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EDITORIALE gli amici di MAGAZINE Direttore responsabile Fulvio De Nigris Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana Comitato dei garanti Giana Andreatta Alessandro Bergonzoni Francesco Campione Andrea Canevaro Roberto Iovine Pasquale Montagna Maurizio Matteuzzi Roberto Piperno Maria Vaccari Comitato editoriale Lucia Bernardoni Loris Betti Giovanna Corrado Maria Regazzi Patrizia Scipione Loredana Simoncini Giuseppina Salvati Laura Trevisani Cristina Valisella Segreteria di redazione Elena Bogliardi Patrizia Boccuti Redazione Via Saffi 10 - 40131 Bologna Tel. 051 6494570 Fax 051 6494865 E-mail: [email protected] www.amicidiluca.it Stampa Litografia SAB s.n.c. - Budrio www.litografiasab.it Iscrizione al ROC n.17516 del 29/01/2009 sostieni la “Casa dei Risvegli Luca De Nigris” e il “Centro Studi per la Ricerca sul Coma” CARISBO FILIALE DUE TORRI - BOLOGNA Piazza di Porta Ravegnana, 2/B IBAN: IT16 L 06385 02504 07400003802T cc postale 26346536 Mentre la riabilitazione si compie Il tempo dell’attesa “R tonia. Spesso sono tempi decliiempire la condizione nati in maniera diversa. Entramdell’attesa con un attegbi hanno a cuore lo stesso obietgiamento propositivo e posititivo: la riabilitazione. vo”. Lo scriveva Andrea CaneUna sorta di contenitore che varo nel 1999 alla prima “Giorriassume e comprende, molte nata nazionale dei risvegli per la cose. Riabilitazione. Ma non si ricerca sul coma- vale la pena” sa a chi appartenga. Ci sono parlando delle famiglie che molte persone che assieme ai loro cari potrebbero essere titoattraversano il coma in lari di questa parola. un percorso lungo, difTutti professionisti. I ficile, complesso. medici sicuramente. “Essere aperti a qualPoi i fisioterapisti, Poi cosa di imprevisto – i logopedisti, gli psicocontinuava – nella conlogi, i neuropsicologi, dizione di accettare di gli infermieri, gli opel’imprevedibile anche Fulvio De Nigris ratori socio sanitari., i quando non corrisponfamiliari e i volontari... (e se de ai nostri desideri. Essere qualcuno ho dimenticato a combattivi, pieni di speranza, Magazine pubblicato è già lì che accettare la realtà senza volerla squilla il telefono per ricordarcontrastare ma senza subirla o melo…). E allora scusatemi, lasciarsi piegare da essa. Mai in dirò di più. Se tutto è riabilitasolitudine”. zione, se a questa parola diamo Era nell’ambito del “Saper aiuun significato globale, a questa tare chi attende un risveglio”, lista va aggiunta la rete amicale un percorso che metteva e mette e sociale, l’ambiente e tutto in gioco energie sconosciute e quello che serve a far sì che un mai attivate. In un momento in percorso si compia. Potremmo cui entra in gioco l’osservazioforse dire che la riabilitazione è ne, il punto di vista. Perché nell’aria, appena percepibile? siamo in un momento (e che Un azzardo. Certo non più forte momento!), in cui non possiamo dell’affermazione fatta recentefare a meno di esserci. Di prenmente da esperti in una commisdere in mano le nostre responsasione ministeriale: “La riabilitabilità e metterle in campo in zione bisogna farla fare a chi la quel processo in cui anche i sa fare”. Intendendo con questo familiari sono coinvolti e che dire, che, per il bene della riabirisponde al nome di: riabilitalitazione, le discipline ed i prozione. fessionisti che rivendicano la Si parla molto di riabilitazione. specificità della loro competenA questa parola non sempre si za devono, dovrebbero, forse, riesce a dare un significato prefare un passo indietro. ciso. È una parola che determiHo aggiunto io il forse, ma na il tempo: Il tempo della sento già il telefono che squilsanità e il tempo della famiglia. la…. Dovrebbero essere tempi in sin1 SOMMARIO 3 L’INTERVENTO di Gian Luca Farinelli Fondo regionale della non autosufficienza di Giuliano Barigazzi CASA DEI RISVEGLI LUCA DE NIGRIS 5 Un verbo per ogni modulo di Alessandro Bergonzoni 6 Il risveglio della speranza: sensazioni e sentimenti Studentesse ITC Mattei 9 35 Il cinema materia viva e misteriosa Sento che Dody ce la farà di Eugenia e Giorgia TESTIMONIANZA 36 Due giorni con me stessa (sognando il “boss”) di Sonia Mazzolini 37 IN/FORMAZIONE - settima dispensa Prevenire la sindrome da immobilità ISTRUZIONI PER L’USO RISVEGLI 53 Diversamente abili: parliamo di turismo? LA RETE 54 Suap, un nuovo modello operativo di Paolo Ferrari TORNARE A CASA 10 I mille volti dell’amore di Dio di Marcello Poletti di Lucia Francesca Lucca LA NOSTRA STORIA 12 Clinica Quarenghi di San Pellegrino di Gian Pietro Salvi LA NOTIZIA 58 Francesco Roncati di Giuseppe Quercioli IL RACCONTO 15 Premiata l'inchiesta giornalistica sulla vicenda di Eluana Englaro RIABILITAZIONE 59 L’uomo dalla grande anima di Alessandro Tosini PSICOANALISI E NEUROSCIENZE 16 Riavviarsi al cammino: un percorso lento e difficile di Corrado Melegari 61 La cultura secondo natura di Giuseppe Battaglia RICERCA 19 Urlavo dal silenzio del coma di Marco Zatterin (da “la Stampa”) VOLONTARIATO 66 Un percorso disciplinare un po’ speciale a cura di Chiara Bedani L’ANTROPOSOFIA 20 La natura della coscienza di Marco Sarà 23 NUTRIRE IL CERVELLO 68 Il mistero dell’IO umano al centro di Giovanna Bettini IL PROGETTO I piccoli frutti rossi: potenti alleati del nostro cervello di Silvana Hrelia MUSICOTERAPIA 70 Le tre “C” e la “Erre”: Marco ci racconta il suo percorso di Marco Macciantelli ESPERIENZE DI CONFINE 25 Musica, cultura, suono e salute di Rolando O. Benenzon L’INTERVISTA 72 Telepatia e premonizione di Cecilia Magnanensi RUBRICHE 29 il cibo non è solo alimentazione di Stefano Salvatori 30 TEATRO Simona Corallini: una persona davvero speciale SPAZIO DI LUCA 34 Alle scuole il “Premio Luca De Nigris” di Stefano Scagliola 2 INSERTO 75 Lettere - risponde Maria Vaccari 76 Risvegli di parole di Bruno Brunini 78 Mi ricordo di te 86 Scaffale 88 Guarda dove siamo arrivati L’INTERVENTO La sfida per lo sviluppo di un sistema integrato Fondo regionale della non autosufficienza di Giuliano Barigazzi L’ Assessore Sanità, Servizi Sociali e Volontariato, Provincia di Bologna introduzione nel sistema di welfare regionale del Fondo Regionale della Non Autosufficienza (FRNA) è stato sicuramente uno degli eventi più significativi nel mandato regionale che si è appena concluso. Esso ha prodotto innovazione nel sistema di welfare, ha incrementato in modo rilevante la quantità di servizi e opportunità a disposizione dei cittadini perseguendo l’integrazione tra sociale e sanitario, la continuità assistenziale e l’appropriatezza delle prestazioni. Le risorse del FRNA sono passate, nel nostro territorio provinciale da 72.085.308 euro nel 2007, a 98.725.975 euro nel 2009. In questi 3 anni le prestazioni erogate sono fortemente incrementate in termini sia quantitativi che qualitativi con un forte sviluppo e qualificazione della risposta domiciliare. Dal 2009 il Fondo integra al suo interno tutte le risorse sanitarie e socio sanitarie destinate alla non autosufficienza sia per gli anziani sia per i disabili adulti. Si tratta dunque di una importante voce della spesa pubblica regionale che si compone, anche attraverso uno specifico prelievo fiscale dal reddito dei cittadini, secondo un principio di solidarietà ed equità che si conferma come cardine del sistema di welfare regionale dell’Emilia Romagna. Il fondamento della complessa ed articolata struttura del FRNA è la declinazione del concetto di integrazione che viene coniugato, a partire dal Piano Sociale e Sanitario Regionale, sui vari livelli: istituzionale, gestionale, professionale. La gestione del FRNA è stata inoltre il “banco di prova” del nuovo sistema di governance delle politiche sociali e sanitarie che la RER ha definito, e che poggia le proprie basi sul riconoscimento e la valorizzazione degli enti locali come soggetti della programmazione locale e sulla concertazione delle linee di sviluppo con tutti gli attori: le OOSS, il terzo settore, il volontariato. “Un principio di solidarietà ed equità che si conferma come cardine del sistema di welfare regionale dell’Emilia-Romagna” A livello intermedio è la Conferenza Socio-sanitaria (formata dai Comuni capidistretto e a cui partecipano le Aziende sanitarie) ad esercitare le competenze di programmazione, e i Comitati di Distretto, che comprendono tutti i sindaci, sono invece i titolari della competenza di programmazione a livello territoriale. Essi sono chiamati , a declinare in modo specifico nei loro ambiti di riferimento,le linee e gli indirizzi condivisi a livello provinciale. Dall’approvazione del PSSR 2009-2011, la CTSS, svolge anche le funzioni di pro- grammazione sanitaria e i Comitati di Distretto vedono al loro interno la presenza del Direttore di Distretto a garanzia della massima coerenza tra le scelte di pianificazione e programmazione locale in ambito sociale/socio-sanitario e sanitario. I principali strumenti di programmazione triennale previsti dalla normativa regionale sono: l’Atto di Coordinamento e di Indirizzo – strumento di pianificazione livello intermedio nell’ ambito del quale sono definite le linee di sviluppo e di omogeneizzazione di livello provinciale delle politiche sanitarie e sociali – e il Piano Distrettuale per la Salute ed il Benessere Sociale – strumento di pianificazione distrettuale, nell’ambito del quale vengono declinati gli obiettivi specifici per ogni territorio in termini di incremento e qualificazione dei servizi e delle opportunità per le diverse categorie di bisogno rilevato. La CTSS (Conferenza Territoriale Sociale e Sanitaria) e i Comitati di Distretto esercitano le loro competenze di governo attraverso il confronto, ai diversi livelli, con tutti gli attori sociali nell’ambito dei tavoli, provinciali e distrettuali. Possiamo affermare che è proprio nel confronto tra questi diversi attori che nascono le analisi condivise, le proposte, gli orientamenti che divengono il cuore della programmazione. Questa modalità di forte integrazione e connessione tra tutti gli attori che interagiscono nel sistema di welfare ci ha permesso di affrontare in modo globale, valorizzando punti di vista e approcci diversi, il tema complesso del sostegno alla 3 L’INTERVENTO non autosufficienza. L’ampliamento dell’offerta di servizi per gli anziani ed i disabili che è stata realizzata nello scorso triennio 2007/2009 in ragione delle risorse economiche a disposizione dei territori a seguito dell’avvio del FRNA, è stata straordinaria ma, di per se, non sarebbe stata sufficiente a garantire una risposta adeguata al tema complesso della non autosufficienza. È stato infatti fondamentale consolidare anche un approccio globale ai bisogni dei cittadini e dei loro famigliari attraverso lo sviluppo di modalità omogenee di presa in carico,di valutazione della situazione, di lettura del contesto sociofamigliare, passando attraverso la definizione del Progetto Individualizzato di Vita e di Cure e del Piano Assistenziale Individualizzato. La condivisione di un approccio multiprofessionale che ha visto coinvolti i professionisti dell’area sociale 4 sanitaria e lo sviluppo , attraverso la costituzione delle Unità di Valutazione Multidimensionale (UVM) di una metodologia multidimensionale sono elementi fondamentali per garantire ai cittadini risposte appropriate ai loro bisogni e a quelli dei loro contesti di riferimento (care givers) garantendo la massima continuità assistenziale il monitoraggio e l’adeguamento del Progetto Individualizzato. La legislatura regionale si è chiusa con l’avvio del sistema dell’accreditamento dei servizi sociosanitari per la non autosufficienza. Questo è un altro tassello di un processo di riforma del nostro sistema regionale di welfare che si orienta sempre di più verso la qualificazione e l’omogenizzazione di quei servizi rivolti alle categorie più fragili della popolazione e dunque più meritevoli di attenzione e protezione da parte delle politiche pubbli- che. Il nuovo mandato amministrativo regionale si apre dunque con all’attivo un “capitale” di innovazione e di investimento molto importante che dovrà essere sapientemente amministrato ma che occorrerà valorizzare orientando tutto il sistema alla ricerca del miglioramento, in termini di qualità e di efficienza, ma soprattutto di appropriatezza in relazione ai bisogni diversi ed in continua evoluzione delle persone. È in questo contesto, che come Presidente della CTSS di Bologna, mi propongo, in modo specifico, di promuovere sempre più assiduamente, l’incontro con i soggetti del terzo settore e del volontariato che in forma così “eccellente” nel nostro territorio hanno rappresentato bisogni emergenti, hanno elaborato risposte, hanno proposto costantemente agli enti locali la strada dell’innovazione. CASA DEI RISVEGLI LUCA DE NIGRIS Sentire un ruolo attivo nel percorso di riabilitazione Un verbo per ogni modulo di Alessandro Bergonzoni Testimonial Casa dei Risvegli Luca De Nigris La Casa dei Risvegli Luca De Nigris, diretta dal prof. Roberto Piperno, è una struttura postacuta pubblica dell’Azienda Usl di Bologna che ne condivide gli obiettivi in convenzione con l’associazione di volontariato onlus Gli amici di Luca. Ogni modulo abitativo è caratterizzato da un verbo. È un senso di appartenenza, un modo per il famigliare e l'ospite di sentirsi attivo, partecipe del percorso di vita che sta intraprendendo nella struttura. Sento Un modo di ascoltare piu che di udire il posto del tatto acustico, l’impronta di un orecchio che parla. Vedo Dove non ci si accontenta solo di quello che e’dimostrabile e provato ma dove trovi anche il mai visto, l’oltre. In che senso? Nel senso dell’incredibile. Esisto In quanto sono non solo perché vivo; non basta resistere, si può stare al mondo o inventarsi l’altro mondo, dove nessuno ci può far d’esitere. Cerco Di essere più grande, più vasto, più impossibile che mai. Chi cerca sta già trovando, vede altri modi, e scava, ma non per andare sotto, ma solo per essere profondo Scelgo Voce del verbo “non subisco più”. Decido che nessuno può decidermi, e comincio a preferire prima di farmi ferire, aprendo le imposte, per non farmi imporre più niente… Voglio L’erba voglio non centra, semmai conta quello che mi spetta, non per diritto ma per desiderio, al volo, il famoso volere alto. Sono Qui sta la differenza, l’essenza della diversità, la magia mia, l’unicità delle meraviglie, il quanto conto tutto sommato… Penso Il grande mestiere, la palestra interiore, il fare superiore, l’anima del cervello, la potenza infinita, per rispondere a chi crede solo nel potere. Sogno Altroché bisogno! È lui l’energia invisibile, la trasformazione della realtà in ben altre realtà, ben oltre l’utilità o la quantità: è beltà. Do L’unica nota generosa (che fa generare), portentosa (che porta ovunque), favolosa (che ti racconta grandi storie). E “prendo” non è il suo contrario, ma la sua continuazione. Sala del mentre Mentre vivo una vita ne vivo un’altra: la sua, la loro, la nostra. Mentre sono qua, sono dappertutto e sono chiunque, non sono né solo, né soltanto. Sala del durante Per aspirare: un altro respiro, dove l’ispirazione e le sue arti aspettano chiunque voglia spostare i muri del proprio tempo, e usare lo spazio che c’è tra un momento e l’altro. Più dentro di così si vive! 5 CASA DEI RISVEGLI LUCA DE NIGRIS Lo stage delle studentesse ITC Mattei: la scoperta di una realtà emozionante Il risveglio della speranza: sensazioni e sentimenti “Fiducia come simbolo di un risveglio che sta per giungere, Sincerità come simbolo di un amore che sta per nascere, Io come simbolo di una speranza che cresce in me. Griderò il mio risveglio, Griderò le mie speranze ed i miei sogni; Illuminando di indaco ogni mio gesto, ogni mio bacio, ogni mio fremito, ogni mio desiderio.” S guardi, brividi, emozioni, piccoli gesti ma nello stesso tempo grandi conquiste e tanti sorrisi. Tutto questo è ciò che mi hanno regalato tutte le persone che ho conosciuto in questa settimana di stage nella Casa dei Risvegli Luca De Nigris. Questa struttura è nata in seguito alla scomparsa di Luca, un ragazzo di quindici anni che con forza e tenacia ha affrontato e combattuto tutte le sfide che ha incontrato nella sua piccola vita. I suoi genitori, Fulvio De Nigris e Maria Vaccari con grande forza e determinazione sono riusciti a creare tutto questo ovvero una struttura all’interno della quale la famiglia riveste un ruolo centrale e dove tutto viene rimesso in gioco. “Capire che qualcosa è cambiato e non mollare mai”. È proprio qui, in questa semplice frase che agli occhi di molte persone può apparire vuota e insignificante che si racchiude tutto il percorso che si pone l’obiettivo di restituire la dignità e la vita quotidiana, fatta di sfide, ma allo stesso tempo di emozioni e sentimenti, alle famiglie ma soprat6 tutto alle persone colpite dal coma. In questa settimana ho potuto capire che i reali problemi della vita sono altri rispetto a quelli che si presentano davanti a noi ogni giorno e che non bisogna mai arrendersi ma combattere sempre, perché anche una piccola conquista, per questi ragazzi è un grande traguardo che può significare davvero tanto. Grazie a tutti gli operatori ed educatori che ci hanno accompagnato e seguito in questa esperienza, in particolare a Laura la nostra Tutor. Un grazie che arriva direttamente dal cuore va a tutti i ragazzi che, con i loro profondi sguardi e i piccoli gesti mi hanno regalato grandi emozioni e sensazioni che porterò nel cuore. Giulia Cinti L a data: 1 Marzo 2010. È l’inizio di uno stage dalle mille sfaccettature. L’opportunità che ci è stata data è senz’altro unica, come le emozioni che si provano. È una delle tante realtà della vita quella del coma, ma per fortuna in questa struttura possiamo vedere con i nostri occhi la forza e l’amore, per combattere a favore della vita. Fin dal primo giorno, l'ambiente diventa sempre più familiare e ti senti inglobato nelle attività e nella vita di persone che ti sembra di conoscere da sempre. Penso che questa esperienza ci faccia apprezzare maggiormente la vita e ci darà sicuramente la consapevolezza che non bisogna mai arrendersi. Ogni piccolo gesto costituisce speranza e fiducia e spianano la strada per progettare un “dopo” fatto di legami intensi e forza di volontà. È dura vedere persone, ed in particolare ragazzi molto giovani, costretti ad uno stato quasi vegetativo. È come essere imprigionati in un corpo che non è il proprio e di cui non si conoscono le chiavi d'accesso per muoversi, parlare e correre... ma è proprio contro questo, che la Casa dei Risvegli Luca De Nigris lotta. L’obiettivo di questa splendida struttura, ben organizzata e funzionante, è proprio quello di permettere ai suoi ospiti, la cui vita pare “non vita” agli occhi dell'ipocrisia, di riprendere in mano una penna per poter completare le pagine vuote di un lungo libro chiamato “vita”. Un antico motto latino dice: “per vedere bisogna credere” e a mio parere questa frase rispecchia in pieno il lavoro degli educatori, dei volontari e di tutte le persone che circondano gli ospiti della struttura. Non tutto ciò che accade qui è scontato e grazie all’osservazione di questa realtà, ho capito che gli uccellini imbalsamati di Tonino Guerra possono davvero aprire le ali e volare via. “Mi sentivo forte perchè avevo le armi dell'amore e della speranza. Che cosa sono diventato ho orrore a dirlo, più nulla in me che ricordi l’uomo di ieri. Se oggi mi chiedessero se mi piace questo mondo, risponderei che non lo so. Se mi chiedessero quanti anni ho, risponderei che non lo so. Ma se mi chie- Il risveglio de CASA DEI RISVEGLI LUCA DE NIGRIS dessero che cosa voglio, risponderei che ho una gran voglia di vivere”. Grazie di cuore per la bellissima esperienza! Sarah Giordano V olontà, Forza di andare avanti senza mai perdersi d’animo e affrontare ogni giorno una realtà che cambia ed è sempre più frenetica, Coraggio, Fiducia e Felicità nel sapere che c’è qualcuno che ti aiuta che non sei solo sono le parole che ho percepito da questa esperienza di stage presso la Casa dei Risvegli Luca De Nigris. Il 1° marzo è iniziata per me questa esperienza bellissima. Quando dovevo scegliere il posto dove poter iniziare il mio stage volevo tanto che fosse la Casa dei Risvegli Luca De Nigris, ne avevo sempre sentito parlare ed ero troppo curiosa; per fortuna ho avuto l’occasione di entrare in questa struttura e sono contenta di averla scelta. In questa struttura sembra di stare in una grande famiglia dove tutti collaborano per aiutare il prossimo, forniscono sostegno alle famiglie aiutandole ad andare avanti giorno per giorno, dandogli tutti insieme la forza e la fiducia nel continuare questo percorso riabilitativo senza mai perdere le speranze nel proprio caro. È stato bellissimo poter osservare le diverse attività come: la musicoterapia, il teatro, la riabilitazione motoria e gli stimoli che queste attività forniscono e come queste persone reagiscono. L’impatto però è sempre forte, almeno per me. Spesso, infatti, ho teso a identificarmi in loro pensando: “Eppure lì potrebbe esserci Sarah, Laura, Jessica, Cinzia e Giulia. chiunque, anche io”… ma penso anche che queste stesse persone ti danno veramente tanto e anche un loro piccolo gesto ti riempie di gioia. Ogni volta che tornavo a casa finita la mia giornata di stage pensavo a loro, ai loro occhi che cercano in qualche modo di comunicarti qualcosa. Questa esperienza ha riempito il mio cuore di felicità, mi piacerebbe poterla continuare per poter così dare un mio piccolo aiuto. Volevo ringraziare Laura e tutte le persone che hanno guidato me e le altre ragazze in questi giorni di stage e infine Maria Vaccari e Fulvio de Nigris fondatori dell’associazione Gli Amici di Luca. Laura Eleonora Marani Dopo un po’ impari la sottile differenza fra tenere una mano e incatenare un’anima. E impari che l’amore non è appoggiarsi a qualcuno e la compagnia non è sicurezza. E inizi a imparare che i baci non sono contratti e i doni non sono promesse. E cominci ad accettare le tue sconfitte a testa alta e con gli occhi aperti con la grazia di un adulto, non con il dolore di un bambino. E impari a costruire le tue strade oggi perché il terreno di domani è troppo incerto per fare piani. Dopo un po’ impari che il sole scotta se ne prendi troppo. Perciò pianti il tuo giardino e decori la tua anima, invece di aspettare che qualcuno ti porti i fiori. E impari che puoi davvero sopportare che sei davvero forte e che vali davvero. (Veronica A. Shoffstall) V ita, che cos’è vita? Occhi che ti guardano, si illuminano, si emozionano, ti emozionano. Vivere è lottare. Entrare in contatto con operatori e ospiti della Casa dei Risvegli Luca De Nigris ha contribuito alla nostra crescita personale. Noi tirocinanti dell'Istituto Superiore Enrico Mattei, mai ci saremmo immaginate una realtà così triste e vera, ma allo stesso tempo ella speranza 7 CASA DEI RISVEGLI LUCA DE NIGRIS così piena di forza e calore. Siamo entrate a far parte di questa grande famiglia che è intrisa di amore e l'essere per l'altro è il punto di forza per aiutare gli ospiti con esiti di coma a percorrere questo lungo e tortuoso cammino. Ho voluto iniziare con il proporvi una poesia di Veronica A. Shoffstall, che racchiude, per me, parte degli insegnamenti fondamentali per affrontare un evento doloroso, come quello di coma. In questo contesto ho ricevuto tanto, tante soddisfazione ed emozioni ed è difficile descriverle e spiegarle, tanto è la loro intensità. Nella Casa dei Risvegli Luca De Nigris ho anche potuto assistere ad attività riabilitative, che mettono in gioco capacità motorie,espressive,emotive e cognitive dei soggetti presenti nella struttura. È un'esperienza che mi ha colmato di "lezioni di vita", di forza, di sensazioni indescrivibili. Imparare a prendersi cura dell'altro è un aspetto importante per combattere quella guerra che sembra aver la meglio su di noi. Un immenso GRAZIE a chi ci ha accolto con affetto, a chi ci ha seguito con amore per un'intera settimana ( GRAZIE LAURA!),a chi ci ha permesso di vivere questa indimenticabile esperienza. Grazie anche ai ragazzi della Casa dei Risvegli Luca De Nigris, per avermi insegnato tanto. Spero con tutto il cuore di rivedervi presto, un abbraccio forte a tutti. È vero, si vive sempre per un giorno migliore. Jessica De Vita D alla frenesia della scuola, degli amici, della famiglia, ci siamo tuffate in questa casa, in cui si respira aria di speranza, di forza, 8 di voglia di andare avanti e combattere, ma soprattutto di voglia di vivere. Sì, di vivere, é per questo che si lotta così tanto in questa casa, per riconquistare tutto ciò che all'improvviso sembrava ti fosse stato portato via. Un incidente, un problema fisico inaspettato, varie cause che ti piombano addosso e cercano di portarti via la vita. Ma vedere queste persone, questi ragazzi pieni di forza, di determinazione, che lentamente si riappropriano di ciò che stavano perdendo, anche piccoli movimenti come muovere un dito, o accennare un sorriso ti riempie il cuore di gioia, perchè la loro voglia di riuscire, di ricominciare, di lottare non potrà togliergliela nessuno. Grazie alla nostra scuola, ITC Mat- “Voglia di vivere: è per questo che si lotta così tanto in questa casa, per riconquistare tutto ciò che all’improvviso sembrava ti fosse stato portato via” tei, abbiamo effettuato lo stage alla Casa dei Risvegli Luca De Nigris e abbiamo potuto osservare e capire l'importanza di molti valori, come la famiglia, l’amore, l'amicizia che molto spesso li consideriamo scontati e li sottovalutiamo. Questa è un’esperienza che mi porterò per sempre dentro al cuore. Ho imparato molte cose sul coma, ma soprattutto ho imparato tanto dal punto di vista umano. Finchè non si sta a contatto con loro non lo si riesce a capire, ma quando guardi negli occhi queste persone ti vengono trasmessi forza, amore, speranza, gioia, desideri, bisogno di aiuto e tante emozioni indescrivibili. E quando incroci i loro sguardi ti senti pieno di voglia di dare loro qualcosa, aiuto, sostegno, affetto, anche se all'inizio ti spaventa un po’ la situazione, perchè ti senti impotente di fronte ad un grande problema fisico. Si provano tante emozioni all’interno della Casa dei Risvegli Luca De Nigris ed è fantastico come anche gli educatori e gli operatori si siano accorti dei nostri stati d'animo e ci siano stati vicini. Un grande ringraziamento va a coloro che ci hanno accolto a braccia aperte, come Maria Vaccari, madre di Luca De Nigris, che assieme a Fulvio De Nigris e tanti collaboratori sono riusciti a costruire questa grande casa e ad avere la forza di andare avanti dopo la scomparsa di loro figlio, per cui è stato creato tutto questo. Abbiamo conosciuto grandi educatori e operatori che ci hanno accompagnato ed insegnato nel nostro percorso, ovvero Laura, Stefano, Cristina, Antonella, Roberto, Marcella ed Alessandra. Li ringraziamo molto per averci guidate ed aiutate in questa esperienza. Ma soprattutto un grande ringraziamento va ai ragazzi ospiti nella casa e anche ai dimessi che ci hanno trasmesso tanta voglia di vivere, vincere ed essere padroni della propria vita, ed anche di non arrendersi mai di fronte ad ogni sfida che ti viene imposta. Molto spesso ci arrabbiamo per futili motivi, senza mai soffermarci a ragionare con calma, e ci dimentichiamo dell'importanza di avere la salute e la nostra vita in mano, così finiamo per trascurarne il significato, mentre qua dentro secondo me riesci a comprenderne il senso ed il valore. Almeno, per me è stato così e mi ritengo molto fortunata per aver avuto la possibilità di capirlo. Cinzia Gamberi CASA DEI RISVEGLI LUCA DE NIGRIS La testimonianza di Eugenia vuole dare un po’ di coraggio a chi come loro si trova in una situazione difficile Sento che Dody ce la farà I l 20 aprile 2009 ore 6.30 di mattina, suona il telefono e una voce sconosciuta mi dice che Dody (Eleonora), mia figlia, ha avuto un incidente d’auto. Mi dice che l’hanno portata in ospedale ad Arezzo, vi lascio immaginare come io e mio marito ci siamo sentiti. Abbiamo chiamato il fratello di Dody, Tiziano, e sua moglie Giorgia e con loro siamo partiti alla volta di Arezzo. Durante il tragitto ci chiamano dall’ospedale di Arezzo per dirci che Dody era stata trasferita con l’eli ambulanza a Siena perché era molto grave…. era in coma! Dopo circa 40 giorni in rianimazione nell’ospedale di Siena, Dody è stata trasferita all’ospedale Maggiore di Bologna, reparto di Riabilitazione. Era ancora in coma…. Dopo un po’ di tempo trascorso al Maggiore ha cominciato ad aprire gli occhi e a riconoscerci. Il 6 giugno finalmente l’hanno trasferita alla “Casa dei Risvegli Luca De Nigris”, struttura voluta fortemente da Maria e Fulvio in memoria di Luca, loro figlio morto all’età di 16 anni. In questa struttura io ed Eleonora siamo rimaste 5 mesi, fino il 26 ottobre 2009. In questi 5 mesi Dody ha cominciato una nuova vita aiutata da Annalisa la fisioterapista, Loredana la logopedista, Stefano il teatro terapeuta, Roberto il musico terapeuta …. e tanti altri!!! In questi mesi ha fatto tanti progressi, è uscita dal coma e dallo stato vegetativo diventando ogni giorno sempre più attenta e vigile. Agli inizi di ottobre ha iniziato a parlare con grande emozione di tutti, da quanto tempo non sentivamo più la sua voce!!!! Mio figlio e mia nuora, Tiziano e Giorgia, venivano a trovarci 4 volte a settimana, mio marito veniva il sabato e la domenica e Andrea, il fidanzato di Dody, veniva tutti i fine settimana. Tutti e 5 ci siamo dati da fare per stare vicino a Dody, per aiutarla, darle conforto e farle sentire il nostro amore. Ogni tanto Giorgia mi dava il cambio, così che io potevo andare a casa a riposarmi un po’. È stata una persona molto importante per me, nei momenti di sconforto mi dava tanta forza. Era amata da tutti; quando arrivavano lei e Tiziano passavano a salutare tutti gli altri malati e per tutti avevano un sorriso e una parola buona. Dody è tornata a casa il 26 ottobre e non è stato facile …. Da noi a Pesaro non esistono né strutture, né “supporti” per le persone come Dody e per noi che stiamo con lei. Per trovare una certa normalità ci abbiamo impiegato molti mesi. Adesso Dody è meno restia a fare le terapie, comincia a ricordare alcune cose degli anni passati. Certo che il cammino è ancora lungo e io sento che Dody ce la farà, ce l’ha già fatta una volta, perché non sperare in una seconda? Spero che questa nostra testimonianza serva a dare un po’ di coraggio a chi come noi si trova in una situazione così difficile e complicata. Una situazione che ti travolge e ti fa attaccare alla vita come non crede- Dody e i suoi amici alla festa di compleanno vi si potesse fare; una situazione così forte da farti mancare l’aria; una situazione che ti fa conoscere il dolore e te lo fa apparire come se fosse “normalità”; una situazione che ti fa conoscere persone meravigliose capaci di riempirti il cuore di affetto e di tanta tenerezza. Una situazione che ti fa scoprire che la vita è davvero strana ma altrettanto meravigliosa! Un grazie grande grande va alla “Casa dei Risvegli Luca De Nigris”, a tutto lo staff medico e infermieristico, a tutti gli educatori: Laura, Cristina, Antonella, ai volontari, ai pazienti, ai familiari dei pazienti, ma un GRAZIE particolare a Maria e Fulvio che hanno avuto il coraggio di creare un posto così e hanno il coraggio tutt’oggi di portarlo avanti con dignità e forza. Senza di voi Dody non ce l’avrebbe fatta … Un bacione a tutti La mamma di Dody, Eugenia e la cognata Giorgia P.S. da parte di Dody “FORZA E CORAGGIO!!! 9 RISVEGLI Un racconto toccante: la storia e il risveglio di Marcello. E la vita continua il suo percorso I mille volti dell’amore di Dio di Marcello Poletti D icembre 2001: Incontro con Margherita ad Assisi • Col coro di S. Michele in Bosco avremmo dovuto cantare a Verona e avrei rivisto Margherita, con la quale avevo iniziato un consistente scambio di mail, ma saltò perché il maestro Giovanni non stava bene. • Io e Marghe ci siamo rivisti comunque a Verona in occasione di un concerto. • Ai primi di settembre (al matrimonio di Simone) abbiamo deciso la data del matrimonio: il 4 ottobre 2003, il giorno di S. Francesco. • Ho trovato la casa! • 28/09/03: incidente sulla superstrada per Bologna a una settimana dal nostro matrimonio: una macchina nella corsia opposta, forse per un malore del conducente, ha scavalcato il cavalcavia e ci è piombata addosso. • Io ho perso i sensi, Marghe invece ha preso una forte botta nel collo. • Appena avvertiti, Mariano e Daniele, babbo e fratello di Margherita, sono subito partiti da Padova per Perugia, passando da Bologna per prendere la mia mamma. • 11 giorni in coma presso l’ospedale di Perugia. • 01/10/03 Padre Emidio è venuto due volte a farmi visita mentre ero in rianimazione. Era fiducioso del mio recupero, tanto che disse: “Questa storia la racconteremo”, volendo includere anche me in quel “raccon10 teremo”. Un giorno venne proprio quando Marghe e Laura avevano organizzato con padre Luca (francescano, cappellano dell’ospedale) di farmi avere l’unzione degli infermi. Padre Luca conosceva molto bene il personale della rianimazione e ottenne di fare entrare nella mia stanza, fuori dall’orario di visita, gli amici e le suore che mi erano venuti a trovare (due cose generalmente vitatissime: poteva entrare una persona sola e rigorosamente nell’orario di visita). Suor Giovanna, presente anche lei quel giorno, rimase fuori dalla stanza ad assistere alla funzione e piangeva. • Marghe e mamma erano presso le “Non è come nei film, che uno si sveglia e si alza bello come il sole; per svegliarsi bene dal coma possono volerci mesi” suore a Perugia: ci sono rimaste un mese. Mamma doveva lavorare e faceva avanti-indietro da Bologna. Marghe mi leggeva “I Promessi sposi”, che avevo iniziato in quel periodo • Un giorno Marghe mi ha supplicato, in lacrime, di svegliarmi. Con grande fatica sono riuscito ad aprire un occhio, ci siamo guardati per un po’ e poi sono crollato stremato, ma, caspita, ero tornato! • Non è come nei film, che uno si sveglia e si alza bello come il sole; per svegliarsi bene dal coma possono volerci mesi. • Nel reparto di neurologia in cui venni ricoverato dopo tre settimane di rianimazione (in attesa che si trovasse un posto per me in qualche reparto o istituto di riabilitazione) non ricevevo l’assistenza continua e costante che viene riservata ai degenti della rianimazione. Dunque avevo bisogno dell'assistenza diurna e notturna di qualche parente o amico. Inizialmente con me c’erano mamma e Marghe, ma la seconda notte le suore di Assisi, che erano venute a farmi visita, veduta la loro stanchezza fisica e morale e si offrirono di sostituirle nell'assistenza notturna. Suor Katia iniziò a farmi la notte, poi venne a sostituirla suor Veronica. Il giorno dopo entrambe avevano degli impegni che avrebbero impedito loro di riposare e recuperare il sonno, ma rimasero lo stesso. • Marcello mi ha appeso sul letto la locandina di “Supermarci” che aveva preparato per il nostro matrimonio. • Anche se non stavo in piedi, un giorno volevo alzarmi per vedere fuori; Andrea mi ha tirato su di peso e mi ha portato alla finestra con la sedia a rotelle. • 28/10/03: trasferimento a Bologna. • Convalescenza al reparto di riabilitazione dell’ospedale Maggiore sotto la supervisione del dott. Roberto Piperno, luminare della riabilitazione. • La mia memoria, che ho notevolmente recuperato in seguito, è rimasta accantonata in gran parte. • Ho conosciuto vari ragazzi: Bledar, un ragazzo albanese, Luca, Antonio, Cristian... • Dopo un po’ di tempo che eravamo lì, Antonio non voleva tornare a casa per il primo permesso; allora Giulia, RISVEGLI TA!!!! Che gioia!!! Che bello!!!!!!!!!!!!!!!!!! • Febbraio 2005: Inizio periodo di prova alla Marchesini Group di Pianoro. • Ecografia: dopo un mese è già un centimetro e mezzo! È un gigante!!!! • Maggio 2005. Ecografia: È UNA BIMBA!!!!!!!!!! Che dolce! Ha un profilo bellissimo! W Benedetta!!! • Maggio 2005: Un sabato mattina incontriamo per caso Michele ed Emma a messa a San Luca e ci danno una notiziona: aspettano il terzo figlio! Marcello, Margherita, Benedetta e Gabriele Poletti. sua sorella, mi chiese di parlargli. Andai vicino al suo letto e gli parlai. Gli parlai della bellezza di vivere, della fortuna che avevamo ad essere ancora vivi e ad avere tante persone attorno a noi che ci amavano e che avevano fiducia in noi. Gli dissi che lì fuori la vita ci chiamava e che noi dovevamo avere coraggio ed essere felici perché eravamo ancora vivi. Marghe, Giulia, infermiere e fisioterapiste piansero. • 12.01.04: Dimissioni dall’ospedale. • Inizio del Day Hospital: terapia con Teresa, mia fisioterapista e con Loredana, mia logopedista. • Ritorno ad Assisi con Marghe e Mamma, passando da Perugia per salutare tutte le persone che ci erano state vicine. • Fine marzo 2004: Il personale medico si era riunito con me, Marghe, Mamma, mia sorella e Mariano per comunicarci le sue impressioni; chiesi ciò che mi premeva, cioè se ci potevamo sposare. La risata del personale medico a quella richiesta della quale solo noi due avevamo la decisione sciolse la tensione. Evvai! • Permesso per sposarmi: 19/06/04 matrimonio a Padova con la mia Margherita! • Tantissimi i presenti. • Sposati! Evviva! • Il pomeriggio ci hanno accompagnato a Verona: partenza in aereo e viaggio di nozze in Sicilia! • 07 ottobre 2004: Inaugurazione della “Casa dei Risvegli Luca De Nigris” con la partecipazione di Alessandro Bergonzoni, che ha dato il suo volto e non solo a questa iniziativa. Ero a conoscenza dell'avvenimento perchè la città era disseminata di manifesti. Ho preso l’autobus, sono sceso al Mazzacorati e da lì, non sapendo bene quale altro autobus prendere, me la sono fatta a piedi fino all'ospedale. Finalmente arrivo. Alessandro è un tipo veramente in gamba, oltre che essere un comico notevole ha un talento umano non indifferente. Mi ha spiegato come è nata la struttura e dell’impegno che tante persone hanno donato. La struttura è veramente bella e il personale preparatissimo (e io so cosa vuol dire avere un apporto professionale e umano del genere); il tutto in mezzo ai colli di Bologna. Alla fine abbiamo fatto una foto insieme. Mentre mi muovevo per tornare a casa ho incontrato alcune delle infermiere che mi avevano seguito al Maggiore. • 31.12.04: Dimissioni ufficiali dall’ospedale. • Gennaio 2005: MARGHE INCIN- Qualche mese fa mandai una mail con la nostra storia fino a questo punto alle tante persone che ci erano state vicine per poterla arricchire e completare. Mi scuso con le persone che ho involontariamente dimenticato, abbiate pazienza. • 31.08.05: È NATA BENEDETTA!!!!!!!!!! È BELLISSIMA!!!!!!!!!!!!!!!!! COME SONO FELICE!!!!!!!!!!!!! EVVIVA EVVIVA EVVIVA!!!! EVVIVA EVVIVA EVVIVA!!!! EVVIVA EVVIVA EVVIVA!!!! EVVIVA EVVIVA EVVIVA!!!! • Nel Giugno 2008 arriva Gabriele, il fratellino di Benedetta! Grazie con tutto il cuore alle innumerevoli persone che ci sono state vicine nella nostra vita. Ci hanno insegnato che cosa sia l'amore e che cosa aveva in mente Dio quando ha creato il tutto. Grazie alle tantissime persone che non ho direttamente nominato; sappiate che la nostra meravigliosa bimba esiste grazie a tutti voi. Grazie a Margherita che è un angelo vero e proprio, non tanto per dire. E grazie soprattutto a Benedetta, frutto del nostro amore, di quello del Padre e di tutto quello che abbiamo ricevuto da ognuno di voi. Dio vi benedica 11 LA RETE Uno studio approfondito sulle dimissioni a rischio La Clinica Quarenghi di San Pellegrino Terme di Gian Pietro Salvi N Direttore clinica Quarenghi San Pellegrino Terme Presidente associazione Genesis Presidente La Rete ei pazienti con grave cerebrolesione acquisita, le dimissioni sono un momento cruciale nel percorso riabilitativo. Per questo è stata evidenziata la necessità di prendere in considerazione in maniera articolata le variabili critiche delle dimissioni difficili, analizzando una serie di dati raccolti intervistando i pazienti e i loro familiari, nonché verificando nella prassi quotidiana, le implicazioni e le ricadute (anche economiche) di questa situazione. La collaborazione tra figure professionali con competenze e specializzazioni diverse, favorendo la presa in carico della complessità della persona, ha confermato l'importanza dell'approc- Operatori e familiari nela clinica Quarenghi. 