un lato e creare dei terrazzamenti
162
sull’altro. In questo modo inoltre, arrivando al lotto da sopra, si creerebbe un effetto come se la casa fosse incastrata nella
collina e quindi più intimo ed accogliente, mentre all’opposto un edificio posto in cima ad una collina ha un effetto più
monumentale e imponente.
Riguardo al giardino Baillie Scott critica la tendenza a separare l’orto dal “giardino del piacere”, convinti che “ciò che è utile
non possa essere anche bello!”. Consiglia quindi di mescolare i due, in modo che ogni stagione vi sia qualcosa che fiorisca,
ma facendo attenzione a mantenere un equilibrio tra bellezza e praticità che permetta anche di economizzare l’impegno
di manutenzione e di adattarsi alle specie dell’intorno. Per questo anche le aree a prato sono da limitare se non si ha il
tempo per tagliare l’erba, così come sono da preferire piante perenni piuttosto che quelle che devono essere ripiantate
ogni anno. Una fontana può fungere al tempo stesso da irrigazione per il giardino e decorazione. In punti panoramici è
bene collocare delle sedute ombreggiati da padiglioni e pergolati.
Per quanto riguarda i percorsi, come Camillo Sitte che osservava le impronte lasciate sulla neve dai passanti nelle piazze,
così Baillie Scott sostiene che “se si pensasse ad un giardino senza alcun sentiero, in breve tempo essi sorgerebbero
spontaneamente attraverso l’usura del passaggio delle persone. Questi costituirebbero le linee giuda per come sistemare
i percorsi del giardino”.
Innanzitutto il percorso inizia già dal giardino, che va inteso come parte
integrante dell’abitazione.
“Se [tuttavia] a questo aggiungo che la casa debba costituire un’armonia
con la natura, non intendo dire che essa vi si debba adattare; non esiste
nessuna natura che pretende una determinata forma della casa in modo
da combaciare con essa. L’architetto crea forme diverse dalla natura
[questo distingue Frank da Hugo Häring37]; possiamo addirittura definire
l’Architettura come un ordine della natura e questo attraverso forme sue
proprie; più differenti sono le forme architettoniche da quelle della natura,
migliori esse saranno, questa è il grande insegnamento dell’arte classica”.
Man mano che ci si avvicina alla casa la natura va perciò “trasferita
all’interno gradualmente e in modo discreto. A tal fine servono spesso
poche trasformazioni: il pavimento e la piantumazione diventano sempre
più regolari, e la porta è collocata in una nicchia che prepara all’ingresso
mentre ci si trova ancora all’esterno”.
Riguardo alla veranda scrive che “il giardino è il prolungamento della casa all’esterno, all’aria e al sole. Tuttavia nel nostro
clima volubile il giardino non è sempre utilizzabile. Durante una pioggia o a protezione dei mobili da giardino ci viene in
aiuto la ‘serra’, la veranda di vetro chiusa”, in cui si può bere il caffè nelle mattine di primavera oppure la sera godere del
tramonto. Essa dovrebbe perciò essere una vera e propria stanza, preferibilmente collocata a sud, che se riscaldata può
trasformarsi anche in una piccola serra.
“La casa dovrebbe essere [inoltre] collocata a terra e non vi dovrebbero
essere dei gradini che portino alla porta di ingresso; questa è una regola
fondamentale per ogni abitazione in cui hanno da entrare gli uomini;
l’unico edificio in cui erano da sempre consentiti i gradini [all’ingresso]
era il tempio greco, la casa della divinità, in cui gli uomini non potevano
entrare e per questo venne separato dal suolo per mezzo di scale. Questo
tempio, che per la sua perfezione divenne modello di riferimento per tutta
l’Architettura, ha perciò causato grandi guai perché il significato di questi
gradini non venne capito”.
163
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
Mentre all’interno della casa le scale sono fondamentali come
collegamento verticale tra terra e cielo, l’ingresso va collocato allo stesso
livello del percorso esterno in modo da creare da una parte uno spazio
soglia di interpolazione tra esterno ed interno (una specie di genkan dove
poter lasciare le scarpe ed entrare così con rispetto nello spazio privato
dell’abitazione), e dall’altra dimostrare un atteggiamento democratico
dell’abitare in cui tutti gli uomini hanno lo stesso valore senza pretendere
ostentazioni monumentali di ricchezza e potere. La casa in questo modo è
simbolicamente un’umile capanna.
Analogamente la porta di ingresso non dovrebbe trovarsi in una posizione
simmetrica rispetto alla facciata perché questo creerebbe confusione,
“colui che vi entra non sa[prebbe] dove deve andare, quello che la facciata
dovrebbe rendere chiaro rende invece la pianta poco chiara”. Inoltre
abbiamo visto come l’asimmetria crei profondità spaziale e trasparenza
fenomenica, è quindi essa stessa uno spazio soglia.
Nel 1909 Baillie Scott tiene una conferenza intitolata “Ideal in Building. False and True (L’ideale in una costruzione.
Falsità e verità)” in cui dichiara “dovunque troviamo una leggera deviazione dalla regolarità; sia nei contorni che nelle
superfici, ciascuna è caratterizzata da una propria tessitura. Una tale leggera modificazione, singolarmente difficilmente
percepibile, ha un grande effetto nell’insieme e crea quella piccola differenza che alla fine fa la grande differenza”.
Per questo anche la progettazione delle aperture di una facciata
dovrebbe essere preferibilmente asimmetrica: esse devono venir collocate
lì dove servono, anche fuori asse. La ripetizione di finestre tutte uguali
produce staticità, non stimola il movimento, al contrario della varietà che è
dinamica. In questo modo ogni finestra diversificata in forma e dimensione
“danza liberamente sulla parete raccontando cosa accade al di là di essa”38
e seduce.
La finestra non è infatti semplicemente un dettaglio tecnico che mi
permette di far entrare luce ed aria all’interno dell’abitazione o viceversa
di isolarla acusticamente e termicamente. È un oggetto complesso con
una specificità in più rispetto alla porta: aprire una finestra significa voler
creare un rapporto tra interno ed esterno, significa voler guardare verso un
determinato punto di vista o voler far vedere all’esterno un determinato
punto dell’interno, vuol dire instaurare un rapporto tra attore abitante e
spettatore esterno, creare un momento di affaccio da cui poter osservare il
teatro del mondo o viceversa essere osservati.
Non per niente la finestra è stata da sempre usata come simbolo del
passaggio nell’aldilà, in un’altra dimensione, misteriosa e affascinante,
spesso chiusa da una tenda che nasconde, ma che al tempo stesso,
muovendosi al vento, lascia intravedere. Per Leopardi la finestra era il
mezzo attraverso il quale poter liberare l’immaginazione, il luogo della
poesia, incontrare l’Infinito39.
“Siamo a casa nostra, nascosti, guardiamo fuori. La finestra nella casa di
campagna è un occhio aperto, uno sguardo rivolto alla pianura, al cielo
lontano, al mondo esterno in senso profondamente filosofico. La casa dà
all’uomo che sogna dietro la finestra (e non alla finestra), dietro la piccola
164
finestra, dietro l’abbaino della soffitta, la sensazione di un esterno, tanto
più diverso dall’interno quanto maggiore è l’intimità della sua stanza. La
dialettica dell’intimità e dell’Universo sembra farsi più precisa grazie alle
impressioni dell’essere nascosto che vede un mondo nella cornice della
finestra”40.
“Attraverso la finestra del poeta, la casa intreccia col mondo un rapporto di
immensità: anche essa, come piace dire al metafisico, la casa degli uomini,
si apre al mondo”41.
“La finestra estende otticamente lo spazio aprendolo verso esterno e
modificandone la sua forma. Bisogna perciò porre attenzione su quale
parete è collocata e in quale direzione debba essere aperta, se lungo la
sua lunghezza o l’ampiezza. La finestra non serve a dare la maggior luce
possibile, e nemmeno la luce più uniforme, bensì quella illuminazione che
noi vogliamo. Se si tratta di un foro (Loch) con una cornice in muratura,
allora la forma della stanza verrà conservata”, ma il paesaggio incorniciato
viene otticamente allontanato e diventa quasi un quadro, una miniatura
il cui dettaglio si ingrandisce o rimpicciolisce a seconda di quanto
l’osservatore si avvicina ad esso. Questo tipo di finestra dunque è selettiva,
e seducente, perché mantiene una certa dose di invisibile. Essa disegna
“COLUI CHE GUARDA DAL DI FUORI
ATTRAVERSO UNA FINESTRA
APERTA NON VEDE MAI TANTE
COSE COME CHI GUARDA UNA
FINESTRA CHIUSA. NON C’È
OGGETTO PIÙ PROFONDO, PIÙ
MISTERIOSO, PIÙ FECONDO, PIÙ
TENEBROSO E PIÙ ABBAGLIANTE DI
UNA FINESTRA ILLUMINATA.”
(Charles Baudelaire)
A fianco Alberto Campo Baeza,
schizzo di studio per la Casa de
Blas a Sevilla la Nueva, Madrid,
2000
165
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
per terra una luce puntiforme incorniciata che evidenzia la separazione tra
interno ed esterno e la perforazione violenta della parete.
“Se invece l’apertura si protende fino alle pareti laterali [finestra a nastro]
oppure va dal pavimento al soffitto [finestra francese], allora sfonda lo
spazio e lo collega con il mondo esterno”: la vetrata permette un’infinità
di direzioni e avvicina l’osservatore al paesaggio a tal punto da immergerlo
in esso, con il rischio tuttavia che venga addirittura catapultato all’esterno
dimenticandosi dell’interno. Per questo Frank si dimostra scettico di fronte
alla finestra verticale, che secondo lui non ha “nessun rapporto con l’uomo”,
preferendo invece una via di mezzo rappresentata dalla porta-finestra
scorrevole giapponese, uno spazio filtrante, dotata di cornice, che al tempo
stesso mostra e nasconde a seconda di come la muovo permettendomi
così numerose direzioni e variazioni, di immergermi nel paesaggio senza
catapultarmi totalmente all’esterno grazie anche alla presenza dell’engawa,
il portico di mediazione tra interno e intorno.
Una finestra serve a lasciare luce ed aria all’interno dell’abitazione, ma ancora più rappresenta ‘l’occhio’ della casa
attraverso cui essa guarda all’esterno, ma al tempo stesso si può guardare all’interno. Nella casa di oggi generalmente
le finestre sono troppo grandi, “come vetrine di un negozio”. Questo rovina “la sua accogliente intimità e la sua bellezza
silenziosa. […] La pioggia batte contro le grandi vetrate e il sole brucia senza ostacoli nella camera, anche se è velata
da una tenda preziosa raccogli-polvere. […] La bellezza del vetro si apprezza nel suo utilizzo in dimensioni piccole,
impiegandole in modo che brillino e riflettano al più piccolo spostamento della lastra. La grande vetrata invece, che in
realtà dovrebbe ‘rispecchiare’, è quella che riflette di meno; la sua trasparenza vuota e rigida andrebbe evitata”. In questo
modo si semplificano di molto anche i tendaggi, eliminando drappeggi, mantovane e tutto ciò che è superfluo. “Il tipo di
finestra più adatto, soprattutto per case di campagna o di periferia, è quella piccola a battente che si apre verso l’esterno
come una porta”. E’ costruita in modo semplice e ha la capacità di espandersi in altezza o in larghezza a seconda delle
necessità. Ha inoltre il vantaggio di poter rimanere priva di tendaggi anche a sud senza far entrare troppa luce all’interno
della stanza.
La bay-window rende possibile un’espansione della stanza e allo stesso tempo un incremento della luce che può
provenire in questo modo da più direzioni, oltre che fungere da luogo di seduta e belvedere.
Un muro di un certo spessore “offre spessore per finestre, sporgenze e nicchie, permette davanzali e soglie larghe che non
sporgono nella stanza ed infonde a tutto lo spazio interno qualcosa di accogliente e resistente. Entrare in una casa del
genere, significa davvero essere protetti all’interno contro le ingiustizie e gli accadimenti esterni”. Inoltre permette una
temperatura equilibrata sia in estate che in inverno.
Una volta arrivati di fronte alla porta di ingresso troviamo una maniglia:
“non si tratta semplicemente di una casa-costruzione, è una casaabitazione. A chi potrebbe obiettare che la maniglia serve tanto a chiudere
come ad aprire, Bachelard risponderebbe che «nel regno dei valori, la
chiave, più che aprire, chiude. La maniglia, più che chiudere, apre»”42.
La porta dotata di maniglia e serratura è una cucitura, una giunzione
che al tempo stesso separa e unisce due opposti, pubblico e privato,
attore e spettatore. “Non si può andare dall’uno all’altro lasciandosi
[semplicemente] scivolare, non si passa dall’uno all’altro, né in un senso,
né nell’altro: ci vuole una parola d’ordine, bisogna oltrepassare la soglia,
bisogna farsi riconoscere, bisogna comunicare […] Se non ci fossero
166
porte, non ci sarebbero chiavi”43. E dove la serratura e la maniglia vengono
a mancare, come nella casa del tè giapponese, sono simboleggiate
dall’inchino necessario per sorpassare una porta altrimenti troppo bassa.
“Una volta che siamo entrati nella casa e che ci siamo [momentaneamente]
separati dalla natura, inizia il percorso progettato attraverso lo spazio
abitativo (Wohnraum). […] Se la casa è disposta correttamente, il visitatore
che vi entra per la prima volta riuscirà a trovare subito il percorso per
raggiungere ogni stanza. A tal fine è necessario che ciascuna di queste
venga caratterizzata in modo che attraverso la sua forma e la sua
illuminazione si possa comprendere in quale direzione debba essere
percorsa oppure se è destinata alla permanenza”. Per esempio “se esistono
dei corridoi in cui non ci si dovrebbe soffermare, allora essi dovrebbero
essere percorribili nel senso della loro lunghezza e dovrebbero essere
illuminati in modo uniforme sui lati lunghi in modo che non vi si crei un
centro”.
Queste stanze possono anche venir “collocate su differenti livelli ed avere
altezze diverse, cosa che può conferire loro una migliore caratteristica e
fornirci una sensazione di vivere in uno spazio tridimensionale”.
“La via, che congiunge le singole piazze dell’abitazione, deve essere così
ricca di variazioni da non consentire mai di percepirne la lunghezza”44.
“Una delle regole più importanti perciò vuole che il percorso sia continuo,
che la linea retta venga interrotta in punti precisi e che ogni cambiamento
di direzione sia motivato. Soprattutto è necessario che non si proceda mai
a ritroso e che non si debba fare lo stesso percorso due volte o ancora che
si debba salire delle scale e poi di nuovo scendere, cosa che creerebbe
confusione”. Anche quando si scende una scala si deve avere la sensazione
di percorrerla per la prima volta.
Nei progetti di Frank le scale fungono da perno verticale attorno al quale
si forma la composizione dello spazio e spesso costituiscono perciò un
elemento scultoreo a spirale, dove “il cerchio e la spirale sono due forme
geometriche che esprimono in modo diverso il concetto di infinito: il
cerchio nell’eterno e ciclico ritorno su se stesso, la spirale nella dinamica e
ciclica e infinita intorno all’asse verticale”45.
“Ogni giro della scala serve alla continuità del suo svolgersi, e non
all’economia di spazio. Non sempre il vano più grande in metri quadrati
è il più abitabile, così come non sempre la via più breve è la più gradevole
e la scala più diretta è la migliore, anzi direi quasi mai. La statistica delle
superfici abitabili di una casa uccide l’architettura”46.
“Attraverso l’interruzione delle rampe in più di un pianerottolo possiamo
cancellare un effettivo tornare indietro nel percorso, e distruggere ogni
orientamento per mezzo di una scala a chiocciola. Tutti questi elementi
costruttivi, che alludono simbolicamente ai passi (Durchschreiten) della
casa, [al sentiero propiziatorio verso un luogo sacro], debbono essere
pensati bene, poiché costituiscono la vera architettura della casa, se questa
ha da essere qualcosa di più di un semplice accostamento di stanze”.
Le scale progettate da Frank non sono fatte per essere percorse con
167
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
velocità e distrazione, quasi meccanicamente (come invece per esempio le
scale di servizio), ma vanno affrontate con cura e attenzione, percependo
durante la percorrenza lo spazio attorno attraverso tutto il corpo. “L’occhio
ci mostra unicamente il piano: noi possiamo dedurre, infatti, da scorci di
contorni e da ombre, le variazioni in profondità soltanto di oggetti a noi
noti, per percepire i quali ci sorregge l’esperienza”47. E’ solo attraverso la
sinergia fra tutti i sensi che otteniamo la certezza dello spazio: il piede
che cammina, la mano che accarezza il passamano, l’occhio che cambia
continuamente punto di vista, il naso che fiuta i diversi materiali, l’orecchio
che ascolta i passi e le risonanze. E questo “senza mezzi clamorosi o avvisi
decorativi; al visitatore, all’abitante, non deve mai sembrare di essere
guidato” (a differenza della promenade architectural di Le Corbusier in cui il
percorso è obbligato)48.
“Al posto di una abitazione che si sviluppa secondo un allineamento di stanze una in fila all’altra, che in case di piccole
dimensioni diventerebbero troppo poche per essere comode, la casa progettata razionalmente dovrebbe contenere un
grande e spazioso soggiorno come spazio principale; esso dovrebbe essere il più possibile ridotto all’essenziale, dotato
solo dei mobili davvero necessari e lasciare ampio spazio al movimento.
Le stanze private dei membri della famiglia dovrebbero quindi risultare allegati e organizzati attorno a questo spazio
principale, in alcuni casi possono essere visti anche solo come suddivisione o nicchie e alcove di questo grande spazio.
Persino lo studio può essere annesso in questo modo, così che la cucina diventi allo stesso tempo soggiorno e sala da
pranzo, come un tempo accadeva nella casa del contadino ed ora torna di nuovo ad essere ripreso”.
“Riguardo al significato dei gradini e alle differenze di quota in una casa vorrei dire che i gradini conferiscono l’impressione
di decoro e importanza. In una chiesa questo effetto viene ottenuto attraverso i gradini verso l’altare, e la facciata di una
casa guadagna sempre lo stesso effetto mediante le scale che conducono all’ingresso. Tuttavia in questo modo viene
meno una certa quantità di intimità che viene resa piuttosto da gradini che scendono verso la porta d’ingresso” invece
che salire, dato che “il guardare all’ingiù verso uno spazio domestico interno incrementa di moltissimo la sensazione di
intimità”.
In relazione al camino dichiara che è “una caratteristica specifica della tradizione inglese, una trasmissione della vecchia
casa del contadino sassone”. La casa migliore sarebbe collocarlo al centro della parete oppure inserirlo in una nicchia
dotandolo di un angolo per la seduta ed evitare giri d’aria tra porta d’ingresso alla stanza e il camino stesso.
Per quanto riguarda gli animali domestici, consiglia di dedicare loro una piccola cuccia con sportellino attraverso il muro
collocata vicino al camino in modo che sia all’esterno ma contemporaneamente calda per la vicinanza col focolare.
“Uno dei vantaggi delle stanze basse (che viene riconosciuto così raramente) è che in questo modo l’impianto del corpo
scala viene significativamente semplificato”. Per renderlo più comodo e meno pericoloso in caso di caduta, sarebbe bene
interrompere il corpo scala mediante uno o più pianerottoli. A differenza di Frank, Baillie Scott tuttavia non consiglia di
porre il corpo scala all’interno dello spazio del soggiorno dove occuperebbe solo che spazio.
Frank infatti si dimostra apertamente contrario all’accostamento in fila
“L’ingresso al soggiorno dovrebbe essere chiaramente visibile”,
preferibilmente di fronte all’atrio. “Se questo ingresso è una porta, allora
essa è da caratterizzare come la porta di ingresso, va collocata cioè in una
nicchia, per la quale spesso basta anche solo lo spessore del muro”. “Spesso
[infatti] si sottovaluta l’importanza che ha l’apertura di una porta; vorrei far
notare in questa sede che, per esempio, quasi tutte le porte sono fissate in
modo sbagliato: avendo il battente verso la parete, colui che entra si trova
improvvisamente lì, creando disagio. Se invece la porta si apre verso la
stanza, allora quando si entra si forma un anticamera tra porta e parete e lo
spazio della stanza non viene disturbato”49. L’ingresso alla camera avviene
così in modo graduato.
“Il soggiorno è il centro della casa, analogamente come in una città la
piazza principale, ma con la differenza che esso non è necessario sia
collocato [fisicamente] al centro”.
Esso “possiede al suo interno un altro centro che conferisce al salotto il
proprio carattere. Solo così tutte le decorazioni, che in fondo non erano
nient’altro che tentativi di conferire allo spazio un carattere, divengono
inutili. Un tempo il centro era costituito dal camino, che rappresentava nel
soggiorno il luogo naturale del riunirsi; oggi non è più necessario e perciò
lo spazio deve essere dotato di una forma in cui è subito individuabile in
esso un luogo per il riposo (Ruheplatz); esso può essere più illuminato
168
rispetto al resto della stanza, ma anche più scuro, basta che sia diverso e
non vi devono essere dubbi quale esso sia: deve essere percepibile”.
Questo punto centrale “è il luogo dove ci si siede. […] È anche la
mancanza di questo centro formale che rende così invivibile uno spazio
rettangolare”50.
di stanze rettangolari tutte uguali, impersonali, simili ad “una cella
nella prigione”: “gli angoli retti producono una costrizione; le forme
rettangolari sono stati imposte per necessità in modo da poter allineare
una accanto all’altra le case in città a formare una strada; tuttavia sappiamo
anche che il volere le strade diritte divenne esagerato al fine anche qui di
rappresentanza. Più le strade sono irregolari, più la città è vivibile”.
“Lo spazio rettangolare [quindi] è il più inadatto all’abitare […]. La
camera rettangolare induce sempre l’architettura ad aver a che fare con
i mobili. A mezzo di costruzioni, colori vistosi o creando forme cubiche,
si vorrebbe dividere e ripartire l’ambiente rettangolare assolutamente
privo di carattere per dargli un che di caratteristico. Tuttavia, il compito
dell’architetto consiste nel costruire ambienti, non nel disegnare mobili
o nel dipingere pareti; ciò fa parte del buon gusto, che ognuno dovrebbe
possedere. È risaputo che in uno spazio ben concepito, non è importante
che tipo di mobili vi siano collocati, a meno che essi non siano talmente
grandi da diventare elementi architettonici. […] La camera rettangolare è
assai responsabile delle mostruosità della nostra moderna arte decorativa,
che spesso deve essere chiamata in aiuto per correggere, in modo
relativamente poco costoso, la vuotezza di quei vani parallelepipedi”51.
“All’architettura appartiene lo spazio, ma solo questo, i mobili no […]. Si
deve fare attenzione a non fare architettura con i mobili, e a non distruggere
con questi la forma intelligibile di uno spazio”.
Era quello che aveva già sostenuto Loos quando scriveva: “Non esistono
mobili moderni! O per essere più precisi: solo i mobili che sono movibili
possono essere moderni […] la realizzazione dei mobili movibili la si lasci al
169
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
falegname o al tappezziere. Loro ne fanno di meravigliosi. Mobili che sono
moderni come le nostre scarpe, i nostri vestiti, le nostre valigie e le nostre
automobili. […Invece] le pareti di una casa appartengono all’architetto.
Qui egli è libero di esprimersi. E così come le pareti, anche i mobili che
non sono mobili. Essi non devono sembrare dei mobili”52 perché sono
parte integrante della parete, mentre per quanto riguarda gli oggetti
mobili, quelli che sono prodotti dagli artigiani e non dagli architetti, “a
ciascun abitante deve essere lasciata libertà di scelta secondo il suo gusto
e bisogno”53.
Tuttavia, mentre Loos tendeva a collocare i mobili addossati alle pareti
concependo l’armadio a muro come contemporaneamente “l’involucro
(Raumhülle) e un contenitore (Behältnismöbel)”54 della stanza in modo
che “il centro della camera rimane[sse] libero (Bewegungsraum, spazio
del movimento)”55 -“il baricentro [di una stanza] risiede naturalmente
nel rivestimento della parete, nel camino e negli armadi a parete, cioè in
quegli elementi che non appartengono all’arredo, bensì alla casa, cose
che il proprietario dovrà farsi realizzare da una persona su ordinazione”56 -,
Frank invece “non rifletteva troppo su come ordinare i mobili in una stanza,
fintanto che gli angoli non erano nascosti. Per lui gli angoli di una stanza
erano così importanti come le pause in una musica”57.
Lo spazio secondo lui “deve essere percepito chiaramente, cioè tutte le
sue linee di delimitazione (nella comune stanza prismatica sono in totale
12), [gli 8 angoli] e le superfici che definiscono le dimensioni di una stanza
(pavimento e soffitto), devono essere visibili in tutta la loro estensione o
almeno senza grosse interruzioni”58.
“Per questo i mobili devono poggiare su gambe alte quanto basta,
per distinguere (o almeno intuire) le linee di limite tra suolo e parete
[…]. Il mobile disposto liberamente in mezzo alla stanza, funzionerà
come organismo indipendente, la sua forma pertanto dovrà essere il più
possibile diversa da quella dello spazio”59, “meno prismatica possibile: la
superficie rettangolare, che è espressione comune di un senso d’ordine,
pretende sempre una posizione parallela alla parete; la tavola rotonda
con le sue tre gambe invece si può mettere ovunque, ed attorno ad essa
disporre a piacimento le sedie anch’esse rotonde”60.
“Le misure assolute del mobile sono molto meno variabili di quelle dello
spazio, perché il mobile, sta in contatto diretto con il corpo umano, per
tale motivo definiamo inconsciamente con la nostra misura fisica, tutte le
cose”61.
La parola “mobile” (Möbel) deriva da “mobile”, che si può muovere. Questo
è da intendere nel senso più letterale. Un armadio non è mobile, esso
costituisce “uno spazio nello spazio” (Raum im Raum), può stare solo in
un’unica posizione e pretende molte considerazioni, ordine, simmetria
e simili. Esso distrugge la chiarezza della stanza, se è troppo grande in
rapporto alle sue misure. Perciò mobili simili sono da evitare. […] Quello
che ci rimane sono i “tavoli” e le “sedie” movibili, che non possono esercitare
nessuna influenza dato che essi sono collocati nell’ambiente come a caso
e non hanno una collocazione fissa. Anche per questo però ciascun pezzo
170
deve essere indipendente dall’altro, non deve coprire nulla ed avere effetto
solo nella composizione come ‘gruppo’. […] Dunque non esistono più per
noi gli “arredamenti” [composti cioè da elementi fissi e inseparabili come
panca e tavolo uniti, letto con comodini integrati, poltrona imbottita che
fa tutt’uno col camino], ma solamente “mobili come pezzi unici” (EinzelMöbel)”62. Essi vanno disposti lì dove serve e per questo devono essere il
più possibile leggeri63.
A proposito dei mobili Baillie Scott raccomanda di arredare la casa solamente con i pezzi che sono davvero utili in modo
da non sovraccaricarla con “ostacoli al movimento” e facilitare le pulizie domestiche.
Sconsiglia vivamente di comprare i mobili nei negozi che pretendono di essere artistici e originali. Meglio di tutto
“pochi pezzi, costruiti in modo solido e spartano come se appartenessero ad un tutto”, cioè i vecchi mobili delle case di
campagna che erano prodotti per servire ad uno scopo. “Tali vecchi mobili hanno qualcosa di umano ed intimo in sé; le
diverse direzioni delle venature del legno assieme alla costruzione solida e i segni di un lavoro paziente e lungo hanno
qualcosa di accogliente. La maggior parte dei ‘mobili artistici’ invece mostrano che la loro realizzazione è prodotta da
una macchina automatica. L’esecuzione liscia della superficie è una illusione. Nessuna mente umana ha pensato con cura
un tale ‘trattamento finale’ esterno. Tale arte è solamente un’esca per l’acquirente che deve abbagliarlo dove in realtà
pecca di una buona esecuzione artigianale. […] Ma questo non significa che l’arredo moderno per essere buono debba
essere costituito da copie di quelli antichi e nemmeno che tutti i nuovi progetti siano necessariamente infami e sciocchi.
Un miglioramento tuttavia non può sorgere dalle condizioni lavorative della fabbricazione moderna; necessita di cura
(Liebe) ed è il risultato di un disegno ragionato e un intelligente trattamento del materiale”.
Baillie Scott tuttavia, a differenza di Frank e più vicino a Loos, permette la realizzazione di arredi inseriti nella parete e
armadi a muro: “è sempre preferibile che i nostri mobili siano adattati ad un certo spazio e luogo, come risultato di un
pensiero complessivo che inizia dalla pianta e dalla costruzione. Tra casa e mobile non dovrebbero esserci fessure! Dove è
possibile, l’arredo dovrebbe presentarsi sotto forma di armadi a muro e adattarsi allo spazio come parte integrante della
casa; anche l’arredo movibile non dovrebbe apparire come un ‘elemento estraneo’, ma come parte della casa”.
“Oggi si ha spesso il pregiudizio di considerare il modo più semplice di produrre le cose come il peggiore; questo è un
grave errore. Nella moderna lavorazione del legno per esempio si considera il chiodo come qualcosa da nascondere.
[…] nella produzione di mobili molto semplici in cui il legno viene tenuto assieme da chiodi che sono come battuti
dal fabbri, a testa larga come quelli per le scarpe, si potrebbero mostrare senza vergogna a ragione della costruzione e
contemporaneamente come ornamento. Nei confronti di queste semplici costruzioni a ‘pacchetto’ (Packkisten, scatole
impacchettate), per un armadio o una cassettiera per esempio, ragionevolmente non si ha nulla da criticare”.
Già Baillie Scott aveva affermato: “L’arte dell’arredo lo hanno capito al
meglio i giapponesi che nelle loro case non hanno alcuni mobili”64. “La
donna moderna desidera ottenere nel suo appartamento un effetto
‘giapponese’ e si illude che possa ottenerlo attraverso una grande
collezione di vasi, cassetti e mobili in bambù. Quanto diverso è invece è in
realtà una stanza giapponese, quanto diversa l’intenzione del suo abitante!
Qui le pareti e i pavimenti sono liberi e ‘vuoti’. Nulla distoglie l’attenzione da
quel singolo fiore o quadro che decora l’ambiente”65.
Analogamente secondo Frank “le pareti ed il soffitto devono essere
bianchi, perché solo in uno spazio così libero può essere usato qualsiasi
colore”66.
“La tendenza che si presenta spesso di dipingere le pareti di uno spazio,
in vari colori, indica la presenza di uno spirito decorativistico. Nonostante
171
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
tutte le affermazioni contrarie, si tratta di una tendenza che vuol fare dello
spazio un’opera d’arte”67.
“Per l’uomo primitivo [il gusto personale] è dettato soprattutto dalla
scelta del colore preferito che deve essere steso ovunque, partendo dalla
convinzione che tutto debba armonizzarsi con quel colore. Un essere
umano più sensibile [invece] non ha un colore preferito, ed in nessun
modo vorrebbe averne uno costantemente davanti agli occhi. L’abitazione
moderna ha pareti bianche; ciò costituisce per l’individuo l’unica possibilità
di mantenere la propria libertà, potendo disporre le proprie cose a
piacimento senza il disturbo di decorazioni colorate. […] Per noi [esseri
umani più sensibili] sono sufficienti una tenda o un tappeto per soddisfare
il nostro bisogno cromatico”68, a “saziare la [nostra] fame di moda, lasciando
invece in pace gli oggetti pensati per durare a lungo”.
“Rivolgiamoci ora al compito della decorazione, ci renderemo conto di superare un confine verso un nuovo ambito
dove al posto della realtà pratica regnano il sogno e la fantasia. […] Non esistono regole e nessuna legge ti obbliga a
decorare la tua casa. Se non sei spinto dal desiderio di bellezza, allora è meglio che lasci del tutto stare la decorazione.
[…] nel significato originale la decorazione dovrebbe consistere nel rivestire l’architettura con colore e ornamenti. Senza
di essi ogni edificio deve possedere una sua propria bellezza costruttiva, e la decorazione dovrebbe dargli solamente
l’ultimo tocco finale. La casa non deve essere fatta per la decorazione, bensì viceversa! […] Se una casa è costruita bene e
organizzata spazialmente in modo ragionato, non necessita di decorazione”. L’ornamento può essere dato anche solo dal
trattamento del materiale come la lucidatura della pelle, lavori da fabbro o intarsi in legno.
Nelle sue architetture Baillie Scott insiste e sperimenta sul trattamento dei materiali mostrando una ricca palette di
texture diverse. Egli concepiva una texture come risultato di un processo che serve a esprimere al meglio le caratteristiche
stesse di un certo materiale e non un capriccio estetico.
Quando necessari tuttavia, tra gli ornamenti egli annovera le tappezzerie (per le quali consiglia motivi floreali), il colore,
i quadri e persino la scrittura di citazioni: “in un’epoca come la nostra in cui il conversare è spesso limitato a cose triviali e
superficiali, può essere utile l’applicazione di aforismi che contribuiscano a spiegare le tendenze e desideri o il gusto del
proprietario e trasmettere il suo mestiere o la sua visione della vita“. Se altrimenti questi aforismi sono riservati solamente
agli abitanti della casa, è bene renderli illeggibili o scriverli in una lingua straniera. “La scelta di questi epigrammi è
qualcosa di assolutamente personale e ognuno deve sceglierli da solo”. Bisogna però stare attenti a non esagerare perché
altrimenti si rischia di “evocare i manifesti pubblicitari delle strade e stazioni e anche se ammiriamo e crediamo molto ad
un vecchio motto quando inizia a ripetersi giorno per giorno diventa di una banalità insopportabile”.
Per quanto riguarda il colore sostiene: “l’utilizzo decorativo dei colori sviluppa la capacità di pensare come fa il musicista
con i suoni e le note. Non è tuttavia sempre necessario prendere come riferimento la natura, ma bastano libere esecuzioni
stilizzate”. Come esempio di riferimento consiglia di prendere la combinazione di colori giapponese, quindi tonalità
neutre e naturali come sfondo che non rischiano di impallidire col tempo e conferiscono un effetto calmante, mentre
per i primi piani possono essere usati anche colori accesi facendo attenzione però a trovare un equilibrio tra colori che
tranquillizzano e quelli che conferiscono allo spazio una certa vitalità.
A proposito dei quadri si chiede “fino a che punto la pittura ha influito sul decadimento dell’arte nel suo concetto più
ampio. Oggi la pittura costituisce l’ultima ‘barricata’ dietro alla cui cornice dorata cerca rifugio il pittore, dopo esser stato
cacciato dal servizio della vita! […] Oggi troviamo ‘l’arte’ nei negozi di commercio, schiacciata sotto al tallone di ferro
del mercantilismo. Se l’arte vuole tornare ad essere una forza che permea ogni cosa invece di una questione solo per
pochi ‘conoscitori’ dilettanteschi, allora deve essere ristabilito il collegamento col suo significato originario. […] La pittura
appartiene ad un luogo specifico nel quale essa costituisce parte integrante di un tutto armonico”, per questo Baillie Scott
si dimostra critico nei confronti dei quadri trasportabili perché sono realizzati come oggetti isolati e indipendentemente
172
dalla casa. Per questo motivo bisogna far sì che “i quadri si fondino con la superficie delle pareti e sembrino parte di
loro. La cornice allora costituirà l’elemento di unione tra quadro e parete”, una cucitura. Inoltre devono essere collocati
“in modo da sottolineare certi punti specifici, magari all’interno di un rivestimento sopra al camino, ad un divano ad
angolo oppure sopra ad un mobile importante. […] Se sono pochi pezzi selezionati e con un effetto decorativo allora
contribuiranno davvero a mettere in evidenza dei punti attrattivi dello spazio”.
Per le tappezzerie consiglia il lino che si sposa bene con le cornici dorate dei quadri. Come motivi cita quelli di Morris,
Vosey e Walter Crane. In ogni caso “nella scelta di una tappezzeria ed altri mezzi decorativi non bisogna mai dimenticare
che il loro valore ed effetto dipende dal loro intorno e che questa relatività è più importante rispetto all’assoluta bellezza
della tappezzeria. L’armonia è tutto!”.
Frank infatti non si dimostra contrario al fenomeno della moda: essa
“modifica le necessarie ed economicamente motivate interruzioni
della monotonia dell’industrializzazione che altrimenti diventerebbero
insopportabili. Dobbiamo perciò tenerne conto poiché, così come avviene
per l’industrializzazione, non ci si può opporre”69. Anzi, “chi mette su casa
oggi farà bene a non acquistare cose di lunga durata, ma solo quelle
necessarie ed economiche che sono di facile consumo per avere così la
possibilità di cambiare spesso ambiente, procurarsi nuove emozioni che
la stabilità rende impossibili. Questo modo di vivere è ciò che mantiene
giovane l’uomo che, cambiando spesso ambiente, si rinnova”70.
“In un’epoca [infatti] in cui i mobili e gli oggetti domestici vengono sempre
più standardizzati, si cercano altre possibilità per conferire uno specifico
carattere e una nota individuale alla casa (usa Heim, non Haus). I migliori
mezzi che ci vengono in aiuto in questo caso sono quegli oggetti e dettagli
dell’arredamento che più o meno sono di natura accidentale, come per
esempio le stoffe e le tappezzerie. Questi elementi decorativi ci permettono
di rendere uno spazio più chiaro o più scuro, più tranquillo o vivo, e così via.
[…] Inoltre con il loro aiuto abbiamo la possibilità di cambiare otticamente
le proporzioni di una stanza. […] Una tappezzeria colorata conferisce allo
spazio sempre un certo carattere di chiusura e può dunque, se scelta e
usata con buon gusto, contribuire all’effetto accogliente di una stanza.
Essa caratterizza l’immagine di un ambiente molto più rispetto ai mobili,
siccome questi sono movibili mentre la tappezzeria rimane sempre parte
dello spazio”71.
Tuttavia “una carta da parati non può far rinunciare ad un quadro o ad una
stoffa, per il fatto che questi non si accompagnano alla parete. […] Il pittore
sceglie la cornice dorata, appunto perché essa non entra in concorrenza
con il suo quadro”72.
Già Semper aveva affermato che “la tappezzeria non è un quadro, né
deve esserlo. Grandezza, forma e colore del disegno o della fantasia
sono strettamente legati all’ambiente in cui essa si inserisce. [… occorre]
considerarlo sempre uno sfondo rispetto agli oggetti e alle persone che
si trovano nella stanza: esso deve essere pertanto poco pretenzioso e,
soprattutto, tranquillo”73.
Importante è allora mantenere con la moda un rapporto di equilibrio: “Il
buon gusto non ha niente a che vedere con l’arte, anzi spesso si presenta
opposto ad essa perché collegato al senso di misura”74. Infatti, consiglia
173
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
Frank, “anche se spesso è utile influenzare la forma di una stanza secondo
una certa direzione, non è tuttavia necessario tappezzare tutta la stanza”,
a volte basta una parete sola. In generale poi è meglio se le carte da parati
abbiano “colori chiari naturali e pattern per lo più neutri”75, mentre sono
permessi colori accesi in quegli ambienti in cui ci si sofferma poco tempo o
di passaggio come corridoi, scale, cucina, atri, ma anche stanze d’albergo,
camere per gli ospiti, sale da pranzo.
A proposito delle pareti sostiene: “nelle camere semplici è meglio uno sfondo scuro perché gli oggetti sfumano nello
sfondo scuro, invece di risaltare in modo netto. Contro una parete bianca o rivestita con un legno molto chiaro per
esempio un arredo in mogano scuro richiederebbe una disposizione piuttosto formale e precisa ed ogni più piccolo
spostamento risalterebbe subito all’occhio. Se invece collochiamo gli stessi mobili contro una pannellatura in mogano
allora i contorni scompaiono e la loro esatta posizione non è più così importante. Dato però che ovviamente soltanto le
parti inferiori della parete costituiscono lo sfondo per mobili e persone, la parte superiore può essere decorata in modo
libero. Un trattamento troppo scuro dello sfondo può però causare un’atmosfera troppo tetra; in questo caso si scelga per
la parte superiore della parete una tonalità più chiara di un ottavo! La vecchia soluzione con la pannellatura in quercia
scura con sopra intonaco bianco o stucco è quella più ragionevole per risolvere il difficile problema della parete”.
Il camino, le porte e le finestre andrebbero incorniciati con mattoni o pietra, mentre la parte bassa delle pareti andrebbero
rivestite con un materiale che non sia troppo freddo né eccessivamente ruvido, senza che le fughe siano troppo regolari
perché altrimenti l’effetto risulta monotono.
Baillie Scott dunque è favorevole al rivestimento delle pareti, come Loos, mentre Frank va un passo oltre insistendo sulla
liberazione totale del muro lasciandolo bianco e facendo vedere tutti gli angoli dello spazio.
Il pavimento gioca un ruolo importante per Baillie Scott. Soggetto ad un’usura continua, deve essere realizzato con
un materiale che al tempo stesso sia resistente, facile da pulire, non scivoloso e non troppo freddo. In questo modo si
riescono a ridurre i tappeti che catturano la polvere. Per questi ultimi insiste su colori unici e chiari che stimolano ad essere
lavati regolarmente perché altrimenti si vedrebbe lo sporco accumularsi.
“Un bisogno simile si manifesta nel piacere con cui si appendono i quadri
alle pareti, una divisione geometrica del muro è troppo evidente, per
essere presa in considerazione. A ciò deve relazionarsi il benessere che si
prova in uno spazio con il soffitto a travi”79.
I soffitti servono a riflettere la luce e quindi dovrebbero essere dipinti di bianco o colori molto chiari. Quando vi è
un controsoffitto o uno stucco, esso non deve fingere una funzione costruttiva, ma mostrare, secondo il principio
semperiano, la sua qualità di rivestimento.
“Che una stanza debba essere alta, questa è un errore ampiamente diffuso tra il popolo! Questa esigenza è una ‘bugia
igienica’ come la chiama giustamente l’architetto Voysey80. […] Buone condizioni di ventilazione non dipendono
assolutamente dai metri cubi di uno spazio. […] la questione non è se i metri cubi devono essere molti o pochi, bensì
come debba presentarsi un certo spazio per essere organizzato nel modo più opportuno sia in senso verticale e in quello
orizzontale”. Stanze basse hanno un effetto più intimo, conservano meglio il calore e permettono di avere una scala più
comoda.