12 cio multidisciplinare per giungere a soluzioni il più possibile efficaci. Presso il nostro Centro di Riabilitazione neuromotoria della Clinica Quarenghi di San Pellegrino Terme (BG), sono state indagate da parte del Conselor le aree di criticità che mettevano a rischio le dimissioni dei pazienti affetti da esiti di grave cerebrolesione acquisita. Le aree d’interesse significative per questo tipo di segnalazione sono state così identificate: - mappatura familiare, per la quale è stata dettagliata sia la composizione del nucleo familiare esteso (riportandone l'effettiva disponibilità) sia l'eventuale presenza di un caregiver di riferimento; - occupazione e autosufficienza economica, con particolare interesse verso le pratiche burocratiche già avviate; - situazione abitativa, comprendendo il tipo di barriera architet- tonica presente e le possibilità di eliminazione; - utilizzo dei servizi, per completare il quadro di riferimento circa l'organizzazione quotidiana. La problematica più rilevata al momento dell'intervista è stata l'assenza, l’insufficenza o la non idoneità del caregiver; questa è stata anche la principale causa di opposizione alla programmazione della dimissione. In questi casi, in prossimità del rientro a casa si evidenziava che veniva a mancare la funzione di supporto dei parenti che hanno individuato, come elemento critico, il grande carico assistenziale, incompatibile con il rientro domiciliare (i genitori muoiono, i fratelli e/o i figli si sposano, il lavoro non permette tempi dedicati alla cura e al sostegno, la lontananza geografica non facilita il superamento delle distanze affettive). Nella maggior parte dei casi si è trattato di pazienti di età superiore a 75 anni oppure più giovani (44/55 enni), ma non coniugati. L’ambiente non accettante o l’indisponibilità delle figure parentali e amicali fanno sì che il rientro venga vissuto dal paziente in maniera traumatica, con una percezione di mancanza di autonomia e di capacità decisionale. Questo dato è significativamente importante in quanto ribadisce la necessità di costruire una rete di supporto, attivando anche le risorse presenti sul territorio (assistenti sociali, associazioni di volontariato, centri diurni eccetera), per affiancare chi si prende cura nel LA RETE difficile compito di assistenza continuativa e prolungata nel tempo, evitando il più possibile ricoveri in strutture socioassistenziali per lungodegenti. Un altro fattore condizionante rispetto alla criticità è statal'inadeguatezza dell'abitazione: la presenza di scale e/o barriere architettoniche, comprendendo anche i locali posti al piano terra o dotati di ascensore in cui ci siano però porte che non consentono il passaggio con ausili, oppure servizi non sufficientemente spaziosi. Inoltre, anche in presenza di barriere eliminabili, l'indagine ha sottolineato una serie di formalità burocratiche non evase: nello specifico, sopralluoghi e permessi ASL, pratiche per l’ottenimento dell'invalidità e dell'accompagnamento, costi di manodopera e realizzazione delle modifiche che possono rallentare, anche di mesi, la messa a norma dei locali. Da segnalare, inoltre, la presenza di abitazioni che ancora non dispongono di servizi igienici idonei e riscaldamento funzionale. Questo è sicuramente un aspetto che condiziona in maniera determinante il rientro nella propria casa, così come l'ubicazione della stessa (allevatori o coltivatori che vivono in cascine non ristrutturate) in posizione isolata e non facilmente raggiungibili con l'auto). Nei pazienti affetti da esiti di grave cerebrolesione, la dimissione è spesso condizionata dalla disponibilità di ausili utilizzati a domicilio, atti a migliorare e finalizzare l'autonomia della persona nella attività della vita quotidiana. I pazienti imparano, quando sono ricoverati in riabilitazione , a gestire autonomamente i trasferimenti in carrozzina o a camminare con ausilio di deambulatore, tripode o tetrapode. Questi ausili sono necessari anche al domicilio per mantenere un certo grado di Gian Pietro Salvi con l’equipe a bordo della piscina. Festa di carnevale in clinica. autonomia ed evitare un prolungato allettamento con possibili ulteriori complicanze. Il fisiatra con il fisioterapista valuta gli ausili idonei e ne inoltra la richiesta alla ASL di competenza. Purtroppo, però, spesso i tempi di consegna degli ausili risultano essere lunghi e, non di rado, superiori a quelli previsti, compromettendo anche le dimissioni programmate. Il riscontro di difficoltà di diversa natura nella dimissione dei pazienti è trasversale. Gli aspetti clinici e socioassistenziali spesso si intersecano, gravando sull'organizzazione della dimissione: da ciò una laboriosa preparazione che coinvolge diverse figure professionali. Con gli attuali programmi di economia sanitaria, non è infrequente trovarsi in situazioni che richiedono soluzioni articolate. Ogni prestazione professionale viene definita in termini di tempi di esecuzione e costi. Le dimissioni difficili hanno una ricaduta importante non solo economica (il prolungamento del ricovero equivale a un aumento dei costi assistenziali), ma anche organizzativa (mancata disponibilità di posti letto per accogliere casi con maggiore possibilità di recupero). Attraverso le informazioni fornite dal conselor all’équipe, attraverso la prevenzione medica e il riscontro degli altri professionisti coinvolti, in presenza di familiari e pazienti non responsivi, o di situazioni di grave disagio, è necessario intervenire prontamente per evitare o quantomeno limitare i problemi di un mancato rientro. Le associazioni dei familiari presenti sul territorio giocano un ruolo fondamentale per facilitare il rientro al domicilio di queste persone, per il loro reinserimento nella società e per alleviare il carico di lavoro e di stress emotivo che grava sul caregiver e sulla famiglia. 13 LA RETE Test ecologico di San San Pellegrino Terme Ecological test of Pellegrino Terme C. Valiante, G.P. Salvi, A.M. Quarenghi, L. Manzoni, L. Smirni, P. Quarenghi, A. Previtali, R. Bonaldi, G. Passera Dr.Quarenghi’s Clinic, Neurorehabilitation Unit, San Pellegrino Terme, Italy Summary: SOMMARIO:after severe craniocerebral accident patients have problems with everyday life activities. tried to find something easy and affective that can i pazienti dopo un grave We trauma cranio encefalico presentano importanti problemi nelle test them and can give some advice to improve them. attività della vita quotidiana. Il nostro intento era di trovare un test facilmente eseguibi- Introduction: to find per an ecological test that can the evolution of le e che desse we delletried indicazioni migliorare le attività dellaprove vita quotidiana. the motor, cognitive and behavioral abilities in patients affected by sequelae of severe craniocerebral accident (trauma, hemorrhage or brain surgery) during INTRODUZIONE: their everyday life activities. presso la Clinica è impostato the un test ecologico per The purpose of Quarenghi the test di is S.Pellegrino to optimizeTerme and sipersonalize rehabilitation strategies. valutare le capacità e l'evoluzione dei disturbi motori cognitivi e comportamentali in pazienti affetti gravi esitiwe di tested cerebrolesione acquisita (traumatica, emorragica o chi100 people, 80 men (age average 40) and Materials and da Methods: 20 women (age average 45). rurgica). 50 patients had traumatic brain injury, 1- camminare walking on the 66-- ordering 30 patients had cerebral hemorrhage and sulsidewalk marciapiede 1ordinaresomething al Bar in a bar MATERIALI E METODI: 20 patients underwent a brain surgery. state testate 100 persone. 80 uomini (media dell'età 40 anni) e 20 donne (media Sono Every patient had a preliminary physiatric, neurological and neurodell'età 45 anni).evaluation, in order to consider their motor and cognitive psychological deficiencies, their self-consciousness of their condition andcerebrale their motivation to 50 pazienti avevano subito trauma cranico, 30 paz emorragia e 20 paz erano follow the program. Each neurochirurgico. patient, followed by one of the staff of the ad intervento stati sottoposti Rehabilitation Unit, is tested outside the Clinic along the main street in the Ogni paziente è stato sottoposto ad una valutazione fisiatrica, neurologica e neuropsitown. in modo valutare eventuali deficit motori e cognitivi e la consapevolezza cologicaThe test isda based on 10 activities: proprie condizioni e la motivazione eventuale a seguire il programma riabilitativo delle 1) walking on the sidewalk; 6) ordering something in a bar; Ogni the paziente stato dalla struttura lungo le strade della nostra proposto. 2) crossing streetè at a testato fuori 7) writing and sending a postcard; cittadina, da un membro dello staff dell'Unità riabilitativa. zebra accompagnato crossing; 8) buying the newspaper at a 3) crossing the street at a newsstand; traffic 9) phoning light; from call box with a valuta alcune attività della vita quotidiana e si basa sua10 prove. Il test crossing the la street at asulle zebrastrisce crossing 77-- writing and sending una a postcard 4) asking for informations; cell-phone; strada pedonali 2-2 -attraversare scrivere e spedire cartolina 5) changing money at a bank; 10) shopping in a shop. 1- camminare sul marciapiede, 2- attraversare la strada sulle strisce pedonali, 3- attra- versare lahow strada al semaforo, chiedere cambiare moneta in in the Banca, Judging each activity is 4carried out,informazioni, a score is 5given, as showed 6- ordinare al Bar, 7- scrivere e spedire una cartolina, 8- acquistare riviste all'edicola, 9following scheme: telefonare dalla cabina telefonica, 10- fare acquisti supermercato The activity is carried out correctly withoutalhelp.. 3 points The activity is carried out without help but with some difficulty 2 points I punteggi alle prove………………………………………… sono: The activity is carried out only with help ………… 1 point 0 la prova non può essere eseguita The activity in not carried out whatsoever ………. 0 point 1 la prova viene svolta con qualche aiuto 3 -attraversare crossing the la street at aaltraffic light 3strada semaforo During theviene test svolta the examiner takes note of thedifficoltà following possible cognitive 2 la prova senza aiuto ma con qualche problems: of attention, 3 la prova èdisorder correttamente eseguita memory, senza aiutoexecutive functions and problem solving, topographic orientation, oral and written language, calculation, ideational praxia, visual perception; furthermore the presence of anosognosia, 88-- acquistare buying the newspaper at a newsstand riviste all'edicola Durante il test vengono esaminati i possibili disturbiiscognitivi come:Any information behavioral disorder, sensorial and motor deficits monitored. di attenzione, memoria, delle funzioni is- i disturbi then given to thedi physiotherapists, the esecutive, speech l'orientamento therapist andtopografithe neuropsychologist to enable them to work iout the visivo-percettivi. most appropriate Vengoco, le capacità di comunicare, la capacità di calcolo, disturbi rehabilitation treatment. no inoltre osservati i disturbi dovuti alla presenza di anosognosia, i disturbi comporta- mentali, i Through disturbi motori sensitivi. Le informazioni vengono poi raccolte dal fisioteraResults: these erehabilitation strategies we achieved: •pista Better of patients edoverall insiemeevaluation al neuropsicologo viene impostato il trattamento riabilitativo appro• Better consciousness of the patients and their relatives about the difficulties priato. to carry out everyday life activities • Strategies for the reinstatement of the patients at home, at school and at work CONCLUSIONI •Questo The test emotional and behavioral disorder testshows è utilepossible per eseguire: asking for informations 4-4 -chiedere informazioni changing moneta money atina Banca bank 5-5 -cambiare Conclusions: 1- una miglior valutazione del paziente •2The test can be defined ecological becausedelle it involves everyday-life activities rendere il paziente e il familiare più conscio sue difficoltà e delle sue capacità 99-- phoning from a call box telefonica carried outil outside the Clinic; telefonare dalla cabina 3- facilita reinserimento del paziente a casa, nella scuola e nel lavoro • The test is easy to do and the patients like it because it tests them outside 4con questo test si rendono più evidenti i disturbi emotivo comportamentali the Clinic. It’s a way to involve and motivate more the patients in their 5- il test è ecologico perché viene eseguito all'esterno della struttura riabilitativa e comrehabilitation treatment; alcune dellaweekly vita quotidiana •prende The test canattività be done so that it can show the learning abilities and record the improvements; 6- è facilmente eseguibile e molto gradito dai pazienti che sono più motivati in seguito •alThe test completes the work that is done in the gym (motor training) and in trattamento riabilitativo the andilduring occupational therapy (cognitive 7- illaboratory test completa trainingthe motorio che si esegue in palestra ed training); il lavoro che si svolge • It helps to verify whether the goals are achieved and how are the patients’ nel laboratorio di neuropsicologia e terapia occupazionale abilities to do everyday-life activities while they are staying in the Clinic; test verifica se gli obiettivi stati raggiunti come sono •8-It ilalso gives useful advice del to trattamento give to thesono patients’ relativese about how letoabilità del patients paziente nello attività della vita quotidiana mentre sono ricoverati in handle once svolgere they areleback home. Clinica 9- fornisce inoltre importanti indicazioni ai parenti su come gestire i pazienti al rientro 10 in a shop al domicilio. 10-- shopping fare acquisti al supermercato References: • VANIER M, MAZAUX JM, LAMBERT J ET AL, Assessment of neuropsychologic impairment after head injury: interrater reliability and factorial and criterion validity of the Neurobehavioral Rating Scale-Revised., Arch Phys Med Rehabil; 81:796-806, 2000 Jun. • FISCHER S, GAUGGEL S, TREXLER LE, Awareness of activity limitations, goal setting and rehabilitation outcome in patients with brain injuries., Brain Inj; 18:547-62, 2004 Jun. • GODBOUT L,GRENIER MC, BRAUN CM ET AL, Cognitive structure of executive deficits in patients with frontal lesion permorming activities of daily living., Brain Inj,19:337-48, 2005 May. • CICERONE KD, MOTT T, AZULAY J ET AL, Community integration and satisfaction with functioning after intensive cognitive rehabilitation for traumatic brain injury, Arch Phys Med Rehabil, 85:943-50, 2004 Jun. • OJEDA DEL POZO N, EZQUERRA-IRIBARREN JA, URRUTICOECHEA-SARRIEGUI I ET AL, Training in social skills in patients with acquired brain damage, Rev Neurol, 30:783-7, 2000 Apr 16-30. • SOURY S, MAZAUX JM, LAMBERT J ET AL, The neurobehavioral rating scale-revised: assessment of concurrent validity, Ann Readapt Med Phys, 48:61-70, 2005 Mar. 14 LA NOTIZIA Premio “Impegno sociale” agli inviati di “Avvenire” Bellaspiga e Ciociola Premiata l’inchiesta giornalistica sulla vicenda di Eluana Englaro È andato, agli inviati di Avvenire Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola il “Premio internazionale all'Impegno sociale 2010”, attribuito dai Comitati spontanei siciliani antimafia “LivatinoSaetta”, per l'inchiesta giornalistica sulla vicenda di Eluana Englaro e per il libro dedicato alla giovane donna (“Eluana. I fatti” - Ancora editore - i cui proventi degli autori sono interamente devoluti alle famiglie con figli in stato vegetativo indicate dall’associazione Gli amici di Luca). «Un riconoscimento assegnato – ha spiegato Attilio Cavallaro, presidente dei Comitati – perché alla luce di un martirio in nome della giustizia, si operi sempre nel timore di Dio, nel rispetto dell’uomo, con amore, dignità, solidarietà. Scrupolo e serietà per un reale i m p e g n o sociale che affermi valori e ideali limpidissimi». Il prestigioso premo giunto alla XVI edizione, è dedicato a due martiri di mafia, il “giudice ragazzino” Rosario Livatino, ucciso a 38 anni nel 1990 e il presidente della Corte d’appello di Palermo, Antonino Saetta, trucidato nel 1988 insieme a suo figlio. «L’integrità morale e il rigore intellettuale e civile di Livatino e Saetta, strenui difensori dello stato di diritto fino al sacrificio della propria vita – ha sottolineato nel suo messaggio il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano – devono rafforzare in tutti, in particolare nei giovani la cultura della legalità e della giustizia e il rifiuto di ogni forma di violenza e sopraffazione». «È un premio che va all’intero quotidiano “L’Avvenire, I diritti d’autore del libro sono devoluti a famiglie che hanno figli in stato vegetativo, su indicazione dell’associazione “Gli amici di Luca”. A Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola i nostri più sinceri ed affettuosi complimenti. oltre che ai suoi due inviati – ha voluto evidenziare Cavallaro – per l’impegno di raccontare la realtà nei fatti, senza manipolarli e con coraggio». 15 RIABILITAZIONE Luci e ombre sulla robotica applicata alla riabilitazione del cammino Riavviarsi al cammino: un percorso lento e difficile di Corrado Melegari Fisioterapista, istruttore nazionale per il sistema Lokomat LE LUCI Ritornare a camminare dopo una lesione del sistema nervoso centrale (SNC) è uno dei maggiori obiettivi in riabilitazione, significa aumentare l’autonomia e la percezione di indipendenza. Per questo, molti approcci terapeutici si sono dedicati alla rieducazione del cammino. Quello che sembra avere maggiore evidenza è il recupero della deambulazione con tappeto rotante ed allevio parziale di peso (BWSTT). Questo approccio consente al paziente di avviarsi al cammino molto precocemente, anche con quote motorie residue insufficienti per la deambulazione al suolo. Il sistema infatti, consente di scaricare parte del peso corporeo, garantisce al paziente un valido supporto e una sicura stabilizzazione durante la marcia. Il razionale scientifico del BWSTT deriva da storiche nozioni neurofisiologiche. Sherrington (1911) osservò che un gatto, con sezione toracica del midollo spinale, sostenuto per la coda e posto su un nastro trasportatore, dopo la fase di shock spinale era in grado di produrre un ciclo ritmico di risposte agli arti inferiori riconducibile alla marcia (nonostante non fosse in grado di sorreggere il proprio peso). L’autore concluse che: “Il midollo spinale contiene circuiti 16 riflessi in quantità sufficiente per produrre l’alternanza di flessione ed estensione alla base del cammino”. Da allora la ricerca su questo argomento aumentò in modo esponenziale, fornendo numerose informazioni sull’ubicazione e sul funzionamento di questi circuiti spinali (CPG). Venne dimostrato che i CPG, non solo producono i movimenti alternati della marcia, ma sono necessari per adattare il movimento all’ambiente. Fu messa in risalto l’importanza delle afferenze provenienti dai muscoli estensori degli arti inferiori e dall’anca, al fine di alternare le fasi dei passi. Ovviamente, nella modulazione spontanea del cammino devono intervenire altre parti del SNC, tuttavia, dopo che i CPG hanno ricevuto un comando motorio, controllano il vero e proprio gesto del cammino. Esiste quindi, una programmazione spinale che garantisce l’automatismo del passo. La possibilità di attivare e modulare questi CPG sembra avere una grande importanza riabilitativa ma, nonostante la forte evidenza della loro esistenza in molti mammiferi, la funzione dei CPG nell’uomo è ancora incerta. La loro attività si intravede solo in alcuni movimenti simili al passo, in mioclonie e scariche riflesse osservabili nei pazienti paraplegici durante BWSTT. In ogni caso, a partire dagli anni ’80, la clinica ha impiegato il modello sperimentale utilizzato con gli animali, con lo scopo rieducativo di stimolare i CPG a produrre l’automatismo del cammino in pazienti paraplegici. L’idea è che l’esecuzione ripetuta di un passo possa stimolare e massimizzare la plasticità spinale e sopraspinale. Nel caso in cui il paziente non sia in grado di produrre autonomamente il ciclo del passo, viene aiutato da due terapisti che accompagnano i suoi arti inferiori durante la terapia. Il BWSTT è rivolto a pazienti con deficit deambulatorio conseguente a lesione del SNC. Le maggiori esperienze riguardano le persone con lesione midollare ma non mancano studi sullo stroke e sui traumi cranici. In genere, tutti i lavori riportano buoni risultati: miglioramenti dell’equilibrio e del controllo posturale; della distribuzione del carico e del cammino (aumenti di velocità, lunghezza e simmetria del passo), in modo più evidente rispetto a quelli ottenuti con la rieducazione tradizionale. Nonostante i benefici documentati dalla ricerca, questa pratica ha trovato applicazione con molta diffi- RIABILITAZIONE coltà e non ha avuto la diffusione che forse meritava. L’impegno fisico richiesto ai terapisti è elevato, devono fronteggiare parte del peso del paziente in posizioni scomode e faticose. Inoltre, quando il controllo assiale del paziente è insufficiente, è necessario un terzo terapista per la stabilizzazione del tronco e questo impiego di risorse rilega questa terapia fra le più costose. Inoltre, Il BWSTT manuale consente solo terapie di breve durata (15 min) e il ritmo e la qualità cinematica del cammino non può essere costante. La necessità di controllare il ciclo del passo e renderlo ripetibile, il bisogno di regolare e quantificare il grado di allevio e ridurre il numero delle persone impegnate nel BWSTT, ha stimolato lo sviluppo della robotica per la riabilitazione del cammino. Il sistema più diffuso al mondo è il Lokomat®. Presente anche nel nostro paese con 21 unità, è un robot esoscheletrico con un sofisticato sistema di allevio e di controllo. Il robot guida gli arti inferiori del paziente in modo simmetrico durante il cammino su tappeto rotante in allevio parziale di carico. E’ dotato di motori dinamometrici e di un sistema “sensoriale” che controllano in modo attivo il movimento di anche e ginocchia, mentre il movimento della caviglia è assistito passivamente da un sistema a molla. L’esoscheletro è regolabile per poter essere adattato al paziente. Le posizioni articolari e le forze (attive e passive) sono monitorate con precisione. Questi dati consentono misure quantitative di ampiezza dei movimenti attivi, della forza muscolare e della resistenza alle articolazioni del- l’anca e del ginocchio. Anche l’assistenza del robot al movimento (forza guida) è regolabile in funzione del grado di partecipazione del paziente che viene costantemente monitorato e utilizzato per un feedback incentivante. Il robot permette una precisa ripetibilità del pattern motorio, un controllo fine del movimento e una durata del trattamento potenzialmente illimitata. Nel corso di una singola seduta, che dura complessivamente un’ora, il paziente può percorrere distanze anche superiori ai 1500 metri con evidenti benefici sull’apparato muscolo scheletrico. La frequenza di trattamento varia fra le tre e le cinque sedute settimanali, con cicli della durata di circa due mesi (24 sedute). Indicazioni Il paziente ideale del Lokomat® è una persona con disturbi del cammino di natura centrale: ictus, trauma cranico encefalico, lesione midollare, paralisi cerebrale infantile, Parkinson e sclerosi multipla. La maggior parte degli studi riguardano le lesioni midollari e lo stroke. Non vi sono sostanziali differenze di efficacia nel confronto fra robot e BWSTT manuale, eccetto che per i risultati relativi agli aumenti di forza contrattile e alla composizione muscolare che sono a favore dei pazienti rieducati con robot. È stato documentato che l’impiego del robot migliora la velocità e la resistenza del cammino e aumenta la forza muscolare agli arti inferiori, già dopo quattro settimane di terapia. Uno studio con 30 casi di ictus cerebrale in fase acuta, ha confrontato gli effetti del trattamento tradizionale con quello robotizzato. L’autrice (Husemann, 2007) ha rilevato, nel gruppo di pazienti trattati con robot, significativi miglioramenti dei parametri temporo-spaziali del cammino e delle masse muscolari, dopo 4 settimane di terapia, sebbene non si osservassero grandi differenze da un punto di vista funzionale. Recentemente il Lokomat® è stato integrato anche con un modulo pediatrico e una realtà virtuale per aumentare il grado di partecipazione del paziente alla terapia. L’efficacia di questi elementi è ancora oggetto di sperimentazione. Controindicazioni Le controindicazioni all’utilizzo del Lokomat® sono sostanzialmente di due tipi. I limiti tecnici non consentono il trattamento di persone con peso superiore a 135 Kg, altezza maggiore di 2 mt. o con severe eterometrie degli arti inferiori. Le altre controindicazioni sono riconducibili al movimento stesso dell’esoscheletro: le pia17 RIABILITAZIONE ghe da decubito; il cattivo consolidamento di fratture; la grave osteoporosi; importanti limitazioni articolari e le retrazioni muscolari che impedirebbero il movimento del robot. Anche l’ipotensione ortostatica è una controindicazione alla terapia così come gli stati cognitivi di confusione, compulsione o aggressività. La spasticità è una controindicazione relativa che valutata in funzione della sua modificabilità durante la seduta. Le ombre L’esperienza di questi anni, nei quali ho osservato e monitorato molti risultati ottenuti con questi apparecchi, mi ha indotto a distinguere due differenti effetti terapeutici. Da un lato, i robot consentono grandi quantità di lavoro rispetto alla terapia convenzionale, e questo coincide con una risposta dell’apparato muscolo-scheletrico riconducibile all’effetto dell’allenamento. Dall’altro, soprattutto nelle fasi riabilitative più precoci, la possibilità di sperimentare un contesto ritmico e simmetrico, consente di recuperare pattern migliori di movimento rispetto a quanto non avvenga con la rieducazione tradizionale. La rimodulazione delle risposte motorie, quindi, risulta evidente solo nella rieducazione dei pazienti sub-acuti, mentre in fase cronica prevale l’effetto “allenante”. Questi robot vengono usati per patologie diverse con benefici oggettivi strettamente correlati alla funzione del cammino (velocità, resistenza, qualità…), benefici funzionali meno evidenti e benefici soggettivi anche superiori a quelli osservabili clinicamente. Questa osservazione ci deve fare riflettere sul loro impiego, che 18 deve essere basato sulla conoscenza, equilibrato, condiviso ed etico. L’efficacia di queste terapie è comunque sempre correlata alla prognosi riabilitativa. In una lesione midollare completa, dove non si prevede la possibilità di ritornare a camminare, l’impiego dei robot è utile solo per prevenire i danni secondari (diminuire gli spasmi, migliorare i trofismi e la circola- “Bisogna riflettere sull’impiego che deve essere basato sulla conoscenza, equilibrato, condiviso ed etico” zione). Avvicinare queste forme di terapia dopo anni da una grave cerebrolesione, che magari ha lasciato danni senso motori severi, può servire a trarne alcuni effetti allenanti ma non può modificare strategie motorie ormai consolidate e, anche se questo in parte avvenisse, queste modificazioni avrebbero comunque uno scarso significato funzionale. Sono strumenti potenti che hanno forti impatti emozionali sul paziente e sui suoi famigliari, ma devono essere pensati e calati all’interno di un progetto riabilitativo che contempli sempre un approccio interprofessionale. I costi elevati del sistema limitano la sua diffusione in realtà riabilitative ospedaliere e grossi centri privati convenzionati, e rappresentano una restrizione alla sua fruibilità in ambito ambulatoriale. I risultati ottenuti con il Lokomat® sono sostenibili per quello che riguarda la forza, la composizione muscolare, la simmetria, la resistenza, la velocità e la qualità del passo ma gli effetti sulla spasticità e i miglioramenti delle ADL non sono ancora dimostrati. Il fatto che il sistema consenta di misurare, monitorare e registrare molti dati è un fatto nuovo in riabilitazione che offre la possibilità di conoscere esattamente quanto “somministrato” al paziente sia in termini quantitativi (lavoro totale) sia in termini qualitativi (tipologia e parametri cinematici del pattern di allenamento). Tuttavia questo non è uno strumento concepito per la valutazione del paziente, infatti le misure che fornisce sono molto influenzate dagli attriti prodotti dall’interazione uomo-macchina. La robotica non può sostituire l’intervento dell’équipe multiprofessionale, al contrario richiama molte figure professionali impegnate, ad acquisire nuove conoscenze e competenze che sono necessarie per massimizzare l’efficacia di questi strumenti. Tra i dubbi e le speranze che accompagnano queste novità, ho cercato di fornire qualche spunto di riflessione per chi guarda con curiosità a queste macchine. Accrescere la conoscenza di queste tecnologie può evitare false e inutili aspettative negli operatori e nei nostri pazienti che troppo spesso si sacrificano per obiettivi non chiari e hanno bisogno di essere guidati, in modo serio e competente. RICERCA Vite sospese: i miracoli della mente “Urlavo dal silenzio del coma” Marco Zatterin* di Corrispondente da Bruxelles del quotidiano “La stampa” Q uando finalmente ha potuto comunicare, battendo un dito su una speciale tastiera collegata a un personal computer, Rom Houben ha ammesso che negli infiniti giorni passati nella prigione di un incoscienza apparente «aveva cercato di evadere sognando». Per i medici era in coma, paralizzato da un incidente automobilistico nel 1983. Stato vegetativo persistente, è la diagnosi che ha accompagnato la sua scheda personale, almeno sino a che i ricercatori hanno trovato una via per capire che il cervello era ancora in attività. Gli hanno insegnato a esprimersi e lui l’ha fatto. «Urlavo senza che nessuno potesse sentire – è riuscito a dire –. Sono stato il testimone della mia sofferenza mentre i dottori cercavano di parlarmi, sino al giorno in cui ci hanno rinunciato». C’era ancora Ronald Reagan alla Casa Bianca e il Muro di Berlino era in piedi, quando Houben è stato dato per spacciato. Il suo dramma s’è consumato nove anni prima di quello che ha colpito Eluana Englaro, la donna di Lecco ridotta a un vegetale nel 1992 e morta lo scorso febbraio in seguito alla sospensione della nutrizione artificiale. In medicina è difficile mettere a confronto singoli casi per trarre delle conclusioni esatte, però è chiaro che l’avventura di Rom, che oggi ha 46 anni, è potenzialmente in grado di riaprire il dibattito sul trattamento dei pazienti in stato di incoscienza permanente. L’intenzione di Steven Laureys, il neurologo dell’Università di Liegi che in un articolo ha reso pubblica la vicenda di Houben, è proprio questa. Attirare l’attenzione sui tanti casi di coma che, a suo avviso, potrebbero essere stati erroneamente diagnosticati in tutto il mondo. All’inizio, con uno nuova tecnologia di “scanning”, gli specialisti hanno potuto dimostrare che l’attività celebrare non era interrotta. In un secondo momento, utilizzando uno strumento ad alta sensibilità, dunque in grado di registrare movi- “Lo credevano incosciente da ventitré anni, un test svela che sente e capisce” menti anche minimi, hanno cominciato «a parlare con Rom» che ha potuto raccontare la sua storia. Le rivelazioni «Come nascere una seconda volta», è stata una delle sensazioni che è riuscito a esternare. La paralisi era stata istantanea, ha fatto sapere ai medici, un dramma nel dramma per un ventenne dinamico, appassionato di arti marziali. Ci sono voluti altri 23 anni perché Laureys e i suoi trovassero il bandolo della matassa. «Per tutto questo tempo ho sognato una vita migliore. – ha spiegato ai medici –E “frustrazione” è una parola che certamente non basta a definire come mi sono sentito». Steven Laureys Adesso «voglio leggere, parlare con gli amici attraverso il computer e profittare della mia vita, adesso che la gente sa che non sono morto». «Non è un caso isolato» Laureys, belga, quarantunenne, auspica che Rom sia il simbolo della sua battaglia contro il coma irreversibile diagnosticato troppo alla leggera. In un uno studio firmato per la rivista scientifica «BioMedCentral Neurology», lo specialista ha scritto di ritenere tutt’altro che isolate le circostanze in cui si è trovato il giovane belga. «Al 41 per cento di chi è in stato di minima incoscienza viene diagnosticato erroneamente uno stato vegetativo – sostiene – mentre sappiamo che tutti coloro che risultano consapevoli possono essere curati e compiere progressi significativi». Il passo successivo è quello di tracciare un punto interrogativo sui casi clinici ritenuti senza ritorno. Rom Houben, in buona sostanza, può diventare il simbolo di chi si oppone all'eutanasia. Lui, in fondo, è uno che ce l'ha fatta. * da “La Stampa” 24/11/2009 19 RICERCA Domande differenti e risposte non confrontabili La natura della coscienza Non è facile riprodurre i risultati ottenuti nei laboratori di tutto il mondo di Marco Sarà C Responsabile U.O. Riabilitazione in Assistenza Intensiva S. Raffaele-Cassino oscienza, coma, stato vegetativo e stato di minima coscienza. Sono termini che hanno iniziato a far parte del vocabolario collettivo, parole che le persone utilizzano anche nel “linguaggio di tutti i giorni”. L’intensità del dibattito in merito a queste condizioni è molto forte; la scienza ne risente, come una squadra di calcio avverte gli spettatori. La scienza che studia questi argomenti non lavora chiusa nei suoi laboratori come vale per chi si occupa di patologie del fegato o di fisica. Lo studio dei cosiddetti Correlati Neurali della Coscienza non è uscito dalla sua nicchia ed è diventato un argomento molto “trendy”. probabilmente l’idea di perdere la disponibilità di se stessi rappresenti la paura principale di questo secolo: siamo consapevoli che potremmo trovarci in una condizione poco definita ma forse definitiva, di dipendenza più o meno completa dagli altri e per un tempo che non ci è dato di sapere. Così la riflessione sulla natura della coscienza, oltre a rappresentare una delle sfide centrali della scienza di questo millennio, è pure una urgente necessità dell’uomo come creatura in se. Sono invece molto meno numerose le persone preoccupate per via della matrice spaziotemporale oppure riguardo alle nuove frontiere della fisica dei quanti. Tentiamo di fare il punto della 20 situazione: quali sono le novità della ricerca in questo campo particolare? Riguardo alla natura della coscienza continua a sussistere un problema fondamentale: la coscienza non viene definita in modo univoco dai diversi ricercatori in giro per il mondo. Quali sono le conseguenze di questa eterogeneità? La più ovvia deduzione che ne possiamo trarre è che non abbiamo ancora capito “Recenti studi hanno dimostrato una notevole attività neuronale correlata a stimolazioni ambientali in soggetti con diagnosi di stato vegetativo” “cosa” sia la coscienza ma, e soprattutto, non sappiamo porci la domanda nei termini che sono essenziali per il procedimento scientifico: i presupposti legati alla riproducibilità. Ad esempio: in tutto il mondo le mele sono sempre cadute verso il basso e un giorno Newton ha fornito una certa interpretazione di un fenomeno che era lo stesso da per tutto e per tutti. Così se uno scienziato cinese avesse voluto verificare le equazioni di Newton non avrebbe avuto il problema di capire se rispondessero o meno alle domande sulla caduta dei gravi. Sfortunatamente riguardo la coscienza le cose non stanno così: ne deriva che una certa scoperta fatta in un laboratorio giapponese potrebbe non trovare riscontro in un altro laboratorio dove il problema (e così la risposta attesa) viene posto in un'altra maniera. Per alcuni ricercatori la coscienza è quella cosa con cui ci ritroviamo la mattina al risveglio da un sonno senza sogni (Searle) e per altri l’insieme della percezione, della sintesi, della soggettività e del libero arbitrio. Secondo alcuni (fra cui Metzinger) la coscienza è una forma di illusione e lo stesso riguarderebbe il libero arbitrio (Libet, Heisenberg e molti altri). Secondo altri ancora l’unico elemento approcciabile scientificamente sarebbe l’attimo preciso in cui una persona (ovviamente collaborante) afferma di aver preso consapevolezza di un certo stimolo. Ecco perché non è facile riprodurre e confrontare i risultati ottenuti nei diversi laboratori di tutto il mondo: ci poniamo domande differenti e quindi le possibili risposte ottenute non sono confrontabili. Possiamo comunque affermare che la letteratura scientifica nel suo complesso muova verso una visione “connessionistica”: il fenomeno coscienza emergerebbe dalla formazione dinamica di aggregati funzionali fra aree cerebrali anche molto distanti fra di loro. Ho RICERCA utilizzato il verbo “emergere” per rappresentare una tipologia di fenomeni (detti appunto emergenti) fra i quali, secondo diversi autori, potrebbe esservi anche la coscienza. Un fenomeno emergente è un qualcosa che trae origine da ciò che già esiste in quello spazio assumendo una sua propria “identità”. Ad esempio uno stormo di uccelli: deriva dalla formazione di un aggregato di elementi che poco prima apparivano indipendenti fra di loro e che poi forma una entità nuova e chiaramente riconoscibile. Sono stati osservati stormi di uccelli mostrare comportamenti anche piuttosto complessi (dalla migrazione sino a giocare con grandi rami di alberi). Una altro esempio ci viene dalle formiche: il comportamento collettivo dei singoli elementi appartenenti ad un certo genere può risultare vantaggioso per il gruppo (migrazione, creazione del formicaio e ricerca del cibo ecc.). Secondo questa visione “stormi di neuroni” si formerebbero e separerebbero ciclicamente a formare la mente consapevole. Come si formano è altrettanto vero che gli stormi si dissolvono: similmente è molto importante considerare sia il formarsi della consapevolezza che il suo dissolversi. A questo proposito penso a quello che considero il Maradona delle neuroscienze, Giulio Tononi, un cervello in fuga dall’Italia che adesso si occupa di coscienza e cervello a Madison (USA). Tononi e i suoi collaboratori hanno dimostrato che mentre ci addormentiamo si riduce drasticamente la capacità del cervello di “formare connessioni” (Tononi G, Massimini M. Why does consciousness fade in early sleep? Annals New York Academy of Science, 1129:330-4). Questa capacità viene definita “effective connectivity” e, in un certo senso, rappresenta il prerequisito per la formazione del fenomeno emergente dello “stormo di neuroni” che chiamiamo coscienza. La capacità della coscienza di “dissolversi”, ad esempio nel sonno notturno, rappresenta in effetti un vero rebus. Sappiamo che dormire è molto importante, ma non sappiamo sino in fondo dire il perché. Senza dubbio si tratta di una proprietà esclusiva della coscienza: le altre funzioni vengono modulate nel corso della giornata e non possiamo “La capacità della coscienza di dissolversi nel sonno notturno rappresenta un vero rebus” certo affermare che si sospendano come fa la coscienza. Questa riflessione, oltre a mostrarci una proprietà dell’oggetto del nostro studio, sottolinea che la coscienza non è indispensabile per la vita così come lo è il battito del cuore o la funzione dei reni. È questa una delle ragioni fondamentali dell’enorme quantità di insoluti etici di questo argomento. Durante la notte il cervello (che di per se è indispensabile per la vita) assume quindi uno stato particolare cui corrisponde il sonno: una quasi completa e transitoria “vacanza” della coscienza che coincide con la perdita della vigilanza (gli occhi si chiudono). Lo Stato Vegetativo rappresenta una condizione in cui al riaprirsi del palcoscenico della coscienza questa non appare all’osservatore, gli occhi sono aperti ma non vi è alcun comportamento riconoscibile per chi osserva il paziente. Se è vero che la coscienza dipende dalla capacità del cervello di formare degli aggregati neuronali emergenti lo studio della connettività, o di fattori ad essa correlati, potrebbe rappresentare una svolta per l’identificazione di criteri prognostici affidabili per le persone che stanno sveglie senza essere coscienti! In ogni caso è chiaro che siamo molto lonta- ni dall’aver compreso cosa sia e come funzioni la coscienza. Sino a che punto non conoscere “cosa” sia la coscienza rappresenta un limite per chi opera sul campo? Tutti i giorni negli ospedali di ogni angolo del pianeta delle persone in pericolo di vita vengono sottratte al loro infausto destino, eppure i medici che lo fanno sino a che punto sarebbero in grado di dire cosa è la vita? Quando un paramedico americano scarica il suo defibrillatore rianimando un paziente cui si era fermato il cuore ha, in qualche modo, usato una certa idea scientifica della vita per ottenere il suo scopo? Se dovessimo dire qual è la differenza fra un medico e un ingegnere potremmo senz’altro affermare che entrambi cercano di risolvere problemi legati a questioni complesse; nel caso dell’ingegnere queste questioni sono state create dall’uomo, nel caso del medico non è dato di saperlo con certezza. Osservando gli oggetti costruiti dall’uomo è relativamente semplice comprendere a cosa servano le parti che li compongono. In fondo le macchine sono costruzioni finalistiche, il cui scopo è noto. Nessuno è invece in grado di dire con sicurezza qual è il fine della coscienza, per questa ragione è anche difficoltoso trovare un ruolo/scopo alle parti del cervello che la generano. Fortunatamente, come vengono ripristinate le funzioni vitali senza sapere cosa sia la vita così potrebbe essere vero che una teoria certa su che cosa sia la coscienza non sia indispensabile per “curarla”. Probabilmente cimentarsi frontalmente con un problema come quello della coscienza è un rischio metodologico molto grave. Certamente richiede un tempo enorme. Il nostro gruppo ha scelto una approccio che potremmo definire “di sponda”, ci siamo chiesti: se non è ancora stata 21 RICERCA localizzata la sede della coscienza (e certamente questa viene elaborata in circuiti molto ampi del cervello) può esistere un metodo per comprendere se il cervello residuo sia ancora in grado di “far emergere” le ampie connessioni funzionali che vengono ritenute alla base del fenomeno coscienza? In altri termini: è possibile definire in modo chiaro come siano le cattive acque nelle quali non potrebbe comunque “navigare” una funzione complessa come la coscienza? Secondo questa linea di ragionamento la mancanza di una definizione della natura della coscienza potrebbe, almeno temporaneamente, non rappresentare un problema. L’altro requisito fondamentale per una metodologia prognostica effettivamente applicabile sta nella sua 1) effettiva facilità di realizzazione al letto del paziente e 2) il presto possibile rispetto al momento in cui si è verificata la lesione cerebrale. Sappiamo dagli studi molto noti di Owen e Laureys che è possibile riscontrare una notevole attività neuronale correlata a stimolazioni ambientali in alcuni soggetti con la diagnosi di stato vegetativo. D’altra parte questi studi vengono effettuati con la Risonanza Magnetica Funzionale chiedendo ai soggetti, ad esempio, di immaginarsi di giocare a tennis. È evidente che uno scenario del genere è proponibile solo a “bocce ferme”, molto tempo dopo la fase della rianimazione. In secondo luogo queste metodiche dipendono essenzialmente da una preservata capacità del paziente di comprendere ciò che gli viene detto (è sufficiente che questi non ci sentano oppure abbiano una lesione delle aree del linguaggio per invalidare queste metodiche). È comunque cruciale trovare il modo di identificare il più precocemente possibile, durante il decorso clinico, le tracce di una così importante capacità funzionale residua del cervello in soggetti apparentemente 22 incoscienti. Il nostro gruppo ha recentemente mostrato come un indicatore di integrazione funzionale chiamato “Entropia Approssimata” sia fortemente ridotto nei pazienti in Stato Vegetativo (Sarà e Pistoia: Complexity loss in physiological time series of patients in a vegetative state Nonlinear Dynamics Psychol Life Sci. 2010 Jan;14(1):1-13). Il metodo si basa sulla semplice registrazione dell’elettroencefalogramma (senza sedazione in corso) e la determinazione per ciascun elettrodo del valore di entropia appros- “Recenti studi hanno dimostrato una notevole attività neuronale correlata a stimolazioni ambientali in soggetti con diagnosi di stato vegetativo” simata. Le fondamenta teoriche sono le seguenti: 1) bassi valori di entropia approssimata sono indicativi di “isolamento funzionale” dell’area di corteccia cerebrale esplorata da ogni elettrodo. 2) la determinazione di isolamento funzionale è indipendente da quale sia il ruolo nella rete di quella determinata area del cervello. Così, pur non conoscendo quale specifico network o “stormo” di aree cerebrali produca la coscienza potremmo determinare che questo può/non può comunque formarsi. Attualmente sono in corso di pubblicazione dati che mostrano una ottima correlazione con la prognosi a 6 mesi di questo indicatore. Che fare nel frattempo? È evidente che nessuno degli studi in corso è in grado di suggerire un metodo per curare le persone con gravi e diffuse lesioni cerebrali. Diversi gruppi nel mondo hanno osservato miglioramenti significativi delle condizioni cliniche di questo genere di pazienti, anche molto oltre il fatidico anno oltre il quale “rien ne va plus”! sono stati riportati miglioramenti sia spontanei che a seguito di differenti trattamenti (dallo Zolpidem al Baclofen Intratecale). Si tratta in ogni caso di casistiche molto piccole che non possono pretendere di suggerire un metodo ma solo delle possibili chiavi di interpretazione. Gli studi di Risonanza Magnetica Funzionale e le osservazioni estemporanee di miglioramenti significativi e oltre il tempo massimo dimostrano, al di la di ogni ragionevole dubbio, che esiste un potenziale in questi pazienti che deve essere individuato e coltivato. Ma non è nella connettività, nell’entropia o in grosse macchine cilindriche che troveremo mai la motivazione noi a combattere e “loro” a migliorare. La medicina da per scontate moltissime cose, forse se non facessimo così diventerebbe una professione quasi impraticabile, eppure in alcuni casi questo può produrre delle conseguenze molto negative. Noi non possiamo dare per scontata una volontà di migliorare in un paziente di cui non sappiamo neppure dire con esattezza quale sarà la sorte. Ci siamo scordati delle emozioni, quei pensieri che trovano il loro riferimento nelle sensazioni piuttosto che nei concetti. Quella cosa ineffabile che da sempre fa la differenza fra il desiderare e il lasciarsi andare, fra la vittoria e la sconfitta. Sono le emozioni il carburante della motivazione. Di una cosa siamo certi: per quanto poco ne sappiamo scientificamente delle emozioni da millenni l’uomo sa bene come evocarle e come coltivarle. Così il gruppo che fa capo alla associazione “Gli Amici di Luca” ha indirizzato una parte consistente dei suoi sforzi,verso una prospettiva incentrata proprio sulle emozioni. NUTRIRE IL CERVELLO Una serie di studi recenti confermano l’azione neuroprotettiva e antiossidante di questi alimenti naturali I piccoli frutti rossi: potenti alleati del nostro cervello di Silvana Hrelia I Dipartimento di Biochimica “G.Moruzzi” - Alma Mater Studiorum Università di Bologna l ruolo dello stress ossidativo nell’eziopatogenesi delle patologie neurodegenerative (Parkinson, Alzheimer) è da tempo assodato, come del resto è noto che un eccesso di radicali liberi viene a prodursi durante l’ischemia cerebrale, una delle principali cause di morte e di severa disabilità nei paesi industrializzati, contribuendo al danno cerebrale. Da ciò il crescente interesse della comunità scientifica nei confronti dei potenziali benefici ottenibili dall’utilizzo di composti ad attività antiossidante nei soggetti colpiti da insulto ischemico. Molti risultati promettenti sono stati ottenuti, in modelli animali, dall’utilizzo singolo o multiplo di molecole naturali come le catechine del tè verde o la curcumina della Curcuma longa. Caratteristica comune dei componenti bioattivi di questi vegetali è la loro biodisponibilità, ovvero la loro capacità di essere assorbiti, di attraversare la barriera ematoencefalica e di esercitare un’azione antiossidante diretta o indiretta nelle cellule neuronali e nella microglia (cellule neurali che si occupano della prima e principale difesa immunitaria attiva nel sistema nervoso centrale), contribuendo anche a svolgere un’azione anti-neuroinfiammatoria. La maggior parte dei componenti bioattivi degli alimenti ad azione neuroprotettiva appartiene alla classe chimica dei polifenoli, di cui abbiamo già trattato in precedenti articoli pubblicati su questo Magazine. Una straordinaria fonte di questi microcomponenti sono i piccoli frutti rossi a bacca che nascono spontanei nei boschi, indicati generalmente in lingua inglese dal termine “berries”, che comprendono le more, le fragole, i mirtilli, i lamponi, il ribes, l’uva spina ecc.. Questi frutti contengo- no inoltre fibra, potassio, manganese, vitamine A, C ed E, ed acido folico che contribuisce a mantenere bassi i livelli di omocisteina nel sangue, sostanza che, se elevata, è un fattore di rischio cardiovascolare di pari pericolosità della ipercolesterolemia e ipertrigliceridemia. Il caratteristico colore che va dal rosso rubino al nero splendente è conferito da una particolare classe di molecole polifenoliche, le antocianine. Le more ne contengono da 8 a 33 mg/100 g di prodotto fresco, le fragole circa 70 mg e, in generale, il contenuto di antocianine nelle bacche rosse varia in funzione della composizione del terreno di coltivazione, del clima e del grado di maturazione del frutto. Si ritiene che per mantenere un’attività antiossidante ottimale basterebbe consumare ogni giorno l’equivalente di 100150g di frutti rossi, dato l’elevato 23 NUTRIRE IL CERVELLO AMICI DI LUCA contenuto e l’ampio spettro di molecole antiossidanti contenuto in questi frutti. L’azione neuroprotettiva dei microcomponenti dei frutti rossi è stata dimostrata in modelli animali di ischemia cerebrale focale prodotta da legatura dell’arteria cerebrale media destra per 60 minuti e successiva rimozione per mimare il danno da riperfusione. In un gruppo di ratti alimentato per 4 settimane con una dieta arricchita di lamponi si è osservata una diminuzione dell’area infartuata ed un recupero dell’attività locomotoria post-infarto rispetto al gruppo di animali che non avevano assunto i frutti rossi nella dieta. Un altro studio ha evidenziato il ruolo protettivo dell’assunzione dietetica di mirtilli nei confronti della morte neuronale nella regione dell’ippocampo indotta sperimentalmente dalla legatura dell’arteria carotide sinistra. Mentre negli animali che non assumevano mirtilli si è riscontrata la morte del 40% delle cellule nervose, negli animali trattati con la dieta arricchita con questi frutti di bosco il livello di morte neuronale è stato solo del 17%. Inoltre, studi di proteomica (una potente tecnica biochimica che identifica contemporaneamente tutte le proteine espresse in un 24 determinato tessuto) hanno recentemente dimostrato che il cervello di animali nutriti con una dieta ricca in antocianine presentava livelli più elevati di proteine correlate al metabolismo energetico cerebrale e implicate nella costruzione dei neurofilamenti e del citoscheletro, cioè dell’architettura della cellula nervosa. E’ interessante sottolineare come una analisi proteomica effettuata post mortem sul cervello di pazienti con morbo di Alzheimer abbia evidenziato una drastica diminuzione nel livello delle stesse proteine, e, ancora, come risultati simili siano stati ottenuti in modelli animali di demenza. Quindi l’effetto dell’assunzione dietetica di frutti rossi si evidenzia come neuroprotettiva, essendo in grado tanto di esercitare un’azione antiossidante grazie ai componenti antocianosidici quanto di modulare la sintesi di proteine coinvolte attivamente nella struttura e nel metabolismo delle cellule nervose. La scoperta che tali componenti bioattivi sono in grado di migliorare anche gli esiti funzionali dopo infarto cerebrale o ictus fa delle bacche rosse dei veri farmaalimenti dei quali, accanto all’azione protettiva, si sta valutando anche un’eventuale azione terapeutica. MUSICOTERAPIA L’arte di combinare i silenzi, le pause per riconoscere i suoni Musica, cultura, suono e salute di Rolando O. Benenzon T Musicista, medico e psichiatra utta l’applicazione di un sistema di aiuto di un’altra persona richiede non solo una comprensione scientifica ma anche teorica e filosofica che la supporti. Maggiormente, in questo caso, in cui parliamo di un aspetto della medicina complementare quale la musicoterapia. Nulla di meglio quindi che riassumere alcuni aspetti che attualizzano le mie considerazioni sulla musicoterapia. L’ultimo Congresso mondiale di musicoterapia aveva il titolo “Musica cultura suono e salute”. Dire queste quattro parole è anche ascoltare il non-verbale che da esse ci proviene. Il non pensato che si incontra nel pensiero; i concetti come: “l’uomo”; “l’altro”; “l’io-altro” (come diceva Lacan), aggiungendo il “noi-altri”; la “comunicazione” e il “curare”. Tutte queste parole non scritte che però sono scritte in ogni momento dell’ agire vincolante. Dobbiamo aprire le porte per fare in modo che si faccia luce su ogni cono d’ombra, senza pregiudizi, ma con serenità ed etica, avendo come obiettivo il miglioramento della qualità della vita. Per questo dobbiamo sottrarci ai limiti imposti dal nome “musicoterapia”. È vero che utilizziamo la musica come mezzo per aprire canali di comunicazione, però pur riferendoci ad essa non confiniamoci alla definizione classica: “arte di combinare i suoni”, e neppure all’idea che si aveva all’epoca di Descartes. Per noi la musica è intesa nell’ottica della fisica atomica, intrinseca nel principio di incertezza. Con il principio Descartiano delle leggi immutabili abbiamo superato l’idea della farmacologia musicale e allontanata dal concetto per cui il comportamento umano si può prevedere attraverso la ricompensa e il castigo, lasciando alle nostre spalle l’euforia del comportamentismo. Ci avviciniamo alla conoscenza della dinamica della memoria e del processo parallelo che troviamo nell’esperienza della percezione dell’immaginazione e crediamo nella forza della creatività. Come dice Ilya Prigogine: cultura, significa “coltivare”, solo le imma- ginazioni e le iniziative creative possono contribuire in modo che sia individui che comunità e società possano adattarsi e trasformare la loro immediata realtà. Se parliamo di musica in realtà, dovremmo riferirci al silenzio e questo ci rimanda alle pause. Per questo mi piace definire la musica come: “l’arte di combinare i silenzi, le pause, per riconoscere i suoni”. “Ma cos’è il silenzio”? È un’idea, è un modo di contemplare il passaggio del paesaggio. Il silenzio riporta al periodo dell’assenza, dell’abbandono, della disperazione dell’altro. Il silenzio permette di ascoltare e percepire altri stimoli e soprattutto sentire l’assenza di stimolo. È il silenzio il luogo in cui il paziente in coma è ascoltato, percepito e si mette in comunicazione. Numerose tesi hanno dimostrato l’ipotesi per cui “a maggior durata di un silenzio in una seduta di 25 MUSICOTERAPIA musicoterapia, corrisponde una diminuzione dell’ansia del paziente”. Per questo ultimamente definisco la musicoterapia come: “l’arte di armonizzare il silenzio e le pause per permettere la comunicazione e la interazione dei vincoli” Ciò vuole dire che il silenzio permette il ri-conoscimento reciproco. La nostra conoscenza è porci domande su quell’oscurità che ogni parola racchiude in sé. Cosa esiste tra il silenzio e la nota che lo precede o quella che lo anticipa? Parlare di un paziente con paralisi cerebrale, significa pensare ad una persona. Pretendere di definire una persona per il suo malessere, il suo dolore, la sua malattia equivale ad etichettarla, stigmatizzarla. È dimenticarsi che prima di tutto è una persona e per tale motivo risuona a modo suo. Che è una persona unica ed irripetibile e la sua Identità Sonora le appartiene in modo indelebile. Eraclito diceva: “Non scenderai due volte allo stesso fiume”. Borges diceva: “Non è giammai lo stesso fiume quello che si vede passare così come non è neanche lo stesso uomo che lo guarda scorrere, e che si specchia nelle sue penombre”. Osserviamo e comprendiamo l’essere umano dalla neuropsicologia dinamica. Integrativa, capendo le relazioni che esistono fra funzioni cerebrali, la struttura fisica e l’organizzazione socio cognitiva, tanto negli aspetti normali quanto in quelli patologici abbracciando tutti i periodi evolutivi. L’“altro” diventa un essere bio – psico – sociale, il suo sviluppo è non solo quello della sua quotidianità, ma con la sua storia ed il suo progetto. A tutto ciò aggiungiamo le idee di Bateson delle interconnessioni con 26 la biosfera e l’ecosistema. Bateson diceva: “io sono qualcosa in più di ciò che studio”. Ed Einstein rispondeva: “è la teoria quella che decide cosa possiamo osservare”. Il primo passo è stabilire l’incontro che tesse il vincolo (legame) Il legame si stabilisce attraverso i suoi mediatori, la comunicazione non-verbale. In questo modo permette di monitorare l’“altro”. Ciò significa ri-conoscere le sue identità sonore: l’ Iso Universale, Gestaltico e Culturale. Da questa molteplicità di fattori “Il corpo ci insegna la possibilità di sviluppare la comunicazione non-verbale con l’altro” che intervengono nel vincolo, andiamo a prenderne uno in particolare: “il monitoraggio corporale”. Il grande assente delle relazioni in realtà è il corpo. È lo strumento prioritario di espressione. Il corpo non si distingue dalla persona. Come diceva Le Breton: “non si possiede un corpo, si è un corpo” Da ciò il concetto dell’io-pelle di Didier Anzieu: “oggi il grande assente, lo sconosciuto, l’oscurato nell’insegnamento, nella vita quotidiana, nella moda della struttura linguistica, nello psicologismo dei nostri terapeuti e molto prima se ciò continua nella puericultura, è il corpo, inteso come dimensione vitale della realtà umana, come dato globale pre sessuale ed irriducibile, come ciò su cui si focalizzano tutte le funzioni psichiche. Per questo il musicoterapeuta ha nel corpo il grande strumento di espressione e ricezione. È il vero apparato di monitoraggio di tutto ciò che occorre nell’ecosistema ed è il corpo quello che ci insegna la possibilità di sviluppare la comunicazione non-verbale con l’altro. È una delle capacità fondamentali del musicoterapeuta. Non solo può monitorare l’altro, ma se stesso, e riconosce i propri ISO Universale, Gestaltico e culturale per poter da essi riconoscere gli Iso dell’altro. Ricordare che il corpo di una persona con lesioni cerebrali anche se tetraplegico è un tutto. Non è solo il corpo dell’ombelico verso l’alto, ma anche dell’ombelico verso il basso. A volte è tanto importante mettersi in contatto con l’altro con le dita dei piedi quanto con la vista. Per questo ricopre un gran significato per noi l’io-pelle e l’io-mano. Pretendere di comunicare con un paziente con queste caratteristiche, ci costringe alla ricerca del luogo della salute del paziente e non dell’infermità che patisce. L’obiettivo fondamentale della Musicoterapia è, stabilendo nuovi canali di comunicazione, migliorare e fortificare la sua salute, in modo che possa lottare con la sua passività di paziente. La salute è la capacità che ha l’individuo di rispondere. Per questo il Musicoterapeuta ha come meta trasformare questo paziente in un essere protagonista attivo e responsabile. Altro ancora ci spiega Bateson: “l’omeostasi è l’insieme dei meccanismi che ci permettono l’alternativa al cambiamento e la sopravvivenza” Di fronte ad un paziente con lesioni cerebrali dobbiamo meditare sul fatto che la tanto cercata omeostasi si converte in una barriera o limite per accedere alla sua dimensione creatrice ed alla nostra stes- MUSICOTERAPIA sa. È necessario evitare l’inerzia che invade il terapeuta e che gli rende impossibile affrontare “l’altro” nello spazio relazionale, vedendolo come persona. L’inerzia è il primo nemico del vincolo (legame) con un paziente con lesioni cerebrali. L’inerzia invade, blocca. Affrontare lo spazio relazionale con l’altro come persona. Il paziente paralizza, il terapeuta diventa un essere passivo, sottomesso alla crescente saturazione di stimoli che ci fa negare ciò che si teme e porta all’atrofia della creatività I nemici più temuti sono la televisione, l’inquinamento, internet, la contaminazione, l’iperstimolazione, lo zapping, la velocità, i farmaci, le droghe ed altri ancora. Il terapeuta, al pari del paziente, vive in una civiltà che ha per obiettivo indebolire le percezioni, incapsulandole attraverso una seduttrice tela di ragno che ci fa credere siano stimolate, quando in realtà siamo inondati, invasi, e soffocati nel ginepraio indiscriminato di iperstimolazioni. Il terapeuta deve stare molto attento all’uso di tecniche interventistiche, interpretative, invasive, “estetiche”, “stigmatizzanti”, seducenti, induttive, scrutative che portino ad una onnipotenza di investigazione – sperimentazione. Il paziente non è un animale da laboratorio, è un “altro” e un “ioaltro”. Merita un totale rispetto come persona. Il lavoro è seguire la strada che egli stesso indicherà per continuare il vincolo. Il secolo XXI ci porta a pensare l’impensato, l’incertezza, l’imprevedibile, ci pone a confronto con una delle epidemie più desolanti dell’umanità: l’isolamento. L’uomo sta perdendo le sue radici, la sua etnia, dimentica il suo inizio, il suo essere primitivo, la sua storia, l’essenziale del suo essere; sotto questa ottica è importante la “memoria arcaica”, la “memoria del non-verbale”; e sono importanti i progressi scientifici che parlano dei neuroni a specchio (o forse sarebbe meglio chiamarli neuroni testimoni). Ciò significa che bisogna inserirsi nella memoria dell’”altro” attraverso la memoria. La barca non definirà mai il destino fra la scienza e l ‘arte. Kandinsky lo scriveva in una lettera a Schoenberg: “Penso che l’armonia del nostro tempo non debba essere scoperta attraverso una via geometrica, ma attraverso una via “Applicare la musicoterapia in un paziente con lesioni cerebrali richiede un contesto che faccia da contenitore al vincolo che si instaura tra la coppia terapeutica ed il paziente” rigorosamente anti-geometrica. Questa è la via della dissonanza nell’arte come nella pittura come nella musica, la dissonanza pittorica e musicale di oggi non è altro che la consonanza di domani”. Schoenberg gli rispondeva: “Ciò che lei chiama illogico è ciò che io chiamo l’esclusione della volontà cosciente dell’arte”. Italo Calvino dice: “Oggi tutti i rami della scienza sembra vogliano dimostrare che il mondo si appoggia su entità sottilissime come i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni, i quarks, i meteoriti vaganti nello spazio dall’inizio dei tempi. Non sono le parole rimbombanti che comunicano, ma i gesti stessi, le sottili sensazioni di un movimento ciò che trasmettono i sentimenti più profondi dell’altro”. Applicare la musicoterapia in un paziente con lesioni cerebrali richiede un contesto che faccia da “contenitore” al vincolo che si instaura tra la coppia terapeutica ed il paziente. Ognuno dei lati dell’ Holding, contribuisce e influenza il sistema non-verbale che si sensibilizza e si mette in funzione tramite la musicoterapia. L’istituzione con la sua equipe, la famiglia, il musicoterapeuta, il coterapeuta, l’edificio e la comunità, gli altri pazienti, l’ecosistema e la supervisione. Il nucleo centrale dell’ Holding è il paziente stesso. Si deve partire dal luogo in cui il paziente può riuscire a percepire l’altro, da quel luogo in cui può riconoscere l’altro e quindi relazionarsi con lui. Quale risultato si spera di ottenere con l’applicazione della musicoterapia? Questo dipende dalla risposta che dà la cultura medica – psicologica dell’equipe sanitaria in cui si integra il musicoterapeuta. Comprendere il vincolo nel “non verbale” significa confrontarsi con una parola chiave che è IL CAOS. Il caos fa parte del vincolo non –verbale fra il musicoterapeuta ed il paziente. Il caos è la vera porta d’ingresso alla dimensione creatrice. Per l’antichità greco-romana il caos è la personificazione del vuoto primordiale precedente la creazione. Nel tempo durante il quale l’ordine non era imposto agli elementi del mondo anche gli ebrei hanno dato 27 MUSICOTERAPIA alla parola Caos il significato di deserto e di vuoto. Quindi il caos è il simbolo della in -differenzazione e dell’inesistenza. Così come di tutte le possibilità, incluse le più opposte. Il musicoterapeuta deve avere la capacità di sperare che gli eventi possano nascere e contemplarli. Permettere che il caos si auto organizzi dà la possibilità che nascano avvenimenti e di contemplare il passaggio del paesaggio che si crea fra paziente e musicoterapeuta. È uno spazio vincolante in cui regna la trans-temporalità, la transspecialità, la trans-polarità e la trans-apparenza. È ciò che Fiorini chiama il processo terziario. Se osserviamo più diligentemente vediamo che nel vincolo appare l’assenza perché il vero stimolo dei neuroni è lo spazio fra una assenza e l’altra. Precisamente, il vincolo fra paziente e musicoterapeuta è il luogo in cui si produce la sensazione di caos ed è capacità del terapeuta nuotare senza timore attraverso lo stesso per consolidare una relazione che migliorerà la qualità della vita dell’altro, il paziente. F. Nietzche nel suo linguaggio degli aforismi e metafore, disse una frase fra le più profonde e poetiche: È necessario avere il caos dentro di noi per dare alla luce un stella danzante Nell’utero primordiale del caos si trova l’embrione informe che fugge dal tempo e dallo spazio. Il musicoterapeuta si abitua nel corso della sua esperienza nel non verbale a ri-organizzare la scarica verso un equilibrio, in cui predomina la ripetizione, il prevedibile, il ciclico, la regolarità, la simmetria, la semplicità, il divisibile, la parità. L’esempio più eloquente è il ritmo binario, espresso simultaneamente nel dialogo fra paziente e musico28 terapeuta. Le domande che sorgono saranno: “quando si produce l’esplosione dell’emozione?” “come si instaura il transfert ed il contro transfert?” Possiamo provare a dare alcune risposte: quando c’è conflitto fra l’invariabile o fra due variabili che si contrappongono, quando qualcosa si interrompe. Il musicoterapeuta deve essere attento a questo momento in cui l’emozione si genera. L’errore compulsivo del musicoterapeuta in questo istante, è pretendere di ritornare all’equilibrio precedente, o cercare di neutralizzare questa circostanza temporo-spaziale unica ed irripetibile. Cosa significa un paziente che nella regolarità di una percussione binaria, all’improvviso picchia un colpo molto forte sul tamburo? È il colpo della sua storia non-verbale, la messa in moto delle associazioni corporo sonoro non-verbali che legano la memoria non-ver- bale e la memoria arcaica;è il colpo che altera e riproduce più volte nell’attuale vincolo della storia non verbale con il musicoterapeuta. Il musicoterapeuta, deve imparare a nuotare in un mare tormentoso dove prima di una serie di forti colpi di un paziente dubita fra la catarsi o l’acting-out, o se ciò che imita è il prevedibile o dovrebbe rispondere all’imprevedibile. Sono questi i coni d’ombra in cui si fa spazio la creatività. Per tale motivo noi studiamo i codici non verbali, siamo più vicini dal comprendere il concetto del “Aleph” di Borges. Necessitiamo di cogliere simultaneamente le due facce di una stessa moneta in qualsiasi situazione relazionale. Il poter amalgamare il particolare e l’universale, il concreto con l’astratto, la coincidenza degli opposti. Il linguaggio è successivo, la visione dell’ Aleph è simultanea come lo è in linguaggio non-verbale. Non dobbiamo pretendere l’onnipotenza di scoprire l’Aleph, ma sommergerci liberamente nel suo infinto. Per concludere torno alle parole del poeta: “a volte nelle sere un volto ci guarda dal fondo dello specchio. L’arte deve essere come questo specchio. Che ci rivela il nostro stesso volto”. L’autore ha elaborato alcuni dei concetti reddati per la l’inaugurazione del XII congresso mondiale di Musicoterapia (Musica, cultura, suono e salute). web: www.fundacionbenenzon.org e-mail: [email protected] L’INTERVISTA È importante un’adeguata alimentazione a base di alimenti freschi e naturali Il cibo non è solo alimentazione di S Stefano Salvatori e è vero che “siamo ciò che mangiamo”, risulta ovvio concludere che la corretta alimentazione costituisce una delle chiavi di volta per il mantenimento dello stato di salute di un individuo. Se poi prendiamo in considerazione un soggetto in stato di malattia, ancor più il ruolo di una alimentazione correttamente calibrata per quella determinata patologia assume un ruolo comprimario, insieme alla corretta terapia. A conferma di ciò basti considerare il diabete e numerose altre affezioni. Rispetto a un paziente in stato vegetativo persistente (SVP), oltre ad una adeguata idratazione, è sempre più accertato che le caratteristiche proprie delle sostanze alimentari che vengono somministrate tramite sondino o PEG possiedono un ruolo particolare, non solo per le fondamentali esigenze nutritive di una persona, ma anche nei confronti di ulteriori aspetti, tra cui quello della presenza delle piaghe da decubito. È noto come l’organo pelle costituisca uno dei principali bastioni contro l’ingresso di agenti patogeni, svolgendo in tal modo una indispensabile funzione difensiva. È altrettanto noto che l’insorgere di lesioni da pressione (decubiti) compromette lo stato generale per le complicanze ad esse associate. Per approfondire il ruolo dell’ali- mentazione in questi casi, sono state rivolte alcune domande al dottor Nunzio Matera, specialista in medicina interna e cardiologia, Responsabile clinico dell’Ospedale Privato Santa Viola di Bologna, ove ventuno letti sono riservati a pazienti in SVP. Dottor Matera, quale è la frequenza delle lesioni da decubito nei pazienti in SVP ? La presenza di decubiti nei pazienti in SVP è estremamente elevata in quanto in questi pazienti si assommano tutte le condizioni ed i fattori di rischio per tali complicanze, quali la assenza dello stato di coscienza, allettamento, incontinenza uro-fecale, frequenti episodi settici, sudorazione marcata, deficit nutrizionali e squilibri elettrolitici. In una serie di 27 pazienti in SVP da noi osservati, considerando i decubiti dal secondo grado in poi, le lesioni da decubito erano 25 al tempo zero e decisamente inferiori dopo 12 mesi (meno del 50%). Quali sono le più comuni complicanze delle piaghe da decubito? Le complicanze più comuni sono la progressione delle stesse, la sovra infezione e le complicanze settiche generalmente multi microbiche e spesso multi resistenti alla terapia antibiotica. Quali interventi sono necessari per limitarne i danni? Un programma idoneo di mobilizzazione posturale, documentato in cartella; utilizzo di supporti e dispositivi atti a limitare gli effetti Nunzio Matera, responsabile clinico Ospedale Privato S. Viola negativi (pressione, frizione e stiramenti dei tegumenti); igiene scrupolosa; correzione pronta dei deficit nutrizionali e dell’eventuale anemizzazione. Oltre agli interventi e alle cautele appena descritte, quale è il ruolo di una adeguata alimentazione? Esso è basilare. L’ideale sarebbe quello di utilizzare alimenti freschi naturali e somministrabili adeguatamente miscelati ed omogeneizzati mantenendo il ritmo naturale della somministrazione in più boli giornalieri. In pratica si cerca di avvicinarsi a questo sistema ideale utilizzando prodotti e miscele industriali con un attento studio dei bisogni energetici della singola persona, adeguandoli alle condizioni cliniche (in particolare per quanto riguarda le lesioni da pressione si aumenterà la quota proteica sino a 2,5 gr/Kg/die utilizzando anche particolari miscela di aminoacidi). 29 TEATRO Simona Corallini raccontata dai genitori e dalle testimonianze di affetto degli amici di Luca Una persona davvero speciale U na persona fa quello che é suo dovere fare, quali che siano le conseguenze, ostacoli, pressioni o altro,questa é la base di di tutta la moralita umana. A questo punto penso che se non fosse importante il ricordo non conosceremmo la nostra storia e non saremmo capaci di amare. Ciò premesso quando il 13 marzo del 1999 venivamo raccolti per strada in seguito ad un incidente e ricoverati al Maggiore, io con qualche fratturina qua e là, tu invece molto più grave, infatti sei stata in rianimazione per ben 43 giorni di coma, non farmaceutico. Sino ad oggi non ho mai ringraziato abbastanza tutte le persone che ci hanno aiutato e permettere a te di tornare da un punto che sembrava di non ritorno. Tutto questo lo esprimo aprendo quella cosa che contiene tutte le nostre emozioni e i nostri sentimenti. Sembrava tornato tutto quasi normale nonostante una invalidità grave e permanente soprattutto nei movimenti, sei riuscita a riprendere la patente anche se nel frattempo ti eri trovata un lavoro anche se solo a tempo parziale. Poi un brutto giorno un’altra brutta notizia, era il 30 settembre 2007 siamo venuti a sapere dal medico del pronto soccorso ,al quale ti avevamo accompagnata per una sospetta distorsione ad 30 che si ha nel cuore il quale sembra voglia scoppiare. Io e tua madre facciamo molta fatica a capire che tu non ci sei più, ci mancano le tue battutine ironiche e spiritose, chissà se anche lassù dirai: “andiamo a vedere cosa ci sarà là in fondo”. Sappi pero che non ti dimenticheremo mai, tutto ciò che é successo dopo il 20 dicembre 2009 non te lo raccontiamo, tanto sai già tutto, chiudiamo questa lettera mandandoti tanti grossi abbracci anche se solo ideali. una caviglia, ma durante gli accertamenti è risultato che avevi la leucemia, io e tua madre pensavamo ci scoppiasse il cuore, ma ci siamo fatti coraggio e ti siamo stati vicino cercando di non farti preoccupare troppo. Il tuo secondo calvario é cominciato con tutte le terapie previste dal protocollo in questi casi, compresa la famigerata chemio. Il tutto é durato per circa due anni tra ricoveri e permessi domiciliari, il tutto senza mai lamentarti più di tanto . Purtroppo questa storia ha avuto un esito infausto, infatti ti sei arresa il 20 dicembre 2009 era una domenica mattina (ore 5,30) e stava, guarda caso, nevicando. In questi casi se ne dicono di parole ma nessuna capace di alleggerirti la pena ed il dolore Ciao cucciolino da Mamma e papà SE POTESSE RITORNARE QUEL SORRISO…. Cara Simona è questo un periodo in cui abbiamo molte perdite attorno a noi. Un momento per riflettere. La tua è stata una vita intensa, piena di curve a gomito. Ti mando anch’io un saluto carico di affetto. Quello che mi colpisce è come le persone solo con la morte tornino quelle che erano prima. A me sarebbe piaciuto che quel tuo bel sorriso, anche se lo conosco solo ora, fosse tornato così quando eri qui con noi. Ma sapevo, comunque, che non sarebbe stato possibile. Ci hai accompagnato come hai potuto. Io certamente non arriverò a vederlo, ma sarei contento se tra TEATRO molti anni quei sorrisi così belli, quelli del prima (prima dell’incidente, prima di qualsiasi fatto nefasto che ha portato al coma) potessero tornare tra le persone che hanno avuto relazione proprio con quel sorriso... Ciao Fulvio UN ATTEGGIAMENTO DI CUI FAREMO TESORO La ricordo in un convegno sul tema del re-inserimento lavorativo di giovani con disabilità per esiti di coma. In mezzo agli interventi dei vari operatori sociosanitari che si occupavano di questa problematica dal punto di vista professionale, ci fu la sua testimonianza viva e diretta: con voce pacata e una parlata ben scandita anche se difficoltosa, raccontò della sua esperienza. Quella di una giovane donna costretta a perdere il lavoro a causa di un brutto incidente con grave trauma cranico, che tenacemente si è impegnata in una lunga riabilitazione e che poi ha iniziato un percorso per riprovare a inserirsi in un’attività lavorativa. Raccontò, con l’ironia che le era propria, delle difficoltà che aveva incontrato, ma anche delle persone che l’avevano aiutata a ricostruirsi una sua autonomia (prima di tutto i suoi splendidi genitori); parlò di un ambiente di lavoro in cui si sentiva accettata così com’era, di colleghi che la rispettavano e con i quali era riuscita a creare un rapporto di amicizia. La ricordo “principessa” del gruppo teatrale de “Gli amici di Luca” unica ragazza di quel gruppo di giovani con esiti di Nel laboratorio teatrale alla Casa dei Risvegli Luca De Nigris. coma, formato solo da maschi; in uno dei primi spettacoli che allestirono in una scena veniva portata in alto, sulle spalle di quattro attori, e da lì mandava baci e lanciava fiori al pubblico: una vera star! La ricordo in un altro spettacolo interprete di una deliziosa scena di coppia con il volontario Augusto: lì dimostrava tutta la capacità di interpretare con ironia il suo ruolo realizzando un dialogo spassoso, nonostante le sue difficoltà di linguaggio. La ricordo in pullman, in occasione della turnée degli spettacoli teatrali, sempre allegra e con la battutina che sdrammatizzava: il viaggio era lungo e faticoso, non mancavano talvolta degli inconvenienti, c’erano alcune tensioni nel gruppo… ma lei era sempre serena, con il suo sorrisetto e la frase giusta ti rincuorava e ti faceva capire che si poteva procedere, andare avanti e non preoccuparsi troppo. Grazie Simona! Di questo tuo atteggiamento faremo tesoro, non vogliamo fermarci, continuiamo il viaggio, portandoti nei nostri cuori. Maria ARRIVEDERCI SIMONA Incandescenze polari... gettone illuminato il sole, moneta all’orizzonte… L’ho visto sorgere, brillare e poi morire… senza spiegazione… e senza logica… Giorni sereni all'approssimarsi delle feste...turbati solo dall'ombra di una telefonata, di un addio annunciato ma non accettato Senza un saluto...senza possibilità di ritorno ...avrei voluto più tempo e regalarti più sorrisi...dire più parole o essere presente più della distanza mi ha concesso di poter fare La morte giunge a rammentarci il ritmo passeggero del tempo e come un fiore bianco le nostre vite appassiscono in fretta sciupate dal tempo, dal male, dal destino… questo nostro imprevedibile cammino… Non temo la morte, neanche un pò, temo l’assenza di chi amo, di chi fa parte della mia vita, temo il dolore e il vuoto lasciato, quel posto apparecchiato nel mio cuore che non può essere sostituito… Diverse volte ho dovuto salutare… persone amate o bare appena trascinate ai confini della conoscenza… Ora saluto una giovane donna incontrata in un luogo di dolore e allo stesso tempo di speranza che è dovuta 31 TEATRO Prima dello spettacolo. andare, il tempo l’ha chiesta indietro prima di me… così lei mi ha preceduto… Questo stasera a te il mio saluto… Arrivederci cara Simona, arrivederci al tuo sorriso, al tuo sguardo…al tuo andare greve Incandescenze luminose… a volte tremule a volte scoppiettanti come legna in un camino… considero la gente che passeggia nel mio cuore e che mi rende ricca con la sua presenza e poi mi rendo conto che niente è mio ma tutto mi è concesso per un tempo… A presto. Anna Maria Di Candia Riccardo S. Dolce Simona, dire dolce non è abbastanza leale per dimostrare ciò che Tu sei stata per tutti noi: un fiore sfumato troppo presto nel freddo sole d’inverno; freddo per riscaldare quei cuori che avevi lasciato palpitare sul palcoscenico, là dove noi Ti abbiamo visto mimare la scena della malinconica, ma allo stesso tempo bella famiglia, nel momento del rientro dalle fatiche giornaliere, 32 con mille problemi lasciati svanire ad un soffio di vento. Svanire, come anche Ti sei allontanata dalle scene in maniera così prematura e crudele. Un anticipato saluto, speriamo un arrivederci, per quel mondo che troppo velocemente Ti ha lasciato transitare al suo interno. Ciao Simona, ricordati di noi che Ti abbiamo avuto come amica sui palcoscenici di mezza Italia. Tienici un posticino là dove Tu sei e … …non adirarti se arriveremo tardi a tavola... ...