“I PAVIMENTI DELLE CASE GIAPPONESI
SONO TUTTI FATTI PER ESSERE ABITATI 
PER DORMIRCI, PER INGINOCCHIARCISI
E MANGIARCI, PER INGINOCCHIARSI
SOPRA A DEI SOFFICI CUSCINI E
MEDITARCI SOPRA. PER SUONARCI IL
FLAUTO O PER FARCI L’AMORE”.
Analogamente sconsiglia di porre dei tappeti persiani in ambienti come i
corridoi in cui si è di passaggio: “La superficie monocromatica si presenta
inquietante; la superficie disegnata si presenta, invece, rassicurante, perché
l’osservatore viene involontariamente influenzato dalla sua costruzione
lenta e calma, mentre non può penetrare subito nella ricchezza degli
ornamenti. […] Stando seduti su dei tappeti persiani, si proverà una
sensazione di calma, mentre passando attraverso una stanza con tappeti
persiani disposti sul pavimento, si avrà una sensazione di insicurezza:
come di aver smarrito qualcosa, che non ha potuto afferrare. Un tappeto
monocolore indurrà invece, sensazioni contrarie”76, perché “manca una
scala di riferimento assoluta. Con l’aiuto della ‘scala’, l’occhio può invece
misurare lo spazio”77.
“La grandezza di uno spazio si legge più facilmente a quota del pavimento,
sulla superficie di calpestio. Ogni elemento ripartito su tale superficie viene
immediatamente percepito come unità e consapevolmente moltiplicato.
Per questo motivo il pavimento monocolore e non diviso, si presenta
come superficie non soddisfacente; la persona che per motivi pratici dovrà
sceglierlo, sentirà subito il bisogno di stendervi sopra dei tappeti, cioè di
dividerlo per ottenere un rapporto di misura”78.
174
(F.L.Wright,
An Autobiography, 1938,
cit. in K.Nute 1993, p.37)
175
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
Baillie Scott passa poi a descrivere in dettaglio le stanze della casa:
L’atrio o Halle: “rivolgiamoci per un attimo alla forma originaria della casa, alla
pianta primitiva, quando la casa era costituita solo dalla Halle. Qui si cucinava, si
mangiava, si discuteva e, quando veniva notte, ci si distendeva su tubi di giunco per
riposare sempre nella stessa stanza. Pian piano, con il progredire della civilizzazione,
si svilupparono delle suddivisioni da questo sistema originario ad unica cellula,
ognuna con uno scopo specifico. In questo modo il semplice organismo si complicò
e dato che ogni cellula speciale ricevette la sua funzione vitale, la Halle perse pezzo
per pezzo le sua funzioni. Ci furono sale riunione per discutere, camere da letto per
dormire, sale da pranzo dove mangiare; in questo modo alla Halle venne spogliata
del suo significato, derubata del suo scopo. […] Attualmente rinata, [la Halle] non
dovrebbe più essere uno spazio ‘per tutto’, ma un luogo di riunione in cui la famiglia
si ritrova, con un caminetto ed abbondanti spazi per lo stare e il camminare”. Per
evitare una separazione troppo netta del salone con gli altri ambienti, questi
potrebbero essere mantenuti in comunicazione “attraverso porte scorrevoli oppure
solo mediante tende in modo che contribuiscano al tempo stesso alla spazialità
del salone o appaino come nicchie e angoli e alcove, non come stanze isolate. […
La Halle] sta in relazione con gli altri ambienti in modo simile a come la piazza del
mercato con gli abitanti della città che vi si ritrovano”.
Baillie Scott, Una casa urbana (Strassenhaus), la
Halle. Si noti l’ingresso alla camera nella nicchia
sotto alla galleria, con il pilastro isolato e l’inizio
della scala che ricorda molto Villa Beer di J.Frank
Qui Baillie Scott critica anche l’abituale usanza di mangiare solamente carne
paragonandola al cannibalismo, e si augura che in futuro l’uomo scoprirà il sapore
della frutta e verdura.
“Le leggi della risonanza, le condizioni per una buona acustica sono ancora
troppo poche note affinchè sia possibile dare indicazioni certe per la grandezza
e l’organizzazione della sala della musica”. Solitamente essa si trova nello spazio
del soggiorno dove drappeggi e mobili rovinano il suono soffocandolo. Sarebbero
quindi da evitare, analogamente ai tappeti, tende e cuscini. “Il legno costituisce
il miglior rivestimento delle pareti e la posizione sopra ad una cantina dovrebbe
essere vantaggiosa”. Per conferire alla musica un certo mistero si potrebbe collocare
questa sala in una galleria nella Halle, che in questo modo potrebbe al tempo stesso
fungere come sala da ballo.
Il tavolo da biliardo può essere collocato in una nicchia del soggiorno oppure
in cantina (in questo caso si gioca la sera) o in soffitta (c’è più luce, ma è isolato),
quando non costituisce il mestiere dell’abitante che in quel caso ne farà uno
spazio principale della casa. “Nell’arredamento il meno è meglio del troppo,
quindi è consigliabile qualcosa di leggero, di libero in questo spazio nel quale ci si
muove molto. La stoffa verde del tavolo può costituire il punto di partenza per la
combinazione dei colori della camera”.
La sala da pranzo può essere contenuta nello spazio di soggiorno per non dover
riscaldare un ambiente nel quale ci si trova solamente per pranzo o per cena.
Tuttavia bisogna evitare che “il tavolo da pranzo sia inutilmente grande e come
spazio utile rimanga solo una sottile striscia attorno al grande tavolo. In questa
condizione si trova spesso a trascorrere le sue sere lo sfortunato abitante della
piccola casa di periferia, schiacciato tra il tavolo da pranzo e la brace del camino”.
Per questo è preferibile utilizzare tavoli ribaltabili “che quando non servono
possono venir rimossi o messi contro la parete. Anche se la soluzione migliore
sembra essere porre il tavolo per il pranzo in una nicchia nel soggiorno”, magari
rialzata di un gradino, separata mediante una tenda e collegata ad un’anticamera di
accesso per i domestici in modo che non debbano necessariamente passare per il
soggiorno. Questa disposizione inoltre permette all’evenienza di allungare il tavolo
aggiungendone un secondo nel salone.
Baillie Scott, Sala per la musica
Anche la camera della signora può essere inserita all’interno di una nicchia del
soggiorno, dato che altrimenti la Halle costituirebbe uno spazio poco utilizzato
siccome sia il marito che i figli sono spesso fuori casa, al lavoro o a scuola. “Qui è
dato libero sfogo al proprio gusto personale”.
Invece non è necessario che in una casa piccola vi sia la camera del signore, lo
studio-biblioteca, dato che spesso non è in casa. Basta “una soffitta. Ma nel caso
che la camera del signore confina con il salone, si abbia cura di isolarlo contro i
rumori”.
Baillie Scott, Una casa a terrazze
(Terrassenhaus), la zona giorno con la nicchia
per il pranzo (Wohndiele). Anche qui viene
utilizzata una tenda come divisorio spaziale
176
Nel capitolo dedicato agli spazi per i figli, Baillie Scott polemizza contro il
disequilibrio che esiste tra i grandi palazzi dei ricchi e le piccole e affollate abitazioni
dei poveri: “Le strade delle nostre città mostrano l’anormalità di avere grandi case
abitate da piccole famiglie e piccoli appartamenti abitati da famiglie numerose! In
un’unica notte d’inverno londinese si può osservare come siano affollati i quartieri
177
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
più poveri e i senza tetto si stringono lungo strade, mentre nelle case più grandi
centinaia di camere restano vuote”.
Aggiunge poi che lo spazio per il gioco può trovarsi benissimo in soffitta dove i
bambini possono fare confusione senza disturbare e dove “si possono sfruttare gli
elementi costruttivi del tetto per creare un’altalena o altri attrezzi ginnici. Nel caso
che lo spazio per i figli si trovi al piano terra, dovrebbe essere messo in collegamento
con il giardino attraverso una veranda soleggiata in modo che i bambini siano il più
possibile all’aria aperta. […] Un grande ambiente è perciò preferibile per una sana
libertà di movimento di mente e corpo dei bambini”.
La cucina dovrebbe essere “collocata al piano terra e nel caso questo non sia
possibile, il piano interrato deve essere meglio illuminato e dotato di un ascensore
per le vivande”. Inoltre dovrebbe essere grande quanto basta, perché più grande
è, più impegnativi diventano i lavori di pulizia. “Come modello di riferimento può
essere presa l’attrezzatura di una barca a vela di prima categoria, per poter imparare
ciò che è possibile fare in condizioni minime di spazio! Ovviamente nella casa si
avrà a disposizione uno spazio più grande, ma è utile capire i meccanismi che fanno
risparmiare spazio e impegno, come nella barca a vela”. Inoltre dovrebbe essere
isolata dagli odori e rumori, e collocata vicino alla dispensa posta a nord. Come
materiali consiglia di rivestire le pareti alla base con piastrelle bianche (igieniche,
“con il loro morbido splendore irregolare, intimo e accogliente”) e sopra intonaco
bianco, anche sul soffitto. “Nel caso che la cucina valga anche come soggiorno il
pavimento è preferibile sia in legno, ma posto su una base in cemento in modo da
evitare l’annidamento di insetti! Altrimenti sono più opportuni i mattoni rossi o la
pietra, con alcuni tappeti caldi”. Gli impianti è meglio che siano liberi e non inseriti
nelle murature per facilitarne la pulizia e la manutenzione.
camera è dotata di due finestre, “è bene collocarne una lunga e bassa con un
davanzale e facilmente accessibile. L’altra posta ad un’altezza tale per cui la luce
cada direttamente sul tavolo da toilette. Nel caso che entrambe le finestre siano
inserite in un’unica parete si può collocare il tavolo da toilette tra le due in modo
da lasciarle entrambe libere e accessibili”. Il guardaroba può stare all’interno della
camera oppure nel bagno.
Le camere da letto dei domestici trovano posto nel piano della soffitta.
“Pulizia senza macchia e comodità pratica sono le qualità principali di un’abitazione
della nuova epoca”. Il pavimento e la parte inferiore delle pareti del bagno
andrebbero perciò rivestite con piastrelle e i sanitari dovrebbero essere in ceramica
bianca e i tubi dell’acqua a vista per facilitarne la manutenzione. Nei casi più poveri
è concesso il linoleum per il pavimento e intonaco bianco alle pareti. Un piccolo
armadio per la biancheria può nascondere al tempo stesso il tubo della caldaia
in modo da riscaldare al tempo stesso i tessuti e la stanza. Dove le condizioni
economiche lo permettono, sarebbe meglio dotare di un bagno ogni gruppo di
camere da letto.
“MA IL SOLO GABINETTO GIAPPONESE È INTERAMENTE CONCEPITO PER IL RIPOSO DELLO SPIRITO.
DISCOSTI DALL’EDIFICIO PRINCIPALE, I GABINETTI STANNO ACCUCCIATI SOTTO MINUSCOLI CESPI
SELVOSI, DA CUI VIENE ODORE DI VERDE DI FOGLIE, E DI BORRACCINA. E’ BELLO, LÀ, ACCOVACCIARSI
NEL LUCORE CHE FILTRA DALLO SHOJI, E FANTASTICARE, …, FRA LISCE PARETI DI LEGNO DALLE
SOTTILI VENATURE, MIRANDO L’AZZURRO DEL CIELO E IL VERDE DELLA VEGETAZIONE. …SONO
NECESSARI UNA LIEVE PENOMBRA, NESSUNA FULGIDEZZA, LA PULIZIA PIÙ ACCURATA, E UN SILENZIO
COSÌ PROFONDO CHE SIA POSSIBILE UDIRE LONTANO UN VOLO DI ZANZARE. …, È CONSUETUDINE
Le camere da letto sono collocate generalmente al primo piano (ma anche
al piano terra vanno bene) e la loro dimensione è dipendente dalla pianta del
piano terra. Il letto andrebbe collocato preferibilmente in una nicchia in modo da
poter trasformare la camera da letto al tempo stesso in uno spazio di soggiorno,
secondo le necessità. Se questo non è possibile, il letto comunque non dovrebbe
essere collocato di fronte alla porta per non essere esposto ai giri d’aria. Se la
PRATICARE RASOTERRA LUNGHE APERTURE ORIZZONTALI. CONSENTONO, QUESTI SPIRAGLI, DI
PERCEPIRE VICINISSIMO IL RUMORE DELLA PIOGGIA, COSÌ ACQUIETANTE, DELLE GOCCIOLE CHE LENTE
SI STACCANO DALL’ORLO DELLA GRONDAIA O DALLE FOGLIE, RIMBALZANDO SUL BASAMENTO IN
PIETRA DI UN LAMPIONE, SPRUZZANDO IL MUSCHIO CHE CRESCE FRA I CIOTTOLI DEL SENTIERO, SONO
BEVUTE DALLA TERRA. QUI CONVIENE, PIÙ CHE ALTROVE, TENDERE L’ORECCHIO A STRIDII DI INSETTI O A
CANTI DI UCCELLI, E GODERE DEL CHIARO DI LUNA; QUI È DELIZIOSO GUSTARE MELANCONICAMENTE I
SEGNI FUGGITIVI DELLE QUATTRO STAGIONI”.
(J.Tanizaku, Libro d’ombra, ed.2005, pp.9-10)
Baillie Scott, camera da letto di na casa
in Polonia
178
179
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
Note
1
J.Romains, Odes et Prières, Gallimard, Paris 1936, cit. in
G.Bachelard, La terra e il riposo. Le immagini dell’intimità, Red,
cantina alla soffitta. Significato della capanna, p. 45
arti, non esclusa la ceramica, hanno derivato dall’arte tessile
della Doppia D-Haus 6 e una prospettiva di un progetto non
14
tipologie e simboli, mentre quest’ultima appare autonoma,
realizzato per un hotel del 1958.
G. Semper, Die vier Elemente der Baukunst, op. cit., p. 55, trad.
Como 1994, pp. 91-115, tratto da Stefano Malpangotti, Gaston
it. Christina Kruml.
sotto tale aspetto, avendo creato da sé le sue tipologie o
Il testo venne ripubblicato in tedesco nella rivista “Baukunst
Bachelard. Sull’architettura, Testo & Immagine, Roma 2004, p.34
A ciascuno di questi elementi Semper associa una delle
avendole desunte dalla natura”.
und Werkform” nel 1961, ma non ottenne molta attenzione.
2
primarie tecniche manuali con le quali l’uomo dà forma al suo
La capanna originaria dunque, secondo Semper, non è frutto
Nello stesso anno Frank tenne una conferenza a Londra sulla
(ed. orig. 1974), pp.29-34
ambiente: al basamento in blocchi pesanti di pietra sovrapposti
di una semplice imitazione della natura come voleva la
“Fight against Art” (Battaglia contro l’arte). Alcuni di questi temi
3
T.Tzara, Où boivent les loups, p.24, cit. in G.Bachelard, Poetica
la stereotomia (da stereos, solido e tomia, taglio) e l’idraulica;
concezione dell’abate Laugier, ma un prodotto assolutamente
vennero poi ripresi da Venturi in Complessità e contraddizione
dello spazio, Dedalo, Bari 1999 (ed. orig. 1957), cap. 9 La
al focolare l’arte ceramica e la metallotecnica; all’intelaiatura
artificiale, voluto e realizzato dalla mano dell’uomo.
in Architettura nel 1966, ma Frank morì poco dopo (8 gennaio
dialettica del fuori e del dentro, pp. 246-247
del tetto la carpenteria; all’involucro di rivestimento in rami
Vedi G.Semper, Der Stil, op. cit., pp.10-3, tradotto in Lo Stile, op.
1967).
4
Ivi, cap. 4 Il nido, pp. 122-123
intrecciati e stuoie appese che recinge lo spazio interno, l’arte
cit., pp.48-51.
Vedi Hedvig Hedquist, Rechteckige Sitze – Totalitäre Gedanken, in
5
H.Bachelin, Le serviteur, cit. in Ivi, cap. 1, La casa. Dalla cantina
della tessitura. “Molto importanti [poi] sono le implicazioni
15
Iris Meder (a cura di), Josef Frank. Eine Moderne der Unordnung,
alla soffitta. Significato della capanna, pp. 57-63
reciproche, i punti di passaggio fra l’una e l’altra tecnica. Per
G.Bachelard, La terra e il riposo, op. cit., p.36
Verlag Anton Pustet, Salzburg Wien München 2008, p.28.
6
Introduzione alla Vergleichende Baulehre, in Wolfgang
esempio l’arte tessile si combina con la ceramica nel rivestimento
16
Ivi, p.38
26
Herrmann, Gottfried Semper : architettura e teoria, Electa, Milano
di pareti e pavimenti, e con la carpenteria nella ricopertura delle
17
G.Bachelard, Poetica dello spazio, op. cit., cap. 1, La casa. Dalla
Spalt, Moderne Weltauffassung und moderne Architektur, in
1990 (ed. orig. 1978), p.239
travi”, mentre la metallotecnica riassume in sé tutte le altre e il
cantina alla soffitta. Significato della capanna, pp. 45-47
“Bauwelt”, 76 Jg, Heft 26, 1985, p.1067
7
metallo il materiale che riunisce tutte le proprietà materiche
18
27
Adamo in paradiso, Mondadori, Milano 1977 (ed. orig. 1972)
sopracitate. “Così la ceramica nella sua accezione più generale
e il riposo, op. cit., p.36
in “Innen-dekoration”, Jg. XXXVII, Darmstadt, Oktober 1926,
8
G.Semper, I Quattro Elementi dell’Architettura (Die vier Elemente
non si limita ai vasi di terracotta, ma comprende tutti i tipi di
19
Michel Leiris, Aurora, cit. Ivi, pp. 52-55
traduz. it. Christina Kruml
der Baukunst. Beitrag zur Vergleichende Baukunde, Friedrich
recipienti”, compresi quelli in vetro, pietra, metallo, legno e
20
Perec, Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino 1989, p. 49
28
Vieweg und Sohn Verlag, Braunschweig 1851).
persino “i lavori tessili come i cesti stanno in stretto rapporto
21
9
G.Semper, Über Baustile, conferenza tenuta a Zurigo il 4
stilistico con la ceramica”. “Per converso, oggetti che da un
G.Bachelard, Poetica dello spazio, op. cit., cap. 1, La casa. Dalla
29
marzo 1869, cit. in Benedetto Gravagnuolo, Gottfried Semper.
punto di vista materiale appartengono alla ceramica – come i
cantina alla soffitta. Significato della capanna, p. 55
Städtebau”, titolo anche dell’opera principale dell’architetto e
Architettura arte e scienza, Clean, Napoli 1987, p. 100
mattoni, le tegole, le terracotte, le maioliche, i cubetti in pasta
22
Ivi, pp. 55-56
urbanista viennese (Camillo Sitte, Der Städtebau nach seinen
10
G.Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen
vitrea e i tasselli ceramici colorati usati per i mosaici – vanno
23
Josef Frank, How to plan a House, in Johannes Spalt, Josef
Künstlerischen Grundsätzen, 1889, tradotto in italiano nel 1907
Künsten, oder Praktische Aesthetik. Ein Handbuch für Techniker,
assegnati in parte alla stereotomia, in parte, dal punto di vista
Frank 1885-1967. Möbel & Geräte & Theoretisches, Hochschule für
a cura di Ugo Monneret di Villard col titolo Note sull’arte di
Künstler und Kunstfreunde, Erster Band: Textile Kunst, Verlag
stilistico, all’arte tessile, perché servono ad eseguire per un
angewandte Kunst, Wien, pp.156-167. Lezione tenuta presso la
costruire la città), e nel 1920 fonderà assieme a Cornelius Gurlitt
für Kunst und Wissenschaft, Frankfurt a.M., 1860, p.6, trad. it. in
verso opere musive affini alla costruzione in pietra, per l’altro
New School for Social Research di New York che riprende i temi
la rivista “Stadtbaukunst alter und neuer Zeit” (Urbanistica
G.Semper, Lo Stile nelle arti tecniche e tettoniche, a cura di A.R.
verso rivestimenti di pareti ecc…” (Semper aveva letto il libro del
di Das Haus als Weg und Platz
antica e moderna) nella quale Bruno Taut pubblicherà l’allegato
Burelli, C.Cresti, B. Gravagnuolo, F.Tentori, Laterza, Roma Bari
francese Jules Ziegler, Études Céramiques: recherche des principes
24
“Frühlicht” dal gennaio al luglio 1920.
1992, p.44.
et la forme en général, pubblicato nel 1850 in cui sosteneva che
1931, p.316, ripubblicato in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank 1885-
30
Vedi anche H. Quitzsch, La visione estetica di Semper, Jaca Book,
l’origine dell’architettura greca risiedeva nella ceramica e non
1967, Hochschule für angewandte Kunst, Wien 1981, p.36, trad.
mitteleuropea, Bompiani, Bologna 2004 (ed.orig. 1961), p.59.
Milano, 1991, p.206.
dalla capanna di legno).
it. La casa come strada e come piazza, in G.Fraziano (a cura di),
Vedi anche capitolo Agorafobia. Psicopatologie dello spazio
11
Analogamente nella tettonica, oltre all’impalcatura lignea del
Percorsi accidentali. Scritti e progetti di Josef Frank, Lint, Trieste
urbano, in Anthony Vidler, La deformazione dello spazio. Arte,
it. Christina Kruml.
tetto e ai relativi elementi di sostegno, rientrano anche gran
25
architettura e disagio nella cultura moderna, Postmedia books,
Già Bötticher nel Die Tektonik der Hellenen scriveva che “dal
parte degli oggetti dell’arredamento domestico (Hausrathes),
svedese “Form” nel 1958. In parte manifesto antimodernista, in
Milano 2009, (ed. orig. 2000), pp.29-48
fuoco della paterna divinità di Delfi, ha origine la struttura della
opere in muratura e un certo particolare sistema di costruzioni
parte dichiarazione formale dei suoi intenti rispetto ai progetti
31
Ivi, nota 8 a p.221 e p.30
casa” (W. Herrmann, Gottfried Semper, op. cit., p.111), ma Semper,
metalliche; mentre la stereotomia comprende anche il mosaico,
di case per Dagmar Grill, l’articolo è una lunga discussione sul
32
J.Frank, Das Haus als Weg und Platz, op. cit.
quando pensava e scriveva la teoria dei quattro elementi nel
l’intarsio in legno, avorio e metallo, l’orificeria.
ruolo della storia nell’architettura e nel design moderni.
33
J.Frank, How to plan a House, op. cit.
1852, non aveva ancora letto il testo dell’architetto tedesco.
Fra tutte le arti tecniche tuttavia, quella tessile secondo Semper
Assieme al testo vi erano le illustrazioni di tre opere del
34
J.Frank, Grosstädtisch gedacht, 1949, in J.Spalt, H.Czech, Josef
12
Introduzione alla Vergleichende Baulehre, op. cit., p. 239
“mantiene un predominio incondizionato perché in essa si può
dopoguerra di Frank: una prospettiva della Casa 9 della serie
Frank, op. cit., p.166, trad. it. Christina Kruml
13
G.Bachelard, Poetica dello spazio, op. cit., cap. 1, La casa. Dalla
riconoscere l’arte primigenia (Urkunst), in quanto tutte le altre
di case per Dagmar Grill del 1947, una prospettiva e le piante
35
Georges Perec, Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino 1989
Sulla capanna archetipa vedi Joseph Rykwert, La casa di
G. Semper, Die vier Elemente der Baukunst, op. cit., p. 54, trad.
180
A. Rimbaud, Illuminazioni, Rizzoli, Milano 2001, cit. in
Alexandre Dumas, Mes mémoires, cit. in G.Bachelard, La terra
P.Claudel, Oiseau noir dans le soleil levant, p.144, cit. in
J.Frank, Das Haus als Weg und Platz, in “Der Baumeister”, n. 29,
J.Frank, Akzidentismus, articolo pubblicato nella rivista
J.Frank, lettera a Trude Wahner, 9 marzo 1946, cit. in Johannes
Dr. Wolfagang Born, Neue Innenräume von “Haus & Garten”,
G.Semper, Der Stil, op. cit., pp. XVIII-XX e nota 8, tradotto in Lo
Stile, op. cit., pp.16-17
Nel 1906 Bruno Möhring aveva fondato la rivista “Der
Carl E. Schorske, Vienna fin de Siècle. La culla della cultura
Mackay Hugh Baillie Scott, Häuser und Gärten, Ernst Wasmuth,
181
La seduzione dell’INvisibile
La seduzione dell’INvisibile
Berlin 1912 (ed. orig. 1906), capitolo I. Come sono le nostre case
Interpretation Josef Franks, in “Um Bau”, n. 10, august 1986,
e come potrebbero essere?, traduz. it. Christina Kruml
Österreichische Gesellschaft für Architektur Wien, p.113
36
38
Il primo articolo, del gennaio 1895, è dedicato ad una ideale
Giannino Cusano, La finestra e la comunicazione architettonica,
villa di periferia (An Ideal Suburbian Villa): “entrando dalla
Dedalo, Bari 1979. Per un approfondimento sulle finestre vedi
porta d’ingresso ci troviamo in un largo e basso portico da
anche Bruno Riechlin, in “Lotus” n.60
cui, attraverso un arco sulla destra, intravediamo l’inizio delle
39
Giacomo Leopardi, poesia l’Infinito, 1819 ca
scale che si elevano dal largo corridoio che porta alla cucina”.
40
G.Bachelard, La terra e il riposo, op. cit., p.44
Il percorso continua nella hall a doppia altezza, che al tempo
41
G.Bachelard, Poetica dello spazio, op. cit., cap. 2, La casa e
stesso funge da sala per la musica: “nella nicchia, seduti su
l’universo, p. 94
larghe poltrone, un gruppo di amici sono raccolti attorno al
42
fuoco bruciante al centro del largo camino in mattoni che
op. cit., cap. 2, La casa e l’universo, pp. 95-97
illumina il rame lucidato della cappa. Nella galleria soprastante
43
G.Perec, Specie di spazi, op. cit., p.47
si trovano i musicisti e si sentono le melodie di un violino,
44
J.Frank, Das Haus als Weg und Platz, op. cit., p.36
mentre la posizione dei musicisti conferisce alla musica un’aria
45
Maria Bottero, Frederick Kiesler. Arte, architettura, ambiente,
di mistero sottolineandone ampiamente l’effetto”.
19/a Triennale, Electa Mondadori, Milano 1996, p. 22
La casa per un artista (An Artist’s House, ottobre 1896) e La
46
J.Frank, Das Haus als Weg und Platz, op. cit., p.36
piccola casa di campagna (A Small Country House, dicembre
47
Alois Riegl, Arte tardoromana, Einaudi, Torino 1959 (ed. orig.
1897) separano la hall dall’ingresso in modo da farla diventare
1901), pp. 30-31
una stanza a tutti gli effetti, con nicchie e bowindows, magari
48
aperta attraverso porte scorrevoli ad altri spazi di soggiorno.
Werk, Böhlau Verlag, Vienna, 1998, pp.150-153
L’accesso alla cucina e agli spazi di servizio sono separati e
49
differenziati, eventualmente anche attraverso un cambiamento
50
Ibidem
di livello del pavimento. Il corpo scala è un volume a sè. Queste
51
Ivi, p.36
tipologie sono rintracciabili nella Red House progettata da
52
Baillie Scott per se stesso.
72. Cit. in Eva Ottillinger, Wohnen zwischen den Kriegen. Wiener
Nell’ultima proposta di una casa di campagna (A Country House,
Möbel 1914-1941, Katalog der Ausstellung in Hofmobiliendepot
febbraio 1900) tutti gli spazi ruotano attorno ad una hall a
14 Oktober-Februar 2009, Böhlau, Wien 2009, p.29
doppia altezza articolata in nicchie, alcove e bowindows. La
53
cucina è collocata in un’ala separata che forma un lato di una
Milano 1972 (ed.orig 1962), pp. 217-228
corte.
54
Vedi Diane Haigh, Baillie Scott. The Artistic House, Academy
Möbelentwürfe, Residenz Verlag, Salzbung 1994, p.116
Editions, London 1995
55
37
Wien 1979 (ed. orig. 1931), p.28, e cit. in E.Ottillinger, Adolf Loos,
Anche Hugo Häring (suo allievo è Scharoun) – che Frank
Francoise Minkowska, cit. in G.Bachelard, Poetica dello spazio,
Vedi Maria Welzig, Josef Frank 1885–1967. Das architektonische
J.Frank, Das Haus als Weg und Platz, op. cit., p.37
Adolf Loos, Die Abschaffung der Möbel, in Trotzdem, pp.170-
A.Loos, Ornamento e delitto, in Parole nel vuoto, Adelphi,
cit. in Eva Ottillinger, Adolf Loos. Wohnkonzepte und
Heinrich Kulka, Adolf Loos : das Werk des Architekten, Locker,
conosceva dagli anni Venti - indagava l’uso di forme non
op. cit., p.113
ortogonali e linee curve come dimostra il progetto non
56
realizzato di villa del 1923, in cui ritroviamo il movimento
Österreichischen Museums, 1898, cit. in E.Ottillinger, Adolf Loos,
attraverso lo spazio e l’esperienza visiva in sequenza.
op. cit., p.113
Nelle case di Frank tuttavia l’uomo è libero di muoversi come
57
vuole, mentre in quelle di Häring il suo movimento è controllato
Josef Frank, in “Bauwelt”, n.26, Josef Frank: ein undogmaticher
e obbligato in certe determinate direzioni. Inoltre a differenza
Funktionalist, 75. Jg, 12 Juli 1985, p. 1060
di Häring, Frank rifiuta l’idea dell’imitazione di forme naturali: le
58
sue linee curve sono dettate da criteri geometrici e funzionali, di
Josef Frank, op. cit., pp.95-96, trad. it. Spazio e arredamento, in
libertà di movimento, punti di vista, sequenze di percorso, e non
G.Fraziano, Percorsi accidentali, op. cit.
di mera forma, cosa che però non viene capita da Häring: “Adolf
Lo ripete anche in Das neuzeitliche Landhaus, 1919, in Ivi, p. 17:
Loos e Josef Frank ammettono forme del tutto eterogenee,
“I compiti dell’architetto nell’arredamento delle case d’affitto
quando non disturbano l’efficienza pratica degli oggetti. Questo
sono molto pochi, poiché qui viene a mancare il lavoro che
punto di vista è pericoloso, perché apre le porte di nuovo alla
gli viene chiesto di solito, cioè la creazione di spazio. Il suo
decorazione e permette a questa decorazione di intraprendere,
compito consiste qui nel disporre ciascun elemento spaziale,
se necessario, strade autonome”. Hugo Häring: bemerkungen
che sono i mobili, in modo che lo spazio sia ancora chiaramente
zun aesthetischen problem des neuen bauens, in Bauwelt, Heft
percepibile nella sua interezza. A tal fine i 12 lati e 8 angoli che
19/1931, cit. in Hermann Czech, Ein Begriffsraster zur aktuellen
compongono una stanza devono rimanere liberi […]. Questo è
182
Adolf Loos, Wanderung durch die Wienterausstellung des
Malin Munck af Rosenschöld, Aus meiner Zusammenarbeit mit
Josef Frank, Raum und Einrichtung, 1934, in J.Spalt, H.Czech,
l’unico compito dell’architetto, tutto il resto è più o meno una
questione del buon gusto del proprietario, che può a questo
punto allestire la stanza secondo le sue esigenze personali”. Già
Strnad nel 1913 aveva detto che in una stanza soffitto e pareti si
dovevano poter leggere nella loro interezza, un concetto ripreso
da Semper che intendeva il soffitto come una lastra trasparente
su cui si leggeva la continuità delle pareti (vedi glossario) .
59
J.Frank, Raum und Einrichtung, op. cit., p.96
60
Ivi, p.97
61
Ivi, p.96
62
J.Frank, Handwerks- und Maschinen-Erzeugnis. Die Abgrenzung
beider Gebiete, in “Innendekoration”, XI.3, 1923, pp.241-243/336343 cit. in J.Spalt, Josef Frank, op. cit., pp.9-10 ripubblicato
come Einzelmöbel und Kunsthandwerk in Iris Meder (a cura di),
Josef Frank. Eine Moderne der Unordnung, Verlag Anton Pustet,
Salzburg Wien München 2008, pp.128-129
63
J.Frank, Raum und Einrichtung, op. cit., p.97
64
M.H.Baillie Scott, Häuser und Garten, op. cit., p.23, cit. anche
in M.Welzig, Josef Frank, op. cit., p.68 e Corinna Elsesser, Die
Rezeption der japanischen Architektur bei Josef Frank und
Bruno Taut, Abhandlung zur Erlangung der Doktorwürde der
Philosophischen Fakuntät der Universität Zürich, Worms am
Rhein, relatori Prof. Dr. Stanislaus von Moos e Prof. Dr. Peter
Cornelius Claussen, giugno 2004, pp. 63-65
65
M.H.Baillie Scott, Häuser und Garten, op. cit., p.23, cit. anche in
M.Welzig, Josef Frank, op. cit, p.155
66
Josef Frank, Die moderne Einrichtung des Wohnhauses,
1927, in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank, op. cit., pp.84-87, trad. it.
L’arredamento moderno dell’abitazione in G.Fraziano, Percorsi
accidentali, op. cit.
67
J.Frank, Raum und Einrichtung, op. cit., p.96
68
Ivi, p.97
69
J.Frank, Rooms and Furnishing, in “Form” 1934, cit. in Kristina
Wängberg-Eriksson, Josef Frank. Textile Design, Bokförlaget
Signum i Lund AB, 1999
70
Josef Frank, Die moderne Einrichtung des Wohnhauses, op. cit.
71
Josef Frank, Wie soll man Tapeten anwenden?, 1948, in J.Spalt,
H.Czech, Josef Frank, op. cit., p.107, trad. it. Christina Kruml
72
J.Frank, Raum und Einrichtung, op. cit., p.96
73
G.Semper, Textile Kunst, testo preparatorio a Der Stil e
pubblicato per la prima volta in Kleine Schriften, a cura dei figli
Manfred e Hans Semper, Verlag W.Spemann, Berlin Suttgart
1884, e cit. in B.Gravagnuolo, Gottfried Semper. Architettura arte
e scienza, Clean, Napoli 1987, p. 189
74
J.Frank, Raum und Einrichtung, op. cit., p.101
75
Josef Frank, Wie soll man Tapeten anwenden?, op. cit.
76
J.Frank, Raum und Einrichtung, op. cit., p.99
77
Ivi, p.96
78
Ivi, p.97
79
Ibidem
80
I lavori di Voysey vennero pubblicati nelle riviste “British
Architect” e “The Studio”, quindi Baillie Scott li aveva
sicuramente visti. Nel 1908 nella stessa rivista scriverà un
articolo che dimostra il suo rispetto per l’architetto otto anni
più vecchio di lui. Vedi Baillie Scott, The Characteristics of Mr
C.F.A.Voysey’s Architecture, in “The Studio”, 1908, cit. in D.Haigh,
Baillie Scott, op.cit. p. 23
“SONO CONTRARIO ALLA PRATICA DI
FOTOGRAFARE GLI INTERNI. … VOGLIO
CHE GLI UOMINI SIANO CONSAPEVOLI
DELLO SPAZIO CHIUSO, CHE SENTANO LA
MATERIA, IL LEGNO, CHE LO PERCEPISCANO
CON I LORO SENSI, CON LA VISTA E IL
TATTO, CHE POSSANO ACCOMODARSI SU
UNA SEDIA PERCEPENDO IL CONTATTO
CON AMPIA PARTE DEL LORO SENSO DEL
TATTO PERIFERICO. … LA FOTOGRAFIA
INGANNA. CON I MIEI PROGETTI NON HO
MAI VOLUTO INGANNARE NESSUNO. …
PER QUESTO NON MI PIACE AFFATTO CHE
MI CHIAMINO ARCHITETTO. IL MIO NOME È
SEMPLICEMENTE ADOLF LOOS”.
(A.Loos, Von der Sparsamkeit, in
“Wohnungskultur”, fascicolo 2/3, 1924, cit.
in Ralf Bock 2007, frontespizio)
183
Allegati
Häuser und Gärten.
Come sono le nostre case e
come potrebbero essere ?
M.H.Baillie Scott
“Analogamente alle vecchie riviste d’arte che costavano una moneta (Groschen)
e a colori due monete, le case si suddividono in due categorie: la solita
Groschenhaus, semplice, pratica, economica; e la Zweigroschenhaus, la Casa
d’arte, non pratica ma bella, piena di cose belle ed estremamente care a scapito
della comodità”.
La casa dovrebbe essere organizzata in modo “da garantire agli abitanti un
abitare comodo e limitare al minimo la manutenzione e facilitare la pulizia.
Nessun tappeto polveroso copre il pavimento. Le finestre non vengono chiuse
da tende e bordi pesanti. Le stanze non sono ricolme di mobili inutili e brutti.
La casa non tenta di raggiungere l’ideale popolare ‘come dovrebbe essere’;
non segue nessuna moda e non imita l’abitazione lussuosa del Signor
Vicino. Se risorse limitate la rimpiccioliscono, comunque non dà l’impressione
M.H. Baillie Scott, Capitolo I. Come
sono le nostre case e come
potrebbero essere?, in Häuser und
Gärten, Ernst Wasmuth, Berlin 1912
(ed. orig. Houses and Gardens,
Londra 1906), pp.6-9
186
di un adattamento storpiato dato che qui la necessaria riduzione è ammessa
e spiegata apertamente con umiltà. Si tratta di una casetta spaziosa e
comoda, non di un palazzo nobiliare in dimensioni ridotte; ma sotto condizioni
economiche vantaggiose si eleva ad una casa di campagna di tutto rispetto, non
ad una imitazione di un cottage.
Il mobilio non presenta segni di lusso che servono a focalizzare l’attenzione
sulle sue ‘caratteristiche artistiche’, piuttosto è semplice e utile. È prodotto per il
suo scopo, ma non necessariamente in un materiale caro e ‘prezioso’. Lo stesso
buonsenso che guida il tutto fin dall’inizio, vieta anche di tentare di imitare
alcune bellezze delle case dei tempi passati. Ovviamente il vecchio viene
studiato con cura, i buoni principi di base che le guidano vengono analizzate
attentamente. Modelli antichi vengono spesso presi come riferimento per
la casa e l’arredamento, ma modificati e adattati secondo le cambiate
esigenze moderne”.
La casa media di oggi invece “non è certo estremamente bella e comoda. Non lo
può nemmeno essere viste le condizioni in cui generalmente sorge. La maggior
parte delle abitazioni più piccole viene ancora progettata e costruita da persone
che non possiedono né conoscenza né abilità e il cui modo di operare e pensare
è totalmente ed esclusivamente materiale e speculativo. Un’abilità più elevata
viene richiesta solamente per la casa di lusso. Ci si dimentica completamente
che la casa semplice può essere realizzata assolutamente comoda e notevole;
che mediante l’espressione modesta della sua bellezza domestica potrebbe
addirittura far vergognare le false pretese delle sue monumentali case vicine!
Ma la colpa non è solo dell’imprenditore edile, anche dell’abitante che si illude
di abitare in modo ‘elegante’, o che si è abituato di abitare come il granchio
eremita in un guscio che non è arredato per la sua comodità, ma piuttosto per il
vantaggio del locatore. […]
Tuttavia colui che è abbastanza leale da riconoscere il disvalore di tali illusioni e
abbastanza saggio da percepire che la piccola casa d’abitazione non è un palazzo
nobile rimpicciolito, colui costruirà ed arrederà secondo principi assolutamente
opposti. Egli non desidera superare il suo vicino di casa in lusso e ‘modo di
vivere’. Egli è convinto che il modo di vivere più semplice ed essenziale sia
quello più valido e ragionevole, che il vero progresso non consista nel arricchire
e complicare l’arredamento, bensì nel semplificarlo verso una praticità efficiente.
Egli considera la casa non come un luogo dove collezionare gingilli, ma un
luogo dove soggiornano gli uomini. Egli pretende innanzitutto, oltre al
comfort, la bellezza che viene ottenuta attraverso delle proporzioni corrette
e non necessita di nessun incremento d’effetto attraverso i mobili. Nelle ampie
superfici della sua spaziosa casa (Heim) egli ordina i suoi pochi mobili,
distribuiti in modo razionale. Egli non mira ad una rinascita della sontuosità
scomparsa di ‘stili’ passati. Una simile ‘rianimazione’ non trova posto qui. Egli è
soddisfatto con lavori di falegnameria modesti ed onesti. Inoltre non si cura
a riempire ogni pollice quadrato delle pareti e del soffitto con tappezzerie; la
laboriosità del ‘decoratore’ (con i suoi lustrare, sagomare e dorare) lo lascia del
tutto indifferente. Tutto questo lo ritrova nelle case dei suoi conoscenti, nei
clubs, negli alberghi. A casa sua [invece] vuole tranquillità. Questo non vuol
dire assolutamente che egli sia contrario a qualunque ornamento decorativo,
ma non deve trattarsi di finzioni di cose preziose come oro, bensì del meglio che
possono dare cuore, mano e cervello, e soprattutto qualcosa di personale
e speciale. Sotto a questi possono esserci per il momento pareti intonacate.
Inoltre ha un colpo d’occhio per l’intimità, per il dettaglio. Egli ricerca disegni
buoni e ragionati, non solo per quanto riguarda la casa, ma anche per i singoli
oggetti, per le forchette e i coltelli, per le porcellane e i vetri, tutto deve essere
pensato. Ma non si ferma qui. La semplicità ed essenzialità di ciò che lo circonda
contribuisce a stimolare la ‘ritualità’ del corso quotidiano. Quando invita
a pranzo un amico, non cerca di colpirlo con il numero delle portate o con
la sontuosità dei piatti. Egli preferisce rimanere in silenzio, fiero della bella
semplicità del suo intorno, orgoglioso non della sua preziosità, ma di qualcosa
di molto meglio: della efficienza e finezza delle linee, colori e superfici.