“facendo freddare la minestra!” Con ETERNO affetto Marco Simona, con un filo di voce quella sera ci hai salutato, eri felice, ci hai sorriso mostrando ancora una volta il tuo carattere forte e il tuo coraggio, ora come mi suggerisce Juri sei in cielo e sei contenta. Si è chiuso il sipario e sei uscita di scena con dignità, lasciando una dolce tristezza nei nostri cuori. Juri, Oretta e Maurizio Con la compagnia “Gli Amici di Luca”. ...la percezione del suo apparente precario equilibrio nel cammino era un inganno rispetto alla forza del suo animo, e della sua anima... simpatia e dolcezza sempre presenti, sempre... una qualità sulla scena, e nella mia vita, così significativa mi fanno vivere la rabbia per la dolorosa mancanza e la certezza di avere sempre un pensiero dolce nel cuore... ma non voglio soffrire per l'assenza, voglio godere del privilegio di aver avuto la sua presenza... grazie Simona! un eterno abbraccio. Stefano Il tuo sorriso e la tua dolcezza, la tua voce e le tue carezze, la tua ironia e la tua forza, i tuoi occhi e le tue mani, il tuo respiro… Questo conservo di te, Simona. Mi piace pensare che ci sia una stella in più da guardare nel cielo, una stella luminosa e ridente di nome Simona. Sara Ricordando Simona ripenso alle risate che danno un significato al TEATRO voler essere felici, dignitosi, semplici, meravigliosi già così come siamo, ripenso un buffetto sul naso e un sorriso prima di chiudere gli occhi e cercare nella carezza il gesto. La gratitudine tutta per avermi sempre accettato e reso fiero nei momenti del teatro. Augusto Per l’angelo che recitava sul palcoscenico per l’angelo che sorrideva sempre fuori dal palcoscenico per l'angelo che ora sei diventata... ...Sei lo stesso angelo che continua a sorriderci. Grazie di cuore Simona! Cristina (educatrice) Cara Simona non mi perdono di non averti dato l'ultimo saluto ma ti penso sempre con noi ai laboratoi ed alle tournee sempre felice con papà Guido e mamma Stella. Sai ci ha fatto molto piaciere quando ci sei venuta a salutare che stavi già poco bene e noi parliamo spesso di te quando siamo ai laboratori. Ci manchi troppo. Davide Sacchetti *Cara Simona*, quanto è stata breve la tua presenza vicino a noi! Io ti ricordo sempre sorridente e serena, capace, in mezzo a tutti quei ragazzoni, di un sorriso e una battuta scherzosa. Eri l’unica presenza femminile fra i ragazzi, e portavi un tocco di gentilezza. Spesso risolvevi con una battuta scherzosa una brontolata di Davide che come al solito, si lamentava della sua situazione di single. Eri capace di sdramatizzare e allege- In “Sonno muto”. rire le situazioni. Ti vedo ancora con papà Guido e mamma Stella che facevano da papà e mamma anche agli altri ragazzi e ci mancate tanto. Ti rivedo in uno degli spettacoli nel quale ripetevi la frase “mi manchi” diverse volte e lo dicevi con una convinzione che faceva pensare che fosse molto sentita da te e tutte le volte che sento queste parole mi ritorni in mente e mi si stringe il cuore. Sono sicura che tu non lascierai il gruppo perché lo amavi troppo, e il tuo sorriso, anche se non lo vediamo, sarà ancora con loro e li seguirà nei laboratori e nelle tournee e tu parteciperai alle loro fatiche e sarai felice dei loro successi. Averti conosciuto è stato per noi un privilegio e non ti dimenticheremo. Ciao Simona Franca Fantini Sacchetti ...IO DA PICCOLA SOGNAVO DI INCONTRARE IL PRINCIPE AZZURRO, CON GLI OCCHI CHIARI, CHE MI VENIVA INCONTRO SORRIDENDOMI E, CON QUESTO PICCOLO GESTO RIUSCIVA A TRASMETTERMI UN PROFONDO SENSO DI PACE, TRANQUIL- LITÀ E AMORE. CON LUI, PER ME BELLISSIMO, AVREI POI AVUTO UNA FAMIGLIA BELLA E FELICE... (dallo spettacolo “Qualcosa è cambiato” parole di Simona) qualcosa è cambiato Simona ma io ti ricordo così, come in una serie di fotografie: mentre dispensi baci sotto una pioggia di petali colorati, mentre parli con un sospiro e ti sentono anche in ultima fila, mentre sei seduta e non ti senti piccola tra tutte le persone in piedi, mentre guardi intensa in un punto e ripeti la tua battuta breve ed incisiva ad Augusto :Mi manchi. Alessandra Un sorriso non costa nulla e rende molto. Arricchisce chi lo riceve, senza impoverire chi lo dona. Non dura che un istante, ma il suo ricordo è talora eterno. Nessuno è così ricco da poterne fare a meno. Nessuno è così povero da non poterlo donare. Crea felicità in casa; è sostegno negli affari; è segno sensibile dell’amicizia profonda. Un sorriso dà riposo alla stanchezza; nello scoraggiamento rinnova il coraggio; nella tristezza è consolazione; d’ogni pena è naturale rimedio. Ma è un bene che non si può comprare, né prestare, né rubare, poiché esso ha valore solo nell’istante in cui si dona. E se poi incontrerete talora chi non vi dona l’atteso sorriso, siate generosi e date il vostro; perché nessuno ha tanto bisogno di un sorriso come chi non sa darlo ad altri. P. Faber A te Simona che sei stata un inconfutabile esempio, dimostrandoci che è sempre possibile donare un sorriso. Grazie Antonella 33 SPAZIO DI LUCA Ai “corti” delle scuole il “Premio Luca De Nigris” Non solo Shakespeare, ma anche noire e nouvelle vague E dizione shakespeariana quella del premio “Luca De Nigris 2010”. I due “corti” premiati (scuole primarie di II grado e scuole secondarie) lo indicano già nei titoli: “Making Romeo and Juliet” e “Il resto è silenzio” sono varianti di una tradizione ben consolidata, “il teatro nel cinema” nel primo e l’intreccio fra una messa in scena e la vita reale nel secondo, una linea che ha illustri precedenti (come non ricordare almeno “Vogliamo vivere” di Lubitsch o “Nel bel mezzo di un gelido inverno” di Branagh) e che può essere utilizzata sia per una riflessione di carattere stilistico (in quanti modi si può filmare “Romeo e Giulietta” ?), sia per una riflessione quasi pirandelliana sul rapporto fra arte e vita. A conferma di questa tendenza ricorderemo il pregevole “Around Shakespeare” dei ragazzi di Pavullo, originale tentativo giocato in termini giudiziari di dar voce ai personaggi “minori” dei grandi drammi del Bardo.Ma certamente questa” linea” non esaurisce la ricchezza di proposte, contenutistiche e stilistiche che le opere in concorso hanno offerto, Una rapida rassegna lo testimonierà: “D.C.I.: Don Cavalli criminal investigation” e “Lo strano caso della scuola Maria Luigia” utilizzano spiritosamente la tipologia del noir con tanto di investigatori alla Marlowe, spietati interrogatori e smascheramento del colpevole inchiodato da tracce ( pseudo) chimiche; “Sguardi incrociati di ragazzi” affronta il “vissuto” giovanile con uno stile diretto e con primi piani che ricordano l’approccio realistico di certi film 34 dei fratelli Dardenne; “Ma ville vue par…” già nel titolo allude a quella dimensione di vagabondaggio urbano che rimanda alle scorribande per Parigi della “Nouvelle vague”; “Molinella…quanti ricordi!” ha i toni epici del “Novecento” di Bertolucci: fiere mondine incrociano le braccia mentre i loro uomini suggellano con un bicchiere di vino la fondazione della Lega (dei braccianti!); “SOS terra” vincitore del 1° premio per le scuole primarie, utilizza gli stilemi del filone fantascientificocatasrofista così caro a tanto cinema americano…. e si potrebbe continuare. Non minore ricchezza si riscontra a livello dei contenuti (del resto quella della sensibilizzazione ai temi sociali è una finalità a cui il cinema scolastico non può rinunciare per ovvia vocazione educativa). Si va dai problemi ecologici a quelli della invadente presenza dei nuovi mezzi di comunicazione, dalla differenza di genere all’integrazione (tema trattato senza retorica nell’asciuttissimo “Integrazione” dell’I.T.C. Pacinotti di Bologna). Insomma lo spettatore ne ricava una Maria Vaccari, Presidente dell’associazione “Gli amici di Luca” consegna all’Istituto Comprensivo di Granarolo il primo “Premio Luca De Nigris” per “Making Romeo & Jiuliet” anche vincitore del premio “Crossing TV". Come ogni anno sono stati assegnati tre primi premi di 500 euro ciascuno, un contributo dall’associazione “Gli amici di Luca”. Il premio è organizzato da Monica Vaccari responsabile del laboratorio "Schermi e lavagne" della Cineteca di Bologna. conferma: lavorare col cinema apre possibilità ricchissime all’esplorazione stilistico-formale e alla rappresentazione delle contraddizioni della società. Per concludere: una delle insegnanti nel corso della cerimonia di premiazione ha voluto rilevare che il lavoro svolto da lei e dai suoi alunni non sarebbe stato possibile senza l’appoggio dell’Ente locale e che questo vale, nell’attuale situazione, per tutte le scuole. Il tono era quello di un accorato appello. Speriamo che chi ne ha il compito abbia la sensibilità di ascoltarlo. Stefano Scagliola Giurato “Premio Luca De Nigris” IL PREMIO LUCA DE NIGRIS DIVENTA UNA TESI DI LAUREA Deborah Bandini si è recentemente brillantemente laureata all'Università di Bologna, Corso di laurea specialistica in Cinema, Televisione e Produzione Multimediale, con una tesi dal titolo: “La produzione audiovisiva delle scuole di Bologna e Provincia attraverso i video del “Concorso Luca De Nigris” dal 2002 al 2009”. Relatore: Giacomo Manzoli, correlatore: Guglielmo Pescatore. A Deborah gli auguri ed i complimenti degli amici di Luca. SPAZIO DI LUCA Il cinema: materia viva e misteriosa “Il bambino arriva a scuola in una età in cui i confini fra l’immaginazione e la realtà, fra il mondo della coscienza, che è appena agli inizi, e quello assai più ampio e scontornato dell’irrazionale, del sogno, della comunicazione profonda, sono confini molto esili, separati da una membrana ancora sottilissima che conserva un respiro poroso in cui si verificano scambi, osmosi, improvvise infiltrazioni. Questa specie di stato di grazia che poi scompare rapidamente con gli anni, invece di esser riconosciuto e di venir protetto come cosa preziosa, un deposito aureo di conoscenza, di dilatamento delle capacità vitali, viene dalla scuola programmaticamente ignorato, …” Q ueste parole di Fellini ci danno un’immagine così luminosa della giovinezza e delle potenzialità della formazione, che si potrebbe dire – proprio a cominciare dai suoi film –, che il cinema è materia così viva e in movimento da essere in continua, misteriosa e vitale relazione con la fantasia e il cuore di molte persone (e di molti artisti). Il Premio Luca De Nigris, che la Cineteca di Bologna sostiene da più di un decennio, si inscrive molto bene in questa vitale condizione. E noi siamo felici quando la nostra sala si riempie di tante presenze vivaci che sono lì, magari per qualcuno con la speranza di diventare artista, per condividere collettivamente il risultato di una esperienza sia ludica sia di un lavoro formativo e di conoscenza. È divertente, è bello avere ogni anno i piccoli partecipanti al Premio Luca De Nigris e per goderci queste giornate di leggera condivisione del cinema, siamo obbligati a pensare, rattristandoci, ai pochi mezzi che la scuola può offrire per la prosecuzione di tale esperienza. In una fase storica che si caratterizza per l’assenza, nel nostro paese, di un forte progetto formativo, che offra ai giovani modelli morali e culturali capaci di dare elementi certi per il loro futuro, la Cineteca continua nel suo programma di formazione all’immagine, denominato Schermi e Lavagne, per consentire agli studenti di ottenere informazioni di base che permettano loro di avvicinarsi alle immagini con nuovo gusto e sguardo consapevole. Riteniamo che il Premio Luca De Nigris aiuti ad integrare questo nostro programma e quindi aspettiamo le nuove classi che parteciperanno alla prossima edizione e che ci restituiranno, loro sì, il meglio della vita scolastica. Gian Luca Farinelli Direttore della Cineteca di Bologna 35 TESTIMONIANZA E voilà il tubo non c’è più: il racconto di Sonia Due giorni con me stessa (sognando il “Boss”) di Sonia Mazzolini È un tunnel azzurro illuminato con luci al neon, c’è tanta pace e sto volando serena ,sento che qualcuno mi chiama, e la voce si fa insistente: Eccomi, eccomi. Apro gli occhi, qui è tutto verde, la “mia” infermiera mi coccola il viso e mi dice di stare tranquilla, è tutto finito, già ma ora inizia il secondo tempo, come nei film. Non riesco a tenere aperti gli occhi, un torpore buono me lo impedisce: sento dei movimenti attorno al lettino, è la “mia” infermiera che mi dice: “Sonia, ricordati che devi respirare! Se non lo fai questa lampada lampeggerà e sentirai un suono che ti richiamerà al tuo dovere!” Oddio sta suonando, sembra il pulsante del “Rischiatutto” il programma di Mike Bongiorno alla tivù ! Meno male che non ho nessun dolore! Adesso cerco di capire come sono conciata su questo lettino, dunque, ho le braccia bloccate come le gambe, sento di avere un sacco di tubi che mi escono da ogni orifizio sono intubata e non riesco a parlare, va bè non mancherà l’occasione per rifarmi! Ho una bomboletta di alluminio su una spalla, ah già la morfina! Devo respirare lo so, ma questo 36 torpore è buono! Sento dei movimenti intorno a me, è Sauro con mascherina, cappello e camice usa e getta, com’è buffo, se potessi ridere! Mi conforta ma è molto triste lo vedo dagli occhi lucidi “Non fare così, Sauro, io sto bene...”. Non mi sente…certo, io sto pensando,come posso fare per dargli coraggio ? Ho fatto volontariato per “la Casa dei Risvegli Luca de Nigris” ma non ho mai avuto il coraggio di chiedere ai ragazzi tornati dal coma, Christian, Luigi, come si fa a comunicare con gli altri quando sei un corpo pieno di tubi: il rispetto diventa censura e paura di offendere sensibilità così manifeste. Devo respirare, accidenti,non me ne devo scordare! Quante belle giornate con “la Casa dei Risvegli”. In piazza Ravegnana a fare il totem di terracotta, al palazzo dello sport: quella volta lì c’era anche Alessandro Haber, il mio attore preferito e l’ho pure baciato! E il primo spettacolo teatrale dei ragazzi al Duse e le befane in piazza Re Enzo... un freddo boia! E la Maria e Fulvio e l’Angela e la Vittoria e l’Anna e l’Elena,e si ultimamente con questa miastenia che mi ha stroncato i muscoli sono un po’ fuori dal giro... ma i ricordi ci sono tutti e belli! Uffa devo respirare, devo respirare! La “mia” infermiera mi coccola, com’è carina,è proprio bella, mi parla e mi dice di chiamarsi Rubina, un nome più appropriato non c’era. È dolcissima e quando mi cambia la medicazione nell’incisione che ho nell’addome, mi fa i fiorellini col pennarello sul cerotto! Bè adesso non ho più il torpore e il tempo non passa mai, questa notte è lunghissima... l’infermiere di turno mi chiede se voglio comunicare, mi da carta e pennarello, mi libera il braccio e alè. “In questa stanza c’è troppo silenzio vorrei la musica di Bruce Springsteen”. Sonore risate accolgono il mio pensiero e animano la notte. Il grande giorno è arrivato, il prof Martinelli mi si avvicina, mi accarezza il viso e mi dice che se faccio la brava mi toglie il tubo e io gli scrivo che se lui non fa il bravo gli metto il lassativo nel caffè quando verrà al bar dove lavoro! E voilà il tubo non c'è più! Mi esce una vocina flebile e strana... grazie, grazie a tutti! gli amici di MAGAZINE in/formazione IN/FORMAZIONE PERCORSO DIDATTICO PER ACCOMPAGNARE CHI SI PRENDE CURA DELLA PERSONA CON ESPERIENZA DI COMA 7 COME SI PUÒ PREVENIRE LA SINDROME DA IMMOBILITÀ: POSIZIONAMENTI, POSTURE, TRASFERIMENTI, VERTICALIZZAZIONE E DEAMBULAZIONE Prevenire la sindrome da immobilità IN QUESTA UNITA’ DIDATTICA INTERVENGONO: Monia Anzellotti, fisioterapista - Marina Casadei, fisioterapista, Casa dei Risvegli Luca De Nigris Silvia Faenza, fisioterapista, Casa dei Risvegli Luca De Nigris - Francesca Nanni, fisioterapista Giusy Salvati, fisioterapista, Casa dei Risvegli Luca De Nigris - Annalisa Zarri, fisioterapista Nelle foto partecipano Silvia Faenza, Giovanna Biguzzi e Patrizia Corrente, fisioterapiste e terapista occupazionale Coordinamento didattico Laura Trevisani, educatrice e pedagogista clinica, Casa dei Risvegli Luca De Nigris INDICE: 1. Come si attiva il percorso per il recupero neuromotorio?….....................................................pag. 2. Come si può prevenire la sindrome da immobilità? ................................................................pag. 3. Obiettivi generali dei posizionamenti........................................................................................pag. 4. Come si postura la persona a letto? ..........................................................................................pag. 4.1. Postura supina (pancia in su) ..................................................................................................pag. 4.2. Postura seduta a letto ................................................................................................................pag. 4.3. Postura sul fianco (decubito laterale) ......................................................................................pag. 4.4. Postura prona (pancia in giù) ..................................................................................................pag. 4.5. Postura a ponte ..........................................................................................................................pag. 5. Come si postura la persona in carrozzina?….. ........................................................................pag. 5.1. Come si ottiene il bascula mento ..............................................................................................pag. 6. Come può avvenire il trasferimento?........................................................................................pag. 6.1. Utilizzo del sollevatore ..........................................................................................................pag. 6.2. Utilizzo della tavoletta ............................................................................................................pag. 6.3. Trasferimento manuale ..............................................................................................................pag. 6.4. Passaggio da letto a seduto........................................................................................................pag. 7. La verticalizzazione ..................................................................................................................pag. 7.1. Quali ausili si possono utilizzare per la verticalizzazione? ......................................................pag. 8. La deambulazione ....................................................................................................................pag. 8.1. Ortesi per il cammino................................................................................................................pag. 8.2. Ausili per il cammino ................................................................................................................pag. 1. COME SI ATTIVA IL PERCORSO PER IL RECUPERO NEUROMOTORIO? In seguito all’insorgenza di una malattia, il nostro corpo può perdere in maniera più o meno rapida la motricità e l’organizzazione del movimento, determinando una situazione di immobilità, ossia l’incapacità di compiere movimenti. Le conseguenze della immobilità prolungata riguardano più apparati e per tanto viene definita multisistemica: apparato locomotore, apparato della cute, apparato genito-urinario, apparato gastroenterico, apparato respiratorio, apparato cardiovascolare, aspetto cognitivo e psicologico. Il punto di partenza del percorso riabilitativo della persona con grave cerebrolesione è riconoscere che, in seguito ad un evento spontaneo o traumatiIN/78 78 79 79 79 80 81 81 82 83 83 85 85 85 86 87 87 88 88 90 90 91 co, si instaurano danni a livello cognitivo e sensoriale-motorio, tale da determinare una situazione di allettamento prolungato. Solo con la reale alleanza tra gli operatori e le famiglie è possibile immaginare un percorso riabilitativo efficace e che abbia azione sia sulla prevenzione dei danni legati all’allettamento, sia sui danni direttamente correlati alla lesione. Il fine è quello di aiutare e incoraggiare la persona a mantenere posizioni corrette a letto e in carrozzina. Successivamente favorire il recupero della posizione seduta in autonomia e la posizione eretta. È necessario, dove sia possibile, stimolare la persona in cura ad eseguire i movimenti attivamente affinché possa raggiungere alcune autonomie di base come ad esempio: raggiungere la posizione Prevenire la sindrome da immobilità supina (pancia in su), sul fianco sinistro e sul fianco destro, raggiungere la posizione prona (pancia in giù) e fare il ponte (estremamente utile per l’igiene quando viene eseguita a letto). Altrettanto importante è stimolare la persona con una guida corretta e con facilitazioni idonee durante i passaggi di posizione come ad esempio: seduto in carrozzina o su di una sedia, oppure per raggiungere la stazione eretta. La posizione seduta aiuta a favorire la persona nella riorganizzazione del ritmo sonno veglia. 2. COME SI PUÒ PREVENIRE LA SINDROME DA IMMOBILITÀ? 1. Modificando spesso la postura della persona nel letto nell’arco della giornata. 2. Eseguendo la mobilizzazione passiva delle articolazioni da parte degli operatori sanitari. 3. Raggiungendo la postura seduta appena possibile, e aumentando gradualmente i tempi. 4. Stimolando la persona a partecipare a ciò che succede nell’ambiente, ed aiutarla a recuperare e mantenere l’orientamento. 5. Mantenendo un adeguato apporto nutrizionale e di liquidi. 6. Mantenendo una buona detersione della cute. 3. OBIETTIVI GENERALI DEI POSIZIONAMENTI 1. Prevenire e contenere le alterazioni muscoloschelettriche, come gli accorciamenti muscolari e tendinei, in particolare a livello del collo e degli arti; le deformità del tronco, come ad esempio atteggiamenti scoliotici, cifosi e asimmetrie del rachide; la perdita dell’allineamento fisiologico delle articolazioni. 2. Contenere gli schemi patologici, come le sinergie flessorie o estensorie degli arti superiori e inferiori; lo schema flessorio o estensorio del capo e del tronco. In seguito a una lesione di natura neurologica questi schemi possono essere presenti e spesso si associano tra di loro. Per questo motivo le posture, i trasferimenti e i tutori di posizione devono essere valutati caso per caso al fine di fornire la corretta assistenza e le corrette facilitazioni durante queste attività. 3. Favorire la dinamica respiratoria attraverso le corrette posture è estremamente importante perchè permette di aumentare l’espansione della gabbia toracica, favorendo una migliore ossigenazione globale della persona. 4. Facilitare il funzionamento dell’apparato gastro-enterico è possibile attraverso la posizioni seduta e la stazione eretta perché favorisce i movimenti peristaltici intestinali. Inoltre la posizione seduta facilita i meccanismi di deglutizione. 5. Favorire l’interazione con l’ambiente esterno, in particolare la posizione seduta favorisce i processi di apprendimento perché la persona è più facilitata ad entrare in contatto con l’ambiente esterno. Aiuta a migliorare la percezione del tempo e della spazio e favorisce le relazioni interpersonali. La posizione seduta viene ritenuta una posizione funzionale per lo svolgimento delle attività di vita quotidiana (vedi inserto 6) come ad esempio: radersi la barba, lavarsi i denti, lavarsi le mani, lavarsi il viso. Inoltre favorisce la riorganizzazione del ritmo sonno veglia. 4. COME SI POSTURA LA PERSONA A LETTO? I posizionamenti a letto necessitano di ausili e quando la persona presenta una grave disabilità è indispensabile la collaborazione di due operatori, perchè rende più sicuro, dolce e favorevole ogni movimento che viene eseguito alla persona in cura. Devono essere utilizzati appositi sistemi come ad esempio traverse sotto al corpo della persona per evitare che la parte a contatto con il letto venga strofinata e quindi lesionata. Utilizzare cuscini per l’allineamento dei segmenti corporei che l’operatore deve posizionare ad esempio per il sostegno del tronco, del capo e degli arti. Sono necessari dai 4 ai 7 cuscini, se possibile anche di forme diverse in relazione alla dimensione della persona e a seconda delle posture. Sono fondamentali i letti a snodo polifunzionali con materassi ad aria a pressione alternata anche se, non appena la persona diventa autonoma negli spostamenti, sarebbe bene sostituirli con materassi in lattice, perché rendono più facile il movimento e danno una migliore afferenza propriocettiva e cinestesica dello schema corporeo, aiutando la persona a IN/79 Prevenire la sindrome da immobilità sentire dove è il proprio corpo e come si muove nello spazio. le retrazioni muscolo-tendinee. Il posizionamento deve essere corretto e fatto con cura altrimenti gli effetti benefici possono vanificarsi e in molti casi si possono instaurare complicanze indesiderate come ad esempio lesioni a livello della cute e dolore precoce. È importante utilizzare archetti alla pediera del letto per sostenere il peso delle coperte o delle lenzuola, perchè altrimenti si favorirebbe l’equinismo dei piedi (punte dei piedi rivolti verso il basso). Inoltre, va posta una particolare attenzione all’utilizzo dei tutori di posizione, perché in molti casi sono ausili indispensabili per contenere e/o ridurre 4.1. Postura supina (pancia in su) La persona deve avere: • capo allineato al tronco e in leggera flessione (cuscini a lisca di pesce); • le spalle e il bacino devono sempre essere allineati; • gli arti superiori posizionati in modo da evitare l’intrarotazione dell’omero e mantenere gli arti in scarico con cuscini per evitare l’insorgenza di edemi (= gonfiori degli arti); • gli arti inferiori posizionati in modo da correggeIN/80 Prevenire la sindrome da immobilità 4.2. Postura seduta a letto La posizione seduta al letto favorisce la deglutizione e la respirazione. È importante evitare l’eccessiva flessione ed estensione del capo perché: - rinforza l’ipertono dei muscoli flessori ed estensori; - riduce la capacità ventilatoria (respiro superficiale, ristagno delle secrezioni bronchiali); - rende difficoltosa la deglutizione; - se la persona vomita aumenta il rischio di ab ingestis. 4.3. Postura sul fianco (decubito laterale) La persona deve avere: • capo sorretto da un cuscino e mantenuto in asse rispetto al tronco, in leggera flessione; • tra la schiena e la spondina del letto si devono utilizzare due o più cuscini per contenere e stabilizzare la persona, favorendo una maggior sensazione di sicurezza. re l’extrarotazione dell’anca con piccoli spessori (per esempio con traversine) sotto ai glutei e con l’archetto alla pediera del letto. Dopo cha la persona ha mangiato è importante posizionare la testata del letto con inclinazione non inferiore a 30° al fine di evitare rigurgiti. IN/81 Prevenire la sindrome da immobilità Il decubito laterale viene utilizzato per spezzare gli schemi patologici, favorendo una riduzione del tono muscolare. Agevola il drenaggio delle secrezioni polmonari. È una posizione consigliata per la prevenzione delle lesioni cutanee (piaghe da decubito). È una posizione che favorisce la defecazione. Inoltre ponendo la persona in decubito laterale verso il lato leso viene stimolato il canale sensoriale e data una maggiore percezione del proprio corpo e della posizione dei vari segmenti corporei. 4.4. Postura prona (pancia in giù) La posizione prona pur avendo delle indicazioni terapeutiche, presenta delle difficoltà legate alla larghezza del letto (troppo stretto) e alla tipologia del materasso ad aria. Spesso è difficile portare la persona in questa posizione perché può essere presente: • tracheotomia (quindi si posiziona in semiprona); • il capo può essere rigido e quindi può essere difficoltoso per la persona mantenere la rotazione; • scarsa responsività e collaborazione; IN/82 Prevenire la sindrome da immobilità • va sempre proposta lontano dai pasti perché facilita i rigurgiti. È una postura che serve a favorire l’allungamento dei muscoli anteriori del corpo, riduce il tono muscolare e stimola il riflesso tonico del collo facilitando il raddrizzamento del capo; È una posizione ottima per l’estensione delle anche e per facilitare il sostegno del tronco e del capo attraverso l’appoggio degli avambracci. Chiedere alla persona di sollevare il bacino attivamente e/o aiutandolo con apposite facilitazioni è importante perché favorisce l’estensione dell’anca e si ridà un’afferenza sensoriale del carico a livello dei talloni. Questi stimoli si ripropongono quando la persona andrà in stazione eretta. È possibile richiedere questa attività quando si fa l’igiene intima a letto, nel cambio del pannolone o durante la vestizione. 5. COME SI POSTURA LA PERSONA IN CARROZZINA? Le diverse componenti della carrozzina possono essere personalizzabili in modo da garantire benessere e funzionalità. Con una buona posizione in carrozzina si può: - dare comodità, - ridurre i rischi da lesioni da decubito, - creare le condizioni per utilizzare al massimo le potenzialità della persona con esiti di coma, - facilitare le manovre di cura e di assistenza da parte dei famigliari, - facilitare la comunicazione e l’interazione con l’ambiente circostante. Componenti principali del sistema di postura: 1. le misure; 2. le superfici; 3. gli angoli. Le misure della carrozzina devono essere conformi alle dimensioni della persona. In particolare sono importanti: 4.5. Postura a ponte IN/83 Prevenire la sindrome da immobilità A. la larghezza del sedile (deve corrispondere alla larghezza del bacino o poco più); B. la profondità del sedile (deve essere appena inferiore una o due dita alla lunghezza della coscia); C. l’altezza delle pedane, che può essere regolata in tutte le carrozzine; D. l’altezza dello schienale attivo; E. l’altezza dello schienale “di tenuta”. L’altezza dello schienale è molto variabile e dipende dalle potenzialità motorie dell’utente. Le superfici della carrozzina. La tela che riveste il sedile e lo schienale della carrozzina che tendono con il tempo ad allentarsi, favorendo l’assunzione di posizioni scorrette da parte della persona con esiti di coma. In questo caso esistono adattamenti del sedile e dello schienale, ad esempio molte carrozzine sono dotate di schienale tensionabile. Inoltre alcuni particolari condizioni motorie dell’utente possono richiedere schienali e cuscini più contenitivi e avvolgenti. Gli angoli. La persona è solitamente più comoda con lo schienale reclinato di 10-15°. In alcuni casi però la reclinazione dello schienale favorisce lo scivolamento in avanti del bacino. Per ovviare a tale problema è consigliabile reclinare contemporaneamente sia lo schienale che il sedile, ossia basculare la carrozzina. Altre compenti del sistema di postura sono l’appoggiatesta, i braccioli regolabili in altezza, il tavolino per appoggiare gli arti superiori e le cinture di protezione. La necessità di prescrivere una carrozzina personale viene valutata e condivisa con la famiglia. L’utente e i suoi famigliari insieme al medico, al fisioterapista e al tecnico ortopedico scelgono la carrozzina e il sistema di postura più adatti ai propri bisogni e alle condizioni del proprio domicilio (ad es. larghezza porte, accessibilità ascensori…). A volte sono necessarie diverse prove prima di effettuare la scelta. L’utente e i suoi famigliari devono essere informati preventivamente sui costi a loro carico. Il medico responsabile del progetto riabilitativo provvederà alla prescrizione della carrozzina e del sistema di postura utilizzando un nomenclatore tariffario valido su tutto il territorio nazionale; tale nomenclatore è un elenco di tutti gli ausili con relativo codice che il Servizio Sanitario Nazionale offre in maniera gratuita a tutti coloro che ne hanno diritto. Se la maggior parte delle carrozzine standard leggere e basculanti e la maggior parte dei cuscini e schienali sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale, alcune carrozzine superleggere ed elettriche ed alcuni optionals sono a carico dell’utente. A sinistra: Carrozzina con sedile e schienale allentati A destra: Carrozzina con schienale tensionabile IN/84 Prevenire la sindrome da immobilità 5.1. Come si ottiene il basculamento Nelle carrozzine cosiddette basculanti è sufficiente agire su una leva. Posteriormente allo schienale ci sono generalmente due leve, agendo su una di esse si reclina lo schienale (può essere utile reclinare lo schienale per facilitare il posizionamento dell’utente in carrozzina, ma successivamente nella maggior parte dei casi l’angolo tra schienale e sedile deve essere a 90°). Agendo sull’altra leva si bascula la carrozzina. Se pochi gradi di basculamento possono rendere la seduta più comoda e/o facilitare il posizionamento dell’utente, un eccessivo basculamento non favorisce un atteggiamento attivo verso l’ambiente (ad es. esplorazione e comunicazione), ma è più adatta a momenti di riposo. 6. COME PUÒ AVVENIRE IL TRASFERIMENTO? I trasferimenti dal letto alla carrozzina o dalla carrozzina al w.c. possono essere eseguiti con: • sollevatore con una o due persone; • tavoletta con una o due persone; • manualmente da una o due persone. 6.1. Utilizzo del sollevatore Carrozzina basculata Carrozzina con schienale reclinato Sopra: Sollevatore a terra A destra: Sollevatore a binario IN/85 Prevenire la sindrome da immobilità 6.2. Utilizzo della tavoletta Questa modalità viene utilizzata principalmente a scopo terapeutico per persone che necessitano di un’assistenza intensa da parte di uno o due operatori durante il trasferimento dalla carrozzina al letto della riabilitazione motoria. Lo scopo è quello di far percepire alla persona l’alternanza dei carichi da un’emibacino all’altro. La persona deve sentire la differenza dei segmenti corporei che si muovono con quelli che rimangono come punto fisso di appoggio all’interno di schemi di movimento corretti e fisiologici IN/86 Prevenire la sindrome da immobilità 6.3. Trasferimento manuale Manualmente con l’assistenza di una o due persone, attraverso apposito aiuto e facilitazioni che si adattano al bisogno e al livello di autonomia raggiunta in quel momento dalla persona. È importante il trasferimento manuale per la persona perché permette una forte stimolazione del canale tattile, cinestesico e propriocettivo. Fornisce alla persona con esiti di coma una migliore percezione del proprio schema corporeo e permette la riorganizzazione degli schemi di movimento più evoluti. 6.4. Passaggio da letto a seduto Gli aiuti e le facilitazioni si modificano in rapporto al bisogno della persona e si riducono via via che l’individuo raggiunge sempre maggiori competenze motorie. È importante eseguire i trasferimenti manuali, la dove ci siano le indicazioni, in quanto permette alla persona un allenamento terapeutico quotidiano che ha come fine quello di migliorare sempre più il suo livello di collaborazione e la sua organizzazione motoria. IN/87 Prevenire la sindrome da immobilità 7. LA VERTICALIZZAZIONE È importante che una persona dopo aver subito una grave lesione cerebrale con conseguenti deficit neuromotori, venga aiutata a stare in piedi, anche se è ancora priva di coscienza o non è in grado di muoversi attivamente in modo autonomo perché la postura eretta fa parte dello sviluppo fisiologico dell’essere umano e crea un sentimento di benessere fisico e psichico. Dopo essere stato a letto oppure seduto per un lungo periodo diventa importante ricreare quella condizione fisica, come lo stare in piedi, che può facilitare il recupero cognitivo e stimolare il benessere psicologico. La verticalizzazione può essere proposta alla persona, non appena le condizioni cliniche e fisiche le permettono di stare in piedi. La verticalizzazione è importante per i seguenti motivi: • riduzione del rischio di accorciamenti e retrazioni muscolo-tendinei; • riduzione del tono muscolare; • riduzione del rischio di osteoporosi e del conseguente pericolo di fratture; • riduzione del rischio di piaghe da decubito, in quanto stare in stazione eretta alleggerisce la pressione sulle aree vulnerabili, e facilita i processi di guarigione delle lesioni; • miglioramento delle condizioni cliniche: miglioramento della circolazione sanguigna, stabilizzazione della pressione arteriosa e degli altri parametri vitali; • miglioramento della funzionalità vescicale (facilita lo svuotamento della vescica) e transito intestinale; • percezione del proprio corpo in diverse posizioni (= afferenze percettive) e dell’ambiente circostante. 7.1. Quali ausili si possono utilizzare per la verticalizzazione? Esistono modi diversi per verticalizzare la persona: 1. letto di statica; 2. standing; 3. valve di cartone, di gesso o di materiale plastico IN/88 1. LETTO DI STATICA Si tratta di una tavola inclinabile che permette di portare in posizione eretta la persona ancora in fase molto acuta. La persona viene posizionata sul letto e successivamente vengono fissate delle fasce a livello delle ginocchia, del bacino, del torace ed eventualmente è possibile posizionare un tavolo per sorreggere le braccia. Il terapista, attraverso un telecomando elettronico, inclina la tavola portando la persona in posizione verticale. È importante che: - il sollevamento avvenga gradualmente, - durante la verticalizzazione siano monitorati i parametri vitali (frequenza cardiaca e respiratoria, pressione, saturazione), - si rispetti il dolore provocato da eventuali accorciamenti, retrazioni e deformità a livello dei piedi o degli arti inferiori. Prevenire la sindrome da immobilità La verticalizzazione sul letto di statica può essere effettuata sia a pancia in su (supina) che a pancia in giù (prona). La posizione supina può essere proposta in uno stadio iniziale, in quanto è meno traumatizzante e più sicura, e permette l’iniziale controllo del capo da parte della persona. La posizione prona viene preferita quando la persona presenta importanti retrazioni muscolari a livello degli arti inferiori (ginocchia bloccate in flessione, anche flesse), presenza di ulcere a livello sacrale, ipertono estensorio. 