Nell’arredamento e nei mobili esclude con cura tutto ciò che è superfluo.
Egli non compra un tavolo perché pensa che potrebbe ‘stare bene’ e poi un
elemento decorativo che potrebbe ‘stare bene’ sul tavolo. Con questa stessa
logica estetica sarebbe come comprare prima una trappola per topi e poi un
mucchio di topi in modo che la trappola soddisfi il suo scopo!
Egli non riempie il suo prezioso rifugio con mobili inutili e oggetti della nonna,
dato che sa che genere di tirannie possono causare simili oggetti sui suoi
proprietari, che sono diventati loro schiavi. Non possiedono nessuna praticità
e spesso nemmeno bellezza. Si tratta di divinità domestiche messe lì per la
muta adorazione degli abitanti. Il moderno abitante della casa deve liberarsi
di questi simulacri. Fintanto che questo non avverrà sarà impossibile realizzare
187
un’abitazione intelligente e bella”.
E’ necessario separare gli spazi della famiglia da quelli dei domestici, così come
di quelli per i figli da quelli dei genitori. Inoltre bisogna stare attenti a non
“trasferire la tradizionale ospitalità del palazzo nobiliare nella piccola casa perché
si farebbe un grande danno! Come se la casa fosse in primo luogo destinata
all’ospite che alla famiglia: sale d’accoglienza per gli ospiti. La ‘camera migliore’
deve imporsi, è troppo elegante per l’utilizzo di tutti i giorni. La camera da letto
migliore viene allestita come camera per gli ospiti e quasi mai utilizzata.
Una casa semplice non dovrebbe essere pensata in prima linea per gli
sconosciuti, per l’ospite, ma per gli abitanti. È preferibile un grande ed
alto ambiente principale attorno al quale si raggruppano gli altri ambienti più
bassi. Alcuni in diretta comunicazione con lo spazio centrale, altri invece dove è
richiesta tranquillità e privacy, più riservati. La sala da pranzo può o essere uno
spazio più piccolo e separato, oppure far parte come una specie di nicchia del
soggiorno principale. […]
Importante inoltre è anche l’organizzazione ragionata dei ‘percorsi’
attraverso la casa. Essi devono essere posti senza spreco di spazio in modo da
evitare disturbi e intasamenti. I domestici devono poter raggiungere tutti gli
spazi e l’ingresso senza dover passare per il salone o lo spazio principale. Gli
ospiti che non sono intimi dovrebbero poter essere accolti senza farli passare
attraverso le stanze private della famiglia. I figli dovrebbero godere di un
ingresso separato dal giardino con una scala ad essi dedicata; analogamente
spesso è preferibile dedicare un corpo scale specifico per i domestici. Ma
anche una tale suddivisione non deve diventare esagerata, bisogna pesarne
esattamente i pregi e i difetti. […] Il compito dell’architetto moderno consiste
assolutamente non nel risultare eccessivo, bensì nel studiare e soppesare le
caratteristiche delle case antiche, digerirne gli insegnamenti e quindi applicare
le sue analisi in modo ragionevole.
Troppo spesso la casa più grande degenera ad una sorta di museo privato con
mobili che sono a cura del proprietario. Diviene una sala d’esposizione che
si mostra a gruppi di turisti ammutoliti e ammiranti che ascoltano con falso
interesse il chiacchierio a mo’ di pappagallo del ‘curatore’!
[…] All’epoca in cui le cose belle nascevano spontaneamente, non esistevano
musei e gallerie d’arte! L’intera forza artistica di una nazione era applicata
utilmente nella costruzione, decorazione e arredamento dei loro edifici.
Ricercare con consapevolezza e intenzione uno ‘stile’, sia esso vecchio o nuovo, è
altrettanto sciocco quanto inseguire un adescatore o un abbaglio nella palude.
[…] Si può paragonare lo stile con una pietra preziosa su una fodera: brilla
quando la spada viene estratta durante un duello, ma il guerriero non vi bada
mentre lotta! Lo stile è la proprietà del ‘fiore’ che sboccia solo attraverso
la cura delle sue radici. Colui che tende allo stile è come quello che vuole
colorare il giglio, invece di innaffiarlo.
Le idee nuove si basano sullo studio del passato, non sulla cura di una ‘nuova
arte’ bizzarra che vuole essere ‘originale’ ”.
188
Carl Larsson: Köket-Cucina (1898), Lathörnanangolo accogliente (1894), BlomsterfönstretFiori sul davanzale della finestra (1894)
Carl Larsson, pittore svedese, era amico di
Baltzar Grill, zio di Anna Frank-Sebenius,
moglie di Josef Frank, e aveva ritratto anche
la cugina di lei, Dagmar Grill. Cresciuto in un
quartiere operaio di Stoccolma, ad un certo
punto si trasferì con la famiglia in periferia, a
Dalarna, per vivere secondo dei principi che
egli considerava ideali, lontani dai problemi
della progressiva industrializzazione del
paese, combinando elementi della tradizione
svedese con idee tratte dal movimento arts
and crafts, giapponismo e art noveau.
Frank apprezzava molto Larsson: a casa ne
possedeva alcuni quadri e altri li aveva scelti
per la mostra della primavera del 1912 presso
il Museum für Kunst und Industrie di Vienna.
Rappresentavano scene di vita quotidiana
della sua famiglia mentre cresceva nella
casa e con la casa, mostrando ambienti
chiari, confortevoli, accoglienti, con travi a
vista, pavimenti in legno, un arredo che si è
composto durante gli anni, mobili semplici, e
pieni di oggetti del quotidiano.
I suoi quadri lasciarono una profonda
influenza anche su Asplund.
189
How to plan a house
Josef Frank*
* Josef Frank, How to plan a House. What
demands are basic for a modern house
other than the fulfillment of practical
necessities? How can they be achieved?
(Come progettare una casa. Quali
esigenze sono fondamentali per una casa
moderna piuttosto che il raggiungimento
di necessità pratiche? Come queste
possono essere soddisfatte?).
Si tratta di una delle lezioni che Frank
tenne alla New York School for Social
Research il 13 aprile 1943. La lingua
originale era il tedesco e solo il titolo era
in inglese.
Il testo è stato pubblicato in Johannes
Spalt, Josef Frank 1885-1967. Möbel &
Geräte & Theoretisches, Hochschule für
angewandte Kunst, Wien, pp.156-167
Kristina Wängberg-Eriksson mi ha
gentilmente spedito una seconda
versione del testo, dattiloscritta e con
correzioni a mano, scritta in lingua inglese:
si tratta di una rielaborazione successiva al
1946 e tradotta da Trude Waehner, che
avrebbe dovuto comporre il volume
mai pubblicato Contemporary Art and
Architecture. Rispetto alla prima versione,
viene ampliata sostanzialmente la parte
introduttiva.
190
“Quando qui parlo della progettazione di una casa ho in mente un’abitazione
moderna. credo che questo sia il nostro problema architettonico più
importante. Tutti gli altri edifici, industrie, uffici ecc., servono più o meno
inequivocabilmente a scopi precisi, ed anche le loro forme sono inequivocabili
e prefissate. Con una casa d’abitazione invece abbiamo una moltitudine di scopi
intricati da soddisfare. Aspira ad essere accogliente ed abitabile, ma non siamo
in grado in realtà di dire esattamente in che cosa consistano questi accogliente
e abitabile. Di conseguenza, l’architetto è spinto dalla sua intuizione e deve
essere capace di sentire come poter raggiungere tutti questi scopi. Sappiamo
certamente che un’abitazione consiste in un certo numero di stanze di una certa
dimensione con una certa disposizione di relazione reciproca, ma questo non
è tutto. L’elenco di queste caratteristiche compone il programma edilizio che
chiunque può redigere – il “cosa” di una casa; la meta dell’architetto è invece il
“come”, cioè la fashion di questi desideri, la parte artistica di una costruzione,
non quella economica.
Quello che ho detto riguardo alle qualità caratteristiche di una abitazione
moderna in contrapposizione con quella storica era essenzialmente negativo.
Ho spiegato perché non necessitiamo più di simboli della statica, e come ora,
liberi da queste costrizioni, possiamo progettare le nostre planimetrie molto
più liberamente. Sciolti dall’obbligo di utilizzare certe forme, ogni individuo è
nei principi libero di scegliere ciò che desidera, che ritiene bello e appropriato.
L’unica meta costante e fissa che può adesso esistere per la progettazione è il
miglior modo per soddisfare lo scopo, e in questo rientra anche la modellazione
della forma, che può contribuire moltissimo al comfort. Questo è il compito
peculiare dell’architetto.
Perciò noi ora dobbiamo scegliere le forme in modo che sia possibile il migliore
soddisfacimento dello scopo, forme che possono quindi essere solamente quelle
che consentono uno sviluppo organico, dato che le forme possono cambiare
fondamentalmente solo per rendere possibile un miglioramento. In questo
senso, non esiste architettura senza una tradizione, siccome indubbiamente
può essere conservato un grande numero di forme esistenti. Tutto ciò che è
presente come architettura senza tradizione invecchia molto rapidamente, dato
che contiene troppe modifiche solo per il gusto di cambiare, ed ha perciò a che
fare solo con la bellezza della moda. La causa più frequente di questa passione
al cambiamento per il riformatore totale è il suo desiderio a trovare uno stile
moderno uniforme per il nostro tempo, nonostante essi ascrivano necessità
pratiche a cambiamenti formali.
Per essere precisi, non intendo dire che dobbiamo aggrapparci rigidamente alle
forme che ci arrivano dal passato, ma come ho già detto, non abbiamo bisogno
di uno stile uniforme. La liberazione dall’uniformità nella forma non implica una
rottura con la nostra tradizione, ma solamente un’emancipazione dai vincoli
finora frustranti. Ritengo che all’interno della ricchezza di scelte delle forme
migliori, siano possibili molte variazioni, oggi non meno che in altri tempi; e non
ho bisogno di aggiungere che vi includo anche i concetti di “buono” e “bello”.
Non si tratta sempre solo di una questione di cambiamenti a rendere la nuova
forma “più bella” di quella vecchia, ma anche di trovare una nuova bellezza. Se
l’autore pensa con la propria testa, e quindi in maniera moderna, allora questa
forma sarà moderna in ogni caso senza il pensiero di doverla rendere moderna1.
Se invece pensa in altro modo, allora non avrà mai successo; nelle migliori
circostanze, potrebbe portare avanti una nuova moda transitoria.
All’appello ai costruttori di case che raccomanda loro queste forme moderne
contro a quelle storiche, si può rispondere per convincerli: “alla casa moderna
manca la comodità domestica, pareti dipinte di bianco e cose simili? Ora noi
possiamo avere le stesse cose nella casa moderna senza imitare in alcun modo
le forme storiche che invecchiano presto”. Non ritengo questa argomentazione
molto convincente.
L’utilizzo di forme classiche non è imitazione; è tradizione, e grandi pensatori
da Alberti a Jefferson le hanno preferite dato che per loro queste forme
simboleggiavano ideali umanistici e conoscenza. Chi volesse farne uso, potrebbe
ben reagire a questa accusa che preferisce imitare le forme del Foro Romano che
quelle del Bauhaus di Dessau. Chiunque desideri oggi utilizzare simboli classici
sarà capace di trovare abbastanza buoni motivi per giustificarlo. La questione
qui non è di imitazione, ma puramente del valore simbolico della statica. Questo
non significa più nulla per noi, dato che adesso ci possiamo fidare dei calcoli
costruttivi, e questo ci rende più liberi nello stesso modo in cui siamo liberi dalle
superstizioni e siamo così in grado di pensare e inventare in modo più libero e
anche molto più scientifico.
Ritengo che dobbiamo chiarire al pubblico le attuali motivazioni che guidano
l’architettura moderna, si dimostrerà quindi in che misura quest’ultima ha
avanzato nell’essere accettata. Non dubito che questi pessimi e sofistici
argomenti avranno certe conseguenze. Coloro che vogliono dimostrare le
loro attitudini moderne sono facilmente portati a farlo in un modo che rivela
la moda del giorno; questa è la base essenziale sulla quale sono originati molti
edifici moderni e infatti questo ha anche un valore propagandistico. Ma le loro
forme, che spesso sono solamente legate alla moda, rifiutano uno sviluppo
organico, dato che le forme della moda del nostro tempo sono quelle di uno
stile geometrico uniforme.
Ho anche sottolineato il fatto che su queste basi l’uomo che desidera apparire
moderno oggi siede su sedie squadrate, come se la schiena dell’uomo moderno
abbia da diventare geometrica.
Dato che la nostra architettura moderna si distingue oggi nei principi da quella
storica, non ci deve solo essere un nuovo tipo di educazione per gli architetti,
ma anche il pubblico deve essere reso capace di capire questa architettura.
L’architetto è dipendente dai suoi clienti in misura maggiore che ogni altro artista
191
che può alla fine completare il suo lavoro da solo. Purtroppo un’educazione ben pianificata e
costante del pubblico non è attualmente possibile. l’architettura può essere compresa solo a
caso, e per lo più solo da coloro che sono interessato all’arte. Ma non basta.
L’educazione generale è in gran parte ancora radicata in molte superstizioni, che spesso
vengono chiamate tradizioni o bei costumi antichi, con il risultato che può difficilmente
esistere alcuna possibilità di proporre una reale domanda per l’architettura moderna al
grande pubblico.
Le parti pratica e metafisica del pensiero umano sono in generale divise nettamente tra loro.
La prima è utilizzata nelle questioni che concernono il profitto attuali, la seconda per tutte
le altre. A quest’ultima appartiene l’arte. Rimane quindi il singolo argomento attraverso il
quale l’architettura moderna può essere propagandata – la sua economicità - anche se non
è in alcun modo corretto, è vale solo per coloro che desiderano simboleggiare Puritanesimo
con la loro casa.
Chiunque enunci regole formali rigide per l’architettura moderna che non può essere
fondata su principi realmente funzionali, e chi perciò non è in grado di scegliere ogni forma
come la migliore e la più bella per il suo scopo, potrà convincere solamente gli esteti. Come
vediamo spesso oggi, costui userà forse, sulla base dei principi, solamente pareti vetrate,
nonostante esse siano certamente non economiche, a parte il fatto che in molte località
sono insopportabili e sgradevoli per molte ragioni. L’attaccamento a tali regole, che non
possono basarsi sulla tradizione, non ci dà ciò che intendiamo per architettura moderna.
Per essere sicuri, uno può trovare una razionalizzazione pratica per tutto, come per esempio
il fatto che l’uomo moderno desidera avere più luce e vivere in contatto con la natura. C’è
molto di corretto in questo; l’uomo moderno nella sua moderna casa può ottenere tutto
ciò in modo molto più facile rispetto a quanto fosse possibile nella casa storica, tuttavia egli
desidererà avere solo tanta luce quanto necessita e rendere il suo contatto con la natura
come lo vuole. Tutto questo non deve avvenire come moda stereotipata.
L’uomo moderno desidera anche cambiamenti. E’ la nuova compulsione verso qualità
totalitarie di stile a non incoraggiare gli uomini a rinunciare alle vecchie compulsioni.
Abbiamo infatti una dimostrazione di ciò nell’esperienza degli europei nella sfera politica.
Se vogliamo confortare noi stessi in questo momento con il pensiero che in ogni momento
furono gli snobs che per primi hanno sostenuto ogni arte moderna, essi sono ancora gli unici
che sono interessati ad esso.
La principale caratteristica negativa dell’architettura moderna deve la sua influenza al
metodo di insegnamento. Esistono due tipi di educazione dell’architettura, una che si può
chiamare positiva e l’altra negativa […]”. Vedi prima versione.
192
PRIMA VERSIONE DI HOW TO PLAN A HOUSE:
Quello che ho detto a proposito dei principi dell’Architettura moderna era principalmente
negativo, cioè erano le spiegazioni del perché certi elementi dell’architettura storica non
vanno più utilizzati. Sono dell’opinione che se bisogna cambiare le forme ci debba essere
un motivo. L’artista, certo, segue la propria intuizione personale, però tutte le cose che
servono all’utilizzo necessitano in realtà di un cambiamento solo se questo può
migliorare il soddisfacimento del loro scopo. Tuttavia non si ripeterà mai abbastanza
che ciascuna forma, se non è calcolata, ha un valore simbolico. In un’epoca che pensa
scientificamente, questi simboli consistono nella rappresentazione di come ogni scopo
possa essere raggiunto con i minori mezzi possibile. A tal fine per esempio una finestra ad
arco è una forma non moderna, poiché sappiamo che possiamo realizzare la più grande
apertura anche con una trave diritta.
Esistono due metodi di insegnamento all’Architettura, che io vorrei chiamare positiva e
negativa. Quella positiva consiste nel mostrare allo studente come deve fare ogni cosa, che
il più delle volte significa seguire il modo dell’insegnante. Quest’ultimo ha trovato la propria
forma personale sulla base delle sue esperienze e delle opinioni che si è formato dopo aver
riflettuto.
Gli studenti, se possono farlo, scelgono un professore che per qualche ragione gli sta
simpatico, in cui vedono un futuro dell’arte del costruire. A scuola vengono forniti con
risultati già pronti, quelli ai quali è giunto già l’insegnante, e all’interno di questa struttura
possono poi provare diverse variazioni; questo è l’insegnamento accademico. Un tempo gli
studenti imparavano con questo metodo a costruire in tutti gli stili, imparavano le regole e
lavoravano seguendo i manuali, dai quali prendevano i motivi da combinare. L’insegnante
spiegava loro se i motivi stavano bene assieme oppure no.
L’insegnamento moderno positivo non è molto diverso. Lo studente impara probabilmente
cose più pratiche, tra cui anche ciò che l’insegnante intende per il vivere dell’uomo moderno,
poiché data la sua giovane età lo studente ha poca esperienza a riguardo. Questa è una delle
ragioni per cui il talento all’architettura si mostra così tardi.
Colui che pensa autonomamente non prenderà per buono questo talento acriticamente,
prima di crederci vuole prima provarla in prima persona. In seguito lo studente impara un
determinato mondo delle forme, ancora privo di tradizione, e che venne creata sulla base
delle speculazioni personali del professore. È impossibile per lo studente crederci, tuttavia
deve aggrapparvisi spasmodicamente per non perdere qualunque appoggio; la sua
fantasia può esprimersi solo all’interno di limiti molto stretti; più stretti sono, meno è libero
di esprimersi, ancora meno rispetto alle vecchie scuole dove almeno aveva a disposizione
diversi stili da poter scegliere.
Se l’allievo non riesce ad opporsi al proprio insegnante, rimarrà tutta la sua vita uno studente,
cioè significa che le sue opere dipenderanno sempre da quelle del professore. Ad ogni riga
che disegnerà penserà, se mai lo farà, a come l’avrebbe fatta l’insegnante. Per riuscire ad
opporsi deve imparare a pensare liberamente perché altrimenti non avrà nessuna possibilità
di servirsi di proprie esperienze personali.
Tuttavia, come compenso per la perduta autonomia, lo studente riceve già a scuola la
possibilità di fare qualcosa di “speciale”, egli viene istruito, come si suol dire, alla vita reale, e
193
spesso raggiunge persino risultati maggiori rispetto a quello che deve cercare con fatica la
propria strada da solo, spesso sbagliando e anche per tutta la vita, cosa che gli richiede un
gran dispendio di energie e tempo. È chiaro che il metodo per cui vengono date ricette e
regole certe e assolute per arrivare a dei risultati soddisfacenti in modo più rapido, è quello
oggi che ha maggior consenso, e non solo dal punto di vista commerciale.
Nell’ideologia totalitaria di oggi sempre più estesa, si tende spesso a evitare di pensare e a
introdurre di nuovo condizioni scolastiche medioevali, risvegliare il sistema delle capanne
(Bauhütte) dove lo studente riceve un insegnamento mistico-pratico che deve seguire.
Questo viene motivato con il fatto che dobbiamo ricercare di nuovo uno stile unitario e che
le opere individuali del Rinascimento e dei suoi seguaci erano un male.
Nella tendenza ad opprimere ogni espressione individuale, ciascuna opera dovrebbe
nuovamente diventare manifestazione di una totalità collettiva, come avveniva
presumibilmente nel Medioevo. Più rigide sono le regole, più facile sarà esprimere
questo volere collettivo ed evitare i capricci individuali. Così si traveste il tentativo di fare
dell’Architettura moderna un simbolo della reazione.
Non credo che questo metodo di insegnamento positivo sia corretto, ed anche i risultati
lo confermano. Non ritengo giusto anteporre allo studente un sistema già pronto,
soprattutto se non ha una base nella tradizione.
Mi sembra che tutta la disgrazia della nostra Architettura moderna e anche dell’artigianato sia
in gran parte dovuta a questo metodo di insegnamento. Non sono nemmeno dell’opinione
che nelle scuole debbano essere raggiunti dei risultati utili, ritengo piuttosto che la scuola
serva a stimolare lo studente a pensare autonomamente e a mostrargli come si fa;
egli arriva a scuola con molti pregiudizi che costituiscono le esperienze avute fino ad allora;
quello che egli conosce sono le case in cui ha vissuto e che ha visto; quello che all’inizio
può fare da solo, sono variazioni di questi elementi casuali. In parte vuole mantenerli, in
parte vuole modificarli, dato che è un uomo pensante e quindi insoddisfatto e di spirito
riformatore. Come fare tutto ciò non lo sa con precisione, siccome non ha ancora cominciato
a vivere una vita propria, e ciò che gli si dirà, se saprà riflettere, non lo crederà, e spesso a
ragione.
Non credo che l’insegnante più bravo sia quello che non ha ancora una convinzione troppo
limitata, quanto piuttosto quello che è ancora capace di svilupparsi e che lo vuole anche e lo
ricerca; per lui ogni nuovo compito sarà un nuovo problema per il cui risultato esisteranno
diverse possibilità.
Egli può perciò venire incontro alle idee dei suoi studenti, anche quando contraddicono le
sue stesse opinioni, dato che non sa ancora a quali risultati lo porteranno. Il suo metodo di
insegnamento sarà quello negativo.
Egli pregherà gli studenti ad esprimere le proprie idee, senza tener troppo conto se hanno
un senso o meno, dato che spesso saranno costituite da pregiudizi; e pezzo per pezzo questi
pregiudizi andranno eliminati, e non in un modo in cui l’insegnante spiegherà come, bensì
perché.
Le nuove possibilità devono venir combinate dallo studente stesso con la sua fantasia; non
importa se a volte dispererà per non sapere e crederà di non aver studiato; finchè gli verrà
in mente che ha imparato a riflettere, così che ogni nuovo lavoro per lui è un problema che
deve iniziare dall’inizio (Uranfang).
Certo constatiamo che spesso alcuni metodi di insegnamento cattivi e antiquati, che non
insegnavano niente altro che gli stili, erano comunque migliori rispetto a certi moderni
194
con scopi pratici, se entrambi infatti sono positivi. Non è ancora passato molto tempo da
quando gli insegnanti erano ancora molto attaccati alla loro architettura storicista, che per
gli studenti della generazione successiva era invece già morta, e che perciò non potevano
credere al proprio professore. Tuttavia è proprio questa nuova incredibile generazione che
diede vita all’Architettura moderna; quando invece iniziò ad imporre i propri risultati ottenuti
come regole, l’Architettura divenne improvvisamente rigida, gli studenti divennero imitatori
e rimasero studenti perché non ebbero la necessità di pensare autonomamente.
Non intendo naturalmente dire che l’architetto non ha bisogno di conoscenze pratiche; non
è però compito della scuola insegnare e far imparare a memoria cose che ci si può guardare
da soli nei manuali; nella pratica vengono richieste molte di tali conoscenze e vi è perciò
il pericolo che vengano valorizzate talmente tanto che non rimane più nulla per il reale
compito dell’architetto, che è costruire bene e bello. Tali conoscenze pratiche, come per
esempio le leggi della costruzione, possono essere studiate da chiunque e chi lo fa – il cliente
e i burocrati, cioè le due istanze da cui dipende l’architetto - naturalmente ritiene siano le
più importanti. Queste due potenze, che raramente si interessano a ciò che l’Architettura
realmente è, incastrano talmente l’architetto che egli deve essere già solo contento se riesce
a destreggiarsi tra gli scogli dell’economicità e delle leggi urbanistiche.
Il sapere è molto meno importante della comprensione; infatti quasi tutti gli architetti
che hanno dato vita alla direzione moderna, sia nel passato che nel nostro tempo, quando
hanno deciso di diventare architetto hanno avuto delle conoscenze specializzate molto
esigue; non hanno quasi mai studiato l’arte del costruire, e piuttosto si sono formati in
un’altra professione artistica; cito come esempio solo Brunelleschi, Alberti, Michelangelo. Le
conoscenze pratiche possono essere imparate da chiunque, la fantasia no.
Questo vale anche per le costruzioni più difficili, per il cui calcolo e realizzazione l’architetto,
non sapendolo fare, si serve dell’ingegnere, completamente l’opposto di quello che
dovrebbe essere un ingegnere; poiché in genere è un uomo senza fantasia e senza alcuna
comprensione per la forma, nel migliore dei casi può solo essere un buon assistente.
Quello di cui necessita l’architetto è solo la comprensione della costruzione; egli deve saper
pensare in modo costruttivo, altrimenti diviene un decoratore. Perciò anche l’insegnamento
deve contribuire a fargli imparare il pensare in modo costruttivo, e per fare ciò l’architetto
deve imparare anche molte cose che in seguito non gli serviranno più; non è necessario, anzi
è dannoso, fargli imparare tutte le costruzioni moderne in uso oggi, che sono calcolabili, ma
poco comprensibili a prima vista. No, l’insegnamento deve affrontare le costruzioni
primitive nei materiali naturali, con giunzioni in muratura e in legno, perché anche
se oggi vengono utilizzate molto raramente, tuttavia sono costruzioni che lo studente
non solo capisce, ma che può anche sviluppare da solo senza necessitare di molte
conoscenze preliminari, e una volta comprese sarà in grado di capire anche le costruzioni in
ferro e cemento e saprà utilizzarle in modo corretto e addirittura in modo nuovo.
Al contrario invece, qualunque insegnamento decorativo è sbagliato, poiché non si rivolge
alla ragione, quanto al gusto che è ancora da formarsi; questo vale sia per il vecchio metodo
di insegnamento che consisteva nel copiare gli ornamenti storici, così come per quello
attuale che cerca di trovare un effetto decorativo “dal materiale”. Quest’ultimo metodo
consiste nel combinare senza senso materiali come carta, vetro e lamiera, che non hanno
niente a che fare l’uno con l’altro e poi unirli in modo non costruttivo diventando delle
cosiddette “costruzioni”. Questo tipo di insegnamento è ancora più fatale, dato che qui
195
vengono dati per costruzioni quelle che in realtà sono decorazioni, cosa che causa ancora
maggiore confusione attorno a questi due termini; forse si otterranno certi effetti da questo
metodo, che però nel migliore dei casi saranno utilizzabili come arrangiatori di spese
(Auslagenarrangeure), ma anche per questi sarebbe più sano un ragionare più obiettivo
(sachlicheres Denken).
L’ornamento classico aveva almeno una sua logica interna, per ogni elemento costruttivo
sul quale era usato aveva il suo proprio carattere; poteva aiutare a simbolizzare la statica,
non era mia una indifferente “decorazione fine a se stessa”. Per questo motivo ha una grande
importanza l’insegnamento degli stili storici, soprattutto quelli classici il cui sistema di
simboleggiare la statica è perfettamente logico. Non si tratta di imitare queste forme,
primari; anche se le comprende, si tratta piuttosto di qualcosa che non riusciamo appunto a
ma di capirne la logica; la costruzione moderna dovrebbe possedere la stessa
logica anche senza l’utilizzo di questi simboli, ciò significa che ogni elemento
deve essere spiegabile all’occhio e comprensibile, e assieme agli altri formare una
complessiva armonia. In questo modo lo studente impara il pensiero formale, così come
essere comprensibili a prima vista dall’osservatore senza bisogno di alcun commento che ne
spieghi il valore pratico. Egli utilizza a riguardo forme simboliche che appartengono ad una
determinata epoca, come per esempio i simboli statici dei diversi stili, ma anche quelli che
valgono per qualunque epoca e che si riferiscono alle funzioni abitative.
È stato detto più volte che gli architetti di una volta per le facciate lavorassero dall’esterno
verso l’interno, e che invece quelli moderni viceversa; per i primi probabilmente questo è
vero, ma ciò che intendo per architettura moderna sorge contemporaneamente all’interno
e all’esterno nella visione del progettista. Nessun vantaggio all’interno può scusare una
cattiva facciata dato che l’esterno di una casa esiste per molte più persone che l’interno.
impara il pensiero costruttivo al meglio da quelle costruzioni di cui necessita altrettanto
poco come dei loro simboli.
Ho già spiegato che non erano i nuovi metodi costruttivi che pretesero nuove forme prive
di simboli, bensì la nuova ideologia, alla cui formazione del resto contribuirono i metodi
costruttivi scientifici. Sia l’acciaio che il cemento armato avevano da tempo dimostrato la
loro validità, ancora prima che vi fosse la necessità di una nuova forma; anche gli stili storici
erano cambiati, senza che fossero necessarie nuove costruzioni per il soddisfacimento di
uno scopo pratico; da questo punto di vista tutti gli intermezzi tra il periodo classico e quello
classicista erano inutili.
Ho anche fatto notare come qualunque abitazione moderna che oggi viene costruita
con struttura in acciaio, poteva essere fatta in legno nella stessa forma in un qualunque
altro periodo storico; parlo solo della casa d’abitazione, che deve essere la base per ogni
architettura moderna, dato che è l’unico edificio che serve per i bisogni degli uomini e non
delle divinità o del commercio; qui ciascuno può fare le proprie singole esperienze.
La casa d’abitazione è l’edificio che nella nostra epoca si avvicina di più ad un’opera d’arte,
dato che è quello che è più fine a se stesso rispetto agli altri edifici che servono ad uno
scopo preciso come la produzione oppure la conservazione di qualcosa; hanno lo scopo di
rendere possibili le case d’abitazione, cioè a mettere a disposizione i mezzi necessari affinché
questo avvenga. Nessun uomo rimarrà in questi edifici un solo attimo in più del necessario
per raggiungere lo scopo, poiché non sono fatti per gli uomini. Lo stesso vale anche per i
monumenti del nostro tempo che sono calcolati solo se servono per la grande collettività
e se il loro scopo di rappresentare interessi spirituali di fronte al bisogno non è troppo
importante. Deve mostrare al popolo che lì vi accade qualcosa che è di suo interesse.
La casa d’abitazione invece esiste solamente per gli uomini, e cioè per il vivere;
questo è un concetto indefinibile che ha per le diverse persone significati differenti e
perciò esistono così tante possibilità di variazione. Questo “vivere” si può suddividere, come
spesso avviene oggi, nelle diverse attività fondamentali dell’uomo per ottenere una forma
abitativa scientificamente determinata; esse sono mangiare, dormire, lavorare e riposare; ci
viene spesso detto che la casa moderna deve tener separate tutte queste funzioni abitative
e soddisfare poi ciascuna al meglio singolarmente; tuttavia, appunto, ciò che io voglio
chiamare il “vivere” va di gran lunga oltre al mero soddisfacimento dei bisogni
196
definire, quello che dà un senso a ciascuna vita, che la libera dal soddisfare burocraticamente
quelle funzioni. Un insieme di stanze, anche se perfettamente adatte a ciascuna di queste
determinate funzioni abitative, è ancora molto lontano dall’essere un’abitazione buona,
bella e confortevole. L’uomo che riuscirà a soddisfare bene tutte queste funzioni, non è detto
che sarà perciò felice, anche se non avrà altri bisogni.
La differenza tra un allineamento di stanze e una abitazione risiede nella sua forma.
L’architetto realizza le sue forme nella stessa maniera dello scultore, solo che
lavora con forme astratte che hanno un significato simbolico. Queste forme devono
L’architetto è un modellatore che forma allo stesso tempo le parti concave e quelle
convesse.
Né l’osservatore né l’abitante dovrà mai credere che un certo elemento nella casa fosse
fatto per uno scopo particolare, la forma deve sembrare ovvia. Se per esempio vediamo
una finestra che distrugge l’armonia della facciata, non deve essere giustificata con il fatto
che era necessario collocarla lì; la logica dello spazio deve andare d’accordo con quella della
facciata. La forma della casa non è costituita dalla decorazione della sua facciata; l’architetto
deve poter pensare in modo tridimensionale, la sua visione delle cose perciò è più prossima
a quella dello scultore che non a quella del pittore, il quale realizza proiezioni. Perciò i lavori
di modellazione saranno molto utili per lo studio dell’Architettura.
Dalla storia dell’arte sappiamo che l’Architettura e la scultura sono due ambiti di cui si
poteva occupare lo stesso artista, Architettura e pittura invece non erano unibili dato che il
modo inconscio di osservare e pensare del pittore è diverso da quello dell’architetto e non si
possono modificare come si vuole.
La medesima formazione come scultore la vorrei pretendere anche per ogni altro artista
che realizza oggetti tridimensionali; il fatto che questi vengano oggi progettati spesso
in maniera così incomprensibile dipende di nuovo dalla insoddisfacente formazione del
disegnatore, il quale ha una scarsa conoscenza del materiale e delle sue possibilità formali,
che invece venivano insegnate dall’artigiano durante la modellazione.
La formazione del designer oggi è troppo impegnata ad insegnargli solamente la materia
in cui si sta specializzando, ciò significa a camuffare al meglio i bisogni pratici in forme alla
moda. Tuttavia viene data troppo poca importanza al significato delle regole formali; questa
scarsa formazione viene sostituita qua e là solo attraverso una forte tradizione formale, che
però manca al disegnatore nel mondo della nuova cultura. In ogni caso un specializzazione
che avviene troppo presto è comunque sbagliata.
Il giovane che decide di esercitare la professione in una delle arti applicate solitamente non
sa ancora per quale delle tre è più portato, egli sente semplicemente l’aspirazione a dedicarsi
197
all’arte in generale. Un passaggio da un’arte all’altra deve rimanergli sempre libero, e perciò
è sbagliato far rientrare il lavoro dell’architetto nell’ambito delle tecniche e non delle arti. Le
conoscenze pratiche possono essere recuperate da chiunque, il talento artistico è innato.
Anche se prima ho detto che l’Architettura spesso non è un’arte, può essere esercitata
solamente da artisti dato che solo loro hanno quella forte intenzione che non lascia spazio
a nessun altro interesse.
L’Architettura moderna si è sviluppata a partire dalla casa d’abitazione, poiché qui
vi è una necessità maggiore a dare ad ogni elemento il proprio carattere speciale rispetto a
qualunque altro edificio che serve bene o male per la stessa occupazione di tutti gli uomini
che vi permangono per questo scopo.
I simboli della statica sono certo scomparsi, tuttavia ogni elemento costruttivo, ogni
porta, ogni finestra, ogni gradino deve avere un proprio carattere simbolico-abitativo
(ein wohnsymbolischen Charakter) che va di gran lunga oltre le proprie esigenze primitive,
il rendere possibili i percorsi oppure permettere un facile ingresso. Perciò la porta deve
esplicitare se attraverso di essa si entra nella casa o si esce, la finestra se essa si trova in una
stanza atta alla permanenza oppure di attraversamento, e così via.
Queste regole dell’espressione della funzione attraverso la forma erano note un tempo per
mezzo della tradizione e venivano sempre rispettate, quando non ostacolate dai simboli
della statica e dalle loro esigenze decorative. Oggi sono dimenticate e vengono persino
consciamente trascurate poiché viene valorizzato molto di più l’utilizzo pratico che si lascia
esprimere in denaro.
La casa moderna dovrebbe fornire all’abitante la maggiore libertà possibile,
ciò significa che non deve essere costretto dallo spazio ad una vita rigida; una simile casa
libera non è più costituita da una zona giorno e stanze secondarie, si tratta invece di una
casa d’abitazione, a cui, come insieme, vengono fatte le stesse richieste che oggi vengono
spesso appuntate ai salotti. La casa dovrebbe dare la possibilità all’abitante di abitare in una
maniera che per le sue condizioni è la migliore e la più libera, una maniera della quale spesso
egli stesso non ha conoscenza anche se inconsciamente la desidera.
La casa certo non formerà una nuova società attraverso la sua forma, però sicuramente
potrà contribuire a stimolare l’uomo a pensare liberamente. Se riesce a comprendere
come poter eliminare le convenzioni, i pregiudizi e i simboli che sono talmente antiquati che
una loro rimozione gli farebbe solo che bene, allora sarà sicuramente in grado di ritenerlo
desiderabile anche in altri ambiti.
A tal fine dobbiamo dapprima smettere di credere alla necessità dei rigidi simboli degli
architetti storici e poi l’immediata regolamentazione di un nuovo ordine. Dobbiamo smetterla
di credere che le nostre nuove abitazioni siano una continuazione migliorata di quelle
passate. La nuova forma abitativa non è assolutamente sorta dall’appartamento
borghese del secolo XIX°, bensì dall’atelier dell’artista che si trova nella soffitta,
l’appartamento bohemien. Qual è la differenza? L’abitazione normalmente era un
allineamento di stanze. L’atelier però era uno spazio irregolare più alto nel sottotetto, con
finestre collocate in modo casuale, che in genere erano state tagliate così non tanto per
ragioni di illuminazione quanto per via di una complicata architettura della soffitta. E in
questo spazio, che non venne mai pianificato, ma sorto casualmente come spazio di risulta,
economico e primitivo, dato che non è considerato abitabile dalle autorità, venne inventata
l’abitazione moderna. In questo spazio senza forma l’abitante creava le pareti spesso per
198
mezzo di armadi e tende, lo suddivise attraverso soppalchi in due livelli e formò alla fine un
complesso abitativo irregolare e tutto questo casualmente.
Non credo che la stanza rettangolare sia sorta per il fatto che sia quella più adatta all’abitare
dato che in realtà gli angoli retti producono una costrizione; le forme rettangolari sono
stati imposti per necessità in modo da poter allineare una accanto all’altra le case in città a
formare una strada; tuttavia sappiamo anche che il volere le strade diritte divenne esagerato
al fine anche qui di rappresentanza. Più le strade sono irregolari, più la città è vivibile.
Tuttavia, se anche per la città esistono delle esigenze che interessano la collettività, come
soprattutto di traffico e immobiliari, che spesso pretendono strade diritte per comodità, e
di frequente anche senza motivo, questo non vale invece per la casa d’abitazione. La nostra
tecnica moderna ci permette qualunque libera suddivisione all’interno.
Non c’è da sorprendersi se gli uomini cercano riposo dalle comodità della città nella primitività
della campagna e spesso si trovano meglio ad abitare in capanne sorte casualmente e mulini
riadattati piuttosto che nella casa completamente pianificata e suddivisa scientificamente
a seconda delle funzioni abitative. Il credere ad un ordine sistematizzato è sorto da
un’educazione imposta.
Sono dell’opinione che se l’architetto prende la matita e disegna senza pensare un
qualunque poligono, che dovrebbe rappresentare la pianta di una stanza, questo sarà in
genere sempre meglio che se si cruccerà sulla base di diverse teorie. Una pianta rettangolare
è certo la più “semplice”, ma anche la peggiore, e in queste proprietà viene superata solo
dalla pianta quadrata. Si tratta di una presunta esigenza di un simbolo di ordine, ma non
dell’ordine stesso, un simbolo che nuoce all’utilizzo degli spazi, cioè al loro comfort; essi sono
impersonali e perciò adatti a chiunque, in modo simile ad una cella nella prigione.
Già tempo fa avevo fatto notare come l’utilizzo di forme geometriche per ogni cosa voglia
in realtà trasformare tutto il mondo in una prigione; e con lo stesso ragionamento sorsero
anche teorie di illuminazione che pretendevano che ogni stanza dovesse essere illuminata
nello stesso modo, cosa che suona molto illuminante, ma che è inutile e sciocca quando non
si possiede una ideologia totalitaria. Sicuramente riterrei importante che ogni stanza abbia
possibilmente una finestra per ogni direzione del sole in modo da ridurre la sensazione di
prigionia. Fare questo è quasi sempre possibile, e altrimenti lo si può ottenere attraverso
delle piccole estensioni che vi alludono simbolicamente; questo era il senso dei baywindows. Come già detto, ogni elemento non ha solo un significato pratico, ma anche uno
simbolico.
Certo non possiamo comporre una casa solamente attraverso casualità, serve una
progettazione molto consapevole in cui dapprima devono essere soddisfatte le esigenze
pratiche. Non dobbiamo illuderci che le forme abitative locali nei diversi paesi e territori
fossero sempre il meglio per i popoli, così che noi ci dovessimo riferire a questi. La casa
moderna sarà ovunque la stessa, eccetto che per piccole differenze che dipendono dal
clima e dallo spazio a disposizione. I modi di abitare nazionali scompariranno, dato che le
loro caratteristiche spesso sono cattive e antiquate, anche se ancora sopportabili da quegli
uomini che non sono abituati ad altro e che non conoscono altro. Non vi è alcuna ragione
per cui uomini di diversi paesi debbano abitare in modi differenti, dato che ovunque esigono
la stessa comodità.
Nel secolo XIX° questa esigenza era soddisfatta al meglio dalla casa inglese poiché era nata
da principio per una cultura borghese democratica; venne perciò accettata ovunque e si
irrigidì. Infatti è quasi da dire tragico il fatto che l’Inghilterra, alla quale dobbiamo quasi tutte
199
le influenze migliori per quanto riguarda la cultura abitativa e la costruzione della città, sia
rimasta ferma ai suoi vecchi risultati e non sia in grado di svilupparsi e perciò adotta a caso i
peggiori esempi da ogni parte. Perché vi si aggiunsero nuovi influssi che non fu più in grado
di assorbire, soprattutto quelli giapponesi che fino ad allora erano sconosciuti; questi ultimi
insegnarono agli europei una nuova leggerezza e flessibilità, cioè l’incontrario dei rigidi e
pesanti simboli rinascimentali; dimostrarono in particolare che non tutto doveva rimanere
così com’era stato fino ad allora, che potevano esistere anche altri sistemi dotati persino di
una tradizione; ma più di tutto il Giappone ci insegnò lo stretto rapporto con la natura che
l’europeo fino ad allora – e spesso ancora oggi - aveva compreso solo nella casa di campagna
e nella primitività.