2. STANDING Lo standing è un ausilio apposito per la verticalizzazione. È un solido supporto che ha a livello delle ginocchia una superficie d’appoggio che le mantiene estese, una fascia a livello del bacino, che impedisce la flessione delle anche, e una superficie d’appoggio anteriore (desk), per sostenere le braccia e facilitare l’estensione del tronco. Questo tipo di supporto facilita un lavoro posturale sul controllo del capo e del tronco dal momento che fissa più fulcri contemporaneamente (ginocchia e bacino). Lo standing può essere proposto anche a persone in fase di risveglio. È molto importante tenere monitorati i parametri vitali soprattutto le prime volte che la persona viene verticalizzata. L’utilizzo di questo supporto diventa molto utile quando la persona ha recuperato un buon livello di coscienza, ed è in grado di controllare il tronco attivamente riuscendo a mantenere la stazione eretta con l’aiuto di un famigliare appositamente istruito dal terapista. 3. VALVE DI CARTONE, DI GESSO O MATERIALE PLASTICO Sono solide stecche di diverso materiale fissate posteriormente con bendaggi attorno alla gamba. Attraverso queste valve è possibile mantenere in estensione le ginocchia. Il terapista si posiziona posteriormente e anteriormente viene posizionato un supporto regolabile in altezza (letto Bobath, tavolo). Questa modalità di verticalizzazione risulta la più attiva da parte della persona, il terapista può muoverla facilmente in tutte le direzioni, controllarle la posizione del tronco, spostarle il peso del corpo da un lato all’altro e in avanti e in dietro. Mentre il terapista la sorregge, la persona può venire incoraggiata a partecipare attivamente all’attività. IN/89 Prevenire la sindrome da immobilità 8. LA DEAMBULAZIONE Come generalmente accade per i diversi movimenti (prendere un oggetto, lavarsi il viso,…) anche i movimenti richiesti per il cammino nascono dall’interazione di processi percettivi (sensibilità, percezione del proprio corpo, del “sé” nello spazio…), cognitivi e motori (coordinazione, equilibrio, controllo del tronco, movimento degli arti…) e dall’interazione fra l’individuo, il compito e l’ambiente. Nella vita quotidiana i movimenti implicati nel cammino sono condizionati da programmi di movimento, dal bisogno di eseguire un compito o risolvere un problema e dalla necessità di adattarsi all’ambiente e agli oggetti che ci circondano. Poiché la deambulazione è un’attività complessa, la persona non può imparare a camminare di nuovo semplicemente praticando il cammino o andando in giro insieme a due persone che la sorreggano. La rieducazione del cammino consiste non solo in una sequenza di esercizi motori o di un rinforzo muscolare, ma richiede un trattamento specifico e intenso prima di riapprendere a camminare o per poter migliorare la modalità della deambulazione. Il cammino deve essere: • sicuro: in modo tale che la persona non abbia paura e non sia a rischio di caduta; • economico: relativamente privo di sforzo, cosicché non tutta l’energia a disposizione della persona venga spesa per spostarsi; • veloce: abbastanza veloce da permettere alla persona di attraversare una stanza, un strada in un lasso di tempo ragionevole; • esteticamente gradevole: in modo che la persona possa camminare sentendosi a suo agio; • automatico: eseguito automaticamente per consentire alla persona di concentrarsi anche su altre attività (ad es. parlare, guardarsi attorno, prendere un oggetto,…). Tutte queste caratteristiche vanno a definire il cammino come “funzionale”. Affinché la persona cammini in modo funzionale è importante che vengano raggiunti i seguenti obiettivi attraverso un adeguato trattamento: - adeguate reazioni di equilibrio; - movimenti selettivi agli arti inferiori; - attività selettive del tronco; IN/90 - capacità di camminare svolgendo un compito. Ogni trattamento riabilitativo è specifico per ogni singola persona sulla base del suo quadro motorio e cognitivo. L’osservazione della persona durante il suo percorso riabilitativo guiderà nella decisione del trattamento più adeguato ed eventualmente nell’adozione di un’ortesi o di un ausilio. 8.1. Ortesi per il cammino Le ortesi (ortho dal greco: dritto, giusto, corretto) sono apparecchi standard o confezionati su misura, che hanno lo scopo di sostenere una parte del nostro corpo, sostituendosi alla debole forza muscolare di un determinato segmento corporeo. Si differenziano in: a) ORTESI STATICHE (CASTING): apparecchiature che consentono di tenere allineato un segmento corporeo durante le ore diurne o notturne, con lo scopo di cercare di limitare l’insorgenza di retrazioni muscolari e tendinee (tendenza Prevenire la sindrome da immobilità da parte di articolazioni come le anche, le ginocchia e i piedi ad irrigidirsi e assumere posizioni scorrette) b) ORTESI DINAMICHE: apparecchiature, principalmente, che consentono di sostenere il carico sugli arti inferiori, (ad es. valve e tutori per fissare il ginocchio in estensione) quando è presente un deficit muscolare oppure stabilizzare un’articolazione (per es. caviglia e piede). Si possono, così, sfruttare meglio le residue competenze a mantenere la stazione eretta o a spostarsi per pochi passi per esempio facilitando la flessione del piede (flessione dorsale). Ne esistono in commercio confezionati in diversi materiali (plastico, termoplastico, metallo,…). Si possono utilizzare eventualmente anche fasce elastiche per mantenere il piede in posizione corretta. 8.2. Ausili per il cammino Si possono definire "ausili" quelle idee, quegli accorgimenti e quelle attrezzature o apparecchiature che servono a una persona disabile per: - fare ciò che altrimenti non potrebbe fare; - farlo con minore sforzo o minore dispendio di energie; - farlo in tempo più breve; - farlo in modo più gradevole o psicologicamente più accettabile. Esistono diversi tipi, scelti sulla base delle problematiche della persona: - DEAMBULATORE ASCELLARE: IN/91 Prevenire la sindrome da immobilità utilizzato soprattutto nella prima fase riabilitativa, quando non è presente ancora un buon controllo del tronco oppure non sono presenti ancora buoni movimenti alle gambe; - DEAMBULATORE CON APPOGGIO DI AVAMBRACCIO: utilizzato quando il recupero del controllo del capo e del tronco è migliorato, ma la persona necessita ancora di un importante facilitazione nell’avanzamento degli arti inferiori; - ROLLATOR: IN/92 - BASTONE: proposto quando la persona ha raggiunto un buon recupero motorio del tronco e degli arti, ma necessita ancora di un aiuto per un cammino più corretto e sicuro. Una volta che il team riabilitativo ha valutato quale sia la modalità più corretta e sicura per il cammino, il terapista inizierà un percorso di insegnamento ai famigliari. Con un’attenta educazione ai parenti, che includerà anche un’esperienza pratica, la persona potrà camminare nell’arco di tutta la giornata e ridurre l’utilizzo della carrozzina. Sulla base del recupero motorio e cognitivo della persona, si potrà eventualmente raggiungere un cammino autonomo con o senza ortesi e/o ausili. La deambulazione è un’attività complessa e il suo recupero può richiedere molto tempo per poter raggiungere le caratteristiche di sicurezza ed economicità, intese come minor sforzo. è un girello e può essere di diverse tipologie (per es. due ruote e due puntali, 4 ruote,…). Viene utilizzato quando la persona ha raggiunto un buon controllo del tronco e viene minimamente facilitato durante il cammino; Si parla di CAMMINO TERAPEUTICO quando il cammino rimane un’attività guidata all’interno di ambienti protetti e terapeutici. Richiede aiuto e facilitazione da parte del fisioterapista ed eventuale uso di ausili e/o ortesi. Altre volte si può raggiungere un CAMMINO FUNZIONALE con caratteristiche di sicurezza, economicità, velocità, performance, automatismo, sia in ambienti interni – più protetti – sia esterni, con supervisione di una persona o da solo, qualora abbia raggiunto un buon livello di autonomia. Anche in questo caso può essere necessario l’utilizzo di ausili e/o ortesi. ISTRUZIONI PER L’USO Dalle barriere architettoniche negli hotel, al rapporto con gli altri ospiti, alla responsabilità degli accompagnatori Diversamente abili: parliamo di turismo? di Paolo Ferrari C Giornalista, esperto di turismo on l’avvicinarsi dell’estate, credo sia utile una riflessione sulle problematiche legate al turismo per tutti coloro che si devono confrontare con persone diversamente abili, e che spesso sono costrette a scontrarsi con arretratezza culturale, ignoranza, cinismo e mancanza di sensibilità verso l’handicap. Sono purtroppo frequenti gli episodi che la cronaca ci sbatte periodicamente in faccia (e qui sento di dover includere anche la stessa categoria dei giornalisti che spesso enfatizzano tali episodi a puro scopo sensazionalistico, senza entrare nel merito del problema), ricordandoci che siamo ancora lontani dall’aver raggiunto una adeguata sensibilità a questo tipo di problemi. La legge 104 A questo proposito, vogliamo ricordare che il 27 luglio 2008, il Comune di Varazze ha finalmente deciso di sanzionare, con una multa e la chiusura provvisoria della attività, l'albergo ritenuto responsabile di una grave discriminazione a danno di un cliente con disabilità. Trova così per la prima volta applicazione la norma della legge 104 che tutela le persone con disabilità, solo per il fatto di essere oggetto di un trattamento differenziato, senza che assuma rilievo la concreta volontà di discriminare. È stato così sancito un principio fondamentale delle libertà personali di ognuno di noi. Un problema prima di tutto culturale Albergatori e proprietari di residenze turistiche che discriminano i diversamente abili, sono animati esclusivamente dall’interesse economico: sia quando scelgono di non intervenire nella propria struttura, adeguandola ai sensi del D.M. 14 giugno 1989, n. 236 e dei conseguenti regolamenti regionali in materia, sia quando escludono fisicamente tali persone ed i loro eventuali accompagnatori (prima o dopo la prenotazione, non importa). Naturalmente la carenza culturale è alla base anche degli altri ospiti degli hotel che manifestano insofferenza per la presenza di queste persone. L’adeguamento delle strutture A proposito di adeguamento delle strutture, ricordiamo che alcune regioni hanno emanato una sorta di vademecum con alcuni consigli pratici per gli albergatori che desiderino rendere il proprio hotel più consono all’accesso ed alla fruibilità da parte dei diversamente abili. Si tratta di consigli che interpretano la legge, ma sopratutto sono improntati al buon senso ed alla logica. Dal posizionamento dei parcheggi esterni ed interni riservati (largh. minima 3,20 mt.), alle rampe ed ai percorsi esterni, all’ingresso ed alla reception, ai percorsi interni, alle scale, agli ascensori, alle camere ed ai bagni. Tanto per fare un esempio, in Alta Badia, uno dei più prestigiosi e conosciuti resort turistici alpini, oltre 65 strutture alberghiere ed extralberghiere, (dai quattro stelle superior ai residences, alle pensioni, ai garni agli agrituri- smi), hanno adottato tali accorgimenti, ed hanno eliminato le barriere architettoniche nelle loro strutture. I viaggi di istruzione scolastica I viaggi di istruzione scolastica nel nostro Paese, genera un fatturato complessivo di un miliardo di euro e movimentando circa 4 milioni e mezzo di turisti all’anno. Gli insegnati, dovranno tenere in considerazione l’eventuale presenza di alunni con esigenze particolari, per far sì che la vacanza o il viaggio sia fruibile da tutti in eguale misura. In fase di preparazione occorre tenere conto delle tempistiche personali durante gli spostamenti e le visite – privilegiando – ad esempio – musei che offrono servizi per una migliore fruizione da parte di persone diversamente abili – e informarsi preventivamente presso quelle associazioni che forniscono, in loco, servizi di trasporto attrezzato e assistenza a tariffe solidali. Lungi da noi il pensiero di aver esaurito le tematiche legate a questi problemi che, per decine di migliaia di persone rappresentano la quotidianità, confidiamo di aver dato un piccolo contributo di conoscenza e di aver sollevato qualche dubbio o qualche riflessione, soprattutto a coloro che non sono toccati direttamente da queste situazioni. 53 TORNARE A CASA La Speciale Unità di Accoglienza Permanente per persone in stato vegetativo cronico SUAP, un nuovo modello operativo, progetto di speranza per i familiari di Lucia Francesca Lucca Primario dell'Unità di Risveglio e dell'Unità Gravi Cerebrolesioni Istituto S. Anna di Crotone (già responsabile della SUAP) Q uando, anni fa, lessi il libro “Autisme et éveil du coma”, fui molto colpita dal passo in cui Edwige Richer descriveva, in modo sintetico, ma molto calzante, la peculiarità della relazione terapeutica che si instaura tra équipe curante e paziente in fase di risveglio dal coma. «... C’è la perdita di punti di riferimento generali. Tra medico e paziente di solito c’è un contratto implicito. Il paziente pone una domanda al terapeuta, il traumatizzato cranico invece non chiede nulla... A volte si arriva addirittura ad un’inversione dei termini del contratto – in ultima analisi, è l’equipe che chiede una gratificazione da parte del paziente: faccio tutto questo per te, fai qualcosa per me» Nella presa in carico di pazienti in fase di risveglio dal coma, l’équipe risente della perdita dei propri riferimenti professionali e si assiste ad un’inversione della relazione terapeutica: non è il paziente che esprime un bisogno, bensì l’équipe che chiede un segno, una gratificazione per il proprio lavoro. Nella maggior parte dei casi il primo segno di recupero del contatto con l’ambiente circostante – da cui deriva la gratificazione – può essere appena percettibile e può 54 non avvenire nel corso di una valutazione strutturata, bensì in un momento qualsiasi della giornata; è per tale motivo che qualunque componente dell’equipe deve sviluppare una sensibilità specifica e mantenere un’attenzione continua. Spesso il primo segno è rappresentato dal movimento degli occhi verso uno stimolo: la precocità della sua comparsa ha un valore prognostico positivo e quindi il riferito di qualsiasi persona, che entra in relazione con il paziente, assume grande importanza nel tracciarne l’evoluzione. Gli occhi rappresentano l’elemento più significativo durante tutte le diverse fasi di risveglio dal coma: la loro apertura infatti segna il passaggio dallo stato di coma allo stato vegetativo. Ogni volta che noi riabilitatori ricostruiamo le storie di questi pazienti, chiediamo sempre il momento in cui è avvenuta l’apertura degli occhi e se non possiamo dedurlo dal riferito dei familiari, lo ricerchiamo nel diario delle cartelle cliniche della rianimazione: tra le righe in cui si fa riferimento soprattutto alle condizioni cliniche, ai parametri vitali e alle terapie, ricerchiamo una nota che testimoni quel segno. E anche quando prendiamo in carico un paziente in stato vegetativo, nella fase riabilitativa precoce, ricerchiamo ancora negli occhi un movimento di inseguimento verso uno stimolo che, in qualche modo, ci indichi che sta evolvendo verso il recupero dei contenuti di coscienza. È necessario, soprattutto in questa Il valore della vita vegetativa. fase, tenere in grande considerazione le osservazioni dei familiari i quali però, essendo molto provati dalla drammaticità delle circostanze, possono essere al tempo stesso tempo i più sensibili, ma anche i meno obiettivi: attenti a riconoscere nel volto del loro caro le stesse espressioni del prima, ma tendenzialmente inclini ad attribuirne un valore superiore a quello che in quel momento potrebbero avere. L’équipe, invece, è attenta a cogliere questi primi segni, ma al tempo stesso si dimostra molto prudente perché consapevole che, se in molti casi può essere l’inizio di un percorso verso il recupero, per altri può rappresentare l’unico segno di una minima ripresa che potrà anche rimanere tale. Il fattore tempo gioca un ruolo fondamentale: se quel movimento degli occhi, con il passare delle settimane e dei mesi, rimane isolato e non si accompagna ad un recupero delle funzioni, diventa discriminante nel definire la diagnosi di TORNARE A CASA stato di minima coscienza, una condizione comunque di gravissima disabilità. Nei casi in cui il paziente non progredisca dalla condizione di stato vegetativo o di minima coscienza, è necessario preparare la famiglia al concludersi della fase riabilitativa per avanzare le possibili prospettive del dopo. Quali prospettive si possono avanzare per il futuro, dopo mesi di speranza e di sacrifici non ricompensati da un recupero? Molte volte la famiglia non ha neppure minimamente preso in considerazione l’ipotesi che non ci possa essere un recupero e si sente delusa, disorientata, senza punti di riferimento per affrontare una situazione del tutto nuova e molto difficile da sostenere. Per quanto si cerchi di preparare in modo graduale la famiglia anche all’evoluzione meno favorevole, il concludersi della fase riabilitava intensiva viene sempre vissuto in modo drammatico e in molti casi non ci sono i presupposti per pianificare un rientro a domicilio in condizioni di sufficiente protezione. Per tale motivo all’interno dell’istituto S. Anna, fin dai primi anni in cui sono stati istituiti i reparti per la fase riabilitativa intensiva – Unità di Risveglio e Unità per Gravi Cerebrolesioni – sono stati previsti posti letto dedicati ai pazienti che sarebbero rimasti in stato vegetativo cronico. Fino al novembre 2004 i posti letto di lungodegenza erano collocati nella stessa struttura della fase riabilitava intensiva e i pazienti continuavano ad essere seguiti dalla stessa équipe. Dal punto di vista dei familiari questo rappresentava una sicurezza, dato che il personale conosceva bene il paziente e tutta la sua storia clinica, ma anche un elemento di confondimento in quanto risultava ancor più difficile comprendere le motivazio- ni per le quali, da un certo momento in poi, da parte della stessa équipe, non gli venissero più dedicate cure riabilitative intensive per il “risveglio”. Proprio per ottimizzare le fasi del percorso sanitario-assistenziale, differenziandole strutturalmente e operativamente, è stata individuata la necessità di creare un’unità, distinta dalle unità dalla fase riabilitativa, dedicata all’accoglienza di persone in stato vegetativo o di minima coscienza, giunte al termine della fase riabilitativa senza modificazioni sostanziali del loro stato quando per loro non era possibile il rientro a domicilio. La Speciale Unità di Accoglienza Permanente: un nuovo modello operativo Nel novembre 2004 si rese possibile l’apertura di una nuova struttura con posti letto dedicati allo stato vegetativo cronico, con il mandato specifico di poter realizzare un modello operativo ad hoc per la presa in carico di persone destinate a vivere la propria vita nella forma più estrema di disabilità: la perdita completa o quasi della coscienza di sé e del contatto con il mondo circostante. La scelta del nome non fu casuale: Speciale Unità di Accoglienza, SUA, denominazione che nel 2005 fu fatta propria anche dal gruppo di lavoro della Commissione Ministeriale Di Virgilio, che la completò con l’attributo Permanente, al fine di garantire una tutela sine die. Con il termine accoglienza si è voluto enfatizzare la fine della fase riabilitativa e il passaggio ad una nuova fase, che possa assicurare l’assistenza a persone in stato vegetativo o di minima coscienza, quando questa non è realizzabile al domicilio, per non gravare in termini fisici e psicologici sulla famiglia. Benché l’accoglienza in SUAP rappresenti un’opportunità, la famiglia vive questo momento di passaggio con un senso frustrazione, in quanto risulta difficile riuscire a comprendere ed accettare la discrepanza tra le fasi e i tempi dei percorsi sanitari e quanto ritenuto necessario per il proprio caro. Proprio per far fronte a questa criticità la nostra équipe ha ritenuto opportuno creare un momento di incontro con la famiglia che, necessariamente, deve avvenire prima del trasferimento del paziente nella Speciale Unità di Accoglienza Permanente. Nella triade delle risorse umane coinvolte in questa nuova alleanza terapeutica-assistenziale - persona in stato vegetativo o in stato di minima coscienza, famiglia ed équipe - la famiglia gioca il ruolo decisivo per il trasferimento nella SUAP, in quanto la persona direttamente coinvolta non può esprimere le proprie volontà. Nella fase dell’emergenza e, generalmente anche nella fase della riabilitazione intensiva precoce, né il paziente né la famiglia decidono dove debbano avvenire le cure; nelle fasi assistenziali avanzate invece, proprio alla famiglia spetta la responsabilità decisionale di scegliere dove e come proseguire il percorso assistenziale. Quando i colleghi della fase riabilitativa intensiva segnalano un possibile candidato per la SUAP - un paziente che permane in stato vegetativo o di minima coscienza dopo mesi dall’evento acuto significa che è già stato completato un percorso diagnostico-terapeutico-riabilitativo adeguato per modalità e tempi, per cui elementi decisivi non sono di per sé le caratteristiche cliniche (ad esempio eziologia dello stato vegetativo, presenza o meno di cannula tracheostomica, di piaghe da decubito o di altre complicanze, ecc), ma piuttosto un momento di condivisione con la 55 TORNARE A CASA famiglia sulle modalità assistenziali. Il permanere in una condizione così grave assume il significato che “il miracolo tanto atteso non si è avverato” e il trasferimento in una lungodegenza viene sempre vissuto come la fine di ogni speranza. Per questo motivo è indispensabile un momento di incontro, in cui l’équipe espliciti con la massima chiarezza possibile, le modalità di presa in carico nella SUAP, unità in cui il prendersi cura della persona diventa predominante rispetto al curare e al riabilitare il paziente. Durante l’incontro è necessario illustrare le modalità di un nursing finalizzato ad un’assistenza dignitosa, ma offrire anche la garanzia un’osservazione strutturata delle attività di coscienza poiché una delle maggiori preoccupazioni dei familiari è che non via sia sufficiente attenzione a cogliere un eventuale “risveglio tardivo”. La valutazione strutturata e periodica delle attività di coscienza, attraverso l’utilizzo di una scala neurocomportamentale, assicura un’obiettività che potrebbe venir meno nelle valutazioni di pazienti cronici e aiuta a differenziare il diverso funzionamento di soggetti a bassa responsività. Al termine del colloquio si consegna lo scritto “Il valore della persona in SV”, un breve sunto di riflessioni della nostra équipe e si offre disponibilità per ulteriori incontri se necessari, eventualmente anche con altri familiari al momento non presenti. Il tempo a volte può aver acuito possibili tensioni fra i diversi componenti e creato un divario tra i diversi vissuti e tra le diverse modalità di perseguire soluzioni per il futuro. La persona istituita come tutore è determinante nella scelta del percorso assistenziale, ma non sempre questa è supportata dagli altri componenti della famiglia. Tra le situazioni più frequenti che si possono venir a creare, ci 56 La Speciale Unità di Accoglienza Permanente dell'Istituto S. Anna di Crotone". sono i casi in cui mogli giovani, con bambini o figli adolescenti, optano per il trasferimento in SUAP e non per il rientro a domicilio, per l’incapacità di garantire serenità e tutela ai figli e al tempo stesso assistenza al coniuge in stato vegetativo. Tale scelta può non essere capita e condivisa dalle madri dei pazienti, venendosi così a creare ulteriori tensioni, in situazioni già di per sé difficili da sostenere. A fronte di una tipologia di pazienti sostanzialmente sovrapponibili in termini di responsività e di carico assistenziale, in questi anni abbiamo incontrato familiari con atteggiamenti molto diversi. Il tipo di relazione gioca un ruolo fondamentale: il comportamento di una madre verso il proprio figlio in stato vegetativo è molto diverso dal comportamento, e conseguentemente anche dalle scelte, di un figlio nei confronti del proprio genitore che vive questa stessa condizione. In quest’ultimo caso, trattandosi di condizione che rispecchia il ciclo vitale, i familiari sono più preparati all’istituzionalizzazione, mentre una madre è quasi sempre predisposta ad affrontare anche un impegno fisico e psicologico notevoli, prevedibili nel caso di rientro a domicilio, pur di garantire al proprio figlio il massimo benessere possibile. Uno dei principali obiettivi della nostra équipe è sempre stato il voler offrire, all’interno della SUAP, un clima di serenità, caratterizzato dalla disponibilità a supportare le famiglie nelle loro scelte e ad accompagnarle anche in un progetto di vita per il rientro a domicilio, secondo i tempi e le modalità più appropriate. Una famiglia che decide per il domicilio, deve essere ben consapevole che purtroppo dovrà farsi carico di un peso assistenziale e psicologico notevoli, perché il supporto a livello territoriale è insufficiente rispetto ai bisogni. Anche se solo in pochi casi, durante il periodo di accoglienza in SUAP si sono realizzati quelli che abbiamo definito Progetti di Vita, che collocano la famiglia in una dinamica positiva, volitiva di “riportare a casa” il proprio caro. Di fronte al dilemma tra desiderio di riaccogliere il proprio caro in casa e i timori dell’incapacità a gestirlo, all’équipe spetta il compito di verificare la reale fattibilità di un progetto di vita e l’impegno a concretizzarlo. L’opportunità di un’accoglienza senza termini di scadenza, come è possibile nella SUAP, permette un accompagnamento senza pressing in questa decisione e il coinvolgimento attivo dei familiari individuati come caregivers. Oltre alla preparazione dei familiari, è necessario un programma di allestimen- TORNARE A CASA to del domicilio, di prescrizione degli ausili e di attivazione dei servizi territoriali, che richiede una progressiva sensibilizzazione rispetto a questa condizione di estrema disabilità, ancora poco conosciuta in tutte le sue problematiche. Per le famiglie invece, il cui caro rimane per lungo periodo in SUAP, inizia una nuova fase in cui il trascorrere del tempo, in modo inverso a quanto può avvenire nella fase riabilitativa, può favorire l’instaurarsi di un clima di fiducia, che deriva dall’attenzione quotidiana da parte dell’équipe alla cura anche dei particolari della persona accolta e che è fondamentale nei momenti di maggior criticità, come ad esempio quando possono insorgere complicanze che destabilizzano una condizione cronica. Per quanto riguarda i casi che si concludono con il decesso, questo evento rappresenta il momento doloroso in cui si compie la fine di un percorso difficile, di cui non si conosceva il termine. All’interno della SUAP si cerca sempre di assicurare, quando le condizioni e i tempi lo permettono, quella che si potrebbe definire “intimità della morte”, cioè un insieme di piccoli gesti e di attenzioni per creare, anche all’interno della struttura, condizioni che permettano ai familiari di poter stare accanto al proprio caro nel momento del distacco finale. Per chi lavora nella Speciale Unità di Accoglienza Permanente cosa significa prendersi cura di persone in stato vegetativo o in stato di minima coscienza? Quando si accoglie una persona in stato vegetativo o in stato di minima coscienza nella SUAP, ogni figura professionale deve essere in grado di bilanciare la presa d’atto degli aspetti negativi con gli spazi di possibile operatività. Il conside- rare il paziente non più in quanto tale, ma in quanto persona che vive la sua vita in forma vegetativa, significa che ciascuno deve sentirsi direttamente implicato per farlo sentire a proprio agio nel proprio corpo, per offrirgli uno stato di sicurezza psicologica, in un ambiente umano stabile e in un ambiente fisico confortevole. Se nella fase di riabilitazione precoce, l’équipe subisce la perdita dei propri riferimenti professionali e chiede un segno come gratificazione del proprio lavoro, per chi lavora in una SUAP questa domanda non è più legittima, perché in molti casi – persone in stato vegetativo “Per le famiglie inizia una nuova fase che può favorire l’instaurarsi di un clima di fiducia” cronico – questo segno potrà non manifestarsi mai. Frustante sarebbe lavorare nell’attesa di un’evoluzione positiva, realistico è invece accettare di lavorare sulla propria persona per affinare la capacità di riuscire a rispondere ai bisogni inesprimibili delle persone di cui ci si prende cura. La centralità di tale relazione d’aiuto si basa sulla capacità di ciascun componente dell’équipe, indipendentemente dalla specifica professionalità, di sviluppare capacità relazionali diverse da quelle che comunemente vengono usate negli scambi interpersonali. È necessaria una sinergia espressiva di tutte le nostre modalità comunicative – il tono della voce, il contatto delle nostre mani con il loro corpo…. – e soprattutto una sensibilità ricettiva che richiede investimento di tempo alla ricerca di un contatto. Questo relazione apparentemente unidirezionale richiede una tensione positiva costante a scoprire e mantenere l’attenzione nel tempo all’identità di ogni singola persona accolta, cercando di farla sentire in comunicazione, accettata, osservata, capita, ascoltata. “…la natura unisce, in un percorso di interpenetrazione perenne, due aspetti fondamentali: vita interiore e apparenza del visibile…” Troppo avvezzi all’apparenza del visibile, il rapportarsi con queste persone a bassa responsività può essere insostenibile, per cui si può essere anche molto efficienti nel fornire loro assistenza, ma incapaci di percepirli come esseri umani. Se questo rispetto per la loro vita interiore viene meno, il lavoro si riduce ad occuparsi di corpi “disabitati”, che possono essere solo molto impegnativi da accudire …. Una delle maggiori difficoltà per l’équipe deriva dunque dalla necessità di conciliare un’organizzazione molto strutturata di tutte le attività di reparto con l’attenzione al particolare di ogni singola persona accolta, ma proprio in questo consiste la sfida umana e professionale per chi lavora all’interno della SUAP. In questo momento, in cui mi è stato chiesto di dedicarmi a pazienti nella fase riabilitativa intensiva precoce, provo un senso di profonda gratitudine per quanto queste persone e le loro famiglie hanno contribuito, in questi cinque anni, ad arricchire la mia esperienza umana e professionale. Desidero anche ringraziare coloro che mi sono stati vicini in questi anni: il Prof. Giuliano Dolce con il quale ho condiviso molti momenti di riflessione sulla vita vegetativa e sulla proporzionalità delle cure; la Dottoressa Maria Girolama Raso con la quale ho vissuto l’esperienza quotidiana del prendersi cura di persone in stato vegetativo cronico; la Dottoressa Giuseppina Pirozzi e il Dottor Giovanni Pugliese, che mi hanno concesso questo spazio di libertà, in cui poter proporre un modello sanitario basato sull’accoglienza. 57 LA NOSTRA STORIA Un uomo di grande valore umanistico e scientifico Francesco Roncati Foto gentilmente fornita dall’Istituzione Gian Franco Minguzzi, Bologna di Giuseppe Quercioli V ia Sant’Isaia 90, un portone scuro sempre aperto di giorno, chiuso di notte, un cortile e in fondo una facciata settecentesca con l’insegna: OSPEDALE PSICHIATRICO FRANCESCO RONCATI. Ma chi era Francesco Roncati? Chi lo ricorda ? Era il direttore e innovatore della psichiatria moderna. Direttore dell’ospedale provinciale, fu un uomo di grande valore umanistico e scientifico. Era chiamato dal popolino, “II dottore dei poveri” perché curava indistintamente ricchi e poveri e per quest’ultimi spesso e volentieri non chiedeva la parcella. Un vecchio detto bolognese messo sulla bocca del professore era questo “Esco dal piccolo e vado nel grande” inteso come manicomio, un ospedale umanizzato che lui fortemente volle, strappandolo al demanio, per adattarlo a moderno ospedale per la cura e il reinserimento dei malati di mente. Era nato a Spilamberto nel modenese il 10 Giugno del 1834,e laureatesi in Modena con il massimo dei voti. Medico dei “Pazzi” iniziò la propria attività presso l’Opera vergognosi che a quel tempo era l'amministrazione dei malati di mente ubicati nel vecchio ospedale S Orsola,in un casermone adiacente la fossa che divideva, accanto alle vecchie mura, il centro con la periferia II ricovero dei malati di menti a quel tempo dove la medicina scientifica vagava in un buio totale,erano confusi con la feccia della città, i mendicanti, delinquenti comuni e gli insani di mente. Roncati, giovane medico con idee moderne, lottò con estrema concretezza affinchè i malati fossero tolti dal 58 decadente ospedale-serraglio e ubicati in luoghi più atti al reinserimento alla vita sociale. In un vecchio opuscolo a sua firma con il titolo “Ragioni e modi di costruzione e ordinamento del manicomio di Bologna” scriveva: “Il luogo dove ora sono depositati questi poveri derelitti è disadatto agli usi e ai servizi, poìché sono manchevoli di cubicità nei dormitoi, mancabili di passaggi scoperti, ciò non solo agli uomini,ma anche alle donne, quanto ai due cortili e alla porta terrena delle due stanze (buona metà dell’istituto, sottostava di metri dal livello della strada) disagevole quando pioveva e nel tempo invernale. Poi a rimpetto di una grande corsia delle pazze,e da ciò la frequente veduta libera di sguaiate ossessività, poiché correva lungo il muro di cinta a settentrione, una pubblica via, dalla quale i passanti ben potevano udire e vedere le incomposte grida delle agitate, ed anche per ricambio, invisare a queste sopra il capo, i ciottoli della via”. Dunque un vero serraglio alla vista dei passanti, che rispondevano con gesti inconsulti e spesso con sassate. In questa tragica situazione Roncati giovane medico, si era fatto portavoce con altri professori per un ospedale vero dove la malattia poteva essere curata con i criteri dell’epoca, ma erano voci e incitamenti che cadevano nel vuoto, poiché l’Opera dei Vergognosi a cui era affidata da quasi un secolo la tutela dei malati di menti, non era in grado economicamente di provvedere ad un nuovo ospedale idoneo al bisogno. Dopo l’occupazione delle armate Napoleoniche con la soppressione di parecchi edifici religiosi, e la nuova legge comunale e provinciale, la tutela dei malati di mente passò come giurisdizione alla Deputazione Provinciale. Francesco Roncati trovò così come interlocutore un nuovo soggetto a cui esprimere i concetti di un nuovo ospedale. Infatti Roncati dopo aver visitato parecchi ospedali moderni nel nord Europa espose un piano dettagliato alla Deputazione Provinciale che ne prese atto. La Deputazione dopo parecchie osservazioni sul piano organizzativo di un nuovo ospedale, trovò a disposizione,uno dei tanti conventi dimessi dalle leggi napoleoniche: II Convento delle suore Domenicane ubicato in via Sant’Isaia novanta. In poco tempo, la Deputazione Provinciale acquistò dal demanio il vecchio convento e lo edificò a norma per i poveri malati di mente. Francesco Roncati visse tutta la sua vita, tra le mura del vecchio convento, dedicandosi interamente allo studio e alla sperimentazione della cura dei malati di mente. Nel 1867 divenne professore incaricato alla cattedra di igiene e di medicina legale presso l’Università di Bologna, fino ad essere insignito quale vice rettore della stessa università. In questo ruolo, di grande risonanza umanistica fu il discorso all’apertura dell’anno accademico all’Università di Bologna nell’anno 1894 il 5 Novembre discorso che ebbe grande risonanza negli ambienti altolocati della città e che causò al Roncati parecchie inamicizie. Si racconta che tra i sostenitori di Roncati, vi fu Alfredo Testoni, scrittore, giornalista e commediografo che scrisse una lode pubblica su questo memorabile discorso che aveva il sapore di accusa sui costumi e sugli usi della grande borghesia bolognese. Roncati tentò, a malavoglia,anche la strada della politica locale: fu eletto in Consiglio Comunale, ma subito dopo dette le dimissione, preferendo il suo lavoro. Morì nel 1910 e alla dipartita lasciò tutti i suoi averi, compreso un milione, cifra molto alta per quei tempi, in denaro liquido all'Opera per i malati mentali. È sepolto al suo paese, Spilamberto, in provincia di Modena. IL RACCONTO Saper accettare i fatti della vita L’uomo dalla Grande Anima di C’ Alessandro Tosini Scrittore era una volta un Uomo dalla Grande Anima. Poiché molti erano travolti, sommersi, resi ciechi dalla frenesia del mondo moderno, sembravano non rendersi conto che lui era un Uomo dalla Grande Anima. Per fortuna c’era ancora chi, in tutta quella grande confusione, una desolante perdita di valori, aveva buon senso e trovava il tempo per fermarsi. Rifletteva e capiva che quello era un Uomo dalla Grande Anima e gli voleva molto bene. L’Uomo dalla Grande Anima voleva bene a tutte le persone. Il suo amore per gli altri era gratuito e disinteressato. Credeva molto nell’amicizia, che per lui rappresentava un valore profondo grande ed importante. Un valore troppo spesso, consciamente o inconsciamente, maltrattato dalle persone egoiste. Poiché pensava questo, l’Uomo dalla Grande Anima non diventava triste quando veniva dimenticato da molti. Gli bastava invece molto poco per sentirsi felice. Era felice quando le persone gli dimostravano affetto. Aveva imparato a trovare la felicità nelle piccole cose, nei gesti e nelle parole che sembravano non significare nulla, come un saluto o una gentilezza. Credeva che prima di essere felici con gli altri fosse meglio imparare ad essere felici con e di se stessi, con quello che si aveva e di quello che si era. Sapeva trovare la felicità anche nel sorriso che facevano gli altri quando lo vedevano. Soprattutto però l’Uomo dalla Grande Anima era felice di vivere. Amava la vita. Pensava che la vita fosse una cosa stupenda. Avrebbe potuto scrivere per lei mille e mille parole d’amore. Forse però le parole umane non sarebbero bastate per descrivere la grandezza della vita. L’Uomo dalla Grande Anima pensava che la vita fosse un regalo di Dio, un dono d’amore. Pensava che fosse l’opportunità di esserci, di vivere, di partecipare alla vita. Un giorno, passeggiando per la via, l'Uomo dalla Grande Anima incontrò un amico. Questi, scuro in volto, camminava a testa bassa. “Mi sembri triste. Cos’hai?” gli domandò l'Uomo dalla Grande Anima. “Ah, la vita è molto dura” rispose l’amico. “Hai ragione” disse l’Uomo dalla Grande Anima. “Forse però tu ora stai attraversando un brutto ed infelice periodo. Non ti devi abbattere” continuò, cercando di confortarlo. “Io penso che vivere possa essere facile e difficile. Si possono incontrare buona e cattiva sorte, serenità e agitazione, gioie e dolori” aggiunse. L’uomo lo ascoltava attentamente. “Io credo, amico mio, che la vita non sia poi molto diversa da un grande gioco, una gara, una partita. Un gioco più o meno bello, tranquillo, violento, doloroso. Con regole più o meno giuste”. L’Uomo dalla Grande Anima fece una pausa. L’amico restava silenzioso ed attento. “Caro amico, ricorda poi” riprese l’Uomo dalla Grande Anima “che c’è una felicità più grande di quella a cui aspiri tu. È molto più difficile da raggiungere, ma sa riempire il cuore in un modo meraviglioso. È la felicità che si può trovare negli altri. È la capacità di essere felici della felicità altrui. È la gioia che si prova nel vedere l’altro sorridere. E questa stessa gioia è ben più grande se l’altro sorride per merito nostro. Ed è poi gioia fare una rinuncia nel desiderio di regalare felicità”. Rinfrancato, l’amico ringraziò l’Uomo dalla Grande Anima per quelle belle parole. Gli strinse la mano e lo abbracciò. I due poi si separarono. Solo nella sua casa, l’Uomo dalla Grande Anima pensò che la vita fosse davvero un dono molto particolare, perché a volte poteva fare male come niente 59 IL RACCONTO AMICI DI LUCA altro. Questo però non dava il diritto di odiarla. Bestemmiare