Vorrei spiegare l’organizzazione della casa moderna come una strada (Weg), intendo cioè
dire che l’essenza di una buona abitazione consiste nel modo in cui si entra e ci si
muove nella casa. La pianta è analoga ad una città cresciuta in modo organico: è costituita
da strade principali, secondarie e piazze, che dovrebbero tutti essere caratterizzati in modo
che non si abbia mai la sensazione di potersi perdere. Se la casa è disposta correttamente, il
visitatore che vi entra per la prima volta riuscirò a trovare subito il percorso per raggiungere
ogni stanza. A tal fine è necessario che ciascuna di queste stanze venga caratterizzata in
modo che attraverso la sua forma e la sua illuminazione si possa comprendere in quale
direzione debba essere percorsa oppure se è destinata alla permanenza.
Una delle regole più importanti perciò vuole che il percorso sia continuo, che la linea retta
venga interrotta in punti precisi e che ogni cambiamento di direzione sembri motivato.
Soprattutto è necessario che non si proceda mai a ritroso e che non si debba fare lo stesso
percorso due volte o ancora che si debba salire delle scale e poi di nuovo scendere, cosa che
creerebbe confusione.
Se ancora una volta sottolineo che l’effetto più grande, cioè l’abitabilità (Wohnlichkeit), deve
essere raggiunto attraverso il minimo, non intendo dire con quei mezzi sufficienti appena
a rendere possibile una vita in questa casa, cioè che ogni stanza debba essere ridotta al
suo minimo consentito. Intendo dire che ogni percorso che debba essere fatto due volte
simbolizza uno spreco e provoca un disagio estetico. Non si tratta di rendere ogni stanza
la più piccola possibile, bensì di evitare spazi morti i quali non sono giustificabili né da un
punto di vista pratico né estetico. Una camera può anche avere dei punti in cui non si va mai,
ma, dato che contribuiscono alla sensazione di ampiezza, sono necessari e utili.
La casa dovrebbe essere collocata a terra e non vi dovrebbero essere dei gradini che
portino alla porta di ingresso; questa è una regola fondamentale per ogni abitazione in cui
hanno da entrare gli uomini; l’unico edificio in cui erano da sempre consentiti i gradini era
il tempio greco, la casa della divinità, in cui gli uomini non potevano entrare e per questo
venne separato dal suolo per mezzo di scale. Questo tempio, che per la sua perfezione
divenne modello di riferimento per tutta l’Architettura, ha perciò causato grandi guai
perché il significato di questi gradini non venne capito. Per questo quasi tutti i monumenti
moderni sono dotati ancora oggi di gradini e questi vennero poi trasferiti anche sulle case di
abitazione, quando queste vennero monumentalizzate.
Il risultato di un ulteriore fraintendimento del tempio è la sua monumentale simmetria.
Qualunque casa, la cui porta di ingresso si trovi al centro di una architettura simmetrica,
risulta confusionaria, poiché colui che vi entra non sa dove deve andare, quello che la
facciata dovrebbe rendere chiaro rende invece la pianta poco chiara.
La natura che circonda la casa dovrebbe essere trasferito all’interno gradualmente e in modo
200
discreto. A tal fine servono spesso poche trasformazioni: il pavimento e la piantumazione
diventano regolari, e la porta è collocata in una nicchia che prepara all’ingresso mentre ci
si trova ancora all’esterno. Se a questo aggiungo che la casa debba costituire un’armonia
con la natura, non intendo dire che essa vi si debba adattare; non esiste nessuna natura che
pretende una determinata forma della casa in modo da combaciare con essa.
L’architetto crea forme diverse dalla natura; possiamo addirittura definire l’Architettura
come un ordine della natura e questo attraverso forme sue proprie; più differenti sono
le forme architettoniche da quelle della natura, migliori esse saranno, questa è il grande
insegnamento dell’arte classica. La casa dovrebbe adattarsi alla natura per mezzo della sua
forma allo stesso modo di come in una città ha da rispettare le case vicine. Tuttavia non
necessitiamo di una uniformità costretta attraverso un materiale rustico né per mezzo di
alberi affiancati all’architettura.
Una volta che siamo entrati nella casa e che ci siamo separati dalla natura, inizia il percorso
progettato verso lo spazio abitativo (Wohnraum). Se esistono dei corridoi in cui non ci
si dovrebbe soffermare, allora essi dovrebbero essere percorribili nel senso della loro
lunghezza e dovrebbero essere illuminati in modo uniforme sui lati lunghi in modo che non
vi si crei un centro. Una stanza invece destinata solo ad una breve permanenza oppure ad un
cambiamento di direzione dovrebbe essere più quadrata dato che questo le conferisce una
forma più invitante.
L’ingresso al soggiorno dovrebbe essere chiaramente visibile, è collocato di fronte alla porta
attraverso la quale siamo entrati nell’atrio e non in una delle sue pareti laterali. Se questo
ingresso è una porta, allora essa è da caratterizzare come la porta di ingresso, va collocata
cioè in una nicchia, per la quale spesso basta anche solo lo spessore del muro. Il soggiorno è
il centro della casa, analogamente come in una città la piazza principale, ma con la differenza
che esso non è necessario sia collocato al centro dato che non esiste per la collettività che
vi abita attorno. E allo stesso tempo questo centro possiede al suo interno un altro centro
che conferisce al salotto il proprio carattere. Solo così tutte le decorazioni, che in fondo non
erano nient’altro che tentativi di conferire allo spazio un carattere, divengono inutili. Un
tempo il centro era costituito dal camino, che rappresentava nel soggiorno il luogo naturale
del riunirsi; oggi non è più necessario e perciò lo spazio deve essere dotato di una forma
in cui è subito individuabile in esso un luogo per il riposo (Ruheplatz); esso può essere più
illuminato rispetto al resto della stanza, ma anche più scuro, basta che sia diverso e non vi
devono essere dubbi quale esso sia: deve essere percepibile.
La strada che dobbiamo percorrere attraverso la casa possiamo farla a volte anche per mezzo
di scale, in modo che le stanze siano collocate su differenti livelli e che abbiano diverse
altezze, cosa che può conferire loro una migliore caratteristica e fornirci una sensazione di
vivere in uno spazio tridimensionale. La rampa ha da essere collocata in modo che il suo
inizio si possa vedere direttamente da ogni punto della casa dal quale accediamo, senza che
dobbiamo aggirarla. Dobbiamo avere la sensazione, percorrendola, di andare sempre avanti
e non a ritroso. Attraverso l’interruzione delle rampe in più di un pianerottolo possiamo
cancellare un effettivo tornare indietro nel percorso, e distruggere ogni orientamento per
mezzo di una scala a chiocciola.
Tutti questi elementi costruttivi, che alludono simbolicamente ai passi (Durchschreiten) della
casa, debbono essere pensati bene, poiché costituiscono la vera architettura della casa,
se questa ha da essere qualcosa di più di un semplice accostamento di stanze. A tal fine
bisogna certamente tener conto che tutto questo deve essere suggerito in modo naturale e
non costretto, in modo che l’intento non sia troppo facile da scoprire, altrimenti è possibile
201
che la casa diventi teatrale. Questi mezzi allo stesso modo hanno da essere il mistero della
composizione, così come deve avvenire nella costruzione di un quadro di cui ho parlato
prima.
La finestra estende otticamente lo spazio aprendolo verso esterno e modificandone la sua
forma. Bisogno perciò porre attenzione su quale parete è collocata e in quale direzione
debba essere aperta, se lungo la sua lunghezza o l’ampiezza. La finestra non serve a dare
la maggior luce possibile, e nemmeno la luce più uniforme, bensì quella illuminazione che
noi vogliamo. Se si tratta di un buco (Loch) con una cornice in muratura, allora la forma della
stanza verrà conservata. Se invece l’apertura si protende fino alle pareti laterali oppure va dal
pavimento al soffitto, allora sfonda lo spazio e lo collega con il mondo esterno. Nessun buco,
per quanto grande sia, può sostituire un tale effetto; perciò questi due tipi di finestre hanno
effetti molto diversi.
La forma naturale per una finestra rimarrà per noi sempre quella orizzontale, dato che
viviamo in una natura orizzontale e i nostri occhi sono collocati uno vicino all’altro e non
uno sopra l’altro. La vecchia finestra verticale dipendeva dalla sua costruzione e dalla sua
simbologia, ma non aveva nessun rapporto con l’uomo.
Possiamo notare come tali esigenze che richiediamo per una casa non potevano essere
soddisfatte nella rigida architettura storica nella stessa misura come oggi; certo tutte queste
regole erano note e vennero spesso persino seguite tradizionalmente meglio di adesso;
difficilmente troveremo nelle case dell’Architettura storica una scala collocata in modo
sbagliato. tuttavia la costrizione ad una regolarità della facciata attraverso i simboli della
statica impedisce la libertà che noi oggi possediamo e possiamo sfruttare proprio grazie alla
cancellazione di questa imposizione; questa è l’Architettura moderna.
So benissimo che spesso occorre risparmiare e che bisogna sfruttare ogni più piccolo pezzo
della casa per scopi pratici; questo vale soprattutto per il nostro così importante Housing,
le cui abitazioni oggi sono ancora un compromesso tra due tendenze: la prima consiste nel
dare agli uomini il meglio, la seconda un peggio giusto giusto ancora sopportabile e per il
quale siano disposti a pagare. Ma persino qui deve esserci ancora spazio per l’Architettura
appena descritta [quella moderna], dato che, come già detto, per tutte queste caratteristiche
bastano delle allusioni; non dobbiamo applicare le forme come se fossero dei manifesti; più
parsimoniose e caratteristiche e discrete saranno queste allusioni, meglio sarà.
Ogni parte della casa dovrebbe essere ovvia e formalmente comprensibile, a nessuno deve
venir in mente di domandare qual è il suo scopo pratico. E chi non è in grado di rendere
inseparabili le esigenze pratiche con le regole formali, potrà essere un ingegnere o un
decoratore, ma certamente non un architetto.
Nella seconda versione, prima di affrontare il problema dell’aspetto pratico nella formazione
dell’architettura, Frank aggiunge una pagina in cui fa indirettamente riferimento
all’insegnamento di Gottfried Semper2: “io stesso sono stato un insegnante della vecchia
scuola che per esempio spiegava la forma dei vasi greci sulla base del loro uso, mostrando
come ciascun manico era posto lì dove serviva per poter prendere il vaso e a questo
proposito il vaso aveva una forma funzionale. Chi impara una volta questo insegnamento e
lo comprende nella logica del suo pensiero, non potrà mai più cadere in uno dei tanti errori
che vengono commessi oggi da molti dei nostri decoratori moderni, quando disegnano
vasi e pretendono di dare loro una forma che considerano moderna per motivi introvabili.
Certe cose vengono sempre formate in modo funzionale e in questa istanza non c’è ragione
per cambiarle. Questo vale per quasi tutti gli oggetti utili fino al XIX secolo. È molto difficile
per il principiante capire le complesse forme dell’architettura, che sono qualificati per lui da
troppi particolari, ma chiunque può capire la forma di un oggetto che può prendere nella
sua mano. Allora la questione sarà rendergli comprensibile attraverso l’insegnamento non
solo una piccola parte, come la maniglia già citata, ma l’intera idea costruttiva con la quale
esso venne formato al di là del materiale. Perciò la cosa migliore sarà iniziare il processo di
educazione dalla forma tradizionale facilmente comprensibile, che ha acquisito la sua forma
migliore nel corso di uno sviluppo continuo, e da qui ha elaborato l’idea dell’archi-tettonica
[archetectonics]”.
Note
1
Vedi l’articolo dell’autore Was ist modern? in “Der Baumeister” rivista mensile per architettura e costruzioni.
Semper nel capitolo dedicato alla Ceramica di Der Stil aveva sottolineato la differenza tra la situla egizia
e l’idra greca, l’una formata in modo da poter raccogliere l’acqua dal letto tranquillo del Nilo e trasportata
ponendone due alle estremità di un bastone, quindi dotata di un unico manico flessibile e rastremata verso
il collo; l’altra che serviva a raccogliere l’acqua da una sorgente zampillante e trasportata sulla testa quando
piena e quindi dotata di tre manici (due per il sollevamento e uno per il trasporto quando vuota o per essere
appesa), una base larga e un collo a imbuto.
Vedi G.Semper, Der Stil in den technischen und tektonischen Künsten, oder Praktische Aesthetik. Ein Handbuch für
Techniker, Künstler und Kunstfreunde, Zweiter Band: Keramik, Tektonik, Stereotomie, Metallotechnik, Friedrich
2
Bruckmann’s Verlag, München, 1863, p.4
202
203
Modern
Josef Frank
Architecture
Ho paura di non riuscire a dare una definizione esatta di ciò che intendo qui
per architettura “moderna”. Non intendo infatti quell’architettura “moderna” che
è considerata “moderna” attualmente, o che io stesso ritengo “moderna” per i
nostri tempi, cosa che sarebbe solamente un’architettura corrispondente alle
mie esperienza personali e le mie idee di forma. La mia intenzione non è di fare
propaganda per certe forme particolari che saranno “moderne” per sempre,
perché ogni sistema di forma che volendo possiamo chiamare stile appartiene
solamente ad un periodo relativamente breve ed è poi superato da un altro.
Utilizziamo la parola “moderno” con molti differenti significati. A volte
Assieme a How to plan a House, il
presente testo fa parte dei capitoli che
avrebbero dovuto comporre il mai
pubblicato volume Contemporary Art
and Architecture che raccoglieva le
lezioni di Josef Frank tenute presso la New
School for Social Research di New York.
Venne redatto dopo il 1946 e fino ad ora
è rimasto inedito. Mi è stato gentilmente
spedito da Kristina Wängberg-Eriksson,
che ringrazio, e ho potuto così tradurlo in
italiano. Il testo infatti è in lingua inglese,
dattiloscritto, con annotazioni, correzioni
e aggiunte a penna. Alcune parole sono
sottolineate.
Riprende, rielaborandoli, dei concetti
che Josef Frank ha già più volte espresso
in articoli di riviste e nel suo libro
Architettura come simbolo del 1931.
204
intendiamo con esso una caratteristica delle cose che, per una ragione o l’altra,
sono esattamente in stile, come i vestiti delle donne. Altre volte intendiamo
cose che si adattano nel modo migliore al loro scopo e che possiamo produrre
oggi, come per esempio le locomotive. Quando è riferito alle case, il primo
significato è usato per quelle costruzioni per esempio rivestite di qualche nuovo
materiale, come bachelite o cromo, e il secondo significato per quelle case
con bagni e cucine ben disposti. No, qui io invece sto parlando di architettura
“moderna” in un senso più ampio, uno che dovrei porre in contrapposizione
con qualunque architettura storica. Dovrei parlare di nuovi significati formali
di espressione architettonica, che nel corso del tempo saranno probabilmente
spesso modificati nei particolari, ma che appartengono ancora nei loro contorni
di massima ad un sistema per cui tutti i periodi di architettura storica, presi
insieme, usano lo stesso linguaggio formale, tendenti a spiegare la statica
attraverso simboli visivi. Nel futuro forse si troveranno termini più appropriati
per le corrispondenti architetture storica e moderna.
L’architettura storica è più semplice da definire – un dato di fatto che è
comprensibile – perché è qualcosa di già finito. La sua natura consiste in questo
e solo in questo, cioè che, senza tener conto del periodo stilistico di cui fa parte,
usa i simboli della statica che rivelano allo spettatore la costruzione
dell’edificio e rendono comprensibile ai suoi occhi il fatto che è stabile.
Per questo sopra ad ogni apertura veniva mostrata una trave o un arco, a
prescindere dal fatto che la costruzione lo richiedesse o meno. Colonne e
pilastri sono dotati di base e capitello che dimostrano che le parti allargate
danno maggiore stabilità agli elementi portanti nei punti in cui si elevano da
terra per sostenere le travi. I conci degli archi sono enfatizzati per mostrare che
si tratta di quelle parti della costruzione sopra le quali si erge la muratura oppure
solitamente conferiscono un profilo per tutta la lunghezza dell’edificio in modo
da farlo sembrare come un unico elemento portante. In tutti gli stili storici,
la capacità portante di ogni elemento costruttivo era simbolizzato in questo
modo all’occhio. Queste colonne erano collocate lungo le facciate, intervallate
da semicolonne e semipilastri semplicemente per evidenziare che si trattava di
pannellature, una procedura che conferiva l’illusione di una costruzione genuina
a pilastri; venivano usati anche altri dispositivi simili.
Adesso siamo così abituati a questi simboli che spesso non riconosciamo più
il loro valore. Tuttavia ogni volta che vediamo un edificio in uno stile
storico che al posto di questi simboli ha una facciata liscia e priva di
sculture, l’occhio abituato istintivamente li sostituirà con numerosi
esempi. Se per esempio le finestre sono identiche e analogamente collocate
tra pilastri uguali, e tutti questi elementi sono uniti tra loro in un’unità armonica
in cui è chiaramente evidente che né le finestre né i pilastri erano previsti o
dimensionati in riferimento alla loro funzione pratica, ma invece sono dotati di
una proporzione che noi siamo in grado di riconoscere grazie a quegli edifici che
mostrano simboli statici, allora nella nostra mente assieme a loro metteremo
anche le cornici, gli archi e i davanzali. Molti di noi penseranno questo nella casa
di un uomo povero che non può spendere nulla in arte.
L’architettura che io qui chiamo “moderna” è un’architettura che non
è dotata di questi simboli. Questa distinzione può sembrare insignificante:
ad una prima occhiata non appare abbastanza significativa come principio
da costruirci sopra una nuova teoria dell’architettura. Non implica nessuna
sorta di regole pratiche la cui più completa realizzazione ci viene così
spesso presentata come il criterio fondamentale dell’architettura moderna. E
non include la decorazione. Tra l’altro, la “più completa realizzazione” è una
qualità che non ha nulla a che vedere con le forme architettoniche. Ogni nuova
architettura ha certo nuove forme, ma non necessariamente nuovi contenuti.
Guardiamoci bene dal venire ingannati; nuovi stili non vengono originati da
considerazioni pratiche: essi cambiano quando prevale una nuova ideologia
che deve essere caratterizzata attraverso nuovi simboli.
Per esperienza sappiamo anche che una casa interamente funzionale può essere
costruita in qualunque sorta di stile storico che soddisfi tutti i bisogni moderni,
ed anche che esistono case in stile “moderno” che invece non soddisfano
assolutamente questi bisogni. Credo inoltre che è possibile riprogettare in uno
stile storico quasi qualunque abitazione che costituisce l’orgoglio della nostra
architettura moderna senza per questo diminuirne il valore pratico, solamente
il suo valore estetico sarebbe diverso. Ritengo anche che il suo valore estetico,
in un senso più ampio analogamente pratico, serva in sostanza per il benessere
dei suoi abitanti.
Così se da un lato la campagna per abolire i simboli statici appare insignificante,
dall’altro essa porta a importanti conseguenze nell’essere utilizzata. Non
abbiamo bisogno di ricordare a noi stessi che in tempi precedenti fino al
XIX secolo, questi simboli sono stati utilizzati non solo sulla facciata come
decorazione e cioè per darle una maggiore varietà. No, essi erano necessari per
l’uomo affinché si sentisse sicuro: erano necessari come segnale visivo che la
casa permaneva realmente.
205
Vi era una sorta di idea animistica in questo, per cui uno considerava ciascun elemento
strutturale in modo da scoprire quale elemento portante sosteneva uno spirito buono e
quale schiacciava uno spirito maligno, cosa che costui voleva e doveva distinguere per
potersi sentire sicuro.
L’estetica del secolo diciannovesimo definisce l’architettura come un arte tra le altre cose
nella misura in cui procura un bilanciamento visivo tra ciò che è portante e ciò che viene
schiacciato nelle diverse parti di una costruzione, in modo che l’equilibrio risultante
conferisca all’edificio la sua armonia. Questo avveniva un tempo in cui sembrava esistere
solamente la possibilità di uno stile storico e si aveva da soddisfare solo l’impressione visiva.
Il problema più sostanziale dell’architetto come artista era perciò organizzare le parti visibili
di una costruzione in modo da far sembrare di averle così accuratamente proporzionate che
l’occhio credeva tutto fosse armonico e in equilibrio statico. Si trattava di un epoca in cui
l’unica possibilità per lo stile storico sembrava essere unicamente l’impressione visiva da
soddisfare senza la necessità di pretendere un autentico bisogno della costruzione stessa.
I simboli servivano affinché non si originasse un sentimento di insicurezza. Sulla base di
questi mezzi, i simboli potevano venir trattati come più semplici o più ricchi, più leggeri o
più pesanti; una facciata per esempio poteva essere caratterizzata in vari modi senza che le
sue dimensioni assolute dipendessero dal materiale.
Ciascuno di questi simboli era una scultura che, presi tutti assieme, costituiva un’unica unità
plastica. La facciata era nei dettagli un opera d‘arte con tutta la forze espressiva che esiste in
una qualunque opera d’arte, indipendentemente dalla costruzione e progettazione di una
casa.
Quando rinunciamo ai simboli statici e con essi alla scultura, allora la casa
cessa di essere un’opera d’arte nel vecchio senso del termine, perché attraverso
l’abolizione della scultura perdiamo la possibilità di differenziare i significati
espressivi. Ci dobbiamo limitare a caratterizzare un edificio ordinando le masse
e le dimensioni assolute e le proporzioni, con il mezzo peculiare ed essenziale
dell’architettura stessa.
L’architetto moderno che è libero dalle costrizioni dei simboli della statica e non ha più
l’opportunità di essere uno scultore, pensa quindi in un modo diverso a quello storico.
Tutta l’arte della costruzione in tutti i tempi e in tutti i popoli conosce un solo problema
tecnico: come coprire un’apertura nella parete o uno spazio aperto tra le pareti e i pilastri.
Sviluppi tecnologici consistono in nuovi metodi per la creazione di tali rivestimenti,
soprattutto in proporzioni maggiori a quanto fosse possibile un tempo. In epoche
preindustriali questo significava innanzitutto travi fatte di legno o pietra, e in seguito l’arco.
Lo stile storico consisteva nell’esprimere visivamente questi problemi costruttivi.
Come è stato già notato, il simbolizzare statico degli elementi strutturali risale ad una
superstizione molto antica, secondo la quale ogni parte significava una forza misteriosa.
Nonostante gli elementi strutturali in legno o pietra di un edificio erano in grado di renderne
visibile la costruzione, questo non era sufficiente. L’artista dello stile storico perciò poneva
poca attenzione sulle qualità del materiale che tanto l’occhio non poteva percepire. Tuttavia
è evidente che questi simboli erano formati in riferimento al materiale accessibile in quel
tempo: è perciò ovvio che questi simboli ci appaiono oggi totalmente in armonia quando
li utilizziamo in nuove costruzioni che utilizzano materiali con una capacità di prestazione
maggiore. L’occhio si sente più sicuro attraverso la modellazione di materiali conosciuti
206
secondo proporzioni armoniche.
Queste forme di espressione simbolica raggiungono la loro più alta perfezione nel tempio
greco nel quale tutti i problemi pratici erano insignificanti. Il suo contenuto funzionale non
era nient’altro che un’unica stanza, la cella, e tutto il resto era privo di significato pratico. Ciò
che chiamiamo architettura di questo tempio aveva un unico scopo – esporre l’armonia con
cui le colonne trattenevano la massa degli uomini dall’immagine.
Qui a nessuno serviva domandare qual era lo scopo pratico e la costruzione
dato che tutti i problemi di forma e costruzione erano già completamente risolti
per l’occhio. Si tratta di un esempio di armonia che non ha assolutamente niente a che
vedere con i materiali e problemi costruttivi, ma unicamente con una filosofia che ricerca
un’armonia simile.
Dato il loro pensiero puramente letterario e non visivo, i critici dell’epoca tecnologica
si sentiranno obbligati a questo punto di controbattere secondo il loro punto di vista
sostanzialmente moralistico: “I greci, inclini all’avere sculture ad ogni costo, riempivano i
frontoni dei loro tempi con sculture di ogni tipo per la più goffa e intralciante decorazione
figurativa. E peggio: usavano marmo per fingere la pietra in colori vivaci – una pratica
barbarica”. (Thomas Craven, Modern Art).
A proposito ritengo, trascurando il fatto che nessuna delle descrizioni citate da Craven
corrisponde a situazioni effettive, che queste sculture greche siano le opere d’arte più
significative che siano mai esistite e che perciò ciascuna delle loro idee progettuali
fondamentali è giustificata. L’errata opinione secondo cui le forme greche in pietra imitano
quelle in legno è oggi costantemente ripetuta: questo credo si basa non sull’osservazione,
ma sulla discutibile teoria per la quale i primi templi sarebbero stati in legno.
Il critico avanza dall’arte pretese non estetiche ma puritaniche-moralistiche, e perciò non
desidera una bellezza percepibile dai sensi, che non capisce neanche, bensì ciò che chiama
verità e genuinità. Lo sottolineo qui perché molto spesso l’architettura moderna è implicata
nella realizzazione di queste pretese.
Una completa armonia del tempio era naturalmente raggiungibile solamente quando
nessuno scopo pratico offriva un ostacolo.
Oggi la sua influenza come prototipo è fatale anche nella misura in cui coloro che tengono
fortemente ai principi storici di forma desiderano ottenere un’armonia simile attraverso
l’imitazione, anche quando risulta assolutamente impossibile per principio; questo avviene
quando è usata sulle case moderne che servono uno scopo pratico complicato e perciò non
possono essere una pura opera d’arte come invece era il tempio greco.
Non ci si deve stupire quindi che l’utilizzo di forme classiche renda le case particolarmente
inadatte nel loro design pratico, ancora di più che l’impiego delle forme romantiche del
Medioevo. Questo non dipende dalle forme dello stile in sé, ma dal fatto che le forme classiche
spingono il progettista a scegliere un prototipo assolutamente irrealizzabile e inadatto.
Tuttavia anche l’impiego di tutti gli altri stili storici serve ad un corretto adempimento delle
finalità pratiche, così come tutti i riti e le superstizioni degli uomini pensanti per raggiungere
ciò di cui hanno bisogno per una vita piacevole.
Ripeto qui che non sono le forme di uno stile a rendere impossibile una progettazione
moderna: ma l’uomo che pensa in uno stile storico lo fa senza libertà, dato che i
simboli per lui valgono di più che la realtà. Ciascuna di queste forme mistiche è
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legata a una credenza ad essa corrispondente che deve avere un significato non
solo per l’artista, ma per tutti. Se la credenza perde la sua forza, nessuna opera
d’arte ne emergerà più. Per questo oggi, nonostante gli sforzi e le richieste, non abbiamo
più un’arte religiosa.
Ogni dato stile è postulato sulle superstizioni del suo tempo, che incarna i suoi simboli visibili.
Perciò la necessità di utilizzare uno qualunque di questi simboli risiede nella superstizione
comune a tutte queste epoche che, attraverso manifestazioni mistiche, potesse essere
comprensibile la potenza di forze naturali.
L’architettura moderna è quindi un’architettura che potrebbe avere origine in un epoca che
non condivide queste superstizioni. Essa differisce nei principi dall’architettura storica nella
stessa misura in cui attitudini scientifiche differiscono da idee mistiche.
Non voglio dire con questo, tuttavia, che l’architettura sia ora passata da un ‘arte a una scienza.
No, l’architetto moderno, come un creatore di forma, deve pensare alla forma nella
stessa misura in cui lo faceva l’architetto storico, ma il suo pensiero è fondato su
presupposizioni che sono differenti dato che sono basate sul riconoscimento della
scienza e non su speculazioni di una filosofia mistica.
Nella nostra epoca tuttavia esistono abbastanza uomini che fondamentalmente non
pensano in un modo molto meno mistico di quelli di epoche precedenti. E’ difficile per
costoro liberarsi e molti non hanno nemmeno intenzione di farlo, dato che pensare in modo
mistico sembra offrire molti vantaggi interni ed esterni.
Mentre durante il corso dei cambiamenti nello stile storico ogni nuovo stile veniva
prontamente accettato perché simboleggiava ancora un’attitudine mistica, oggi il pubblico
si rifiuta di comprendere il moderno ed ha persino paura di lui. È come se questa architettura
moderna avesse sottratto loro una parte della loro religione.
Ora l’architettura moderna non trae la propria religione da ciò, dato che il suo presupposto
è il pensiero non-mistico. Tuttavia essa insiste per una rottura con le convenzioni di una
lunga tradizione in cui furono create molte importanti opere d’arte, e il pubblico non vuole
ammettere che queste opere d’arte non possono più venir prodotte all’interno di queste
convenzioni, anche se non furono prodotte per un tempo lungo, dato che l’idea mistica nel
nostro tempo non ha più sufficiente intensità.
Per più di cento anni, erano stati richiesti simboli che facevano ulteriore uso di credenze
che in generale non esistono più; e questo tentativo ci ha dato le imitazioni di stili passati
che vediamo nel diciannovesimo secolo, la cui inutilità può essere compresa solo quando si
scopre l’artificialità psicologica dei simboli.
Se io perciò richiedo un architettura moderna che non solo non utilizzi, ma anche rifiuti i
simboli statici, ciò significa che una tale architettura rimarrà moderna fintanto che il pensiero
scientifico continuerà a prevalere, e che la durata della sua esistenza non può attualmente
essere stimata dato che esistono così tanti tentativi di ostacolarla.
L’epiteto “architettura moderna” può comprendere ogni cosa, nel senso che ciò che emerge
da una tale maniera di pensare, sia essa costruttiva o funzionale, organica o decorativa,
ornamentale o liscia, o quant’altro, viene compreso. È solo necessario che non si sviluppi
da un’ipotesi secondo la quale uno degli elementi strutturali debba essere simboleggiato
staticamente.
Al giorno d’oggi esistono davvero molti uomini “moderni”, se con ciò intendiamo solo
uomini del nostro tempo, che non pensano realmente in modo scientifico ed ancora altri
208
che pretendono di non pensare in questo modo – questo è diventato una moda del giorno;
al che uno sarebbe tentato di dire architettura “scientifica” invece che “moderna”. Tuttavia
questo sarebbe ingannevole perché risveglierebbe la convinzione che l’architettura è una
scienza e non un tipo di arte la cui filosofia si basa semplicemente sul pensiero scientifico.
Per l’uomo che pensa in modo scientifico, e non mistico, tutti questi vecchi simboli
della statica sono morti. Non ha più bisogno di circondarsi di loro per sentirsi al
sicuro perché ha imparato ad avere fiducia nella costruzione in sé, che spesso non
riesce a vedere in modo completo, e anche quando la vede il più delle volte non la può
capire.
Nessuno pretende una spiegazione simbolica per la costruzione di un ponte in ferro, e ogni
tipo di soffittatura di una stanza, per quanto larga, viene accettata senza discussioni come un
fatto possibile senza che l’osservatore sappia come esso sia sostenuto. Noi comprendiamo
i fenomeni tecnici della vita quotidiana ma non delle esperienze visive. Questo è stato in
precedenza diverso.
Quando l’uomo con la fiaccola dava fuoco al suo focolare, esso bruciava. Certamente il fuoco
era qualcosa di misterioso e le sue leggi causali erano sconosciute quando due pezzi di legno
venivano strofinati tra loro, anche se ciò avveniva con uno scopo. Quando lo si applicava
ad una sostanza infiammabile, bruciava e dava luce e calore, e si capiva la sua origine
visivamente.
Quando invece uno apre un interruttore elettrico viene accesa da qualche parte una
lampada senza che uno sappia in anticipo quale. A colui che vede ciò senza sapere che cosa
stia accadendo, questo deve apparire come una magia. In sostanza, la maggior parte degli
uomini di oggi conoscono l’elettricità non molto di più di un selvaggio, a prescindere dal
fatto che sappiano o meno che cosa sta accadendo, dato che non esiste una connessione
immediatamente evidente e facilmente comprensibile tra l’origine e l’azione. Tuttavia essi
credono nella meraviglia moderna e lo fanno davvero a tal punto che non c’è da meravigliarsi
affatto.
Non dimentichiamo tuttavia una cosa: il credo nelle meraviglie è scomparso veramente
prima ancora che l’elettricità potesse essere scoperta; e in futuro si avrà fiducia nell’elettricità
e nelle altre forze della natura al posto di quelle cose che in passato si aveva appena osato di
rivendicare dalle forze soprannaturali; certamente, alla loro dedizione, un impianto elettrico
viene oggi impiegato occasionalmente per la protezione di un potere misterioso, al cui aiuto
però non ci si pensa più una volta che inizia ad agire.
Inoltre, le tecniche di costruzione moderne ha raggiunto cose di dimensione finora
impensabili. Chiunque le vede ci crede, così come ha fatto per l’elettricità, senza domandare
maggiori spiegazioni riguardo alla loro potenza. Perciò esistono travi in acciaio e in cemento
armato, delle quali gli uomini sanno solo che esistono, all’incirca come credono in molti
misteri di costruzione che in realtà non esistono; tuttavia credono in una forza umana e
non soprannaturale.
In un tempo in cui questo processo costruttivo era nuovo, questa distinzione non era
riconosciuta. All’inizio, si tendeva a decorate la costruzione moderna con i vecchi simboli
per quanto si poteva. Se per esempio si costruiva un ponte sospeso in ferro, la forma
che l’ingegnere ha calcolato era sufficiente, ma il pilastro in pietra di sostegno al ponte
veniva decorato con i vecchi simboli della statica, dato che la pietra non richiedeva nuovi
modi di pensare. Questa sorta di compromesso fu in larga parte responsabile degli orrori
209
dell’architettura del diciannovesimo secolo.
L’esistenza di nuove costruzioni e la loro adattabilità è sufficiente per generare nuovi edifici
di ingegneria, ma non una nuova architettura, che deve rimanere all’interno di un impulso
artistico, il quale a sua volta è fondato nella filosofia.
Il modo di pensare scientifico non è oggi ancora molto diffuso anche se i suoi risultati pratici
vengono utilizzati da tutti per le loro necessità. Inoltre la tendenza a mescolare credenze
mistiche con la scienza viene oggi propagandata dovunque con successo. Dove questo non
viene così accettato, si dovrebbe già avere una larga diffusione dell’architettura moderna.
Ma ovunque questo pensiero mistico viene imposto dall’esterno in modo da lasciare le
persone ignoranti, come nei regimi totalitari, l’architettura moderna viene proibita.
Dove il modo di pensare di questi stati continuerà ad esercitare la sua influenza, specialmente
secondo il concetto per cui il fine giustifica i mezzi e perciò ogni mezzo per degradare è
giustificato se viene rivendicato il raggiungimento del fine, allora il pensiero mistico ben
presto verrà considerato “moderno”.
Molti propagandisti ci hanno più volte ripetuto che il nostro tempo non ha trovato la sua
espressione a scapito di tutte quelle meravigliose scoperte nel campo della tecnologia. Vi
è un errore alla base di questa affermazione: ogni epoca ha trovato la sua espressione,
inclusa la nostra. Il nostro guazzabuglio di forme è sorto dall’esistenza di diversi credi, sopra
tutti dalla spietata ideologia di profitto che non solo è indifferente a tutti i valori artistici, ma
anche antipatica nei loro confronti. Il miscuglio di tipi di costruzione, di forme mistiche e alla
moda, è comunque un’espressione del nostro tempo, la cui filosofia non può venir spiegata
con la stessa facilità con cui spieghiamo a posteriori la filosofia di un’epoca passata.
Forse la causa di ciò è che ci siamo troppo vicini.
Ciò che spesso definiamo come spirito del nostro tempo è lo spirito di un tempo in cui in realtà
non viviamo, ma che sembra desiderabile da molti. Il desiderio, ma non necessariamente la
possibilità, di una nuova architettura si è materializzata per la ragione che l’architettura è così
legata ai valori materiali.
Inoltre molti dei propagandisti della “espressione del nostro tempo” hanno
una concezione davvero poco chiara della connessione tra lo “spirito” e le sue
espressioni. Perciò spesso si impegnano ad adoperarsi per una nuova società, il più delle
volte comunista, e a tal fine cercano tutti quei simboli dell’economia e puritanismo, simboli
che per un periodo furono quelli del capitalismo, ma che non possono essere definiti come
quelli del comunismo, alle cui rivendicazioni future certamente non dovrebbe appartenere
lo stile di vita puritano. Essi forniscono un’equazione semplicistica, sostituendo
l’efficienza con il puritanismo e perciò richiedono sempre più uniformità
analogamente ad uno stile universale da poter essere utilizzato per ogni cosa.
Dato che questo sembra essere la cosa meno sensuale, questo stile consiste in un sistema
geometrico per tutte le forme, a prescindere se quest’ultimo è adatto al suo scopo o meno.
Il misticismo dei simboli statici è completamente abbandonato, ma è richiesto un altro
nuovo misticismo, che farà uso di ogni stile in modo che potrà essere impiegato in modo
uniforme. Si rinuncia al pensiero pratico scientifico e lo spirito dell’architettura moderna
viene falsificato.
Non c’è da meravigliarsi che questa tendenza geometrica ora ha grande successo dato che
diffonde un misticismo che in aggiunta può essere apparentemente portato in una certa
210
armonia con la scienza. Ma in realtà si tratta al massimo di una pseudo-scienza e con il
suo aiuto molti ricercano, dopo che il vecchio credo infantile è stato abbandonato, nuove
credenze che mescolano misticismo e dogmatismo.
La filosofia di molti dei nostri contemporanei consiste in un eccezionale miscuglio di
scientifico e mistico: di conseguenza, è fumosa.
Quando le persone in una situazione che reca loro profitto fanno rientrare se stessi nelle forze
del progresso tecnologico, tuttavia per molte cose, soprattutto per quanto riguarda le loro
case, richiedono in cambio la garanzia di sicurezza tanto a lungo testata attraverso i simboli.
L’industriale che, solo nel metodo scientifico più moderno, produce le sue automobili e in
tutte le questioni di profitto si terrà ben lontano dal pensare come se esistesse un potere
mistico, questo uomo scommetto che vivrà in una copia di uno stile in cui egli emerge con
certi attributi moralistici, come per esempio l’onore, la carità e altre virtù, che non esistono
per lui nella vita lavorativa.
Per queste ragioni la sua casa storica appare capace di fornirgli uno sfondo migliore. Per
lui non si tratta solo di qualcosa che gli conferisce la sua stessa sicurezza, ma vuole anche
dimostrare che crede in potenze mistiche che gli hanno donato, tra gli altri valori, la sua
casa e la sua fabbrica. Perciò egli rinuncia a qualche piccola comodità pratica dell’abitare
che non può essere raggiunta attraverso la costrizione dei simboli della statica; questa è
una particolare sorta di puritanismo, un puritanismo legato alla fede e all’umiltà, così spesso
considerate una caratteristica della bellezza.
Così ogni architettura che attraverso i suoi simboli non si pone sotto la protezione di
potenze più alte, viene giudicata dal pubblico come presunzione. Anche se non si capisce
con che cosa questa architettura ha a che fare, si ritiene che vi sia una mancanza di umiltà
verso queste forze misteriose. Ritornerò più tardi su questa idea che certi di questi vaghi
sentimenti delle masse vengono anche a volte giustificati. Essi hanno anche alcuni istinti
validi e uno di questi è che nella casa di abitazione non vogliono ricordare il loro ufficio o la
fabbrica, mentre così tanti architetti moderni si sforzano di assimilare la casa d’abitazione ad
una fabbrica progettandole in uno stile il più uniforme possibile.
Vorrei aggiungere qui che le nostre tecniche costruttive moderne sono davvero molto
importanti per edifici monumentali che senza di essi non potrebbero realmente stare
in piedi, ma che la loro importanza pratica, così come quella delle nuove forme, è
pressoché insignificante per la casa domestica. È quindi più facile rinunciarci qui; le forme
dell’abitazione moderna sono molto più l’espressione di un atteggiamento che di
una necessità pratica.
L’architettura moderna crea interamente nuovi valori estetici, che vengono accolti
benevolmente da molte persone che non credono più ai vecchi simboli, e come ho già detto,
i valori estetici giocano un ruolo molto importante per il benessere degli uomini.
Per questa ragione il problema dell’architetto non è solo il dare agli uomini un certo
numero di stanze disposte correttamente in relazione l’una all’altra; piuttosto egli deve
combinare queste necessità pratiche con il concept artistico da cui egli parte.
L’abolizione dei simboli della statica, che fino ad ora sono stati le caratteristiche essenziali
dell’architettura, lascia un certo vuoto. L’architetto che fino ad adesso sapeva esattamente
dove aveva da trattenersi, ora deve procedere senza queste regole rigide. Ma quali norme
dovrebbe ora seguire? E’ perciò comprensibile che esistano così tanti che fin da subito
ricercano nuove leggi. Tali regole devono essere radicate in un misticismo comune, oppure
211
essere riconosciute da tutti come ragionevoli e necessarie; ma quest’ultimo è possibile solo
in rarissimi casi, dato che un problema formale non ammette solo una soluzione.
Perciò vengono ricercate nuove regole mistiche le quali, dal momento che non sono fondate
su alcun credo comune, ci vengono spesso proclamate con forza dittatoriale come razionali.
Tali sono le leggi delle forme geometriche che devono venir usate per ogni oggetto; queste
norme sono volentieri riconosciute da coloro per cui il vecchio misticismo non esiste più e
per questo ne ricercano uno nuovo.
In realtà, l’architetto è diventato più libero di quanto non lo fosse in precedenza, e può
far uso di questa libertà in maniera totale. Può per esempio collocare le sue finestre in
una posizione che sceglie senza preoccuparsi di collocarle esattamente una sopra l’altra,
alla stessa distanza e con certe proporzioni prestabilite, dato che egli può dare loro ogni
dimensione che vuole. Può farlo perché non è più necessario dimostrare all’osservatore la
capacità portante di una trave sopra la finestra.
Questo è ciò che l’uomo superstizioso di tempi antichi non capiva. Egli desidera che la
nuova costruzione venga definita per lui con l’aiuto dei vecchi simboli, e se questo non
avviene egli rinuncia volentieri alle grandi finestre e si aggrappa alle sue piccole aperture
realizzate seguendo le regole, che egli alla fine decora in modo da conferire loro un’illusione
di grandezza; in questo modo si sente più sicuro.
Da quando ha perso i vecchi sostegni per il suo sistema di idee, l’architetto moderno deve
cercarne di nuove – un sistema logico sul quale poter erigere la sua arte. L’abolizione della
mistica gli lascia aperta solo una possibilità, cioè che egli deve dare il meglio che
può da un punto di vista pratico. Tuttavia, come già detto, si tratta di un sistema
molto incerto, dato che si può intendere in modi molto diversi che cosa è pratico.
Se ritorniamo sull’esempio delle finestre, che sono state sempre gli elementi più significativi
di qualunque architettura, senza dubbio correttamente, allora possiamo dire che riteniamo
giusto che oggi ci siano finestre più larghe rispetto ad un tempo. Una caratteristica distintiva
di tutta l’architettura moderna sono perciò le grandi vetrate. Ma quali sono quelle migliori?
Quanto larghe devono essere, quanto devono ergersi sopra al pavimento e quanto sotto al
soffitto? Con quali mezzi può venir al meglio caratterizzata? Si può calcolare di quanta luce
“una persona” ha bisogno? No, e il massimo non significa la cosa migliore in ogni caso.
Quindi in realtà la decisione spetta all’intuizione estetica, anche se l’architetto tenta di
razionalizzarla.
Se ragioniamo su un singolo esempio nell’architettura moderna, troveremo molte opinioni
differenti. Per la maggior parte, la misura e la forma sono basate su considerazioni pratiche,
dato che sfortunatamente troppo pochi hanno il coraggio di riconoscere che progettano per
motivi estetici.
Abbiamo già visto l’esempio della critica al tempio greco, e notato quanto la ricerca della
verità non conceda più nessun piacere nella bellezza, e il ricercatore della verità diventi un
moralista utilitarista. “So, e ogni architetto che pensa deve saperlo, che gli edifici di questo
periodo folle (il Rinascimento) non sono più dei tesori, e che si trattava solo di una maschera
sopra una vita meretrice. ..sappiamo se ci preoccupiamo di saperlo che manca loro integrità
in tutti i sensi”. (F.L.Wright, 1939).
Non ritengo che la vita del Rinascimento fosse più meretrice di quella del 1939, e fino a quel
momento gli sviluppi consistevano prevalentemente nel fatto che la scoperta di Galileo
nel frattempo era stata impiegata per la balistica. Perché dovrebbe trattarsi di un periodo
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folle quando invece ha formulato il pensiero scientifico e ricercava davvero la verità? Perché
dovrebbe mancare integrità alle loro opere dato che veniva ricercata anche la bellezza? Era
più valido e vero il medioevo, che viene qui tanto lodato, dato che ricercava solo la verità
del misticismo? Abbiamo vissuto per vedere le conseguenze del mescolamento di modi di
pensare utilitaristici e mistici.
L’architetto che costruisce né dall’esterno verso l’interno, come si afferma degli
antichi, né viceversa, come si afferma dei moderni, bensì considerando tutti e due
i modi assieme, è l’unico ad essere in grado di progettare la sua casa in modo che
soddisfi gli scopi sia interni che esterni, pratici ed estetici.
Per poterlo comprendere, egli dovrà impiegare la sua nuova libertà, ma al tempo
stesso seguire le regole naturali che risiedono alla base di ogni architettura,
vecchia o nuova che sia. Tornerò sulle norme della scultura più tardi; ogni architettura è
un’arte plastica.
Tuttavia, in contrapposizione con quella storica, l’architettura moderna è priva dell’aiuto
della scultura, che era l’ingrediente necessario di tutta l’architettura storica, dato che i
simboli della statica - capitelli, conci di chiave, staffe e simili – erano opere scultoree, e il
fatto che erano necessari conferiva uno scopo allo scultore.
Possiamo ora facilmente immaginare che le opere scultoree vengono usate nelle costruzioni
moderne come ornamento, senza che rappresentino simboli statici. Ci appariranno allora
non come necessari ma come una applicazione decorativa, che generalmente esiste come
un debolissimo legame con la costruzione.
Negli edifici monumentali, la massa della costruzione può facilmente venir composta
assieme ad un’opera scultorea: una combinazione simile esisteva già prima assieme ai
simboli della statica. Questo genere di arte plastica tuttavia non esprime un’incondizionata
necessità di fede e perciò attualmente non vedo alcuna possibilità che la scultura possa
costituire una parte essenziale dell’architettura come invece avveniva un tempo.
Ciò che oggi viene così spesso richiesto è l’unione tra le tre arti costruttive, e perciò è un
desiderio che non riuscirà a venir soddisfatto negli anni a venire.
Devo qui aggiungere che non credo che la mancanza di decorazioni plastiche o
pittoriche sia una caratteristica essenziale dell’architettura moderna. Se questo
tipo di decorazione è abbastanza buona da fornire una soddisfazione estetica
duratura e contribuisce ad evitare la monotonia, allora è giustificata e può essere
attaccata solo dai puritani e ricercatori della “verità”.
Non ritengo che l’architettura moderna abbia origine innanzitutto dal desiderio di
evitare i simboli della statica. In primo luogo, il suo obiettivo principale fu quello di
abolire quelle forme storiche che erano diventate banali attraverso il loro impiego
immotivato e sconsiderato negli stili architettonici del diciannovesimo secolo.
Prima si era tentato di sostituire semplicemente le forme storiche con quelle nuove, le
quali non di meno simboleggiavano la statica. La gente sperimentava nuovi capitelli in
cemento e ferro e vedeva come problema essenziale il formare i vecchi simboli mediante
i nuovi materiali secondo la cosiddetta sincerità del Medioevo. Agli archi, che erano ormai
diventati strutturalmente superflui, vennero date nuove forme, soprattutto la parabola, il cui
significato statico era già stato scoperto.
Tutti questi sforzi continuavano ad essere non soddisfacenti perché contenevano una
213
contraddizione – si doveva essere liberi da qualcosa ma lo sforzo di liberazione avveniva
attraverso il mezzo della costrizione. Parlo qui di ciò che è chiamato art nouveau, che si
proponeva di sviluppare uno stile moderno secondo un modo antiquato e i cui simboli
perciò consistevano ancora una volta in un sistema uniforme di decorazione. Fu un nuovo
stile universale a riproporre i simboli della statica come ornamento di ogni cosa, come sedie
o porcellane, senza tener conto che questi, così come la casa, hanno basi statiche proprie,
differenti da quelle della casa.
Si è trattato di un tentativo sulla scia della mitologia antica, ma ha avuto il suo significato nel
fatto che poteva distruggere la fede nella forza vitale di tali simboli, dato che non si trovava in
una posizione per poterle realmente modernizzarle o sostituirle con nuove. La convinzione
che i vecchi simboli erano effettivamente morti fu in questo modo rafforzata.
Oltre a questi tentativi, ve ne furono altri in cui vennero usati simboli di stili non classici,
pre-classici, e quelli di certe culture asiatiche, i cui simboli non sono per noi comprensibili né
significativi dato che non capiamo gli idiomi delle loro forme.
L’interesse nei loro confronti fu lo stesso che riponiamo in ogni tipo di arte esotica perché
costituisce per noi un elemento di mistero, ed è così solo da quando i vecchi simboli della
nostra stessa cultura non esistono più. L’esotico non ci disturba, perché praticamente non
lo capiamo: esprime qualcosa che non ci riguarda e perciò ha un effetto calmante su di noi
piuttosto che eccitante, creando così un sentimento mistico.
All’inizio gli uomini non erano completamente consapevoli qual era il punto della questione,
specialmente quello concernente l’effettivo mettere da parte dei simboli della statica,
dato che solamente così poteva avvenire la totale rottura tra l’architettura storica e quella
moderna.
Possiamo certamente comprendere che non è facile rinunciare ad una consuetudine che
dura da mille anni, soprattutto tali ritorni pratici non erano sempre l’unico punto della
questione, come è stato così spesso asserito. Ciò che davvero era il punto della questione era
semplicemente l’applicazione di nuovi simboli, così come avviene con ogni cambiamento di
stile nell’arte.
Sono molto spaventato dal fatto che la maggior parte degli architetti moderni ancora non
lo sappia. Se si leggono le loro dichiarazioni, esse sono nella maggioranza dei casi false:
questi architetti parlano sempre di funzione ed economia, e non di forma, non dell’arte
della costruzione, che fingono di disprezzare. Fingono di voler costruire come costruisce un
ingegnere, ma è una richiesta impossibile.
La richiesta fatta ad un ingegnere è molto chiara: ciò che fa ha un unico scopo – il
suo ponte deve sostenere il suo carico e nulla più. Ma i molteplici desideri propri
di una casa d’abitazione non devono essere soddisfatti, desideri che non sono
affatto tutti definibili, e differiscono da persona a persona. L’architetto perciò crea
individualità: non esiste un motivo per desiderare di combinare queste due funzioni, che
significherebbero solamente un impoverimento inutile del vecchio mondo, come desidera
pigramente il puritano.
È significativo che gli stessi architetti che vogliono costruire nel modo in cui fanno gli
ingegneri, si sforzano di diffondere il loro sistema di forme che, secondo la moda del nostro
tempo, sono geometriche, a tutte le cose, senza tener conto dello scopo che è quello di
soddisfare la loro immagine mistica del mondo in un modo che conferisce loro sulla terra
l’immagine dell’armonia delle sfere.
Questo trae origine da un sopravalutare del simbolico, che al tempo stesso è smentito dai
214
suoi creatori. L’edificio dell’ingegnere è ritenuto nel nostro mondo moderno come qualcosa
di necessario, dato che produce realmente profitti materiali. L’arte non può farlo e perciò si
pretende da lei che si adatti nelle sue forme alla necessità utilitaristica, attraverso la quale un
singolo stile può essere raggiunto, cosa che credo essere in ogni caso, qualunque siano le
forme che essa usa, una preoccupazione del passato.
La pretesa degli architetti di adattare le forme usate dagli ingegneri è radicata in niente
di pratico ma invece sulle seguenti presupposizioni che sono assolutamente di natura
estetica: case in stile storico non possono, come ho già dimostrato, rispondere al loro scopo
senza opere di scultura, dato che la formazione plastica dei simboli della statica, capitelli,
davanzali, ecc, sono opere di scultori, oltre ad essere sotto le migliori circostanze opere
d’arte. Analogamente vengono realizzate con sensibilità che vuol dire che ogni misura,
indifferente quanto piccola, ogni proporzione, è stata elaborata con sensibilità, senza tener
conto dello scopo pratico. Se per esempio ai conci di un arco è permesso di rimanere visibili,
la loro dimensione è determinata non sul principio di possedere solo la necessaria capacità
portante, ma sul fatto che dovrebbe manifestare agli occhi la sua qualità. In accordo con le
leggi della statica, l’arco deve essere rafforzato nei piedritti e non in cima, anche se agli occhi
sembra l’incontrario e perciò anche i conci di chiave sono dotati di una dimensione speciale
oltre il necessario.
Nel nostro tempo, è sorto un nuovo tipo di principio plastico, un principio plastico che prima
non esisteva – quello del lavoro dell’ingegnere basato sul calcolo preciso. Secondo questo
principio è impossibile calcolare la dimensione di ogni parte della costruzione in base al
loro valore estetico plastico perché esse compongono la costruzione stessa. La forma
plastica in una trave non emerge da misurazioni che crescono da sensazioni: la lunghezza
e la resistenza di flangia e anima sono calcolate con precisione. Questo tipo di espressione
plastica quindi non può mai costituire un’unità con le opere scultoree che sono soddisfatte
in relazione alla forma.
A nessuno verrà certamente in mente di chiedere che la base della bellezza in un ponte per
esempio debba essere l’utilizzo di sostegni più resistenti di quanto non sia assolutamente
necessario. Quando parliamo di un ponte bellissimo, intendiamo solo la bellezza della
composizione complessiva, che nasce dal fatto che anche l’ingegnere comprende le forme,
cosa che si verifica piuttosto raramente. Ma non si richiede mai la bellezza nel dettaglio,
come ci appare assolutamente essenziale in un’opera di architettura.
Oltre a questo si aggiunge il fatto che una parte dell’ingegneria appare bellissima quando
ha delle dimensioni inusitatamente ampie, come per esempio la diga del Tennessee oppure
il George Washington Bridge. Una piccola diga in cemento o un ponte sospeso sopra un
ruscello sembreranno sempre brutti, forse perché riteniamo che tali costruzioni potevano
essere erette in altre forme rispetto a quelle utilizzate per strutture realizzate secondo calcoli
precisi, di cui esistono abbastanza esempi.
Strutture costruite secondo calcoli precisi con il loro design plastico attentamente calcolato
che appare all’occhio ancora più arbitrario di quello concepito da un artista, sono diventate
nel nostro tempo una necessità per molti scopi e ce ne siamo abituati.
Queste costruzioni su principi di ingegneria derivano da un mondo di pensare
completamente differente rispetto a quello dell’architettura storica.
Pretendiamo che ogni opera rappresenti un insieme armonioso. È perciò una questione
di sensibilità personale quanto si dovrebbe esigere per il contesto di queste opere che
costituisce un’entità formale con esse, e questa è una questione che non può essere decisa
attraverso principi. Se abbiamo a che fare con un edificio in cui opere di ingegneria evidenti
215
costituiscono una parte essenziale come per esempio una cupola di vetro, allora sarà
impossibile portarla in armonia con decorazioni scultoree. La sua architettura sarà costituita
unicamente dalle proporzioni delle masse, che tuttavia possono essere formati secondo
principi estetici.
Ciò che costituiva la disarmonia nella combinazione delle forme degli stili storici con le
forme dell’ingegneria non era la concezione sensibile dell’insieme, bensì le opere di scultura
che conferivano all’edificio due diversi tipi di sistema plastico.
Sappiamo purtroppo fin troppo bene, che le nostre città non hanno più la stessa armonia
che avevano tante vecchie città e che il più alto obiettivo dell’architettura è ancora una volta
creare un’armonia che può essere tutt’uno con le esigenze moderne.
L’origine della nostra disarmonia è spesso vista nel fatto che ogni casa è costruita in uno stile
differente con forme differenti. Per rimediare a questo male, viene il più delle volte richiesto
uno moderno stile uniforme, del tipo che esisteva per lo stile passato.
Perché il nostro tempo, sentiamo così spesso chiedere, non riesce a trovare un tale
stile uniforme? Non ci riusciamo perché non ci serve, e nemmeno le epoche future
lo necessiteranno. Uno stile uniforme non è indispensabile per creare un’armonia. Uno
stile uniforme non è né necessario né desiderabile, diminuirebbe inutilmente la molteplice
varietà nelle forme dei nostri oggetti.
L’applicazione di un unico sistema di forme a tutte le cose, rinforzato dalla grande riduzione
dei significati espressivi, può certamente produrre, sotto certe condizioni, una sorta di
armonia primitiva, così come l’uso di uno schema del colore può aiutare l’uomo senza gusto
ad evitare i peggiori esempi dovuti alla sua mancanza, mentre nessun uomo dotato di gusto
vorrà di sua spontanea volontà utilizzare uno schema di colore.
Una certa monotonia è la caratteristica di tutto ciò che è monumentale, ma sono dell’opinione
che dovremmo impegnarci a limitare il più possibile l’inutile monumentalismo. Innanzitutto
così la vita diventerebbe più piacevole e più varia, dato che non saremmo costretti a stare
su un piedistallo al fine di adattarci alla scena. In secondo luogo, fornirebbe uno sfondo
migliore ad effetti monumentali occasionali con i quali starebbe in forte contrasto.
L’architettura del diciannovesimo secolo con le sue facciate sontuose si impegnò
costantemente a produrre effetti monumentali: possiamo allontanarci da questa idea.
Tuttavia l’architettura moderna rischia oggi di cadere in un altro tipo di monumentalismo
che non è meno peggiore. Almeno l’architettura storica aveva l’opportunità, attraverso
l’utilizzo di vari tipi di ornamenti e differenti unità di misura, di portare varietà nelle sue
forme plastiche, un qualcosa che ci viene tolto oggi quando ci troviamo di fronte a semplici
facciate lisce.
Attraverso la monotonia si può generare un nuovo tipo di monumentalismo che
è ancora peggio del precedente. Questa è una caratteristica che percepiamo spesso in
alcuni luoghi dove esistono grandi complessi assieme a edifici formalmente moderni. Da
una situazione simile deriva la standardizzazione, che oggi viene così spesso impiegata su
basi che sono il più delle volte mistiche nei principi, e spesso viene richiesta anche lì dove
non esiste necessità pratica.
Se consideriamo i progetti dei nostri moderni urbanisti, scopriamo il più delle volte che in
prevalenza preferiscono avere a che fare con un unico tipo di casa e che le loro città sono
disegnate in modo che qualunque variazione distruggerebbe l’armonia dell’insieme. Si
tratta di un tipo di armonia davvero primitivo, che ci minaccia con una noia scomoda, e
216
certamente non di quell’armonia che ammiravamo nelle vecchie città, in cui a malapena due
case erano del tutto identiche.
No, quello che possiamo chiedere all’architettura moderna è l’armonia nella
molteplice varietà, e questo postulato rinuncia una volta per tutte all’impiego
di un altro stile geometrico oppure universale che è la caratteristica del nuovo
misticismo.
Nel molteplice noi abbiamo una maggiore libertà di progettazione rispetto a coloro che
sono legati alla fede in un unico stile. Ciò che annoia è anche brutto. L’effetto del sensazionale
che è connesso con il nuovo solo perché è nuovo, invecchia molto rapidamente. Lì dove
viviamo, cioè possiamo dire sulla terra, desideriamo avere la nostra varietà e in sostanza non
guardiamo a tutto ciò che sta al di sopra.
Tuttavia per il piano terra di una casa con la sua varietà di finestre non vi è lo stesso tipo di
armonia. Le leggi che valgono per l’architettura non hanno significato per il cambiamento
necessario nella decorazione delle vetrate e degli oggetti in esse. L’impiego di simili regole
per ogni cosa porta solo ad una inutile rigidità.
Consideriamo per esempio che le nostre nuove mode vengono per un breve periodo
considerate belle senza che si sappia bene perché: ma la stessa cosa vale anche per le
case. Nonostante la loro apparente arbitrarietà, nella moda esiste ovviamente una certa
sensibilità per il naturale, e ciò vale non solo per i vestiti ma anche per gli utensili domestici
e le automobili.
La richiesta di fissare questo eterno cambiamento attraverso “forme eterne”
fondamentalmente deriva da una visione puritano-moralistica che desidera in sostanza
estirpare questo gioco peccaminoso. Il piacere nel cambiamento è una caratteristica del
genere umano che, a parte questo, comunque è costretto a troppa uniformità.
Certamente le case d’affitto e quelle commerciali che hanno tutte le stesse qualità devono
continuare ad essere in gran parte simili le une alle altre, ma lì dove non esiste la necessità
di una similitudine, possiamo sostenere con tutte le nostre forze ogni varietà, anche se è
altrettanto alla moda.
Per il piano terra esiste un altro tipo di armonia rispetto al resto della casa al di sopra. Ciascun
piano può essere completamente diverso dall’altro, e questo è possibile senza
indebolire l’armonia dell’insieme: se ogni esempio è trattato individualmente
per i propri scopi tenendo conto anche della relazione con i suoi vicini, una tale
differenziazione contribuirà ad evitare la monumentalità.
Il riconoscimento di questi principi, soprattutto l’esclusione di una parte della casa dall’unità
architettonica, ha delle conseguenze davvero di ampia portata. Attraverso la disposizione
dei dettagli del piano terra come qualcosa di accidentale che ha poco a che fare con le parti
superiori della casa, quest’ultima perde la sua base di sostegno e sembra aleggiare nell’aria.
I simboli della statica perdono in questo modo ogni significato, dato che non possono
essere utilizzati per le parti che sostengono la maggior parte delle strutture – il piano terra.
Allora in generale possiamo raggiungere l’armonia solo se li aboliamo completamente.
Ciò che ho detto riguardo alle vetrate è di ancora maggiore importanza per la nostra
abitazione: perché qui non ci basta dotarci di un cambiamento attraverso un cangiante
controllo di diversi tipi di cose, ma ogni cosa dovrebbe essere di una sorta che
l’abitante ama e desidera avere attorno a sé. Le forme di questi oggetti non hanno
nulla a che vedere con la stanza in cui sono collocati.
217
Non possiamo possedere queste cose se l’abitazione, come così spesso si richiede
oggi, deve essere “elevata” ad un’opera d’arte e in questo modo crea un’armonia
praticamente immutabile che risulta dal fatto che l’arredamento, i tappeti, gli utensili da
tavola e ogni quadro devono armonizzarsi tra loro in forma e colore. Per quanto riguarda il
loro scopo, tutte queste cose non hanno nulla a che fare l’una con l’altra.
È una richiesta moralistico-mistica il rivendicare per loro un’uniformità immotivata, ma dato
che il valore di un’opera d’arte è di essere qualcosa di “più alto”, il moralista lo richiede, e in
ragione di ciò gli uomini rinunciano al loro comfort e sopprimono il loro piacere nei gingilli
terreni. E già i pittori e gli scultori annunciano da ogni parte che vogliono servire a questa
armonia attraverso il contributo di opere d’arte che si adattino in ogni modo alle forme
geometriche dell’architettura, ed ora dipingeranno, al posto di quadri, più semplicemente
ornamenti e costruzioni.
Ogni tipo di combinazione di oggetti con cui gli uomini entrano in contatto diretto
devono essere flessibili e vari in modo da essere capaci di adattarsi ai bisogni
che cambiano. L’appartamento non richiede la stessa armonia della casa, dove possiamo
anche avere accostate tra loro cose che appartengono a differenti tendenze di pensiero.
Se abbiamo forme standardizzate di caloriferi e lampade a incandescenza, non dobbiamo
permettere che questi ci ostacolino nella scelta del nostro arredamento e dei quadri.
Il desiderio di “elevare” ogni cosa, l’appartamento a un’opera d’arte e la casa a un
monumento, è una manifestazione simile al voler “salvare” gli uomini, che richiede
l’abolizione dei desideri e bisogni naturali.
Con la scusa di rendere ogni cosa ciò che è, viene realizzata come una parte di un tutto
uniforme. L’identità delle forme, spinta oltre al necessario, deriva da una richiesta moralistica
alla cui base vi è l’opinione che possa esistere una sola fede vera, per il cui nutrimento
esistono gli uomini.
Siccome ho richiesto una molteplice varietà, ma ho rinunciato allo stile moderno uniforme
in cui doveva essere inserita per forza ogni casa realizzata dalla mano dell’uomo, così come
ho rinunciato all’uso di stili passati, è ovviamente difficile fondare una serie di regole stabili
e ferme, del tipo posseduta dagli stili storici che offrivano ricette già pronte attraverso cui
ognuno poteva creare cose accettabili.
Tali leggi, le quali dovevano essere stabilmente fondate in una certa fede in modo da
essere seguita con successo, sono qualcosa che ci manca e, devo forse aggiungere, che
fortunatamente ci manca dato che devono poggiare su premesse mistiche. Al posto di idee
mistiche dobbiamo scoprire lo scopo, che richiede diverse forme per ogni cosa, e queste
forme devono essere pensate individualmente.
Continuamente perciò assistiamo a tentativi, anche rigorosi, di fondare delle leggi per ciò
che è funzionale e renderle il più presto possibile rigide in modo da collocare questa stessa
qualità funzionale in un concept mistico come qualcosa di assoluto e non variabile.
Gli architetti ricercano “il raggiungimento finale dello scopo”, che non esiste, almeno non
in modo inequivocabile, se una cosa oltre ad essere vista nella sua funzione deve anche
soddisfare i desideri estetici. Si creano così delle sette che procedono con il loro lavoro di
redenzione come se ricevessero comandi da Dio.
Prediamo ancora una volta l’esempio delle finestre. In merito al loro trattamento troviamo,
tra le altre, le sette seguenti: la prima insegna che ogni stanza deve essere illuminata
uniformemente e che perciò le finestre devono essere collocate lungo tutta la lunghezza
218
della facciata. Ora, una tale regola è assolutamente arbitraria; preferiamo spesso organizzare
una ambiente attraverso zone più illuminate e altre più scure.
Un’altra setta pretende che le finestre abbiano delle dimensioni tali da poter essere pulite
in un colpo solo; tuttavia sicuramente la finestra è fatta per le persone che abitano quella
stanza e non per coloro che le lavano e in ogni caso questa misura non ha un significato
pratico.
Una terza setta richiede l’ottimizzazione della luce solare, che fraintendono come quella
massima, e pretendono perciò che l’intera facciata debba essere in vetro.
Tutte queste affermazioni sono in realtà senza significato pratico e sono portate avanti
solamente per evitare il bisogno di pensare individualmente, e sono basate sullo stesso tipo
di regole possedute dai regimi totalitari.
L’unica cosa che sappiamo con certezza è che desideriamo finestre più larghe e meno
numerose, una richiesta che non può venir soddisfatta nello stile storico, ma che può essere
realizzata facilmente attraverso le tecnologie moderne e che può anche essere risolta in
modo soddisfacente da un punto di vista estetico se rinunciamo ai simboli della statica.
Tutte queste regole rigide che ho elencato qui trovano la loro origine effettivamente in
opinioni estetiche che devono soddisfare una richiesta moralistica di uniformità. Nel suo
genere, ciascuna è una richiesta di massimo rendimento che deve avere necessariamente
solo un significato. Al tempo stesso è il simbolo di una tecnica che può fare ogni cosa.
Ogni forma, nella misura in cui non è semplicemente costruita come specifica,
ha i suoi valori simbolici. I simboli della statica degli stili storici esprimevano ancora un
altro simbolismo, che non era quello della statica e il cambiamento in questo simbolismo
è all’origine dei cambiamenti nello stile. Un capitello romano ci colpisce in un modo
assolutamente differente di uno gotico anche se entrambi hanno una cosa in comune
– simboleggiano all’occhio che sono in grado di sopportare i pesi. Il romano opera
liberamente, il gotico restrittivamente; l’uno è l’opera di un artista che pensa liberamente,
l’altro di un artigiano che è assolutamente vincolato. Quale dei due è più vicino al nostro
tempo, un tempo che possiede artisti ma non artigiani? Un simbolismo simile costituirà
l’attributo di ogni architettura moderna, perché non è mistico.
L’architettura moderna deve il suo sviluppo al desiderio di nuovi simboli e non al
raggiungimento di fini realistici.
Il realista, pensando in un modo completamente diverso, dice a se stesso: “posso fare tutto
ciò che riesco, e perciò posso anche costruire in tutti gli stili”. Questo è il punto di vista
dell’imprenditore medio e del suo pubblico che, solo perché sono dei realisti, assumono una
posizione contraria all’attitudine artistica che non apporta direttamente dei profitti. Perciò
molti architetti, che hanno l’intenzione di pensare in modo realistico e diffondere il pensiero
realistico, pensano in realtà molto meno realisticamente di quanto credono.
Inoltre abbiamo spesso sentito che l’uomo moderno con il suo bagno e la radio non può
in alcun modo vivere in una casa le cui forme risalgono al quindicesimo secolo. Quanto
falso è questo modo di pensare: può farlo e lo fa anche. L’arco ogivale ha a che fare con la
radio tanto quanto l’uomo moderno con il pensiero realistico. Egli, per non parlare degli
altri, può avere la stessa casa in molti tipi di stili – inglese, francese, spagnolo e persino
moderno – senza che l’impiego di questi particolari stili gli portino svantaggi personali.
Tuttavia dall’architetto come artista pretendiamo di più, cioè l’idea e questa idea egli la vuole
esprimere simbolicamente nella sua opera.
Voglio qui citare l’esempio del simbolismo moderno, che consiste in ciò il cui impiego
219
rende impossibile la forma passata, e cioè il tetto piano, uno dei più importanti elementi e
caratteristica distintiva dell’architettura moderna, così come l’arco ogivale lo era stato per lo
stile gotico. Il fatto che il tetto piano sia in molti casi più vantaggioso di uno a falde è stato
riconosciuto da molto tempo. Viene infatti usato negli edifici cosiddetti utilitari, per i quali
il pubblico secondo una sua propria logica non richiede bellezza, ma il suo impiego nelle
abitazioni incontra grandi difficoltà, anche se i suoi vantaggi pratici sono ovvi.
Il pubblico percepisce la mancanza di un tetto visibile come un difetto della bellezza, una
cosa che non gli impedisce certamente di ordinare la più brutta delle case sotto il suo
tetto spiovente. L’architetto moderno di conseguenza usa il tetto piano credendo di essere
obbligato a raccomandarlo al suo pubblico unicamente per ragioni pratiche.
Sarebbe più economico, più resistente, se potesse essere utilizzato come terrazza e simili, ma
lo usa anche in condizioni dove queste considerazioni pratiche certamente non esistono: i
suoi motivi reali sono formali e simbolici, che sono in tutto giustificate anche se il “realista”
non osa ammetterlo.
Così la discussione attorno al tetto piano oggi si blocca, ed è difficile usarlo in una zona
della città dove è richiesta “bellezza”, dato che il pubblico e le autorità che vi appartengono
collegano al concetto di “bellezza” con l’uso dei vecchi simboli. Nei regimi totalitari
esso viene addirittura proibito, perché hanno un vaga sentore del significato del suo
simbolismo. Questa violenta presa di parte, non può essere spiegata in modo esaustivo se
la consideriamo solo una questione di vantaggi pratici, che ciascuno può capire, dato che
solitamente gli uomini sono benevolmente disposti a rinunciare ad ogni bellezza in ragione
al raggiungimento di tali vantaggi. Ma in realtà si tratta di una questione del tutto differente,
cioè del punto di vista di un simbolo visibile, che così tanti uomini respingono, perché il loro
punto di vista non esprime questo simbolo.
Il tetto a falde rivela a colui che lo guarda che la casa è dotata di una chiusura superiore, che
la pioggia può scivolare via e ciò può essere capito da tutti semplicemente guardandolo
senza sapere nulla della costruzione. Al tempo stesso, offre una grande possibilità di
variazione: può essere più o meno ripido, più o meno semplice, così che la forma del tetto
e i suoi materiali costituiscono per molti le principali caratteristiche dello stile nazionale,
persino i simboli di sangue e terra.
Forme localmente condizionale erano un tempo una necessità, dove ogni regione per i suoi
tetti doveva utilizzare i materiali a portata di mano nell’intorno – paglia, tegole, ardesia e
altro. Inoltre il tetto spiovente dava alla casa la sua qualità mistica, dato che sotto di lui vi era
uno spazio oscuro e quindi misterioso, irregolare e tenebroso, l’attico. Si tratta di uno spazio
che era assolutamente sprovvisto di una pianificazione, originato per caso, attraversato da
ogni sorta di trave nelle costruzioni in legno.
La mancanza del misticismo nazionale e la presenza del misticismo del misterioso,
sono ciò che fanno del tetto a spioventi un qualcosa di così grande valore per molti
uomini, in combinazione con la visibile protezione contro alle forze della Natura.
L’architettura moderna può non avere a che fare con questo simbolismo. Secondo la sua
prassi, una casa ha un volume predeterminato e contiene delle stanze che sono state
pianificate, ma non a caso, cosa che conferisce loro una forma poco chiara. La casa verrà
chiusa così come è, alla fine. Il tetto spiovente è il simbolo dell’irrazionale, che la mistica
desidera conservare: più è ripido, più per lui sarà mistico.
Tutta la disputa attorno al tetto piano in realtà non è una questione di vantaggi
pratici, ma di valore simbolico, che è l’elemento sorprendentemente più riconoscibile
220
fra tutti quelli dell’architettura moderna. E’ l’espressione per un pensiero scientifico
uniforme e il suo uso quindi è un elemento che contribuirà enormemente all’armonia
delle nostre città che, a causa dei diversi tipi di forme di simboli del misticismo oscuro, sono
così prive di ordine. È’ la premessa per la formazione di una nuova, realmente desiderabile,
armonia che potrà sorgere solo quando gli uomini del nostro tempo penseranno in questo
modo e rinunceranno al credo mistico.
Non c’è bisogno di aggiungere che, al tempo dello stile storico, esisteva anche un pensiero
mistico in grado di portare grande armonia delle forme nelle città. Tuttavia, così come la
possibilità di far rivivere questo stile di vita svanisce, non sarà mai possibile che una qualsiasi
delle superstizioni fondamentali diventi abituale, perché non si può estirpare del tutto il
pensiero scientifico.
Sono convinto che non si può ottenere alcuna armonia prima che esista una
qualità comune nelle linee generali del modo di pensare. Ci potrà al massimo
essere un’armonia forzata, ma sarà quella della monotonia e del totalitarismo.
E’ evidente che un sistema di simboli comuni non basta per la creazione di un’armonia
dell’abitare dato che le opere di architettura, quando non sono pure opere d’arte, sono
almeno forme plastiche. I nostri articoli domestici non sono opere d’arte, tuttavia possono
essere belli o brutti, a seconda che le leggi della forma plastica siano soddisfatte o meno,
leggi che sono quelle delle opere d’arte della scultura.
Quando parlo di un punto di vista comune, che da solo può diventare il fondamento
dell’architettura moderna, intendo dire che esso può essere solo uno scientifico e non una
filosofia mistica, all’interno della cui cornice a quanto pare esisterebbero nel corso del tempo
molti punti di vista di ogni tipo.
Prendiamo per esempio i punti di vista comunista e capitalista, con tutte le loro implicazioni:
supponendo che sono capaci di persistere senza l’aiuto del misticismo, ciò che viene da
loro costruito rivelerà le stesse caratteristiche già espresse, all’interno dello stile storico, dal
simbolismo mistico attraverso differenti punti di vista. L’armonia non dipende dalle forme
simboliche.
Nella piazza più armoniosa del mondo, Piazza San Marco a Venezia, gli edifici si sono
succeduti per più di mille anni senza che alcun architetto imitasse lo stile del suo
predecessore, né una cosa simili gli sarebbe stata richiesta. Ciascuna epoca espresse le sue
attitudini attraverso le sue proprie forme simboliche. Sarebbe del tutto sbagliato definire
l’armonia di una piazza dal fatto che ogni parete è omogenea alle altre. Conosciamo in Italia
un numero abbastanza sufficiente di strade e piazze armoniose con logge simili costruite nel
corso dei secoli, nelle quali un arco ogivale gotico era affiancato da uno classico senza che
in questo modo l’armonia venisse distrutta. L’uniformità delle facciate di piazza San Marco
non è una condizione preliminare per la sua armonia, ma per la sua monumentalità, e questa
a sua volta richiede un’altra armonia di quella delle strade, perché dimostra la potenza e il
benessere di coloro che furono in grado di costruire così tanto in una volta sola.
I concetti di arte, bellezza, monumentalismo, e persino di morale vengono molto
facilmente confusi con ciò che è “elevato”; l’architettura moderna si trova davvero
in grande pericolo di diventare esclusivamente monumentale.
Una delle cause è il materiale costruttivo in sé. In molti casi si tratta di un materiale
naturale, come per esempio il marmo, al quale si può appuntare chiaramente, sui basi
morali, di essere genuino; esso porta ad effetti sfarzosi quando è utilizzato solo come
221
materiale espressivo senza considerare se, attraverso il suo trattamento, possono essere
ottenute nuove bellezze. In questo modo si è spinti ad usare inutilmente la massima
quantità possibile messa a disposizione dalla tecnologia come per esempio i pannelli di
vetro sovradimensionati, che sarebbero più adatti ad altri scopi. Sono questi gli attributi che
la mistica considera una mancanza di umiltà.
Pretese morali risiedono alla loro base; in primo luogo per essere onesti e manifestarli
ininterrottamente, in secondo luogo per dare un buon valore al denaro e abbattere ogni
possibile utilizzo.
Un ulteriore rischio è l’esagerata teatralità, la creazione di spazio attraverso l’utilizzo di
tecniche capaci di raggiungere ogni cosa, e combinare ciò con scale e affacci.
Non credo che interni che impongono un comportamento teatrale è ciò che intrinsecamente
desideriamo in un’abitazione moderna. L’uomo del nostro tempo è costretto a proseguire
in modo molto monotono e in questo senso, monumentale, lavora tutto il giorno; in ogni
caso, sembra monumentale se è esercitata da centinaia di uomini contemporaneamente
e nello stesso modo; attraverso lo spettacolo artistico di tali opere, gli egiziani un tempo
produssero una grande monumentalità e, se le opere moderne è da essere glorificata
eroicamente, sono da utilizzare gli stessi mezzi. Tuttavia questa drammatizzazione della
forma non è assolutamente soddisfacente per l’essere umano individuale, e a casa [home]
vuole possedere desideri più intimi che possono permettergli di dimenticare gli affanni del
lavoro. Vi è quindi anche un pensiero mistico che fa apparire l’abitazione come un posto di
lavoro, la preparazione tecnica-drammatica per ottenere uniformità di stile, che è l’immagine
dell’armonia delle sfere sulla terra.
Ora, colui che si aggrappa a questa sorta di uniformità può certo, a mio avviso,
essere un architetto moderno se usa la parola “moderno” nel suo senso più
ampio, ma non significa nulla di realmente moderno. Egli è il simbolista delle
idee totalitarie che sono modernizzate e moderne solamente nella misura in cui
appartengono al nostro tempo. I suoi principi consistono in un miscuglio di pensiero
scientifico e il loro utilizzo per la soppressione del pensiero individuale, una combinazione
inaspettata. Resta aperta la questione quale parte del suo simbolismo esercita la maggiore
efficacia.
Dato che sono qui per richiedere l’abolizione delle regole quando sono dello
stesso tipo delle ricette già pronte, non posso mettermi a stabilire leggi e norme
per una architettura realmente moderna.
Non abbiamo più convenzioni da quando abbiamo rinunciato ai simboli della
statica, eccetto queste tenaci regole della forma che ogni cosa tridimensionale
deve seguire, la legge naturale della proporzione e della scultura, che sono
sempre le stesse, indifferentemente dal tipo di oggetto e stile di cui si occupavano.
Esse costituiscono la nostra tradizione, che perciò possiamo chiamare eterna dato
che le loro leggi non saranno mai distrutte, perché a quanto pare appoggiano su
sentimenti legati al nostro corpo umano.
Ritengo che questa sia la sola e unica tradizione formale che abbiamo e che le sue
regole debbano essere sempre e per ogni cosa seguite riguardando un bisogno
universale.
222
Disegno del 1934 di Josef Frank che
mette a confronto le maniglie usate
dal Bauhaus e quelle tradizionali. Da
“Werk bauen und wohnen”, p.3
223
Spazi amati
Haus Bunzl - Ortmann
“A
VOLTE IL FOCOLARE È TALMENTE GRANDE DA POTERVICI SEDERE DENTRO: “È SICURO CHE
NON STIA ANDANDO A SEDERSI NEL FOCOLARE?” – CHIEDE L’ASSISTENTE
AD
NILS RISSÉN
ASPLUND- “SI, È PROPRIO QUESTA L’IDEA”1.
“UNA DELLE RAGIONI PER CUI GLI ELEMENTI DELL’ARCHITETTURA CLASSICA SARANNO SEMPRE
INTERESSANTI È LA CAPACITÀ DELLA VARIAZIONE DI SCALA [MASSSTABSVERSCHIEBUNG,
LETT. TRASLAZIONE DI SCALA]. LA GRANDE E LA PICCOLA DIMENSIONE, DAPPRIMA MUTE
COME SEMPLICE RISULTATO DI UN’ADDIZIONE O DI UNA SOTTRAZIONE, SI RAPPORTANO
AL SIGNIFICATO IN MODO AMBIGUO: IL GRANDE PUÒ DIVENTARE IRONICO, IL PICCOLO
MERAVIGLIOSO”2.
TUTTAVIA “LA PICCOLEZZA NON È MAI RIDICOLA, MA [SEMPRE] MERAVIGLIOSA3.
“
Casa Bunzl
Pernitz, 1914
Ortmann 16
Si tratta di una dei primi edifici di abitazione progettati da Frank, dopo le
Case Scholl e Strauss sulla Wildbrandgasse a Vienna. Costruito per Hugo
Bunzl, proprietario della fabbrica di carta di Ortmann presso Pernitz (oggi
Kitzberghöhe 2, Neusiedl), qui è già evidente l’influenza dei lavori di C.F.A.
Voysey e delle descrizioni di Baillie Scott e Hermann Muthesius riguardo alla
casa domestica inglese: semplicità, onestà dei materiali e dei rivestimenti,
ampio tetto a padiglione, pareti esterne intonacate di bianco, finestrature
asimmetriche, caminetto inclinato, la presenza di un portico/veranda.
Nonostante Hugo Bunzl fosse ricco, proprietario di praticamente tutto il
territorio circostante e datore di lavoro di quasi tutta la popolazione del
circondario, la casa appare molto umile, di dimensioni contenute, senza
pretese di lusso. Questo dimostra che Frank concepisce l’abitare nella sua
essenzialità, in primo luogo per soddisfare i bisogni dell’uomo, e non come
una dimostrazione di potere e ricchezza. La casa non deve essere un’opera
d’arte!
Frank stesso descrive questo edificio nell’articolo “La nuova casa di
campagna” (Das neuzeitliche Landhaus) del 1919: “La casa B è collocata
su un prato sulla cima di una collina boscosa, dalla quale si ha una vista
aperta in tutte le direzioni e soprattutto verso la valle a nord4. Era perciò
mia intenzione porre in diretta relazione le stanze al piano terra con il
paesaggio esterno attraverso delle grandi vetrate ed aprire le camere da
letto al primo piano mediante terrazze su tutti i lati. Il giardino circonda
la casa e verso nord [ora ovest] segue il declivio della collina attraverso
una serie di terrazzamenti. Le superfici orizzontali sono pavimentate con
piastrelle di granito di Kehlheim e mattoni, in modo da conferire una forma
ordinata al piccolo lotto rispetto al suo ampio intorno”5.