la propria esistenza in qualsiasi modo voleva dire commettere un grave peccato. Ancor più grave peccato era rifiutare questa grazia concessa, cercando di distruggere, annientare, la propria vita. Era gravissimo il peccato di chi ostacolava o attentava all'esistenza altrui. Purtroppo, considerando i casi più tristi, a volte il prezzo da pagare alla vita era molto alto. Non bisognava però fermarsi impaurirsi ed indietreggiare, o battersi in ritirata, dinanzi alle situazioni umane, ai casi della vita. Casi che si potevano guardare come nuove sfide, nuove gare a cui la vita stessa metteva di fronte. Gare in cui non importava arrivare primo o ultimo. Quello che contava era tagliare il traguardo. “L’arte di vivere presuppone sempre una certa percentuale di rischio” si disse l’Uomo dalla Grande Anima. “Il rischio fa dunque parte della vita. È un mezzo per andare avanti. E nella vita bisogna sempre proseguire, perché è la vita stessa che non si ferma mai, e tantomeno aspetta. Si può solo rimanere indietro. E quanta fatica ci vuole per recuperare”. Un altro giorno l’Uomo dalla 60 Grande Anima passeggiava per le vie della città, quando giunse ad una grande piazza dal selciato di terra battuta. Al centro c’era una bella fontana da cui zampillava l’acqua fresca e chiara. Intorno giocavano dei bambini. Alcuni di questi gridavano e correvano fra i colombi bianchi, che spaventati si alzavano in volo. “L’arte di vivere presuppone sempre una certa percentuale di rischio” L’Uomo dalla Grande Anima sorrise. “Una parte di noi non deve mai crescere” si disse. “Non deve perdere la felicità, la gioia di voler vivere, la capacità di sognare e sorridere, la voglia di ridere, scherzare, giocare. Non si deve perdere l’entusiasmo del vivere. Perché per certi aspetti la vita è un gioco, una festa. Non bisogna lasciare che cuore ed anima si scolorino, diventino vecchi, passivi e s’intristiscano. Nella vita, momenti richiedono sicuramente serietà e maturità, ma altri si possono di certo affrontare con leggerezza e spensieratezza”. Venne un altro giorno ancora e l’Uomo dalla Grande Anima lasciò questa terra. In vita aveva fatto tanto per gli altri. Aveva saputo accettare i fatti della vita. A volte il comportamento delle persone non era purtroppo stato come se lo era aspettato. L’Uomo dalla Grande Anima aveva amato tanto e perdonato molto. E così morì felice. Poco lontano c’era un Uomo dalla Piccola Anima. La sua vita era molto somigliata a quella dell’Uomo dalla Grande Anima. Diversamente però l'Uomo dalla Piccola Anima morì dispiaciuto, deluso dal mondo. In punto di morte trovò il tempo per una preghiera a Dio. Gli chiese di perdonare tutti gli uomini, perché lui proprio non c’era riuscito. Alessandro Tosini nato a Bani (Repubblica Domenicana) da genitori italiani, vive a Parma e lavora nel campo dell’informatica. Da anni coltiva la passione artistica, scrivendo poesie, favole, racconti. Ha frequentato un corso di teatro e fondato una compagnia, facendo alcuni spettacoli. Recentemente la Casa Editrice Maremmi di Firenze ha pubblicato il suo racconto “La Fantastoria dell’Umanità”. ([email protected]) sostiene la “Casa dei Risvegli Luca De Nigris” Graphic Service S.r.l. - Via della Tecnica, 31 - 40068 San Lazzaro di Savena (BO) - Italy Tel. 051 62 56 504 - Fax 051 62 59 297 PSICOANALISI E NEUROSCIENZE Situazioni marginali dell’essere e coscienza di sè La cultura secondo natura distruzione del mondo. Per Fromm, che condivide la posizione di RousGiuseppe Battaglia seau, l’aggressività è il risultato di Psicoanalista, Docente e didatta Istituto Erich Fromm di Psicoanalisi una reazione agli stimoli esterni; non Neofreudiana, Bologna esiste un periodo evolutivo protostorico in cui si è selezionato un istinto maligno intraspecifico come ipotizza ella cultura occidentale coesil’etologo Lorenz. Fromm nota che stono due concezioni filosofiche non esistono prove che confermano le contrapposte sull’origine e l’uso delipotesi dell’etologo inglese e che l’aggressività umana che hanno costicomunque un’ipotesi non può mai tuito due modelli di pensiero, una è sostenere una prova. Fromm sostiene quella del filosofo inglese Hobbes che anche nella costruzione della teosecondo la quale gli uomini si relaria di Lorenz emerga il vecchio conzionano come lupi. È nota a tutti, l’ecetto della guerra come condizione spressione di “homo homini lupus” naturale dell’uomo, che è una derivache il filosofo usa per connotare le zione della errata concezione di Hobrelazioni umane. L’altra posizione è bes. La credenza di Hobbes e di Freud quella espressa dal filosofo francese è smentita da tanti fatti. Gli animali Rousseau, che sostiene l’innocenza esibiscono aggressività intraspecifica del bambino e ritiene responsabile ma nella stragrande maggioranza dei della violenza la società. La conceziocasi succede quando vivono in cattine esistenziale di Freud e la teoria sulvità, rinchiusi nei recinti degli zoo, l’uomo che ne derivano, sono ispirate dove, costretti a condurre la loro esidalla filosofia di Hobbes. stenza in spazi ristretti e innaturali, E. Fromm critica la posizione del l’aggressività la rivolgono anche padre della psicoanalisi e in “Anatoverso se stessi. L’uomo costretto a mia della distruttività umana” affervivere all’interno di qualsiasi istituma che l’aggressività dell’uomo non zione totale, come sostiene il socioloè un istinto alimentato da un incesgo di origine canadese Goffman, vive sante fluire di energia endogena diretuna condizione di diseredato a cui ta verso l’esterno alla ricerca della viene negato il diritto di essere uomo. All’interno dell’istituzione totale l’individuo perde il destino di essere umano perché accumula dentro di se, colpa e malattia. È la stessa organizzazione sociale, che dopo aver creato violenza, per contenerla, ha inventato Jean-Jacques Rousseau Thomas Hobbes il concetto di norma di N Erich Fromm e successivamente gli addetti al mantenimento all’igiene sociale, i funzionalisti, hanno costruito le patologie come fatto monadico individuale e diffuso la malattia mentale. Tutte le prove indicano che l’uomo ai fini della sopravvivenza nei gruppi che vivevano in ampi spazi, ha dovuto affinare le sue capacità altruistiche, a partire dalla ricerca del cibo, dalla distribuzione e dalla condivisione di questo con gli altri. Senza la collaborazione, la condivisione e il sostegno del gruppo l’uomo non avrebbe mai potuto sopravvivere. Sfornito di armi biologiche naturali, ha dovuto fare della collaborazione e dell’organizzazione sociale la sua arma migliore. Costretto dalla sua debolezza biologica, ha dovuto affinare le abilità relazionali. Questo’obbligo comportamentale da origine allo sviluppo del suo cervello sociale. La costituzione bio-psichica consente all’uomo di impegnarsi in molteplici e differenti attività. La sua relazione con l’ambiente è caratterizzata da flessibilità e apertura. L’uomo alla nascita può fare affidamento solo al suo debole bagaglio 61 PSICOANALISI E NEUROSCIENZE biologico, può fare un’esperienza incompleta di se e della realtà. Il programma di maturazione viene completato fuori dall’utero man mano che cresce e diventa un essere culturale. La cultura è un complessivo modo di vivere, espresso in simboli, è trasmessa da chi si prende cura del bambino, essa diventa la seconda natura. Sono dunque i condizionamenti psichici e le aspettative sociali a cui il bambino è sottoposto, mediati dalle istituzioni negli zoo metropolitani che lo accolgono che pongono le condizioni di base per gli orientamenti della vita successiva. I modi di divenire esseri umani sono numerosi quanto le culture esistenti, non mi riferisco solo alle culture altre della Polinesia, o degli aborigeni australiani, ma alla cultura della famiglia della porta accanto, produttrice nel suo micro mondo dell’allevamento dei bambini e nella trasmissione simbolica. L’uomo si auto produce e l’autoproduzione è un’impresa sociale che a sua volta crea contenitori simbolici in cui vivere. Gli animali, diversamente dagli esseri umani, non producono ambienti e tantomeno ambienti sociali, essi possono solo vivere dentro al contenitore naturale che trovano, in cui sono stati selezionati, a cui il loro programma biologico si è adattato. L’attività umana crea ambienti e istituzioni, ed è soggetta all’abitualizzazione, questo implica che l’azione può essere eseguita in futuro in modo simile. Lo sfondo delle attività abitualizzate tiene libero il piano per l’innovazione e in questo modo si evita l’accumulo di tensione dato dal dover ripartire daccapo tutte le volte. L’istituzionalizzazione è trasmessa da gruppi esecutori, essa si realizza dove vi sono tipizzazioni di azioni da interiorizzare. L’uomo è un costruttore di storie, ed è frutto della sua psicostoria. Anche le istituzioni hanno uno sviluppo storico ed esse forniscono uno schema di condotta dando dei punti di riferimento entro cui l’individuo trova il suo orientamento. Un com62 portamento viene tramandato dopo essere stato sottoposto all’opinione della collettività e accettato, da questo momento inizia una coazione a ripetere da cui è difficile sottrarsi anche se l’evento da ripetere è doloroso. L’individuo primariamente cerca la relazione, non il piacere come ha sostenuto Freud, ed è questo il motivo della ripetizione anche se è dolorosa, esso deve salvaguardare prima di tutto la relazionalità. Tutte le esperienze ritenute nella biografia di un individuo si sedimentano, cioè, si stabiliscono nella memoria diventando entità riconoscibili da richiamare al momento opportuno. “Attraverso la legittimazione l’individuo sa perché le cose stanno come stanno, giuste o sbagliate che siano” Quando l’individuo ha una biografia comune, la sedimentazione diventa intersoggettiva e viene oggettivata in un sistema di simboli, di cui il più importante è il linguaggio parlato. Il linguaggio è il deposito culturale dell’esperienza sociale, esso si esprime nella veglia e nei sogni. Un’ istituzione è fondata sul riconoscimento collettivo perché fornisce soluzioni permanenti a problemi permanenti e si tramanda alle generazioni successive. La trasmissione di significati acquisiti implica procedimenti di controllo e di legittimazione e per questo vengono designati i trasmettitori di significati, che possono essere positivi o negativi, costruttivi o distruttivi. L’organizzazione sociale dei grandi agglomerati umani ha creato una moltiplicazione di compiti specifici e soluzioni standardizzate che apprese vengono trasmesse, dando vita alle specializzazioni. L’istituzionalizzazione come la socializzazione, è un’acquisizione storica soggetta a mutamenti, non è un processo irreversibile. Dalle legittimazioni, che hanno sempre elementi cognitivi, si formano gli universi simbolici, che producono nuovi significati che integrano quelli già attribuiti. La legittimazione trasmette valori, essa implica sempre la conoscenza e spiega perché l’individuo dovrebbe compiere un’azione, prendere una decisione e non altre. Quando l’individuo in tutte le sue fasi evolutive, in particolare in quelle primarie, non è legittimato, vive in una bolla di isolamento, separato vive una condizione di incertezza e paura in cui sorge la patologia. Attraverso la legittimazione l’individuo sa perché le cose stanno come stanno, giuste o sbagliate che siano. L’individuo legittimato trova un posto nel mondo, può prendere decisioni e criticare. Per suo tramite, avviene il processo di individuazione ed acquisizione di una identità personale e di un ruolo, che lo salvaguardano dall’isolamento patologico. La legittimazione spiega l’ordine istituzionale attribuendo validità conoscitiva ai suoi significati oggettivati e lo giustifica conferendo dignità. I sociologi americani Berger e Lukman, distinguono diversi livelli di legittimazione: pre teoretica; teoretica implicita; teoretica esplicita e simbolica. Al primo livello, pre teoretico, appartengono tutte le semplici affermazioni di tipo tradizionale, che sono le prime risposte che in genere si danno ai bambini quando iniziano a porre i loro primi perchè: gli adulti dicono ai figli “così devono essere fatte le cose”. Il primo livello si realizza tramite la trasmissione di un vocabolario linguistico come quello della parentela: mamma, papà, nonna, nonno; che sono anche le prime parole che i bambini pronunciano. È il linguaggio che legittima il grado di vicinanza e la struttura emozionale. È per PSICOANALISI E NEUROSCIENZE questo che la psicoterapia deve essere relazione di linguaggi condivisi. Il secondo livello contiene affermazioni teoretiche di tipo implicito e rudimentale le quali possiedono un carattere pratico e direttamente legato alle azioni concrete. Fanno parte di questo livello i proverbi, i racconti, le leggende. Il bambino in questo periodo può imparare massime che dicono: “a chi dice bugie gli cresce il naso”; “se non mangi arriva il lupo cattivo”; “se sei cattivo sei figlio del demonio”. Bisogna fare molta attenzione ai racconti e alle massime che si dicono ai bambini perché queste conservate nella memoria diventeranno i fatti marginali della coscienza. Il terzo livello di legittimazione è dato dalle teorie esplicite, esso è costituito da un corpo di conoscenze differenziate. Queste creano strutture di riferimento ampie per i rispettivi settori di condotta da istituzionalizzare, per esempio, i comandamenti e le leggi, da cui si origineranno Super Io e Ideale dell’Io. A causa della complessità delle istituzioni, si forma un personale specializzato alla trasmissione. A questo livello si potrà fornire una teoria sociale della famiglia, dei diritti e dei doveri della madre e del padre. La trasmissione del corpo legittimante era affidata in passato agli anziani del clan, custodi della teoria e addetti ai riti di passaggio, tramite i quali si tramandavano le regole della convivenza e della cultura. Gli anziani, erano i custodi della conoscenza e gli iniziatori, essi erano i traghettatori delle situazioni transizionali della vita individuale. Ciò che è legittimato, raggiunge un certo grado di autonomia e ha una vita indipendente rispetto alle istituzioni e col passare del tempo si creano processi istituzionali propri. Questo vale per le istituzioni sociali esterne, come per quelle interne, sedimentate nella mente di ogni individuo. La parola “padre”, successivament non si riferirà più solamente al grado e al ruolo di parentela reale, ma anche a perso- ne che detengono cariche nelle gerarchie sociali, divenendo questi simboli rappresentazionali di parentela carichi di significati emotivi che determineranno la qualità delle relazioni. Questo può accadere anche per la parola “madre”, e così abbiamo madre natura, madre terra, madre patria, matriarca, matrigna. Il quarto livello si riferisce agli universi simbolici, questi sono corpi teorici di tradizione che integrano diverse sfere di significato e che abbracciano l’ordine istituzionale in una totalità di simboli. Tutta l’esperienza umana si svolge all’interno degli universi simbolici, i “Tutta l’esperienza umana si svolge all’interno degli universi simbolici, i quali contengono i processi di significazione, che indicano realtà non evidenti nell’esperienza” quali contengono i processi di significazione, che indicano realtà non evidenti nell’esperienza. L’universo simbolico sta dietro ad ogni immaginazione e a tutte le riflessioni creando le emozioni conseguenti, esso è la matrice di tutti i significati socialmente oggettivati. L’intera società storica, e tutta la biografia dell’individuo, si sviluppano all’interno di questo universo. Della realtà simbolica si fa esperienza oltre che nella veglia, anche nei sogni e nelle fantasie ad occhi aperti. Dentro l’universo simbolico, i regni separati si unificano e si integrano in un’ unità significativa che li spiega. La vita da svegli e i sogni possono essere letti tramite una teoria psicologica specifica che fa parte di un universo teorico più esteso. L’universo simbolico viene costruito dalle oggettivazioni sociali, ma la sua capacità di dare significato oltrepassa le sfere della stessa vita che le ha espresse. L’individuo deve collocarsi dentro questo universo anche nelle sue esperienze più solitarie. Quando la collocazione non è possibile perché i fatti marginali dilagano nella coscienza, l’integrità e la coesione di se, si spezzano, si crea una frattura degenerativa della mente che pone l’individuo in una condizione schizofrenica. Non è vero che i rapporti sociali sono un mezzo per la soddisfazione degli istinti e la relazione affettiva un derivato secondario, tutte le moderne teorie sociali oggi confermano che l’esigenza primaria dell’uomo è la relazione con chi si prende cura e successivamente con tutto l’ambiente. Lo psicanalista inglese Fairbairn afferma che i bambini fin dalla nascita sono alla ricerca della relazione e lo psicanalista J. Bowlby, traendo le sue riflessioni dalle più moderne teorie evoluzioniste, afferma che come succede in molte altre specie animali l’attaccamento è un comportamento innato, selezionato nel corso dell’evoluzione ai fini della sopravvivenza. Lo psicanalista americano D. Stern, sostiene che l’uomo è dotato di un principio organizzatore, biologico aggiungo io, che si articola attorno al suo Se e che lo origina allo stesso tempo. Il senso del Se emergente si sviluppa attraverso salti qualitativi in cui ogni fase è determinata dalle relazioni con gli altri. Non esiste per Stern nessuna fase autistica primaria e come tanti altri ricercatori, ha osservato che i neonati reagiscono immediatamente all’ambiente perché sono dotati fin dalla nascita di un programma biologico di orientamento verso il mondo. Non esiste una fase simbiotica, i bambini fra i nove e i diciotto mesi, sono alla ricerca di una unione intersoggettiva. I bisogni di attaccamento e di autonomia, sono spinte che l’individuo vive per tutta la vita che si manifestano con la modalità 63 PSICOANALISI E NEUROSCIENZE del periodo specifico in cui si presentano, non sono stadi dello sviluppo, dipendenti da spinte pulsionali che cercano soddisfazioni edonistiche. L’autonomia non comincia con il controllo degli sfinteri come ha sostenuto Freud, il neonato già a tre mesi assume il contatto visivo con lo sguardo, che può orientarlo e distoglierlo chiudendo gli occhi o aprendoli, ponendo in tal modo la sua interazione col mondo. I ruoli istituzionali, diventano modi d’integrazione partecipativa che trascendono e allo stesso tempo includono. La legittimazione suprema delle azioni corrette nella struttura Henri Rousseau, “Bambino con marionetta”, 1903. di parentela potrà e dallo smarrimento, dopo aver vagaricevere una collocazione religiosa e to nel deserto per tanti anni, nel allora una violazione dell’ordine momento in cui il loro condottiero si diventa trasgressione della divinità. allontanò per salire sul Sinai, costruiL’incesto avrà qui la sua condanna rono un vitello d’oro e cercarono altri definitiva; “onora il padre e la oggetti simbolici per trovare sicurezmadre”, “non desiderare la donna di za e orientamento. Gli universi simaltri” dicono le sacre tavole della bolici sacri e profani creano un ordilegge consegnate a Mosè. Lo stesso ne per la percezione soggettiva delavviene per le scorrettezze economil’esperienza biografica di se, il fedeche, “non rubare” o per altre deviale, inserito nell’universo simbolico zioni dalle norme istituzionali, i limidella sua religione percepisce se stesti delle legittimazioni supreme coinso anche attraverso i simboli della cidono con i limiti dei legittimatori. Mosè, ha potuto creare un’ istituzione fede che ha abbracciato. L’universo sociale e religiosa perché ha battuto simbolico personale, determina il in modo spettacolare i maghi e tutti i significato dei sogni perché in essi sacerdoti del faraone, poi ha separato emerge il senso di orientamento e le acque del Mar Rosso. Dopo che la devozione della vita del sognatore. manifestazione dei suoi simboli si è L’universo simbolico mitiga la mostrata più potente di quella dei mediazione della realtà scioccante e sacerdoti del faraone si è legittimato accompagna il passaggio da una e il popolo ha creduto in lui, ma realtà emotiva ad un’altra. Quando le quando nel deserto, i suoi simboli si sfere di significato della realtà della indebolirono, il suo prestigio barcolvita quotidiana sono incomprensibili, lò e tutta la sua opera istituzionale di restano isolate nella coscienza e non unificazione sociale rischiò di andare potendo essere collocate nell’univerin frantumi. so simbolico personale perché indeGli ebrei per uscire dalla confusione cifrabili diventano terrificanti. L’inte64 grazione delle situazioni marginali nella realtà dominante della vita quotidiana è importante perchè queste costituiscono la minaccia più seria per l’esistenza dell’uomo. Se si pensa all’esistenza come alla faccia diurna della vita, le situazioni marginali sono la faccia notturna, minacciosamente collocate alla periferia della coscienza. C’è sempre un pensiero pronto ad insinuarsi nella mente dell’uomo che dice che la realtà può essere inghiottita dagli incubi spaventosi della notte e che forse la vita è solo un’illusione. Una mia amica diceva di avere paura di lasciare l’uomo sposato che amava perché questo pensiero era immediatamente seguito da una insopportabile terribile fantasia, s’immaginava sola, smarrita in un deserto senza confini. Faceva fatica ad integrare la vita marginale dell’incubo “notturno” con la realtà della vita diurna; suo fratello diceva che era una sfascia famiglia, sua madre la incolpava che nella sua vita non era mai riuscita a tenersi un uomo, questa situazione la poneva ai confini dell’istituzione familiare e sociale. Pur dentro ai confini contenitivi delle istituzioni del giorno, era posta fuori dai sacri vincoli della vicinanza della parentela. Il suo Se, in questa condizione, percepisce il fuoco delle fiamme che un tempo ha avvolto i corpi delle streghe e smarrisce il calore dell’amore. l terrifici contenuti marginali della notte riducono Il suo universo simbolico a pezzi. Ripeteva dolorosamente a se stessa: “non mi doveva capitare una cosa del genere”. La colpa era accresciuta anche dal suo universo simbolico religioso perché oltre a trasgredire l’ordine istituzionale della famiglia, stava trasgredendo l’ordine della divinità che racco- PSICOANALISI E NEUROSCIENZE manda di non desiderare la donna di altri. Simili pensieri di terrore potranno essere modificati quando disporrà di un universo simbolico che li contiene e allora potrà abbracciare con gioia la realtà diurna della quotidianità. Quando l’individuo si allontana dalla consapevolezza dell’ordine reale, l’elaborazione dell’universo simbolico permette di ritornare alla realtà perche fornisce la legittimazione all’ordine istituzionale conferendogli il primato nella gerarchia diurna dell’esperienza. L’universo simbolico realizza il più alto livello di integrazione unificando i significati divergenti della vita, esso permette di creare un ordine nelle diverse fasi storiche della crescita dell’individuo. Negli ordinamenti “primitivi”, i riti di passaggio svolgevano una funzione ordinatrice importante per il singolo che integrava il suo se e s’integrava nell’istituzione, il rito era un procedimento di individuazione e per suo tramite si attraversavano i terrifici confini dell’esistenza. Il bimbo, caricato di simboli nuovi diventava uomo, dall’essere indifeso che era, passava a difensore del gruppo, diventava cacciatore e guerriero. L’individuo, attraversando il confine del rito, acquisiva all’interno dell’istituzione ruolo e status, accompagnati dal prestigio e dall’orgoglio di essere capofamiglia, padre, cacciatore, guerriero e che anziano con i suoi psicoracconti carichi di emozioni storicizzava i giovani del suo clan. Ad ogni età, la periodizzazione della vita veniva rinegoziata e risimbolizzata e in tal modo veniva rimessa in relazione con la totalità dei significati della collettività. Tutte le fasi biografiche di bambino, adulto, anziano, erano legittimate come un modo significativo di essere nell’universo simbolico. La condivisione dei simboli crea un sistema di coesione e istituisce un sentimento di vicinanza, di appartenenza, di sicurezza e unione. Una moderna teoria psicologica dello sviluppo, deve abolire il racconto dell’archeologia stadiale delle stratificazioni, l’uomo è stato progettato dalla natura per stare insieme, la vita non può essere vissuta in modo monopersonale e quando accade, la persona entra in un sistema di disperazione e in un clima di terrore. L’individuo monadico non esiste e quando lo diventa anche in modo parziale esce dalla storia e non avendo niente da raccontare impazzisce. È il racconto relazionale bi personale e pluripersonale che può svolgere una funzione di legittimazione storica. L’individuo che passa da una fase biografica all’altra deve poter pensare di costruire una vita storica esemplare e di poterla trasmettere ad altri. Senza una visione positiva dell’avvenire l’individuo si smarrisce, entra in uno stato d’incomprensione di se e della stessa esistenza. L’acquisizione dell’identità non è una costruzione archeologica, ma un evento storico relazionale in cui l’individuo cresce guardando il mondo pensandosi. La vita non può che essere una sequenza di vicinanza naturale che si alterna a separazioni naturali. L’individuo, inserito nel processo della sua storia è rassicurato dal fatto che la sua vita si sta svolgendo in maniera corretta. Quando l’uomo getta lo sguardo nel suo passato, la sua storia diurna deve essere intelligibile, sgombra dagli incubi dei fatti marginali della notte. Quando si proietta nel futuro, deve poter pensare che la sua biografia è inserita all’interno di coordinate condivise. La funzione legittimante appartiene alla certezza della sua identità soggettiva. Ma per sua stessa natura la socializzazione costituisce una soggettività precaria perché dipende, a volte massicciamente, dalle persone importanti che possono cambiare o sparire. La percezione di se come detentore di identità stabile è continuamente minacciata dalle surrealistiche metamorfosi oniriche e dalle fantasie della veglia. L’identità riceve legittimazione quando è posta nel contesto del suo complesso universo simbolico. L’uomo può sapere chi è, solo quando riesce a legare la sua identità ad una realtà cosmica che lo contiene e lo trascende e in tal modo potrà superare i difetti di una mala socializzazione e potrà proteggersi dai danni delle esperienze marginali. Quando sarà travolto dall’incubo dei suoi sogni o dalle terrifiche fantasie, potrà ritrovare se stesso, nel momento in cui il suo Se sarà conosciuto e condiviso da uno o da più membri del gruppo di riferimento di cui si fida e a cui intende affidarsi, in un clima di reciprocità. Questo lo sanno i Teorici delle Scienze Relazionali che credono nella capacità trasformativa della parola viva quando danno voce agli sconosciuti simboli della notte collocati ai margini della coscienza. La supremazia delle oggettivazioni sociali della vita di tutti i giorni può mantenere la sua plausibilità soggettiva soltanto se è costantemente protetta dal terrore. La morte è la minaccia più terrificante per la vita, l’esperienza della morte degli altri, mantiene a galla la previsione della propria, è questa la situazione marginale per eccellenza. Non è vero che tenere in vita è comunque e sempre un atto d’amore, l’uomo cosciente di se deve poter prima di ogni cosa amare se stesso e per poter fare questo deve conoscere, vivere e sapere di essere inserito nella storia dell’umanità. L’importanza di integrare la morte nella realtà della vita è d’importanza fondamentale, l’integrazione avviene quando l’individuo ha la certezza di essere portato nella mente delle persone che ama. Un ruolo determinante è giocato sempre dalla realizzazione dell’universo simbolico della vicinanza e del contatto, questo lo sanno bene gli innamorati, esserne privi, è , essere senza scudo protettivo ed esposti ai terrifici assalti delle situazioni marginali tenuti ai confini della coscienza. 65 VOLONTARIATO Un gruppo di studenti in visita alla Casa dei Risvegli Luca De Nigris, ci racconta le loro impressioni Un percorso disciplinare un po’ speciale: la scoperta della vita attraverso il risveglio a cura di Chiara Bedani Insegnante di Religione Cattolica del Liceo statale “S. Anguissola” - Cremona “M estieri misteri”. Questa affermazione raccolta dalla mente vulcanica di Alessandro Bergonzoni ha fatto nascere in me il desiderio di caratterizzare il percorso disciplinare delle classi quinte privilegiando un accostamento ad alcune esperienze professionali e lavorative, solitamente poco conosciute e pubblicizzate, che si contraddistinguono per il servizio all’uomo e la promozione dell’umano. Un tentativo di inserirmi nell’obbiettivo generale e trasversale alle discipline “dell’orientamento postdiploma” volendo travalicare i confini delle frenetiche consultazioni di depliant traboccanti di “tre+due, piano degli studi, indirizzi, sbocchi professionali…” per favorire piuttosto il palpitare delle menti e dei cuori. È così che, dopo l’incontro personale con il Signor Fulvio e gli accordi telematici con la signora Antonella, per due martedì consecutivi tra il mese di febbraio e quello di marzo abbiamo letteralmente invaso per un’intera giornata la Casa dei Risvegli Luca De Nigris potendo gustare la calorosa accoglienza e competenza umane e professionali degli stessi Fulvio e Antonella, del signor Stefano e degli amici della compagnia teatrale “Gli amici di Luca”. Sono gli stessi ragazzi a raccontare che cosa ha significato per loro entrare “in quella casa nel bosco 66 passando tra stanze e circostanze, assaporando la legge di antigravità e la teoria dei visi comunicanti per guardare davvero in faccia il coma”. Essere di fronte alle persone e comunicare. Ecco quello che mi ha trasmesso l’esperienza fatta al centro dei Risvegli […] Vivere un’esperienza come quella fatta da me e da altre ragazze cambia la prospettiva. Vediamo qualcosa che ci obbligano a non vedere o siamo noi stessi a non voler vedere. […] Più indosso “lenti a contatto” o “occhiali da vista” e più capisco che ho l’opportunità di vedere tre mondi: quello che immagino, - quello sfocato, - quello che vedo grazie agli occhiali. […] Ho parlato, ho guardato, ho abbracciato… ho incontrato persone che vogliono vedere con occhi diversi. (Michela) La strada, la strada, la strada…: un luogo in cui tutti camminiamo, viaggiamo da soli o in compagnia, velocemente o lentamente… la strada è un luogo quasi familiare, ma che in un attimo può cambiarti la vita… (Letizia) Molto spesso il coma […] è una foto sul giornale, una notizia alla televisione, l’immagine di una persona immobile ed assente che non comunica con l’ambiente esterno. […] Guardare i volti di queste persone, sentire le loro storie, assistere ad alcune scene di teatro in cui si attribuiva tanta importanza alla comunicazione, al contatto, all’abbraccio mi ha fatto comprendere l’importanza di non dimenticare, di non perdere di vista l’umanità di queste persone. […] Negli ospedali si è solo un malato con il pigiama a pois disteso in un letto; nella Casa dei Risvegli Luca De Nigris tanti nomi, tante foto, tanti oggetti perso- Il gruppo di studenti in visita alla Casa Dei risvegli Luca De Nigris. VOLONTARIATO nali e di famiglia si sostituiscono ad un grigio anonimato. (Rebecca) bilitazione e che gli fanno percepire di non essere soli a lottare (Mariana) Il laboratorio teatrale mi è servito per capire l’esperienza di dolore e sofferenza che il coma ha provocato, ma anche e soprattutto la loro straordinaria voglia di vivere, di vincere il dolore. Questa è la cosa che più mi ha colpita dei loro sguardi: la volontà di lottare per la vita e la consapevolezza che, seppur in alcuni casi con gravi limitazioni fisiche, sono riusciti a sconfiggere il coma. Mi ha colpita molto il ragazzo che riproducendo un pezzo dello spettacolo teatrale pedalava su una cyclette urlando “Io sto bene!”. Questa forza secondo me proviene anche dal fatto che comunque queste persone nella struttura hanno vicino i loro familiari che condividono con loro l’esperienza della ria- La Casa dei Risvegli Luca De Nigris fa riflettere sul senso della vita… su che cosa significhi svegliarsi al mattino mentre la luce filtra dalla finestre e la cucina esala un intenso aroma di caffè… La Casa dei Risvegli ha voluto “entrare” nel coma, per capirlo, e nella bellezza della vita di tutti giorni… Quando avviene il risveglio la persona necessita di tutte le attenzioni, chi più e chi meno, proprio come un bambino deve essere accompagnato nei gesti e nei movimenti. (Alessandro) L’esperienza alla Casa dei Risvegli Luca de Nigris è stata molto interessante in quanto mi ha dato delle infor- mazioni oggettive sul coma… questa realtà spaventa le persone, perché nessuno vorrebbe trovarsi in questa situazione e quindi è come se tutte le realtà “brutte” e “tristi” venissero rimosse o dimenticate da tutti coloro che non le vivono direttamente. (Sara) Due anni e mezzo fa sono passata anch’io dal coma. Visitando la Casa dei Risvegli Luca De Nigris mi sembrava tornare a quel momento. Anch’io sono stata in un padiglione dell’ospedale… con altre persone in condizioni migliori o peggiori delle mie... Quanto detto dal signor Fulvio de Nigris calzava a pennello: nelle sue parole sembrava fossi io a parlare… Anch’io ho una testimonianza da dare ma è ancora presto per avere la forza di raccontarla di fronte a tante persone. (Eleonora) 67 L’ANTROPOSOFIA Educare le forze dell’anima: pensare, sentire, volere Il mistero dell’IO umano al centro di Giovanna Bettini Psicoterapeuta antroposofa A Giovanni il risvegliato nel mondo dello spirito “Porre lo spirito attivo al posto di cio’ che e’stato pensato, vuol dire in quest’epoca sentire la domanda sociale fondamentale” R. Steiner L’umanità alla ricerca di un nuovo equilibrio L’ Antroposofia o Scienza dello Spirito di Rudolf Steiner approfondisce lo studio dell’evoluzione dell’uomo e del mondo. L’uomo si pone con lati d’ombra e luce nella ricerca di un equilibrio dinamico tra polarità. Se il lato d’ombra dell’estraniamento progressivo determinato dall’autonomia dal mondo dell’uomo consiste nel divenire sempre più estraneo al mondo e quindi anche a se stesso, il lato luminoso consiste in un rapporto sempre più cosciente con il mondo partendo da se stesso. Lo stadio attuale dell’anima cosciente, è la condizione in cui l’umanità ha perso l’antica unità interna di pensare sentire e volere concludendo una fase più naturale della socialità, più istintiva che ora deve riconquistare coscientemente. Questo momento di massimo egoismo e chiusura in sé è 68 un punto di svolta. Perdendo la socialità istintiva l’uomo entra in una crisi individuale e sociale a un tempo. La nuova socialità deve partire da un’attivazione delle forze dell’anima, di qualità dormienti. L’io umano si muove come archetipo nella coscienza di esistere sulla terra attraverso le forme polari di “necessità e libertà” della condizione umana. “Necessità e libertà” alla ricerca di sempre nuovi equilibri, questa è una condizione che distingue l’uomo. La perdita di tale equilibrio non sempre è data da forme di malattia riconosciute ma anche da eccessi ad esempio nella specializzazione che conducono alla perdita della centralità della condizione umana stessa, orientando l’uomo verso una sorta di animalizzazione Individuo e Società: formazione di comunità L’essere umano si muove entro polarità date proprio da tensioni contrapposte. Rudolf Steiner nell’ampliare la medicina tratta approfonditamente il tema di nervo e sangue e di infiammazione e sclerosi come forme polari o tensioni all’interno delle quali si muove il processo di nascita salute malattia guarigione morte. Se ci rivolgiamo alla sfera centrale dell’uomo in cui si collocano i ritmi, incontriamo il ritmo del respiro e del battito: inspirazione-espirazione con pausa, sistole-diastole con pausa. La pausa è una caratteristica ritmica che parla di morte e rinnovamento, di un incontro tra mondi ad una soglia e altresì un luogo da cui altre dimensioni, altri esseri, possano affacciarsi sul piano dell’esistenza sensibile. Nelle pause si sperimenta la coscienza di sé e l’io si rispecchia attraverso l’organizzazione corporea. Tale centralità della pausa come “centro vuoto” è paragonabile a una via di ritorno all’origine dei tempi. Un luogo in cui l’IO sa di sé risalendo oltre la corporeità. Tra i ritmi incontriamo anche il ritmo sonno veglia e quello dell’alimentazione. Mi pare importante segnalare anche il ritmo IO-TU in una pausa che consenta l’incontro. Nel ritmo IO-TU si alternano gli stati di coscienza veglia-sogno-sonno e nell’andare verso il TU l’IO per così dire muore a se stesso entrando nel sonno. Si spegne per lasciar che il TU (l’altro IO) parli. Mentre l’altro parla io mi addormento per conoscerlo. In quest’alternanza di stati di coscienza in cui tra la veglia dell’IO e il sonno L’ANTROPOSOFIA del TU si pone come ponte il sogno (e il sentire), è forse possibile incontrare l’origine della guerra tra gli uomini: o tu o io! È possibile che si tratti di una fase transitoria dell’evoluzione umana verso una maggiore armonia. Come superare il latente conflitto attuale del ritmo tra IO e TU? Come trovare un fluire diverso senza cadere di continuo su uno dei due fronti polari: o nell’isolamento in se stessi o nello spalancamento al mondo senza sé? Chi torna dal coma porta un’esperienza sulla pausa che l’uomo al di qua della soglia difficilmente sperimenta. Un’esperienza di simpatia per la soglia? L’uomo di oggi deve partire invece da dove si trova e cioè dalla sua natura antisociale per poter dialogare con il mondo, percependo in se stesso il corso del mondo e con ciò imparando a scoprire il lato interiore del mondo. Il collegamento con la spiritualità sarà sempre più fondato sul rapporto reciproco tra gli esseri umani e per l’IO non sarà più possibile vivere nel benessere se il TU non sarà felice. Le forze dell’anima: pensare-sentire-volere possono venire educate. Consideriamo il “sentire”. Rudolf Steiner presenta esercizi concreti per la sua trasformazione. Si tratta di attivare forze potenzialmente sopite in quanto nella coscienza ordinaria il sentire è rivolto all’interno. Si tratta di creare le condizioni per sviluppare un “organo di percezione” per la specificità dell’altro uomo. Nell’antropologia Steiner descrive come l’uomo organizzato in una tripartizione sia dotato di 12 sensi: basali, medi e superiori. I sensi superiori sono i sensi che si aprono sull’altro e conducono l’uomo a percepire l’altro uomo nel suo pensare, parlare e nel suo Io. Il Cuore può divenire organo di conoscenza attraverso la metamorfosi delle forze del sentire. L’IO dell’uomo al centro delle indagini L’Io dell’uomo è al centro delle indagini dell’antroposofia. All’Io dell’uomo è strettamente connessa la sua provenienza e origine cosmica e il legame dell’uomo con l’entità del Cristo. Dice S. Prokofieff membro dell’attuale presidenza della società “Il collegamento con la spiritualità sarà sempre più fondato sul rapporto reciproco tra gli esseri umani” antroposofica a Dornach (Basilea): “Nel libro La soglia del mondo spirituale, Rudolf Steiner descrive nel modo più pregnante e differenziato ciò che in conferenze successive chiama - l’organizzazione dell’io -.” … “Abbiamo una chiara costruzione in tre gradini, per ognuno di essi viene ricordato un aspetto dell’io: 1) l’uomo come individuo autonomo (Io); 2) l’altro sé dell’uomo che si esprime nelle ripetute vite sulla terra e secondo questa definizione esso corrisponde all’io superiore; 3) il vero io che forma il vero e proprio nucleo spirituale dell’uomo”. Rudolf Steiner ci parla di una cristianizzazione e solarizzazione della terra dall’evento della morte sulla croce e della Risurrezione che viene definita SVOLTA DEI TEMPI. Da quell’evento in cui nasce per la prima volta l’Io dell’uomo, attraverso il superamento attivo della chiusura nell’egoismo, attraverso la spiritualizzazione dell’intelletto, l’Io dell’uomo andrà progressivamente e sempre più chiaramente verso l’incontro con il Cristo, visibile etericamente attraverso organi nascenti di percezione più sottile che maturano mentre l’uomo conosce se stesso. Questa, afferma Prokofieff, la si può considerare l’azione più importante dell’Io terreno nel nostro tempo. (Un grazie alla collega Enrica Ligi per l’appoggio nel momento della stesura di queste righe) Le immagini presenti nell'articolo sono state realizzate con la tecnica dell’acquerello steineriano 69 IL PROGETTO L’inclusione sociale nel seminario promosso dalla Regione Emilia-Romagna Le tre “C” e la “Erre”: Marco ci racconta il suo percorso di Marco Macciantelli* L’ consigliere e mi interessavo ad organizzare le gite per i dipendenti. Organizzavamo anche eventi sportivi con i colleghi di altre città, gare di tennis, pallavolo ma anche tornei ludici come le carte, scacchi, etc. Nel 1993 mi sono sposato, mancava un mese al secondo anniversario di nozze quando successe l’incidente che ha devastato la mia vita! Tre mesi di coma e sette mesi di ospedale! I medici non si pronunciavano e non davano speranza per l’esito del mio coma. Mi ha salvato la fede e il sostegno di tutta la mia famiglia. Mia madre ha vissuto quei mesi al mio capezzale. Ero intubato, mi nutrivano con la sonda, non parlavo, solo gli occhi si muovevano e cercavo disperatamente di chiedere aiuto a qualcuno! Durante l’ultimo mese e mezzo di degenza in ospedale, come terapia, mi mandavano a casa e rientravo la domenica. La mia casa non la riconoscevo più! Tutto mi sembrava visto per la prima volta eppure vi ho abitato per due anni con mia moglie….ma di questo non vorrei parlarne. Io avevo bisogno di essere assistito e mia madre si dedicò completa- Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Così cita il primo articolo della costituzione italiana, quindi…. Sono Marco di Bologna, ho 45 anni e seguendo l’orientamento di mio padre mi sono diplomato ragioniere presso l’istituto Marconi. Contabilità, partita doppia, ma soprattutto molta attività sportiva e musica nella mia adolescenza. Difatti praticavo atletica leggera nella società Francesco Francia a livello nazionale e suonavo la chitarra elettrica apparendo anche nei Plantation Sound Chorus (coro di genere gospel) che ha presenziato in festival musicali in tutta Europa. Nell’85 ‘86 ho prestato il servizio militare nell’Arma dei Carabinieri a Chieti, Caserta, Palermo e Bologna. Dopo la leva ho frequentato a Bologna, presso l’ENFAP, un corso d’informatica per programmatori. Qualche lavoro come commesso presso librerie e fiorai, mi è servito ad introdurmi nel mondo del lavoro. Il primo impiego ufficiale è come ragioniere presso l’Universo Assicurazioni (ora Italiana Assicurazioni) dal gennaio 1988 al 7 dicembre del 2001. Ero impiegato all’ufficio ragioneria. Oltre alla contabilità aiutavo anche a gestire il Circolo Ricreativo Aziendale, come Nella compagnia teatrale “Gli amici di Luca”. 