Dalle fotografie dell’epoca in bianco e nero, non si percepiscono le
effettive piccole dimensioni della casa e le qualità tattili dei materiali, che
sono osservabili solamente attraverso un contatto diretto sul luogo con
l’architettura6.
Fronte est, da M.Welzig 1998 pp.62 e
fotografia C.Kruml dicembre 2009
227
Haus Bunzl - Ortmann
Haus Bunzl - Ortmann
Per raggiungerla a piedi occorre percorrere una strada sinuosa in salita
attraverso un pezzo di bosco. All’improvviso gli alberi finiscono, la strada
si biforca e mentre siamo indotti per un attimo a fermarci per scegliere
in quale diramazione proseguire, ecco comparire su un ampio prato una
piccola casetta bianca con tetto a padiglione in tegole scuro. Essa appare
al tempo stesso chiusa in sé stessa ed immersa nel paesaggio attorno,
davanti il declivio del prato e la valle, alle spalle un bosco. Il colore bianco
le conferisce un non so che di magico e la salita diventa quasi un sentiero
rituale ad un luogo sacro.
Nessun tipo di recinzione circonda il lotto. Sono le diramazioni del
percorso, che aggirano la casa quasi abbracciandola, a definire il perimetro
dell’area: l’una costeggia la casa lungo il lato ovest, l’altra conduce sul lato
corto a nord verso l’ingresso.
Man mano che ci si avvicina alla casa i dettagli si fanno sempre più leggibili,
pur senza s-velarsi mai completamente.
Salita che porta a Casa Bunzl e strade
che la abbracciano, fotografie C.Kruml,
dicembre 2009
228
La casa è costruita interamente in legno: solo le fondazioni, il camino e
i pilastri che sorreggono la terrazza del primo piano sono in muratura.
Tutto, sia il legno che il mattone, così come le ringhiere in ferro, le porte
e le finestre, è verniciato di bianco7, ma con uno strato sottile in modo da
far vedere le commettiture della superficie sottostante, cosa che conferisce
all’insieme un effetto di singolare leggerezza e permeabilità delle pareti,
quasi fossero dei candidi veli trasparenti8. Il trattamento di queste superfici
tuttavia non è uniforme: i lati verso est ed nord sono ri-vestiti da assi di
legno disposti in senso orizzontale, quelli verso ovest e sud da scandole
verticali con un lato curvo.
Eppure non è possibile guardare all’interno nell’intimità della casa, la
trasparenza delle pareti è fenomenica, non letterale. Piccole finestre di
diverse dimensioni collocate qua e là nelle murature, asimmetriche e
fuori asse, ci permettono di sbirciare e di capire la stratificazione dei veli
che compongono l’involucro della casa: il sottile strato di intonaco bianco,
le assi di legno di spessore 13 cm, un pannello di sughero all’interno; e in
corrispondenza delle aperture si aggiunge il serramento con la sua cornice
bianca, lo spazio-soglia (il vuoto come pieno, l’IN-between) e un leggero
velo di stoffa che si muove al vento.
Dettaglio delle scandole in legno sui lati sud ed ovest (fotografia
su gentile concessione di Iris Meder) e della commettitura delle
travi orizzontali sui fronti nord ed est.
Muratura sotto al velo di intonaco del camino, da I.Meder 2008
p.35
229
Haus Bunzl - Ortmann
Haus Bunzl - Ortmann
Fronte est (JFA e Long p.24)
A fianco: fronti nord e ovest, da
SOK UfAK; Spalt/Czech 1981 p.12
Sugli spigoli della casa si intravedono sotto all’intonaco le giunture ad
incastro a coda di rondine fra le assi di legno, le cuciture.
In corrispondenza delle opere in muratura lo spessore sotto all’intonaco
si fa profondo, eppure anche il camino perde la sua monumentalità e
pesantezza per mezzo di alcune finestrelle inserite nello spessore del muro:
il camino è uno spazio abitabile, un contenitore, un grembo materno.
Le vecchie fotografie in bianco e nero della casa mostrano sotto al camino
un’aiuola che ora non esiste più e accanto la cuccia per il cane (ricordiamo
che Baillie Scott consigliava di collocarla qui).
Gli altri lati della casa - ovest, nord e sud – sono caratterizzati dalla presenza
di terrazzamenti che aprono il primo piano al paesaggio e al piano terra
costituiscono delle estensioni dello spazio interno.
Ogni elemento è a misura di corpo umano, nulla pretende dimensioni
monumentali.
L’ingresso è quasi nascosto, inserito al di sotto di un portico (6,40 x 1,00
m) - in posizione asimmetrica nel prospetto est - formato da due colonne
in legno prive di base e capitello stilizzato, che funge sia da spazio filtro
tra interno ed esterno, che da paravento. In prospetto esso appare come
uno spazio concavo che si contrappone alla convessità del camino,
l’orizzontalità accanto alla verticalità. Inoltre l’ombreggiatura che si viene
a creare bilancia il chiaro delle parti bianche e lo scuro della copertura e
delle diverse aperture.
Analogamente, sempre sul prospetto est, gli estremi nord e sud si
contrappongono equilibrando i pesi dell’insieme: una terrazza vuota lì
dove accanto vi è il pieno del camino, un corpo pieno dove troviamo il
vuoto del portico.
230
231
Haus Bunzl - Ortmann
Haus Bunzl - Ortmann
Strade
PT
1P
Piazze
T
Bw
U
Bw
K
S
H
U
T
T
L
M
B
H
B
Bw
V
N
0
1m
EQUILIBRIO DEI PESI
Prospetto est
M: sala della musica
L: living, soggiorno
B: bedroom, camera da letto
K: kitchen, cucina
D: dining, sala da pranzo
Bw: bathroom, bagno-wc
H: Hall
T: terrazzo
V: Windfang, veranda di ingresso
U: utility, ambiente di servizio
S: storage, ripostiglio
Wand
Mauer
Terrazze all’aperto
Spazi aperti coperti
Luoghi filtro
Sguardi selezionati
Nicchie
Sguardi attraverso
1:200
232
233
Haus Bunzl - Ortmann
fotografia della finestrella del camino: gentile
concessione di Iris Meder
Sguardo attraverso il salotto dal
traforo est-ovest, da M.Welzig 1994
n.126 (fotocopia)
234
Haus Bunzl - Ortmann
Per entrare in casa occorre passare sotto al portico, girarsi di 90° verso una
piccola veranda sulla destra (1,90 x 1,00), e quindi di nuovo a 90° verso
sinistra raggiungendo l’atrio d’ingresso. Questo è uno spazio rettangolare
di 5,80 x 2,00 m, posto allo stesso livello dello spazio esterno e dotato di
porte finestre che affacciano direttamente sul portico.
Da qui si può proseguire verso il soggiorno oppure voltare a destra salendo
nella zona dedicata agli ambienti di servizio (bagno, cucina, dispensa,
camera del domestico e corpo scale).
La porta che separa l’atrio dal soggiorno è vetrata e inserita in una cornice
rastremata nella parete (in muratura, contenente una canna fumaria), in
modo da invitare all’ingresso.
Il soggiorno è un unico grande ambiente (7,85 x 6,00 m) che occupa per
metà la pianta del piano terra dell’edificio e si articola sui tre lati in relazione
con il paesaggio esterno:
verso ovest attraverso la sporgenza del camino (all’interno in muratura a
vista), talmente grande da poterci sedere dentro e dotato di una finestrella
che guarda verso un grande albero di fronte sul lato est (nelle versioni
precedenti vi erano altre due aperture, l’una rivolta verso la porta di
ingresso, l’altra verso il giardino sul lato sud;
a sud la terrazza del primo piano forma al piano terra un portico di
mediazione tra interno ed esterno che protegge dal sole in estate e ricorda
le verande delle case anglo-americane con la sedia a dondolo o l’engawa
della casa giapponese;
verso ovest due porte-finestra si aprono sul terrazzamento esterno e
ricevono la luce del tramonto.
Sul lato est accanto al camino vi è un’ulteriore porta-finestra che,
rapportandosi con quella che le sta di fronte a ovest, dissolve questa
zona del soggiorno come se fosse pure lei uno spazio all’aperto. In questo
modo le pareti, bianche anche all’interno eccetto quelle del focolare, quasi
scompaiono. Rimangono camino e la parete-libreria in legno naturale sul
lato sud.
Nell’angolo nord-ovest del soggiorno si inserisce la parete bianca e
inclinata della rampa di scale che portano al primo piano, tuttavia Frank
non concepisce il sottoscala come spazio di risulta, bensì come nicchia in
cui rannicchiarsi, che richiama alla mente l’immagine della soffitta, di uno
spazio misterioso da scoprire. Vedendo questa parete inclinata viene voglia
di salire al piano superiore per vedere dove queste scale portano.
Anche le travi del soffitto sono dipinte di bianco, con l’eccezione della trave
principale in legno di quercia lasciato al naturale, che appoggia sul camino
in muratura e suddivide il soggiorno visivamente in due parti, una per la
musica e la conversazione, l’altra per la lettura. Le travi secondarie inoltre
proseguono anche all’esterno nel portico sul lato sud.
Sopra alle travi secondarie ci sono i travetti e sopra ancora, separati da uno
strato di feltro, il pavimento del primo piano in larice.
L’altezza delle camere è 2,60 m (2,10 sotto la trave principale) al piano terra
e 2,50 al primo piano.
La zona dedicata alle stanze di servizio risulta sui fronti nord e ovest
salotto con il sottoscala in cui è collocato il pianoforte che ricorda la fotografia dell’appartemento di Frank stesso
a Vienna, da SOK UfAK e M.Welzig 1998 p.63.
235
Haus Bunzl - Ortmann
Haus Bunzl - Ortmann
come un volume più basso che si incastra in quello principale ed anche
all’interno è separato mediante la sopraelevazione di un gradino, che
diventano due in corrispondenza del pianerottolo della rampa di scale
che porta al primo piano, e tre nella zona del bagno. In questo modo la
scala stessa viene estesa a formare una L che inizia già a partire dall’atrio,
mentre cucina (4,45 x 2,55 m) e bagno diventano dei prolungamenti ideali
dei gradini-pianerottolo.
La dispensa (1,90 x 1,75 m) è dotata di un ingresso proprio, collocato sul
fronte nord in modo da rendere la zona di servizio autonoma.
RAUMPLAN
+0
scale al II piano
+3
3 gradini sopra +0
2 gradini sopra +0
1 gradino sopra +0
+2
+0
+0
+0
+0
+0
+0
camere da letto e bagno del secondo piano
di Casa Bunzl, 1914, da M.Welzig 1998 p.6465; K.Wängberg-Eriksson 1994 p.36; I.Meder
2008 p.37
Salendo al piano superiore (la cui pianta rettangolare misura 12,46 x 6,26
m, cioè 6 metri dell’interno più due volte lo spessore dei muri) si trovano
due camere da letto (di cui una più grande) separate da un bagno (1,90 x
4,06 m, con vasca e lavabo e finestra a est. Il bagno per Frank è una spazio
abitabile: vi è pure un divano), wc separato e, nell’angolo nord-ovest, un
ripostiglio (1,40 x 2,30 m).
Una terrazza ad L affaccia i due lati nord ed ovest ed è accessibile sia dalla
porta-finestra della camera da letto più piccola (4,55 x 3,825 m), che dalla
porta che si incontra sulla sinistra non appena si è terminato di salire le
scale.
Scale che portano al secondo piano,
da I.Meder 2008 p.37. Si noti che sopra
al lavandino vi è una finestra
236
La camera più grande accoglie al suo interno il proseguimento del camino
del piano terra, nel cui spessore è ricavata una finestrella che guarda verso
est.
Completa il tutto la soffitta custode della storia della famiglia e una cantina
al livello inferiore in cui è collocato il locale caldaia. Vi si accede da una
rampa con copertura inclinata che sul prospetto nord forma una figura
triangolare che richiama il piano inclinato all’interno del soggiorno e alle
finestre triangolari in copertura.
Riguardo all’arredamento interno Frank stesso scrive: “Le stanze sono
abbastanza uniformi, in modo da non dilaniare la piccola casa con diversi
237
Haus Bunzl - Ortmann
Haus Bunzl - Ortmann
effetti contrastanti, come invece avrebbe senso fare per esempio in un
grande castello. Perciò al suo interno non vi sono nemmeno oggetti
concepiti unicamente per una singola stanza e che non potrebbero anche
stare benissimo in un’altra.
Le pareti sono tutte bianche: non solo perché un colore, che dovrebbe
definire il carattere di una camera, risulterebbe misero e povero se
rapportato alle grandi superfici delle aperture verso l’esterno, ma
soprattutto per rendere l’abitante libero di decidere che cosa collocare
nelle sue stanze – fiori e quadri, tappeti e mobili.
I pochi arredi sono collocati liberamente nello spazio. Per togliere loro ogni
pesantezza sono fatti dei più diversi materiali. Ma nessun tipo di legname
è decolorato o colorato, in modo da non fargli perdere la sua freschezza e
il suo carattere naturale.
Per la stessa ragione anche le tende delle finestre e i coprilume delle
lampade sono bianchi, in modo che la luce possa cadere all’interno della
stanza con il suo colore naturale. [Anche gli arredi della cucina e gli armadi
a muro delle camere da letto sono bianchi].
L’illuminazione artificiale avviene attraverso due tipi di lampade mobili, i
cui lunghi fili elettrici possono essere uniti attraverso contatti in svariati
punti. Il primo tipo è appeso al soffitto mediante ganci, il secondo sono
lampade pieghevoli appese alle pareti oppure da tavolo, a seconda di dove
servono.
I tessuti e i tappeti sono colorati in molte tinte, così come il giardino davanti
alle finestre, ma il più delle volte di rosso e giallo, e costituiscono in questo
modo un tono caldo in contrasto con l’ampia superficie del cielo e del
bosco su tutti i lati della casa”10.
Quello che colpisce dei vari ambienti sono i numerosi e diversi tipi di sedute
- dal divano alla poltrona, dalla seggiola allo sgabello –, i mobili rialzati da
terra, la presenza dei tappeti orientali e soprattutto gli oggetti personali
dell’abitante che fanno dell’abitare uno spazio del vivere. Nel soggiorno vi
238
Note
1
Nils Rissén in Christina Engfors, E.G.Asplund. Architect Friend
and Colleague, Arkitektur Förlag, 1990, p.30, cit. in P.Blundell
Jones, Gunnar Asplund, Phaidon, London 2006, p.198
2
Hermann Czech, Ein Begriffsraster zur aktuellen Interpretation
Josef Franks, in “Um Bau”, n.10, agosto 1986, Österreichische
Gesellschaft für Architektur Wien, p.108
3
Gaston Bachelard, Poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1999 (ed.
orig. 1957), cap. 7 la miniatura, p.187
4
Inizialmente l’orientamento della casa era tale che l’ingresso
si trovava sul lato sud, ma poi venne ruotato verso est in modo
da collocare gli ambienti di servizio verso nord e il soggiorno
a sud.
5
Josef Frank, Das neuzeitliche Landhaus, in “Innendekoration”,
n.XXX, dezember 1919, pp.410-411, ripubblicato in J.Spalt,
H.Czech, Josef Frank 1885-1967, (catalogo), Hochschule für
angewandte Kunst, Wien 1981, pp. 15-16
6
Ho potuto visitare l’edificio da fuori nel dicembre 2009, non
sono purtroppo potuta entrare.
7
Anche le piastrelle che originariamente dovevano coprire
il pavimento delle terrazze al primo piano erano bianche (in
granito di Kehlheim chiaro).
8
Anche nelle precedenti Ville Strauss e Scholl dietro all’intonaco
si leggono e commettiture della muratura sottostante.
9
J.Frank, Das neuzeitliche Landhaus, op. cit., p.16
10
J.Spalt, H.Czech, op. cit., p.13
Particolare della ringhiera della terrazza del secondo
piano: fotografia su gentile concessione di Iris Meder.
239
Haus Bunzl - Ortmann
Haus Bunzl - Ortmann
C
Documenti
è anche un tavolino cinese.
Presso la Sammlung und Oskar-Kokoschka-Zentrum der
Universität für angewandte Kunst di Vienna ci sono due versioni
di progetto:
A: una tavola scala 1:100 con piante, prospetti, due sezioni
trasversali e una longitudinale (e una copia della tavola con
indicate in rosso le parti in muratura e in giallo gli elementi in
legno) [matita, penna e inchiostro su cartoncino, 44 x 61 cm,
inv. 1219 e 1221];
B: una tavola scala 1:50 con le piante e due sezioni [inv. 1222]; e
una tavola scala 1:100 con i prospetti [inv. 1216].
I disegni non mostrano ombre.
Tra le versioni A e B cambiano leggermente alcune misure;
l’orientamento della casa viene ruotato in modo che il fronte
con l’ingresso prima indicato a sud ora si trova a sud-ovest; le
finestre vengono un po’ spostate o variano in dimensione; il
camino al piano terra manca di due finestrelle; viene inserita una
porta-finestra in più in corrispondenza del portico di ingresso;
l’atrio viene dotato di un armadio a parete più ampio; il bagno al
piano terra viene ampliato verso sud e dotato di un’anticamera;
la finestra al piano terra accanto al camino diventa una portafinestra; dalla camera più piccola al primo piano non si accede
più al bagno; cambia la nicchia del camino al primo piano
che diventa una finestra. In prospetto il camino che prima era
staccato dal muro, ora parte a filo del tetto, e aumenta anche
in larghezza; la scala che porta in cantina viene coperta da un
tetto inclinato, mentre prima era protetta solo da un parapetto;
il fronte al primo piano prima a filo del tetto viene leggermente
arretrato e si inclina; il tetto presenta un abbaino,
Una parete del portico di ingresso nelle tavole è inclinata, forse
da Spalt/Czech 1981
A
B
per dare maggiore risalto al camino.
Esiste poi una versione C in una tavola 1:100 (datata 1914)
con piante, prospetti e una sezione schematica pubblicata nel
Katalog del 1981 di Czech e Spalt. Questa versione è quella più
fedele all’esistente, mostrando anche l’orientamento corretto
che vede il fronte con l’ingresso collocato a est.
Rispetto alla versione B, variano : la dimensione del tetto, che è
qui più alta; la larghezza dei camini; leggermente la posizione
o la dimensione di alcune finestre; il camino si assottiglia in
larghezza, ma rimane a filo del tetto; e soprattutto i fronti nord
e ovest presentano il declivio del terreno che prima era segnato
come diritto.
Nell’indicazione della scala vi è mostrato un muro pieno, lì dove
invece inizierebbe la salita.
n.b. Per le misure indicate nel testo si è fatto riferimento alla
240
241
Haus Bunzl - Ortmann
Haus Bunzl - Ortmann
A - sezione AB
A - pianta piano interrato
B - pianta piano interrato
B -sezione CD
N
A - sezione CD
A - pianta piano terra
B - pianta piano terra
B - prospetto sud
A - pianta piano primo
B - pianta piano primo
B - prospetto nord
N
A - prospetto est
242
243
Haus Bunzl - Ortmann
Haus Bunzl - Ortmann
A - sezione EF
A - prospetto nord
A - prospetto sud
244
B -sezione AB
B -prospetto ovest
B -prospetto est
245
Villa Beer - Vienna
“
NEL PROSSIMO SECOLO DI BUONE SCARPE NE AVREMO BISOGNO, PERCHÉ SI CAMMINERÀ MOLTO”1.
“IL COMPITO DELL’ARCHITETTO CONSISTE NELL’ORDINARE TUTTI GLI ELEMENTI DELLA SOFFITTA PER
FARNE UNA CASA.
UNA CASA BEN CONGEGNATA DOVREBBE SOMIGLIARE A QUELLE BELLE CITTÀ ANTICHE, DOVE ANCHE
UN FORESTIERO SI ORIENTA SUBITO E TROVA MUNICIPIO E PIAZZA SENZA DOMANDARE2.
“
Villa Beer
Wenzgasse 12, Hietzing-Wien
I Beer erano originari da una famiglia proprietaria della fabbrica di scarpe
Sigmund Beer e figli, fondata nel 1904 e nel 1920 diventata la Berson
Kautschuk GmbH.
Frank aveva già arredato nel 1925 l’appartamento di Robert Beer e sua
moglie Elisabeth, amici dei Bunzl, nella Schwarzenbergplatz 5/Heumarkt
39. Ora, in collaborazione con Wlach che seguì soprattutto la parte
riguardante il cantiere, Frank progetta una villa sulla Wenzgasse per Dr.
Julius Beer e sua moglie Margarethe. Entrambi interessati alla cultura
musicale (lei aveva frequentato il conservatorio per pianoforte), avevano
richiesto una casa dove poter anche invitare gli amici e tenere riunioni di
lavoro e serate musicali.
Il lotto venne comprato nel luglio 1929 e i lavori per la casa vennero iniziati
già nell’ottobre dello stesso anno: un tempo molto breve per un edificio di
quelle dimensioni. E’ quindi probabile che il progetto, come ricorda Philipp
Ginther collaboratore in quel periodo nello studio di Frank, fosse stato
pensato già nel 1927-28 per un altro terreno3.
A partire dal 1931, a causa della depressione e della crisi economica4, i
Beers decisero di trasferirsi ai piani superiori e dare parte della casa in
affitto. Tra gli affittuari i cantanti d’opera Richard Tauber e Jan Kiepura. Dal
1939 al 1941 rimase disabitata.
Nel 1940 Julius e Margerete emigrarono a New York, l’anno dopo la casa
venne comprata, compreso l’arredo, da Harry Pöschmann (1886-1955)
e sua moglie Herta, commercianti tessili che vi abitarono fino al 1946,
quando venne occupata fino al 1952 dall’esercito inglese (nel frattempo
la famiglia Pöschmann abitava in un edificio nella vicina Kupelwiesergasse
2).
Recentemente l’edificio venne acquistato da Dr. Johannes Strohmayer e sua
moglie Susanne, con l’aiuto di una fondazione privata (Privatstiftung des
Wiener Unternehmers). Da anni si discuteva sull’eventuale ripristino delle
alterazioni spaziali subite nel corso del tempo. Anche l’Architekturzentrum
Wien aveva avuto intenzione di comprarlo per inserirvi una sala conferenza
e un archivio5.
Wilhelm Willrab, pubblicità delle suole in
gomma e tacchi della ditta Berson, da I.Meder
2008, p.106
Pagina accanto, sopra: colonne a sostegno
delle terrazze sul retro che si richiamano ai
tronchi degli alberi del giardino; trasparenza
fenomenica della vetrata della sala da pranzo
(C.Kruml, dicembre 2009). Sotto: fronte strada
(da Spalt/Czech 1981 pp.37)
247
Villa Beer - Vienna
N
Villa Beer - Vienna
Attualmente è in fase di restauro e divisa in due proprietà (gli spazi a sudovest dei piani secondo e terzo sono abitati da un’altra famiglia).
Presso la Sammlung und Oskar-Kokoschka-Zentrum der Universität für
angewandte Kunst di Vienna non ho trovato disegni di questo progetto.
Perciò qui di seguito si fa riferimento a quelli pubblicati in “Moderne
Bauformen” (31, 1932) e facenti parti della Sammlung Spalt6. Sui disegni
dei prospetti sono indicate delle linee di costruzione diagonali che
mostrano la composizione e le relazioni fra le varie parti.
Frank decide di posizionare la villa sul lato strada, ma separata da essa da
una fascia di 8 metri a prato, in modo da lasciare tutto il resto dell’ampio
lotto trapezoidale sul retro a giardino, leggermente in dislivello in
direzione sud-est.
La pianta è composta da un corpo rettangolare disposto su quattro livelli
a cui si aggiunge un gioco di volumi terrazzati sul retro. Così mentre il
fronte strada è più introverso (un rettangolo di 26,6 x 12,3 metri, le stesse
dimensioni del perimetro complessivo del piano terra), quello retrostante
si apre verso il paesaggio attraverso grandi vetrate, sporgenze e rientranze
in rapporto diretto e fluido tra interno ed esterno.
Come già Casa Bunzl, anche qui tutto l’esterno è di colore bianco7, dalle
pareti intonacate ai parapetti, dalle cornici di porte e finestre alle colonne,
ma a differenza di Casa Bunzl manca il tetto a padiglione che qui è piano
e privo di cornicione (sostituito da una scossalina metallica) o grondaie.
L’intonaco sembra quasi un velo elastico che avvolge interamente i
volumi adattandosi come una calza alle sporgenze e rientranze, e privo
di cuciture (tutti gli spigoli sono a filo netto anche quelli delle aperture,
leggermente incassate nella muratura). Anche lì dove col tempo si sono
formate delle crepe nell’intonaco8, esse vengono percepite quasi fossero
delle smagliature del tessuto.
EQUILIBRIO DEI PESI
prospetto nord-ovest
Vista del fronte strada, da M.Welzig 1998, p.130
Giungendo dalla strada la prima cosa che si nota è il volume aggettante
in prospetto, quasi un quadrato, sostenuto da due colonnine cilindriche
che sembrano quasi scomparire, tanto sono esili. E’ caratterizzato da
una grande finestra circolare, l’unica in tutto l’edificio: si capisce subito
che nasconde un luogo importante della casa, e la rotondità rimanda
al grembo materno. Questo volume aggettante ha lo stesso significato
simbolico che in Casa Bunzl aveva il camino, è uno spazio amato.
A fianco di questa finestra circolare, femminile, si trova una grande vetrata
rettangolare coperta da una tenda, ed intuiamo che si tratta di un altro
spazio, questa volta maschile. Sopra a queste due aperture il volume si
presenta pieno e al secondo piano le aperture sono inserite sui lati di
questo volume aggettante, che diventa così un occhio rivolto verso tre
punti di vista diversi.
Le estremità di questo prospetto frontale rettangolare si presentano piene,
mentre le aperture si concentrano per lo più attorno al volume aggettante
facendogli quasi da cornice, ma in maniera asimmetrica. Anche se nei
disegni manca l’inserimento dei due grandi alberi collocati proprio di
fronte al volume aggettante (in posizione non centrale però, verso nord248
249
Villa Beer - Vienna
Villa Beer - Vienna
est), le fotografie dimostrano come essi in realtà fanno parte integrante
del prospetto venendo ad equilibrare con la loro verticalità l’orizzontalità
che si viene a creare con l’inserimento dell’ultima finestra all’estremità sudovest del piano terra.
La porta-finestra verso l’estremità nord-est indica già in facciata il
Raumplan interno, essendo collocata in una posizione a metà strada tra il
piano terra e il primo piano.
Come in Casa Bunzl la porta d’ingresso si trovava all’ombra del portico,
anche qui essa è inserita nell’ombra del volume aggettante (ricordiamo
che per Bachelard l’ombra è uno spazio amato). L’altezza di questa zona
coperta è poco più grande dell’altezza della porta: si percepisce la gravità
del volume soprastante. La porta d’ingresso è rialzata di un gradino
attraverso un piccolo pianerottolo ed è incorniciata sui lati con marmo
verde. In origine era anche laccata di rosso acceso (mentre oggi è bianca)
bilanciando in questo modo la finestra circolare, entrambi un riferimento
al Giappone. Il colore rendeva la porta quasi un tessuto (con bordatura
verde), una membrana permeabile e non un ostacolo che impedisce
l’ingresso, confermando il carattere socievole e ospitale di Dr. Julius e
Margarethe Beer.
Una seconda porta verso sud-ovest serve per l’accesso alla zona di servizio
e si caratterizza dalla tettoia ad arco che la copre che da un lato richiama
la rotondità della finestra circolare, e dall’altro bilancia il peso dell’unica
finestra del terzo piano e la verticalità degli alberi. Ogni elemento viene
così ad essere in equilibrio e contrapposto ad un altro.
Sulla base del principio riegliano per cui la simmetria pregiudica la
profondità, mentre l’asimmetria produce trasparenza fenomenica e
dinamicità, in questo prospetto ogni elemento subisce dei leggeri
spostamenti e lievi traslazioni: il volume aggettante non è in posizione
centrale rispetto al fronte, ma leggermente spostato verso nord-est, così
come le sue stesse finestre del primo piano; le aperture che gli fanno da
cornice si presentano in numero maggiore verso sud-ovest, ma più piccole;
la porta di servizio al piano terra si trova in corrispondenza dell’area piena
fra le finestre al piano superiore ed è fuori asse rispetto alla tettoia che la
copre. Questi piccoli accorgimenti evitano la monotonia e la staticità della
facciata, che al contrario sembra quasi muoversi e cambiare spessore man
mano che ci si avvicina o allontana dalla casa.
Il prospetto laterale nord-est è un fronte pieno ritagliato solamente da una
grande vetrata al terzo piano e una profonda nicchia al piano ammezzato
in cui si inserisce con la sua ringhiera la terrazza che porta al giardino sul
fronte sud-est. In corrispondenza di questa nicchia, al piano seminterrato,
vi è il portone del garage (bianco), per cui il terreno in quest’area scende
in dislivello.
Stato attuale dell’ingresso principale
sotto al volume aggettante e quello
secondario di servizio. Fotografie
C.Kruml (dicembre 2009)
L’altro prospetto laterale, sud-ovest, risulta più largo perché incorpora
anche il volume terrazzato del fronte verso il giardino, la sua forma è
perciò quasi un quadrato, privo di un angolo. Ad esso si attacca una piastra
250
251
Villa Beer - Vienna
Villa Beer - Vienna
sostenuta da esili colonne cilindriche che si rapportano con i tronchi degli
alberi dell’intorno. Questa piastra funge da terrazza per la camera da letto
del secondo piano e dà riparo al piano terra ad una porta che serve per
uscire dalla sala da pranzo in giardino. E’ quindi probabile che quest’area
fosse pensata per ospitare con la bella stagione il tavolo da pranzo. La
medesima piastra si rispecchia con quella di calpestio al piano terra che
al tempo stesso permette anche di far entrare la luce negli spazi del piano
seminterrato sottostante.
3P
2P
1P
Pa
PT
Pi
3P
prospetto nord-est
2P
1P
Pa
PT
prospetto sud-ovest
Prospetto
laterale
sud-ovest,
fotografie: C.Kruml, dicembre 2009
252
Prospetto laterale nord-est, fotografie: C.Kruml, dicembre 2009
253
Villa Beer - Vienna
Vista sul retro con i tendaggi arancioni, da
K.Wängberg-Eriksson 1994 p.97
prospetto sud-est
254
Villa Beer - Vienna
Il prospetto verso il giardino mostra chiaramente il Raumplan interno
prolungandolo all’esterno attraverso terrazzamenti posti a livelli
diversi. Su questo fronte la casa gioca con il paesaggio concedendosi o
nascondendosi ad esso attraverso concavità e convessità, bowindow e
nicchie, ampie vetrate (anche a doppia altezza tra piano terra e primo)
e tendaggi sia interni che esterni. Un modello della Villa pubblicato da
Kurrent e Spalt9 mostra delle ampie cortine che coprono le due grandi
finestre del piano terra e dell’ammezzato (non il bowindow) e l’apertura del
primo piano posta sopra alla profonda nicchia verso nord-est (la stessa che
continua poi sul prospetto laterale). Tale nicchia viene bilanciata da quella
che si trova nel terrazzo-solarium all’ultimo piano e, all’altra estremità del
prospetto, dalla piastra sostenuta dalle esili colonne.
Quest’ultima a sua volta, assieme al balcone sopra alla nicchia, sta in
relazione con la terrazza sopra al bowindow.
Anche qui manca un asse di simmetria e il bowindow non si trova in
posizione centrale, ma slittato verso nord-est.
Una linea continua di marcapiano collega la terrazza sopra alla nicchia e la
piastra posta a sud-ovest: come una cucitura, essa al tempo stesso separa
e unisce i piani secondo e terzo da quelli sottostanti, oltre a contribuire
ad alleggerire i volumi dando loro un’orizzontalità che si rispecchia anche
nelle ringhiere dei terrazzamenti.
modello della villa che mostre i tendaggi esterni, da Kurrent/Spalt 1965. Fotografie in bianco e nero da “Innen Dekoration”, 1931, ripubblicata in
M.Welzig 1998 p.134
255
Villa Beer - Vienna
Villa Beer - Vienna
Rispetto ai disegni pubblicati in “Moderne Bauformen” nel 1932, lo stato
attuale presenta sul fronte verso strada due aperture aggiuntive: una al
terzo piano verso sud-ovest e l’altra al piano ammezzato verso nord-est.
Importante sottolineare infine l’effetto di trasparenza fenomenica dato dalle
grandi vetrate al piano terra: man mano che ci si avvicina o allontana a loro
cambia il grado di riflessione del vetro e di conseguenza la stratificazione
delle immagini che vi si proiettano. Come nei padiglioni di Dan Graham,
ad un certo punto è possibile contemporaneamente osservare ciò che si
trova all’interno della casa, scorgere il paesaggio attorno ma anche il suo
riflesso, scoprire se stessi proiettati sul vetro e leggere nella sua interezza lo
spessore della parete. L’involucro si è dissolto in una stratificazione di veli.
Sulle pareti esterne sono inserite alcune fonti per l’acqua.
Abbeveratoio esterno e trasparenza fenomenica
delle vetrate. Fotografie: C.Kruml (dicembre 2009)
256
257
Villa Beer - Vienna
Villa Beer - Vienna
Pinterrato
B: bedroom, camera da letto
Bw: bathroom, bagno-wc
c: cantina
D: dining, sala da pranzo
G: garage
g: guardaroba
H: Hall
K: kitchen, cucina
L: living, soggiorno
T: terrazzo
t: vano tecnico
S: storage, ripostiglio
U: utility, ambiente di servizio
V: Windfang, veranda di ingresso
Bw
c
t
U
G
U
t
c
t
c
Nicchie
Percorsi
Luoghi filtro
Sguardi selezionati
Spazi aperti coperti
Sguardi attraverso
Terrazze all’aperto
Stanze di servizio
t
0
1m
PT
Pammezzato
tè
V
Bw
V
g
K
bibl.
Bw
B
M
S
L
K
B
S
D
258
H
T
259
Villa Beer - Vienna
Villa Beer - Vienna
2P
g
Bw
g
Bw
palestra
H
B
B
Bw
T
B
sala
colazioni
B
T
T
3P
Bw
Bw
S
g
B
T
B
B
SVILUPPO DELLA SCALA
assonometria da Stritzler-Levine p.88
260
261
Villa Beer - Vienna
Villa Beer - Vienna
Una volta entrati in casa dalla porta principale si oltrepassa una piccola
anticamera (che serve come Windfang, frangivento, e dove è possibile
lasciare le scarpe) e quindi si arriva nell’atrio vero e proprio che funge da
luogo di distribuzione dei diversi percorsi, oltre che come guardaroba con
bagno annesso. Quest’ultimo ha la particolarità di avere sopra al lavabo
(separato dal wc) una finestra da cui si vede il cancello d’ingresso. Questa
soluzione dimostra che per Frank anche il bagno è un luogo importante
e abitabile della casa (come nella cultura orientale) e non qualcosa da
nascondere.
Dall’atrio si può scegliere se prendere la prima porta di fronte ed entrare
nella grande Halle oppure proseguire verso la zona dedicata agli ambienti
di servizio.
In questo secondo caso, un corridoio con armadio a muro distribuisce in
sequenza: l’accesso secondario e le scale di servizio; le due cucine separate
da una parete finestrata10; una piccola dispensa. Un tavolino in legno ad
angolo tenuto su da un esile perno invita verso la sala da pranzo posta a
sud-est nel corpo più basso.
Da qui i domestici potevano accedere alla sala da pranzo senza dover
passare necessariamente per la Halle o gli altri ambienti di soggiorno.
Le scale di servizio (a chiocciola, con i gradini rossi e il sottile corrimano
bianco con le estremità in ottone) continuano su tutti i piani portando
anche al livello seminterrato che ospita le cantine, i locali tecnici, una
lavanderia, un bagno e il garage. Esse costituiscono quindi un importante
perno verticale della casa e permettono anche ai figli di avere un accesso
indipendente alla zona notte ai piani superiori.
Scale e ingresso secondario (C.Kruml,
dicembre 2009) e cucine, da “Innen
Dekoration”.
Vista sul cancello di ingresso dalla finestra
del bagno e fotomontaggio di una fotografia
d’epoca (da “Innen Dekoration”) sullo stato
attuale dell’atrio di ingresso (fotografie: C.Kruml
dicembre 2009).
Sotto: Windfang di ingresso (C.Kruml) e
guardaroba (da “Innen-Dekoration”).
262
263
Villa Beer - Vienna
Villa Beer - Vienna
Immettendosi invece nella grande Halle a doppia altezza si ha subito una
sensazione di ampiezza e luminosità, rafforzata dalla contrapposizione con
le ridotte dimensioni e altezze degli ambienti visti prima.
Appena entrati, sulla destra, vi è una nicchia con un caminetto: lo spazio
che si viene a creare sotto all’aggetto della galleria del piano soprastante
non è di risulta, ma un luogo speciale, dove rannicchiarsi scaldati dal calore
del fuoco. Esso fa parte di quelle concavità e convessità di cui parlava Baillie
Scott in Häuser und Gärten e di cui dovrebbe comporsi una Halle.
L’ingombro di questa nicchia è segnato non solo dalla proiezione del solaio
soprastante (che si protende oltre il filo del muro in direzione della sala
da pranzo), ma anche dalla colonna cilindrica bianca che sembra quasi
infilzare il solaio della galleria essendo arretrata rispetto al filo dell’angolo
e continuando fino al terzo piano.
Suo contraltare è il bowindow vetrato su tre lati a tutta altezza che si
protende profondo nel paesaggio verso sud-est. Sui tre lati è inserita
una panchina in legno con cuscini per la seduta, mentre lunghi tendaggi
velano le vetrate. Qui ci si sente immersi nel giardino pur rimanendo
riparati dalle intemperie, e allo stesso tempo da qui si riesce a vedere
contemporaneamente la porta verso l’atrio, la nicchia con il camino, le
scale che portano ai piani superiori, la galleria per la musica al primo piano
e gli spazi inseriti nel volume aggettante in facciata. La Halle costituisce
così il nucleo che tiene assieme tutti gli spazi principali della casa.
Ingresso nella Halle (da “InnenDekoration) e bowindow allo stato
attuale (fotografia: C.Kruml dicembre
2009).
Vista della Halle dal bowindow (da “Innen-Dekoration”).
264
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Villa Beer - Vienna
Villa Beer - Vienna
La sala da pranzo a sud-ovest è collegata a questo ambiente centrale
attraverso un ampio ritaglio nella parete, privo di porte e chiuso solo da
una tenda floreale11. Il pavimento è in legno a quadrati e fasce sottili di
due colori che si alternano creando un effetto dinamico di sfasamento.
La parete verso il giardino è quasi interamente occupata dalla vetrata a
tutta altezza, mentre quella opposta ospita un armadio a muro nel quale
è inserita la porta che conduce agli ambienti di servizio. Sia dalla sala
da pranzo che dalla Hall si può uscire in giardino attraverso delle porte
verniciate di bianco che si mimetizzano nella parete.
Sala da pranzo (da “Innen-Dekoration”) e vista sul
giardino dalla grande vetrata (C.Kruml dicembre
2009)
Secondo i principi enunciati in Das Haus als Weg und Platz, l’inizio della
scala è chiaramente e fin da subito visibile, collocata proprio a fianco della
porta d’ingresso alla Halle. E’ articolata in più rampe e pianerottoli di diversa
forma e dimensione, tappe in sequenza su cui soffermarsi per riflettere, che
si concludono poi con un elemento quasi scultoreo ad elica al terzo piano.
Percorrendo questa scala il corpo cambia continuamente direzione e punti
di vista, ma anche lo stesso ritmo di percorrenza.
“Il percorso guida dell’abitazione deve essere condotto in modo tale che
sino alla scala e su di essa, non si abbia mai la sensazione di andare avanti e
indietro, di tornare cioè in qualche modo sui propri passi: bisogna sempre
procedere.[...] In questa casa sulla Wenzgasse, la scala costituisce il centro
dell’abitazione ed è fatta in modo che i vari spazi abitati siano disposti su
vari livelli. L’idea base è quella di accedere all’atrio dirigendosi verso la
scala, che riconduce al punto di partenza porgendo gli scalini a chi entra.
Mentre si fanno gli scalini, ci si trova sul primo pianerottolo da dove, grazie
ad una grande apertura, si guarda nella stanza più importante, ovvero il
soggiorno”12.
266
Scala vista dalla Halle (C.Kruml 2009)
267
Villa Beer - Vienna
Villa Beer - Vienna
La prima tappa avviene a circa 1,2 metri rispetto al livello della Hall:
attraversando un’apertura chiusa da una tenda analoga a quelle delle
sala da pranzo, il pianerottolo si estende verso l’ambiente di soggiorno
al piano ammezzato, caratterizzato dalla presenza di un caminetto in
posizione quasi centrale (ma addossato al muro) che suddivide lo spazio di
due parti: una più pubblica, l’altra più intima13.
Accanto al camino una porta-finestra si affaccia sul fronte strada.
Dal soggiorno si accede alla profonda nicchia collocata all’esterno
nell’angolo nord –est, e da qui ad un ampio terrazzo posto sempre alla
quota +1,2 metri rispetto al primo terrazzamento su cui appoggia il volume
con il bowindow. Come già nella sala da pranzo, anche qui vi è una grande
vetrata a tutta altezza aperta sul giardino.
Soggiorno verso la Halle (“InnenDekoration”). Sotto: vista dall’affaccio della
biblioteca (I.Meder 2008 p.111).
Dal soggiorno, salendo altri nove gradini, si arriva al primo piano, alla
seconda tappa del percorso: da una parte i due spazi contenuti nel
volume aggettante in facciata (lo studio-biblioteca e la stanza per il tè),
dall’altra la galleria per la musica che affaccia sulla Halle.
Questo sistema di spazi è altamente teatrale e seducente, ciascuno è
contemporaneamente loggia da cui guardare e palcoscenico dove essere
guardati, tutto è fluido e continuo, endless direbbe Kiesler:
dalla biblioteca ci si può affacciare nel soggiorno grazie ad un ritaglio nella
parete chiuso da una tenda, si può vedere che cosa accade all’esterno della
casa attraverso la vetrata su fronte strada, oppure ci si può immergere nella
lettura chiudendo la porta dietro di sé;
la sala per il tè costituisce l’ambiente più uterino della casa, prolungamento
privo di porte divisorie della galleria della musica. E’ caratterizzato da
due grandi e morbidi divani e dalla finestra circolare che richiama ad
un’atmosfera orientale (in origine vi erano contenuti degli oggetti di arte
orientale14). Da qui si può vedere chi arriva dal cancello di ingresso in
giardino;
fotografie del soggiorno (da “InnenDekoration”). con affaccio sul lato strada
(C.Kruml).
268
269
Villa Beer - Vienna
Villa Beer - Vienna
la galleria della musica, al centro della casa come voluto da Margarethe
Beer, affaccia direttamente sulla hall ed è visibile contemporaneamente
dal bowindow, dalla sala da pranzo, dal soggiorno, e dalla sala per il tè. E’
quindi un concentrato di sguardi in cui ci si trova al tempo stesso attorimusicisti, ma anche osservatori, da un unico punto, di tutti gli spazi pubblici
della casa e persino di ciò che accade in giardino oltre al bowindow.
Qui la scala diventa un elemento scultoreo, bianco, che si torce su se
stessa quasi fosse una chiave di violino. Questa piegatura serve da un lato
a focalizzare l’attenzione su di sé come perno di rotazione attorno a cui
si organizzano tutti gli spazi; dall’altro ad addolcire come il suono della
musica le forme rettangolari dei volumi (la curvatura si rispecchia nella
finestra circolare e nella rotondità della colonna); ma anche ad introdurre
un movimento a spirale nel percorso in salita che porta al piano superiore.
Sguardo sul giardino attraverso
la Halle dalla scala che porta alla
biblioteca (C.Kruml)
Biblioteca e sala del tè (da “Innen-Dekoration”) con
rispettive viste sul fronte strada (C.Kruml dicembre
2009)
Galleria per la musica (C.Kruml dicembre 2009)
270
271
Villa Beer - Vienna
Villa Beer - Vienna
Dalla galleria si accede inoltre alla zona notte riservata ai domestici: un
ampio guardaroba con bagno e due camere da letto rialzate di un paio
di gradini (in modo da permettere una altezza maggiore per la cucina
sottostante).
In questa pagina: zona notte al primo piano
riservata ai domestici.
A fianco: scala che porta al secondo piano
con dettaglio della linea continua e sinuosa
del corrimano (fotografie C.Kruml dicembre
2009)
272
Salendo al secondo piano si arriva ad un’altra Halle che serve a distribuire
quattro camere da letto, due bagni (di cui uno con wc separato), due
guardaroba uniti da un corridoio a formare una L, una piccola palestra, e
una sala per le colazioni.
La particolarità di questo spazio centrale sta da una parte nelle linee
continue e sinuose del corrimano in ottone e del ritaglio della scala nel
solaio, e dall’altra dalla grande porta-finestra che dà su una terrazza posta
sopra il bowindow, accessibile anche dalla sala colazioni15.
Ci si trova a questo punto al secondo livello del volume aggettante in
facciata che contiene da una parte un angolo-seduta e dall’altra un
guardaroba. Entrambi questi spazi sono dotati di ampie vetrate, e in
particolare da quella del guardaroba si può guardare sul piccolo affaccio
del soggiorno sottostante ribadendo così il gioco teatrale che caratterizza
tutta la casa.
Due camere da letto affacciano sulle terrazze poste rispettivamente alle
estremità nord-est e sud-ovest della casa.
I bagni sono molto ampi e dotati di grandi finestre che li rendono degli
spazi abitabili.
273
Villa Beer - Vienna
Villa Beer - Vienna
Al terzo piano si arriva attraverso la scala di servizio. Qui sono collocate da
una parte tre camere distribuite lungo un corridoio e dall’altra un piccolo
ripostiglio, un wc, uno spogliatoio, un bagno con doccia, e una grande
terrazza-solarium con annessa zona all’aperto coperta (con fonte per
l’acqua). E’ probabile che questo piano, pur non avendo il tetto inclinato,
avesse lo stesso significato che per Baillie Scott aveva la soffitta, servisse
quindi anche come spazio per il gioco dei figli, oltre che per la cura della
persona.
Arredi:
Come in Casa Bunzl, anche qui le pareti interne sono tutte intonacate di
bianco, così come le porte. Solo il rivestimento delle pareti della cucina è
in piastrelle quadrate bianche16.
Avendo un generoso budget a disposizione, Frank può utilizzare anche
materiali costosi come pavimenti a intarsio in legni esotici e marmi17. Ciò
nonostante la casa non ostenta in lusso e monumentalità.
L’arredamento si presenta semplice ed essenziale, come accostamento di
diversi tipi di sedute e poltrone, stoffe e tappeti colorati.
Gli armadi a muro e i mobili della cucina sono stati disegnati da Frank in
legno bianco, privi di ornamenti se non le maniglie in ottone applicate su
placche (quadrate o circolari) sempre in ottone, e le cerniere in cromo delle
ante.
L’atrio di ingresso è pavimentato in piastrelle quadrate chiare e le fotografie
in bianco e nero mostrano due strati di tende alle finestre, il primo bianco
tinta unita, il secondo floreale (pattern disegnato da Frank così come il
tappeto). Un grande specchio circolare anticipa la finestra della sala del
tè .
Le stesse fotografie rivelano ovunque la presenza della vita dell’abitante:
l’ombrello e i pettini nell’atrio, i libri nella biblioteca, i posacenere sui tavoli,
le piante nei vasi, i quadri (pochi) e i soprammobili, le sedie disordinate
quasi vi si fosse appena alzato qualcuno. Gli spazi della casa sono vissuti,
abitati.
I caminetti sono dei volumi puri bianchi con cornice in mattoni, e soglia e
tettoia in marmo.
Terrazza della camera da letto del secondo piano,
da cui si può vedere che quella sopra il bowindow
in origine era dotata di abbeveratoio e pavimentata
mentre oggi non più (da M.Welzig 1998 p.134)
Spazi all’interno del volume aggettante in facciata
con rispettive viste sull’esterno (guardaroba da
“Innen-Dekoration”; stato attuale C.Kruml dicembre
2009).
Terzo piano: solarium e camera da letto della figlia (da
Berquist p.126 e “Innen-Dekoration”).
274
275
Villa Beer - Vienna
Villa Beer - Vienna
Villa Beer e Villa Moller
La Beer Haus presenta molte analogie con Villa Moller progettata da Adolf
Loos negli stessi anni (1928)18: l’arretramento dalla strada attraverso
una fascia a prato con due alberi decentrati rispetto alla facciata; il
volume aggettante con le finestre che gli fanno da cornice e la porta
di ingresso collocata al di sotto; il prospetto verso strada più riservato e
quello retrostante aperto sul giardino mediante terrazzamenti, balconi e
grandi vetrate; le facciate lisce intonacate di bianco, prive di cornicioni e
grondaie con le aperture ritagliate nella pelle dell’edificio; il tetto piano e la
grande terrazza-solarium all’ultimo piano; il Raumplan e il gioco di affacci
all’interno; l’arredamento semplice ed essenziale e combinazione di mobili
antichi e nuovi contro la concezione della casa come opera d’arte.
Inoltre in entrambi i progetti l’intonaco esterno è pensato come una
camicia bianca che avvolge completamente l’edificio sotto una superficie
uniforme priva di ornamenti, mentre l’interno simboleggia uno spazio
prettamente femminile, metafora dell’utero materno, morbido e sinuoso,
dove invece gli ornamenti sono concessi perché “utili per lo spirito”.
Eppure ad un’analisi più attenta, sono evidenti le differenze progettuali fra
i due architetti.
Innanzitutto l’edificio che progetta Loos si presenta come un volume
compatto e quasi cubico, sia in pianta che in alzato, e in faccia-ta è
perfettamente simmetrico, quasi fosse una maschera con due occhi, un
naso e una bocca, sottolineata anche dall’ispessirsi delle cornici delle
porte-finestre del secondo piano.
Trovandosi davanti alla porta di ingresso, il peso del volume aggettante,
soprastante non viene percepito più di tanto, essendo collocato più in alto
rispetto a quello di Villa Beer e meno profondo, tanto che non necessita di
colonnine di sostegno.
Manca anche la finestra circolare, sostituita da un’unica vetrata centrale,
e sopra all’aggetto è ricavata una terrazza incorniciata da una leggera
rientranza della superficie muraria.
L’effetto complessivo di questo fronte strada è di una maggiore
monumentalità e staticità rispetto a Casa Beer dove invece le asimmetrie e
traslazioni gli conferivano movimento e dinamicità.
Un altro aspetto da notare è il fatto che l’edificio sembra appoggiare sul
terreno come su un vassoio, mentre in Villa Beer il giardino entrava in gioco
nel disegno complessivo dei terrazzamenti che gradualmente salivano fino
alla terrazza-solarium in copertura. In Villa Moller invece i balconi e affacci
sono indipendenti gli uni dagli altri e soprattutto non fanno parte di un
276
B.Colomina 1992 p.79
sistema di sporgenze e rientranze, concavità e convessità come era invece
nella Beer Haus. Qui il fronte rimane comunque sempre una superficie
piana e non mostra nulla del Raumplan interno.
L’architettura di Loos è dunque molto più introversa di quella di Frank, cosa
che viene confermata anche all’interno: le finestre sono raramente fatte per
guardare all’esterno essendo spesso collocate in alto o dietro ad un divano
cosicché colui che vi siede si trova ad avere la finestra alle proprie spalle.
Inoltre in questo modo chi è seduto viene visto in controluce, “come un
volume, una presenza corporea all’interno della casa dotata di una propria
interiorità”19.
All’interno del volume aggettante in facciata si trova quello che Beatriz
Colomina chiama the theater box, una specie di scatola teatrale attorno
alla quale ruotano gli altri spazi della casa analoga a quello che in Villa
Beer era lo spazio della galleria per la musica-sala per il tè. Tuttavia, mentre
in Frank l’abitante si trovava ad essere contemporaneamente attore e
spettatore in un gioco equilibrato delle parti, in Loos il/la padrone di casa
è solo spettatore, anzi addirittura controllore e osservatore di tutto ciò
che accade fuori e dentro alla casa, senza essere visto perché nascosto da
controluce (all’interno) e dalle tende (verso l’esterno)20.
Un’altra differenza rispetto a Loos si rileva nella concezione della casa
come via e come piazza: se in Casa Beer il percorso è continuamente
fluido e dinamico, le scale sono sempre visibili e facenti parte degli spazi
di soggiorno; in Villa Moller le scale sono numerose, frammentate e a volte
nascoste dietro pilastri o addirittura a scomparsa nel pavimento. Mentre in
Frank gli spazi si fondono così l’uno nell’altro, in Loos gli ambienti sono si
277
Villa Beer - Vienna
Villa Beer - Vienna
collegati tra loro, ma indipendenti, ciascuno pensato come nucleo chiuso
in se stesso, anche quando si affaccia in un altro ambiente o all’esterno.
I passaggi da uno all’altro sono incorniciati mediante pilastri, colonne o
rivestimenti in legno, dove la cornice è sempre un elemento di separazione,
una cucitura. Frank invece si limita a pareti bianche e ad elementi divisori
flessibili e permeabili come le tende, laddove Loos non esista a rivestire le
pareti di marmo o legno.
Sezione
terrazzo
1P
pranzo
musica
3P
terrazzo
Halle
cucina
bibl.
nicchia
seduta
B
atelier
camera
PT
garage
garage
lavanderia
2P
camera
servizio
camera
camera
camera
camera
servizio
cucina di
servizio
Qui sopra sala della musica e pranzo. A fianco nicchia della seduta “theater box”. Immagini da Münz/Künstler pp.129-134
B
camera
servizio
disp.
B
B
G
camera
camera
camera
ingresso
278
279
Villa Beer - Vienna
Villa Beer - Vienna
Note
1
Susanne Strohmayer, che ringrazio, mi è stato possibile visitare
1962), p.70
di persona gran parte della villa, anche all’interno (eccetto la
2
A.Loos, I calzolai, da Parole nel vuoto, Adelphi Milao 1972 (ed.orig.
Josef Frank, Das Haus als Weg und Platz, in “Der Baumeister”,
cantina e le camere poste a sudovest dei piani secondo e terzo
n. 29, 1931, p.316, ripubblicato in J.Spalt, H.Czech, Josef Frank
che attualmente fanno parte di un’altra proprietà). All’epoca
1885-1967, Hochschule für angewandte Kunst, Wien 1981, p.36
la villa presentava delle crepature sui prospetti soprattutto in
3
corrispondenza del cordolo di copertura.
Vedi nota 131 a p.135 in Maria Welzig, Josef Frank 1885–1967.
Das architektonische Werk, Böhlau Verlag, Vienna, 1998
9
4
Nel 1935 la società di assicurazioni Allianz e Giselaverein
ed Ellen Wild sotto la supervisione di Boris Podrecca all’interno
Versicherungs AG aveva lanciato un’asta sul terreno e sulla
del corso per Raumgestaltung tenuto da Friedrich Kurrent.
casa.
Vedi Friedrich Kurrent, Johannes Spalt, in “Die Furche”, n.29,
5
Vedi articolo di Hans Haider pubblicato nella “Wiener Zeitung”
1965, mostra in occasione del 80° compleanno di Frank dal
il 10 luglio 2009. Riguardo alla storia della famiglia Beer e agli
18 dicembre 1965 al 29 gennaio 1966 all’Österreichischen
altri abitanti della Villa, vedi Tano Bojankin, Das Haus Beer
Gesellschaft für Architektur a Vienna, ora in Otto Kapfinger,
und seine Bewohner, in Iris Meder (a cura di), Josef Frank. Eine
Krischanitz, Josef Frank zum 100 Geburtstag am 15 Juli
Moderne der Unordnung, Verlag Anton Pustet, Salzburg Wien
1885, Ausstellung vom 15 Juli bis 2 August 1985, Fakultät für
München 2008, pp.105-111
Architektur der Technischen Universität München.
6
10
“Moderne Bauformen”, n.31, 1932, in Christopher Long, Josef
Il modello in scala 1:33 1/3 è stato realizzato da Maria Bilika
Quando ho visitato l’edificio la cucina più grande era stata
Frank, University of Chicago Press, Chicago 2002, p. 146.
trasformata in una camera.
Secondo Maria Welzig, esistono anche dei disegni presso
11
l’archivio tecnico del Baubehörde che però non ho potuto
parete in muratura, è stata ripristinata.
consultare. Si tratterebbe di due versioni di piante, una datata
12
J.Frank, Das Haus als Weg und Platz, op.cit.
ottobre 1929 (quando la costruzione venne avviata senza avere
13
Oggi questa seconda parte è chiusa da pareti in muratura.
ancora il permesso); l’altra agosto 1929 contiene delle varianti
14
Le fotografie in bianco e nero mostrano una xerografia con
al progetto.
scritte giapponesi o cinesi, un tavolino e tappeti orientali. Vedi
7
Wolfgang Born, Ein Haus in Wien-Hietzing, “Innen-Dekoration”,
Col tempo diventato grigio, ma è previsto un ripristino del
Attualmente è coperta da uno strato di ghiaia. Le fotografie
in bianco e nero mostrano che veniva utilizzata come solarium
(cosa che confermerebbe la presenza della fonte per l’acqua
oggi non più esistente).
16
Non essendo disponibili fotografie dell’epoca dei bagni, non
è chiaro se fossero rivestiti con piastrelle o meno.
17
Oggi gran parte dei pavimenti sono coperti da mouquette.
18
Attualmente è residenza del console israeliano e quindi non
accessibile.
19
Beatriz Colomina, The Split Wall: Domestic Voyeurism, pp.
73-128
20
Colomina fa notare la situazione analoga nel progetto per la
Josephine Baker House dove la piscina è collocata fra due recinti
di pareti nelle quali sono ricavate delle finestre dalle quali un
ipotetico visitatore può spiare la proprietaria mentre nuota,
la quale però gli rimane sempre inaccessibile, intoccabile,
una silhouette misteriosa e desiderabile essendo la piscina
illuminata dall’alto.
Oggi questa apertura originaria, in seguito chiusa da una
colore bianco degli intonaci
n.XLII, Heft 10, 1931, p.363 e seguenti cit. anche in M.Welzig,
8
Josef Frank, op cit., p.130
Nel dicembre 2009, grazie alla disponibilità della signora
15
1P
Halle
cafè
B
B
salone
piscina
petit
salon
CASA J.BAKER Parigi 1928
primo piano e sezione
280
281
J.Frank, le 13 case raccolte su tre fogli di carta trasparente, da Berquist pp.85-88
13 case per
Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
L.S.D.D.
Josef Frank e Dagmar Grill, da M.Welzig 1998,
p.213
Sopra estratto dalla lettera per la casa n.3, 1
agosto 1947 (Bauwelt 26/1985, p.1066)
1
In una lettera indirizzata a Trude Waehner
il 15 ottobre 1947 (LÖNW) scrive che si
sta dilettando con disegni d’architettura,
riferendosi probabilmente alle 13 case per
Dagmar, ma solo “per schiarirmi un po’ le
idee su che cosa voglio fare in realtà, senza
alcuna pretesa che alcuno di loro possa
concretizzarsi”.
284
Tra il 22 luglio e il 15 agosto 1947 Josef Frank scrive 13 lettere indirizzate a
Dagmar Grill (1892 - dopo il 1979), cugina della moglie. I due si conoscono
nel 1914, quando lei, fisioterapista, si trasferisce da Stoccolma a Vienna per
andare a lavorare alla Scuola di educazione fisica Strömberg-Palm, di cui
tra l’altro proprio Frank aveva progettato gli interni nel 1910. Negli anni
venti Dagmar viene assunta presso “Haus & Garten”, e tra i due si sviluppa
nel tempo un legame particolare che si concretizzerà dopo la morte della
moglie nel 1957, quando vanno a vivere assieme a Stoccolma.
Scritte come stimolo per impegnare un periodo caratterizzato da pochi
incarichi architettonici effettivi1, le lettere portano avanti un progetto del
1926 per una casa ideale da costruirsi a Skärgården, un arcipelago di isole
ad est di Stoccolma, dove Dagmar viveva.
Ciascuna contiene lo schizzo per una casa immaginaria (piante, un
prospetto e alcune note di commento), che in seguito Frank raccoglierà su
tre fogli di carta trasparente, cambiandone però l’ordine di numerazione
(in origine era 1-2-5-6-7-4-3-9-8-10-11-12-13). I 13 progetti si differenziano
per forma, dimensione e tipologia.
Tuttavia, pur trattandosi di case immaginarie, questi schizzi sono qualcosa
di più che un semplice e astratto esercizio compositivo. Non essendo
vincolato da alcuna realizzazione, tantomeno da problemi di costo, Frank
poté infatti sentirsi libero di esprimere tutta “la [sua] poetica dello spazio”.
In una delle lettere definisce questi progetti con il termine svedese
“Krånglig” che, tradotto, significa complicato, intricato, si potrebbe anche
dire seducente. Ognuna di queste 13 case è uno “spazio amato”.
Le 13 lettere per Dagmar Grill possono essere considerate come una finestra
aperta verso un’intimità, l’intimità della casa e del suo abitante, sono la
chiave che ci permette di sbirciare in questo spazio uterino scoprendone
un segreto che non ci sarà mai consentito di svelare, e appena varcata la
soglia saremo al stesso tempo attori e spettatori di una storia d’amore.
Negli anni successivi Frank continuerà a sviluppare i progetti per queste
case e di tre di queste (n.9, n.8 e n.13) realizzerà nel 1953 anche degli
acquerelli.
Tra il 2 e 3 dicembre del 1953 e il 1955, realizzerà altre due serie, le “DHouses” e le “Double D Houses”, in cui riprenderà molti dei temi sviluppati
per queste 13 case per Dagmar Grill.
Qui di seguito viene data una breve descrizione per ciascuna di esse.
Purtroppo è difficile rintracciarne completamente lo sviluppo progettuale
perché le lettere originali sono andate perdute (si sono conservate
solamente alcune copie conservate nella collezione del prof. Johannes
Spalt nell’Architektur-Zentrum Wien, ma attualmente – dicembre 2009
- non accessibile).
N.B.
Gli schemi qui di seguito sono stati ricostruiti sulla base dei documenti
conservati presso l’archivio Josef Frank dell’Albertina di Vienna (JFA). A
fianco vi è lo schizzo contenuto nelle lettere.
Dove i prospetti presentavano delle incongruenze rispetto alla pianta
(come nelle case n.2, 5 e 8), si è fatto fede alle piante: si aggiunge in quel
caso l’originale JFA con le parti evidenziate in rosso per un confronto.
Le fotografie dei modelli sono tratte da M.Bergquist, O.Michélsen,
Accidentism. Josef Frank, Birkhäuser, Basel 1995. Quelle delle case n.3 e 9
da I.Meder, Josef Frank. Eine Moderne der Unordnung, Pustet, Salzburg 2008,
p.83 e “Ottagono”, n.62 (1981), pp.28 e 33.
Ove non espressamente indicato, tra virgolette sono citate le annotazioni
di Frank che accompagnano gli schizzi.
Progetto di casa per Dagmar Grill a
Skärgården, da Spalt/Czech 1981,
p.187
Legenda:
terrazzo all’aperto
atelier/capanna
spazio aperto coperto
muratura
filtro
luogo speciale
nicchie
L: living, soggiorno
B: bedroom, camera da letto
K: kitchen, cucina
D: dining, sala da pranzo
G: garage
Bw: bathroom, bagno-wc
H: Hall
T: terrazzo
V: Windfang, veranda di ingresso
U: utility, ambiente di servizio
A: Atelier
S: storage, ripostiglio
C: corte
285
13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
CASA n.1 – 22 luglio 1947 JFA 81
Frank si riferisce a questo progetto come “Nuova Casa Dybel n.1”.
È composta dal volume irregolare del piano terra (l’elemento orizzontale,
femminile) sormontato a croce da un corpo rettangolare (l’elemento
verticale, maschile) che sporge da entrambi i lati est ed ovest, sostenuto
da pilastri (rastremati verso il basso nello schizzo della lettera). In questo
modo al piano terra vengono a crearsi degli spazi esterni coperti, uno a
protezione dell’ingresso, l’altro di fronte alla cucina e a parte della sala da
pranzo.
In prospetto la casa si presenta con facciate lisce in cui, per contrasto, si
distinguono i camini in muratura.
All’interno, dall’atrio il percorso si snoda in tre possibili direzioni: a sud
verso il soggiorno e la sala da pranzo, a nord verso la cucina e l’ambiente
di servizio adiacente al garage, oppure al piano superiore dove si trovano
tre camere da letto, un bagno e due grandi terrazze (non accessibili nei
disegni JFA).
Nello schizzo delle lettere il salotto è separato dalla sala da pranzo e
rialzato di qualche gradino. Verso ovest si protende all’esterno attraverso
un bowindow che, assieme alla sporgenza del primo piano, viene a formare
una corte a U orientata ad ovest, una stanza all’aperto in cui ci si sente
come abbracciati dalla casa. Le camere da letto sono orientate ognuna
verso un diverso punto cardinale, in modo da diventare un luogo speciale,
dal quale poter osservare una particolare porzione di paesaggio: quella
orientata a sud, la più piccola e intima, guarda verso la corte aperta sul
soggiorno; mentre la camera più ampia, in direzione est, sporge mediante
un bowindow sopra l’ingresso.
Nella versione elaborata successivamente (JFA) invece salotto e sala da
pranzo vengono raggruppati in un unico ambiente, il bowindow del
soggiorno viene ridotto e quello della camera da letto viene sostituito da
un affaccio.
prospetto sud
prospetto nord
prospetto est
1P
B
B
Bw
B
0 1
PT
5m
N
D
L
prospettoovest
286
V
V
K
U
U
G
287
13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
CASA n.2 – 23 luglio 1947 JFA 80
Chiamata nella lettera “Casa Dybel n.2”, presenta un solo piano allungato
e irregolare composto di due volumi di cui uno più basso, sormontati in
copertura da una “Krånglig House”, cioè uno studio vetrato: un basamento
intimo e riservato su cui appoggia un’osmotica capanna.
Rispetto all’ingresso si può scegliere se andare ad est verso la zona notte
rialzata di alcuni gradini (tre camere orientate verso sud e un bagno),
oppure dirigersi in direzione opposta verso la zona giorno caratterizzata
dalla nicchia del camino (il luogo più nascosto ed intimo della casa) e da
due bowindow, di cui uno per la sala da pranzo. Il corpo scale, che funge
al tempo stesso da perno verticale attorno al quale si dispongono le varie
zone del soggiorno, porta al piano superiore, dove si trova lo studio vetrato,
contraddistinto da due camere comunicanti di cui una sopraelevata
ed aperta su un’ampia terrazza. Questo è un luogo particolarmente
“intrigante”, poiché da qui al tempo stesso posso guardare fuori verso il
paesaggio, ma anche essere visto da chi si trova all’esterno dell’abitazione.
Un luogo teatrale, dove attore e spettatore si confondono, dove interno ed
esterno si mescolano, dove il privato diventa pubblico.
Nel prospetto nord la finestra circolare indica uno spazio uterino
controbilanciato dalle sporgenze del volume di ingresso con copertura
arcuata e di quella del bagno della zona notte.
Lo schizzo delle lettere presenta delle differenze rispetto alla versione
successiva: la pianta dell’edificio era meno piegata; mancava la finestra
circolare e il volume di ingresso; il corpo scala era adiacente all’ingresso
e non isolato al centro del soggiorno; i due bowindow del salotto
guardavano entrambi verso sud, così come tutte e tre le camere da letto.
Inoltre il terreno si alzava in direzione est, contribuendo a focalizzare il
prospetto nord sul volume del bagno.
prospetto est
prospetto ovest
prospetto sud
prospetto nord
A
+3.0
+3.7
T
1P
N
D
K
V
B
B
288
U
+0.5
Bw
0 1
5m
B
L
V
+0
PT
289
13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
CASA n.5 – 25 luglio 1947 JFA 77
Questa “Nuova Casa Dybel” si sviluppa su due livelli ed è costituita da due
ali di differente forma e dimensione, incernierate ad un corpo centrale
rettangolare, vetrato sui lati est ed ovest. Ad unire insieme i volumi è
un’unica copertura che mantiene la stessa altezza per tutta la lunghezza
dell’edificio.
Il terreno su cui poggia la casa presenta un dislivello tra nord e sud, per cui
dall’ingresso si passa nel salotto a doppia altezza e poi si scendono alcuni
gradini per andare in sala da pranzo e da qui in cucina e nell’ambiente di
servizio adiacente al garage. Oppure si sale al piano superiore, dove sono
collocati un bagno e tre camere da letto, ciascuna dotata di un affaccio
verso ovest (due mediante balconi e una con un bowindow).
In prospetto l’ingresso si presenta come un volume più basso sporgente in
facciata e dotato di una copertura curva. Esso va a bilanciarsi con una finestra
circolare al primo piano che serve ad illuminare il corridoio di accesso alle
camere da letto. La forma tonda è simbolo di un’intimità femminile, uno
spazio uterino, concavo, che contiene; mentre la sporgenza è assimilabile
ad un corpo maschile, penetrante, convesso. Questo accostamento porta
di ingresso e finestra circolare è ricorrente nelle architetture di Frank. La
finestra circolare inoltre è un riferimento all’architettura orientale, come
anche il portico sull’ala nord al piano terra, che ricorda l’engawa della casa
tradizionale giapponese, uno spazio filtro tra interno ed esterno.
Rispetto allo schizzo della lettera vi è l’inversione dell’ingresso secondario
con l’ambiente di servizio, ma soprattutto viene aggiunta una terrazza al
primo piano che crea una zona d-ombra nel prospetto ovest e da cui ci
si puó affacciare nel soggiorno a doppia altezza. Al disotto si viene così a
creare una nicchia, uno “spazio amato” in cui riscaldarsi vicino al camino in
muratura.
prospetto ovest
prospetto est
prospetto nord
1P
B
B
Bw
B
T
H
prospetto sud
0 1
5m
PT
K
U
G
N
L
D
H
V
290
291
13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
CASA n.6 – 29 luglio 1947 JFA 76
La pianta “diventa sempre più intrigante”, sviluppandosi liberamente
all’interno di un perimetro di forma rettangolare, ricavando anche delle
stanze all’aperto al piano terra e delle terrazze al primo piano.
Anche qui l’ingresso è giustapposto ad una finestra circolare, la quale
illumina una delle tre nicchie del soggiorno disposte attorno al perno
verticale del camino e ad una Halle a doppia altezza, in cui è inserito il corpo
scale ad L. Ciascuna di queste nicchie è orientata secondo un diverso punto
cardinale – ovest, sud ed est – e confina con un spazio esterno coperto.
Dato il dislivello del terreno tra nord e sud, l’ambiente di servizio ed il
garage si trovano in un livello più basso rispetto al resto dell’edificio, ed in
prospetto questo si traduce come una traslazione della linea di copertura
e della ringhiera delle terrazze al primo piano. Questo dislivello inoltre
permette di realizzare una prima zona notte (due camere, orientate
rispettivamente ovest ed est, e un bagno) a livello del pianerottolo della
scala e poi una seconda (altre due camere orientate a ovest e un bagno)
alla quota del primo piano.
Qui ritroviamo lo studio vetrato già incontrato nella casa n.2, ma questa
volta di forma curvilinea, uterina, con una copertura arcuata, e attraversato
dall’elemento verticale, maschile, del camino.
Il bagno al primo piano è dotato di una finestra circolare a sottolineare la
sua intimità e dunque il suo essere un luogo speciale e seducente.
0 1
5m
N
prospetto sud
prospetto nord
prospetto est
prospetto ovest
T
K
D
U
Bw
B
-1,50
0
B
+2,50
A
L
B
+2,00
Bw
B
-1,50
H
G
T
T
V
PT
292
1P
293
13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
CASA n.7 – 30 luglio 1947 JFA 75
“Questa è una D house con tetto, ma comunque intrigante”. Il portico
tipo engawa incontrato nella casa n.5 viene qui accentuato ed esteso su
tutti i lati quasi a circondare completamente l’edificio. Inoltre la casa si
sviluppa ora in senso verticale su una pianta rettangolare che sale per tre
livelli, riducendosi progressivamente man mano che si procede verso est.
Ciascun piano è dotato di un tetto a falde di chiara ispirazione orientale,
sostenuto da pilastri che però non sono allineati tra loro.
In prospetto si legge una composizione equilibrata di pieni e di vuoti,
dove il vuoto è sempre e comunque un pieno: al primo piano il volume
contenente la zona notte (nella prima versione lo studio vetrato) si
rispecchia nel vuoto di pari dimensione della terrazza, che diventa così una
stanza all’aperto.
Di nuovo l’ingresso, sul lato nord, si rapporta ad un’apertura circolare che
illumina il bagno al secondo piano. Nella versione successiva, all’ingresso
viene affiancata una seconda apertura circolare, collocata al piano terra,
ed entrambi sono contenuti in un corpo unico sporgente sotto all’engawa;
mentre sul prospetto sud si legge la verticalità della finestra del corpo scala
rispecchiato nell’elemento verticale del camino.
All’interno, al piano terra si trovano sulla sinistra rispetto all’atrio: la cucina,
la sala da pranzo e l’ambiente di servizio adiacente al garage; sulla destra il
soggiorno orientato a sud e dotato di un ampio focolare.
Ai piani superiori quattro camere da letto (due per ciascun livello) e due
bagni.
prospetto nord
prospetto ovest
2P
B
B
Bw
prospetto est
1P
B
T
Bw
0 1
5m
B
N
PT
prospetto sud
U
G
D
K
L
H
V
294
295
13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
CASA n.4 – 31 luglio 1947 JFA 78
La particolarità di questo progetto è che si tratta di un edificio su quattro
livelli (seminterrato, piano terra, primo e secondo piano) che si sviluppa
all’interno di due muri massicci in pietra naturale lasciata a vista, posti
verso nord e verso sud. Per contrasto i lati est ed ovest sono intonacati
lisci, aperti verso il paesaggio e dotati di ampie vetrate. Ringhiere continue
sembrano cucire assieme i due muri laterali.
Come nelle case n.2 e n.6, anche qui una parte centrale del soggiorno
funge da perno attorno al quale si dispongono sia i tre ambienti del
salotto-pranzo, orientati ciascuno secondo diverse direzioni, sia il corpo
scale che funge da elemento di collegamento verticale.
Rispetto alla prima versione, in quella successiva la porta di ingresso viene
completamente circondata dalla finestra circolare e il percorso di accesso
alla casa si fa più intrigante perché non è più lineare, ma per entrare il
visitatore deve girare il proprio corpo prima di 90° verso destra e poi di 90°
verso sinistra.
Salendo ai piani superiori, si trovano al primo un bagno e tre camere da
letto, di cui una con bowindow curvo, e al secondo lo studio vetrato con
proprio focolare. Ciascuno di questi spazi affaccia su delle terrazze, alcune
delle quali nella seconda versione vanno a perforare i muri nord e sud
sporgendo così fuori dal filo facciata.
prospetto est
prospetto ovest
2P
A
T
T
prospetto nord
1P
T
T
Bw
B
B
B
T
T
prospetto sud
PT
D
K
N
L
H
V
296
L
0 1
5m
297
13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
CASA n.3 – 1 agosto 1947 JFA 79
Frank si riferisce a questo progetto come “casa in stile cinese”, e vi ripropone
alcuni dei temi già sviluppati nelle case precedenti. Come nelle n.6 e 4,
infatti, la disposizione degli ambienti di soggiorno del piano terra ruota
attorno all’elemento verticale del camino, e come nel progetto n.7 la casa
si sviluppa in verticale riducendosi progressivamente man mano che si
procede verso ovest ed è dotata di un portico tipo engawa che la circonda
su tutti i lati; ma invece del tetto a falde torna quello piano.
Ciascuno degli spazi della zona giorno è orientato secondo un diverso
punto cardinale e si protende fino ad allinearsi con la linea dei pilastri del
portico. Nello sviluppo successivo del progetto sul lato est è stata aggiunta
una ulteriore fila di pilastri in modo da creare un prolungamento esterno
ma coperto per la sala da pranzo.
Su tutti i prospetti si può osservare un particolare equilibrio fra chiari e
scuri, tra vuoti e pieni, dove soprattutto il piano terra risulta in ombra,
facendo sembrare il primo piano come sospeso sui pilastri – anche in
questo caso non allineati tra i vari piani – e le nicchie del soggiorno come
volumi sporgenti.
Nella prima versione contenuta nella lettera, Frank aveva introdotto delle
differenze di livello al piano terra (da una quota di – 60 cm per la parte di
soggiorno posta a ovest, si passava alla quota di + 60 cm per gli ambienti
posti sul lato est, cioè cucina, pranzo, servizio e area all’aperto) e un piano
ammezzato (a + 1,90 m, contenente una camera e un bagno), che nelle
versioni successive abbandona completamente.
Ai piani superiori, circondati da ampie terrazze, si trovano al primo tre
camere da letto e un bagno con finestra circolare, al secondo lo studio
vetrato attraversato dal camino.
[imprecisioni nel prospetto ovest del JFA, chiamato erroneamente “east”]
prospetto sud
prospetto est
2P
T
A
prospetto ovest
1P
N
Bw
B
B
T
0 1
5m
B
PT
U
L
K
D
H
V
prospetto nord
298
299
13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
CASA n.9 – 4 agosto 1947 JFA 83 (piante e prospetti), 88 (piante
più dettagliate) e 8 (acquerello)
Si tratta di una dimostrazione pratica di quella che Frank definisce
“Accidental house”: la pianta è irregolare, sembra disegnata a caso, non vi
sono angoli retti né all’interno né all’esterno.
Già nell’articolo “Das Haus als Weg und Platz” del 1931, Frank aveva
affermato che “lo spazio rettangolare è il più inadatto all’abitare”, ed ora
nella lettera aggiunge una critica alle piante troppo rigide progettate da
“architetti funzionalisti (Funkisarchitekten)”.
L’edificio si erge su tre livelli, tutti di forma diversa, che man mano si
restringono procedendo verso l’alto dando luogo a delle ampie terrazze
e a degli spazi all’aperto coperti. All’interno rimane la disposizione più
volte incontrata degli ambienti disposti attorno allo spazio centrale del
soggiorno, con il focolare e il corpo scale che fungono da perno verticale.
Al primo piano si trovano tre camere da letto e un bagno con finestra
circolare.
Qualche anno dopo Frank realizza un acquerello che servirà ad illustrare
l’articolo “Accidentalismo”, comparso nel 1958, cioè più di dieci anni
dopo, nella rivista “Form”. Nella didascalia ci si riferisce come alla “Casa per
Djursholm”, affermando che: “Il contorno della casa è disegnata senza tener
conto del suo interno; secondo il progettista, persino in questo modo si
può ottenere una abitazione più confortevole che nella casa progettata
razionalmente”. Dall’acquerello risulta che all’esterno la casa era intonacata
di bianco tranne che in alcuni punti dove era lasciata a vista la muratura in
pietra naturale. Anche il camino e i pilastri di sostegno delle sporgenze del
primo piano sono in muratura. A unire l’insieme come un nastro continuo
provvedono le ringhiere delle terrazze del primo e secondo piano.
In questa versione il pilastro sul lato ovest continua anche al primo piano
quasi a perforare la finestra -allargata- della camera da letto e viene riunito
con il piano terra attraverso una linea curva. Viene aggiunto inoltre un
secondo piano in cui è collocato lo studio vetrato attraversato dal camino.
prospetto sud
prospetto nord
prospetto est
0 1
5m
N
B
B
B
Bw
prospetto ovest
1P
K
V
D
U
L
H
V
PT
300
301
13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
CASA n.8 – 5 agosto 1947 JFA 82 e 104 (acquerello)
“C’è da dire che questa casa non è molto intrigante, quanto piuttosto
regolare, ma possiamo modificarla in seguito”.
Frank abbandona la linea curva e ritorna ad una pianta rettangolare, che
si sviluppa, come nella casa n.4, tra due grossi muri in pietra naturale che
segnano i limiti di espansione della casa ad est ed ovest.
I lati nord e sud invece - intonacati di rosso con struttura in cemento
armato, come rivela l’acquerello prodotto successivamente - si presentano
come una combinazione di pieni e di vuoti, di corpi chiusi, spazi aperti
coperti e terrazze, che tagliano l’edificio secondo tutta l’ampiezza del
lato corto fino a sporgere in alcuni punti oltre il filo facciata e diventare
così tettoie di protezione per l’ingresso al piano terra e per il garage che si
trova al piano seminterrato. Soprattutto il lato verso sud è dotato di ampie
vetrate, mentre quello verso nord è più introverso: su questo lato si trova
l’ingresso bilanciato da una finestra circolare che illumina il corridoio di
accesso alle camere da letto del primo piano.
Elemento verticale dominante è il camino dotato di una particolare
copertura a ombrello, che – oltre ad alludere ancora una volta all’unione
tra verticale e orizzontale, maschile e femminile - serve da copertura alla
terrazza sulla quale affaccia lo studio al secondo piano.
All’interno non troviamo più la disposizione di nicchie attorno ad uno
spazio centrale, bensì un unico grande ambiente di soggiorno-pranzo
orientato verso sud, adiacente da un lato alla zona cucina e servizio e
dall’altro ad una terrazza. Al primo piano si trovano tre camere da letto
orientate a sud e un bagno dotato di finestra circolare.
prospetto sud
prospetto nord
N
0 1
5m
2P
A
T
1P
Nella prima versione vi era un secondo
camino in posizione simmetrica, ma
privo di ombrello. L’acquerello invece
mostra una diversa disposizione delle
vetrate dell’atelier al secondo piano.
B
Bw
B
prospetto est
B
T
PT
U
K
L
T
V
prospetto ovest
302
303
13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
CASA n.10 – 6 agosto 1947 JFA 84
Anche questa casa “non è molto intrigante, ma è un buon progetto e lo si
può rendere più complesso in seguito”: l’edificio è composto da un volume
rettangolare sostenuto su pilastri appoggiato ad un altro volume quadrato
ancorato a terra e aperto verso una corte centrale (una tipologia con la
quale Frank aveva familiarizzato già negli anni Venti e Trenta).
Attorno alla corte si affacciano il salotto con la nicchia per il camino, la sala
da pranzo e un bowindow rivolto a est. Cucina e ambiente di servizio si
trovano sull’angolo nord-ovest della pianta del piano terra, mentre tutto il
lato sud è occupato dal portico. Al primo piano vi sono tre camere da letto,
un bagno (nello schizzo delle lettere con finestra circolare) e una grande
terrazza da cui si può guardare al di sotto verso il cortile.
Qui l’abitante si trova ad essere contemporaneamente attore e spettatore:
dalla corte si può vedere sia chi si trova all’interno della zona giorno, sia
l’esterno attraverso il bowindow e la vetrata della sala da pranzo; ma a sua
volta si viene visti da chi si trova sulla terrazza al primo piano.
Tra prima versione e quelle successive cambiano l’orientamento delle
aperture delle camere da letto, l’ingresso principale che avviene da sud, e
la posizione del camino che viene inserito all’interno e non è più sporgente
sulla facciata ovest.
prospetto sud
prospetto nord
prospetto est
1P
B
B
T
Bw
B
PT
prospetto ovest
U
L
K
N
H
C
D
0 1
5m
V
304
305
13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
CASA n.11 – 12 agosto 1947 JFA 85
“Ora [la casa] è diventata una grande D house, ma non importa perché
tanto sulla carta non costa nulla”.