70 Marco, giovane carabiniere in famiglia. mente a me! Non sapevo più mangiare e bere, tanto più che i cibi erano limitati a sostanze semi liquide. La mia difficoltà era deglutire e anche poche gocce d’acqua mi facevano soffocare. Il tutto era dovuto al lungo periodo nel quale sono dovuto rimanere intubato. Non sapevo vestirmi, allacciarmi i bottoni della camicia, lavarmi i denti! Poi ripresi il lavoro solo per poche ore al giorno, faceva parte della terapia! Questo mi ha tenuto impegnato. I colleghi, con i quali condividevo il posto di lavoro da 14 anni, mi sono stati vicini, erano molto premurosi. All’orizzonte però c’era la fusione con un’altra assicurazione di Milano e quindi le prospettive non erano sicuramente delle più rosee! Mio padre colse l’occasione per iscrivermi al bando della regione Emilia Romagna in qualità di categoria protetta.… (da qui la “ERRE”!). Da qui inizia la partecipazione al “Progetto Golia sperimentare l’inserimento lo sviluppo IL PROGETTO delle competenze”. Dopo sono stato accolto con molta cordialità nel servizio Affari istituzionali e legislativi. Ero affiancato nei primi mesi da un collega ed ero collocato presso la Biblioteca Giuridica. I primi mesi erano sicuramente di adattamento alla nuova posizione, ma vissuti con profonda tranquillità, grazie anche alla presenza di una persona esperta, che sempre non mi ha fatto pesare la mia situazione di “assunzione obbligatoria”, ma invece mi ha dato nuovi e preziosi motivi di soddisfazione e di possibilità di crescita. Ora il lavoro si è pianificato grazie anche all’intervento dei computer e molte procedure (tipo fotocopie) si sono notevolmente ridotte. La consegna della posta, rimane però di primaria importanza e questa seguo con particolare attenzione; devo conoscere perfettamente dove si trovano le varie persone, come si chiamano e in quale servizio svol- gono la loro attività. All’inizio questo compito è stato sicuramente molto difficile da organizzare e da gestire, ma con la buona volontà e con molta pazienza ora, posso affermare che il risultato è sicuramente positivo! Nei prossimi anni prevedo un maggiore impiego dei mezzi informatici e per questo sono pronto ad Con i colleghi della Regione Emilia-Romagna. aggiornarmi nel assistiti dalla parrocchia di Corticelcampo dei computers. la, dalle Suore e da tutti gli altri Ora è giunto il momento di parlare volontari, di cui faccio parte delle “tre ci” per “ci” intendo: anch’io. Assistenza che si traduce 1) Casa dei familiari, dove passo semplicemente nell’imboccare, maggior parte della mia giornata lavarli, vestirli e tutto ciò che può (naturalmente comprendendo il essere primario per una normale esiperiodo di riposo!); stenza, affiancata sempre dalla pre2) Casa della Carità luogo nel quale ghiera, nella piccola cappella della sono presenti ospiti, che vengono Casa, dove costantemente viene a trovarci, Sua Eminenza il Cardinale; 3) Casa dei Risvegli luogo nel quale Progetto S.O.F.F.I.O. della Regione Emilia-Romagna abbiamo il ritrovo con la Compaper facilitare l’Integrazione e l’Orientamento gnia Teatrale “Amici di Luca De dei dipendenti diversamente abili Nigris”. Compagnia teatrale formata da ragazzi con esiti di coma e da “Dalle buone intenzioni… alle buone ragioni… alle altri volontari, con i quali prepariabuone prassi dell’inclusione sociale” è il titolo del mo, sotto la visione di personale recente seminario conclusivo dell’esperienza di forqualificato, spettacoli da portare in mazione/laboratorio a favore dell’inclusione sociale scena anche in altre città! promosso dalla Regione Emilia Romagna nell’Aula Il futuro è sicuramente da creare e Magna di viale Aldo Moro. Il progetto di riferimennon da subire ed io lo attendo con to è S.O.F.F.I.O (Sostegno per una Formazione che grande fiducia contando soprattutto Faciliti l’Integrazione e l’Orientamento dei dipennel desiderio di migliorarmi. denti diversamente abili), un’idea progettuale che Ringrazio tutte le persone di buona nasce da una sollecitazione pervenuta dal contesto fede che ho incontrato. organizzativo regionale e si inserisce fra le attività Che il Signore assista sempre dalimplementate a favore del benessere organizzativo. l’alto il nostro operato! Il progetto è inserito in un più ampio quadro di intervento, volto a sostenere l’inserimento delle persone diversamente abili nel contesto lavorativo, in linea con il disposto della * L'articolo che pubblichiamo è tratto dalla testiLegge Regionale 17/2005. Le finalità che l’iniziativa si propone, consistono monianza presentata da Marco Macciantelli in qualità di collaboratore della direzione generale principalmente nella promozione di attività volte al miglioramento dell’ataffari legislativi della Regione Emilia-Romagna al tenzione dell’Ente ai diritti sociali delle persone diversamente abili, nella recente seminario "Dalle buone intenzioni...alle validazione degli strumenti e delle buone soluzioni applicabili al contesto buone ragioni...alle buone pratiche dell'inclusioorganizzativo regionale. ne sociale". Marco è attore volontario nella compagnia "Gli amici di Luca" 71 ESPERIENZE DI CONFINE Molti gli esempi di percezione di sentimenti o pensieri a distanza Telepatia e premonizione di Cecilia Magnanensi Segretario Generale della Fondazione Bozzano-De Boni Q ualche tempo fa Anna, una giovane donna, si è rivolta alla Biblioteca Bozzano–De Boni per avere una spiegazione di ciò che le è accaduto sia nell’infanzia sia in anni più recenti. Da bambina le capitava di fare sogni premonitori e di “vedere” esseri che altri non riuscivano a percepire. La madre, ignara dell’esistenza di questi fenomeni e dopo aver udito i racconti della figlia, ritenne giusto portarla da un medico. Questi le prescrisse dei tranquillanti, inducendo così Anna a credere che nella sua testa qualcosa non funzionasse. Col tempo i ricordi sono sfumati, ma recentemente le sono ritornati alla coscienza, in quanto le capita di avere presentimenti di eventi poco piacevoli, soprattutto riguardanti i familiari. In particolare mise in guardia il fratello quando sognò un suo coinvolgimento in un terribile incidente, da cui però si sarebbe salvato. Il fatto si verificò come lei lo aveva “sentito” ma il fratello da allora la ritiene responsabile di ciò che gli è accaduto e non le rivolge più la parola. Per questo motivo Anna sta vivendo in maniera angosciante ogni volta che le capita di avere dei presentimenti, non aiutata in alcun modo dai familiari. Eppure nella letteratura delle esperienze di confine molti sono gli esempi di telepatia e di premonizione, cioè di percezione di sentimenti e/o pensieri a distanza, e di conoscenza di eventi futuri, entrambi 72 senza l’ausilio dei cinque sensi. Per lo più si verificano quando il legame tra le persone è molto stretto, come quello tra genitori e figli o tra marito e moglie, o tra fidanzati, anche se non mancano esempi tra estranei. Come altre manifestazioni psi hanno un carattere elusivo, che non permette di averne il pieno controllo. Per comprenderne il meccanismo sono state effettuate molte prove di laboratorio, a cui sono stati applicati criteri statistici, tuttavia ancora non si è giunti ad una loro comprensione. Questo è il motivo per il quale i critici ne hanno negato l’esistenza, “Per lo più si verificano quando il legame tra le persone è molto stretto, come quello tra genitori e figli o tra marito e moglie, o tra fidanzati, anche se non mancano esempi tra estranei” dimenticando che, se pur dal punto di vista scientifico non hanno carattere probatorio, moltissimi sono i casi spontanei, la cui frequenza non è possibile ricondurre al caso. Per lo più fenomeni di telepatia e premonizione si notano nel caso in cui si riferiscono a situazioni non banali, ma si verificano anche in situazioni ordinarie. Non solo persone comuni, ma anche alcuni parapsicologi hanno dato la loro testimonianza in merito. Tra questi ultimi, Berthold Eric Schwarz, uno psichiatra americano, ha riferito in diverse pubblicazioni mediche le sue esperienze personali e quelle dei suoi pazienti in ambito familiare. Mentre svolgeva sedute con Jacques Romano, un paziente di 95 anni, vivace intellettualmente, di aspetto giovanile e che possedeva notevoli doti telepatiche, Schwarz notò che erano molto frequenti episodi telepatici e altre manifestazioni psi nell’ambito della sua famiglia. Questa era composta dalla moglie Ardis e dai due figli, Lisa ed Eric, che all’inizio delle manifestazioni, nel 1958, avevano rispettivamente poco meno di un anno e mezzo e qualche mese di età. Schwarz cominciò allora a documentare ogni episodio, anche il più banale, tenendo una specie di diario, con descrizione e commento per ogni fatto. Naturalmente, essendo l’età dei figli bassa, le esperienze erano molto semplici a causa delle loro limitate capacità di espressione verbale, soprattutto di Lisa. Ecco cosa lo psichiatra annotò il 13 settembre 1958, quando la bimba aveva circa ventidue mesi: «Mentre stavo leggendo un libro, lentamente la mia mente vagò e pensai di telefonare ad un amico, Floyd, e chiedergli se gli avrebbe fatto piacere andare a pranzo al ristorante Da Luigi. Mentre stavo esitando tra leggere soddisfacendo il mio appetito intellettuale o gratificare il mio desiderio gastronomico con l’alzare la cornetta del telefono e prendere i necessari accordi, Lisa interloquì “Telefono”. Io ero molto lontano dall’apparecchio, ma mia figlia aveva catalizzato le necessità del padre». Nel luglio 1959, Schwarz scrisse: «Durante il pranzo Ardis stava pensando di portare a lavare l’automobile. Nella sua mente associò questo pensiero all’immagine dell’abbigliamento degli addetti al lavaggio, cioè ESPERIENZE DI CONFINE a impermeabile e stivali. Nello stesso momento, Lisa disse: “Il Dr. L. ha impermeabile e stivali”. Il Dr. L., nostro amico, non era lì, e quel giorno era sereno. Ardis non aveva minimamente menzionato la possibilità di far lavare l’automobile. È interessante come Lisa abbia condensato i pensieri dell’impermeabile e degli stivali con il Dr. L. che frequentemente è stato preso in giro per i suoi riti giornalieri prolungati per lavarsi». Questi esempi potrebbero essere spiegati anche in altri modi, come la capacità di comprendere le intenzioni dei genitori senza un linguaggio verbale; tuttavia in altri casi una spiegazione così semplice non è possibile. Come quello di una giovane mamma, paziente di Schwarz, che gli descrisse un’esperienza in tal senso: «Stavo facendo colazione con Tina, la mia bimba di tre anni, e Frida la bambinaia. Stavo pensando alla mia persistente depressione e a come avrei potuto evitare di turbare mio marito che, in precedenza, aveva avuto una triste esperienza matrimoniale a causa della prima moglie alcolizzata. Mentre pensavo a questa prima moglie, che non avevo mai conosciuto, Tina, che stava mangiando, disse improvvisamente “Guardami, sono uno spettro”. Io replicai, piuttosto automaticamente “Chi, Gaspar l’amico fantasma?” (il suo cartone animato prediletto alla TV). Tina rispose: “No, Sybil!” Sybil era il nome della prima moglie di mio marito, della quale sapevo Tina non poteva conoscere nulla né averne mai sentito il nome». Analogamente, in un altro caso la spiegazione di casualità è insufficiente. Una madre, che stava scrivendo una lettera alla figlia che si trovava in collegio, all’improvviso dovette lasciare andare la penna perché la mano cominciò a bruciarle intensamente. Poco più tardi le telefonarono dal collegio dicendo che la figlia si era bruciata la mano destra con un acido durante un’eser- citazione di laboratorio, proprio nel momento in cui lei stava scrivendo. Una madre è sempre in apprensione per i propri figli, soprattutto se questi sono in tenera età e per motivi comuni. Molti sono gli esempi in cui una mamma ha percepito le necessità dei figli e talvolta le situazioni di pericolo in cui potevano incorrere. Nel racconto che segue, grazie all’intervento della madre, che ebbe l’improvvisa sensazione che qualcosa stesse per accadere alla figlioletta, non si compì in maniera dolorosa. «Una giovane madre aveva una bimba di poche settimane e un “I critici ne hanno negato l’esistenza, dimenticando che, se pur dal punto di vista scientifico non hanno carattere probatorio, moltissimi sono i casi spontanei, la cui frequenza non è possibile ricondurre al caso” figlioletto di tre anni. Una mattina mentre la neonata dormiva nella sua stanza e il bimbo giocava nella sala da pranzo, lei lavorava in cucina. Improvvisamente “seppe” che la piccola stava soffocando per qualcosa che l’altro le aveva messo in bocca. Non c’era stato nessun suono, niente lo suggeriva, ma corse per controllare che fosse tutto normale, sebbene le mani le tremassero un po’. Prese in ogni modo la neonata, la capovolse e con le dita rimosse un pezzo di dolce dalla gola. Il piccolo aveva dato il dolce alla sorella con l’intenzione di essere buono con lei». La cognizione di evento futuro si manifesta anche nei sogni, come accadde nei casi seguenti «Amanda, una giovane donna nello stato di Washington, si risvegliò alle 2.30 del mattino così turbata da un sogno terrificante tanto da svegliare il marito e raccontarglielo. Aveva sognato che il grande lampadario a bracci sovrastante il letto della loro bambina, nella stanza adiacente, era caduto nella culla e aveva schiacciato la bambina. Nel sogno Amanda poteva vedere se stessa e il marito tra i pezzi del lampadario e l’orologio sul cassettone della bimba che segnava le 4.35 del mattino. Sempre nel sogno, Amanda poteva sentire la pioggia sui vetri della finestra e il vento che fuori soffiava. Quando lo descrisse al marito, questi la derise. Disse che era uno stupido sogno, che doveva dimenticarlo e tornare a dormire. Poco dopo lui si riaddormentò, ma Amanda non riusciva a dormire. Il sogno era troppo terrorizzante. Alla fine scese dal letto e andò nella camera della bambina, la prese tra le braccia e la portò nel suo letto. Guardò fuori dalla finestra e vide la luna piena. Il cielo era sereno. Sentendosi stupida si addormentò con la bimba. Circa due ore dopo furono svegliati da un forte schianto. Amanda si alzò subito dal letto, seguita dal marito, e insieme andarono nella stanza della figlia. Là, dove avrebbe dovuto esserci la neonata, c’era il lampadario a pezzi. Si guardarono l’un l’altro con costernazione e poi verso l’orologio sulla credenza. Erano le 4.35. Storditi, udirono il rumore della pioggia sui vetri della finestra e il vento che soffiava all’esterno». Un padre non è esente dalle preoccupazioni e uno di essi fu in grado di salvare la vita al proprio figlio, perché in sogno vide che quest’ultimo non era affetto da influenza – come in un primo momento aveva pensato – , ma da difterite, malattia che, se non curata in tempo, sarebbe potuta essere fatale. La famiglia viveva in una zona isolata dell’Australia e il dottore, avvisato appena verificatosi il sogno, la raggiunse dopo tre ore di viaggio, portando con sé la medicina utile alla guarigione. 73 ESPERIENZE DI CONFINE In questo esempio la previsione di un evento, portò al suo concludersi in maniera positiva, in altri, invece, l’impossibilità di intervento – per la contemporaneità o per incomprensione – porta al suo verificarsi, come accadde a Joe McMoneagle, un ufficiale in pensione, che fin dall’infanzia ha avuto diverse esperienze psichiche con la sorella gemella Margaret. Egli così raccontò in merito all’ultima di esse: «Era una bella giornata, fresca, perfetta per lavorare e a circa le 10 del mattino – tutte ragioni per lavorare tranquilli. Improvvisamente ebbi questa sensazione opprimente che mia sorella gemella stava cercando di mettersi in contatto con me. Riposi i miei attrezzi [stava lavorando in una casa a centinaia di chilometri da lei], pagai un aiuto per l’intera giornata e lasciai il lavoro. Arrivai a casa tre minuti prima che mi chiamassero dall’ospedale della Florida per dirmi che mia sorella aveva avuto un attacco di cuore. Mia moglie ed io andammo in Florida e riuscii a vederla una settimana prima che morisse. Ero certo che mi avesse Rupert Sheldrake biologo inglese. chiamato». Con questo scritto ho voluto portare a conoscenza alcune esperienze, che, se pur non esauriscono la gamma dei fenomeni psichici in ambito familiare, danno comunque una buona idea di come talvolta nella vita quotidiana si possano presentare uno o più episodi di questo tipo. Non ci si deve soffermare all’episodio singolo per parlare di “caso”, ma non è mia intenzione discutere qui il problema da un punto di vista teorico. Così come non desidero perdermi sulle modalità per le quali si manifestano certe realtà o sulla – non ancora risolta – questione della possibilità di intervenire su eventi futuri, conoscendone il probabile esito. Ricordo soltanto che numerosi sono gli studiosi che ritengono degne di attenzione queste esperienze e ad esse dedicano le loro indagini. Di recente, poi, Rupert Sheldrake, biologo inglese, ha condotto un’inchiesta sulla apparente telepatia che intercorre tra le mamme e i neonati, per verificare quanto fosse comune per le prime ritenere di presentire le necessità dei figli. Dato il limitato numero di persone coinvolte, tale studio necessita ulteriori approfondimenti, considerando anche quanto può influire il fatto di avere altri figli e quindi avere già avuto determinate esperienze nella loro crescita. Tutto ciò ha stimolato la curiosità dello scienziato, che auspica altri intraprendano analoghe ricerche, soprattutto per comprendere certe manifestazioni, sia che risultino di natura paranormale o psicologica. Le attività della Fondazione Biblioteca Bozzano - De Boni Ricordiamo che la Fondazione Biblioteca Bozzano – De Boni (via Marconi 8 a Bologna) oltre ad offrire i principali servizi di una Biblioteca - come la consultazione e la lettura del materiale documentario, il servizio prestiti -, prevede un Programma Culturale, svolto da ottobre a maggio. Esso è costituito sia da incontri, riservati ai Soci della Fondazione, sia da conferenze (ad ingresso libero) che trattano argomenti della Ricerca Psichica. Entrambe le attività si svolgono nel giorno di giovedì alle ore 17. Nel periodo aprile-maggio 2010 si parlerà, tra l’altro, di esperienze e ricerche sulla comunicazione oltre la morte, del Paradiso di Dante e di insegnamenti spirituali. Nel corso dell’anno culturale 2009-2010 è prevista la 8° Giornata di Studio, che si terrà sabato 8 maggio 2010 e si occuperà di “I grandi misteri dell’uomo e del mondo”. Interverranno Silvio Ravaldini, Paola Giovetti, Cecilia Magnanensi, Giorgio Cozzi. Si parlerà di manifestazioni paranormali presso i popoli cosiddetti “primitivi”, della fenomenologia che accompagna la vita dei mistici, del cammino di iniziazione previsto da alcuni culti esoterici dell’antichità e saranno illustrate le doti chiaroveggenti di due noti sensitivi, Venia e Eder Lorenzi. Concluderà la giornata la proiezione di un filmato che tratterà di un mistero fino ad oggi mai compreso: la costruzione della piramide di Cheope. Le attività riprenderanno dopo la pausa estiva, a partire dal mese di ottobre. I programma completi sono consultabili sul sito internet della Fondazione alla pagina http://www.bibliotecabozzanodeboni.it/pubblico.htm, con la possibilità di scaricarli in formato .pdf Dato il limitato numero di posti si prega di telefonare per la prenotazione al 3381714288. Per informazioni e per il programma completo delle conferenze del giovedì e della Giornata di Studio scrivere a [email protected] oppure telefonare al n. 3381714288. 74 LETTERE Anch’io non ho “divorziato” dai miei genitori La forza del coraggio, un cammino da fare insieme C ara Maria e caro Fulvio, mi permetto di rivolgermi a voi direttamente dandovi del tu perchè da quando il libro che ricorda Luca è entrato nella mia casa, sono stata anch’io la mamma, la sorella, la zia di Luca. Vi ho conosciuto per caso, interessandomi ad una mia amica in stato vegetativo dopo un’anossia prolungata. La povera ragaza è stata in coma per 9 mesi per poi tornare alla casa del Padre e mi è sembrato che si sia fatto così poco per lei... Trasferita da un reparto all’altro, paziente di nessuno, familiari pregati di provvedere... fino a quando un’aritmia maligna se l’è portata via. La storia del vostro coraggioso ragazzino è giunta, inoltre in un momento molto difficile della mia vita, durante la malattia di entrambi i miei genitori: il papà lucidissimo di mente, ma molto malato e soprattutto molto instabile nelle sue funzioni vitali che richiedevano spesso ricoveri in terapia intensiva e la mamma sostanzialmente più sana, ma nel mondo infelice dei dementi. Quante L volte a me, medico cardiologo, è stato chiesto di “divorziare” dai miei genitori, di “metterli via” cioè in istituto, ma non ho mai voluto, ho lottato fino all'ultimo cercando, non di prolungare la loro vita, ma di migliorarla. Mi hanno soffiato sul collo esortandomi ad astenermi da ulteriori cure, “tanto non c’è più niente da fare e ti stai rovinando la vita”. Apprezzo il vostro coraggio e il vostro lavoro. Continuo a rileggere il vostro libro e ci trovo sempre qualcosa di nuovo. Ammiro moltissimo il vostro magazine che ricevo regolarmente e vi assicuro che avrete il mio sostegno concreto a breve. Ho letto anche con estremo interesse le vostre pubblicazioni e solo il fatto di risiede a Padova e gli impegni di lavoro (medico ospedaliero) mi impediscono di diventare volontario presso la Casa dei risvegli. Mi piacerebbe essere un vostro testimone, ma non so come fare. Vi voglio bene. Maria Domenica (Mimma) Sorbo- Padova Carissima Mimma, la ringrazio tantissimo delle belle parole che ci ha scritto nella mail di alcuni giorni fa. Sono parole che ci accompagnano e ci sostengono nel progetto molto impegnativo che di cui siamo stati promotori dopo l’esperienza con il nostro Luca. Dopo 12 anni constato che, nonostante il passare del tempo che ci scivola addosso e ci …invecchia, abbiamo comunque tanta volontà ed entusiasmo ad andare avanti e proseguire un cammino lungo e pieno di storie complesse e tragiche. Questo cammino deve essere fatto INSIEME, mai da soli, con un motore che è la speranza e un carburante che è la fiducia nelle nostre persone, che pur provate o apparentemente spezzate dalle tragedie della vita, manteniamo in noi l’energia dell’essere unici e amati dai nostri cari. Tutto questo noi proviamo a mettere in circolo alla Casa dei Risvegli Luca De Nigris e nella relazione continua con storie diverse che da tutta l’Italia entrano in contatto con Gli amici di Luca. Grazie davvero della vicinanza che ci dimostra, che contraccambiamo con tutto il cuore: continuiamo a volerci bene! Un abbraccio. Maria Vaccari Presidente “Gli Amici di Luca” Un messaggio da Funo: amore per la vita o scorso 7 Marzo nella chiesa parrocchiale di Funo, si è tenuto lo spettacolo dal titolo “Per amore – giovani giornalisti intervistano”. È nato da un progetto portato avanti dal gruppo parrocchiale degli adolescenti guidati da Stefano Bruni, che si è sviluppato in questi primi mesi del 2010 e ha dato vita ad un allestimento coinvolgente e pieno di spunti per una riflessione sul valore della vita, utile ai giovanissimi protagonisti, ma anche agli adulti che vi hanno assistito. Lo spettacolo, riuscitissimo, ha visto la partecipazione del coro della parrocchia con canti in tema e di un attore professionista che ha letto dei brani selezionati su vari argo- menti trattati: dare la vita a un figlio (intervento di una coppia), la vita nella sofferenza e nella disabilità (intervento de “Gli amici di Luca”), la vita nell’universo e la vita nelle sue forme più microscopiche (intervento di un astrofisico e di un chimico). La bella iniziativa ha inoltre consentito di raccogliere un cospicuo contributo a favore dell’Associazione Gli Amici di Luca. GRAZIE! Ai ragazzi di Funo che si sono tanto impegnati, ai loro educatori che li hanno guidati in questa interessante esperienza di crescita e a tutti i partecipanti che hanno generosamente contribuito per la nostra associazione. M. V. 75 RISVEGLI DI PAROLE “Dando il blu”: alcuni brani dall’ultimo romanzo di Anna Albertano D a cura di Bruno Brunini ando il blu è il titolo dell’ultimo romanzo di Anna Albertano (Le Mani Editore, 2009), di cui riportiamo alcuni brani. Sin dalle sue prime opere, Anna Albertano ha rivolto l’attenzione a temi di attualità, con particolare riguardo alle altre culture, riflesso dei suoi scambi con scrittori e artisti stranieri e dei suoi soggiorni all’estero, mantenendo un costante interesse per la scena teatrale e cinematografica. Dando il blu è un “romanzo d’inverno” in cui, sullo sfondo delle Olimpiadi Invernali del 2006, s’intrecciano stagioni diverse del cinema e del teatro. A proposito di Dando il blu, il regista Roberto Faenza, nell’intervento pubblicato sulla copertina, ha scritto: “Conosco Anna Albertano da qualche anno, quando in occasione di uno dei suoi primi libri ho cominciato a interessarmi alla sua scrittura fuori dal coro. La Albertano mi pare infatti correre da sola, al di là di mode passeggere della letteratura nostrana contemporanea, un cammino il suo manifestamente controcorrente. Questo nuovo libro ne è la riprova. Dando il blu racconta la storia di personaggi che capitano a Torino durante le Olimpiadi Invernali del 2006. Già questo mi ha stimolato a leggerlo, essendo io nato e vissuto a Torino sino a metà degli anni Sessanta, quando ho deciso di lasciarla per studiare cinema a Roma. Seguendo le pagine del romanzo viene fuori una Torino che non conoscevo e che mai avrei pensato di trovare tanto cambiata. Quando l’ho lasciata era una città grigia, Fiatcentrica, chiusa e ostile. Ora la riscopro dinamica e piena di stimoli. Nel romanzo si respira anche l’aria di Milano, città da cui proviene Adele, la protagonista femminile. Da sempre rivali, Torino più 76 inventrice e pioneristica, Milano più tradizionale e mercantile, la cultura di queste due città influenza in un certo senso lo stesso procedere della storia. In quanto regista, poi, non può lasciarmi indifferente che proprio tra le pareti del Museo del Cinema si svolgano le pagine finali di Dando il blu, in mezzo a tanti cimeli di celluloide. Il cinema infatti è un altro protagonista della trama. Non solo perché Bartolomeo realizza documentari, ma soprattutto perché tra lui e Adele si interpone il demone dell’avventura artistica, che induce il linguaggio letterario a fare propri i modi e l’incedere tipici del linguaggio cinematografico, come l’alternarsi del montaggio, le sospensioni, le attese. In definitiva: la magia.” A sua volta, Evelina Christillin, Presidente della Fondazione Teatro Stabile di Torino ed ex Presidente Vicario del Comitato Organizzatore delle Olimpiadi Invernali del 2006, nella Prefazione al libro ha scritto: “Nelle pagine del suo romanzo l’autrice racconta di una storia molto speciale, che ha per cornice la sceneggiatura e la scenografia di una città speciale: Torino durante i Giochi. Così, veder rievocare quei giorni, quei luoghi, quegli avvenimenti, col filtro particolarissimo di rapporti tra persone fantastiche ma altrettanto reali, mi ha portata a rivivere una storia che unisce indissolubilmente i nostri destini e le nostre vite. E in quelle due settimane, davvero, Torino ‘ha dato il blu’ ad un’immagine del passato. Chi è piemontese come me capisce subito il significato di questa frase criptica che dà il titolo al libro, gli altri, la capiranno benissimo leggendolo e apprezzandolo come merita.” Anna Albertano, di origine piemontese, si è laureata a Bologna. È autrice di romanzi, sceneggiature, poesie e pièces teatrali. Collabora a pubblicazioni di letteratura straniera e di cinema. Su “Linea d’Ombra”, “Rendiconti”, “Lettera” e altre riviste, ha presentato per la prima volta scrittori inediti libanesi, algerini, tunisini, curdi, bosniaci, fra cui Sélim Nassib, Rabah Belamri, Abdelwahab Meddeb, Mehmed Emin Bozarslan, e autori noti come Assia Djebar e il Premio Nobel egiziano Nagib Mahfuz. Per Cinemamed, Fondazione Laboratorio Mediterraneo e alcuni periodici, ha incontrato fra gli altri i registi cinematografici Borhane Alaouie e Mahmoud Zemmouri. Ha collaborato a “Quaderni del Lumière” della Cineteca di Bologna, a monografie su Claude Lelouch, Hou Hsiao-hsien, Marco Bellocchio e Patrice Leconte. Per Immagini del potere. Il cinema di Marco Bellocchio (Le Mani, 2009) ha scritto La libertà dell’artista. Per il n.26 (2010) di “Carte di cinema”, Ricordo di due maestri, Franco La Polla e Claudio Meldolesi. Tra il ’95 e il ’96, in collaborazione con Libera, ha condotto “Antimafia” il primo settimanale radiofonico a Bologna sui temi delle mafie. Ha tenuto seminari di poesia nelle scuole pubbliche bolognesi. Ha collaborato a rassegne quali “Il seme della solidarietà”, “Human Rights Nights” e “Terra Madre Day”. Ha pubblicato precedentemente i romanzi Progressivo silenzio (1998) e Notre-Tanz (2002), la pièce teatrale Dialoghi di un mattino di fine millennio (2006), e il romanzo sulla ex Jugoslavia La notte di San Giorgio (2007). RISVEGLI DI PAROLE Dando il blu “Fu durante quel fine settimana trascorso a casa sua, fuori diluviava, tra musica, foto e scambio di biografie, che era mutato tutto. A lungo, davanti alla vetrata del salotto, le aveva esposto la propria idea di filmare, di cogliere l’invisibile, di ciò che andava intuito anche quando impercettibile, o solo suggerito. - Si può cogliere un’intera epoca attraverso una sequenza di pochi minuti… si può provare a sfiorarne le vertigini anche per poco, restituendone suoni e immagini… Era ciò che aveva in mente per il proprio film, restituire un’epoca condensandone alcuni istanti. In quel momento le era stato chiaro però che anche un gesto poteva condensare il senso di una scena. (...) Era stata proprio la discordanza o semplice asimmetria fra loro a innescare qualcosa. Tra infinite discussioni era iniziata una storia. In un territorio non ancora ben definito, dove chiare analogie scaturite a volte dal riflesso della luce, osservata in modo estemporaneo, lasciavano intravedere il meglio. (…) Appena si fece buio nella sala, ebbe quasi un soprassalto, incerto se stesse assistendo ad uno spettacolo, o rivedesse immagini perdute nella memoria. Sullo sfondo compariva per qualche secondo il profilo dell’artista inglese che Adele aveva a lungo rincorso. Ma era solo una citazione iniziale, poi iniziava il suo spettacolo. Dapprincipio si udiva un brusio di voci. Sulla scena c’era un unico attore. Adele aveva messo in scena una pièce che qui e là rievocava lo spettacolo per cui s’erano rincontrati. L’attore muto, in posizione statuaria, era immerso nell’oscurità. Attraverso un susseguirsi di proiezioni fotografiche sovrapposte al suo volto e alla sua persona, assumeva sembianze diverse. (..) Nel moltiplicarsi di fisionomie che via via si stagliava- no su quell’unica presenza attorica, la voce fuori campo cambiava.