L’edificio si compone in due corpi, l’uno irregolare (contenente ingresso,
cucina, servizio e sala da pranzo al piano terra; camere da letto e bagni ai
piani superiori) e l’altro rettangolare (dove trovano spazio il garage al piano
terra, un atelier al primo piano e una terrazza al secondo). I due volumi sono
uniti da un edificio-ponte, prevalentemente vetrato, in cui si colloca un
grande ambiente di soggiorno a doppia altezza ed uno studio con affaccio
sulla terrazza del secondo piano. Questa composizione è particolarmente
leggibile nel prospetto nord, dove l’elemento verticale del camino spicca in
modo evidente come cucitura tra i due volumi.
All’interno, una passerella di collegamento tra l’atelier e la zona notte del
primo piano, taglia in due parti questo grande soggiorno a doppia altezza,
creando al piano terra delle nicchie più basse in cui “rannicchiarsi”.
Anche in questo progetto si viene a creare un gioco di sguardi tra chi si
trova sulla passerella e chi nell’atelier o nella camera da letto al primo piano
che a sua volta affaccia sulla doppia altezza del soggiorno; ma anche con
l’esterno attraverso le vetrate rivolte a nord e verso sud.
Nelle versioni successive cambia solo l’orientamento di alcune aperture.
prospetto nord
prospetto est
B
B
T
Bw
B
T
2P
prospetto ovest
B
B
A
Bw
H
1P
N
0 1
U
D
5m
S
prospetto sud
G
K
H
L
PT
306
307
13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
CASA n.12 – 14 agosto 1947 JFA 86
Questa casa ad un solo piano, che abbraccia una corte aperta semicircolare
rivolta verso sud, ricorda la pianta della Villa Wehtje del 1936 e riprende
alcuni dei temi già sviluppati nelle prime lettere.
Come lo schizzo nella lettera n.1 infatti, l’estremità ovest della casa si
prolunga verso nord a formare una specie di corte a U che controbilancia
quella circolare verso sud.
Il soggiorno è un unico grande ambiente che segue la curvatura della
corte, vetrato a sud e dotato di un ampio focolare e un bowindow verso
nord. Gli spazi della cucina e della nicchia della sala da pranzo vengono
ad inserirsi l’uno nell’altro, come una giunzione maschio e femmina o
del concetto orientale del jin jang. Il garage si trova all’estremità est ed
è separato dall’ambiente di servizio e dalla cucina attraverso uno stretto
passaggio coperto.
La zona notte con le tre camere da letto e un bagno, si trova ad ovest
rispetto all’ingresso ed è sopraelevata di qualche gradino rispetto alla zona
giorno, come nella casa n.2.
Come nella progetto n.5, invece, l’ingresso è un corpo sporgente che in
prospetto si rapporta con una finestra circolare in posizione simmetrica
rispetto all’asse della corte. Tra queste due figure spicca l’elemento
verticale del camino in muratura.
prospetto ovest
prospetto est
prospetto sud
0 1
N
L
+0
B
5m
D
+0
+0.7
H
B
Bw
K
B
C
V
PT
U
G
prospetto nord
308
309
13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
CASA n.13 – 15 agosto 1947 JFA 87 (piante e prospetti), 89 (piante
più dettagliate) e 6 (acquerello)
La particolarità di questa casa è che verso nord il primo piano si appoggia
su una collina introducendo nella composizione una direzione diagonale
e lasciando al piano terra uno spazio esterno coperto, sul quale affacciano
l’atrio di ingresso e il soggiorno-pranzo con il focolare.
La cucina e l’ambiente di servizio si trovano sul lato ovest, mentre su
quello est è collocata la scala che porta al piano superiore segnata da
due aperture in partenza (circolare) e all’arrivo (verticale). Qui tre camere
da letto (orientate secondo diverse direzioni) e un bagno affacciano su
una grande terrazza a sud attraversata dal camino, e a nord su un vuoto
(rettangolare nella prima versione, ottagonale nella seconda) che guarda
sullo spazio coperto del piano terra. Il garage è ricavato all’interno della
collina.
I prospetti est e ovest evidenziano un equilibrio fra pieni e vuoti secondo
l’asse diagonale segnato dal corpo scala.
Di questo progetto esiste anche un acquerello che mostra come l’esterno
fosse intonacato di color marrone scuro, le aperture incorniciate di bianco,
ringhiere bianche mentre il camino e le pareti della collina fossero in
muratura di pietra naturale.
prospetto nord
prospetto sud
prospetto ovest
prospetto est
1P
B
Bw
N
T
B
B
0 1
5m
PT
U
K
H
L
310
G
311
13 case per Dagmar Grill
D e DD-Häuser
D-Haus 4 – 2 dicembre 1953 – JFA 55, JFA25 e JFA 26 (acquerelli)
La particolarità di questa casa è ila copertura arcuata e il fatto che sulla
facciata nord il piano terra presenta un portico a due archi asimmetrici
che prepara l’ingresso e su cui affaccia anche parte del soggiorno. Il
primo piano invece è cieco, intonacato di bianco, con eccezione di una
finestra circolare per il bagno. Il fronte sud è dotato di ampie vetrate e
di una grande terrazza. In prospetto e nell’acquerello che accompagna il
progetto, è disegnata anche una tenda in tessuto arancione che funge da
brise-soliel per la cucina e tettoia per il prolungamento esterno della sala
da pranzo. Il camino è in muratura.
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13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
D-Haus 3 – 3 dicembre 1953 – JFA 54 e JFA15 (acquerello)
Anche questa casa ha una pianta irregolare e si erge su due livelli
con al primo piano la zona notte e una terrazza che la circonda quasi
completamente. Al piano terra l’ingresso è collocato tra il corpo scale ad est
e una nicchia per il soggiorno-pranzo ad ovest. L’accesso avviene attraverso
una tettoia arcuata sostenuta da una parete a est e un esile pilastro ad
ovest. Un acquerello mostra che all’esterno il prospetto nord presenta
un piano terra intonacato liscio, mentre il primo piano un rivestimento
a scacchiera di terracotta nero bianco. I due piani sono uniti visivamente
dalla parete esterna del corpo scale, in muratura, che va a bilanciarsi con
l’elemento verticale del camino sul lato opposto. Il prospetto verso sud
invece mostra un intonaco liscio su entrambi i livelli.
D-Haus 1 –9 dicembre 1953 – JFA 52
Questa casa presenta una pianta irregolare centrata su un corpo scale che
collega due livelli, quello inferiore per la zona giorno, quello superiore con
la zona notte. All’esterno si presenta come un volume piuttosto introverso
su tutti i lati, eccetto che su quello sud dove si trova una grande terrazza,
gli affacci delle due camere da letto, il bowindow del soggiorno e la finestra
della cucina. I prospetti sono intonacati lisci con l’elemento verticale del
camino in muratura. Il fronte verso nord presenta due finestre circolari,
una che illumina l’ingresso al piano terra, l’altra il bagno al primo piano.
Il percorso si snoda dall’ingresso girando di 90° prima verso sinistra e poi
verso destra, quindi attorno alla scala.
D-Haus 2 – 5 dicembre 1953 – JFA 53
Si tratta di un edificio con una pianta irregolare su tre livelli, di cui quelli
superiori in parte adibiti a terrazza. Simile alla precedente, anche in questo
caso i fronti della casa sono introversi eccetto quello sud su cui affacciano
gli spazi del soggiorno-pranzo e le camere da letto. Gli ambienti non hanno
angoli retti.
L’ingresso è un corpo più basso e sporgente dalla facciata, dotato di finestra
circolare. Il soggiorno presenta due bowindow simmetrici, di cui uno per il
pranzo, che vengono ripresi anche al primo piano a illuminare le camere da
letto. Al terzo livello si trova uno studio con affaccio su un’ampia terrazza.
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13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
DD-Haus 1 – 1953/54 – JFA 69 e 70
Con questa DD-House si apre la serie delle abitazioni duplex da realizzarsi
per Dagmar Grill e un suo affittuario (ipoteticamente un giardiniere) in cui
l’elemento camino diventa un elemento di forte rilievo e personificazione.
L’edificio si presenta asimmetrico sia in pianta che in prospetto, cosa che
evita la monotona delle tradizionali case a schiera e lo rende ancora più
intrigante. Persino tra piano terra e primo piano la suddivisione tra le
due proprietà non è allineata e in prospetto questo si legge come una
traslazione delle testate in muratura dei muri di confine. Anche i camini
non sono uguali, uno più basso dell’altro. Analogamente un ingresso è
concavo (quello per Dagmar, che si rapporta con l’elemento verticale
maschile del camino in posizione simmetrica nell’altra proprietà), l’altro
è convesso (affiancato da una finestra circolare da una parte e dal camino
dall’altra).
Entrambe le abitazioni presentano il fronte nord introverso e quello sud
vetrato; al piano terra la zona giorno (con il soggiorno-pranzo disposto
a est dotato di due bowindow, e la cucina ad ovest) e al primo piano la
zona notte (due camere e un bagno per la Grill, tre camere e un bagno
per l’affittuario) arretrata rispetto al piano inferiore in modo da creare una
terrazza verso nordest; una grande nicchia per il focolare; una disposizione
interna degli ambienti del soggiorno attorno al corpo scala che fa da
perno verticale; cucina e ambiente di servizio sono uniti in un’unica stanza.
Caratteristica dell’appartamento per Dagmar Grill è l’affaccio del corridoio
del primo piano sulla doppia altezza del salotto e una serie di pilastri nel
soggiorno che servono a sostenere l’arretramento del solaio del primo
piano.
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DD-Haus 2 – 1953/54 – JFA 67 e 68
In questo progetto la pianta si regolarizza, soprattutto nell’appartamento
dell’affittuario che diventa rettangolare. Sul lato nord si distingue la parte
per Dagmar Grill dal corpo scala inserito in un volume sporgente che
ad un certo punto va ad abbracciare l’elemento verticale maschile del
camino. L’ingresso è concavo e la porta di forma arcuata. All’interno di
fronte all’ingresso vi è la sala da pranzo da cui a sinistra si può andare in
cucina oppure scendere due gradini e arrivare nel soggiorno. Da qui poi
si può salire al piano superiore dove sono due camere e un bagno. Sopra
alla nicchia del focolare vi è uno spazio a doppia altezza corrispondente al
corridoio del primo piano che diventa così una sorta di galleria che affaccia
sul soggiorno. Sulla facciata sud il bowindow della sala da pranzo, sopra
al quale vi è la terrazza del primo piano, si bilancia con la sporgenza di
una delle camere da letto sotto alla quale si viene così a creare una zona
coperta a protezione dell’ingresso al salotto dal giardino.
Anche l’appartamento del giardiniere presenta un corpo scala sporgente,
ma traslato di un piano in verticale, per cui la rampa che dal piano terra sale
al primo piano è interna alla casa e quindi non è visibile all’esterno, mentre
dal primo al secondo piano fuoriesce dall’edificio e va a congiungersi con
un volume con copertura curva, probabilmente contenente lo studio o la
soffitta (i prospetti però non mostrano aperture), posto sul tetto. L’ingresso
si rapporta con la finestra circolare che illumina il corridoio del primo
piano. All’interno vi è un unico ambiente per soggiorno-pranzo e la cucina
al piano terra, al secondo piano tre camere da letto e un bagno.
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13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
DD-Haus 3 – 1953/54 – JFA 65 e 66
Questa casa planimetricamente distingue chiaramente la proprietà della
Grill da quella dell’affittuario in quanto la prima è di forma semicircolare,
l’altra rettangolare. Entrambe hanno un ingresso porticato che porta ad
una hall da cui si può accedere alla cucina dotata di un uscita sul retro
oppure nel soggiorno, ma l’appartamento della Grill ha la particolarità di
avere in salotto una nicchia a doppia altezza per la sala da pranzo e un’area
rialzata di tre gradini per la nicchia del focolare. Da quest’ultima una scala
che segue la curva della pianta porta al primo piano dove si trovano due
camere e un bagno.
Tutta la facciata verso nord presenta intonaci lisci e bianchi caratterizzati
dai due camini in muratura e dalle aperture circolari di diversa dimensione
ritagliati qua e là nella pelle dell’edificioad illuminare gli ingressi, il corpo
scale, i corridoi del primo piano e i bagni.
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13 case per Dagmar Grill
DD-Haus 4 – 1953/54 – JFA 63
DD-Haus 5 – 1953/54 – JFA 60, 61, 62
Qui i camini hanno assunto un’importanza tale da sembrare quasi vivi,
come delle enormi giraffe guardiani della casa.
Questo progetto ricorda la casa n.5 delle lettere con la terrazza curvilinea
sporgente oltre il filo facciata che al di sotto creava delle nicchie più basse
in soggiorno. Qui diventa un volume chiuso contenente la zona notte
dell’appartamento per Dagmar Grill che al piano terra crea la nicchia per il
pranzo. L’abitazione del giardiniere invece è caratterizzato dal corpo scale
aggettante in facciata sospeso su un’esile colonna e sporgente oltre la linea
di copertura a segnare il limite delle due proprietà, ma al tempo stesso la
loro cucitura.
[i punti cardinali segnati nei disegni non sono corretti]
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13 case per Dagmar Grill
13 case per Dagmar Grill
DD-Haus 6 – 1953/54 – JFA 56, 57, 58, 59
Qui Frank abbandona la linea curva per tornare ad una composizione
di ambienti rettangolari con gli angoli smussati disposti su diversi livelli
secondo un Raumplan che interessa l’appartamento per Dagmar Grill:
dalla Hall-soggiorno a doppia altezza posti a quota +0 si salgono due
gradini nella biblioteca e nella sala da pranzo (adiacente alla cucina) e da
qui parte la scala che porta alla zona notte al primo piano. Anche le due
camere da letto presentano tra loro un dislivello di alcuni gradini.
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SCRITTI DI JOSEF FRANK
Vengono indicati anche i testi NON consultati (qui segnati in arancio). In grassetto sono segnate le traduzioni italiane.
Riviste
Avatar. Dislocazioni tra antropologia e comunicazione, Vol. 5,
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“Architectural Design”, Architextile, vol. 76, no 6, Wiley-Academy,
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“L’Architecture d’aujourd’hui”, n. 369, Supports et surfaces,
marzo-aprile 2007
“Lotus”, n. 126, 2006, Camouflage
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Surfaces profondes, Deep Surfaces.
“Werk, bauen + wohnen”, Zürich, n.9 (2007), Fenster, Fenêstres,
Windows.
1910
Über die ursprüngliche Gestalt der kirchlichen Bauten des Leone
Battista Alberti, 1910. La tesi di dottorato non è stata ancora
mai pubblicata integralmente. Alcuni spezzoni sono contenuti
nel catalogo Spalt/Czech del 1981 (p.171). La sottoscritta ha
tradotto il testo, che si trova attualmente presso la biblioteca
della Technische Universität di Vienna e dovrebbe venir
pubblicato a breve come L’originario aspetto degli edifici
religiosi di Leon Battista Alberti in Giovanni Fraziano (a cura
di), Percorsi accidentali. Scritti e progetti di Josef Frank,
Lint, Trieste
1919
con Hugo Fuchs e Franz Zettinig, Wohnhäuser aus Gussbeton. Ein
Vorschlag zur Lösung der Wohnungsfrage, in „DerArchitekt 22“,
1919, pp. 33-37. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (pp.112-113)
Über die Aufstellung des ’Museums für Ostasiatische Kunst‘ in Köln,
in „Der Architekt“, n.22 (1919), pp.169-174
Das neuzeitliche Landhaus, in „Innen Dekoration“, n.30
(dicembre 1919), pp.410-415. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981
(pp. 15-16)
Die Einrichtung des Wohnzimmers, in „Innen-Dekoration“, n.30
(dicembre 1919), pp. 416-17. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981
(p. 56)
1921
Die Arbeiter-Kolonie in Ortmann, in „Deutsche Kunst und
Dekoration“, n.48 (settembre 1921), pp.307-310. Ripubblicato in
Spalt/Czech 1981 (p. 116)
Über die Zukunft des Wiener Kunstgewerbes, in „Der Architekt“,
n.24 (1921-22), pp.37-44. Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (pp.
171-172). A breve come trad. it. Del futuro dell’artigianato
viennese, in G.Fraziano, Percorsi accidentali…, op.cit.
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Kunst, Kunsthandwerk und Maschine, in „Die Ware I (1923), p. 70.
Ripubblicato in Spalt/Czech 1981 (p. 65). A breve come trad. it.
Arte artigianato artistico e macchine, in G.Fraziano, Percorsi
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in J.Spalt, Josef Frank 1885-1967. Möbel & Geräte & Theoretisches,
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Le Métier d‘Art, in “L’Amour de l’Art”, n. 4 (agosto 1923), pp. 64652
Einzelmöbel und Kunsthandwerk, in „Innen-Dekoration“, n. 34
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1924
Die Wiener Siedlung, in “Der Neubau 6 (10 febbraio 1924), pp.2429
Siedlung und Normen, in “Die neue Wirtschaft“ I (14 febbraio
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Volkswohnhaus und Individualismus, „Der Neubau“, n. 6 ( giugno
1924), pp.118-121
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Erziehung zum Architekten, in „Soziale Bauwirtschaft“, n.3 (1926),
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Formprobleme. Die Erziehung zum Architekten und die Titelfrage,
in „DerAufbau“ I (maggio 1926), pp. 59-62
Der Volkswohnungspalast. Eine Rede
anlässlich der
Grundsteinlegung, die nicht gehalten wurde, in „DerAufbau I“,
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1961, pubblicato come Selbstdarstellung in Bauforum“, 10.Jg,
Wien 1977, n.61, p.29
1965
Heminredning och Moral, in“S.I.R. Medlemsblad”, Stockholm1965,
Heft 4, p.18 e sgg.
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Matejka a Josef Frank, Stoccolma, Rindögatan 52, 1965, In „Die
Bauwelt“, 76 Jg, Heft 26, 1985, pp.1064-1065
Scritti inediti
Geschichte des modernen Kunstgewerbes (1946ca, archivio
Czech)
Conferenze (testo non pervenuto):
Manoscritti non datati:
Das Wohnhaus, conferenza tenuta presso il Pädagogischen
Institut der Stadt Wien.
Form und Inhalt, conferenza tenuta presso il Künstlerhaus di
Vienna l’11 aprile 1930 in occasione della mostra "Die Kunst
unserer Zeit”.
Grundlagen der modernen Architektur, conferenza tenuta il 18
ottobre del 1930 a Graz.
Das moderne Haus und seine Einrichtung, conferenza tenuta il 23
ottobre del 1930 a Salisburgo.
Kunst und Gesellschaft, conferenza tenuta a Vienna il 28 gennaio
Von der Schönheit und vom Ornament
Brauchen wir einen modernen Stil? (archivio Czech)
The Four Freedoms (archivio Czech)
Das Leben des Malers Lucien Sander (archivio Czech)
Träume. Komödie in fünf Akten ((teatro)
Woch (teatro)
Märchen für Affenkinder (favola, LÖNW)
1948, Österreichisches Museum für Kunst und Industrie.
Schweden kämpft gegen die Wohnungsnot, conferenza tenuta a
Vienna 1958
The Fight against Art, conferenza tenuta a Londra nella
primavera del 1961
Zwischenkriegsarchitektur in Österreich, conferenza tenuta a
Stoccolma (Kunstakademie), 5 marzo 1965
Über den Jugendstil, conferenza 25 febbraio l965, Stoccolma
(S.I.R.)
Lezioni tenute alla New School for Social Research:
The Future of Architecture and Interior Decoration (1942)
Introduction to Modern Art and Architecture (1942)
Post War Problems of Art (2 febbraio-11 maggio 1943, pervenuti
i capitoli: 1 ART and WAR; 8. The Totalitarian Art; 11 How to plan
a House; 12 The future of Architecture as Art; 14 Past and Future of
Non Objective Art). Archivio Czech.
Appreciation of Architecture (autunno 1943)
1981
How to plan a House, in J.Spalt, Josef Frank 1885-1967. Möbel &
Geräte & Theoretisches, 1981, pp.156-167
Our Art in Our Time (dopo il 1946, pervenuti un Introduction e 10
capitoli: Art and War; Art and Ideology; Architecture and Society;
Art and Science; National Arts; The decorative Arts; Architecture as
Art; Totalitarian Art; Non Objective Art; Art Critic). Archivio Czech.
Contemporary Art and Architecture (dopo il 1946, pervenuti un
Outline e tre saggi Introduction; cap.5 Modern Architecture; cap. 8
How to plan a House). Archivio Czech e K.Wängberg-Eriksson.
Manoscritti datati approssimativamente:
The History of the Thirty Years War (1939/41 ca)
The Peace Conference (1940-41 ca) romanzo in due volumi:
Mistery Novel e Struggle of War (archivio Czech)
Kunsthandwerk und Aberglauben (1941ca, in seguito rivista
col titolo Kunstgewerbe und Aberglauben 1949-51ca, archivio
Czech)
336
337
SCRITTI SU JOSEF FRANK
Vengono indicati SOLO i testi consultati. In grassetto sono segnate le traduzioni italiane.
1980
Hermann Czech, Josef Frank: la casa accidentale. I tredici
progetti nelle lettere a Dagmar Grill, in “Lotus International”,
n.29, 1980, pp.109-111
Johannes Spalt, La forma abitativa. Disegni di Josef Frank
prima del 1934, in “Lotus International”, n.29, 1980, pp.
112-116
1926
Dr. Wolfagang Born, Neue Innenräume von “Haus & Garten”, in
“Innen-dekoration”, Jg. XXXVII, Darmstadt, Oktober
1933
An Austrian Architect Looks ar England, in “Architectural Review”,
n. 73, giugno 1933
1930
Max Eisler, Neue Bauten und Innenräume von Josef Frank, Oskar
Wlach, in “Moderne Bauformen”, n.29, 1930, pp. 429 e seguenti
1936
Espressione e carattere nell’opera di Frank e Wlach, in
“Domus”, n.99, marzo 1936, XIV
Werkbundausstellung, offizieller Katalog Juni-Oktober 1930,
Österreichisches Museum für Kunst und Industrie, Wien 1930
1952
Gotthard Johansson, Josef Frank: Tjugo år i Svenskt Tenn.
Nationalmuseum, Stockholm 21.3.-20.4.1952, Nationalmusei
utställningskatalog
1931
Carmela Haerdtl, Una nuova casa di Josef Frank, in “Domus”,
n. 44, luglio 1931, anno IV
Carmela Haerdtl, Una casa privata a Vienna, in “Domus”,
agosto 1931
1932
Alberto Sartoris Gli elementi dell’architettura funzionale,
1932
Der Gute billige Gegenstand, Österreichische Werkbund,
Austellung des Österreichischen Werkbundes in Wien, in
“Deutsche Kunst und Dekoration”, 1932, pp.304-310
Contiene scritti di : Friedrich Baumeister, Wirtschaftlichkeit
und Produktion; Viktor Fadrus, Erziehung zum Guten billigen
Gegenstand; Laszlo Gàbor, Erzeuger, Käufer und der Werkbund;
J.T.Kalmar, Architekt – Industrie Norm und Type; Gustav Klumpp,
Wie kommen Industrie-Artikel zustande?; Soma Morgenstern,
Billige Haltung; Walther Sobotka, Der gute billige Gegenstand
und die Wege zu seiner Verbilligung; Hans Tietze, Zweckkunst und
Volkstum; Stadtrat Anton Weber, Der Weg zum schlechten zum
guten und vom teueren zum billigen Gegenstand.
“Die Form. Monatsschrift für Gestaltende Arbeit”, 7 Jahr, Heft 3,
15 märz 1932. Contiene scritti di Lászlo Gábór (Die Architektur
der Gegenwart in Österreich, pp.75 e sgg); Hugo Häring
(Bemerkungen zur Werkbundaustellung Wien-Lainz 1932, pp.204
e sgg); Otto Neurath (Unproblematisch und traditionsbetont,
pp.261 e sgg).
338
1966
Friedrich Kurrent, Johannes Spalt, Josef Frank, in “Die Furche”,
n.29, 1965, catalogo sulla mostra in occasione del 80°
compleanno di Frank dal 18 dicembre 1965 al 29 gennaio 1966
presso la sala Urania dell’Österreichischen Gesellschaft für
Architektur a Vienna, ora in Otto Kapfinger, Krischanitz, Josef
Frank zum 100 Geburtstag am 15 Juli 1885, Ausstellung vom 15
Juli bis 2 August 1985, Fakultät für Architektur der Technischen
Universität München
1967
Carmela Haerdtl, Un ricordo di Josef Frank, in “Domus”,
n.449, aprile 4, 1967, p.6
1968
Josef Frank 1885-1967: Minnesutställning, 4. April – 19 Maj
1968, Nationalmusei Stockholm, Utställningen ar planerad och
arrangerad av Estrid Ericson, Stockholm: Norstedt, 1968
1975
Möbel nach Mass. Frank Malmsen Raab Abmussen, Ausstellung
im Österreichisches Museum für angewandte Kunst, Wien, 24
oktober-30 november 1975
Max Eisler, Una casa d’abitazione di Josef Frank e Oskar
Wlach, Vienna, in “Casabella”, n.345, febbraio 1975, anno
XXXIV
1981
Daniele Baroni e Antonio d’Auria, Josef Frank, in “Ottagono”,
n.62, settembre 1981
Johannes Spalt, Hermann Czech, Josef Frank 1885-1967,
(catalogo), Hochschule für angewandte Kunst, Wien 1981
Johannes Spalt, Josef Frank 1885-1967. Möbel & Geräte &
Theoretisches, Hochschule für angewandte Kunst, Wien 1981
1982
Otto Kapfinger, Wie ist das mit Josef Frank?, in “Archithese”, n. 3,
12. Jg, Mai/Juni 1982, pp.11-14
1984
Hermann Czech, Christopher Alexander und die Wiener Moderne,
in “Arch+”, Aachen, n.73, marzo 1984, pp.63-65
1985
“Bauwelt”, n.26 (numero interamente dedicato a Josef Frank),
Josef Frank: ein undogmaticher Funktionalist, 75. Jg, 12 luglio
1985: Funktionalismuskritik und moderne Architekturkonzeption.
Zur Aktualität von Josef Frank, p.1043; Karin Carmen Jung, Dal
moderne Wohnhaus als ‘zweckloser’ Gebrauchsgegenstand,
p.1044; Dietrich Worbs, Josef Franks Wiener Massenwohnungsbau
– ein pragmatischer Versuch, p.1048; Grete Schütte-Lihotzky,
Erinnerungen an Josef Frank, p.1052; Karin Kirsch, Franks
Doppelhaus in der Weissenhofsiedlung, p.1054; Hans Blumenfeld,
Meine Arbeit mit Josef Frank 1928/29, p.1057; Armand Brulhart,
Josef Frank und die CIAM bis zum Bruch 1929-1929, p.1058; Malin
Munk af Rosenschöld, Aus meiner Zusammenarbeit mit Josef
Frank, p.1060; Kristina Wängberg-Eriksson, Josef Frank und
Svenskt Tenn, p.1061; Viktor Mateja, 12 Fragen an Josef Frank,
p.1064; Johannes Spalt, Moderne Weltauffasung und moderne
Architektur, p.1066; Friedrich Kurrent, Die Rückkehr Josef Franks
aus der Emigration, p.1068; Lotte Schwarz, Eine Begegnung mit
Josef Frank in Dieulefit.
Adolf Krischanitz, Otto Kapfinger, Die Wiener Werkbundsiedlung.
Dokumentation einer Erneuerung, Wien 1985
Kristina Wängberg-Eriksson, Svenskt Tenn: Josef Frank och
Estrid Ericson. En konsthistorisk studie, Stockholms Universitet,
Stockholm, 1985
Josef Frank 100 år, Jubileumsutsällning, hösten 1985
Friedrich Kurrent, Josef Frank zum 100.Geburtstag, mostra presso
la sala di lettura della Architekturbibliothek della Facoltà di
Architettura della Technische Universität München, Lehrstuhl
f:ur Entwerfen, Raumgestaltung und Sakralbau; 15 luglio – 2
agosto 1985, Monaco
1986
Numero dedicato a Josef Frank di “Um Bau”, n. 10, august
1986, Österreichische Gesellschaft für Architektur Wien.
Contiene i seguenti articoli: Michael Müller, Wie modern war
die Avantgarde? (pp.7-20); Wilfried Posch, Josef Frank. Eine
bedeutende Personlichkeit des österreichischen Kulturliberalismus
(pp.21-38); Otto Kapfinger, Josef Frank – Siedlungen und
Siedlungsprojekte 1919-1932 (pp.39-58); Johannes Spalt, Josef
Frank und die räumliche Konzeption seiner Hausentwürfe (pp.5974); Kristina Wängberg-Eriksson, Josef Frank bei Svenskt Tenn in
Schweden (pp.75-84); Friedrich Kurrent, Frank und frei (pp.85-94);
Martin Steinmann, Frank? – Kenn’ ich nicht! (pp.95-104); Hermann
Czech, Ein Begriffsraster zur aktuellen Interpretation Josef Franks
(pp.105-120); Friedrich Achleitner, Franks Weiterwirken in der
neuen Wiener Architektur (pp.121-132); Georg Schöllhammer,
Zum literarischen Werk Josef Franks (pp.133-146); Josef-FrankStipendium 1985, Wohnbaurealisierungen (pp.147-158); Grosser
österreichischer Wohnbaupreis (p.159)
Johannes Spalt, Josef Frank, 1885–1967: Stoffe, Tapeten, Teppiche
(catalogo), Hochschule für Angewandte Kunst, Vienna 1986
1989
Kristina Wängberg-Eriksson, Estrid Ericson. Founder of Svenskt
Tenn, Carlsson Bokförlag, Stockholm 1989
Eva Ottillinger, Variationen eines altägyptischen Hockers. Eine
Rezeptionsgeschichte, in “Kunst & Antiquitäten. Zeitschrift für
Kunstfreunde, Sammler, Museen”, Heft III/1989, pp.76-84
1993
Iris Meder, Josef Franks Wiener Einfamilienhäuser, Magisterarbeit
am Kunsthistorischen Institut der Universität Stuttgart, 1993
1994
Kristina Wängberg-Eriksson, Josef Frank-Livsträd i krigens skugga,
Signum Lund, 1994
Mikael Bergquist, Olof Michélsen, Josef Frank. Architektur,
Arkitektur Museet, catalogo della mostra tenuta dal 16
settembre al 13 novembre 1994 presso l’Architekturmueum
svedese di Stoccolma e presso l’Architektur Zentrum Wien nel
1995, Stockholm 1994.
339
Josef Frank inredning: Millesgården, Stockholm 17.9. – 30.10.
1994, Stockholm 1994
Maria Welzig, Die Wiener Internationalität des Josef Frank.
Das Werk des Architekten bis 1938, Hochschulschrift Wien,
Universität, Dissertation, 1994
1995
Matthias Boeckl (a cura di), Visionäre und Vertriebene.
Österreichische Spuren in der modernen amerikanischen
Architektur, Ernst & Sohn, Wien 1995.
In particolare i capitoli: Matthias Boeckl, Zur Projecktgenese,
pp.11-18; Matthias Boeckl, Otto Kapfinger, Visionäre & Vetriebene.
Österreichische Spuren in der modernen amerikanischen
Architektur, pp.19-42; Oliver Rathkolb, Zeithhistorische
Rahmenbedingungen;
August
Sarnitz,
Transatlantische
Begegnungen. Der Wagnerschüler Rudolph M.Schindler in den
Vereinigten Staaten, pp.97-112; Rudolph M.Schindler. Moderne
Architektur – Ein Programm, pp.113-116; Otto Kapfinger, Adolph
Stiller, Neutra und Schindler. Zwei Europäer in Kalifornien, pp.117138; Dieter Bogner, Architecture as Biotechnique. Friedrich Kiesler
und das Space House von 1933, pp.139-154; Kristina WängbergEriksson, Josef Frank im Exil auf Manhattan 1942-46, pp.189-200;
Maria Welzig, Entwurzelt. Sobotka, Wlach und Frank in Pittsburgh
und New York, pp.201-224
Mikael Bergquist, Olof Michélsen, Accidentism. Josef Frank,
Birkhäuser, Basel 1995
1996
Nina Stritzler-Levine, Josef Frank, Architect and Designer. An
Alternative Vision of the Modern Home, catalogo alla mostra
presso il Bard Graduate Center for Studies in the Decorative Arts
dal 9 maggio al 21 luglio 1996, Yale University Press, New Haven,
Connecticut 1996
In particolare i capitoli: Nina Stritzler-Lévine, Three Visions of
the Modern Home: Josef Frank, Le Corbusier and Alvar Aalto,
pp.16-29; Leon Botstein, The Consequences of Catastrophe:
Josef Frank and Post-World-War-I Vienna, pp.30-43; Christopher
Long, The Wayward Heir: Josef Frank’s Vienna Years, 1885-1933,
pp.44-61; Kristina Wängberg-Eriksson, Life in Exile: Josef Frank in
Sweden and the United States, 1933-1967, pp.62-77; Christopher
Long, Space for Living: The Architecture of Josef Frank, pp.78-95;
Karin Lindegren, Architektur als Symbol: Theory and Polemic,
pp.96-101; Christian Witt-Dörring, “Steel is not a Raw Material;
Steel is a Weltanschauung”: The Early Furniture Design of Josef
Frank, 1910-1933, pp.102-117; Penny Sparke, “Convenience and
Pleasantness”: Josef Frank and the Swedisch Modern Movement
in Design, pp.118-127; Marianne Lamonaca, Josef Frank and
Gio Ponti: Reflections on the “House” and the “Garden”, A View
fron Italy, pp.128-139; Kristina Wängberg-Eriksson, Geometry in
Disguise: A Modernist’s Vision of Textile Design, pp.140-154.
340
Herman Czech, Selbstkritiker der Moderne: Josef Frank, in “Der
Architekt. Zeitschrift des Bundes Deutschen Architekten BDA”,
n.1, Ernst & Sohn, Bonn-Berlin, Januar 1996, pp.27-30
Eva Eriksson, Der langsame Weg in die Moderne Skandinaviens,
in “Der Architekt. Zeitschrift des Bundes Deutscher Architekten
BDA”, n.1, Januar 1996, pp.40-45
1998
Maria Welzig, Josef Frank 1885–1967. Das architektonische Werk,
Böhlau Verlag, Vienna, 1998
Mikael Bergquist, Olof Michélsen, Josef Frank. Falsterbovillorna,
Arkitektur Förlag, Stockholm 1998
Volker Thum-Nemeth (a cura di), Konstruktion zwischen
Werkbund und Bauhaus, Wissenschaft – Architektur - Wiener Kreis,
Institut Wiener Kreis, Wissenschaftliche Weltauffassung und
Kunst, Band 4, Verlag Hölder-Pichler-Tempsky, Wien 1998.
In particolare i capitoli: Volker Thurm-Nemeth, Die Konstruktion
des modernen Lebens – Ein Fragment. Wiener Kreis und
Architektur, pp.9-78; Margarethe Engelhardt-Krajanek, Der
Werkbundgedanke und seine Verbindung zum Wiener Kreis am
Beispiel von Josef Frank, pp.79-122; Sabine Plakolm-Forsthuber,
Josef Frank an Trude Waehner (1938-1965). Das Nachleben
des Werkbundes in der Kritik am Bauhaus, pp.123-138; Ulrich
Winko, Von der Kunst zur Wissenschaft. Avantgardistische
Kunst- und Architekturtheorie im Kontext der Wissenschaftlichen
Weltauffassung, pp.139-184.
Josef Frank. “Varning för god smak”, Kulturhuset, Galleri 5, 17 juni
– 13 september 1998, Stockholm 1998
Kristina Wängberg-Eriksson, Pepis Flora: Josef Frank som
mönsterkonstnär, Signum i Lund 1998
1999
Kristina Wängberg-Eriksson, Josef Frank. Textile Design,
Bokförlaget Signum i Lund AB, 1999
2002
Christopher Long, Josef Frank, University of Chicago Press,
Chicago 2002
Josef Frank und Bruno Taut, Abhandlung zur Erlangung der
Doktorwürde der Philosophischen Fakultät der Universität
Zürich, Worms am Rhein, relatori Prof. Dr. Stanislaus von Moos
e Prof. Dr. Peter Cornelius Claussen, giugno 2004
Sitografia
Nader Vossoughian, Facts and artifacts: Otto Neurath and the
social science of socialization, UMI, Ann Arbor, Mich. 2004
Architektur Zentrum Wien: www.azw.at
2006
Eve Blau, Isotype and Architecture in Red Vienna: The Modern
Projects of Otto Neurath and Josef Frank, in Austrian Studies, Vol.
14, No. 1. (2006), Harvard University, pp.227-259
2008
Iris Meder (a cura di), Josef Frank. Eine Moderne der Unordnung,
Verlag Anton Pustet, Salzburg Wien München 2008.
In particolare i capitoli: Hedvig Hedquist, Rechteckige Sitzetotalitäre Gedanken, pp.7-30; Iris Meder, Die Sprache Josef Franks,
pp.31-52; Peter Thule Kristensen, Ein organisch gewachsenes
Gebilde – die Villa Wehtje, pp.53-58; Nader Vossoughian, Die
Architektur der wissenschaftlichen Weltauffassung, pp.59-66;
Christopher Long, Josef Frank in New York, pp.67-75; Hermann
Czech, Ein Begriffsraster zur aktuellen Interpretation Josef Franks,
pp.76-89; Georg Schöllhammer, Zum literarischen Werk Josef
Franks, pp.90-96; Friedrich Kurrent, Die Rückkehr von Josef Frank
aus der Emigration, pp.97-102; Susanne Scholl, Das fremde Haus,
pp.103-104; Tano Bojankin, Das Haus Beer und seine Bewohner,
pp.105-112; Anna Bieber, Franks Mitarbeitin Maria Stadlmayer,
pp.113-116; Soma Morgenstern, Alban Berg und Josef Frank,
pp.121-122; Georg Gaugusch, Genealogie der Familien Feilendorf
und Frank, pp.123-125.
Arkitekturmuseet di Stoccolma:www.arkitekturmuseet.se
e http://130.242.34.243/test/listPublic.asp
Graphische Sammlung Albertina: www.albertina.at
LÖNW: www2.onb.ac.at/sammlungen/litarchiv/index.htm
MAK: www.mak.at
SOK UfAK: www.uni-ak.ac.at/sammlung/pages/architektur.html
Technische Universität Wien: www.ub.tuwien.ac.at/
Archivio della Technische Universität Wien: http://
www.tuwien.ac.at/dienstleister/service/universitaetsarchiv/
Österreichische Friedrich una Lillian Kiesler Privatstiftung:
www.kiesler.org
2009
Eva Ottillinger, Wohnen zwischen den Kriegen. Wiener Möbel
1914-1941, Katalog der Austellung im Hofmobiliendepot (14
oktober-februar 2009), Böhlau, Wien 2009
2011
Giovanni Fraziano (a cura di), Percorsi accidentali. Scritti e
progetti di Josef Frank, Lint, Trieste 2011
2004
Iris Meder, Offene Welten. Die Wiener Schule im
Einfamilienhausbau 1910-1938, tesi di dottorato, relatore Prof.
Dr. Heinrich Dilly, correlatori Dr.-Ing. Dietrich Worbs, Dr. Sabine
Poeschel, Prof. Dr. Beat Wyss, Philosophisch-Historischen
Fakultät der Universität Stuttgart, Institut für Kunstgeschichte
der Universität, Stuttgart 2004
Corinna Elsesser, Die Rezeption der japanischen Architektur bei
341
Finito di stampare nel mese di marzo 2011. Progetto grafico Christina Kruml
La seduzione dell’INvisibile è una ricerca che affronta il tema
dell’Abitare secondo un approccio antropologico-filosofico
per riflettere e ridefinire questioni attorno al rapporto tra
spazio architettonico e corpo umano, ma anche tra intimità
domestica e spettacolarità urbana.
Attraverso la poetica degli spazi amati descritti dal filosofo
francese Gaston Bachelard - luoghi piccoli e raccolti in cui
viene voglia di rannicchiarsi perché “solo chi ha saputo
rannicchiarsi sa abitare con intensità” - la casa viene
paragonata ad un utero materno che avvolge e protegge
il suo abitante e il cui involucro al tempo stesso è una
membrana osmotica che permette una comunicazione
trasversale tra esterno ed interno, tra pubblico e privato,
tra socializzazione ed intimità. Da qui deriva l’intendere la
parete come Ge-wand, come sovrapposizione di veli che
crea un effetto di trasparenza fenomenica, di profondità
spaziale, spessore.
Secondo questo punto di vista dispute come quelle
tra ornamento e delitto, forma e funzione, modernità e
tradizione, virtuale e reale, trovano qui una riconciliazione:
al posto di teorie esclusive si vuole lasciare spazio
all’INclusione, alla molti-plica-zione delle relazioni e
possibilità tra i vari termini che si oppongono, dove non
esiste l’uno senza l’altro e sono anzi proprio gli intricati
intrecci di trama e ordito, i nodi e le piegature, i simboli e gli
archetipi, a rendere l’architettura così seducente.
L’applicazione pratica di questi concetti è stata analizzata
nell’opera di Josef Frank, architetto viennese vissuto tra
il 1885 e il 1967 e figura di primo piano nel panorama
internazionale a cavallo tra le due guerre mondiali.
In un mondo incentrato sulla grande dimensione,
sull’immagine di effetto e alla moda, a una prima vista
l’architettura umile e modesta di Frank non colpisce. Eppure
c’è qualcosa che ci incuriosisce, che ci fa pensare che dietro
all’apparenza, al visibile, si nasconda un significato più
profondo, un INvisibile che fa parte dell’intimità domestica,
del valore simbolico dell’abitare. La sua architettura ci invita
alla riflessione.
Universita’ degli Studi di Trieste
Scuola di Dottorato in Scienze dell’uomo della Societa’ del
Territorio - Indirizzo Progettazione Architettonica ed Urbana
Icar 14 - XXII ciclo - 2007/2010 - relatore: prof. Giovanni Fraziano