(…) - Lasciati andare, come in fondo a un oceano. Una voce profonda pronunciava le parole in tono carezzevole. Sull’attore si delineava il primo piano di un volto dai tratti marcati. - Ti stai avvolgendo nelle pieghe d’una storia ormai appassita… Alla voce iniziale se n’era aggiunta un’altra, meno suadente, al volto precedente se n’era sovrapposto un altro. - Eppure camminavo sull’aria pura, su scalini d’aria azzurra… - Lei era d’acqua chiara… (…) San Francisco gli tornava nei colori dell’estate, come il ritorno di un’era rivissuta insieme a lei. Da quel soggiorno le aveva scritto molte lettere e cartoline, rimaste nel suo borsone. - Will you come back again? Era l‘inizio di una lunga lettera, non l’invocazione di un suo ritorno, ma il saluto con cui un tipo sbronzo sin dalle prime ore della sera, congedava gli avventori di un pub, aprendo loro le porte. Al Catherina Café, in una strada piena di locali davanti ai quali, oltre a pittoreschi buttafuori, era sempre posteggiata una sfilza di Harley Davidson, suonavano ogni sera blues e jazz dal vivo. Ci andava spesso, ubriacandosi anche. Restava lì per ore ad ascoltare musica e ad osservare il movimento di persone. - Will you come back again? ripeteva il tipo a chiunque uscisse. Ma alla fine di quei fogli di carta, fitti di parole che scorrevano via, come gocce di un acquazzone da cui non tentava nemmeno più di ripararsi, non si era trattenuto dal riscriverlo, rivolgendo a lei la domanda, - Poi, ritorni? Se n’era partito solo, in un viaggio che dovevano fare insieme. - Cara Adele, il tempo qui comincia a scivolare. San Francisco, capita- le della trasgressione, è anche la città più europea d’America. Per la luce, i colori del cielo, delle architetture urbane, è un sovrapporsi di immagini, di città… A tratti nord Europa, per i toni algidi delle case, per l’azzurro grigio del mare... Eppure ci sono dei momenti in cui cambia tutto, esce fuori dell’altro… A tratti mi riporta l’Avana, Lisbona, Algeri… sì, perfino Algeri, per il bianco abbacinante della città sull’acqua, sul blu del cielo. Ma poi tutto ridiventa americano. Ci sono luoghi come il Bay Bridge di Berkeley, da cui la città illuminata la notte, con le torri del Civic Center e del Financial District, le luci scintillanti di Nob Hill, pare un poster. In questo momento è così, esattamente. Ad un tratto, alla marina, davanti al Molo, di lontano è sbucato un uomo solo, si è affacciato al porto. Tra l’oceano e le rocce è uscito il suono di una cornamusa, il suo saluto alla sera. - Torino è una città di confine, non solo geografico, ma anche temporale… - le aveva detto un giorno, qui da un tempo ti puoi spostare ad un altro, con relativa facilità(…) In quella città, che con le proprie energie segrete riservava infinite sorprese, dieci anni prima aveva trovato gli anni sessanta, ora ritrovava gli anni novanta. Attraverso la follia per il cinema. Là dentro, nella Mole, la si respirava ovunque, ad ogni passo. La follia di animare ogni angolo, pannello disponibile, di portare il cinema ovunque, in ogni superficie, perfino nel lungo tavolo del caffè ristorante, inserendoci quadri viventi in miniatura. La mania di riportare in vita tempi lontani. (…) Universi animati, lontani eppure comunicanti fra loro, voci, figure, vicende che entravano in un unico respiro, anche per poco, per il particolare momento in cui ciascuno vi passava, attraversando quell’enorme affresco vivente, sempre diverso, a seconda del punto in cui lo si iniziava o finiva di vedere. (…)” 77 MI RICORDO DI TE Generosa, instancabile, dalle mani d'oro Grazie, “nonna Angela”! A ngela, amica fedele da sempre de “Gli amici di Luca”. L’abbiamo incontrata per la prima volta nel ’99, lei insieme alla cara Vittoria, animate dal desiderio di conoscere quello che perseguiva questa nuova associazione (ci eravamo costituiti in quell’anno), loro che già erano sensibili e attive protagoniste del mondo della cooperazione e del volontariato bolognese. “Nonna Angela”, così come si faceva chiamare dai giovani collaboratori in associazione e dai tantissimi bambini che avvicinava mentre stava ai nostri banchetti sulle piazze: a loro offriva con il suo caldo sorriso il palloncino, chiedendo alle mamme e ai papà un piccolo contributo per un progetto, quello della Casa dei Risvegli Luca De Nigris, che sembrava un sogno, ma nel quale anche lei come noi ha creduto fino alla sua realizzazione. Richiedete le nostre guide per le famiglie Info: 051.6494570 www.amicidiluca.it [email protected] 78 Instancabile, questo è l’aggettivo che la qualifica meglio: con le sue mani d’oro cuciva e cucinava come pochi,e con cuore generoso metteva a disposizione di varie associazioni le sue capacità per iniziative di solidarietà. Non c’era un limite geografico alla sua premurosa attenzione e alla sua attiva collaborazione: associazioni bolognesi come l’ANT e Gli amici di Luca potevano contare sul suo aiuto sempre, ma anche iniziative destinate ad aiutare progetti in Africa l’hanno vista spesso generosamente impegnata. Non si tirava mai indietro…ce n’era per tutti dalla nonna Angela. Ci mancherai tantissimo, cara Angela: le tue mani capaci di creare cucendo abiti e costumi per tutte le occasioni, la tua capacità di organizzare una mensa piena di ottimi manicaretti anche per cento persone, specialmente per scopi di solidarietà, il tuo sorriso luminoso e pieno di cordialità che infondeva coraggio e serenità, la tua forza d’animo che si esprimeva sempre con battute che sdrammatizzavano anche le situazioni più difficili, i tuoi abbracci caldi e morbidi… GRAZIE, ANGELA! Non ti dimenticheremo mai! Maria e Gli amici di Luca MI RICORDO DI TE La figura di Gualtiero Ferretti nel ricordo di un amico Un uomo di profonde idealità di On Giancarlo Pasquini G Presidente Centro Italiano di documentazione sulla cooperazione e l’Economia Sociale ualtiero Ferretti aveva vissuto la sua adolescenza nel periodo della guerra, dell'occupazione tedesca, della resistenza antifascista, della lotta di liberazione. In quel periodo caratterizzato da grandi sofferenze e sacrifici, si è formato il suo carattere ed è maturata la sua scelta di campo di sincero ed impegnato democratico ed antifascista. La famiglia e l’ambiente in cui è cresciuto hanno contribuito in misura considerevole a questa presa di coscienza. Come pure la frequentazione con tanti, meno giovani di lui, che avevano preso parte attiva alla Resistenza. Questa formazione sul campo non solo ha determinato la sua militanza politica, ma, questo è un tratto comune al popolo della nostra regione, ha contribuito a creare quel “capitale sociale” che contraddistingue il grado di civismo di una collettività. Si tratta di un patrimonio storicamente già presente nella nostra comunità bolognese ed emiliana fin dai tempi delle società di mutuo soccorso e delle prime cooperative che precedettero la costituzione della Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue, del Partito Socialista e della C.G.I.L. verso la fine del XIX° secolo. Ma è indubbio che le vicende della Resistenza e della lotta di liberazione contribuiscono a rafforzarlo. Il “senso civico” è caratterizzato dal rispetto delle regole e dall'interesse per il bene pubblico e determina e stimola la fiducia reciproca e il comportamento partecipativo ed associativo sia in campo politico (partiti), che nell'ambito sociale (sindacati), che in quello economico (cooperazione). Secondo Robert Putnam, il grande sociologo americano che ha studiato il grado di civismo presente nelle varie regioni italiane, le componenti della “comunità civica” sono: l’impegno civico, cioè la partecipazione alla vita comune e il riconoscimento di un interesse pubblico oltre a quello personale; l’uguaglianza politica, rappresentata dal fatto che tutti i membri della collettività debbono avere gli stessi diritti e doveri; la presenza di solidarietà, fiducia e tolleranza che significa rispetto reciproco; la presenza di associazionismo. L’intera esistenza di Gualtiero Ferretti è contraddistinta da questi valori in Lui fortemente radicati. “Portatore di un capitale sociale che contraddistingue il grado civico di una collettività” Gualtiero è stato uomo impegnato con coerenza ed animato da profonde idealità sia nell'attività politica che in quella sindacale ed infine nell'esperienza cooperativa. La lotta politica, l’iniziativa sindacale e lo sviluppo della cooperazione erano un tutt’uno con gli obiettivi di emancipazione sociale e di progresso economico che avrebbero consentito l’uscita dalla subalternità di operai e contadini nei confronti dei detentori del potere economico. Coerente con questo impegno egli fu dapprima esponente della Federazione Bolognese del Partito Comunista Italiano e poi, successivamente segretario della Federmezzadri, della Camera del Lavoro di Budrio e della Fillea (i lavoratori edili ) ed infine dirigente della cooperazione nella quale ricoprì diversi incarichi, quasi sempre nei settori delle cooperative di costruzione. Egli fu dapprima vice-presidente della Associazione Provinciale delle cooperative di produzione e lavoro, successivamente presidente della Federazione Provinciale delle Cooperative e Mutue, poi presidente dell' Associazione Regionale ed infine nella Presidenza dell’Associazione Nazionale delle cooperative di produzione e lavoro. Verso la fine degli anni ’80 ed inizio degli anni ’90 si occupò di ecologia ed 79 MI RICORDO DI TE ambiente dirigendo il gruppo Ecolega e rivestendo la carica di presidente della società EcoEmiliaRomagna arrivando a ricoprire la carica di Presidente dell’ASA s.p.a., una società del gruppo Hera, di cui fu fondatore, partecipata da Unìeco, una grande cooperativa reggiana. Al momento della scomparsa ne era divenuto presidente emerito. Ho avuto nel corso degli anni lunghi rapporti di lavoro e di amicizia con Gualtiero Ferretti. Un’amicizia cementata dalla grande stima che avevamo l’uno dell’altro. Un rapporto che si è variamente intrecciato nel corso degli anni: io in Legacoop, lui alla Produzione e lavoro, dove si occupò sempre delle cooperative dì costruzione. Poi la staffetta quando fui chiamato alla Presidenza della Legacoop Regionale e lui prese il mio posto alla testa di quella provinciale nel 1978. Una amicizia ed un rapporto che divenne ancora più saldo quando le vicende della vita ci fecero rincontrare in un modestissimo appartamento del quartiere Montesacro a Roma, che fungeva da foresteria per noi che venivamo da fuori e che nei fine settimana rientravamo alle nostre case . Lui era nella Presidenza della Produzione e Lavoro Nazionale, io in quella della Lega Nazionale. In quella occasione ho imparato a conoscere meglio Gualtiero. Nonostante la sua riservatezza si apriva ai problemi familiari che lo angustiavano a quel tempo e metteva sempre più in evidenza la profonda carica umana che lo animava. Ed in più la coscienza civile, l’impegno progressista, per la causa dei più deboli, degli emarginati per la loro emancipazione e l'inclusione sociale che rappresentavano la guida, i valori ai quali costantemente ispirarsi. L’Emilia-Romagna non è sempre stata una delle regioni più avanzate d'Europa. Se lo è divenuta lo dobbiamo anche alla grande ricchezza 80 associativa che contraddistingue la nostra regione ed alla forte crescita della cooperazione. Gli esempi di questa crescita sono sotto gli occhi di tutti se consideriamo che in molti settori la cooperazione riveste posizioni di leadership e gode di prestigio e riconoscimenti che non erano consueti fino a non molti anni fa. Questa crescita è il frutto del lavoro e dell’impegno di tanti che in questo compito hanno speso la loro esistenza e che spesso non vengono adeguatamente ricordati per il contributo dato alla causa del progresso economico, sociale e civile della nostra regione. Uomini e donne che hanno sempre anteposto il bene comune agli interessi personali. Uomini e donne che “Questi uomini e queste donne hanno svolto una missione di grande importanza, hanno scritto una pagina di storia” non erano nati imprenditori o manager, che non erano laureati e spesso, fino agli inizi degli anni ’50, neppure diplomati, ma che avevano la consapevolezza che il bene comune era quello di fare uscire gli strati più deboli e indifesi della classe operaia e dei contadini da condizioni misere e da situazioni di marginalità. La molla che li animava era una grande carica di idealità e di valori. E il sogno di una società più libera, più giusta e democratica. Nelle cooperative la spinta associativa e l'impegno per l’occupazione e lo sviluppo finivano per riflettersi favorevolmente sull'intero tessuto socio-economico cittadino e regionale, favorendo la creazione di un vasto tessuto di pic- cole e medie imprese, un po' per virtù naturali e un po’ per spirito di emulazione. Uomini e donne che non si limitavano a rivendicare un diverso modello di sviluppo e un diverso impegno delle classi detentrici del potere economico, ma che, senza la paura di sporcarsi le mani, assumevano grandi responsabilità intervenendo direttamente nei processi economico-sociali. Essi contribuirono al superamento dello storico limite della sinistra che era quello di occuparsi solo della redistribuzione della ricchezza prodotta lasciando alle classi dominanti il compito di produrla e ponendosi nei loro confronti su posizioni contrattuali o rivendicative. La mancanza di esperienza e di capacità manageriali e gestionali era supplita dalla grande generosità, dall'impegno disinteressato, dalla consapevolezza di svolgere una missione di grande importanza per il futuro del territorio e delle classi sociali di riferimento. Non mancavano gli insuccessi e i fallimenti. Ma la cooperazione, come dimostra la realtà giunta sino a noi, continuava a crescere più forte e vigorosa di prima. Questi uomini e queste donne hanno scritto una pagina di storia. E quando si celebrano i successi del movimento cooperativo e la sua maggiore capacità di tenuta, rispetto a tante imprese private, di fronte alla gravita della crisi, è giusto esaltare i meriti di coloro che sono oggi alla guida delle cooperative, ma non bisogna mai dimenticare gli uomini e le donne che, ai vari livelli di responsabilità e competenza, hanno dato il loro contributo, hanno speso una intera esistenza per l’affermazione dei valori dell' associazionismo politico e sindacale in generale e della cooperazione in particolare. Uomini e donne che hanno contribuito all’emancipazione delle classi MI RICORDO DI TE sociali più deboli facendole divenire protagoniste dei loro destini. Gualtiero è stato uno di questi uomini, che vanno ricordati perché hanno dato un contributo importante all’affermazione e crescita del movimento cooperativo, lavorando lontano dai riflettori, privilegiando l'essenza all’apparenza, una costante del suo carattere. La sua profonda sensibilità lo spingeva ad impegnarsi anche nel campo sociale, assieme alla sua compagna Vittoria Lotti, come dimostra il suo rapporto con l’associazione Gli Amici di Luca, di cui era socio sostenitore, e seguendo sin dall' inizio lo sviluppo del progetto della Casa dei Risvegli Luca De Nigris. I valori che hanno ispirato intere generazioni di cooperatori non sono persi, anche se è cambiata la società, l’economia, il lavoro ed il nostro paese si trova ad affrontare sfide inedite come la globalizzazione, la finanziarizzazione, la conseguente crisi dell' economia reale, I’integrazione del popolo dei migranti. Quei valori costituiscono ancora oggi un punto di riferimento al quale ispirarsi e se ciò avverrà, se insieme saremo capaci di recuperare quelle idealità che si vanno perdendo, allora la vita e l’opera di Gualtiero non saranno state vane. I Forza morale, impegno sociale e solidarietà n gennaio ci ha lasciato il caro Gualtiero Ferretti, nostro socio sostenitore da sempre, nonché compagno di vita della nostra consigliera Vittoria Lotti. Il direttivo dell’associazione Gi amici di Luca esprime a Vittoria il suo profondo cordoglio. Gualtiero Ferretti con discrezione, simpatia e profonda sensibilità ha sempre partecipato alle nostre iniziative, seguendo sin dalla posa della prima pietra lo sviluppo della Casa dei Risvegli Luca De Nigris propagandando all’esterno il valore umano e l’innovativo progetto sociale per la cura e la ricerca sul coma. Gualtiero ha saputo con la sua onestà, la sua riconosciuta serietà favorire la conoscenza de “Gli amici di Luca” ovunque, sviluppando così sostegno e solidarietà per l’associazione: dal posto di Lavoro (Asa Castelmaggiore), al mondo politico sociale, al movimento cooperativo nel quale ha vissuto e lavorato per lunghi anni. “A Ferretti va il nostro più sentito ringraziamento – ha detto Giampiero Calzolari presidente di Legacoop Bologna – siamo commossi nel ricordare il suo generoso lavoro, lo stesso svolto dalle generazioni di cooperatori che ci hanno preceduto: dirigenti che sono esempio della dedizione e dell'impegno che hanno saputo esprimere all’interno del mondo economico e delle istituzioni, contribuendo alla realtà importante e viva della odierna cooperazione bolognese”. La sua forza morale e l'impegno sociale da lui sempre dimostrato, che anche la nostra associazione “Gli amici di Luca” ha avuto la fortuna di conoscere in questi anni, rimarrà nei nostri cuori e di tutte le persone che hanno condiviso con lui il percorso di vita. Anche nel momento tristissimo dalla sua scomparsa, tanti suoi amici hanno dimostrato, ancora una volta, un gesto di solidarietà noi nostri confronti, devolvendo diversi contributi a favore dei progetti che portiamo avanti. Il suo ricordo ci accompagnerà, infondendo in noi nuova energia per svolgere all'interno della Casa dei Risvegli Luca De Nigris l’impegnativo compito che ci siamo assunti, vicino ai pazienti e alle famiglie che ospitiamo nella struttura. L’associazione Gli amici di Luca desidera ringraziare sentitamente l’Azienda Asa di Castelmaggiore e Unieco di Reggio Emilia per i contributi ricevuti in memoria di Gualtiero Ferretti. Vi dico le mie verità che erano anche le sue L’ultimo saluto a Clemente O ggi io e voi siamo qui per l’ultimo saluto a Clemente. Se ne va il suo corpo, ma fra noi resta il suo esempio. Vorrei dirvi tutto di lui, ma non riesco a dare voce alle mie emozioni. Le parole gridano dentro al mio cuore. Sono lontane e difficili. Tanti sentimenti si sono accumulati negli anni. Non possono essere spiegati in modo chiaro e distaccato, potrebbero non essere capiti. Io e mio figlio siamo stati su un confine che non potevamo superare, perché non abbiamo mai saputo con precisione cosa Mente ha provato o desiderato negli anni della malattia. Non sono mai riuscita ad ottenere il miracolo di una sua risposta. Proprio per questo, per me è impossibile parlare dei tanti stati d’animo che si sono alternati, insieme ad altrettante attese piene di una forte speranza che si è dimostrata un’illusione. È come se le parole che desidero 81 MI RICORDO DI TE dedicare a Mente si fossero chiuse nel silenzio che lo ha isolato dal mondo e dalla vita per tanti anni. I sentimenti, che sono dentro di me, restano chiusi nella mia coscienza, così come lui è rimasto imprigionato in un corpo che non poteva comunicare, né difendersi, né recuperare. Posso parlare solo delle mie verità, che sono state anche le sue nei tanti anni che siamo stati insieme. Clemente ha amato la vita, la famiglia, il lavoro, il paese e gli amici. Ha ricercato, da autodidatta, la precisione nei meccanismi elettronici e, da appassionato, la vita serena e semplice negli spazi aperti, nell’ambiente naturale. Ha voluto essere onesto, indipendente, libero da ogni compromesso, come chi, in un gioco, assegna un posto giusto ad ogni persona e ad ogni circostanza. Con ironia, quando rifiutava di essere manovrato da altri. Con generosità, quando si dedicava agli amici. Con amore, per me, sua moglie, e per il figlio. Dopo l’incidente, è rimasto legato alla vita, ma la sua personalità si è manifestata solo in quell’ostinato legame con la vita, realizzato nel silenzio e nell’immobilità. In quella condizione umiliante di infermità, ogni piccolo segnale veniva colto solo da noi, mentre restava impercettibile per gli altri. Ogni segnale, per me e per mio figlio, è stato il riconoscimento della grande umanità della sua persona. Mi sono chiesta: “Dov’è Dio?” L’ho visto nei suoi occhi. Era in quegli occhi neri. Anche se, le pupille di Mente non vedevano i contorni della stanza, né i corpi delle persone. Per questo mio pensiero, vorrei ricordare sempre la luce di quel suo sguardo intenso. Vorrei che Clemente fosse ricordato e ammirato per la volontà di comunicare anche dopo che ne era stato privato della capacità. 82 che ci sono state vicine in questi anni di sofferenza. Grazie. Laila e Massimiliano Vorrei che fosse ricordato per il suo amore per una vita giusta e libera. Vorrei poter impedire che altri soffrano come lui. Io e Massimiliano siamo convinti che questo è stato il suo grande insegnamento. Ora Mente sei salito in cielo dove spero tu possa camminare, urlare e piangere. Qui hai tanto provato ma non ci sei mai riuscito. Ti vogliamo bene, noi e le persone Caro Mente, sei stato un uomo straordinario: cordiale, altruista, laborioso. Hai amato la tua famiglia oltre ogni cosa. Da diversi anni ti abbiamo visto soffrire, ma sempre circondato dall’affetto e dalla dedizione dei tuoi cari. Nella tua continua lotta abbiamo capito l’importanza della vita e la tua presenza è stata una testimonianza coraggiosa. Ora, stanco di lottare, hai intrapreso un altro viaggio e noi ti salutiamo, sicuri che sarai nei nostri cuori. La cognata Clelia e famiglia Caro zio, ti abbiamo conosciuto che eri già in carrozzina e in braccio a te siamo venuti tutti. Ti ricordiamo così, seduto che ci guardi, e preghiamo il signore perché il tuo sguardo ci accompagni nella nostra crescita. I nipoti Agnese, Matteo, Anna, Emma, Francesca Grazie a te abbiamo potuto avvicinarci a Lui Carissima Laila, sei una donna che stimo moltissimo per la grande dignità con la quale hai saputo affrontare la lunghissima e complessa situazione di vita con il tuo caro marito Mente. Attraverso questo tuo modo lucido e attivo di percorrere gli anni della sua sofferenza e della sua limitazione causate dal grave trauma cranico che l’aveva portato al coma e allo stato vegetativo, il tuo Mente ha potuto esprimere quello che era la sua persona, prima dell’incidente. Grazie a te, a tuo figlio Massimiliano e all’affetto di altri parenti e amici, lui ha continuato a esserci e anche noi, che non lo conoscevamo prima, abbiamo potuto avvicinarci a lui con la consapevolezza della sua persona: intelligente, attiva, generosa. Ti ammiro veramente per la tenacia con la quale, nonostante i momenti di scoraggiamento più che motivati, hai saputo sempre organizzare una perfetta assistenza a Mente. Sono felice che la nostra volontaria Oretta sia stata in grado per anni di starti un po’ vicina, con tanto affetto e modestia. Mi auguro che da questa vostra esperienza così impegnativa ne scaturisca una testimonianza forte, che aiuti la società a comprendere sempre meglio le necessità delle famiglie che gestiscono a domicilio un loro caro in stato vegetativo o di gravissima disabilità dopo il coma e a sviluppare una rete assistenziale sempre più efficace. Maria e Gli amici di Luca MI RICORDO DI TE Gli anni passati insieme e il cammino del coma I doni di Giovanni I n otto anni di vita insieme Giovanni mi ha fatto tanti doni, forse molti di più di quelli che fanno la maggior parte delle persone in una vita. Il primo il più grande è nostro figlio Pierluigi, essere madre è il dono più bello che la vita ed un uomo ti possono fare, Pierluigi è la vita, è la ragione per continuare a guardare lontano, per alzarsi ogni giorno. In Pierluigi c’è tanto di Giovanni, ed è una parte di lui che continua a vivere, gli occhi di Pierluigi hanno la stessa luce e la stessa intensità di quelli di suo padre. Giovanni mi ha donato la possibilità di fare conoscenza con suo fratello Guido e grazie a lui con l’Antroposofia, diventata una parte importantissima nel mio cammino spirituale. Giovanni mi ha donato una vita intensa e avventurosa nei nostri anni felici, ma quello che mi ha arricchito più di tutto è stato il cammino fatto insieme a lui in un anno e mezzo dopo l’incidente. Il cammino del coma. Per parlare in termini cari a Giovanni abbiamo arrampicato in cordata, ma è stato lui, da alpinista esperto a condurmi, come d’altronde ha sempre fatto in montagna. E la Laura di oggi è senza dubbio una persona migliore, una persona in cui il miracolo dell’amore e della vita hanno dato i suoi frutti. Il Coma di Giovanni mi ha dato la possibilità di conoscere delle persone con una grande ricchezza interiore, persone che credono in quello che fanno e riescono a dare un senso al dolore, tutte queste persone orbitano, quasi per una strana alchimia, intorno alla Casa dei Risvegli Luca De Nigris. Nel lungo cammino Io e Giovanni non siamo mai stati soli; sarò sempre grata al Dott. Piperno e a tutto il suo staff medico per aver saputo calibrare professionalità ed umanità, alle due Caposala Cristina e Patrizia per la vicinanza e la comprensione, agli infermieri, agli Operatori Sanitari perché ci sono anche nelle giornate difficili, a Giusy che è una fisioterapista dell’anima oltre che del corpo.Alla Dottoressa De Cillis che mi ha sempre dato una forza incredibile. Che dire poi di tutti gli operatori della cooperativa “Gli amici di Luca” a Laura presenza discreta ma fondamentale, a Cristina ed Antonella. Ed infine una parentesi amplissima potrei aprire per Alessandra Cortesi che mi ha adottato nel gruppo “Dopo di Nuovo” e gli operatori del gruppo che mi hanno fatto arrivare un “calore umano” difficile da descrivere e per Roberto Bolelli, grazie al quale ho scoperto la musicoterapia, che probabilmente diverrà il mio mestiere... Tutto questo mi ha donato Giovanni… e poi dicono che il dolore isola… Giovanni non c’è più ma i suoi doni accompagnano la mia vita ogni giorno e l’accompagneranno per sempre… dandomi forza e consolazione. Grazie Giovanni Laura Un anno insieme (e altre vette da raggiungere) Abbiamo trascorso un anno con te, Giovanni. Un anno: un tempo breve nello scorrere frenetico della vita attiva, tempo che passa così velocemente, ci sembra ieri che era gennaio e siamo già ad aprile! Un anno: un tempo lungo nella vita di un malato che soffre, soprattutto se nello scorrere dei mesi non c’è guarigione, o almeno un miglioramento. Un anno: un tempo di tanti cambiamenti nella vita di un bambino piccolo, che crescendo conquista tante nuove capacità e si apre al mondo. Tutto questo è stato l’anno trascorso alla Casa dei Risvegli Luca De Nigris per te, Giovanni, per la tua cara moglie Laura e per il vostro piccolo Pierluigi. E per noi che vi abbiamo conosciuto solo in quel periodo della vostra vita? Un tempo di speranza e di forza espresse nel silenzio e nell’immobilità accanto a te; un tempo di amicizia e di entusiasmo accanto a tua moglie; un tempo di coccole, giochi e stupore gioioso accanto al tuo amato bambino. Ci avete dato tanto. Non è facile esprimere cosa… Forse queste sono le parole più adatte: “Dove apparentemente c’è la sconfitta, il vuoto, l’annullamento di un essere umano e dei suoi legami affettivi, si può trovare la ricchezza di nuovi incontri, di relazioni non facili ma ricchissime, di silenzi che parlano profondamente alle nostre anime, di energie che si incontrano e si sommano producendo passione, significato, nuove mete e nuovi sentieri da percorrere…” Ecco, tu, campione della montagna, ci devi accompagnare ora a cercare questi sentieri, ci puoi aiutare a salire anche lungo i più erti e soprattutto ci devi ricordare sempre che c’è una vetta alla quale mirare e che vale la pena di raggiungere. Maria e Gli amici di Luca 83 MI RICORDO DI TE Le riflessioni di Oretta, volontaria per la “Casa dei Risvegli Luca De Nigris” La forza caparbia di chi da solo conduce una lotta difficile di Oretta Testi Volontaria “Gli amici di Luca” S ono diventata volontaria dell’associazione “Amici di Luca” per caso. La mia è una storia semplice. Nell’estate del 1998 e nel 2000 ho seguito due gruppi di studentesse del Liceo Cevolani di Cento che hanno frequentato due diversi corsi di formazione per l’assistenza ai malati in coma. Sono tanti i ricordi di quel periodo, prima di tutto le giovani ragazze, con il loro sorriso di adolescenti, che hanno frequentato quei corsi per una preparazione su un tema tanto estraneo alla loro realtà. Non posso dimenticare la presenza assidua e infaticabile di Maria Vaccari insieme alla grande fiducia riposta in noi; l’attivo intervento di Fulvio De Nigris nell’organizzare i corsi; la disarmante sicurezza di Elena Bogliardi nel voler dedicare da volontaria il proprio costruttivo impegno all’associazione. Dovrei aggiungere i nomi dei docenti dei corsi che hanno fatto dono delle conoscenze e delle esperienze, i nomi degli altri partecipanti e dei genitori che hanno voluto e sostenuto le iniziative. Per farlo, dovrei dedicare a loro la mia scrittura come certamente meritano. Ma ora le mie parole sono rivolte a Clemente Pelotti, “Mente”, per ricordarlo come volontaria della “Casa dei Risvegli”. Dopo la frequenza dei corsi, 84 a cui ero stata motivata dal senso del dovere per un impegno di lavoro in cui ho creduto, mi sono trovata ad avere i requisiti per fare la volontaria. Ho iniziato nell’autunno del 2000. Maria ed Elena mi accompagnarono nella casa di Clemente, “Mente”, a Budrio dove sono tornata di solito al martedì pomeriggio fino al dicembre 2009. Mi sono concessa molte pause per impegni di lavoro, per le vacanze mie e per quelle di Dimitri, il piccolo ospite della Bielorussia, per le visite della mia amica Catalina e per il mio matrimonio con Fabrizio. Scrivo di questa mia piccola quotidianità per far capire, a chi dovesse leggere, lo scorrere del tempo ed il passare della vita legata agli episodi che accadono ed all’intreccio continuo delle relazioni. In tanti anni, là, all’interno della casa di via Olaf Palme, per “Mente” non è cambiato nulla, tutto è rimasto uguale. Soli cambiamenti sono stati i suoi problemi di salute, gli accertamenti ed i ricoveri in ospedale, i cicli di terapia, fino all’ultimo grave peggioramento delle condizioni generali nel dicembre 2009. Poi il 3 gennaio 2010 ci ha lasciati, sembrava aver tenuto fede alla richiesta di Laila, sua moglie, di passare insieme almeno le feste. Si è liberato dalla prigione della malattia, lo stato vegetativo, che l’aveva incatenato all’isolamento, nell’immobilità e nel silenzio. Per una breve sintesi sulla mia presenza come volontaria, posso dire che all’inizio ero piena di fiducia e di informazioni sulle terapie per il risveglio: la ricerca del segnale, l’importanza della voce e dei suoni, la musico-terapia, il tatto, tutte le molteplici possibilità per stabilire una comunicazione. Credevo che ci fossero strade da percorrere, più o meno tortuose, soprattutto quando stringeva con la sua mano sini- MI RICORDO DI TE stra la mia. Sembrava che volesse dare risposte, almeno un segnale d’intesa. C’era una possibilità. Invece, per quanto riguarda l’ausilio infermieristico pomeridiano, possiedo la certezza di essere stata la peggiore delle assistenti. Sempre paralizzata dall’incapacità dell’impaccio, dalla continua dimenticanza anche dei minimi gesti. Un vero disastro. Proprio l’opposto di Laila; sempre bravissima, scrupolosa, abile, precisa, attenta ad ogni sintomo. Si è prodigata per ore e ore, giorno e notte, per anni, anche quando la forza fisica è diminuita ed è stata condizionata dai disturbi di salute. Come lei Massimiliano, il figlio, il miglior infermiere professionista sul campo che io abbia mai visto in azione. In questi anni ho conosciuto non tanto loro, ma soprattutto la loro attenzione e le loro cure premurose. In quell’affettuosa assistenza ho riconosciuto la disperazione dolorosa che si impadronisce di chi per amore vuole solo assistere, cercare segni di miglioramento, trovare una risposta ad aspettative. Rifiutavano atteggiamenti di abbandono o di rinuncia, anzi, a dire il vero, li hanno rifiutati con decisione. In modo istintivo, hanno sempre rimosso il dubbio e l’incertezza. “Mente”, il “boss”, è sempre stato al centro della piccola famiglia. Per Laila era il marito, per Massimiliano era il padre a cui sorridere, parlare, chiedere. Non facevano assistenza, difendevano il loro legame familiare con “Mente”. Come hanno potuto agire così, sempre? Come hanno potuto amarlo tanto, senza esitazioni fino alla fine, per tanti lunghi anni? Forse è stata la forza caparbia di chi da solo conduce una lotta impossibile, a volte ripagante, ma per certi aspetti autodistruttiva. Nel tempo hanno voluto bene anche a me, proprio perché ero là per Mente. Mi hanno considerato una della famiglia, sebbene non fossi mai stata capace di fare niente con precisione. Bastava arrivare a Budrio, parcheggiare l’auto davanti alla “La mentalità collettiva tende a rimuovere il disagio” loro casa, entrare, fermarmi per qualche ora e diventavo ai loro occhi, una della famiglia, come loro. Da parte mia non possiedo certezze, ma so di aver percepito la profondità della loro disperazione, quella che sta dentro alla coscienza e che non riesce a trovare la voce per risuonare all’esterno. Perché? Fuori tra la gente, negli spazi esterni, non esiste un sistema culturale di riferimento in cui può trovare riconoscimento sociale la condizione di un ammalato in stato vegetativo e la condizione dei famigliari che l’assistono. La “Il mondo delle famiglie dei pazienti in coma si regge su piccoli frammenti basilari” mentalità collettiva tende a rimuovere il disagio. I dibattiti televisivi si alimentano del vuoto di parole sterili, lontane dall’esperienza e disinteressate ad un intervento educativo. Il mondo delle famiglie dei pazienti in coma si regge su piccoli frammenti basilari, sono i pochi rapporti personali che ruotano attorno al malato e acquistano l’importanza e la solidità delle relazioni di sostegno tra le persone perché condividono problemi, attese vane e delusioni. Si tratta di legami che si rafforzano sulla questione dell’infermità, condizione che, nelle occasioni di incontro sociale, tutti preferiscono dimenticare. La vita cerca la vita, il frastuono, l’allegria e la confusione. Il silenzio della casa, il silenzio di Mente, il silenzio con cui Laila e Massimiliano si sono annullati nel lavoro di cura, mi hanno stretto il cuore. Mi sembrava di percepire l’eco della loro traumatica lotta senza via d’uscita. Mi hanno preso il cuore o, forse, è meglio dire la ragione, perché mi hanno costretto ad ammirare la loro integrità, la loro forza morale che continuava a mantenersi intatta, nonostante la fatica. Oggi l’ammirazione delle azioni delle persone giuste e oneste si oppone alla delusione del presente in cui si applaude allo spettacolo di una corruzione dilagante. Così mi sono sempre più convinta che il progetto di un futuro positivo potrà venire solo dalle persone che agiscono nel rispetto degli altri, come hanno fatto Laila e Massimiliano nel rispetto di Mente. Nella casa di Budrio altre persone hanno condiviso con coerenza e impegno il rispetto della persona inferma, quando invece la legislazione, l’assistenza pubblica e le istituzioni sembrano distanti o assenti. Tutti, con il loro piccolo e grande contributo, hanno dato una risposta personale, profondamente umana, per cercare di proteggere la dignità di Mente nel suo lungo e sofferto distacco dalla vita. 85 SCAFFALE La collaborazione tra esperti di salute nella ricerca di soluzioni I movimenti di supporto alle persone malate I movimenti per la salute sono attori sociali rilevanti perché rappresentano uno specifico campo di conoscenza e intervengono su grandi temi: accesso a cure, prevenzione, diagnosi precoce, riabilitazione; diversità e disuguaglianze nella salute a livello di classe, razza/etnia, genere, orientamenti sessuali; malattia, vissuti, disabilità e questioni controverse come quelle legate alla bioetica. Nel libro “Movimenti per la salute e associazioni delle persone malate” a cura di Laura Corradi (Franco Angeli editore) vengono descritti alcuni di questi movimenti per la salute che valorizzano la dimensione del corpo, partendo dalla verità del Q sentire, che è soggettivo e collettivo, e sfidando la scienza su eziologia, diagnosi, trattamento e prevenzione, e persino sulle direzioni della ricerca. Sono un fenomeno molto interessante non solo perché introducono il corpo biologico nei movimenti sociali, ma anche perché mettono in discussione i saperi medici dominanti e contemplano la collaborazione tra attivisti, scienziati ed esperti/e di salute nella ricerca di soluzioni. Spesso nascono da un salto di qualità dei gruppi di supporto alle persone malate, ma includono UN’ALLEANZA PER L’INNOVAZIONE E LA QUALITÀ DELLA VITA uesto libro di Walther Orsi, Rosa Angela Ciarrocchi, Gerardo Lupi (FrancoAngeli editore) si propone come uno strumento per orientare, in senso innovativo, i sistemi di governance tesi a promuovere una responsabilizzazione competente del territorio. Un testo per amministratori, operatori socio-sanitari, responsabili di organizzazioni profit e volontari per promuovere un’alleanza per l’innovazione e la qualità della vita. Le difficoltà del welfare si associano oggi ad una crisi economica che si è rivelata in tutta la sua drammaticità, coinvolgendo l'intero pianeta e mettendo in discussione l’attuale sistema di sviluppo. In questo contesto è sempre più evidente la necessità di legare politiche di welfare, che diano centralità al cittadino, con interventi tesi ad assicurare sviluppo, non solo economico, ma anche culturale, sociale ed etico. In tale prospettiva i periodi di crisi possono essere interpretati come grandi occasioni per attivare innovazione 86 anche persone non malate, che si percepiscono a rischio per la sproporzionata presenza di agenti inquinanti, o che si mobilitano per solidarietà. L’esistenza di un vivace associazionismo attorno a varie malattie investe anche quelle di cui fino a tempi recenti non si parlava nemmeno. Il protagonismo delle associazioni di persone malate nel nostro paese può essere ricondotta alla storia di grandi movimenti che hanno sensibilizzato il contesto sociale: il movimento operaio per la salute sul posto di lavoro, il movimento femminista per la salute della donna, l’antipsichiatria e il movimento contro il nucleare. Un capitolo è dedicato al fenomeno dell'associazionismo nel settore della disabilità. “Raccontare l’associazionismo nell’handicap è un po’ come occuparsi di geologia – scrive finalizzata al bene comune della qualità della vita. Il percorso metodologico fa riferimento ad una “innovazione sociale partecipata”, che si fonda su una coordinata integrazione di investimenti individuali e collettivi, e ad una pianificazione sociale tesa a rendere protagonisti i cittadini e le organizzazioni del territorio. Gli autori: Walther Orsi, sociologo, docente di Pianificazione sociale presso l’Università di Teramo e di Programmazione, organizzazione e gestione dei servizi sociali presso l’Università di Bologna, è direttore del Programma “Salute Anziani” dell'Azienda USL di Bologna. Rosa Angela Ciarrocchi, sociologo sanitario, si occupa di sistemi informativi, valutazione e ricerca nell'ambito delle organizzazioni no profit ed è consulente presso l’Azienda USL di Bologna. Gerardo Lupi, sociologo sanitario, si occupa di formazione e consulenza organizzativa nell'ambito dei servizi socio-sanitari e del terzo settore e collabora con il Programma “Salute Anziani” dell’Azienda USL di Bologna. SCAFFALE il curatore del capitolo Andrea Pancaldi – andando a verificare come si siano sedimentati culture e ceppi di associazionismo diversi che, pur tra cambiamenti e innovazioni, sono arrivati fino ai giorni nostri. Questa operazione rappresenta una delle tante possibili finestre attraverso le quali guardare il settore dell’handicap e i tanti attori che si affacciano sulla sua scena troppo spesso sospesi, nella cultura e nella rappresentazione mediatica, tra le categorie dell’eroe e del vinto, mentre avrebbero tanto bisogno di essere ri-conosciuti in una quotidianità al tempo stesso eccezionale e banale, quella di una vita in cui è presente la disabilità”. Laura Corradi è docente di Sociologia della Salute e dell’Ambiente e di Studi di Genere presso l’Università della Calabria. Ha studiato e insegnato presso la University of California ed è autrice e co-autrice di diversi testi. LE IMPRONTE DI STEFANO “Impronte” di Stefano Pedroni, Debatte editore ([email protected]) è una storia, un viaggio, un percorso obbligato: la Paura, la Speranza e la Fede e l’Incertezza, l'Amore e l’Amicizia, il Cuore e l'Anima, un Nome e un Soprannome. Un viaggio di un ragazzo attraverso trenta mesi della sua vita: un biglietto di andata chiamato Linfoma, una passaporto chiamato Speranza, un diario di ritorno chiamato Impronte. Stefano Pedroni classe 1980 è nato e cresciuto a Fanano; lavora nel settore dell'impiantistica elettrica. Le gite in montagna ed il relax del mare sono le sue passioni. ama leggere prendere appunti e le risate con i suoi amici. C Una “resurrezione” musicale ol fiato sospeso di Edoardo Inglese, prefazione di Fulvio De Nigris (edizioni Erickson), è l’involontario racconto di una storia vera. Improvvisamente, in quella che era la straordinaria normalità della vita di un quasi ventennale gruppo d’amici suonatori, semisconosciuto e più o meno anonimo come tanti, Maurizio De Antoniis in Pernaselci detto «Pasticcio», geniale musicista e amabile essere umano bambinone, entra in coma per un doppio trauma cranico a causa di uno spaventoso frontale in bicicletta contro un furgone. Dalla vita alla morte alla vita, così la forza dell’amicizia e della musica, impregnando sempre più di senso il vissuto del gruppo, compirà il miracolo di una letterale «resurrezione» del tre volte dato per morto e dei suoi amici. Scritto senza premeditazione o consapevolezza attraverso il blog – che fino ad allora rappresentava un semplice passatempo ma si trasforma poi nel veicolo più rapido ed efficace per informare sullo stato clinico del coma e della riabilitazione di Pasticcio e per supportarsi, farsi forza, aiutarsi e anche sfogarsi emotivamente – Col fiato sospeso è quindi una cronaca, un diario. Un libro documentario. È il racconto di una tragedia e di un miracolo. Di un’amicizia e della musica. Di vite. È un paradossale giallo in cui il destino è il colpevole, la vittima chi scrive e il lettore l’investigatore. Insomma questo libro può essere molto; potrebbe essere addirittura troppo se semplicemente riuscisse a trasmettere quanto è stato realmente vissuto. Questo libro è una storia vera. Edoardo Inglese è cantante, autore e compositore. Laureato in filosofia. Diversamente occupato e appassionato di vita e di umanità. Videoamatore professionista. “V IL SILENZIO ATROCE DELL’ALZHEIMER isione parziale un diario dell’alzheimer” è un libro molto significativo, dedicato a Cary Smith Henderson e Jakie Henderson Main, padre e figlia che insieme hanno sognato la realizzazione di questo libro. Cary da solo, ha iniziato a descrivere il mondo di Alzheimer e quando lui non è stato più in grado di farlo Jakie ha aiutato a trasformare il loro sogno in realtà. È pubblicato dall’associazione Goffredo de Banfield (www.debanfield.it) e dalla Federazione Alzhemer Italia (www.alzheimer.it). Nel 1985 Cary Henderson, un professore di storia, apprese di essere ammalato di Alzheimer. Frustrato per il calo di memoria e per l’incapacità materiale di scrivere, cominciò a servirsi di un registratore. Lo strumento divenne il suo confidente e il suo mezzo per esternare e comunicare non solo con la famiglia, ma anche con altre persone colpite dal male. Cary incise per ore e ore i nastri di cui poi sua figlia Jackie Henderson Main, sua moglie Ruth e Nancy Andrews, fotografa del Washington Post (e vincitrice di importanti riconoscimenti ) curarono la trascrizione. Le foto di Cary e della sua famiglia, eseguite durante la fase di trascrizione del testo, attirano fortemente l’attenzione. 87 GUARDA DOVE SIAMO ARRIVATI In viaggio di nozze in Australia con “Gli Amici di Luca” nel (e sul) cuore Anna ed Adriano ad Ayers Rock (Australia) N el nostro avventuroso giro dell’Australia, per festeggiare le tanto attese (ahimè!) nozze, non potevamo non portare con noi l’associazione Gli Amici di Luca, nostri compagni di avventura anche il giorno delle nozze, (nella forma di bellissime pergamene personalizzate, regalate agli ospiti); in 20 giorni, circa, abbiamo avuto la possibilità di visitare luoghi e posti che difficilmente dimenticheremo..in un paio di questi magici posti abbiamo deciso di posare per il Magazine…per lasciare traccia del nostro passaggio e dell’Associazione… Ecco quindi i neo sposi posare ad Uluru o Ayers Rock, chiaramente le facce sono un po’ stravolte e poco riposate, ma sono il risultato di molti chilometri fatti sotto il sole cocente dell’Australia. Il tramonto Saluti da... A sinistra: La Befana (Carla Astolfi) e Sophia Jolie dal Centro Lame A destra: Attilio, da Cattolica (con la neve) In basso a sinistra: I genitori e la sorella di Claudia Valentini dall’ospedale Maggiore, Bologna In basso a destra: Claudio Bocchi e Gianni Morandi dall'Istituto S. Giorgio di Ferrara 88 ad Uluru è stato spettacolare…ed è vero che la roccia sacra si accende di rosso; Adriano dice che anche l’alba è stata bellissima…dice…io me la sono persa…per me era davvero troppo.